3. ABITARE SINTESI E PROPOSTE La riflessione sul verbo ha ovviamente evidenziato come l’abitare richiami il vivere in uno spazio e in un tempo. Vivere, non inteso come qualcosa di statico, ma dinamico: vivere vuol dire impegnarsi nel proprio luogo e nel proprio tempo come uomini e cristiani per il bene di tutti. Perciò, perché questo abitare diventi realmente dinamico, è stato sottolineato che prima di tutto bisogna abitare le relazioni, come ha detto bene papa Francesco nella Evangelii Gaudium e nel suo intervento durante il Convegno, in particolare, quando ha fatto riferimento a don Camillo: «Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte». Un’altra considerazione è stata quella di constatare che i punti di partenza di questo processo dell’abitare sono già emersi nel cammino che le nostre comunità stanno compiendo nei loro territori, perché prima di tutto il cristiano deve “farsi abitare da Cristo”. All’inizio dei lavori ci è stato chiesto di associare il verbo ad un brano o icona evangelica e, quindi, è stato naturale far riferimento alla figura di Maria, che per prima è stata “abitata” da Gesù: ha lasciato dentro di sé (fisicamente e spiritualmente) spazio all’Altro e reso possibile così che la Salvezza raggiungesse gli uomini. Per abitare le relazioni, quattro verbi Questa relazione dinamica, che facendosi abitare da Cristo, lascia spazio all’altro, è stata sintetizzata con ulteriori quattro verbi: ascoltare, accogliere, accompagnare e fare alleanza. Imprescindibile è parso a tutti l’ascolto, attraverso il quale è possibile stabilire una relazione autentica! Inoltre, in questo processo che abbiamo detto essere dinamico, l’ascolto ci aiuta ad uscire dall’autoreferenzialità, dal mettere se stessi al centro dell’attenzione. Ricorrente è stata la proposta di incentivare la creazione di luoghi di ascolto per le persone di oggi: e ce ne siamo resi ben conto anche durante la missione popolare svolta in diocesi nel 2014. Dopo l’ascolto, accogliere è il secondo impegno da assumere nei confronti delle persone rese fragili dalle solitudini di oggi: bambini ed anziani, disoccupati e poveri, stranieri e chi è reso straniero dalle politiche economiche e sociali. Ed il recupero della dignità e dell’utilità di queste persone implica necessariamente il loro accompagnamento, che può essere ancora più efficace se si è capaci di creare alleanze con chi è più “esperto” in determinati settori. Creare, come è stata definita, una “pastorale del condominio”, dove quando manca qualcosa in casa si va a chiederla al vicino. Famiglia, parrocchia, politica In particolare è emersa la necessità di applicare questi quattro verbi alla famiglia, alla parrocchia ed alla politica, luoghi che troppo spesso abitiamo ma non viviamo, perché o vengono delegati ad altri o “abbandonati” in quanto si è sommersi dai mille impegni della vita quotidiana. E tra questi altri non bisogna ignorare principalmente la presenza dei giovani. Per quanto mi riguarda, ho trovato lodevolissima l’organizzazione dei lavori di gruppo, dove in ogni sala di cento delegati, uno dei tavoli da dieci era costituito dai più giovani iscritti per quel verbo. Con troppa 1 ricorrenza i giovani non trovano spazio, ma soprattutto fiducia all’interno della vita sociale e cristiana. Dice ancora il Papa ai giovani, a conclusione del suo intervento nel convegno: «che nessuno disprezzi la vostra giovinezza […] Non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico». La loro freschezza, benché priva di esperienza (ma in questo caso entra in gioco il nostro accompagnamento), ed il loro entusiasmo potrebbero essere la soluzione per superare incrostazioni dovute a modi di pensare troppo rigidi o passati, se non addirittura trapassati. E purtroppo queste situazioni sono facilmente verificabili anche da noi, contando i gruppi giovanili presenti nelle nostre parrocchie o semplicemente leggendo i dati della disoccupazione giovanile in Italia. Stile sinodale In sostanza, lo stile da adottare è quello sinodale vissuto e respirato durante il convegno: assumere un metodo concreto che, con il confronto comunitario, possa individuare obiettivi per una continua umanizzazione, come ha ricordato il Cardinale Bagnasco nell’intervento che ha concluso i lavori del Convegno. Il passo successivo sarà quello di sognare concretamente una Chiesa che sia in grado, dopo averla riletta, di applicare l’Evangelli Gaudium, come ha invitato a fare Papa Francesco nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. Leggo direttamente dalla sintesi finale di Firenze: «Sogniamo una chiesa beata, sul passo degli ultimi; una chiesa capace di mettere in cattedra i poveri, i malati, i disabili, le famiglie ferite [EG, 198]; “periferie” che, aiutate attraverso percorsi di accoglienza e autonomizzazione, possano diventare centro, e quindi soggetti e non destinatari di pastorale e testimonianza. Sogniamo una chiesa capace di disinteressato interesse: che metta a disposizione le proprie strutture e le proprie risorse per liberare spazi di condivisione in cui sacerdoti, laici, famiglie possano sperimentare la “mistica del vivere insieme” [EG, 87; 92]. Sogniamo una chiesa capace di abitare in umiltà, che, ripartendo da uno studio dei bisogni del proprio territorio e dalle buone prassi già in atto, avvii percorsi di condivisione e pastorale, valorizzando, “gli ambienti quotidianamente abitati”, ognuna nel proprio spazio-tempo specifico e rendendo così ciascuno destinatario e soggetto di formazione e missione [EG, 119-121]». Antonio Accettola Presidente AC di Sora, rappresentante del mondo del lavoro 2