Antonio Balsemin
Vèneto mio
Appunti grammaticali e ortografici in veneto-vicentino
PRESENTAZIONE
La passione di Balsemin per la terra di origine, per il “dialetto” o meglio, piuttosto, per la dolce
lingua materna veneta-vicentina un po’ sorprende e un po’commuove: l’ha maturata all’ombra del
Campidoglio, dopo una vita trascorsa a Roma, che ama e de cui conosce ogni angolo.
Ha scritto poesie, in quella lingua, ha scritto racconti e anche normali articoli di giornale. Il venetovicentino è un altro modo per lui, intimo e affettuoso, di parlare e quindi di scrivere l’italiano.
Ora ci propone “Vèneto mio" (Appunti grammaticali e ortografici in veneto-vicentino). Sono
annotazioni serie, ma anche di gustosa lettura per il mondo vivace, vicino ai campi, ai giochi, ai
mestieri, che spesso rivelano. Il veneto del resto avrebbe potuto essere una lingua vera e propria,
una lingua neolatina in più. Per secoli fu usata, infatti, nelle relazioni e nei commerci tra isola e
costa, nei mari Adriatico, Jonio, Egeo e di Levante. Gli ambasciatori veneziani, nella loro
corrispondenza con San Marco, ne fecero uno strumento acuto e prudente di valutazione psicologica
e politica.
Poi Dante, a Firenze, all’unità nazionale per secoli soltanto (ma almeno!) linguistica, Venezia
sacrificò generosamente l’alternativa al toscano che era il parlare del suo popolo. Anche per questa
rinuncia dobbiamo esserle grati. E Goldoni scrisse “La locandiera” in toscano. Ma grazie pure a
Balsemin romano-vicentino, per la nostalgia che nutre verso la lingua materna.
Ambasciatore Bruno Bottai
(Presidente della Società Dante Alighieri)
Lettera dell’autore
Nel ritenere che un’unità, per la fonologia veneta del Veneto e del veneto-vicentino, è un’utopia
impossibile a risolversi (a causa delle molteplici differenziazioni locali), per la grafia, invece, mi
sembra che esista una notevole concordanza grammaticale ed ortografica. Nell’essere convinto che,
usufruendo di quest’opportunità, sia realizzabile una valida piattaforma dello scrivere, mi sono
deciso a compilare i presenti APPUNTI GRAMMATICALI E ORTOGRAFICI DEL VENETOVICENTINO. Le nozioni da me riportate nella forma, la più lineare che mi è stata possibile, non
sono state da me inventate, bensì dedotte da molteplici studi sulla materia, che ho approfondito,
condensato e che, adesso, espongo. Nello specifico, una consistente parte delle cognizioni riportate,
le ho apprese dalla GRAMMATICA VENETA del prof. Silvano Belloni (che ammiro e ringrazio),
Editrice La Galiverna - Libreria Editrice Zielo, Aprile 1991 - (PD). Credo che una pagina scritta, sia
paragonabile ad uno spartito musicale o ad un’automobile ed è merito o demerito dello scrittore, del
maestro o dell’autista il plauso o no dello svolgersi di quanto si opera. La gratificazione più ambita
ed appagante per me, sarebbe quella di farcela a dare una mano a chi è alla ricerca di dati per
compilare i propri testi, con proprietà linguistica. Quanto da me proposto, in ogni caso, non vuole
essere un’imposizione ad alcuno, ma solamente una traccia appassionata, che, mi auguro, anche se
con qualche lacuna, sia chiara, esauriente ed utile.
Antonio Balsemin (Roma, ottobre 2003)
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Confidenze, impegni e programmi dell’autore
Correva l’autunno del 1997 e, in un sogno vissuto attorno alle ore 3,00 della notte del 17. 7. 97,
m’apparve mia madre che, con amorevole dolcezza, disse: “Scrivi come ca te go insegnà mi!”
(scrivi come io ti ho insegnato!). Quella breve frase ha sconvolto la mia vita! Mi chiedevo: “Come
posso scrivere in dialetto se non lo parlo più, da oltre quarant’anni? Dove posso apprendere le
nozioni basilari per un corretto comporre dialettale? Quante e quali parole dialettali ho ancora in
mente?” Con questi dilemmi mi recai a Vicenza per visitare le varie librerie ed acquistare tutto
quanto mi veniva proposto, inerente al ‘veneto vicentino’. Mi accompagnava un amico d’infanzia,
che, alla fine delle ricerche, mi fece dono del VOCABOLARIO DEL DIALETTO VICENTINO, G.
RUMOR EDITRICE, 1985. Iniziai a sfogliarlo e, alla pagina 9, lessi: Il dialetto vicentino è lingua
parlata, con modestissima tradizione letteraria. Mancano quindi precise regole di ortografia.
Questa, d’altronde, dovrebbe riprodurre il più possibile la pronuncia. Ricordo che sbottai: “Ah,
zela cussì! Desso ghe penso mi!” (Ah, è così! Adesso ci penso io!). Lasciandomi guidare dalle
rimembranze dell’infanzia, mi sono impegnato, via via e sempre più, nello sviluppare e perfezionare
le idee, chiedendo, studiando, confrontando, annotando, razionalizzando, componendo e, di tanto in
tanto, concretizzando, a mie spese, dei tentativi di stampa. Nel 1998 uscì il 1° volume “Ve conto...”
(13 racconti); nel 1999 il 2° “Ve vojo contar...” (20 racconti); nel 2000 il 3° “Sta sera ve conto...”
(25 racconti) e, nell’anno 2003, il 4° volume “Desso ve conto...” (30 racconti). Questi quattro libri,
riveduti
ed
ampliati
per
un’eventuale
ristampa,
sono
presenti
anche
su:
www.intratext.com/Catalogo/Autori/AUT897.HTM
Nel mio breve ma intenso itinerario di scrittore dialettale, ho potuto constatare il genuino
attaccamento dei veneti alla propria terra ed ho visto come sono molti quelli che, oltre al parlare in
dialetto, si applicano a salvarlo, per iscritto. Purtroppo, però, a causa delle scarse conoscenze
grammaticali, per lo scrittore che tenta di trasferire la parlata nella scrittura, possono insorgere
varie incertezze. Per superare queste difficoltà, sono convinto che, con urgenza, sarebbe ottimo
progetto promuovere indispensabili studi approfonditi. Se nel passato, per vari motivi storici, è stato
scartato lo studio della grammatica veneta, oggi, al contrario, (grazie alla sensibilità dei tempi in
atto), ritengo che rivalutare tale tematica sia un’ottima iniziativa. Sono più che convinto che
solamente la grammatica è l’unica guida per una corretta scrittura e che ogni ‘lingua’ identifica un
popolo, la sua anima, la sua bandiera. In quest’ottica di sano amore alle origini (e, questo, è valido
ed è caro a tutta la gente del mondo), mi sono riproposto di comporre una grammatica venetavicentina ed eccomi a presentare il Vèneto mio.
Nell’avvicinarmi al termine, mi sovviene il riepilogo di uno dei miei primissimi scritti del 1997 e,
poiché ancor oggi lo sento palpitante, lo ripropongo: ‘Eco, me piasarìa far da fanalin de coa! Riscio!’ (Ecco, mi piacerebbe fungere da fanalino di coda! Rischio!’).
Uno sincero grassie per avermi letto e, a tutti, tante robe bele e bone!
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Abbreviazioni
acc.
acc. a.
acc. g.
agg.
agg. dim.
agg. num. card.
agg. poss.
art. det.
art. f.
art. ind.
art. m.
a. C.
avv.
compl.
cong.
d. C.
dial.
ecc.
es.
gr.
Imp.
Ind.
it.
lat.
lett.
m. d. d.
p. p.
pag.
part. sem.
pers. plur.
pers. sing.
plur.
prep.
prep. art.
prep. sem.
pres.
pron.
pron. poss.
pron. rel.
rifl.
s. f.
s. m.
sing.
t. gram.
v.
v. rust.
= accento
= accento acuto
= accento grave
= aggettivo
= aggettivo dimostrativo
= aggettivo numerale cardinale
= aggettivo possessivo
= articolo determinativo
= articolo femminile
= articolo indeterminativo
= articolo maschile
= avanti Cristo
= avverbio
= complemento
= congiunzione
= dopo Cristo
= dialetto (veneto)
= eccetera
= esempio
= greco
= Imperativo
= Indicativo
= italiano
= latino
= letteralmente
= modo di dire
= particio passato
= pagina
= particella semplice
= persona plurale
= persona singolare
= plurale
= preposizione
= preposizione articolata
= preposizione semplice
= presente
= pronome
= pronome possessivo
= pronome relativo
= riflessivo
= sostantivo femminile
= sostantivo maschile
= singolare
= termine grammaticale
= verbo
= voce rustica
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PREMESSA
LE PARTI DELLA GRAMMATICA
ORTOEPIA
(pronuncia)
FONOLOGIA
(suoni e segni grafici)
ORTOGRAFIA
(scrittura)
MORFOLOGIA
(le forme)
SINTASSI
(i nessi logici tra le parti del discorso)
1) DEFINIZIONI
FONOLOGIA, dal gr. phoné = voce + lógos = discorso. Disciplina che si occupa dei fonemi, cioè
dei suoni che ogni parlante emette con la sua voce.
ORTOEPIA, dal gr. orthós = diritto, corretto + épos = parola. Disciplina che studia la corretta
pronuncia.
ORTOGRAFIA, dal gr. orthós, corretto + graphé = scrittura. Disciplina che cura la corretta
scrittura.
MORFOLOGIA, dal gr. morphé = forma + lógos = discorso. Disciplina che si occupa della forma
delle parole componenti una frase.
SINTASSI, dal gr. syn = insieme + tàxis = ordinamento. Disciplina che si occupa dell’ordine e
della disposizione delle singole parole e del loro rapporto.
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2) L’ALFABETO
a b c d e f g h i j l m n o p q r s t u v x z. / A B C D E F G H I J L M N O P Q R S T U V X Z.
Vanno aggiunte le tre consonanti: k-K, w-W, y-Y, utilizzate nelle trascrizioni di termini stranieri.
Le VOCALI e le VOCALI ACCENTATE (scheda n° 1)
PREMESSA
Le vocali fanno parte dell’alfabeto e sono i segni grafici sui quali appoggiamo la voce, quando
parliamo. Le vocali sono cinque: a, i, o, u, e (sia per l’italiano come per il veneto), ma, nel nostro
dialetto, troviamo una sostanziale differenza riguardante le vocali o - e giacché, in pratica e a tutti
gli effetti, queste due vocali possono avere due suoni distinti: un suono aperto, contrassegnato
dall’accento grave è / ò, oppure, un suono chiuso, contrassegnato dall’accento acuto é / ó. Per tale
particolarità, in un certo senso, si potrebbe concludere che, nel ‘dialetto veneto’, le vocali sono
sette. Riporto alcuni esempi esplicativi di quanto suddetto e che evidenziano l’importanza
dell’accentazione corretta. Il tema dell’accentazione è ripreso, anche, nelle schede n° 4 e n° 7.
A) vèrza (v. de vèrzare = aprire) / vérza (s. f.). Es. (v.): El vèrza la porta. = Apra la porta. / Es. (s. f.):
Ghe regalo na vérza. = Le regalo una verza.
B) pèso (avv. / agg.) / péso (s. m.). Es. (avv.): Pèso de cussì se more! = Peggio di così si muore! / Es.
(agg.): El xe el pèso de la classe. = È il peggiore della classe. / Es. (s. m.): El me ga inbrojà sul
péso sporco. = Mi ha imbrogliato sul peso lordo.
C) mòleghe (v. de molàre = lasciare, 2a pers. sing., Imp.) / molèghe (v. de molàre = lasciare, 2a pers.
plur., Imp.). Es.: mòleghe on ponto. = molla un punto. / molèghe on ponto. = mollate un punto.
(Richiamo il ritornello della canzone ‘Marieta monta in góndola’: “Co sto far del si e del nò,
mòleghe on ponto, mòleghe on ponto; co sto far del si e del nò, molèghe on ponto tuti do”).
Riporto alcuni termini che, per motivo del loro duplice uso è / é oppure ò / ó, possono creare delle
incertezze e che, solamente con l’appropriato accento, esplicano la propria identità grammaticale:
bèco / béco = becco (degli uccelli) / maschio della capra – marito tradito. // bóte / bòte - Es.: Par
na bóte de vin i se ga dà le bòte = Per una botte di vino si sono dati le botte. // sòto (agg.) / sóto
(prep. di luogo) – Es.: El sòto el xe nà sóto na màchina. = Lo zoppo è finito sotto un’automobile. //
stèle / stéle = pezzi di legno (da bruciare) / stelle (del cielo). Es.: Le stèle pa ’l fogolare le tegno ne
la legnara. / De note le stéle le slùsega nel sielo. = I pezzi di legno per il caminetto li tengo nella
legnaia. / Di notte le stelle brillano nel cielo. (stèle e stéle, s. f.). // tóco / tòco – Es.: Mi no tóco (v.
tocare) quel tòco (s. m.) de formajo co i bai. = Io non tocco quel pezzo di formaggio con i vermi. //
vèro / véro = verità / vetro. Es.: Xe vèro (agg., - (lat.) vèrus -) che Toni el ga roto el véro (s. m.). =
È vero che Antonio ha rotto il vetro ecc.
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Un detto latino: Cato dixit litterarum radices amaras esse, fructus iucundiores. (Cat. In
Diomed., 1, 310) = Catone el ga dito che le raise de i studi le xe amare, ma che i fruti i xe pi gradii.
= Catone disse che le radici degli studi sono amare, ma che i frutti sono più gradevoli.
Zonta = aggiunta. El sarvelo el xe el móscolo pi scansafadighe ca gavemo e, se no lo dopràssimo,
elo el dormarìa, belo còmodo, note e dì. = Il cervello è il muscolo più pigro che abbiamo e, se non
lo adoperassimo, esso dormirebbe, placido, notte e giorno.
Le CONSONANTI, alcuni NEOLOGISMI, la S, la SS, la G (scheda n° 2)
DEFINIZIONI
a) – Consonante = Trattasi di un suono che è compiutamente individuabile se è emesso insieme con
una o più vocali.
b) – Neologismo = Trattasi di un termine coniato ed introdotto di recente per esprimere concetti nuovi.
PRECISAZIONE
Nel ‘dialetto veneto’, per quanto riguarda le consonanti, esistono pochi problemi e, con un po’ di
buona volontà, sono ben superabili. Sono convinto di questa realtà perché il veneto, se ben studiato,
è un idioma chiaro e duttile, giacché si scrive come si parla e si legge come è scritto. Precisato
questo, va puntualizzato che l’alfabeto veneto è composto esattamente dalle stesse lettere
dell’alfabeto italiano, alle quali vanno aggiunte la j e la x.
BREVE CRONISTORIA
Dal passaggio dal latino classico al latino volgare e alle ‘lingue romanze’ (compresi i ‘dialetti
romanzi’), si sono avvicendati svariati mutamenti che riguardano la grafia delle parole: all’inizio
(elisione), nel corpo (contrazione) e nel finale (troncamento). In realtà, anche la pronuncia
(fonologia) dei termini che usiamo quotidianamente, ha subito adattamenti diversi e, parole scritte
in modo uguale (omonimia), hanno significati e suoni diversi (omonimia, ma non omofonia).
Ritengo sia utile precisare che parole come: saon, toso, tosa ed altre, pronumciate con la ò (aperta)
oppure con la ó (chiusa), sono entrambe esatte. Infatti, la pronuncia può variare di luogo in luogo,
senza intaccare la grammatica e l’ortografia.
PARTICOLARISMI
Alcune diversità di scrittura e di pronuncia prettamente locali (esistenti nel ‘dialetto venetovicentino’: fioldoncan, porocan, orcocan, brutocan, candalòstrega, candalòsti, orcavàca, orcodìndio,
Màdonassànta, Màriassànta, Màriavèrgine, Màriavèrgola, òstrega, ostreghéta, stiani ecc.), sono da
ritenersi degli attributi o dei neologismi che nascono, vivono, sono apprezzabili e si esauriscono nel
‘folclore’ dell’ambito autoctono e non intaccano, assolutamente, il ‘dialetto veneto’, nel suo
complesso. Personalmente e come tanti altri scrittori, preferisco scriverli uniti.
L’UNICA DOPPIA IN VENETO
Mi sembra che, salvo qualche ‘voce’, la stragrande maggioranza dei veneti (nella parlata e nello
scrivere), non raddoppia le consonanti, salvo l’eccezione (che conferma la regola) della cosiddetta
esse doppia. Tale singolarità, in ogni caso, riguarda la sola s quando si trova fra due vocali e va
scritta, interpretata e letta quale esse sorda intervocalica o esse sibilante intervocalica (musso,
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posso, tosse ecc.), così da poterla distinguere dalla esse sonora intervocalica o esse dolce
intervocalica (muso, poso, tose ecc.). Questo tema è ampiamente trattato nella scheda n° 12.
Elencazione di parole che, solamente con l’uso dell’espediente della doppia esse, possono attestare
il loro preciso significato:
baso = bacio / basso = poco alto \-/ biso = pisello / bisso = biscia (in genere) \-/ case = case / casse
= casse \-/ caso = caso / casso = pene \-/ dóso = giù (avv., trattasi di un termine arcaico: el xe nà
dóso de rugolon) / dòsso = addosso \-/ péso (avv. / agg.) = peggio - pèso (s. m.) = peso (peso netto
– peso lordo) – pésso (s. m.) = abete \-/ lèso (v. de lèsare) = leggo / lésso = carne bollita \-/ mesa =
mobile (arnese particolare che serve per la lavorazione delle carni del maiale, non appena
macellato) / messa = messa (celebrazione eucaristica) \-/ muso = faccia / musso = asino \-/ poso (v.
de posàre) = appoggio / posso (v. de podère) = posso \-/ tase = tace (v. de tàsere o tasére) / tasse =
tasse \-/ tose = ragazze / tosse = tosse ecc.
Elencazione di parole che usano la doppia ss:
acassia/e o cassia/e (acacia, robinia), aguasso o aquasso o guasso (rugiada), agussin, arossire,
assalin (acciarino), asseta/e (ascella), assenblea, assessore/assessuri, assidente, assido, assion, asso,
associassion, assolto/assolvere/assolussion (assolto, assolvere, assoluzione), bassacuna (basculla,
stadera a bilico per carichi pesanti), bassilare (irrittare, questionare), bassin (catino), bassinela
(bacinella), basso, benessere o benessare, bisso/i (serpe, verme - in generale), boassa/e o bovassa/e
(sterco bovino), boassaro/i (l’addetto a raccogliere lo sterco di mucche e di equini), bossa/e
(bottiglia/e), bòssolo/i, bosson/bossuni, brasso/i, brassocolo (a) (abbracciati, con le braccia attorno
al collo), bussolà o bussolao/i (ciambella/e), bussoloto/i (barattolo di latta), cassa/e (mestolo in
rame), cassarola/e (tegame con manici), cassadore/cassaduri, casseta/e, casso/i, cognossare,
cossiensa/e, cussì, dassiaro/i, dassio/dassi, dessavio o dissavio (scipito, senza sale, senza gusto),
dissesa/e, desso, dessora, dessoravia (in soprappiù), diression, discussion, dosso, emossion,
emossionà, èssare o èssere, essensa/e (profumo), fassa/e, fassare, fàssile, fassina/e, fassinaro/i,
fassoleto/i, fissa/e (piega, increspatura), fisso (stabile, saldo, denso, sodo), fossa/e, fosseta/e,
fosseto/i, fosso/i, gesso/i, giossa/e, giosso/i, giosseto/i, gosso/i, grassie, grasso/i, grossiero/i (persona
tarchiata, robusta), grosso/i, gussare (arrotare, affilare, copulare), inmigrassion o imigrassion,
instissare o istissare (attizzare, provocare), intossegare (intossicare, avvelenare), invesse, invissiare
(viziare, abituare male), istesso/a/i/e, iterissia (itterizia), jossa/e, jossarola/e (scolapiatti,
gocciolatoio), josseto/i, josso/i, jossolare, judissio/judissi, lassare, làssito/i (eredità), lession,
lesso/alesso (carne bollita), lissegare o slissegare (scivolare), lissia/e (bucato/i), lissiara/e (lavatoio,
lavatoi), lissiasso/i (ranno, acqua di bucato usata e fredda), lissiva (acqua con cenere per fare il
bucato), lissio (liscio), lusso/i, Màriassànta, massa (troppo), massà (mazzata), massanga
(coltellaccio), massante o massamas-ci o massin, massara/e (massaia/e), massare (ammazzare),
massarìa/e (azienda/e rurale/i), massela/e, masselaro/i o masselare, masselo (macello, macelleria),
masso/i (mazzo/i), massolin/massolini, matassa/e, messa/e, messiere o missiere (suocero), missi o
messi [può essere p. p. plu. v. métere (i xe stà missi ben = sono stati messi bene) oppure (sti pumi i
xe missi (agg. al plur.) mauri = queste mele sono troppo mature)], missiamento o smissiamento,
missiare o smissiare, missiotto o smissiotto, mossa (nar de corpo = diarrea), musso/a,
mussolin/mussolini (moscerino/i), nàssare o nàssere, nassion, nissolo (lenzuolo), nissun o nessun,
nosse, orassion (supplica, preghiere), organizassion, osso/i, ossocolo, pajasso/i, pajerisso/pajerissi
(pagliericcio), palasso/i, palasson/palassuni, pantasso (visceri, budella), parcossa (perché), passà,
passadomàn, passaja/e (siepe/i), passajo (passaggio), passiensa, passion, passo/i, passua/e
(scorpacciata/e), passùo (essere sazio, strapieno), pessa/e, pessaro/i (pescivendolo/i), pesse/i
(pesce/i), pesso (abete), pissacan (specie di radicchio, soffione o taraxaco), pissada/e, pissaoro/i
(orinatoio, orinatoi), pissare (mingere), pissaroto/i (zampillo/i d’acqua), pissegare (pizzicare,
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sorprendere, arrestare), pissin (il pipì dei bambini), pisso (orina), possa/e, possada (posata/e, e cioè:
forchetta + coltello + cucchiaio), posseto/i, possìbile, posso, pressa (fretta), pressémolo, presso/i
(prezzo/i), procession, processo/i, promessa/e, rassa/e, rassada/e (raschiata/e, rimprovero/i), rassare,
redassion, rèssita, richessa/e, ringrassiare, rissarda/e o rissàrdola/e o birissàrdola/e (lucertola),
rissare o rissolare (arricciare, fare i ricci), risso/i, rìssino (ojo de rìssino), rosseto, rosso, rossore,
russa/e, russare, russolon (de), sassà (sassata), sassiare, sassin/sassini (assassino/i), sassinare/sassinà
(assassinare, assassinato), sassio, sasso/i, sbassare, sbèssola/e (mento), sbessolare (far soldi,
guadagnare), sbossegare (tossire), scomessa/e, situassion, sbraghesson/sbraghessuni o braghesson
(fanfarone/i), sbrassolare (abbracciare, cullare un bambino), sbrissiare o sbrissare (scivolare),
sbrisso (gioco per bambini), sbrission (de), scassare, cassare (cacciare, mandar via) scavessacolo
(scapestrato), scavessare, scavesson (de), schissanose, schissare, schisso/i, sèssola/e (gottazza/e),
sessolà (quantità di farina, crusca ecc.), sgiossare, sgiossarola/e (scolapiatti dell’acquaio),
sgiossolare, sgussa/e o sgaussa/e (buccia, guscio, scorza), sgussare o desgussare (togliere il guscio),
sìssole (pezzeti di carne grassa), sìssoli o sòssoli (pezzetti di maiale, arrostiti), smissiada,
smissiamento, smissiare o missiare (mescolare), spassacamin, spassaora/e (scopa/e), spassare,
spassin, spessegare (affrettarsi), spesseghin, spessegon (de), spessiale o spissiale, (farmacista,
droghiere), spissa/e (prurito, smania, curiosità, soddisfazione), spissegare, spìssego magnìfico (a) m. d. d. = un poco alla volta, a spizzico -, spussa/e (puzza/e), spussare, spusseta (persona da poco),
stassion, stramassaro/i, stramasso/i (materasso/i), strassa/e, strassare (stracciare, lacerare, sciupare),
strassinare (trascinare), strasson/strassuni (s. m. = straccio, agg. = straccione, miserabile, pezzente),
strassonà (chi è vestito di stracci o malamente), striossarse (vestirsi con indumenti strani), strissare
(strizzare, strisciare, graffiare), strisso/i (striscio, strisci), strissonà (legnata), strossa (gola),
strossare, strossin, strosso (a) - fare in fretta e furia -, stussegare (stuzzicare, istigare, irritare),
sussiare (v. rust. = ronzare, rimproverare), tassa/e, tasselo/tassei (tassello/i, toppa/e, rammendo/i),
terassa (terrazza), terasso (pavimento), tosse, tossegada o intossegada (intossicazione), tòssego
(veleno), tosseta (tossettina leggera ma insistente), tressa/e (treccia/e), tresso (prep. = attraverso, v.
rust.), tresso (de) - avv. = di traverso, v. rust. -, tresso (agg. = cattivo, malvagio, v. rust.),
vessiga/ghe o vissiga/ghe (vescica/ghe, gonfiore/i), vissin (vicino), vissinare (avvicinare), vissio/i
(vizio/i), vìssola/e (visciola/e o ciliegia, ciliege del visciolo), vosse/i (voce/i), ecc.
NOTA SPECIFICA PER LA SOLA G
La consonante g, iniziale di parola, può essere riportata graficamente in modi diversi, ma tutti
ugualmente esatti. La variazione è dovuta ‘o al luogo o a i tenpi de desso o de stiani’. Es.: it. giorno
= dial. giorno, jorno, zorno; it. gente = dial. gente, jente, zente; it. gioventù = dial. gioventù,
joventù, zoventù; it. giardino = dial. giardin, jardin, zardin; it. giudizio = dial. giudissio, judissio
(anche: giudizio, judizio – in questo caso, però, trattasi della s (sonora) = z), ecc.
La consonante g, inserita all’interno di un vocabolo, può essere riportata in forme diverse, ma tutte
ugualmente esatte. Es: it. canaglia = dial. vic. canaja, dial. pad. canagia; it. amico = dial. vic. amico,
dial. pad. amigo; it. sorcio (piccolo topo) = dial. vic. morécia, dial. pad. morégia, moréja, ecc.
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DEBITA RIFLESSIONE
Desidero ricordare qui, come Maritan definì le differenze ‘distinzioni unitarie’! Per me, è
piacevole evidenziare alcune particolarità, che sono profondamente radicate o alla persona o al
luogo, ma che non ledono minimamente l’integrità del ‘dialetto veneto’.
Un detto latino: Nil perpetuum, pauca diuturna sunt. (Seneca, De consol., 1, 1). = Gnente xe
eterno, poche robe le dura tanto. = Nulla è eterno, poche cose sono durature.
Zonta = aggiunta. I veci de chei ani, i gavéa ben capìo la tiritera de la vita! = I vecchi di quei tempi
lontani, avevano ben capito il senso della vita!
Gli ARTICOLI (scheda n° 3)
DEFINIZIONE
L’articolo è quella breve parte del discorso che si premette ad un nome o sostantivo per meglio
determinarlo ed individuarlo secondo il genere (maschile o femminile) ed il numero (singolare o
plurale). Nel ‘dialetto veneto’ troviamo sei articoli (tre meno dell’italiano) e sono: el, la, un/on, na,
i, le. Gli articoli sono due: determinativo, indeterminativo.
DERIVAZIONE ETIMOLOGICA
Articulus (lat.) = artìcolo (dial.) = articolo (it.).
L’ARTICOLO DETERMINATIVO
L’articolo determinativo, nel ‘dialetto veneto’, presenta quattro forme, rispetto alle sei dell’italiano.
Essi sono:
DIALETTO
ITALIANO
el
(l’)
il
la
(l’)
la
i
i
le
le
lo (l’)
gli
Nel ‘dialetto veneto’, non esiste l’articolo lo (che si pone, nell’italiano, davanti alla cosiddetta esse
impura (sc) e alla zeta (z), ai digrammi gn e ps) e non esiste nemmeno l’articolo gli. È
correttamente usato, però, l’art. lo (apostrofato = l’) davanti a vocale: l’omo, l’oste, l’ànemo, l’orso
ecc.
Alcune esemplificazioni:
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1)
2)
3)
4)
[el, l’ = il, lo, l’] \-/ el gnaro = il nido \-/ el sicòlogo = lo psicologo \-/ l’erbarolo = l’erbivendolo.
[la, l’ = la, l’] \-/ la scóa = la scopa \-/ l’ànara = l’anatra.
[i = i, gli] \-/ i radici = i radicchi \-/ i s-ciafuni = gli schiaffoni.
[le = le] \-/ le careghe = le sedie. ecc.
L’ARTICOLO INDETERMINATIVO
L’articolo indeterminativo è usato quando si vuole indicare qualcosa o qualcuno, in modo
indeterminato. Essi sono:
DIALETTO
ITALIANO
un/on
un/uno
na
una
Alcune esemplificazioni:
1) - [un, (on) = un, uno]. \-/ un (on) àlbaro = un albero \-/ un (on) ciodo = un chiodo \-/ un (on)
scarpon = uno scarpone. L’articolo un (on), non si apostrofa mai, non avendo vocale finale da
elidere. Es.: un (on) òrco, un (on) s-cioco, un (on) urlo ecc. Un (on) davanti ad altro va scritto un
(on) altro oppure ’n altro oppure naltro, ma mai n’altro (non si può e non si deve usare
l’elisione). Infatti, che cosa elide l’elisione, se non c’è niente da elidere?
2) - L’articolo indeterminativo na = una, secondo il prof. S. Belloni (del quale seguo la teoria), non
avrebbe bisogno del segno dell’elisione, perché non deriva dall’italiano una, ma direttamente dal
latino unam > na. Es.: na bossa = una bottiglia \-/ na casa = una casa ecc. Ma chi lo volesse può
scrivere ’na, perché è corretto. Davanti a parola iniziante per vocale na, solitamente, non perde la
sua a. Es.: na àlbara, na erba, na òca ecc. Però, davanti all’indefinito altra, preferisce l’apostrofo.
Es.: El xe vegnù a catarme n’altra volta. = È venuto a trovarmi un’altra volta.
Un detto latino: Nescire quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum.
(Cicerone, Orat., 34, 120). = No cognóssar quelo che xe capità vanti de noialtri, xe conpagno che
restar senpre tusiti. = Non conoscere quello che è avvenuto prima di noi, è come rimanere sempre
fanciulli.
Zonta = aggiunta. Par tirar sù na casa, ghe vole na fraca de quarei e na mota de calsina, cussì xe par
la cognossensa e la cultura: pian pianelo e a s-ciantine se va vanti. = Per costruire una casa, sono
necessari numerosi mattoni e gran quantità di malta, così per l’apprendimento e la cultura: pian
piano e a strati si va avanti.
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MONOSILLABI e MONOSILLABI ACCENTATI (scheda n° 4)
PREMESSA
Nel compilare in ‘dialetto veneto’, l’accentazione assume un ruolo determinante. Esistono varie
teorie sull’accentazione e, così, c’è chi sostiene d’accentare tutte le parole e chi sostiene di non
accentarne alcuna; c’è chi sostiene: ‘meglio un accento in più che uno in meno’ e c’è chi sostiene
il contrario; c’è chi auspica il libero arbitrio a chi compone e a chi legge ecc. Secondo il mio
modesto parere, l’esatta accentazione sarebbe quella d’usare l’accento solamente quando serve e,
mai, quando non serve. Il tema accento è stato trattato, anche, nella scheda n° 1 e, nuovamente, sarà
ripreso nella scheda n° 7.
PUNTUALIZZAZIONE
Tutti i monosillabi possono essere scritti, letti, pronunciati benissimo, anche senza l’accento grafico.
Nel ‘dialetto veneto’, però, esistono monosillabi che, a causa dell’elisione, o della contrazione o del
troncamento, diventano identici ad altri termini detti omonimi, ma che non hanno lo stesso
significato. Alcuni monosillabi sono unici ed inequivocabili e, non potendo fare confusione alcuna
con altro suo pari, personalmente ritengo che non si debbano accentare.
Elenco i monosillabi che non abbisognano d’accento grafico: bo = bue / do, du = due / ga = ha / go
= ho / lu = egli, lui / mi = io / on, un = uno / pi = più / pra = prato / ti = tu / tre, tri = tre / va = vai
/ xe = è / za = già ecc.
Elenco alcuni monosillabi che, avendo uno o più sinonimi, abbisognano dell’accento grafico:
co (prep.) / có (avv.). Es.: Vegno co ti. = Vengo con te. / Có te rivi, telèfoname. = Quando arrivi,
telefonami. \-/ da (prep. di luogo) / dà (v. di dare). Es.: Vegno da Vicensa. = Vengo da Vicenza. /
Tonio el dà i nùmari. = Antonio dà i numeri. \-/ fa (prep., / nota musicale) / fà (v. di fare). Es.: A só
rivà du minuti fa. = Sono arrivato due minuti fa. - Fame sentire on fa diesis. = Fammi sentire un fa
diesis. / Me fà male la suca. = Mi fa male la testa. \-/ la (art. fem. sing. e pron. personale). / là (avv.
di luogo). Es.: La rosa xe bela. = La rosa è bella. / Miti la sporta là. = Posa la sporta là. \-/ ne
(pron.) / né (cong. negativa). Es.: Diman te ne do de pi (de schei). = Domani te ne do di più (di
soldi). / Tonio el xe né bon né ubidiente. = Antonio è né buono nè ubbidiente. \-/ no (cong. neg.) /
nò (avverbio di negazione). Es.: No fare el fabioco. = Non fare lo stupido. / Te go dito de nò. = Ti
ho detto di no. \-/ se (cong. dub.) / sè (v. di savere) / sé (s. f.). Es.: Se el te piase, màgnalo. = Se ti
piace, mangialo. / Ti te sè indove che ’l stà = Tu sai dove sta. / Dame aqua ca go sé. = Dammi
acqua, ché ho sete. \-/ so (agg. poss. / pron. poss.) / sò (v. di savere) / só (v. di èssare o èssere). Es.:
A go incontrà so sorela. = Ho incontrato sua sorella. (il so è illustrato, anche, nella scheda n° 14) /
Mi sò chi che xe stà. = Io so chi è stato. / Mi a só visentin. = Io sono vicentino. \-/ sta (agg.) / stà (v.
di stare). Es.: Sta saresa la xe smarsa. = Questa ciliegia è marcia. / Tonio el stà sentà. = Antonio sta
seduto. \-/ te (pron.) / tè (s. m., bevanda). Es.: Có te ciamo, respóndeme. = Quando ti chiamo,
rispondimi. / El tè el xe fredo patoco. = Il tè è estremamente freddo. \-/ su (prep. di luogo) / sù (avv.
di luogo). Es.: Miti la bossa su la tola. = Posa la bottiglia sulla tavola. / A go catà sù on saco de
nose. = Ho raccolto moltissime noci. ecc.
Un detto latino: Omnia homini dum vivit speranda sunt. (Seneca, Epist., 7°, 61). = Fin che l’omo
el scanpa, el pol sperare ogni roba. = Finché l’uomo vive può sperare ogni cosa.
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Zonta = aggiunta. Me piasarìa tanto zontar: che se scriva in bon vèneto parché, anca se el someja
difìssile, se se cognosse le so règole sue, el xe fàssile. = Mi piacerebbe tanto aggiungere: che si
scriva in veneto corretto perché, anche se sembra difficile, se si conoscono le sue regole proprie, è
facile.
TERMINI OMONIMI (scheda n° 5)
CHIARIMENTO ETIMOLOGICO
OMONIMIA = L’essere omonimo. In linguistica: corrispondenza grafica, ma non fonetica e di
significato diverso. Esso ha il suo corrispondente in: UGUALE, SIMILE. Trattasi di una parola
composta, di derivazione greca.
RIALLACCIO
Come già specificato nella scheda n° 4, esistono dei monosillabi omonimi e, adesso, parliamo di
parole omonime. I termini omonimi sono uguali nella scrittura, ma di significato diverso e, quindi,
per la loro comprensione, si deve usare l’accento.
VARI CASI
A) - Riporto alcuni esempi che evidenziano la diversificazione dell’omonimia (grazie ad una
accentazione corretta):
1) vèrza (v. di vèrzare) / vérza (s. f.). Es.: El vèrza la porta. = Apra la porta. / Es.: Ghe regalo
na vérza. = Le regalo una verza.
2) pèso (avv.) / péso (s. m.). Es.: Pèso de cussì se more! = Peggio di così si muore! / Es.: El
me ga inbrojà sul péso sporco = Mi ha imbrogliato sul peso lordo.
3) mòleghe (v., 2a pers. sing., Imp.) / moléghe (v., 2a pers. plur., Imp.). Es.: Marieta, mòleghe
on ponto. = Maria, molla un punto. / Tusi, moléghe on ponto. = Ragazzi, mollate un punto.
A) - Riporto altri termini che, solamente con l’uso dell’accento, esplicano la propria identità
grammaticale:
vèro / véro = verità / vetro \-/ òdio / odìo = odio / oddio \-/ bìgolo / bigòlo = spaghetto di pasta /
arconcello \-/ béco / bèco = becco (degli uccelli) / maschio della capra \-/ stèle / stéle = pezzi di
legno da bruciare / stelle (del cielo) \-/ pararìa / parària = el pararìa on bravo toso / el ga butà
parària tuto \-/ sénare, senàre = xe nà tuto in sénare / nemo a senàre ecc.
(Queste complicazioni d’omonimia grammaticalmente esatte, riguardano il solo ‘dialetto veneto’ e
si dipanano passando ad altro idioma).
PARTICOLARITÀ DI FRASI A SENSO COMPIUTO:
1) Mi a só (v., 1a pers. sing., Ind. pres. di ‘èssare’) visentin e sò (v., 1a pers. sing., Ind. pres. di ‘savere’)
che so (agg. poss.) pare el xe on marangon. (sò, só e so) = Io sono vicentino e so che suo padre è un
falegname.
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2) Ti te sè (v., 2a pers. sing., Ind. pres. di ‘savere’) che mi a go sé (s. f.) e, se (part. sem. dub.) te poli,
dame aqua. (sè, sé e se) = Tu sai che ho sete e, se puoi, dammi acqua.
3) El sòto (s. m.) el xe sbrissià sóto (avv. di luogo) na màchina.. (sòto e sóto) = Lo zoppo è finito sotto
un’autovettura.
4) Mi no tóco (v., 1a pers. sing., pres. Ind. di ‘tocare’) chel tòco (s. m.) de formajo che ’l ga i bai. (tóco
e tòco) = Io non tocco quel pezzo di formaggio che ha i vermi. ecc
Elencazione delle più comuni parole omonime ma non omofone, che, solamente con l’accentazione,
possono assumere il loro inequivocabile significato:
bòte = percosse / bóte = botte \-/ vèrza = apra (v. vèrzare) / vérza = verza \-/ vèneta = veneta (Maria
la xe na vèneta) / venéta = venetta (ghe xe s-ciopà na venéta del naso) \-/ tóco = tocco (v. tocàre) /
tòco = pezzo (mi no tóco quel tòco de pan co la mufa) \-/ pararìa = sembrerebbe / parària = per aria
\-/ bèco = becco (dei volatili) / béco = becco (maschio della capra o marito tradito) \-/ òdio = odio
(v. odiare) / odìo (esclamazione) \-/ còpo = ammazzo (1a pers. sing., pres, Indic. del verbo copàre) /
cópo = tegola \-/ còpa (2a pers. sing., pres. Ind. del verbo copàre) / cópa = nuca \-/ vèro (agg.) =
vero, verità / véro (s. m.) = vetro (Xe vèro che Tonio ga roto el véro) - (anche, termine che indica il
maiale per la riproduzione) \-/ bìgolo (s. m.) = spaghetto (di pasta) / bigòlo (s. m.) = arconcello (per
portare, a spalle, secchi o ceste) \-/ òro (s. m.) = oro (metallo prezioso). (Anelo de òro. = Anello
d’oro.) / óro (s. m.) = orlo. (El bicere el ga l’óro sbecà. = Il bicchiere ha l’orlo sgheggiato). \-/ pèso
(avv. / agg.) = peggio / péso (s. m.) = peso (peso netto – peso lordo) ecc.
(Nella parlata l’accentazione è spontanea e scorrevole ma, nella scrittura, invece, incontra non
poche incertezze e difficoltà).
Un detto latino: Tempora labuntur, tacitisque senescimus annis et fugit freno non remorante
dies. (Ovidio, Fast., 6, 771-772). = El tenpo el core e in silensio invecemo e i giorni i vola velossi,
sensa che ghe sia on fren che a li frena. = Il tempo corre e silenziosamente invecchiamo e i giorni
fuggono veloci, senza che nessun freno li rallenti.
Zonta = aggiunta. La vita xe curta e se ga da vìvarla in tuti i so minuti. = La vita è breve e bisogna
viverla in ogni suo momento.
I DIGRAMMI | GL | GG | SC = S-C | SC+E | SC+I (scheda n° 6)
PRECISAZIONE
Il digramma (parola composta, di derivazione greca), è l’unione di due consonanti costituenti un
unico suono. Alcuni digrammi, nel ‘dialetto veneto’, si comportano come nella lingua italiana e non
creano, quindi, alcuna difficoltà. Essi sono: ch // gh // gn. Per essi, pertanto, mi limito solamente a
segnalare qualche esempio: fiachi = fiacchi – striche = striscie // righe = righe – fighi = fichi //
cucagna = cuccagna – gnaro = nido ecc.
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CARATTERISTICHE DEI DIGRAMMI:
1) - GL - Il digramma gl, davanti alla vocale i, si risolve in due modi: 1°) in l. Es.: battaglia =
batalia, sbaglio = sbalio ecc. 2°) in j. Es.: foglia = foja, sveglia = sveja ecc. Per il veneziano, esiste
una terza soluzione, in quanto il gl si riduce ad una g. Es.: aglio = agio, canaglia = canagia ecc.
Questa particolarità locale, (come anche per altre), non sminuisce minimamente la validità e non
intacca per niente l’unità del ‘dialetto veneto’. Il digramma gl, ha anch’esso le sue eccezioni, e,
talvolta, si pronuncia con il suono della g dura: anglican, gladiolo, glìcine, gloria ecc.
2) - GG - La consonante intervocalica g, riportata per iscritto in ‘dialetto veneto’ nella forma gg,
diventa j. Es.: formaggio = formajo, maggio = majo ecc.
3) - SC = S-C – Nel tentativo di trasferire il suono (del tutto caratteristico della s dura intervocalica)
dalla parlata nello scritto, gli studiosi hanno creato un valido artificio, inserendo un ‘ – ’ (trattino);
es.: mas-cio, mus-cio, s-ciona, s-ciafa ecc.
4) - SC + E e SC + I – Il digramma sc, davanti alle vocali e ed i, si trasforma, nel ‘dialetto veneto’,
in una semplice s sorda. Es.: scelta = selta o sielta, scellerato = selerà o sielerà, scenata = senata \-/
sciensa = siensa, scienziato = siensà, sciocco = sioco, sciopero = sioparo, scialle = siale ecc.
In alcune parole, però, sc diventa una doppia ss. Es.: pesce = pesse, crescere = créssare ecc.
Tutte queste nozioni, se non studiate, capite, assimilate, possono sembrare confusionarie ed
indefinibili, ma, in realtà, è una problematica facile e, direi, anche appassionante, che può divertire
chi si cimenta nello studio del nostro dialetto. Una volta chiarito il procedimento, tutto diventa
facile, perché le regole sono precise, chiare, semplici.
Elencazione di parole con il digramma sc, che , per espletarsi, abbisognano dell’espediente dell’uso
del trattino ( - ) / (vedi scheda n° 12) = s-c:
as-cio = astio, rancore // bas-cian = ingenuo // des-ciocare = togliere alla gallina l’istinto di chioccia
(cioca) // fis-ceto = fischietto // fis-ciada = fischiata, atto del fischiare (Có te parti, fame na fisciada. = Quando parti, fammi una fischiata.) // fis-cio = fischio // mas-ceto = lattonzolo, piccolo
maiale // mas-ceto dindo = cavia // mas-ceto risso = riccio // mas-cia = scrofa // mas-ciaro = norcino
// mas-cio = maschio, oppure, mas-cio = maiale // mas-cion, mas-cio = sporcaccione // mis-ciare =
mescolare // mus-cio = muschio // ras-ciare = raschiare // ras-ciaùra = raschiatura // ras-cin =
raschietto // ris-ciare = arrischiare, correre pericolo – (Ma varda ti indove ca a só nà a ris-ciare. =
Ma guarda un po’ dove sono andato a rischiare.) – (A go ris-cià che i me vegna dosso. = Ho corso il
pericolo d’essere investito.) – (A go ris-cià de grosso. = Ho corso un gran rischio.) // ris-cio =
rischio // ris-cion = uno che arrischia fortemente (uno scomettitore azzardato, incallito) // s-ceto =
schietto // s-ciafa = schiaffo // s-ciafesare = schiaffeggiare // s-ciafon = ceffone // s-ciamassare =
schiamazzare // s-ciamasso = schiamazzo // s-cianta = un poco // s-ciantina, anche, s-ciantinela =
piccola quantità // s-ciantisa = scintilla // s-ciantisare = lampeggiare // s-ciantiso = lampo, bagliore //
s-ciapa = inesperto // s-ciapare = fendere, spaccare - (s-ciapare le legne = spaccare la legna) // sciapo = gruppo, torma, branco, stormo // s-ciapon = incapace // s-ciarana = radura (breve spazio
aperto, anche, zona di terreno arido, anche, squarcio di sereno) // s-ciaransana = schiarita (tra le
nuvole) // s-ciarare = diradare (s-ciarare el sorgo = diradare le piantine di granturco) // s-ciararse =
schiarirsi (El seita s-ciararse la vosse. = Continua a schiarirsi la voce. / El tenpo se s-ciara. = Il
tempo si schiarisce.) // s-ciarìo = schiarito // s-ciarire = schiarire, rendere chiaro - (s-ciàrate mejo =
spiegati meglio) // s-ciarola, s-ciararola = schiarita (squarcio di sereno) // s-ciaventare = scagliare //
s-ciavina = rozza coperta di panno, anche, erpice leggero in ferro // s-ciavo, anche, s-ciao = schiavo,
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ciao // s-ciocare = schioccare (scuria che s-cioca = frusta che schiocca), oppure, s-ciocare =
crepitare (legna che s-cioca = legna che crepita) // s-ciochesare = scoppiettare // s-ciochi = fuochi
d’artificio // s-cioco = schiocco, scoppio, botto - (tirare el s-cioco = morire) // s-ciodare, anche, desciodare = schiodare // s-ciona = anello al muro // s-ciopa = schioppo // s-ciopare = scoppiare - (El xe
s-ciopà. = È morto.), anche, (Me s-ciopa la testa. = La testa mi scoppia.), anche, (A ghe xe s-ciopà
la fersa. = Gli è scoppiato il morbillo.), anche, (S-ciopa! = Crepa! - Muori!) // s-ciopetà =
schioppettata, fucilata // s-ciopo = fucile, anche, baco da seta premorto in un abbozzo di bozzolo //
s-cisegare = stridere // s-ciuma = schiuma // s-ciumare = schiumare ecc.
Un detto latino: Tamdiu discendum est, quamdiu nescias: si proverbio credimus quamdiu
vivas. (Seneca. Epist., 76, 3). = El darse da far par vìvar ben, el xe longo quanto xe longa la vita. =
L’apprendimento del ben vivere, è lungo quant’è lunga la vita.
Zonta = aggiunta. I mùscoli del corpo i se fà grossi e forti co la ginàstica, cussì xe pa ’l sarvelo:
dopràndolo el se fà pi svejo! = I muscoli del corpo si irrobustiscono con la ginnastica, così è per il
cervello: tenendolo allenato rimane più attivo.
Gli ACCENTI (scheda n° 7)
DEFINIZIONE
L’accento è un piccolo segno grafico che indica su quale vocale cade l’accento tonico (con maggior
forza). Mentre è possibile scrivere un termine senza l’uso dell’accento grafico è, invece,
impossibile, per chiunque, leggere un termine, di qualunque natura esso sia, senza servirsi
dell’accento tonico. Mi si scusi la pignoleria, ma credo sia opportuno puntualizzare che ogni
termine, (sia esso breve o lungo, maschile o femminile, singolare o plurare, detto sostantivo,
aggettivo, verbo, avverbio, che rientri nella classificazione di monosillabo, bisillabo, trisillabo,
quadrisillabo, pentasillabo, che sia denominato tronco, piano, sdrucciolo, bisdrucciolo ecc.), ha il
proprio accento tonico. Attenzione, se non per tutti i termini è necessario l’uso dell’accento grafico,
per determinati termini, invece, la sua apposizione è indispensabile. È compito e dovere di chi
redige la grammatica precisarne l’uso e la finalità. Non solo per gli stranieri, ma anche per gli
italiani sarebbe opportuno accentare, sempre, determinate parole omonime, ma non omofone
(ambivalenti) come: àncora - ancòra, pèsca - pésca, àmbito – ambìto, nòcciolo – nocciòlo, nèttare nettàre ecc. Nel voler migliorare un qualcosa, non bisogna accontentarsi di far meglio di uno che fa
‘benino’, ma, invece, partire da quel poco di buono in più e perfezionarlo. Vista la limitata
confusione possibile in ‘lingua italiana’ e l’ampia nel ‘dialetto veneto’, non si deve partire da come
fa l’altro o accontentarsi di far in po’ meglio dell’altro, ma, per quanto è possibile, in maniera
irreprensibile. Nel rimanere in attesa di tale adeguamento o di delucidazioni precise da parte delle
Autorità competenti, seguo e pratico la teoria del prof. S. Belloni, vale a dire, quella di accentare,
anche, le parole venete uguali alle parole italiane come: ìsola (dia.) = isola (it.), pòpolo (dia.) =
popolo (it.), régola (dia.) = regola (it.), órdine (dial.) = ordine (it.), vèneto (dial.) = veneto (it.) ecc.
Il complesso tema ‘accento’ è trattato, anche, nelle schede n° 1 e n° 4. [Questo e il mio pensiero: il
‘dialetto veneto’ non dipende dal ‘dialetto toscano-fiorentino’ (oggi ‘lingua italiana’) perché,
entrambi i due ‘dialetti romanzi’, procedono dalla comune madre lingua, la ‘lingua latima’e sono
convinto dell’autonomia del veneto!] Breve nota. [“[ Il termine accento deriva dal latino accentus;
il termine tonico (di pari senso e valore) equivale a suono (lat. sonus) [abbassamento o
innalzamento (del tono o suono) della voce]; il termine grafico deriva dal greco (grafia = scrittura)
e trattasi dell’applicare un piccolo segno convenzionale, concernente la scrittura ]”].
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PRELIMINARE
L’appropriato uso dell’accento, quando si scrive in corretto ‘dialetto veneto’ = ‘lingua veneta’,
evidenzia e conferma la particolare ‘musicalità’ che, assommata all’arguzia dei veneti, fa della
parlata veneta uno degli idiomi più armoniosi del mondo.
COSA FATTA, CAPO A.
Tutti sappiamo che i grafemi vocalici, cioè, le vocali, sono cinque, come nella lingua italiana: a, i,
o, u, e. Ma, attenzione, nel ‘dialetto veneto’ i grafemi vocalici sono sette, perché sette sono i
fonemi possibili: a, i, o (ò aperta, evidenziata con accento grave e ó chiusa, evidenziata con accento
acuto), e (è aperta, evidenziata con accento grave e é chiusa, evidenziata con accento acuto). Ecco,
quindi, che le vocali a disposizione nel nostro dialetto sono: a, i, ó, ò, u, é, è. Le vocali a, i, u se
sono accentate, portano un unico accento (acc. g.): sentà, magnà, scoltà, sonà ecc. \-/ lì, dì, sì, cussì
ecc. \-/ sùcaro, (sùsta, sùgo, narànsa, creànsa, pànsa (essendo parole piane), non vanno accentate -)
\-/ capìo, sentìo, partìo (essendo verbi), vanno accentati ecc.
UNA REGOLA FISSA
Nel ‘dialetto veneto’ il capitolo accenti è complesso e per renderlo fluido è necessario conoscerne a
fondo le regole. Sono convinto che un bravo scrittore in ‘dialetto veneto’, che gode familiarità con
l’accentazione, non ha problematiche per agevolare colui che non ha dimestichezza o non conosce a
fondo tale dialetto. Personalmente, partendo da questo punto di vista, adotto il principio ‘nel dubbio,
meglio un accento in più che uno in meno’ (sempre, però, che sia usato correttamente o che serva a
chiarire una qualche problematica).
PERSONALITÀ DELL’ACCENTAZIONE VENETA
Due sono i tipi d’accento: accento tonico e accento grafico. L’accento tonico è rilevabile
solamente dal ‘tono’ (la voce). L’accento grafico, invece, va segnato sopra la lettera sulla quale si
posa il ‘tono’ (la voce). L’accento può essere grave o acuto. L’accento grave ha suono aperto:
bòte = percosse \-/ l’accento acuto ha suono chiuso: bóte = botte (del vino).
INDICAZIONI DI BASE PER L’ACCENTAZIONE (sia chiaro: propongo, non impongo)
A) Le parole tronche, che portano l’accento tonico sull’ultima sillaba, richiedono l’accento grafico
solo se terminano per vocale. Es.: parché = perché / cussì = così / inrabià = irato ecc. Non portano,
invece, alcun accento grafico le parole tronche che terminano in consonante (trattandosi, in genere,
di parole che, in origine, sono piane). Es.: contadin = contadino / nissun = nessuno / osmarin =
rosmarino ecc.
B) Le parole piane (e sono la stragrande maggioranza), che portano l’accento tonico sulla penultima
sillaba, non hanno bisogno dell’accento grafico (salvo per quei casi nei quali si possono creare delle
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confusioni). Es. (non serve): casa = casa / tola = tavolo / mantile = tovaglia / cuciaro = cucchiaio \-/
Es. (serve, invece, per) sòto = zoppo, sóto = sotto / bigòlo = arnese particolare, bìgolo = spaghetto
(di pasta) ecc.
C)
Le parole sdrucciole, che portano l’accento sulla terzultima sillaba, devono sempre essere
accentate. Es.: cógoma = bricco / bìgolo = spaghetto (tipo di pasta) / lugànega = salsiccia / sùcaro =
zucchero / mùsica = musica / bùbola = truciolo ecc.
D) Le parole bisdrucciole, che portano l’accento sulla quart’ultima sillaba, devono sempre essere
accentate. Es.: disémoghelo = diciamoglielo / portémoghene = portiamogliene ecc.
LA BUONA VOLONTÀ (almeno da parte mia e mi spiego)
In mancanza di regole certe e, poiché ritengo che l’accento sia un’indicazione qualificante il
‘dialetto veneto’ = ‘lingua veneta’, lo uso, anche, in parole sdrucciole, che non ne avrebbero
propriamente bisogno: òmeni, sùcaro ecc. e, (come suggerisce il prof. S. Belloni, pag. 47, 48, 49),
anche, in parole italiane: vèneti, Vèneto, ìsola, pòpolo, òrdine, àngelo ecc. Questo agire può
sembrare una stravaganza, un di più, un superfluo, però conferma una ‘ipotetica’ regola (che può
essere studiata e, sì o no, se codificata, valevole per tutti).
COERENZA
Nei miei scritti, non riporto alcun accento inutile come, per es., nei monosillabi: xe (è), go (ho), ga
(ha), do e du (due), un e on (uno), tri (tre), va (vai), pi (pì), pra (prà), bo (bò), si (sì), ecc. Tengo a
precisare che solamente usando l’accento, determinati termini come: verbi, preposizioni, aggettivi,
particelle ecc. possono assumere il loro ruolo inequivocabile. Ne elenco alcuni fra i più comuni.
Es.: sa = se (cong.) (Sa te credi de... = Se credi di...). / sà (verbo di sapere – savere -) (Tonio el sà
ca a só stufo. = Antonio sa che stono stufo.) \-/ se (part. sem.) (Se te piase... = Se ti piace...) – se
(part. pron. rifl.) (Tuti i se veste. = Tutti si vestono.) – sé (s. f.) = sete. (Stò morendo de sé. = Sto
morendo di sete.) \-/ ve = vi (pron.) (Ve ricordéo de...? = Vi ricordate di...?) – vè = andate (verbo di
andare, nare) – Vé farve benedire! = (Voi) andate in malora!) \-/ si (dial.) = sì (it.) (affermazione
positiva). [“[ Personalmente, in questo caso di corretta scrittura veneta, scrivo in contrasto con
l’italiano e metto il puntino su si (avverbio d’affermazione) – [dial. si (puntinato) = it. sì
(accentato)]. Così scrivendo, difendo la ‘indipendenza’ specifica del ‘dialetto veneto’ e posso, con
certezza, distinguere il suo omonimo sì del verbo èssere. Es.: Gheto studià? Si (dial.) = Hai
studiato? Sì (it.). /// Ti te sì (dial.) on brao studente. = Tu sei un bravo studente ]”]. Nelle due forme
linguistiche, però, il si (settima nota della scala di do), va scritto uguale. [L’italiano si guarda bene
dal creare confusioni e difende la sua esatta ortografia. Per tale motivo, la 3a persona sing. del verbo
‘dare’, dà, lo riporta accentato, così da poterlo distinguere dal termine omonimo, la part. sem., da.
Es.: Antonio viene da Vicenza. - Antonio dà i numeri.]. \-/ nà, a só nà... (verbo di ’nare = andare) /
na = una (agg. num. card.). Jeri a só nà a Vicensa. = Ieri sono andato a Vicenza. / Dame na saresa.
= Dammi una cigliegia. \-/ dò (verbo di dare = dare) / do = due (agg. num. card.). Se te studi te dò
do pumi. = Se studi ti do due mele. \-/ fà (verbo di fare = fare) / fa (prep. sem.). Tonio, fà la
lession. = Antonio, fai i compiti. / A só rivà n’ora fa. = Sono arrivato un’ora fa. \-/ stò (verbo di
stare) = sto / sto (agg. dim. o pron. dim.). Mi stò chì. = Io sto qui. / Sto pomo el xe smarzo. =
Questa mela è marcia. \-/ stà (verbo di stare = stare) / sta (agg. dim. o pron. dim.). (Ti) stà chì. =
(Tu) stai qui. / Sta ua la xe crua. = Quest’uva è acerba.) \-/ stè (verbo di stare) = state / ste (agg.
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dim. o pron. dim.) (Voialtri) stè sentà. = (Voi) state seduti. / Ste margarite le xe fiape. = Queste
margherite sono appassite.) ecc.
REPETITA IUVANT = RIPETERE I CONCETTI, GIOVA
Non appena le autorità competenti forniranno dati certi, così da mettere tutti gli scrittori in veneto
all’unisono, nessuno dovrà, di conseguenza, fare il volubile o l’accondiscendente, ma dovrà
semplicemente metterle in pratica, e io saro il primo. In attesa, suggerisco le seguenti soluzioni (già
dette):
1)
Le parole tronche, che finiscono per vocale, vanno sempre accentate;
2)
Le parole piane, non vanno mai accentate (salvo che nei casi di omonimia);
3)
Le parole sdrucciole, vanno sempre accentate (fintantoché le autorità competenti non daranno
regole precise);
4)
Le parole bisdrucciole, vanno sempre accentate.
(Pensierin) - Dante, criticando ‘i voltagabbana’ o i ‘voltafaccia’o i ‘indecisi’, così scrisse ... ch’or
vien quinci e or vien quindi, e muta nome perché muta lato. (Purg., 11, 101-102).
Exempla claudicant (i esempi i xe sóti), ma faccio egualmente un esempio: ‘Tante persone
raggruppate in coro, se cantano seguendo lo spartito e il maestro, creano un’eufonia, se cantano a
indole propria, creano cacofonia!’
Un detto latino. Horae quidem cedunt et dies et menses et anni; nec praeteritum tempus
unquam revertitur; nec quid sequatur sciri potest. (Cicerone, Cato mai., 69). = Xe propio vèro,
le ore le passa e i mesi e i ani e, el tenpo passà, no ’l retorna pi e, qual tenpo che ’l sarà, no lo
podemo saver. = In verità, le ore scorrono e i mesi e gli anni e, il tempo trascorso non ritorna più
e, il tempo avvenire, non lo possiamo conoscere.
Zonta = aggiunta. Chi che ga tenpo, no ’l speta tenpo! Chi ha tempo, non aspetta tempo!
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L’APOSTROFO, l’ELISIONE, il TRONCAMENTO (scheda n° 8)
DEFINIZIONE
L’apostrofo è un piccolo segno grafico, che indica la caduta di una vocale. È una parola di
derivazione greca. Esso, come segno grafico, è identico al segno dell’elisione e al segno del
troncamento di un termine.
CHIARIMENTO
Innanzitutto, per quanto riguarda l’apostrofo, l’elisione e il trocamento, mi sembra sia utile
specificare che, anche se essi usufruiscono dell’identico piccolo segno grafico e segnalano la caduta
o la mancanza di un qualcosa, non sono la medesima avvertenza e non hanno l’identica funzione.
Infatti, è corretto scrivere “el xe ’ndà”, com’è corretto “el xe andà”. Il lettore, nel primo esempio,
capisce che a quella parola manca un qualcosa, nel secondo esempio, tutto è chiaro per se stesso.
L’elisione può segnalare, anche, la caduta di un qualcosa in finale di parola: de’ = de i = dei. Infatti.
È esatto se si scrive “recòrdate de’ me fioi”, come, “recòrdate de i me fioi”. Nel primo esempio si fa
uso dell’elisione, nel secondo della prep. articolata, scritta per esteso e staccata. È corretto scrivere
“mi no’ vegno co’ ti” come “mi no vegno co ti”. Nel primo esempio si fa uso dell’elisione, nel
secondo del troncamento. Il primo caso, si rifà al latino cum, il secondo caso, all’italiano con. ecc.
Mi sembra importante puntualizzare che, mentre l’uso dell’elisione riguarda una singola ed unica
parola: ’talian, ’conomica ecc., l’apostrofo, invece, si usa solamente con l’incontro di due parole,
una delle quali va modificata: n’àsola, n’ànema ecc. La sparizione di un qualcosa, a motivo del
troncamento: pa’ i, ecc., è segnalata, anch’essa, dal medesimo ‘poliedrico’ piccolo segno ( ’ ), che,
ripeto, è valevole per l’apostrofo, per l’elisione e per il troncamrento.
Mi sembra utile, inoltre, segnalare che questo versatile segno grafico ( ’ ), se usato in coppia (‘.....’),
serve per introdurre una frase o per riportare una parola ‘bla, bla, bla’ oppure ‘bla’.
No xe ca vojo far el ‘francese’ e puntarme sul puntin de la vocale i, parò, visti i tanti scriti, scriti
sbalià, mi sembra conveniente richiamare il ‘pigro’ scrittore usufruente del computer. Non si scrive:
‘ndà, ‘talian, ‘nemo ecc., ma si scrive: ’ndà, ’talian, ’nemo ecc., strucando do volte l’istesso boton
del ( ‘/ ’ ) e, dopo, tornando indrìo par scancelar el primo segneto ( ‘ ) sbalià, parché roverso.
SPECIFICAZIONE DELL’APOSTROFO
L’apostrofo ( ’ ), come suddetto, lo troviamo quando usiamo due termini: n’ànema, n’àsola ecc.
Questo piccolo segno convenzionale, a secoda del suo uso, è detto ‘apostrofo’, in altre occasioni, è
detto ‘elisione’ e, alle volte, serve per segnalare il ‘troncamento’ di un termine. Tale piccolo, ma
importante segno grafico, essendo plurivalente, può creare delle confusioni. Basta, però, un po’
d’attenzione e di ragionamento logico e tutto diventa chiaro.
IL ‘MIO’ USO DELL’ELISIONE E DELL’ACCENTO (chiarisco, ma non impongo)
Nei miei scritti, [per indicare la caduta di una vocale mediante il piccolo segno grafico ( ’ ) ],
preferisco usare più l’accento che l’elisione perché mi sembra che, talvolta, l’elisione fomenti
inutili problematiche. Per tale motivo, di solito, tralascio di apporre l’elisione, oppure, riporto i
termini con l’accento o per esteso augurandomi, in tal modo, di interpretare meglio la parlata la
quale ha, di fatto, già attuato l’elisione (Candiago-Romanato, pag. 9). Es.: Jeri a só andà, nà
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(’ndà) a spasso; - conòmica (’conòmica); - vanti (’vanti); - talian (’talian); - só (so’, son) (verbo
èssare) ecc.
IL TRONCAMENTO
Il troncamento è un piccolo segno grafico ( ’ ) che indica la caduta di una vocale o di una
consonante o di una sillaba, sia essa iniziale o finale di una parola. Esso, normalmente non viene
riportato.
Es.: bel (belo), quel (quelo), dotor (dotore); altre volte è riportato co’, de’ ecc. La prep. par (it. =
per), volendo, può subire troncamento. Es.: El xe senpre in giro pa ’l mondo. = È sempre in giro
per il mondo. Attenzione, è esatto scrivere pa ’l (elisione preceduta da piccolo spazio); è sbagliato
scrivere pa’l (senza lo spazio). Tonio el stà in giro pa’ i canpi. = Antonio sta nei campi. ecc.
ANNOTAZIONI INERENTI
- Non si apostrofano mai i maschili con l’art. ind. (un amico = on amico / un orologio = on orolojo
/ un uccello = on osèlo). Vanno, invece, apostrofati i femminili con l’art. ind. (un'amica = n’amica
/ un'anima = n’ànema / un’altra= n’altra). Non è grammaticalmente esatto riportare un altro (it.),
in n’altro (dial.). Infatti, l’art. ind. uno = un o on, non si può apostrofare dal momento che nulla ha
da apostrofare, in finale. È esatto scrivere: un (on) altro oppure naltro oppure ’n altro, ma non
n’altro (salvo che non si specifichi che trattasi di una regola ‘inappellabile’ ed ‘inequivocabile’ di
una ‘anomalia grammaticale’e ‘concessa’ per ‘abitudine acquisita’ o ‘altra valida motivazione’).
Qualche es.: Un (on) àlbaro, un (on) omo, un (on) orco, un (on) osèlo ecc. Sono più che cconvinto
che il ‘dialetto veneto’, ha, in sé e per sé, la propria dignità di ‘lingua’, ma è indispensabile che, tale
‘rango’, sia confermato da uno scrivere grammaticalmente ed ortograficamente inequivoco ed
univoco!
- Anche per l’art. ind. una = na, essendo una parola completa in sé, derivante dalla riduzione
dell’indefinito latino unam > na (e non dall’italiano una), non abbisogna d’essere apostrofata
anteriormente. È giusto, comunque, scrivere ’na. Davanti a parola iniziante per vocale, na
‘solitamente’ non perde la sua a finale. Qualche es.: na àlbara, na erba, na òca, ecc. Eccezione. Na,
davanti all’indefinito altra, preferisce l’apostrofo. Es.: El xe vegnù a catarme n’altra volta. = È
venuto a trovarmi un’altra volta.
- Non è esatto scrivere nol, come se fosse un unico termine. Infatti, trattandosi di due termini
distinti, vanno tradotti in no el (due parole distinte, scritte per esteso) oppure no ’l (due parole
riportate con l’elisione, preceduta da piccolo spazio). Inoltre, è errato scrivere no’l (perché, il
piccolo segno grafico, senza lo spazio, diventa un vero apostrofo e che cosa apostrofa se non c’è
nulla da apostrofare?) È evidente che si tratta di due voci distinte, una congiunzione negativa (non
= no) ed un pronome personale (egli = el). Sono due termini (in lingua italiana) e due termini
devono restare (in ‘dialetto veneto’! E’ esatto scrivere: Tonio no el (no ’l) vol studiare. = Antonio
non vuole studiare. E’ errato scrivere: Tonio nol (no’l) vol studiare. (infatti, due termini
indipendenti, non possono mai diventare un unico termine e l’apostrofo non può fondere due
termini di natura diversa). (Volendo calcolare: una ciliegia + una fragola + una banana, (se vengono
sommate), danno e daranno sempre: una ciliegia + una fragola + una banana. Se si fondono, ne esce
un gustoso frullato di frutta, ma la ciliegia, la fragola e la banana, hanno perso la loro
‘personalità’!).
- È errato scrivere par’l, (il piccolo segno grafico, così presentato è né apostrofo, né elisione, ma
solo on scaraboceto), invece, è esatto scrivere par el (per esteso) o pa ’l (troncamento).
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[Suddetti ragionamenti valgono per n’altro, per nol / no’l / che’l e per par’l]. (vedi paradigma)
On nostro vecio proverbio el consilia: ‘Pati ciari, amicissia longa!’ (Patti chiari, amicizia lunga!)
e, on altro, el dise: ‘Xe difìssile sbrojar la matassa, se no se cata el cao’! (È difficoltoso sbrogliare
la matassa, se non si trova l’nizio!).
Detto latino: Diem perdidi. (Svetonio, Vita di Tito, 8). = A go perso on dì. = Ho perso un giorno.
Zonta = aggiunta. Sta frase del stòrico Svetonio, la conta che l’inperatore Tito, rivà sera, se no ’l
gavéa fato calcossa de bon, el se bravava co sto dito. = Questa frase dello storico Svetonio,
racconta che l’imperatore Tito, alla fine di un giorno nel quale riteneva di non avere realizzato un
qualcosa di buono, si rimproverava con questa espressione.
I VERBI e i PARTICI PASSATI (scheda n° 9)
DEFINIZIONE
Il verbo è, grammaticalmente parlando, la parte principale del discorso. Deriva dal latino verbum.
PREMESSA
Il verbo è una delle nove parti del discorso. Il tema ‘ il verbo’, è molto vasto e, partendo dal fatto
che do per acquisito che chi mi legge ha sufficienti cognizioni della grammatica e della
coniugazione italiana, tralascio dette nozioni evidenziando, solamente, le differenziazioni e le
particolarità del ‘dialetto veneto’.
Verbo andare = nare. nà, andà, ’ndà; vo o vago o vao; va e vè o nè. Es.: Mi a só nà a... = Io sono
andato a...; luri (lori) i xe nà = Loro sono andati. (il nà – andà - ’ndà, vale per il pass. pross. e il
pass. rem.); Es.: Mi vo o vago o vao casa mia. = Io vado a casa mia. ; (ti va casa tua = tu vai a
casa tua) ; (voialtri vè o nè casa vostra = voialtri andate a casa vostra).
Verbo avere = avere, gavere. Go e ga. Es.: Mi a go fame. = Io ho fame. ; (lu el ga fame = lui ha
fame, luri (lori) i ga fame = loro hanno fame). (Nota. Come indicato nel Voc. del dial. Vic.,
(Candiago-Romanato, pag. 235), davanti a go, antepongo la part. proc. a, che, comunque, è
facoltativa).
Verbo dare = dare. Dò, dà. Es.: Te dò on libro = Ti do un libro; (mi a go dà… = io ho dato…, luri
(lori) i ga dà... = loro hanno dato...).
Verbo essere = èssere, èssare. Xe; gera, jera e só (so’, son). Es.: El xe bravo. = Lui è bravo.; luri
(lori) i xe bravi. = loro sono bravi. ; el gera bravo. = lui era bravo., luri (lori) i gera bravi. = loro
erano bravi. ; mi a só (so’, son) visentin. = io sono vicentino. (Nota. Come indicato nel Voc. del
dial. Vic., (Candiago-Romanato, pag. 237), davanti a só antepongo, sempre, la part. proc. a, che,
comunque, è facoltativa). (Una personale precisazione. Sempre tenendo presente che do la
precedenza, per l’accentazione, ai verbi e non ad altri vocaboli, personalmente preferisco accentare
il sì = sei (verbo) piuttosto del sì (it.). Es.: Ti te sì bravo... (Tu sei bravo...); voialtri sì bravi... (Voi
siete bravi...). Pertanto, nel ‘dialetto veneto’, non accento l’avverbio affermativo, (it.) sì. Es.:
‘Gheto capìo? = (Hai capito?)’ - (dial.) Si, (it.) Sì).
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Verbo fare = fare. Fà. Es.: Lu el fà el tonto. = Lui fa il tonto.; luri (lori) i fà i tonti = loro fanno i
tonti.
Verbo sapere = savére. Sò. Es.: Mi sò che… . = Io so che… .
Verbo stare = stare. Stò o stao, stà e stè. Es.: Mi stò o stao ben. = Io sto bene. ; lu stà ben = lui sta
bene, luri (lori) i stà ben = loro stanno bene); stè fermi = state fermi, stè sentà = state seduti.
NOTE
1) - Il ‘dialetto veneto’ non coniuga il passato remoto e il trapassato remoto, che è sostituito dal
passato prossimo. Es.: Jeri a só nà in leto presto. = Ieri andai a letto presto.
2) - Anche se verbi, non si accenta il ga, il go, il xe, il vo e il va ed altre forme verbali, perché non
hanno omonimi e, quindi, non possono creare confusioni.
3) - Dopo i verbi di movimento non si usa la particella (detta ‘proclitica’) a. Es.: vago casa = Vado
a casa. ecc.
4) - I verbi impersonali, nel ‘dialetto veneto’, usano solamente l’ausiliare avere. Es.: Ga piovudo. =
Ha (è) piovuto./ Ga nevegà. = Ha (è) nevicato. ecc. Fanno eccezione i verbi capitare e succedere
che usano l’ausiliare èssare. Es.: Xe sucesso on barufon. = È successa una grossa baruffa. ecc.
5) - I verbi servili, nei tempi composti, usano tutti l’ausiliare avere. Es.: El ga vossùo partir. = Ha
voluto partire. ecc.
CONIUGAZIONE DEL VERBO èssare / èssere, (presente indicativo):
mi a só, son, so’ (tre forme differenti, ma tutte esatte) – (la particella pleonastica a, è facoltativa)
ti te sì
lu el xe / lu ’l xe
noialtri (nuantri – nialtri - nualtri) sémo
voialtri (vualtri – vialtri – valtri) sì
luri (lori) i xe.
CONIUGAZIONE DEL VERBO avere / gavere, (presente indicativo):
mi a go (la particella pleonastica a, è facoltativa)
ti te ghè
lu el ga
noialtri (nuantri) gavemo
voialtri gavì
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luri (loro) i ga.
ELENCAZIONE DI ALCUNI VERBI CON IL PARTICIPIO PASSATO:
A) 1a coniugazione (are):
andare = andare, ’ndare, ’nare: ’ndà, ’nà, nà /// camminare = caminare: caminà /// dare =
dare: dà /// fare = fare: fato /// giocare = zugare: zugà /// lavorare = lavorare: laorà ///
mangiare = magnare: magnà /// parlare = parlare: parlà /// sputare = spuare: spuà /// stare =
stare: stà ecc.
B)2a coniugazione (ere):
accorgere = acòrzare: acorto /// alludere = alùdare: aluso /// arrendersi = aréndarse: areso,
arendù /// assolvere = assòlvare: assòlto /// assumere = assùmare: assunto /// concedere =
concédare: concesso /// concludere = conclùdare: concluso, concludesto /// comporre =
conpor(e): conposto /// convincere = convìnsare: convinto /// correre = córare: corso, coresto (vale, anche, per: concórare, ocórare, ricórare, socórare) - /// correggere = corègere: coreto ///
corrompere = corónpare: coroto /// costringere = costrénzare: costreto /// decidere = decìdare:
deciso, decidesto /// deludere = delùdare: deluso, deludesto /// distendere = desténdare: desteso,
destendù /// destinare = destinare: destinà /// difendere = deféndare: difeso /// diffondere =
difóndare: difuso /// dependere = dipéndare: dipeso, dependesto, dependù /// dirigere = dirìgere:
direto /// discorrere = discórare: discorso, discoresto /// discutere = discùtare: discusso,
discutesco /// distinguere = distìnguare: distinto /// distruggere = distrùgere: distruto ///
dividere = divìdare: diviso /// dolere = dolere: dolùo, dolesto /// dovere = dovere: dovùo,
dovudo, dovesto /// eleggere = elègere: eleto /// escludere = esclùdare: escluso /// esprimere =
esprìmare: espresso, esprimesto /// esistere = esìstare: esistìo – (vale, anche, per : assìstare,
consìstare, resìstare) - /// fondere = fóndare: fuso, fondù – (vale, anche, per: confóndare,
difóndare) - /// friggere = frìsare: frito /// illudere = ilùdare: iluso /// insorgere = insòrgere:
insorto /// intendere = inténdare: inteso, intendù /// invadere = invàdare: invaso /// leggere =
lèsare: lèto, lesesto /// mettere = métare: messo – (vale, anche, per: amétare, dimétare, permétare,
prométare, rimétare, scométare, trasmétare) - /// mungere = mónzare: mónto, munto ///
muovere = móvare: mosso, movesto – (vale, anche, per: comóvare, promóvare) - /// nascere =
nàssare: nato, nassùo, nassésto /// offendere = oféndare: ofeso, ofendù, ofendesto /// ungere =
ónzare: onto /// parere (sembrare) = parère: parso, paresto /// perdere = pèrdare: perso – (vale,
anca, par: despèrdare) - /// persuadere = persuàdere: persuaso /// piacere = piàsare: piasso,
piasesto /// dispiacere = despiàsare: despiasso, despiasesto /// piangere = piànzare: pianto –
(vale, anche, per: conpiànzare, rinpiànzare) - /// potere = podere: possùo, possudo, podesto ///
pretendere = preténdare: preteso, pretendù /// produrre = produre: prodoto /// proteggere =
protègere: proteto /// respingere = respìnsare: respinto /// ridere = rìdare: riso, ridesto /// ridurre
= ridure: ridoto /// ripetere = repétare: repetù /// risorgere = risòrgere: risorto /// rispondere =
respóndare: resposto, rispondesto /// rompere = rónpare: roto /// sapere = savere: savùo,
savudo, savesto /// scondere = scóndare: sconto /// sconfiggere = sconfìgere: sconfito ///
scrivere = scrìvare: scrito, scrivesto – (vale, anche, per: descrìvare, prescrìvare, trascrìvare) - ///
sedurre = sedure: sedoto /// scegliere = sèliere: selto, sielto /// sopprimere = soprìmare: sopresso,
soprimesto /// sorridere = sorìdare: soriso /// sospendere = sospéndare: sospeso /// spandere =
spàndare: spanto /// spendere = spéndare: speso, spendesto, spendù /// spingere = spénsare:
spento, spinto, spinsesto /// storcere = stòrzare: storto, stortà /// strigere = strénzare: streto,
strensù /// succedere = sucédare: sucesso /// tenere = tegnere: tegnùo, tegnù, tegnudo, tegnesto
/// togliere = tore: tolto /// tradurre = tradure: tradoto /// sparare = sbarare: sbarà /// vedere =
védare: visto, vedù /// venire = vegnere: vegnùo, vegnudo, vegnésto /// aprire = vèrzare: verto
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/// vincere = vìnsare: vinto, vinsesto /// vivere = vìvare: vissùo, vissù, vissudo, vivesto /// volere
= volère: vossùo, vossù, vossudo, volesto ecc.
C) 3a coniugazione (ire):
dire = dire: dito – (vale, anche, per: benedire, disdire, maledire, predire) - /// morire = morire:
morto /// offrire = ofrire: oferto /// soffrire = sofrire: soferto /// riuscire = riussire: riussìo ///
scoprire = scovèrzare, descovèrsare: scoverto, descoverto ecc.
Un detto latino. Breve tempus aetatis, satis vero longum ad bene honesteque vivendum.
(Cicerone, De Senect., 70). = El tenpo de la vita el xe curto, ma bastansa longo par vìvare ben e co
onestà. = La durata della vita è breve, ma sufficientemente lunga per vivere bene e rettamente.
Zonta = aggiunta. Par realizare sto dito, bastarìa praticar on altro dito latin: ‘Age quod agis’ = Quel
che te fè, falo ben. = Per realizzare questo motto latino, basterebbe praticare un’altra massima
latina: ‘Age quod agis’ = Quello che fai, fallo bene.
L'AGGETTIVO ALTERATO di GRADO COMPARATIVO DI MAGGIORANZA e il
SUPERLATIVO ASSOLUTO (scheda n° 10)
DEFINIZIONE
L’aggettivo è quella parte variabile del discorso che si aggiunge ad un sostantivo per meglio
qualificarlo o specificarlo. Anche in questo caso, l’argomento è lungo e complesso e, quindi, do per
scontata la conoscenza appresa sui banchi di scuola nello studiare la grammatica italiana e passo
alle particolarità venete.
IL SUPERLATIVO ASSOLUTO
Il superlativo assoluto indica una quantità al massimo grado, in altre parole in assoluto, senza
confrontarla con quella di un altro termine. Il suffisso ...issimo, molto usato in italiano, ‘stiani’ era
raramente usato nel dialetto e, se oggi lo si riporta di continuo, è per assuefazione all’italiano. Il
‘dialetto veneto’ ha una sua forma autonoma, che usa il prefisso ...stra. Così, sono contentissimo
(it.), diventa stracontento (dial.). Riporto, di seguito, (scritti alla vicentina), alcuni esempi (che il
prof. S. Belloni indica nella sua grammatica a pag. 94, 95):
Sto chì el xe on vin stravecio. = Questo è un vino molto molto vecchio.
El riso el xe oramai stracoto. = Il riso è scotto.
I pumi ca go magnà i gera strafati. = Le mele che ho mangiato erano molto molto mature.
Altre forme tipiche
El ga on putelo belo ca no sò. = Ha un bambino bellissimo.
El xe magro incandìo. = È magrissimo.
El gera inbriago spolpo (sfato, inciocà). = Era ubriaco fradicio.
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Sto pomo el xe smarso patoco. = Questa mela è estremamente marcia.
El ga na camisa onta bisonta. = Ha una camicia sporchissima.
A só stufo agro. = Sono annoiatissimo.
El gera straco morto. = Era stanchissimo.
El xe mojo negà. = È molto molto bagnato.
El xe novo de trinca (fiamante). = È nuovo di zecca (nuovissimo, fiammante).
El melón el gera bon che mai. = Il melone era buonissimo.
Na strada longa longa. = Una strada lunghissima.
El xe longo co fà la fame. = È lunghissimo.
El se magro co fà na sardèla. = È magrissimo.
A só pien co fà on ovo. = Ho mangiato moltissimo.
El toseto el se ga onto come on porselo. = Il bambino si è insudiciato moltissimo.
Tonio el xe stà contento come na Pasqua. = Tonio è stato contentissimo.
El xe vecio come el cuco. = È vecchissimo. ecc..
Gli aggettivi buono, cattivo, grande e piccolo hanno in dialetto alcuni particolari comparativi e
superlativi.
Positivo
comp. di maggioranza
super. assoluto
super. relativo
bón
pi bon, mejo
pi che bon, òtimo
el pi bon, el mejo
cativo
pi cativo, pèso
cativo ca no sò
el pi cativo, el pèso
grando
pi grando
grando che mai
el pi grando
pìcolo
pi pìcolo
nosoquanto pìcolo
el pi pìcolo
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Pensierin
Che belo che ze nare in granaro e ruscar fora e riciapar le robe bele de la nona! = Quant’è bello
andare in soffitta e ritrovare e ritrovare le cose belle della nonna!
Un detto latino. Omnium mortalium vita est misera; sed illorum miserrima, qui ad alienum
somnium dormiunt et ad aliorum appetitum comedunt et bibunt. (Seneca, De tranq. animi, 2,
4). = De tuti i mortali la vita la xe mìsara, ma quela de quei che i ga da dormir, magnar e bévar
secondo el voler de i altri, la xe mìsara che mai. = Di tutti i mortali la vita è misera, ma quella di
coloro che devono dormire, mangiare e bere come altri comandano, è molto molto infelice.
Petronio, parlando de le persone studià, cussì el ga dito. = Petronio, parlado delle persone dedite
agli studi, disse: Bonae mentis soror est paupertas. (Sat., 84). = El genio el ga la povertà come
sorela. = Il genio ha la povertà come sorella.
Palingenius, 1628, Amsterdam, el ga dito: Virtus sine censu languet ubique. (Zodiacus vitae. Lib.
6, 834). El valore de un, se no ’l vien ripagà, el val na cica. = Il valore di uno, se non è retribuito, è
svalutato.
Dante, el ga dito: Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo
scendere e ’l salir per l’altrui scale. (Par., 17, 58, 59).
Zonta = aggiunta. Par scurtarla, repeto el stravecio dito latin: ‘Carmina non dant panem’. = I
‘scriti – versi - poesie’ no i dà pan. = Gli ‘scritti - versi – poesie’ non danno pane.
Le PREPOSIZIONI SEMPLICI e le PREPOSIZIONI ARTICOLATE (scheda n° 11)
DEFINIZIONE
Preposizione s. f., deriva dal latino praepositio, (lett. il preporre – ter. gram. particella invariabile).
Si dicono preposizioni quei segni linguistici (termini grammaticali), che si mettono davanti ad una
parola (nome, aggettivo, pronome, avverbio e verbo), per stabilire con un termine precedente una
determinata relazione (un complemento), che può essere di tempo, luogo, causa, specificazione ecc.
Le preposizioni possono essere semplici o articolate. Le preposizioni articolate sono formate
dall’unione di una preposizione semplice con l’articolo determinativo.
LE PREPOSIZIONI SEMPLICI
In italiano, le preposizioni semplici sono: di a da in con su per tra fra sopra sotto. In ‘dialetto
veneto, esse diventano: de a da in co su per/par tra fra sóra sóto.
LE PREPOSIZIONI ARTICOLATE
Le preposizioni articolate (prep. art.) rappresentano un ‘fittizio’ problema ben risolvibile, basta
tenere presente la ortografia (corretta scrittura) e la ortoepia (corretta pronuncia). Personalmente,
al tempo in cui abitavo nel Veneto, quando pensavo o parlavo in veneto non mi ero mai accorto
della problematica celata, ma esistente, fra lo scrivere e il parlare. Ebbene, quando qualche anno fa
ho iniziato a scrivere in veneto, essa si è subito rivelata come una notevole difficoltà ma, a poco a
poco, impegnandomi nello studio del buon scrivere in vernacolo per poter presentare i miei scritti in
27
un corretto ‘dialetto veneto’, sono venuto a maturare delle idee chiare (almeno spero). In pratica ho
seguito le regole indicate nelle pagine 196, 197, 198, 199, della grammatica del prof. S. Belloni. Dal
momento che ritengo più chiarificante scriverle separate, ho creato un apposito PARADIGMA
ILLUSTRATIVO.
Qui, di seguito, riporto due esempi di detta scelta:
1) - prep. art. (it. con + la = dia. co + la). Es.: El se ga presentà co la borsa piena. (co la, scritto
chiaro, invece, cola, scritto confusionario). = Si è presentato con la borsa piena. / Tonio el ga
cronpà on chilo de cola (s. f.). = Antonio ha comperato un chilo di colla. ecc.
2) - prep. art. ( it. a + le = dia. a + le). Es.: Doman vien a le (prep. art., scritta separata) diese. (a le,
scritto chiaro, invece, ale, scritto confusionario) = Domani vieni alle dieci. / Tonio el ga magnà le
ale (s. f.) del polastro. = Antonio ha mangiato le ali del pollo. ecc. (a seguire il PARADIGMA
ILLUSTRATIVO)
PARADIGMA ILLUSTRATIVO
Esatto
Prep. articolate
ed altro
de + el
a + el
in unico termine o
separate
o con l’apostrofo
del
al
ai
a+i
Esatto
Errato
con l’apostrofo (senza
con l’elisione
(preceduta da spazio)
spazio anteriore) o in
o con troncamento
unico termine
de ’l
de’l
a ’l
a’l
-
-
da + el
in + el
inte + el
co + el
su + el
ai
dal
nel
int’el
col
sul
da ’l
ne ’l
inte ’l
co ’l
su ’l
da’l
ne’l
co’l
su’l
par + el
par el
pa ’l
par’l
par + i
par i
pa’ i
pai
no + el
no el
no ’l
no’l
nol
un (on) altro
un (on) + altro
’n altro
n’altro
(naltro)
’n altra
na + altra
che + el
n’altra
che el
che ’l
naltra
che’l
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Un detto latino: A natura non deerrare et ad illius legem exemplumque formari sapientia est.
(Seneca, De vita beata, 3, 3). = No sgarar fora da le legi de la natura e formarse fasendo conpagno
de i so esenpi, la xe sapiensa. = Non sviare dalle leggi della natura e formarsi secondo i suoi
dettati, è saggezza.
Zonta = aggiunta. Se te vui far mejo, varda chi che fà mejo. = Se vuoi far meglio, osserva chi fa
meglio.
La S (nei suoi vari usi) (scheda n° 12)
1) LA S SONORA DOLCE INTERVOCALICA (in dialetto una sola s, muso = faccia). 2) - LA S
SORDA SIBILANTE INTERVOCALICA (in dialetto due ss, musso = asino). 3) - LA S
SIBILANTE FRICATIVA SORDA ALVEOLARE DAVANTI ALLA C AFFRICATA SORDA
PALATALE - DIGRAMMA SC -, (caratteristica del nostro dialetto, con s-c, s-ciafa = sberla). 4) LA S SONORA = Z (con la z, bronzo = bronzo). 5) – LA SC FRICATIVA SORDA LINGUALE
(DAVANTI ALLE VOCALI e – i, in italiano: sci - sce), DIVENTA (in dialetto: scialle = siale pesce = pesse).
DELUCIDAZIONI
1) La s sonora dolce intervocalica la riporto con una sola s. Es.: baso = bacio, biso = pisello, camisa =
camicia, case = case, mesa = madia per lavorare la carne di maiale appena macellato, muso = faccia,
pòso = appoggio, rosa = rosa, tase = tace, tose = ragazze ecc. (vedi, anche, scheda n° 2).
2) Per riportare la s sorda sibilante intervocalica, ricorro all’espediente di raddoppiare (unica eccezione
per il raddoppio delle consonanti in veneto) la s in doppia ss. Es.: basso = poco alto, bisso = verme,
tasse = tasse, messa = celebrazione eucaristica, calcossa = qualcosa, casse = casse, grassie = grazie,
pajasso = pagliaccio, pantasso = visceri, pósso = posso, stramasso = materasso, ecc. (vedi, anche,
scheda n° 2)
3) Il digramma sc (che non è suono unico) per indicare la pronuncia staccata dei due suoni lo scrivo,
come consigliano molti studiosi, inserendo un trattino ( - ) s-c. Es.: fis-cio = fischio, mas-cio =
maschio, ris-cio = rischio, s-ceto = schietto, s-ciafa = schiaffo, s-cianta = un poco, s-ciantisa =
scintilla, s-ciantiso = lampo, s-ciapo = gruppo, s-ciarìo = schiarito, s-cioco = schiocco, s-ciona =
anello, s-ciopa = schioppo ecc. (vedi, anche, scheda n° 6)
4) Talvolta, la s (la consonante fricativa sonora alveolare, che incorpora in sé il suono della s e della z)
la scrivo con la z, ma la leggo s dolce. Es.: (scrivo) bronzo = (leggo) bronso = (it.) bronzo // (scrivo)
ànzolo = (leggo) ansolo = (it.) angelo // (scrivo) pulzin = (leggo) pulsin = (it.) pulcino // (scrivo)
rùzene = (leggo) rùsene) = (it.) ruggine, (scrivo) sórze = (leggo) sorse = (it.) sorcio ecc.
5) La s fricativa sorda linguale = sc di sci – sce (dal momento che non esiste il suono corrispondente
‘italiano = dialetto’) diventa: pesce = pesse, sciopero = siòpero, scialle = siale, scelta = sielta o selta,
scemo = sèmo ecc. (vedi, anche, scheda n° 6).
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Un detto latino: Alteri vivas oportet, si vis tibi vivere. (Seneca, Epist., 48, 2). = Bison che ti te vivi
pa’ i altri, se te vui vìvare par ti. = È indispensabile che tu viva per gli altri, se vuoi vivere per te.
Zonta = aggiunta. On nostro vecio dito el dise: ‘Chi sémena vento el rancura tenpesta’. = ‘Chi
semina vento, raccoglie tempesta’.
La SEMICONSONANTE ANTERIORE J - la CONSONANTE ESPLOSIVA SORDA VELARE K - la
CONSONANTE FRICATIVA SONORA ALVEOLARE X (scheda n° 13)
LA SEMICONSONANTE ANTERIORE J
Ritengo il miglior chiarimento il limitarmi a riportare quanto trovo stampato a pag. 33 della Grafia
Veneta Unitaria:
... ma il suo carattere oggi praticamente estraneo anche all’italiano, consiglia di restringerne l’uso.
Essa sostituisce la i solo in due posizioni, quando può alternare nella medesima varietà con g
palatale, e cioè:
-
all’inizio di parola:
jèri (gèri) ‘ieri’, judissio (giudissio) ‘giudizio’, jutar(e) (giutare) ‘aiutare’;
-
in posizione intervocalica tra due vocali sillabiche:
ajo (agio) ‘aglio’, mèjo (mègio) ‘meglio’, mujèr(e) (venez. mugèr) ‘moglie’.
LA CONSONANTE ESPLOSIVA SORDA VELARE K
Ritengo, anche in questo caso, che la delucidazione più chiara, a riguardo di questa consonante, sia
quello di riportare quanto si legge a pag. 34 della Grafia Veneta Unitaria.
“Tanto è raro nell’italiano moderno e contemporaneo, tanto k era frequente nelle scritture
regionali di tutta l’Italia medievale. Va osservato, tuttavia, che nei testi veneziani l’uso della k
sfugge ad ogni norma ed è, comunque, molto raro.
Unico mio commento è quello di evidenziare la parte finale... ed è, comunque, molto raro.
LA CONSONANTE FRICATIVA SONORA ALVEOLARE X
Non desidero sciorinare un’ennesima interpretazione dull’uso della consonante x, dal momento che
è già stata ampiamente commentata dalla Giunta Regionale del Veneto nel 1995 nel MANUALE
‘Grafia Veneta Unitaria’, pag. 50, 51.
Nel trovarmi in pieno accordo con il pof. S. Belloni, ritengo opportuno riportare quanto egli scrive
(nella sua GRAMMATICA VENETA, a pag. 44): ‘Questa consonante x, nella sua pronuncia ics,
d’origine latina, è ormai scomparsa nel dialetto veneto come nell’italiano. Infatti, negli ultimi tempi
30
questa consonante x è sembrata a molti superata, anacronistica, una ‘reliquia della grafia veneta’
(Prati), tanto da essere sostituita da una z (è = ze).
PRESSANTE APPELLO
VENETO’(scritto)!
AI
TUTORI
DELLA
DIGNITÀ
DEL
‘DIALETTO
Se autorità e studiosi prendessero una decisione definitiva per un comune scrivere nel nostro
Triveneto, sull’uso della x, potrebbe essere buona l’idea di mantenerla viva perché è un dato di fatto
accettabile, sia dal punto di vista di una semplice questione di... gusto, come dal punto di vista di
fedeltà alla tradizione veneta. Infatti questa x è stata continuamente usata dal nostro grande
commediografo veneziano Carlo Goldoni e da molti altri grandi autori veneti. Attenzione, però, a
che questa particolarità di riportare l’anacronistica x, rimanga quale eccezione e non la prassi. Una
volta codificata detta particolarità del xe = è (3a pers. sing. e 3a pers. plur., pres. Indicativo del verbo
èssere o èssare), tutti gli scrittori impegnati nel comporre in ‘dialetto veneto’ devono adeguarsi ed
io sarò il capofila nell’adeguarmi.
MIA NOTA PRIVATA, (già, in altre occasioni, espressa)
Riporto quanto ho fatto stampare a riguardo della consonante x nei miei libri (nel secondo, 1999)
“Ve vojo contar...”, a pag. 12; (nel terzo, 2000) “Sta sera ve conto...”, a pag. 20; (nel quarto, 2003)
“Desso ve conto...”, a pag. 251.
‘Seguendo le indicazioni (pag. 50, 51) della Grafia Veneta Unitaria, MANUALE, a cura della
Giunta regionale del Veneto, Venezia 1995, EDITRICE LA GALIVERNA, userò (fra le tante forme
trovate qua e là: xé, xè, xe; zé, zè, ze) il ‘xe’, anche se, a mio modesto parere, preferirei scrivere,
come oggigiorno sostengono in molti, ‘ze’ (senza accento).
Un detto latino: Ars longa, vita brevis. (Cfr. Seneca, De brev. Vitae, 1, 1). = L’arte la xe longa, la
vita la xe curta. = L’arte è lunga, la vita è breve.
Zonta = aggiunta. A ogniun ghe piasarìa de saver e de poder far na mota de robe, ma, a la fin fine,
el pol fàrghene propio poche. = A ognuno piacerebbe sapere e potere espletare inumerevoli attività,
ma, alla fin fine, non può che realizzarne veramente poche.
PARTICOLARITÀ VENETE-VICENTINE (scheda n° 14)
INDICAZIONI VARIE IN ORDINE ALFABETICO:
Ca, che (cong.) = che. Lassa ca te diga. = Lascia che ti dica.
Chi (pron. dim. e pron. rel.) = chi. Chi no lavora no magna. = Chi non lavora non mangia.
Personalmente preferisco scrivere: Chi che no lavora no magna). Chì (avv. di luogo) = qui.
Vien chì. = Vieni qui.
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Co, co’ (prep. sem.) = con. Vegno co (co’) ti. = Vengo con te. Có, quando (cong. avverbiale.) =
quando. Te telèfono có (quando) rivo. = Ti telefono quando arrivo.
Co fà = tanto quanto. (agg. alterato di grado di uguaglianza). Tonio el xe bon co fà el pan. =
Antonio è buono tanto quanto lo è il pane. Co fà = come (cong. correlativa.). El coréa co fà on
liévore. = (Egli) correva come una lepre.
Così, cossì, cussì e cussìta (avv.) = così. Cussì n’altra volta te inpari. = Così un’altra volta impari.
Da (prep. sem. di luogo) = da. Vegno da… = Arrivo da.... Dà (verbo di dare) = dà. Verzi el
tacuin e dà on scheo al poareto. = Apri il taccuino e dà un soldo al bisognoso.
Desà, za (avv. di tempo) = (it.) già., (lat.) iam. Sito za rivà? = Sei già arrivato?
Do, du (v. rust.) - (agg. num. card.) = due. El me ga dà du pumi. = Mi ha dato due mele.
Fa (prep.) = fa. A só rivà n’ora fa. = Sono arrivato un’ora fa. Fà (verbo di fare) = fai. Fà el bravo.
= Fai il bravo. Fa = Fa (nota musicale).
Ghe xe, ghè = c’è / ci sono. Se si esercita come verbo va accentato così da non confondersi con altro
ghe = a lui, il quale non porta accento. No ghè nissun che ’l me… = Non c’è nessuno che mi… . //
No ghè santi che i… = No ci sono santi che… . // Ti te ghè pressa. = Tu hai fretta. // Mi no ghe
credo. = Io non gli credo.
Inte (prep. di luogo) = dentro, drento (v. rust.). Attenzione inte (riportato in unica parola) lo si può
far derivare direttamente dalla lingua latina: ‘intus’ = all’interno /// ‘inter’ = in mezzo /// ‘intra’
= nell’interno. Inte (parola unica), ha senso chiaro se desunto dalla radice latina, ha senso incerto
se scritto in te (due termini staccati). I òmini i xe inte i canpi. = Gli uomini sono nei campi. // A lo
go leto inte el giornale. = L’ho letto nel giornale. (Belloni, pag. 197).
La (art. det. fem. sing.) = La. La rosa la xe parfumà. = La rosa è profumata. Là (avv. di luogo) =
là. Meti la sporta là. = Posa la borsa là.
Lori, luri (pron. pers.) = loro. Luri i xe nà de longo. = Loro sono andati via.
Me = mio, mia, miei, mie. (me pare = mio padre, me mare = mia madre, me fradelo = mio fratello,
me sorela = mia sorella, me fradei = i miei fratelli, me sorele = le mie sorelle, me zio = mio zio,
me zia = mia zia, me zii = i miei zii, me zie = le mie zie, me nono = mio nonno, me nona = mia
nonna, me noni = i miei nonni, me none = le mie nonne – agg. poss., senza accento. Il me vale per
il genere mas., fem. - sing. e plur.).
Ne (pron.) = ne. Doman te ne regalo tri (de libri). = Domani te ne regalo tre (di libri). Né (cong.
neg.) = né. Toni no el xe né bon né brao. = Antonio non è né buono né bravo.
No (cong. negativa) = non. No stà dir che… = Non dire che.... Nò (avv. di negazione) = no. Te go
dito de nò. = Ti ho detto di no.
Sè (verbo di sapere) = tu sai. Cussì ti te sè (v., acc. g.) che... = Così tu sai che... Sé (s. f., acc. a.) =
sete. Par piassere, dame aqua ca go sé. = Per favore, dammi acqua perché ho sete. Se (part.
dubitativa, senza acc.) = se. Se te piase, studia = Se ti piace, studia.
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So = suo, sua, suoi, sue. (so pare, so mare, so fradelo (i) e so sorela (e) = suo padre, sua madre, suo
(i) fratello (i), sua (e) sorella (e) – (vedi c. s., per il me) - agg. poss., senza accento. Il so vale per il
genere mas. fem. - sing. e plur.
Sto = questo / sta = questa / ste = queste. Sto pan el xe vecio. = Questo pane è vecchio. // Sta
menestra la xe freda. = Questa minestra è fredda. // Ste margarite le xe fiape. = Queste margherite
sono appassite. Sto, sta, ste, se sono aggettivi dimostrativi, non vanno accentati. Stò, stà, stè (se
sono voci del verbo stare, vanno accentate).
Su (prep. di luogo) = sopra. Meti i piati su la tola. = Posa i piatti sopra la tavola. Sù (avv. di
luogo). A go catà sù on saco de nose. (catà sù: tipico modo veneto d’esprimersi, intraducibile) = Ho
raccolto un sacco di noci.
To = tuo, tua. (agg. poss.). To nono / a = Tuo nonno / a; to noni / e = I tuoi nonni / e; (vale quanto
detto per il me). El to (agg. poss.) libro el xe novo, el mio (pron. poss.) el xe vecio. = Il tuo libro è
nuovo, il mio è vecchio.
Tra = fra (prep. sem., di luogo). Tra mojere e mario no mètare el déo. = Fra moglie e marito non
mettere il dito.Trà = getta, gettato. El dado xe stà trà. = Il dado è tratto, oppure, il dado è stato
tratto.
Un, on = uno (art. ind. m. o agg. num. card.). Dame on (un) pomo. = Dammi una mela.
Na, ’na = (it.) una = (lat.) unam. (art. ind. f. o agg. num. card.). Dame na saresa. = Dammi una
ciliegia.
Ve = voi (pron. pers.) Ve ricordéo de saludarme Nani? = Vi ricordate di salutarmi Giovanni? Vè =
andate. (2a per. plur. del v. andare). Vè casa vostra. = Andate a casa vostra.
Zó, só (com.) e dó, dóso (v. rust.) - (avv.) = (it.) giù = (lat.) deorsum. Buta zó la pasta. = Butta giù
la pasta.
LE DOPPIE
Come fanno i più e come conferma la tradizione orale (la gente che sento parlare tutt’ora) e quella
scritta (chi sciveva il veneto autentico), risolvo questo problema nella forma più semplice e, nel mio
scrivere, non uso mai le doppie (fatta eccezione, come più volte detto, per la consonante s, quando
trattasi di una s sorda intervocalica sibilante).
CHI VA LÀ
Senza fare il ‘secondino’, faccio appello all’onestà dello scrittore in veneto affinché, quando applica
questa singolarità, del tutto veneta, non scriva una volta oto (con una sola t perché gli fischia
l’orecchio destro) e una volta otto con due tt (perché gli fischia l’orecchio sinistro) ‘salvandosi’ con
il paravento: ‘Tanto, el xe dialeto!’ oppure ‘Ciò, bison agiornare el vèneto!’ oppure ‘Tanto, chi xe
che lo capisse!’. Come per tutte le faccende ben fatte, anche per il ‘dialetto veneto’ vale univocità,
coerenza e serietà!
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SEMBRANO ERRORI, MA NON LO SONO
L’uso della e e della a sono promiscui: èssere, èssare – còrere, còrare – faséo, faséa – vedéo, vedéa
– métere e métare – védere e védare - scominsio e scuminsio, scomissio e scumissio // mónzare,
mónsare, mónzere, mónsere, móndere, móndare // savéo e savéa ecc.
È esatto scrivere: piè e pié e pìe // sìe, siè, sié // nessun e nissun // gnente e gninte e ninte //
intaresse e interesse // poareto e puareto // mesi e misi // sarvèlo e servèlo // curame e corame //
leame, luame, loame // leamaro, luamaro, loamaro // fursi, forsi, forse // tacoin e tacuin // la late e
el late, ecc.
Non bisogna confondere i veri diminutivi con i diminutivi falsi come: buséta = occhiello, anche,
piccola buca / cichéto = assaggio, anche, piccola romanzina – muséto = cotechino, anche, piccolo
muso (faccia) ecc.
Caratteristica del ‘dialetto veneto’ è che la 3a pers. sing. è sempre uguale alla 3a pers. plur. . Es.:
Lu el magna. Luri i magna. // Lu el core. Luri i core. // Lu el beve. Luri i beve. // Lu ’l varda.
Luri i varda. // Lu el camina. Luri i camina. ecc.
L’USO DELLA CONSONANTE M = N
M’accodo alla maggior parte degli scrittori veneti e, senza incertezze o pentimenti, antepongo
sempre la n davanti alla p di canpana = campana ed, anche, antepongo sempre la n davanti alla b
di onbrela = ombrello. Vale, c. s.: CHI VA LÀ. [Per inciso, faccio notare che Fedro, nella sua 1a
favola LUPUS ET AGNUS, al 2° rigo scrive (sic): siti conpulsi. (Ad rivum eundem lupus et agnus
venerant / siti conpulsi: superior stabat lupus...)].
QUASI CAVILLI
1) - Ho riportato la o dei sostantivi maschili dal singolare al plurale in u. Es.: sposo – spusi // toso – tusi
// fiore – fiuri // dovo – duvi // pomo - pumi // ovo – uvi // bosco – buschi // sboco – sbuchi // picon
– picuni // bandon - banduni // tordo – turdi // laoro – lauri // strasson – strassuni //capon - capuni
ecc.
2) - Nel tentativo di vivificare l’armoniosa cantilena propria del dialetto veneto, ho preferito riportare i
verbi, nella forma infinita, tronchi (troncamento). Es.: magnar = magnare, zugar = zugare, saltar
= saltare ecc. Così anche per i vocaboli. Es.: porsel = porselo, onbrelin = onbrelino, jardin,
giardin = jardino, giardino, dotor = dotore, osmarin = osmarino ecc.
3) - Qualche volta ho riportato forme di morfologia esatta del veneto ‘vecio’ (un tempo comuni, oggi in
disuso) come, il fenomeno dell’afèresi, che accorcia un vocabolo: lora (alora), opà (popà), rosto
(arosto); oppure, del rotacismo, che trasforma la consonate l nella consonante r. Es.: bicicreta =
bicicleta // furminante = fulminante ecc.; oppure dell’epèntesi per la quale si inserisce una o più
lettere. Es.: càvara (cavra) = capra // làvaro (lavro) = labbro ecc.; oppure della metàtesi per la quale
avviene la trasposizione o l’inversione della consonante r. Es.: cronpare = comprare // drento =
dentro o, addirittura, la consonante r viene eliminata. Es.: propio = proprio ecc.; oppure della
sìncope, che fa cadere una o più lettere all’interno di una parola. Es.: faséa = faseva, poro = povero
ecc.; oppure la pròstesi a causa della quale viene aggiunta una o più lettere. Es.: aradio = radio //
inmuciare = muciare // inamente = in mente ecc.
34
4) - Personalmente preferisco (e così ho operato), ripetere il pron. personale. Es.: la mama la xe brava.
(ma è corretto anche: la mama xe brava); el sielo el xe linpio. (ma è corretto anche: el sielo xe
linpio.) ecc.
Un detto latino: Prima creterra ad sitim pertinet, secunda ad hilaritatem, tertia ad
voluptatem, quarta ad insaniam. (Apuleio, Florid., 20, 2). = El primo goto el xe par la sé, el
secondo par l’alegria, el terso par el piassere, el quarto par la ciuca. = Il primo bicchiere è per la
sete, il secondo per l’allegria, il terzo per il piacere, il quarto per la sbornia.
Zonta = aggiunta. ‘La vita xe bela e me la vojo goder’, canta na canson e xe vèro, parché la vita la
se ga da vìvarla co passion, ma, anca, svanpolàndosela. = ‘La vita è bella e me la voglio goder’,
canta una canzone ed è vero, perché bisogna viverla con serietà, ma anche, godendosela.
Gli AGGETTIVI NUMERALI CARDINALI e ORDINALI e dei QUIPROQUÒ (scheda n° 15)
DEFINIZIONE DELL’AGGETTIVO CARDINALE & ORDINALE
a) - Gli aggettivi cardinali indicano quantità numeriche ben determinate; essi costituiscono la base
(cardine) per formare tutti gli altri numerali. Ad eccezione di on, un ( 1 ), che fa al femminile na =
it. una, gli aggettivi cardinali sono invariabili con valore al plurale. Es.: Un / on omo. – Na dòna. //
Do porte. – Do, du portuni. // Tre naranse. – Tre, tri piri. ecc. I cardinali si scrivono in cifre arabe
(cosidette perché furono gli arabi, nel Medievo, a diffonderle in Europa). Essi possono essere
riportati in cifre arabe: 1, 2, 3, 4 ecc., oppure in lettere: uno, due, tre, quattro ecc.
b) - Gli aggettivi ordinali indicano l’ordine nel quale è disposta una persona, un animale, una cosa.
Essi sono variabili in genere e numero e possono essere riportati in cifre romane (come usavano gli
antichi romani): I, II, III, IV ecc., oppure in lettere: primo, secondo, terzo, quarto ecc, oppure in
cifre arabe con, (nella parte alta di destra del numero), un cerchietto ‘ ° ’(per i maschili) oppure
una ‘ a ’ (per i femminili): 1°, 2°, 3°, 4°, oppure, 1a. 2 a, 3 a, 4 a ecc. Essi sono variabili in genere e
numero. Es.: primo, prima, primi, prime. ecc.
È sconsigliato riportare I°, II°, III°, IV° (con il cerchietto o, oppure, con la piccola a).
NUMERI CARDINALI
0 zero
NUMERI ORDINALI
------------------
1 on, un
I primo/a/i/e
2 do, du
II secondo...
3 tri, tre
III terso...
4 quatro
IV quarto...
5 sinque
V quinto...
35
6 sie, siè, sié
VI sesto...
7 sete
VII sètimo
8 oto
VIII otavo...
9 nove
IX nóno...
10 diese
X dècimo...
11 óndese, ùndese
XI on/undicèsimo... (on = un)
12 dódese
XII dodicèsimo...
13 trèdese
XIII tredicèsimo...
14 quatòrdese
XIV quatordicèsimo...
15 quìndese
XV quindicèsimo...
16 sèdese
17 diciassete, dissete
XVI sedicèsimo...
XVII diciassetèsimo...
18 disdòto
XVIII disdotèsimo...
19 disnove
XIX disnovèsimo...
20 vi/venti
21 vintion, vintiun
XX vi/ventèsimo... (vi... = ve...)
XXI vintio/ventiunèsimo...
22 vi/ventidó, vi/ventidù
XXII vi/ventido/uèsimo... (do = du)
23 vi/ventitrè
XXIII vi/ventitri/eèsimo... (tri = tre)
24 vi/ventiquatro
25 vi/ventisinque
XXIV vi/ventiquatrèsimo...
XXV vi/ventisinqueèsimo...
26 vi/ventisìe, vi/ventisiè, vi/ventisié
XXVI vi/ventisieèsimo ...
27 vi/ventisete
XXVII vi/ventisetèsimo...
28 vi/ventioto
XXVIII vi/ventiotèsimo...
29 vi/ventinove
XXIX vi/ventinovèsimo...
30 trenta
31 trentaon, trentaun
XXX trentèsimo..
XXXI trentao/unèsimo...
36
32 trantadó, trentadù
XXXII trentado/duèsimo...
33 trentatrì, trentatrè
XXIII trentatri/eèsimo...
a seguire
a seguire
40 quaranta
XL quarantèsimo...
50 sinquanta
L sinquantèsimo...
60 sessanta
LX sessantèsimo...
70 setanta
LXX setantèsimo...
80 otanta
LXXX otantèsimo...
90 novanta
XC novantèsimo...
100 sento
C sentèsimo...
101 sentoon, sentoun
CI sentoonèsimo, sentounèsimo...
102 sentodó, sentodù
CII sentodoèsimo, sentoduèsimo...
103 sentotrì, sentotrè
CIII sentotrièsimo, sentotreèsimo...
a seguire
a seguire
200 dosento
CC dosentèsimo...
300 tresento
CCC tresentèsimo...
400 quatrosento
CCCC / CD quatrosentèsimo...
500 sinquesento
D sinquesentèsimo...
600 siesento
DC siesentèsimo...
700 setesento
DCC setesentèsimo...
800 otosento
DCCC otosentèsimo...
900 novesento
DCCCC / CM novesentèsimo...
1.000 mile
M / C-
2.000 do/dumila
MM do/dumilèsimo...
3.000 tri/tremila
MMM tri/tremilèsimo...
10.000 diesemila
milèsimo...
diesemilèsimo...
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20.000 vi/ventimila
vi/ventimilèsimo...
30.000 trentamila
1.000.000 on, un milion
2.000.000 do, du miliuni
3.000.000 tri, tre miliuni
trentamilèsimo...
/
on, un milionèsimo...
do/dumilionèsimo...
tri/tremilionèsimo...
CALCOLI QUASI CABALITICI
I romani non conoscevano i numeri arabi e comunicavano le cifre numeriche modificando le lettere
dell’alfabeto. Le lettere in questione sono: la V = 5 / la X = 10 / la L = 50 / la C = 100 / la D = 500 /
la M = 1.000.
Particolarità:
a) - La ‘lettera’ dell’alfabeto latino, da ‘lettera’ diventa ‘numero ordinale’ romano. Es.: X = 10 //
= 10.000. Scrivi 10, leggi dieci, (numero ‘cardinale arabo’) // Scrivi , leggi diecilillesumo
(numero ‘ordinale romano’).
b) - Una lineetta, posta sopra la ‘lettera’ dell’alfabeto latino, la moltiplica, automaticamente, x
1.000. Se scrivi
essendo numero ‘numero ordinale’ romano, leggi diecimillesimo; se scrivi
10.000, essendo numero ‘cardinale arabo’, leggi diecimila.
c) – Tre lineette, poste a sinistra, sopra, destra della lettera dell’alfabeto latino, la moltiplicano,
automaticamente, x 100.000. Se scrivi , essendo numero ‘ordinale romano’, leggi diecimillesimo;
se scrivi 10.000, essendo numero ‘cardinale arabo’, leggi diecimila.
CONCLUSIONE DOTTA ED INCRUENTA
La lineetta (sopra la ‘lettera’), trasforma, automaticamente, la ‘lettera’ in ‘numero’ e lo moltiplica,
automaticamente, x 1.000.
Le tre lineette (sinistra, sopra, destra), trasformano, automaticamente, la ‘lettera’ in ‘numero’ e lo
moltiplicano, automaticamente, x 100.000.
Pacifica e pratica conclusione: e fu così che vissero tutti felici e contenti!..
I numeri cardinali, dall’uno ( 1 ) al milione ( 1.000.000 ), meno l’uno ( 1 ), sono aggettivi. Invece,
sono sostantivi on mijaro/mejaro = it. migliaio; on, un milion = it. milione; on, un miliardo = it.
miliardo. Questi numeri reggono un complemento di specificazione, per il qual motivo sono seguiti
dalla prep. sem. (dial.) de = (it.) di. Es.: On, un mijaro/mejaro de mussolini. = Un migliaio di
moscerini. // On, un milion de basi. = Un milione di baci. // On, un miliardo de giosse. = Un
miliardo di gocce. ecc.
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BENE A SAPERSI
Tutti i numeri composti, cardinali e ordinali, vanno scritti in un’unica parola: (cardinali) disnove
piégore, vi/ventioto piégore, trentasete piégore, quarantasié/è piégore, sinquantasinque piégore,
mìlesiesèntosessàntaquàtro piégore (1.664a ) ecc...; (ordinali) XIX disnovèsima piégora, XXVIII
vi/ventiotèsima piégora, XXXVII trentasetèsima piégora, XLVI quarantasieèsima piégora, LV
sinquantasinqueèsima piégora, MDCLXIV mìlesieséntosessàntaquatrèsima piégora ecc.
POSSIBILI ABBAGLI
1) - Attenzione a non confondere chel con che el o che ’l. Es.: Anca mi a go visto chel (agg. dim.) film.
= Anch’io ho visto quel film. // Mi a go visto che el (che ’l) (che, cong. + el, art. det.) toso pianzéa.
= Ho visto che il ragazzo piangeva. È errato scrivere che’l. (vedi paradigma)
2) – Attenzione a distinguere un/on (art. ind. m.) da un/on (agg. ind.). Es.: A go cronpà on/un
mandarin. = Ho comperato un mandarino. / Es.: On/un zorno a l’altro vegno casa tua. = Un giorno
o l’altro vengo a casa tua.
3) – Attenzione a non confondere na (art. ind. f.) con na (agg. indefinito). Es.: A go cronpà na casa. =
Ho comperato una casa. / Es.: Na volta gerimo amici! = Un tempo (una volta) eravamo amici!
DISTINZIONI UNITARIE - (Maritan definì le differenze: ‘distinzioni unitarie!’- vedi scheda n°
2).
Alcune forme di scrittura veneta, appaiono contradditorie e, quindi, sbagliate. In realtà, esse, dal
punto di vista grammaticale ed ortografico, sono esatte, ciascuna per conto proprio. Riporto le più
eclatanti:
1) Es.: (it.) Io sono (v. del verbo èssere). - (it.) Io sono vicentino. = (dial. vic.) Mi a só visentin. / Mi só
visentin. / Mi son visentin. / Mi so’ visentin. È errato scrivere: Mi sò (perché sò – acc. grave. - è
voce del verbo savere) visentin. / È errato scrivere: Mi so (perché il so, non accentato, è o agg. poss.
o pron.) visentin. È ridicolo scrivere: Mi sono vicentino.
2) Es.: (it.) Con [prep. (dal lat. cum)]. (congiunzione o cong. di compagnia) L’ànema co el (col) corpo.
= L’anima con il corpo. / Il cacciatore con il cane. = El cassador co el (col, co ’l) can. \-/ (di tempo)
Levarsi con l’alba. = Levarse co (co’) l’alba. \-/ (di causa) Si uniscono con la calce. = I se taca co la
calse (da evitare cola). \-/ (di strumento o di mezzo) Legge con gli occhiali. = El lese co i (coi)
ociai, (uciai). \-/ (di maniera) Mi rispose con rabbia. = El me ga risposto co (co’) rabia. \-/ (di
comparazione) Non si può paragonare la mia vita con la tua. = No se pol paragonar la me vita co la
tua. In tutti i precedenti esempi, può essere ammesso scrivere con (per assuefazione all’italiano). In
tutti i precedenti esempi, è errato scrivere có (accentato), perché, il có (accentato) diventa avverbio
di tempo: Quando arrivi, telefonami. = Có te rivi, telèfoname.
INVITO ALL’IMPEGNO PERSONALE PER CHI SCRIVE IN DIALETTO
Io, come veneto-vicentino della Valle del Chiampo, ho il dovere e il pieno diritto di difendere e
salvare le particolarità del ‘mio dialetto locale’, demandando l’identico compito agli altri scrittori
dei territori limitrofi. Quindi, per me, è impegno lodevole scrivere on pomo, on pugno, on oselo.
Nello stesso territorio vicentino e fuori d’esso, si scriverà un pomo, un pugno, un oselo ecc. Tutto
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in regola! Io scriverò, sempre, amico, morecia, majo ecc. In altre località si scriverà amigo,
moregia, magio ecc. Tutto perfetto! Io scriverò, sempre, ciàcole, góndola, polenta ecc. In altre zone
si scriverà ciàcoe, gòndoa, poenta. (senza la consonante l ). Sono convitno, inoltre, che lo scrittore
veneto dev’essere alla pari dello scrittore italiano e deve godere o subire i medesimi oneri ed onori.
Nel ritenere che sia superfluo riportare altre particolarità, tengo a sottolineare che le suddette
‘paesane varianti’, devono essere viste e vissute come il ‘bel folclore’ del ‘multiforme dialetto
veneto e veneto-vicentino’ e non come la ‘inabilità’ dei medesimi.
ULTIMO CHIROGRAFO
Se vogliamo salvaguardare il nostro ‘dialetto veneto’, dobbiamo iniziare conoscendolo, studiandolo,
apprezzandolo, riportandolo sulla carta con dignità di ‘lingua veneta’. La padronanza della
grammatica e dell’ortografia, promuove un ‘dialetto’ a ‘lingua’!
Un detto latino: Principia omnium rerum exigua. (Cfr. Seneca, De benef., 3, 29, 4). I prinsipi de
tute le robe i xe picinini. = I principi di tutte le cose sono piccoli.
Un secondo: Omnium rerum principia parva sunt. (Cicerone, De fin., 5, 58). = De tute le robe i
prinsipi i xe picinini. Di tutte le cose i principi sono piccoli.
Dante conferma: ‘Poca favilla gran fiamma seconda’. (Par., 1, 34).
Zonta = aggiunta. Metendo on quarelo sóra on altro, pian pianelo se tira sù na casa. Roba
conpagna xe par le nossion gramaticali, pian pianelo le s’inpara. = Mettendo un mattone sull’altro,
pian piano si costruisce una casa. Stesso fatto è per le nozioni grammaticali, piano piano
s’apprendono.
IPOTETICA (VIRTUALE) CONCLUSIONE
A sto punto e se al dì de oncó Seneca el podesse dir la sua, el disarìa = A questo punto e se
oggigioro Seneca potesse dire la sua, direbbe: Otium sine litteris mors est, et hominis vivi
sepultura. (Seneca, Epist., 82, 3). = El spassàrsela sensa studi, la xe morte pa’ i òmeni e tonba pa’ i
vivi. = Spassarsela senza studi è morte per gli uomini e tomba per i vivi.
Se Ciceron el scanpasse ancor, el disarìa. = Se Cicerone vivesse ancora, direbbe: Historia est
testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis. (Cfr. Cicerone,
De orat., 2, 36). = La storia la xe testimone de i tenpi, luse de verità, vita del mensonare, maestra de
vita, messagera de le robe vece. = La storia è testimone dei tempi, luce del vero, vitalità della
rimembranza, maestra di vita, messaggera del passato.
Orassio, penso, el disarìa = Orazio, penso, direbbe: Nunc est bibendum. (Orazio, Carm., 1, 18, 15). = Desso xe ora de bévarghe sóra. = Adesso è l’ora di brindare.
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CONCLUSIONE
Nell’accingermi a mettere il punto fermo a riguardo della presentazione di notizie circa il ‘dialetto
veneto-vicentino’, sento il dovere di scusarmi con i lettori delle mie eventuali imperfezioni. Esso è
stato un lavorio lungo e minuzioso e, lo confesso, ‘appassionante’, che ho imbastito, con ininterrotta
costanza, fin dall’autunno del 1997, in seguito ad un colloquio con mia madre (apparsami in sogno),
che mi disse: ‘Scrivi come ca te go insegnà mi’. Dopo aver letto, studiato ed assorbito svariate
acquisizioni ed, in specifico, la grammatica greca, latina, italiana, francese, inglese (da giovane),
eccomi (ormai non più giovane, ma confortato dai miei studi classici ed artistici), con una sorpresa
in penna: la possibilità di riassettare tutte queste vecchie conoscenze per tentare una qualificazione
del ‘dialetto veneto’. Il mio redigere dialettale, facilitato dai citati apprendimenti, oltre che avvalersi
dell’affetto alla terra natia, si riallaccia ai ricordi della fanciullezza trascorsa a Castello e ad
Arzignano, fino al gennaio del 1960. Da quella data, tornando raramente nel Veneto, non ho più
potuto praticare la parlata dialettale, ma, quando scrivo nella ‘lingua madre’, spicco un volo di oltre
quarant’anni, chiudo gli occhi, penetro nei meandri della memoria, rivivo le situazioni, gli odori, i
rumori, i sapori, quel ‘tran-tran’ delle cose vecie e mi riallaccio, intimamente, al parlare della
mamma e delle persone care, con le quali ho convissuto l’età dorata. Mi si perdoni se, con il mio
modo di comporre, più che il ‘dialetto d'oggi’, salvaguardo le raise vènete del dialetto del tempo
che fu.
... e tutto questo per una buona salute del nostro caro e bel ‘dialetto veneto’, con l’auspicio che,
almanco par na s-ciantinela ghe la gabia fata a far sì che, grazie ad una corretta scrittura, al
‘dialetto veneto’ sia riconosciuto il ‘virtuale rango’ di ‘lingua veneta’.
Antonio Balsemin ( Roma, gennaio 2004)
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