Progetto Valle Camonica: un modello di integrazione fra cultura e

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Progetto Valle Camonica: un modello di integrazione fra
cultura e turismo
La cultura per natura ha sempre una dimensione collettiva e sociale.
Il turismo per natura è una dimensione economica, e quindi è sempre un interesse
individuale.
Legare questi due elementi è tuttavia uno stimolo forte, e per certi versi una condizione
naturale per trasformare un bene collettivo (quello culturale) in prodotto che può avere un
mercato.
Significa, per un territorio come la Valle Camonica, preparare un progetto di marketing
territoriale. E, poiché il marketing territoriale può suscitare subito qualche diffidenza, mi
piacerebbe illustrarvi due o tre elementi che lo fanno essere un elemento determinante per
la Valle.
Il marketing territoriale è un meccanismo di sviluppo che usano molto territori europei e
italiani dagli inizi degli anni ‘90 quando il territorio è stato considerato una vera e propria
risorsa per la comunità locale, e si è fatta strada l’dea che il territorio è l’insieme delle
forze, un sistema complesso di forze, e tenerle legale, unite, integrate è l’obbiettivo primo
di qualsiasi iniziativa che voglia lavorare lungo questo settore.
In questi 20 anni il problema dello sviluppo economico in Italia e nel mondo non è più solo
quello della competizione fra soggetti economici, ma quello della competizione fra vari
sistemi territoriali.
Il marketing territoriale ha un obiettivo fondamentale che è quello di valorizzare il territorio
attraverso l’arte e le tradizioni, la gastronomia, i luoghi, i paesaggi, le memorie, le persone.
Le risorse culturali di cui la Valle è ricca - musei, monumenti, siti archeologici e soprattutto
centri storici – assieme al fattore materiale, al sapere materiale e immateriale – cibo,
artigianato, tradizioni, paesaggio, ambiente – costituiscono l’insieme delle risorse che
permettono il processo di valorizzazione di una determinata area.
Tuttavia, il marketing territoriale per essere svolto deve rispondere ad alcuni obbiettivi e ad
alcuni principi. Mi limiterò a delinearne almeno tre che sono fondamentali perché si sappia
che il marketing territoriale possa avere successo.
Il marketing territoriale è quello che ha consentito di cambiare – e quando dico cambiare
dico cambiare letteralmente – lo sviluppo di alcune aree.
Gli esempi che vengono fatti oggi li conoscete: il più antico di questi complessi
meccanismi di marketing l’ha fatto Bilbao, ma dopo Bilbao almeno altri venti siti industriali
in Europa si sono trasformati da territori industriali a territori culturali e turistici con sforzi e
investimenti colossali e con ambizione pari a questi sforzi.
Il più recente è quello di Graz, cittadina austriaca che ha un territorio certo più vasto del
nostro – ha 300.000 abitanti – ma in 10 anni è passato da un’economia industriale
disastrata, e ormai sconfitta, ad un luogo di servizi, cominciando da quelli universitari e di
cultura, di musei, di sale musicali, e di biblioteche che formano la rete organizzativa di
base di tutti i territori che vogliono fare marketing culturale e turistico.
Ne faccio accenno perché contrariamente a quello che si credeva - che le biblioteche
pubbliche sarebbero finite - le biblioteche pubbliche stanno diventando in tutto il mondo
l’ossatura della coesione sociale e l’elemento di sviluppo del marketing territoriale.
Per farvi un esempio banale e per farvi capire cos’è: nel 2010 dei 18.000.000 di domande
che sono state spedite per cercare lavoro negli Stati Uniti, 11.000.000 sono state spedite
dalle biblioteche pubbliche.
Nell’ambito della Ruhr in Germania le biblioteche sono diventate l’alternativa ai
supermercati l’alternativa di utilizzo del tempo libero da parte della popolazione su d’età e
da parte dei giovani.
Vi si trovano dai bar, ai giornali, ai quotidiani, vi si trova l’accesso a internet si impara
l’alfabeto digitale per chi non lo sa, si trova il caldo l’inverno e il raffrescamento d’estate, si
trova il modo per passare la giornata.
Le grandi biblioteche centrali sparse in Europa sono i luoghi più visitati essendo i luoghi
più depositari della cultura.
La cultura è l’identità di quei luoghi, il turismo è la capacità di conoscere questa identità e
di farla vivere, di lasciarla vivere.
Le tre fasi per fare una pianificazione strategica di marketing partono con una costruzione
dal basso.
La differenza fra il marketing dei prodotti commerciali aziendali e il marketing territoriale è
esattamente questa: il marketing del territorio parte come un progetto di comunicazione
dal basso, come un coinvolgimento della popolazione, come la capacità di rendere coeso
l’interno territorio.
Queste fasi sono quelle che in Valle secondo me si stanno facendo correttamente.
Primo il processo di diagnosi che si propone di individuare i punti di forza, ma prima
ancora i punti di debolezza; se non conosciamo i punti della nostra debolezza è difficile
che siamo capaci di valorizzare i punti di forza.
Poi c’è la fase progettuale che si pone l’obiettivo di arrivare a valorizzare e utilizzare le
potenzialità del territorio e infine c’è la fase di contatto che è la fase di presidio di questa
operatività: una volta che abbiamo saputo quali sono i nostri valori, le nostre potenzialità,
una volta che abbiamo sconfitto i punti di debolezza, chi poi ha la capacità del contatto?
Contatto vuol dire una capacità di rapporto con tutti gli attori del sistema che non sono solo
esterni, i primi attori del marketing territoriale sono gli attori interni: la popolazione, gli
interessi, i bisogni e gli operatori.
E allora questo progetto di marketing territoriale che integra turismo e cultura è un
progetto che ha bisogno di tre grandi principi per essere fatto.
Primo: principio di sostenibilità che implica un equilibrio ambientale del territorio, un
equilibrio socio culturale e assieme un equilibrio economico.
Noi parliamo di sviluppo turistico, ma dobbiamo esattamente capire e sapere se la nostra
gente lo vuole, se serve e se è pronta a sposarlo.
Mi capita spesso di dire che dal lago di Garda al lago di Iseo abbiamo cercato di fare
investimenti anche colossali nel turismo, ma il 90% dei nostri addetti sono extracomunitari,
e quando cerchiamo delle ragazze che devono lavorare il sabato e la domenica otteniamo
dei dinieghi.
Secondo: principio della sussidiarietà responsabile. Non si fa turismo senza avere chiarito
l’identità culturale, non si fa turismo se non c’è una decisa collaborazione nel sistema.
Il turismo è un sistema complesso che esige una collaborazione molto coesa.
Ad esempio il dibattito sul turismo della città di Brescia è un dibattito terribile, perché i
bresciani che non hanno più la città industriale e non hanno più la città finanziaria, smarrita
in cinque anni la seconda e in cinquant’anni la prima, si illudono di fare turismo.
In città gli alberghi sono occupati al 30% e in cinquant’anni han fatto un solo investimento
alberghiero: la cultura della città è una cultura totalmente indisponibile all’accoglienza,
almeno fino ad oggi.
I beni culturali della città di Brescia sono straordinari, sono tra i più ricchi della Lombardia,
ma la cultura dell’accoglienza che trasforma questi beni in prodotti, non esiste, non è
nemmeno agli inizi.
Nemmeno l’università ha la sensibilità dell’accoglienza, perché tutto nasce in una città in
cui il DNA è industriale, abituato agli interessi individuali che necessariamente diventano
egoismi.
In città abbiamo investito negli ultimi 30 anni, qualche centinaia di milioni di euro
nell’edilizia residenziale e commerciale, non abbiamo fatto un albergo, non è stato
imposto, non è stato sentito come necessario dal sistema.
L’aveva imposto Cesare Traversi quando fece Brescia 2, ma l’albergo fallì perché l’idea di
cambiare sviluppo vuol dire in qualche modo garantire che negli investimenti complessivi
ci siano gli investimenti necessari al nuovo sviluppo e quindi il principio della sussidiarietà
responsabile ed efficiente.
Terzo: principio di competitività. Il turismo è fatto di tanti segmenti, ogni territorio deve
sapere che oggi compete fortemente con altri territori che magari hanno identità similari, e
quindi trovare la specificità da valorizzare, la diversa identità è il ruolo del marketing
territoriale.
Per finire questa parte tassonomica, di organizzazione, che è uno dei temi fondamentali
per fare marketing, segnalo che il tema organizzativo, “chi fa che cosa”, è fondamentale.
Ultima avvertenza: il marketing territoriale è per natura un progetto di comunicazione e
comunicare un territorio non è comunicare un prodotto commerciale: comunicare un
territorio esige una capacità totalmente diversa da quella del marketing dei prodotti, esige
un raffinatezza di strumenti e capacità di comunicazione molto avanzati.
Quando si parla di marketing territoriale come strategie di progetto da un lato, e processo
di comunicazione dall'altro, si parte sempre dal basso, la comunicazione prima è quella dal
basso: nel marketing territoriale la comunicazione non è con i nostri utenti, arriva dopo la
comunicazione col mercato, la prima comunicazione è una comunicazione che serve per
la convinzione e per la coesione del territorio.
Inascoltato come mi capita di essere da molto tempo, ho cercato di spiegare in città ad
amici e amministratori che me lo chiedevano, che la metropolitana sarà un grande buco
economico e di utenza se non avrà la capacità in questo ultimo anno di una
comunicazione individuale casa per casa dei meccanismi della metropolitana.
Il meccanismo di comunicazione della Valle Camonica secondo me anzitutto è un
meccanismo di comunicazione interno alla Valle, di consapevolezza dell'identità culturale.
Ad esempio il Distretto, che è uno dei tanti fiori all'occhiello della Valle Camonica fondamenta del marketing territoriale - viene guardato con grande attenzione da tutta la
Lombardia.
Pensate al paradosso che può far capire come le cose si possono trasformare e cambiare:
i distretti culturali faticano a nascere e ne è nato uno nella Valle che sembrava, per
antonomasia, la più difficile da mettere a distretto perché questo campanilismo esasperato
che ha bloccato lo sviluppo della Valle per tanti anni, pareva confliggere con l'idea di
distretto culturale.
E' avvenuto il contrario, a dimostrazione che le cose in realtà si possono fare. Se si
vogliono si possono fare.
Dopo questa parte teorica voglio incamminarmi su alcuni sentieri più ripidi che riguardano
direttamente i pareri sulla Valle e che do da uomo che ha camminato molto in Valle.
Uno dei nostri concittadini più illustri che la Valle dovrebbe ricordare è morto pochi mesi fa,
si chiamava Giacomo Corna Pellegrini, fratello di Piero che è stato presidente della Banca
Valle.
Giacomo Corna Pellegrini è stato il più grande geografo italiano, ha scritto decine dei libri
e visitato decine di paesi, ha insegnato a decine di generazioni, è stato un uomo non solo
coltissimo, ma gentilissimo anche d'animo, e a me personalmente ha insegnato come si fa
a vedere un territorio.
Quando gli dicevo “come fai a vedere la città?” - lui che viveva tra Milano e Barcellona, ma
veniva a Brescia spesso – mi diceva: “per capire le trasformazioni quando arrivo a
Brescia, una volta mi faccio fermare alla Mandolossa, un'altra fermata in Sant'Eufemia,
poi cammino a piedi fino al centro della città e da lì capisco cosa è successo, capisco il
disastro delle periferie e capisco se c'è il centro storico salvato”.
Da lui ho imparato che per conoscere bisogna frequentare da dentro, e vi confesso che la
cosa che amo di più della Valle Camonica sono i centri storici.
Io credo che nessuna Valle in Europa abbia alcuni centri storici salvati, magari per ritardo
di sviluppo, salvaguardati come quelli della Valle Camonica e che sono dei modelli
esemplari, li conoscete tutti, da Cerveno a Pescarzo, Bienno, sono esempi unici al mondo,
farebbero la fortuna turistica di qualsiasi paese, di qualsiasi territorio.
Però inerpicandomi in questi sentieri stretti per dirvi come la penso, vi devo dire che dovrei
leggere a questo punto il disegno territoriale della Valle Camonica e dello sviluppo come
una serie di occasioni mancate, come un lungo elenco di occasioni perdute, a cominciare
graffiti preistorici, che sono i segni primordiali della nostra vita, e che avrebbero potuto
essere di per sé il volano di uno sviluppo in questa integrazione di tipo turistico culturale e
non lo sono stati. Occorrerebbe ragionarsi su...
Potrei citare molti altri esempi cominciando dal Pala Congressi di Boario, altra occasione
mancata.
Avrebbe dovuto essere il luogo, di grande qualità oltretutto progettato anche da un grande
architetto. A Bilbao, prima di visitare il museo, si va a vedere il palazzo di Frank O. Gehry,
ma vale per il Mart, voi andate a vedere il Mart di Trento più per il palazzo che per le
mostre che vi sono contenute e vale per decine di altri episodi. Il Pala Congressi doveva
avere una funzione specifica di rilancio di un meccanismo di turismo congressuale e
culturale nella stagione in cui era entrato in crisi il turismo termale.
Potrei parlarvi del museo progettato per la Valle da Mario Botta, e di cui esistevano i
finanziamenti, esistevano i soldi per farlo, ma che per motivi inspiegabili rimase lettera
morta.
Potrei parlarvi per stare alla cultura materiale dei molti tentativi di sviluppo dell'artigianato,
piccoli prodotti di cultura territoriale, piccoli prodotti agricoli che potevano diventare in sé
delle specificità quasi tutti abortiti.
Ha ragione Tomasi, il vino potrebbe essere uno dei meccanismi di fondo dello sviluppo.
La Franciacorta ha sviluppato il vino, la gente crede sia stata l'invenzione di qualcuno, la
Franciacorta sviluppa il vino perché falliscono le fornaci, perché per fare il vino su un
territorio d'argilla, occorre una bella fantasia...
Esclusa la zona di Erbusco, tutta la parte che va da Rovato a Iseo è un territorio d'argilla, e
il vino rosso fatto sull'argilla rispetto al vino rosso fatto sulle vostre balze... Lo fanno perché
lo sviluppo economico di quell'area, una fornace che utilizza una tecnologia avanzata
produce in una notte quello che cinquanta fornaci producevano in un mese, in tre mesi
falliscono tutte le fornaci, comprese quelle tecnologiche, il territorio disastrato si cambia in
vigneto per volontà di due soli produttori. Poi la vicenda è nota.
Non in mille anni, si inventa un prodotto, e questa è una parte che voglio sottolinearvi con
forza: il marketing territoriale funziona se attrae investimenti, per attrarre investimenti deve
avere la coesione e la convinzione di base, ma la conclusione è che attrae investimenti.
In Franciacorta sono piovuti investimenti non degli agricoltori - il vino non sarebbe mai
stato fatto in Franciacorta - sono piovuti degli investimenti industriali, segmenti
dell'industria che investivano in quel prodotto perché se fossero stati gli agricoltori da soli
il vino sarebbe ancora quello nel fiasco e nella damigiana.
In Valle Camonica il problema dell'attrazione degli investimenti funziona se quel progetto
parte come ho detto dal basso, e per partire dal basso è necessaria una cultura collettiva
che su questi valori si identifichi totalmente.
Quando dico su questi valori, dico anche sui valori materiali perché si da il caso che io sia
un frequentatore del presepio di Sellero, da sei anni vengo a vedere il presepe sul torrente
Re e da sei anni inutilmente cerco un bar dove mi offrono una fetta di pane e salame, e,
quando va bene, trovo quei panini incapsulati che usano nelle periferie della città…
E’ chiaro che il meccanismo è complesso, ma per finirla e per trovare il punto d'appoggio
dal basso, il grande sogno di un marketing territoriale, oltre le agenzie che qui sono state
evocate, le agenzie che tengono insieme i punti di riferimento, il Distretto, le agenzie di
comunicazione, di vendita, di commercializzazione, serve la comunicazione. Il luogo su cui
far cadere dal basso queste idee non può che essere un luogo dentro ai luoghi.
Il sogno di chi ha fatto marketing territoriale realizzato tra più comuni su un territorio più
vasto - non si fa marketing territoriale di un comune (non esiste al mondo). Si parla di
marketing territoriale di un territorio, non di un comune, da dove cominciare? Per esempio
in tutti comuni la biblioteca o una sala qualsiasi diventa il punto di accoglienza, il luogo
dove il visitatore o il cittadino o chi deve guardare il libro arriva, o dove arriva la
comunicazione del Distretto, o arriva la comunicazione dell’agenzia.
In ogni comune il luogo di accoglienza diventa un piccolo osservatorio aperto al pubblico e
che indica a chi viene da dentro o da fuori cosa vedere, dove mangiare e dove dormire e
aggiorna i dati statistici su cui ragionare e formare la struttura di base del grande progetto
di marketing territoriale per la Valle Camonica.
Tino Bino
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