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Titolo II – Delle pene
Titolo II
Delle pene (1)
(1) Per i reati di competenza del giudice di pace si vedano le
sanzioni applicabili dal medesimo giudice previste dal titolo II
(artt. 52-62) del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.
Capo I
Delle specie di pene,
in generale
17. (1) Pene principali: specie. – Le pene principali
stabilite per i delitti (5, 6 coord.) sono:
1) [la morte (2)] (21; 27 Cost.);
2) l’ergastolo (22);
3) la reclusione (23);
4) la multa (24).
Le pene principali stabilite per le contravvenzioni
(5, 6 coord.) sono:
1) l’arresto (25);
2) l’ammenda (26).
(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 168 del 28 aprile
1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo
nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile.
(2) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice
penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo
Lgt. 10 agosto 1944, n. 224.
L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che
non è ammessa la pena di morte.
Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di
morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle
militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena
di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal
codice penale.
l È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo
comma, della Costituzione, l’art. 17 del codice
penale, nella parte in cui non esclude l’applicabilità della pena dell’ergastolo nei riguardi dei minorenni. * Corte cost., 28 aprile 1994, n. 168, X.
18. (1) Denominazione e classificazione delle pene
principali. – Sotto la denominazione di «pene detentive» o «restrittive della libertà personale» la legge comprende: l’ergastolo, la reclusione e l’arresto.
Sotto la denominazione di «pene pecuniarie» la
legge comprende: la multa e l’ammenda.
(1) Si veda, l’art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema
di depenalizzazione, in virtù del quale alle pene di questo articolo
devono ritenersi aggiunte le sanzioni sostitutive di pene detentive
brevi.
19. Pene accessorie: specie. – Le pene accessorie
(20, 77, 166; 662 c.p.p.; 1082 c.n.) per i delitti sono:
1) l’interdizione dai pubblici uffici (28, 29; coord.
14, 15, 16);
Art. 17
2) l’interdizione da una professione o da un’arte
(30, 31);
3) l’interdizione legale (32);
4) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese (32 bis);
5) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (32 ter, 32 quater);
5 bis) l’estinzione del rapporto di impiego o di
lavoro (1);
6) la decadenza o la sospensione dall’esercizio
della potestà dei genitori (34) (2).
Le pene accessorie per le contravvenzioni sono:
1) la sospensione dall’esercizio di una professione
o di un’arte (35);
2) la sospensione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese (35 bis) (2).
Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale di
condanna (36; 543 c.p.p.) (3).
La legge penale determina gli altri casi in cui le
pene accessorie stabilite per i delitti sono comuni alle
contravvenzioni (6712).
(1) Questo numero è stato inserito dall’art. 5, comma 1, della
L. 27 marzo 2001, n. 97, sugli effetti del giudicato penale per i
dipendenti pubblici.
(2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 118 della L.
24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
(3) Si veda il R.D.L. 9 luglio 1936, n. 1539 in tema di pubblicazione delle sentenze penali nei giornali.
l La pubblicazione della sentenza prevista
dall’art. 186 c.p. ha natura di sanzione civile che
può disporsi a carico del colpevole qualora essa costituisca un mezzo per riparare il danno, diversamente dalla pubblicazione della sentenza prevista
dall’art. 19 c.p. che ha la natura di pena accessoria. Trattasi, pertanto, di istituto ontologicamente
appartenente al processo civile, dal quale mutua
la sua disciplina, pur quando l’azione civile venga
proposta nel processo penale. Ne consegue che la
pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 186
citato non può essere disposta d’ufficio in mancanza della domanda della parte istante. (Nella
specie la Corte ha annullato sul punto la pronuncia dei giudici di merito che avevano ordinato la
pubblicazione della sentenza senza che la parte
civile ne avesse fatto domanda, in ipotesi, tra l’altro, in cui il procedimento riguardava il reato di
violazione degli obblighi di assistenza familiare
— ex art. 570, comma secondo — ritenuta non
suscettiva di danni non patrimoniali, escludendo,
tra l’altro, la reciproca soccombenza e la legittimità, totale o parziale, della compensazione delle
spese). * Cass. pen., sez. VI, 6 luglio 1998, n. 7917
(ud. 15 giugno 1998), Maniero B. [RV211384]
20. Pene principali e accessorie. – Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna;
Art. 20
Libro I – Dei reati
quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna,
come effetti penali di essa (77, 139, 140; 662 c.p.p.).
l L’assoluto automatismo nell’applicazione
delle pene accessorie, predeterminate per legge
sia nella specie che nella durata e sottratte, perciò, alla valutazione discrezionale del giudice,
comporta, da un lato, che l’erronea applicazione
di una pena accessoria da parte del giudice di
cognizione può essere rilevata, anche dopo il
passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice
dell’esecuzione, e dall’altro che, quando alla condanna consegue di diritto una pena accessoria
così dalla legge stabilita, il P.M. ne può chiedere
l’applicazione al giudice dell’esecuzione qualora
si sia omesso di provvedere con la sentenza di
condanna. * Cass. pen., sez. I, 23 novembre 2004,
n. 45381 (c.c. 10 novembre 2004), P.G. in proc.
Tinnirello ed altro. Conforme: Cass. pen., ord. 30
aprile 2010, n. 16634 (ud. 15 aprile 2010), Drago.
[RV230129]
l Ai fini dell’applicazione di una sanzione accessoria, si deve avere riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito
della diminuzione effettuata sia per l’applicazione
delle circostanze attenuanti che per la scelta del
rito. (Nel caso di specie, la Corte ha annullato la
sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici,
sostituendola con quella di carattere temporaneo,
in quanto in grado di appello la pena detentiva
era stata rimodulata rispetto a quella irrogata in
primo grado — all’esito di un giudizio abbreviato
— in misura inferiore a cinque anni). * Cass. pen.,
sez. IV, 29 gennaio 2004, n. 3538 (c.c. 23 dicembre
2003), Maisto. [RV230305]
l L’applicazione della causa di non punibilità
della ritrattazione, in un procedimento per falsa
testimonianza a carico di un avvocato, non impedisce al giudice di appello di comunicare al consiglio dell’ordine di appartenenza dell’imputato
l’esito del processo, con la trasmissione della relativa sentenza, in quanto si tratta di un adempimento di natura procedurale, diretto ad investire
il titolare dell’azione disciplinare delle valutazioni
in ordine alla rilevanza disciplinare del fatto già
oggetto del giudizio penale, dovendosi, pertanto, escludere che una tale comunicazione possa
qualificarsi come pena accessoria, non essendo,
peraltro, prevista da alcuna norma di legge (la
Corte ha anche precisato che la natura non sanzionatoria della comunicazione e la sua funzione
strumentale rispetto all’esercizio del potere disciplinare, concorrente con quello giurisdizionale,
escludono che l’adempimento informativo possa
incidere sul divieto di reformatio in pejus). * Cass.
pen., sez. VI, 7 aprile 2003, n. 16244 (ud. 5 dicembre 2002), Fontana. [RV224954]
l Poiché l’art. 597, terzo comma, c.p.p. non
contempla, tra i provvedimenti peggiorativi inibi-
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ti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo imputato, quelli concernenti
le pene accessorie — le quali, secondo il disposto
dell’art. 20 c.p., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa — al giudice di
secondo grado è consentito applicare d’ufficio le
pene predette qualora non vi abbia provveduto
quello di primo grado, e ciò ancorché la cognizione della specifica questione non gli sia stata
devoluta con il gravame del pubblico ministero.
(Fattispecie in tema di interdizione dai pubblici
uffici). * Cass. pen., Sezioni Unite, 17 luglio 1998,
n. 8411 (ud. 27 maggio 1998), P.M. in proc. Ishaka. [RV210979]
l L’assoluto automatismo nell’applicazione
delle pene accessorie, predeterminate per legge
sia nella specie che nella durata e sottratte, perciò, alla valutazione discrezionale del giudice,
comporta che l’erronea applicazione di una pena
accessoria da parte del giudice di cognizione può
essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione
ovvero, qualora venga dedotta con ricorso per
cassazione, anche dal giudice di legittimità che,
sul punto relativo, può direttamente dichiarare
l’ineseguibilità della sentenza, stante la sua evidente contrarietà alla legge. * Cass. pen., sez. II,
10 gennaio 1997, n. 4492 (c.c. 13 novembre 1996),
P.M. in proc. Kenzi [RV206850]
l Gli effetti penali della condanna, dei quali
il codice penale non fornisce la nozione né indica
il criterio generale che valga a distinguerli dai
diversi effetti di natura non penale che pure sono
in rapporto di effetto a causa con la pronuncia
di condanna, si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di
condanna e non pure di altri provvedimenti che
possono determinare quell’effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, ope legis, dalla
sentenza di condanna e non da provvedimenti
discrezionali della pubblica amministrazione,
ancorché aventi la condanna come necessario
presupposto; per la natura sanzionatoria dell’effetto, ancorché incidente in ambito diverso da
quello del diritto penale sostantivo o processuale.
* Cass. pen., Sezioni Unite, 8 giugno 1994, n. 7
(c.c. 20 aprile 1994), Volpe.
l Essendo le pene accessorie un effetto automatico della condanna, la loro applicazione
non comporta obbligo di motivazione. * Cass.
pen., sez. V, 12 giugno 1984, n. 5400 (ud. 7 marzo
1984), Napolitano.
l La pena accessoria temporanea è condonata per intero quando corrisponde ad una pena
principale interamente condonata; altrimenti
rimane in vita per un periodo di tempo uguale a
quello della pena principale residua ed eseguibile,
quale effetto penale di questa. La pena accessoria
consegue di diritto alla condanna come effetto
penale di essa e quando è predeterminata dalla
legge sia nella specie che nella durata, può essere
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Titolo II – Delle pene
applicata di ufficio in sede esecutiva anche se è
stata omessa dal giudice che ha pronunciato la
condanna. * Cass. pen., sez. V, 5 luglio 1976, n.
7578 (ud. 26 febbraio 1976), Giardina.
l Sono pene accessorie quelle che, per espressa disposizione di legge, accedono alla condanna
per un determinato reato; sono effetti penali della
condanna alcune conseguenze, afflittive o restrittive, della condanna, stabilite dalla legge prevalentemente a tutela dei terzi od alcune incapacità
non ricollegate allo status di condannato, ma a
quello di interdetto, inabilitato, sottoposto a misura di sicurezza o a libertà vigilata. (Nella specie,
è stato ritenuto un effetto penale della condanna
la incapacità ad essere elettore, previsto per i condannati per alcuni reati). * Cass. pen., sez. II, 15
novembre 1975 (ud. 24 marzo 1975), Di Gioia.
Capo II
Delle pene principali,
in particolare
21. [Pena di morte. – (Omissis)] (1).
(1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice
penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo
Lgt. 10 agosto 1944, n. 224.
L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che
non è ammessa la pena di morte.
Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di
morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle
militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena
di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal
codice penale.
22. (1) Ergastolo. – La pena dell’ergastolo è perpetua,
ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati
(2), con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno
(29, 32, 36; 1 coord.; 642 c.p.p.).
Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al
lavoro all’aperto (3) (4).
(Omissis) (5).
(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 168 del 28 aprile
1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo
nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile.
(2) Per l’individuazione dei relativi istituti penitenziari si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme
sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30
giugno 2000, n. 230.
(3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1 della L. 25
novembre 1962, n. 1634.
(4) Si veda l’art. 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, che così
dispone:
«8. 1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore
del presente decreto legge, nei casi in cui è applicabile o è stata
applicata la pena dell’ergastolo con isolamento diurno, se è stata
formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ovvero la richiesta di
cui al comma 2 dell’articolo 4 ter del decreto legge 7 aprile 2000,
n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000,
Art. 21
n. 144, l’imputato può revocare la richiesta nel termine di trenta
giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto. In tali casi il procedimento riprende secondo
il rito ordinario dallo stato in cui si trovava allorché era stata
fatta la richiesta. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti
sono utilizzabili nei limiti stabiliti dall’articolo 511 del codice di
procedura penale.
«2. Quando per effetto dell’impugnazione del pubblico ministero possono essere applicate le disposizioni di cui all’articolo 7,
l’imputato può revocare la richiesta di cui al comma 1 nel termine
di trenta giorni dalla conoscenza dell’impugnazione del pubblico
ministero o, se questa era stata proposta anteriormente alla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nel termine di trenta giorni da quest’ultima data. Si applicano
le disposizioni di cui al secondo ed al terzo periodo del comma 1.
«3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni del comma 2 dell’articolo 303 del codice di procedura
penale».
(5) Il terzo e il quarto comma di questo articolo sono stati
abrogati dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634.
SOMMARIO:
a) Questioni di legittimità costituzionale;
b) Inapplicabilità dell’indulto;
c) Isolamento notturno.
a) Questioni di legittimità costituzionale.
l È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo
comma, della Costituzione, l’art. 22 del codice
penale, nella parte in cui tale norma non esclude
l’applicabilità della pena dell’ergastolo nei riguardi dei minorenni. * Corte cost., 28 aprile 1994, n.
168, X.
b) Inapplicabilità dell’indulto.
l L’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte, ma soltanto, per
volontà del legislatore, « in toto» ovvero convertibile in pena di altra specie. * Cass. pen., sez. I,
25 ottobre 2007, n. 39531 (c.c. 4 ottobre 2007),
Scuto. [RV237750]
l La pena dell’ergastolo, in quanto pena
detentiva perpetua, non è condonabile in parte,
ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore,
in toto ovvero, sempre in forza della medesima
volontà, convertibile in pena di altra specie, di
guisa che ad essa non può essere applicato, in
mancanza di una specifica norma, l’indulto previsto in via generale soltanto per le pene detentive
temporanee. * Cass. pen., sez. I, 16 giugno 2000,
n. 2128 (c.c. 22 marzo 2000), Araniti. Conformi:
Cass. pen., sez. I, 4 marzo 1993, n. 44, Pau; Cass.
pen., sez. I, 17 gennaio 1995, n. 3258, Rovelli;
Cass. pen., sez. I, 20 settembre 2007, n. 35209
(c.c. 15 giugno 2007) Andriotta. [RV216194]
l Il condono è incompatibile con l’ergastolo
che non può essere considerato una pena temporanea neanche sotto il limitato profilo dell’accesso
alla liberazione condizionale o a misure alternative alla detenzione. * Cass. pen., sez. I, 8 marzo
1993, n. 536 (c.c. 10 febbraio 1993), Di Guardo.
Art. 23
Libro I – Dei reati
c) Isolamento notturno.
l L’isolamento notturno del condannato all’ergastolo, a differenza di quello diurno, che è una
vera e propria sanzione penale, si configura come
modalità di esecuzione della pena in termini di
maggiore afflittività, che può non essere applicato
ove sussistano gravi ragioni ostative, sicché non è
configurabile un interesse giuridicamente apprezzabile del detenuto a instare per l’inasprimento
del proprio trattamento penitenziario e a dolersi,
mediante ricorso per cassazione, del provvedimento del magistrato di sorveglianza che ne abbia respinto il reclamo per l’omessa attuazione. *
Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2007, n. 16400 (c.c. 27
febbraio 2007), Stilo. Conforme, Cass. pen., sez.
I, 30 dicembre 2009, n. 50005 (c.c. 1 dicembre
2009), Cantarella. [RV236158]
23. Reclusione. – La pena della reclusione si estende
da quindici giorni a ventiquattro anni (1), ed è scontata
in uno degli stabilimenti a ciò destinati (2), con l’obbligo
del lavoro (3) e con l’isolamento notturno (29, 32, 64, 66,
78, 132 ss.; 1 coord.; 656, 6911 c.p.p.).
Il condannato alla reclusione, che ha scontato
almeno un anno della pena, può essere ammesso al
lavoro all’aperto (1422).
Sono applicabili alla pena della reclusione le disposizioni degli ultimi due capoversi dell’articolo precedente (4).
(1) Si veda l’art. 442, secondo comma c.p.p., il quale, in caso di
condanna a seguito di giudizio abbreviato, stabilisce che la pena
che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze sia
diminuita di un terzo.
(2) Per l’individuazione dei relativi istituti penitenziari si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme
sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30
giugno 2000, n. 230.
Si veda inoltre l’art. 95 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,
T.U. delle leggi sugli stupefacenti, il quale stabilisce che la pena
detentiva comminata al condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata
in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi.
(3) Gli artt. 20 e 21 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario, prevedono rispettivamente l’obbligo del
lavoro negli istituti penitenziari e la possibilità per i detenuti di
essere assegnati al lavoro all’esterno.
(4) Questo comma deve ritenersi implicitamente abrogato
dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634, recante modificazioni alle norme del codice penale relative all’ergastolo e alla
liberazione condizionale.
SOMMARIO:
a) Limite minimo di quindici giorni;
b) Minimo edittale e patteggiamento;
c) Casistica.
a) Limite minimo di quindici giorni.
l Il limite minimo di quindici giorni stabilito
per la reclusione deve essere osservato sia ai fini
del computo finale della pena da irrogare, sia ai
116
fini delle operazioni intermedie di calcolo. (Nel
caso di specie, la pena irrogata era stata determinata in misura inferiore a detto limite a seguito
dell’applicazione delle circostanze attenuanti
generiche e della circostanza prevista dall’art. 62
n. 4 c.p.). * Cass. pen., sez. II, 16 giugno 2009, n.
24864 (ud. 29 maggio 2009), P.M. in proc. Taccola. [RV244341]
l In tema di reato continuato, l’art. 81 c.p.,
mentre pone un duplice sbarramento al massimo
di pena irrogabile (triplo della pena prevista per
la violazione più grave) nonché, nel rispetto del
principio del favor rei, il divieto di infliggere, comunque, una pena superiore a quella applicabile
di base al cumulo materiale, nulla dice in ordine
al minimo, che deve ritenersi perciò applicabile
anche nella misura di un giorno di pena detentiva,
purché il giudice del merito assolva il duplice obbligo di carattere generale: di non richiedere nel
minimo di quindici giorni di reclusione, sancito
dall’art. 23 c.p., la pena inflitta a titolo di continuazione; di motivare ai sensi dell’art. 132 c.p.,
oltre che in ordine alla determinazione della
pena base, in relazione all’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 11 maggio 1995,
n. 5419 (ud. 29 marzo 1995), P.M. in proc. Pani.
[RV201646]
l Il limite minimo di quindici giorni previsto
dalla legge per la reclusione (art. 23 c.p.) non è suscettibile di riduzione sia ai fini del computo della
pena da infliggere in concreto sia ai fini dei calcoli
intermedi consistenti anch’essi in un aumento o
in una diminuzione della pena. Infatti la portata
dell’art. 132 cpv. c.p., secondo cui, nell’aumento o
nella diminuzione della pena, non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di
pena, salvo i casi espressamente determinati dalla
legge, non può essere limitata al risultato finale
del calcolo ma investe anche gli aumenti di pena.
Ne consegue che il limite legale della reclusione
di quindici giorni non può essere vulnerato dalla
diminuzione delle attenuanti o diminuenti eventualmente concesse, mentre deve essere aumentato nel minimo consentito per effetto, in ipotesi,
della ritenuta continuazione. * Cass. pen., sez. VI,
19 ottobre 1993, n. 9442 (ud. 11 maggio 1993),
P.M. in proc. Vicedomini.
b) Minimo edittale e patteggiamento.
l Il limite minimo di quindici giorni stabilito per la reclusione dell’art. 23, comma primo,
c.p., è assoluto e, per ciò, irriducibile, sia ai fini
della pena da infliggersi in concreto sia ai fini
dei calcoli intermedi. Né il predetto limite può
essere superato, in caso di pena patteggiata, per
effetto dell’applicazione della diminuente di cui
all’art. 444 c.p.p. * Cass. pen., sez. VI, 24 gennaio
1997, n. 487 (ud. 3 dicembre 1996), P.M. in proc.
Scanio. Conformi: Cass. pen., sez. II, 16 febbraio
2000, n. 702, P.M. in proc. Miccichè; Cass. pen.,
sez. V, 18 maggio 1999, n. 1743, P.M. in proc.
117
Titolo II – Delle pene
Fracasso A; Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 1993, n.
1994, P.G. in proc. Del Bosco; Cass. pen., sez. V, 1
febbraio 1993, n. 842, P.M., in proc. Pelaia; Cass.
pen., sez. VI, 24 giugno 1992, n. 7222, Ingenito.
[RV207735]
l In sede di patteggiamento non è in ogni
caso possibile quantificare la pena detentiva della
reclusione in misura inferiore al minimo di 15
giorni fissato dall’art. 23 c.p. indipendentemente
dalla circostanza che, per effetto della successiva
sostituzione, si pervenga ad una misura della
multa in sè non illegale. * Cass. pen., sez. VI, 5
settembre 1996, n. 8301 (ud. 11 giugno 1996),
P.G. in proc. Galipò C. [RV206138]
l Anche in tema di patteggiamento, il limite
di giorni quindici di reclusione stabilito per la
pena detentiva concernente i delitti (art. 23 c.p.)
è irriducibile, sia ai fini del computo della pena
da infliggere in concreto, sia ai fini dei calcoli
intermedi. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto di poter porre rimedio all’errore, in applicazione dell’art. 620, lett. l, c.p.p., senza necessità
di annullare con rinvio, rideterminando la pena
detentiva adeguandosi ai criteri di valutazione
espressi per la pena irrogata dal giudice di merito
e sostanzialmente escludendo la necessità di apprezzamento di fatto). * Cass. pen., sez. II, 7 ottobre 1993, n. 9140 (ud. 3 febbraio 1993), Barbon.
c) Casistica.
l Agli effetti dell’applicazione di misura cautelare per tentativo di delitto punito con la pena
dell’ergastolo, si ha riguardo non alla pena minima
di dodici anni di reclusione prevista dall’art. 56,
comma secondo, c.p., ma a quella massima di ventiquattro anni di reclusione, desumibile dall’art. 23,
comma primo, stesso codice. (Fattispecie relativa
a pretesa decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare per tentato omicidio
pluriaggravato, in relazione al quale la Suprema
Corte ha escluso la rilevanza delle aggravanti non
ad effetto speciale, né comportanti una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato, ma
ha ritenuto doversi far riferimento non alla pena
edittale minima per il tentativo di delitto punito
con l’ergastolo, bensì alla pena edittale massima,
da individuare a norma dell’art. 23, comma primo,
c.p.). * Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 1996, n. 5531
(c.c. 24 ottobre 1996), Borriello. [RV206187]
l In caso di contestazione dell’ipotesi di reato prevista dall’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, al
fine di stabilire il termine massimo di custodia
cautelare, la pena massima secondo la regola
generale dettata dall’art. 23 c.p., va individuata in
ventiquattro anni di reclusione. * Cass. pen., sez.
IV, 20 settembre 1996, n. 2119 (c.c. 14 settembre
1996), Fazio. [RV205571]
24. (1) Multa. – La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 50
(2), né superiore a euro 50.000 (3) (133 bis).
Art. 24
Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice
può aggiungere la multa da euro 50 a euro 25.000 (4).
(1) Questo articolo è stato sostituito dall’art. 101 della L. 24
novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
(2) Le parole: «non inferiore a euro 5» sono state così sostituite
dalle attuali: «non inferiore a euro 50» dall’art. 3, comma 60, della
L. 15 luglio 2009, n. 94.
(3) Le parole: «né superiore a euro 5.164» sono state così sostituite dalle attuali: «né superiore a euro 50.000» dall’art. 3, comma
60, della L. 15 luglio 2009, n. 94.
(4) Le parole: «da euro 5 a euro 2.065» sono state così sostituite dalle attuali: «da euro 50 a euro 25.000» dall’art. 3, comma 60,
della L. 15 luglio 2009, n. 94.
SOMMARIO:
a) Aggiunta della multa per i delitti determinati
da fini di lucro;
b) Sanzione espressa in Euro.
a) Aggiunta della multa per i delitti determinati
da fini di lucro.
l L’art. 24, comma 2, c.p. nel prevedere l’aggiunta della pena della multa nei delitti determinati da motivi di lucro è applicabile non solo nei
casi in cui il fine di lucro operi come uno dei motivi più o meno remoti del reato, ma altresì quando
detto fine operi come motivo unico ed integrativo
della fattispecie criminosa (dolo specifico) ovvero
come elemento materiale del reato stesso; la contraria soluzione sarebbe in contrasto con la lettera e lo spirito della norma suddetta la quale non
distingue tra tali estremi, dovendosi d’altro canto
convenire che, a maggior ragione, l’aggiunta della
multa trovi giustificazione quando il fine in questione sia elemento connaturato della fattispecie
criminosa. (Fattispecie in tema di corruzione). *
Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25
marzo 1994), Caputo.
l Il principio di legalità della pena è vincolante non solo quando venga applicata una pena
non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando venga applicata una
pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante
dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento
sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme
sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale
principio la Cassazione ha eliminato la pena della
multa inflitta per il reato di corruzione ai sensi
dell’art. 24, comma 2, c.p. che consente l’aggiunta
della pena della multa per i delitti determinati
da motivi di lucro puniti con la sola reclusione:
all’uopo ha considerato che il reato ascritto all’epoca dei fatti era punito con la pena congiunta
della reclusione e della multa e che pertanto, per
il principio di legalità della pena, esso rimaneva
fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994,
n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo.
Art. 25
Libro I – Dei reati
b) Sanzione espressa in Euro.
l Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni
sanzione pecuniaria, penale o amministrativa,
espressa in lire si intende espressa anche in
euro, secondo il tasso di conversione fissato dal
Trattato, ma solo a decorrere dall’1 gennaio 2002
ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta
in euro, secondo la previsione di cui all’art. 51,
comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne
consegue che attualmente non è possibile fissare
la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie,
in applicazione del principio di cui in massima, la
S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata
espressa in euro). * Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, n. 4718 (c.c. 6 ottobre 1999), P.G. in
proc. Giancola. [RV215103]
l Non è legale la sanzione pecuniaria espressa
in euro, sia perché le pene pecuniarie, ai sensi degli
artt. 24 e 26 c.p., sono sempre indicate in lire, sia
in quanto, allo stato, l’euro esiste solamente come
valuta di conto, ma non anche come moneta fisica. (Nella fattispecie, la Corte, ai sensi dell’art. 619
comma 2 c.p.p., ha rettificato, convertendo in lire la
pena pecuniaria, la sentenza del pretore, che aveva
condannato l’imputato ad una multa in euro). *
Cass. pen., sez. V, 4 agosto 1999, n. 2678 (c.c. 2 giugno 1999), P.M. in proc. Giancola R. [RV214179]
25. Arresto. – La pena dell’arresto si estende da cinque giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (1) o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l’obbligo del lavoro (2) e con
l’isolamento notturno (66, 78, 134; 1, 12 coord.).
Il condannato all’arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento,
avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti
occupazioni.
(1) Per una più precisa individuzione dei relativi istituti di pena
si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante disposizioni sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del
D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230.
Si veda inoltre l’art. 95 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,
T.U. delle leggi sugli stupefacenti, il quale stabilisce che la pena
detentiva comminata al condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata
in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi.
(2) Gli artt. 20 e 21 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario prevedono rispettivamente l’obbligo del
lavoro negli istituti penitenziari e la possibilità per i detenuti di
essere assegnati ad un lavoro all’esterno.
l La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 25 c.p., con riferimento all’art. 3 Cost., è
manifestamente infondata, posto che la violazione
dell’art. 3 Cost. può ravvisarsi soltanto quando, in
difetto di una giustificazione del precetto ragionevole e desumibile da esigenze obiettive, la norma
determina non consentite situazioni di privilegio
118
o di svantaggio, e che siffatte situazioni non si
possono verificare qualora il legislatore stabilisca
minimi edittali delle pene al di sotto dei quali, nei
confronti di tutti, è vietato di scendere da parte
del giudice, ancorché concorrano eventuali circostanze attenuanti. * Cass. pen., sez. III, 28 novembre 1975, n. 9184, Bocchi.
26. (1) Ammenda. – La pena dell’ammenda consiste
nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore
a euro 20 (2) né superiore a euro 10.000 (3) (133 bis; 8
coord.) (4).
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 101 della L.
24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
(2) Le parole: «non inferiore a euro 2» sono state così sostituite
dalle attuali: «non inferiore a euro 20» dall’art. 3, comma 61, della
L. 15 luglio 2009, n. 94.
(3) Le parole: «né superiore a euro 1.032» sono state così sostituite dalle attuali: «né superiore a euro 10.000» dall’art. 3, comma
61, della L. 15 luglio 2009, n. 94.
(4) L’art. 10 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, così come modificato dall’art. 3, comma 63, della L.
15 luglio 2009, n. 94, prevede che:
«La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a € 10 e non superiore a €
15.000. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo.
«Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite
massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per
ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo».
SOMMARIO:
a) Limitazione quantitativa;
b) Sanzione espressa in Euro.
a) Limitazione quantitativa.
l Nel caso di oblazione nelle contravvenzioni
per le quali la legge stabilisce la sola ammenda,
di cui all’art. 162 c.p., quando la pena edittale è
indeterminata nel massimo — come nella specie
per la contravvenzione prevista dall’art. 677, primo
comma, c.p. — occorre fare riferimento al disposto
dell’art. 26 c.p., secondo il quale la pena dell’ammenda pura non può essere superiore a due milioni
di lire. Pertanto, in tal caso, la somma da pagare
deve essere pari alla terza parte del detto importo di
lire due milioni, cioè lire seicentosessantaseimila. *
Cass. pen., sez. I, 23 giugno 1994, n. 7317 (ud. 27
aprile 1994), P.M. in proc. Cavaleri. Conforme, Cass.
pen., sez. I, 20 maggio 1994, n. 5794, Gaglione.
l La limitazione quantitativa della pena
dell’ammenda, stabilita dall’art. 26 c.p., non si
estende alle sanzioni disposte dalle leggi speciali.
* Cass. pen., sez. III, 23 ottobre 1986, Rinaldi.
b) Sanzione espressa in Euro.
l Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni
sanzione pecuniaria, penale o amministrativa,
espressa in lire si intende espressa anche in euro,
secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall’1 gennaio 2002 ogni
sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro,
119
Titolo II – Delle pene
secondo la previsione di cui all’art. 51, comma 2,
del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue
che attualmente non è possibile fissare la sanzione
pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha
rettificato la sentenza impugnata, rideterminando
in lire la pena della multa che era stata espressa in
euro). * Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, n.
4718 (c.c. 6 ottobre 1999), P.G. in proc. Gullotto.
Conforme, Cass. pen., sez. V, 4 agosto 1999, n.
2678, P.M. in proc. Ginanola. [RV215103]
27. (1) Pene pecuniarie fisse e proporzionali. – La
legge determina i casi nei quali le pene pecuniarie sono fisse e quelli in cui sono proporzionali. Le pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo.
(1) L’art. 115 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di
depenalizzazione stabilisce che gli artt. 113 e 114 non si applicano alle pene e sanzioni amministrative pecuniarie quando
l’ammontare delle stesse o della pena base che viene assunta per
la loro determinazione non è fissato direttamente dalla legge ma
è diversamento stabilito.
l Le pene pecuniarie proporzionali non sono
soggette, per loro natura, ad alcun limite massimo, come espressamente disposto dall’art. 27, seconda parte, c.p. Ne deriva che, in caso di concorso di reati, le norme sulla continuazione (art. 81,
comma secondo, c.p.) e quelle sul cumulo giuridico (art. 78 c.p.) non possono trovare applicazione
limitatamente a quella parte delle violazioni che
siano punite con pene pecuniarie proporzionali.
In particolare, per quel che attiene alla continuazione, la legge, allorquando stabilisce che una
pena sia proporzionale all’entità o al numero delle
infrazioni, esclude implicitamente l’applicabilità
della normativa sulla continuazione dato che questa non prevede la proporzionalità della pena in
rapporto all’entità o al numero delle violazioni
che vengono a confluire nel reato continuato ed
atteso che il giudice non ha il potere di sovvertire
il meccanismo della proporzionalità sostituendovi
— quando la pena proporzionale inerisca alla violazione meno grave — quello dell’aumento fino al
triplo della pena base pecuniaria ovvero detentiva.
* Cass. pen., sez. VI, 4 settembre 1992, n. 9361
(ud. 11 giugno 1992), Orofino ed altro.
Capo III
Delle pene accessorie,
in particolare
28. Interdizione dai pubblici uffici. – L’interdizione
dai pubblici uffici (191) è perpetua o temporanea (77,
79; 662 c.p.p.; 14 ss. coord.).
L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che
dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato:
1) del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico;
Art. 27
2) di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi
inerente di pubblico ufficiale (357) o di incaricato di
pubblico servizio (358);
3) dell’ufficio di tutore (346 ss. c.c.) o di curatore
(48, 392, 424, 486, 528 c.c.; 78 ss., 780 c.p.c.), anche
provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela
o alla cura (31, 564, 569, 609 nonies) (1);
4) dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli,
delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche;
5) degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che
siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico
(2) (3);
6) di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque
degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità
e decorazioni indicati nei numeri precedenti;
7) della capacità di assumere o di acquistare
qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo,
dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei
numeri precedenti.
L’interdizione temporanea priva il condannato
della capacità di acquistare o di esercitare o di godere,
durante l’interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi,
qualità, gradi, titoli e onorificenze (2).
Essa non può avere una durata inferiore a un anno,
né superiore a cinque (79; 14-16 coord.).
La legge determina i casi nei quali l’interdizione dai
pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi (512, 564,
569, 609 nonies) (4).
(1) L’art. 6 della L. 20 febbraio 1958, n. 75, recante norme in
tema di abolizione della regolamentazione della prostituzione,
prevede per i colpevoli dei reati previsti dalla suddetta legge,
un’ipotesi specifica di interdizione dall’esercizio della tutela e della
curatela.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 3 del 13 gennaio
1966, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, del secondo
comma, n. 5 e del terzo comma di questo articolo limitatamente
alla parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro.
(3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 13 del 19 luglio
1968, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo
comma, n. 5 di questo articolo per quanto attiene alle pensioni
di guerra.
(4) L’art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, prevede casi particolari di pene accessorie in materia tributaria.
SOMMARIO:
a) Giurisprudenza costituzionale;
b) Questione di legittimità costituzionale;
c) Valutazione delle riduzioni di pena;
d) Decorrenza;
e) Durata.
a) Giurisprudenza costituzionale.
l È costituzionalmente illegittimo il secondo
comma n. 5 dell’art. 28 c.p. per quanto attiene alle
pensioni di guerra. * Corte cost., 19 luglio 1968,
n. 13.
Art. 28
Libro I – Dei reati
l Sono costituzionalmente illegittimi il secondo comma n. 5 ed il terzo comma dell’art. 28 c.p.
nella parte in cui i diritti in essi previsti traggono
titolo da un rapporto di lavoro. * Corte cost., 13
gennaio 1966, n. 3.
b) Questione di legittimità costituzionale.
l È manifestamente infondata — in relazione
all’art. 27 della Costituzione — la questione di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 29 del c.p.
sotto il profilo che la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici sarebbe in contrasto con il principio secondo cui le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità, ma devono tendere alla rieducazione del
condannato. (La Cassazione ha chiarito che, una
volta esclusa, come ha fatto la Corte costituzionale
con sentenza n. 264 del 1974, l’illegittimità costituzionale della pena principale perpetua dell’ergastolo, a maggior ragione deve essere esclusa quella
di una pena accessoria perpetua; e che, soprattutto, la predetta pena accessoria può efficacemente
contribuire proprio all’emenda del condannato
ed al suo reinserimento nel consorzio civile, inducendolo a mantenere la buona condotta richiesta
per l’applicazione della riabilitazione che estingue
le pene accessorie). * Cass. pen., sez. I, 15 maggio
1980, n. 6183 (ud. 21 marzo 1980), Altieri.
c) Valutazione delle riduzioni di pena.
l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici produce effetti diversi sugli obblighi
concernenti il servizio militare a seconda che sia
temporanea o perpetua. In entrambi i casi l’interdizione, secondo il combinato disposto dei commi
secondo e terzo dell’art. 28 c.p., non riguarda gli
incarichi di pubblico servizio obbligatori, salvo
che la legge non disponga altrimenti. Una deroga
è prevista solo dal disposto degli artt. 28 e 33
c.p.m. di pace e dell’art. 6 del D.P.R. 14 febbraio
1964, n. 237 (in materia di leva e reclutamento),
che preclude il servizio militare e l’appartenenza
alle forze armate per coloro cui sia stata applicata
la pena della interdizione perpetua dai pubblici
uffici. Ne consegue che l’interdizione temporanea,
quando riferita ad obblighi concernenti il servizio
militare, non libera l’interessato dal dovere di
darvi osservanza. (Fattispecie relativa al delitto
di diserzione impropria aggravata, riconosciuto a
carico di militare di leva che, riportata durante il
servizio la condanna all’interdizione temporanea
dai pubblici uffici per un reato comune, aveva
omesso di ripresentarsi al corpo di appartenenza).
* Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 2004, n. 4044 (ud. 25
novembre 2003), Cammarata. [RV230013]
l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici il giudice deve
tenere conto dell’entità della pena quale risulta
dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente proces-
120
suali o premiali, che costituiscono l’incentivo per
la collaborazione dell’imputato alla definizione
del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese
dall’art. 29 c.p., non è consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale determinata
in relazione alla gravità del reato. (Fattispecie in
tema di patteggiamento in appello). * Cass. pen.,
sez. II, 13 novembre 2003, n. 43604 (c.c. 7 ottobre
2003), D’Angelo. [RV227608]
l La diminuente prevista per la celebrazione
del processo con rito abbreviato ha genesi e finalità
che la rendono non assimilabile a una circostanza
attenuante. Ne consegue che qualora venga inflitta
per il reato di concussione una pena inferiore a tre
anni di reclusione in conseguenza della applicazione di detta diminuente, la condanna importa
l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, derivando l’applicazione della interdizione temporanea
solo da una riduzione di pena conseguente al
riconoscimento di una circostanza attenuante. *
Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2000, n. 2383 (ud.
26 gennaio 2000), Fadda G. [RV215643]
l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve
tener conto dell’entità della pena così come risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito e riduzioni di pena meramente
processuali o premiali, non essendo consentito
scindere la riduzione premiale dalla pena principale. (Fattispecie nella quale era stata richiesta in
executivis dal P.M. l’interdizione legale a norma
dell’art. 32 c.p. in relazione a condanna a pena
complessiva di anni quattro di reclusione, per la
quale la pena-base superava i cinque anni di reclusione, ridotti per la scelta del rito abbreviato). *
Cass. pen., sez. I, 14 maggio 1997, n. 2650 (c.c. 10
aprile 1997), P.G. in proc. Zinghini. [RV207445]
l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria nell’ipotesi di reato continuato, occorre tener
conto della pena principale inflitta per il reato
più grave e non anche dell’aumento per la continuazione. (Fattispecie in tema di interdizione
dai pubblici uffici). * Cass. pen., sez. II, 7 maggio
1987, n. 5495 (ud. 21 novembre 1986), Iatino.
d) Decorrenza.
l La pena accessoria dell’interdizione dai
pubblici uffici si attua per effetto del giudicato, e
quindi con decorrenza dal giorno in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile; un’attività
propriamente esecutiva della relativa pronuncia
non è concepibile, poiché nessun atto ulteriore
potrebbe togliere o comunque modificare quella
capacità che il condannato ha già perduto per
effetto della sentenza. Per conseguenza, la sospensione dell’esecuzione della pena accessoria,
disposta dal giudice dell’esecuzione in sede di
incidente, deve considerarsi nulla siccome abnorme; e di un simile provvedimento non può
tenersi conto nel computare la durata della pena
accessoria, dovendosi in tale computo compren-
121
Titolo II – Delle pene
dere anche il periodo di tempo durante il quale
l’esecuzione è stata in apparenza sospesa. * Cass.
pen., sez. II, 7 febbraio 1966, n. 391, P.M. in proc.
Serra.
e) Durata.
l In materia di reati previsti dal codice penale,
nel caso di generica previsione, senza indicazione
di durata, della pena accessoria dell’interdizione dai
pubblici uffici, essa deve intendersi come interdizione temporanea con durata uguale a quella della
pena principale inflitta, e, comunque, non inferiore
a un anno. (Fattispecie relativa alla ritenuta inapplicabilità ai reati previsti dal codice penale dell’art.
4 del R.D. 28 maggio 1931 n. 601 — disposizioni di
coordinamento e transitorie al codice penale,— applicabile soltanto alle ipotesi di interdizione prevista
da leggi — che prevedono l’interdizione perpetua —
decreti e convenzioni internazionali). * Cass. pen.,
sez. VI, 10 novembre 1997, n. 10108 (ud. 29 maggio
1997), D’Ambrosio ed altri. [RV208815]
29. Casi nei quali alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici (1). – La condanna all’ergastolo (22) e la condanna alla reclusione (23) per un
tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la
condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a
tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la
durata di anni cinque (31, 33, 98, 139, 140, 317 bis, 389;
662 c.p.p.; 15 coord.; 2282 l. fall.).
La dichiarazione di abitualità (102 ss.) o di professionalità nel delitto (105), ovvero di tendenza a
delinquere (108), importa l’interdizione perpetua dai
pubblici uffici (33).
(1) Casi particolari di interdizione dai pubblici uffici sono
previsti dalle seguenti disposizioni:
a) art. 2, quinto comma, della L. 20 giugno 1952, n. 645, recante norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, in tema di reati concernenti la ricostituzione
del disciolto partito fascista;
b) art. 6, della L. 20 febbraio 1958, n. 75, in tema di reati
concernenti la prostituzione;
c) art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina sui reati fiscali;
d) art. 2, della L. 25 gennaio 1982, n. 17, in tema di reati inerenti le associazioni segrete.
SOMMARIO:
a) Interdizione perpetua; a-1) Limiti di pena; a2) Dichiarazione di abitualità, professionalità o di
tendenza a delinquere;
b) Interdizione temporanea;
c) Entità della pena irrogata ai fini dell’applicazione della pena accessoria.
a) Interdizione perpetua.
a-1) Limiti di pena.
l Sia l’art. 9, D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 e
sia l’art. 2, D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394 preve-
Art. 29
dono la concessione dell’indulto solo per le pene
accessorie temporanee. È, quindi, esclusa da tale
beneficio, la pena accessoria della interdizione
perpetua dai pubblici uffici, perché consegue di
diritto, ai sensi dell’art. 29, primo comma, c.p.,
alle condanne alla reclusione per un tempo non
inferiore a cinque anni. * Cass. pen., sez. V, 12
maggio 1992, n. 5558 (ud. 25 marzo 1992), Fabbrocini.
a-2) Dichiarazione di abitualità, professionalità o
di tendenza a delinquere.
l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici consegue ope legis — a norma dell’art.
29 in relazione all’art. 20 c.p. — alla dichiarazione
di delinquente abituale, senza necessità di alcuna
statuizione del giudice di cognizione il quale, con
la sentenza di condanna, non è tenuto ad applicare le pene accessorie conseguenti alla condanna
stessa, dovendo ad esse provvedere in executivis
il giudice competente. * Cass. pen., sez. II, 17 febbraio 1971, n. 945, Piccottini.
b) Interdizione temporanea.
l L’interdizione temporanea dai pubblici
uffici, ai sensi dell’art. 29 c.p., consegue a condanna alla reclusione per tempo non inferiore a
tre anni di reclusione. Detta pena, in caso di reati
unificati per continuazione, è quella irrogata per
quello ritenuto più grave, non dovendosi tenere
conto dell’aumento per continuazione, e, in caso
di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all’art. 442 c.p.p., la pena da prendersi in continuazione è quella risultante dopo la
diminuzione di un terzo imposta dallo speciale
giudizio abbreviato. * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 1995, n. 12741 (ud. 9 novembre 1995), Triolo.
[RV203336]
c) Entità della pena irrogata ai fini dell’applicazione della pena accessoria.
l  Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice
deve tener conto dell’entità della pena principale
irrogata dalla sentenza di condanna, anche all’esito delle eventuali diminuzioni processuali. * Cass.
pen., sez. V, 16 dicembre 2008, n. 46340 (c.c. 26
novembre 2008), Giometti. [RV242322]
l In tema di pene accessorie, nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la
durata della pena accessoria a quella principale
deve farsi riferimento alla pena base inflitta per
la violazione più grave, come determinata in concorso delle circostanze attenuanti e aggravanti e
del relativo bilanciamento, e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la
continuazione. * Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 1999,
n. 4559 (ud. 25 febbraio 1999), Lubrano V. Conforme, Cass. pen., sez. II, 13 settembre 1991, n.
9329, Maidecchi. [RV213149]
Art. 30
Libro I – Dei reati
l Ai fini dell’applicazione dell’interdizione dai
pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente
a giudizio abbreviato, poiché le pene accessorie
assumono carattere di automatismo in rapporto
all’entità del trattamento sanzionatorio, il limite
di pena di cui all’art. 29 c.p. non può prescindere
dagli effetti su di esso del procedimento speciale
del rito abbreviato e, quindi, della conseguente
diminuente sulla pena da infliggersi in concreto.
* Cass. pen., sez. VI, 13 maggio 1998, n. 5567 (ud.
16 febbraio 1998), Di Francesco. [RV210996]
l Qualora più reati per i quali intervenga
condanna siano legati dal vincolo della continuazione, l’entità della pena, ai fini dell’applicazione
di una pena accessoria, va determinata non con
riferimento alla pena complessiva, compreso
l’aumento per la continuazione, ma unicamente
con riferimento alla pena-base. * Cass. pen., sez.
I, 24 settembre 1997, n. 8605 (ud. 11 luglio 1997),
Panetta e altro. [RV208580]
l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, occorre far riferimento alla pena alla quale
l’imputato è stato condannato e cioè a quella in
concreto comminata dopo il computo di tutte le
attenuanti e le diminuenti previste dalla legge
senza distinzione di merito o di rito. Ne consegue
che in caso di applicazione della diminuente per
il rito abbreviato di cui all’art. 442 c.p.p., la pena
applicata in concreto è quella risultante dopo la
diminuzione di un terzo imposta dallo speciale
giudizio abbreviato. * Cass. pen., sez. I, 11 settembre 1997, n. 8263 (ud. 19 maggio 1997), Cinà.
[RV208328]
l Ai fini della applicazione della interdizione
dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, il limite di pena di
cui all’art. 29 c.p. va individuato non con riguardo
alla pena irrogata in concreto, dopo la riduzione
conseguente alla diminuente ex art. 442, comma
secondo, c.p.p., ma a quella stabilita dal giudice
prima dell’applicazione di detta diminuente, data
la natura meramente processuale di essa e tenuto
conto del logico collegamento della pena accessoria alla negativa valutazione sostanziale del fattoreato riflessa nella pena principale. * Cass. pen.,
sez. VI, 28 maggio 1997, n. 4951 (ud. 7 marzo
1997), Marchese ed altri. [RV208909]
l Ai fini dell’applicazione dell’interdizione dai
pubblici uffici i limiti di pena fissati dagli artt. 29
e 32 c.p., nel caso di giudizio abbreviato, vanno
individuati non con riguardo alla pena irrogata in
concreto, ma a quella stabilita dal giudice prima
dell’applicazione della diminuente del rito: invero
detta diminuente ha genesi e finalità meramente
processuali che non consentono la sua assimilazione ad una normale circostanza attenuante. *
Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1996, n. 6321 (ud.
29 marzo 1996), Buonanno. [RV205090]
l Al fine di stabilire se alla condanna debba
conseguire o meno l’interdizione dai pubblici
122
uffici, e se questa debba essere perpetua o soltanto temporanea, occorre considerare l’entità
della pena irrogata in concreto, come risultante
a seguito del computo dell’eventuale diminuente per il rito abbreviato; l’art. 29 c.p., infatti,
riferendosi genericamente alla «condanna», ha
riguardo esclusivamente alla pena irrogata, in sè
considerata, a prescindere dagli elementi del calcolo aritmetico che concorrono a determinarla. *
Cass. pen., sez. II, 16 aprile 1996, n. 3716 (ud. 18
ottobre 1995), Costa. [RV204745]
l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici il giudice deve
tenere conto dell’entità della pena quale risulta
dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente processuali o premiali, che costituiscono l’incentivo per
la collaborazione dell’imputato alla definizione
del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese
dall’art. 29 c.p., che si riferisce alla condanna inflitta comprensiva delle singole parti componenti,
non è consentito scindere la riduzione premiale
dalla pena principale determinata in relazione
alla gravità del reato. (Fattispecie in tema di patteggiamento in appello). * Cass. pen., sez. II, 31
gennaio 1995, n. 4914 (c.c. 16 novembre 1994),
P.M. in proc. Fagiano.
l Poiché la diminuente prevista per la celebrazione del processo con il rito abbreviato ha
genesi e finalità meramente processuali che la
rendono non assimilabile ad una circostanza attenuante del reato, i limiti di pena fissati dall’art.
29 c.p. per stabilire la durata dell’interdizione dai
pubblici uffici vanno individuati non sulla pena
irrogata in concreto e in maniera definitiva ma in
un momento anteriore vale a dire prima di operare la diminuzione per il rito prescelto. Ne deriva
che qualora venga inflitta una pena inferiore ai
cinque anni di reclusione in conseguenza dell’applicazione della detta diminuente, la condanna
importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. * Cass. pen., sez. IV, 13 aprile 1994, n. 4327
(ud. 1 marzo 1994), Belleri.
l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici,
occorre avere riguardo non alla pena totale inflitta per più reati, bensì a quella irrogata per
ogni singolo reato, senza tener conto di eventuali
cause estintive della pena. * Cass. pen., sez. I, 4
dicembre 1992, n. 11633 (ud. 21 ottobre 1992),
Puca.
30. Interdizione da una professione o da un’arte (1). – L’interdizione da una professione o da un’arte
priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, una professione, arte, industria, o un
commercio o mestiere, per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità e importa la decadenza dal
123
Titolo II – Delle pene
permesso o dall’abilitazione, autorizzazione, o licenza
anzidetti.
L’interdizione da una professione o da un’arte non
può avere una durata inferiore a un mese, né superiore
a cinque anni, salvi i casi espressamente stabiliti dalla
legge (31, 33, 79, 139, 140; 15 ss. coord.; 662 c.p.p.; 216,
217 l. fall.; 11 T.U. di P.S.).
(1) Casi particolari d’interdizione da una professione o da
un’arte sono previsti dalle seguenti disposizioni:
a) art. 20, quarto comma, della L. 31 dicembre 1982, n. 979,
recante disposizioni per la difesa del mare, in tema di reati d’inquinamento delle acque marine;
b) art. 182 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo Unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;
c) art. 22 della L. 1 aprile 1999, n. 91, recante disposizioni in
materia di trapianti di organi e tessuti.
l In
tema di pene accessorie, qualora sia
applicata dal giudice di merito erroneamente la
sanzione disciplinare dell’interdizione dalla professione prevista dall’art. 8 della legge n. 175 del
1992 (che attribuisce espressamente agli ordini e
collegi professionali sanitari la facoltà di promuovere ispezioni presso gli studi professionali degli
iscritti ai rispettivi albi provinciali, al fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alle rispettive
professioni) in luogo della pena accessoria prevista dall’art. 30 c.p., ben può la Corte di cassazione
provvedere a rilevare d’ufficio l’erronea applicazione dell’art. 8 suddetto, trattandosi di errore
non determinante annullamento e rettificabile
ai sensi dell’art. 619 c.p.p. * Cass. pen., sez. VI,
24 maggio 2001, n. 21212 (ud. 11 aprile 2001),
Brussato. [RV219839]
l La sospensione cautelare dall’esercizio
della professione forense adottata dall’Ordine
degli avvocati e procuratori non ha alcuna comunanza con la pena accusatoria dell’interdizione
dall’esercizio di una professione di cui all’art. 30
c.p.: mentre la prima costituisce estrinsecazione
di una funzione amministrativa, la seconda rappresenta una sezione penale perché consegue di
diritto alla condanna come effetto penale della
stessa. Le due sanzioni pertanto operano in ambiti e su basi diverse, per cui possono concorrere
e le sorti dell’una non sono influenzate da quelle
subite dall’altra. (Affermando siffatto principio
la Cassazione ha escluso che, essendo stata dichiarata estinta per indulto ex D.P.R. 16 dicembre
1986 n. 865 la pena accessoria dell’interdizione
dalla professione, del pari potesse ritenersi estinta la sospensione cautelare; con riguardo ad una
siffatta fattispecie è stata pertanto ritenuta la
configurabilità del reato di esercizio abusivo della
professione). * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio
1996, n. 2066 (ud. 9 novembre 1995), Torregrossa.
[RV204155]
31. Condanna per delitti commessi con abuso
di un pubblico ufficio o di una professione o di
Art. 31
un’arte. Interdizione. – Ogni condanna per delitti
commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione
dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un
pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel n. 3
dell’articolo 28, ovvero con l’abuso di una professione,
arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la
violazione dei doveri ad essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere (332, 37,
79, 982, 140, 323, 328, 334, 357, 358, 360, 3664, 373; 14
ss. coord.).
SOMMARIO:
a) Condizioni di applicabilità;
b) Abuso della professione.
a) Condizioni di applicabilità.
l La pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile in caso di
condanna per un reato di falso commesso da un
pubblico ufficiale, anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, c.p., trattandosi di pena accessoria relativa “ope legis” a tutti
i reati commessi in violazione dei doveri inerenti
a una pubblica funzione. * Cass. pen., sez. V, 19
gennaio 2011, n. 1450 (ud. 4 novembre 2010),
Antoci e altro. [RV249095]
l Il delitto di violazione dei sigilli commesso
dal custode rientra nella categoria dei delitti perpetrati con abuso di poteri o con la violazione dei
doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un
pubblico servizio, sicché alla condanna segue l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione
temporanea dai pubblici uffici. * Cass. pen., sez.
III, 21 aprile 2006, n. 14238 (ud. 8 marzo 2006),
Calise. [RV234118]
l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ex art. 31 c.p. consegue alla condanna
per il delitto di falsa testimonianza, rientrando
questo tra i delitti commessi con la violazione dei
doveri inerenti ad una pubblica funzione. * Cass.
pen., sez. VI, 20 novembre 2003, n. 44758 (ud. 29
ottobre 2003), Continisio. [RV227323]
l La pena accessoria dell’interdizione dai
pubblici uffici ex art. 31 c.p. consegue ad ogni
condanna per il delitto di violazione dei sigilli
commesso dal custode, rientrando questo tra i
delitti commessi con l’abuso dei poteri o con la
violazione dei doveri inerenti ad una pubblica
funzione o ad un pubblico servizio per i quali
l’art. 31 c.p. prevede la detta interdizione. * Cass.
pen., sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1508 (ud. 4 dicembre 1997), Perone V. Conforme, Cass. III, 8
marzo 2010, n. 9169 (c.c. 28 ottobre 2009), Risi.
[RV209824]
l L’alternatività delle pene accessorie, prevista dall’art. 31, ultima parte, c.p., non si riferisce ad un potere di scelta alternativa conferito
Art. 31
Libro I – Dei reati
al giudice, ma a due diverse situazioni relative
all’irrogabilità della pena in considerazione della
qualità soggettiva del reo (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio oppure esercente una
professione, arte, industria, etc.). Ne consegue,
pertanto, che se il condannato riveste la duplice
ed inseparabile qualità di pubblico ufficiale o
esercente di pubblico servizio e di esercente una
professione, legittimamente possono applicarsi
insieme l’una e l’altra pena accessoria. (Fattispecie relativa ad interdizione temporanea sia dai
pubblici uffici che dalla professione, disposta nei
confronti di medici e farmacisti, convenzionati
con il Servizio sanitario nazionale). * Cass. pen.,
sez. II, 27 giugno 1987, n. 7761 (ud. 15 novembre
1986), Rosa.
l La sospensione dall’esercizio del commercio ex art. 15 d.l.c.p.s. 15 settembre 1947, n. 896,
non ha alcuna comunanza con la pena accessoria
ex art. 31 c.p. Invero, mentre la prima ha natura
amministrativa sul piano soggettivo ed oggettivo,
essendo la sua operatività indipendente dall’accertamento giudiziale della responsabilità per
il reato previsto dall’art. 14 del citato decreto n.
896/1947, la seconda costituisce una sanzione
penale, poiché consegue di diritto alla condanna
come effetto penale della stessa giusto il disposto dell’art. 20 c.p. (Nella specie, nell’affermarsi
— sulla base dell’enunciato principio — la legittimità del cumulo delle sanzioni indicate, si è
esclusa la possibilità di far luogo al principio di
specialità, invocato dal ricorrente, precisandosi
che elemento indefettibile del ricordato principio
è che più leggi o più disposizioni della medesima
legge regolino la stessa materia: di qui l’esigenza
che le fattispecie legali, gli elementi accessori, le
sanzioni previste dalle norme apparentemente
concorrenti abbiano carattere penale e costituiscano delle entità omogenee). * Cass. pen., Sezioni Unite, 28 febbraio 1984, n. 1719 (ud. 28
gennaio 1984), Fantolino.
l La pena accessoria dell’interdizione dai
pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata
contestata l’aggravante dell’abuso di pubblica
funzione di cui all’art. 61 n. 9 c.p., trattandosi di
pena accessoria inerente ope legis a tutti i reati
commessi in violazione dei doveri connessi a una
pubblica funzione. * Cass. pen., sez. II, 7 maggio
1983, n. 4243 (ud. 9 novembre 1982), Porcelli.
l La norma che prevede l’applicazione della
pena accessoria per i delitti commessi con abuso
dei poteri inerenti a una pubblica funzione non
fa alcuna distinzione tra delitto tentato e delitto
consumato. * Cass. pen., sez. VI, 9 gennaio 1982,
n. 162 (ud. 16 dicembre 1981), Di Salvo. Conforme, Cass pen., sez. VI, 26 gennaio 1976, Arecco.
l La diversità di trattamento riservata, in
tema di pene accessorie, dagli artt. 31 e 33 comma
secondo c.p. risale non alla diversa specie della
pena prevista per i reati commessi con abuso della
qualità di pubblico ufficiale (art. 31) e per i reati
124
colposi (art. 33), bensì alla diversa gravità che assume il fatto nelle due ipotesi. Il diverso criterio
di applicabilità della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici o dalla professione, arte,
industria, o commercio o mestiere, non contrasta,
pertanto, con il principio di uguaglianza sancito
negli artt. 31 e 33 comma secondo c.p., è manifestamente infondata. * Cass. pen., sez. VI, 15 aprile
1975 (ud. 13 dicembre 1974), Franchini.
b) Abuso della professione.
l In tema di pena accessoria della interdizione da una professione, la locuzione «abuso della
professione», utilizzata dall’art. 31 c.p., va intesa
nel senso di uso abnorme del diritto all’esercizio
di una determinata professione, con l’intento di
conseguire uno scopo diverso da quello al quale
l’abilitazione è strumentale. (Fattispecie nella
quale è stato ritenuto sussistere tale presupposto
nella condotta di un medico che aveva reiteratamente consentito a soggetto non abilitato di utilizzare il suo nome e la sua posizione fiscale per
l’esercizio abusivo della professione di dentista).
* Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 14368
(ud. 17 novembre 1999), Rotondo. [RV216829]
l La condanna per il delitto di frode in commercio importa la pena accessoria della pubblicazione della sentenza e dell’interdizione da
una professione o arte, in applicazione degli artt.
30, 31 e 518 c.p. Tali pene vanno inflitte anche
con riferimento all’ipotesi del tentativo, poiché le
predette norme non differenziano quest’ultimo
dal reato consumato. * Cass. pen., sez. III, ord.
17 settembre 1996, n. 2196 (c.c. 14 maggio 1996),
Volpe. [RV206268]
l L’interdizione temporanea dall’esercizio
della professione, conseguente ad ogni condanna
per delitti commessi con l’abuso di una professione riguarda nel suo complesso l’attività il cui
legittimo esercizio esige una speciale abilitazione
e non soltanto il settore specializzato in cui essa
viene in concreto espletata. (Nella specie è stato
rigettato il ricorso di un medico odontoiatra —
condannato per il reato di cui agli artt. 110-348
c.p., per avere consentito ad un odontotecnico
l’attività di medico odontoiatra presso il proprio
studio dentistico — il quale deduceva in violazione dell’art. 31 c.p. per essere stata inflitta l’interdizione temporanea dalla professione di medicochirurgo anziché dall’attività di odontoiatra). *
Cass. pen., sez. VI, 1 settembre 1995, n. 9297 (ud.
6 marzo 1995), Bignardi. [RV203078]
l Il termine «abuso della professione» va
interpretato nel senso di uso abnorme del diritto
all’esercizio di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione, effettuato con
l’intenzione di conseguire uno scopo diverso
da quello per il quale il diritto è stato concesso,
seguito da un comportamento contra legem particolarmente grave sia dal lato obiettivo che da
quello subiettivo. * Cass. pen., sez. V, 18 novem-
125
Titolo II – Delle pene
bre 1986, n. 12876 (ud. 2 ottobre 1986), Pratesi.
Conforme, Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 1999,
n. 14368, Rotondi.
l Per l’applicabilità della pena accessoria dell’interdizione della professione di giornalista non è
sufficiente un isolato comportamento diffamatorio
nel quale pure può ipotizzarsi la violazione dei principi di etica professionale sanciti nell’ordinamento
della professione di giornalista (obbligo del rispetto
della verità unitamente a quello dei doveri imposti
dalla lealtà e dalla buona fede), ma occorrono gravi
e ripetute lesioni dei menzionati principi, determinati da un comportamento corrivo e, quindi, produttivo di danno sociale. L’ipotesi dell’abuso della
professione, ai fini dell’applicazione della pena accessoria prevista dall’art. 31 c.p., presuppone un uso
abnorme del diritto all’esercizio della professione e
un comportamento illecito particolarmente grave
sia dal lato obiettivo (per la reiterazione e la gravità
del fatto) sia dal lato soggettivo (per la maggiore
intensità del dolo). (In applicazione di tale principio è stata ritenuta inapplicabile la pena accessoria
dell’interdizione da una professione nei confronti
di un giornalista che, esercitando il diritto di critica
ad una trasmissione televisiva, aveva sconfinato, in
una sola frase dell’articolo, nella diffamazione). *
Cass. pen., sez. V, 11 luglio 1983, n. 6454 (ud. 3 giugno 1983), Zanetti.
32. Interdizione legale. – Il condannato all’ergastolo
è in stato di interdizione legale.
La condanna all’ergastolo importa anche la decadenza dalla potestà dei genitori (316 c.c.) (1).
Il condannato alla reclusione per un tempo non
inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato d’interdizione legale; la condanna produce altresì, durante
la pena, la sospensione dall’esercizio della potestà dei
genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti (33) (1).
Alla interdizione legale si applicano, per ciò che
concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni,
nonché la rappresentanza negli atti ad esse relativi, le
norme della legge civile sulla interdizione giudiziale
(424, 425 ss. c.c.; 662 c.p.p.).
(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 119 della L.
24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
l Al condannato, ancorché ammesso al programma di protezione per i collaboratori di giustizia, legalmente interdetto ai sensi dell’art. 32
c.p., è inibita l’iscrizione presso la Camera di
commercio per lo svolgimento di un’attività di
impresa. (Nell’applicare tale principio, la Corte
ha precisato che a diversa soluzione non può
condurre né la disposizione di cui all’art. 17 L.
26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’art.
5, comma secondo, L. 22 giugno 2000, n. 193, la
quale esclude l’operatività dell’incapacità derivante dall’interdizione ai soli casi di costituzione di
rapporti di lavoro ed assunzione della qualità di
Art. 32
socio in cooperative sociali, né la disciplina di cui
all’art. 8 della L. 13 febbraio 2001, n. 45, secondo
la quale dal rifiuto del collaborante di accettare
adeguate opportunità di lavoro o di impresa deriva la revoca del programma di protezione, atteso
che tale condotta negativa non può equipararsi al
fenomeno normativo ostativo all’esercizio dell’attività di impresa, costituito dagli effetti preclusivi
derivanti dalle pene accessorie). * Cass. pen., sez.
I, 13 febbraio 2002, n. 5960 (c.c. 17 dicembre
2001), Mazza. [RV221134]
l Nell’ipotesi di condanna con rito abbreviato
per stabilire se il giudice debba o meno applicare
la pena accessoria dell’interdizione legale di cui
all’art. 32 c.p. deve aversi riguardo alla pena determinata per il reato giudicato, quale risultante
prima della riduzione per la diminuente prevista
dall’art. 442, comma secondo, c.p.p. * Cass. pen.,
sez. IV, 28 dicembre 1996, n. 11238 (ud. 12 dicembre 1996), Gallo ed altro. [RV207331]
l Al cosiddetto «patteggiamento in appello»,
previsto dall’art. 599, comma 4, c.p.p. non sono
applicabili le norme che regolano l’applicazione
della pena su richiesta prevista dall’art. 444 c.p.p.
(Affermando siffatto principio la Cassazione ha
ritenuto che nel caso in cui il giudizio di appello si
sia svolto ai sensi del suddetto art. 599, comma 4,
c.p.p. non possa escludersi l’applicazione di pene
accessorie ed in particolare che sia applicabile
l’interdizione legale durante la pena, disposta nel
giudizio di primo grado). * Cass. pen., sez. VI, 20
luglio 1995, n. 17680 (c.c. 3 maggio 1995), P.M. in
proc. D’Amato. [RV202218]
32
bis. (1) Interdizione temporanea dagli uffici
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
(2). – L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese priva il condannato della
capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio
di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (3), nonché ogni altro ufficio
con potere di rappresentanza della persona giuridica
o dell’imprenditore.
Essa consegue ad ogni condanna alla reclusione
non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso
dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.
(1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 120 della L. 24
novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
(2) Si veda l’art. 182 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
(3) Le parole: «e direttore generale» sono state così sostituite
dalle attuali: «, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari» dall’art. 15, comma 3,
lett. a), della L. 28 dicembre 2005, n. 262.
l In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione va inflit-
Art. 32 ter
Libro I – Dei reati
ta solo in caso di condanna per scarico eccedente
i limiti di accettabilità e non anche nell’ipotesi di
mancanza di autorizzazione. * Cass. pen., sez.
III, 31 ottobre 1992, n. 10422 (ud. 25 settembre
1992), Albert.
32 ter. (1) Incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione. – L’incapacità di contrattare con la
pubblica amministrazione importa il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo
che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio
(2).
Essa non può avere durata inferiore ad un anno né
superiore a tre anni.
(1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 120 della L. 24
novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
(2) Si veda l’art. 182 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
32 quater. (1) Casi nei quali alla condanna conse-
gue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. – Ogni condanna per i delitti previsti
dagli articoli 316 bis, 316 ter (2), 317, 318, 319, 319 bis,
320, 321, 322, 322 bis (2), 353, 355, 356, 416, 416 bis,
437, 501, 501 bis, 640, numero 1) del secondo comma,
640 bis, 644, (3) commessi in danno o in vantaggio di
un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad
essa importa l’incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione.
(1) Questo articolo, aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, è stato da ultimo
così sostituito dall’art. 3 del D.L. 17 settembre 1993, n. 369, recante
disposizioni urgenti in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, nella L. 15 novembre
1993, n. 461.
(2) Le parole: «, 316 ter» e «, 322 bis» sono state inserite dall’art. 6, comma 1, della L. 29 settembre 2000, n. 300.
(3) La parola: «644,» è stata inserita dall’art. 7 della L. 7 marzo
1996, n. 108.
32 quinquies. (1) Casi nei quali alla condanna consegue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego. – Salvo quanto previsto dagli articoli 29 e 31, la
condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a
tre anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter e 320 importa altresì l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti
del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica.
(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 5, comma 2, della
L. 27 marzo 2001, n. 97, sugli effetti del giudicato penale per i
dipendenti pubblici.
33. Condanna per delitto colposo. – Le disposizioni
dell’articolo 29 e del secondo capoverso dell’articolo
32 non si applicano nel caso di condanna per delitto
colposo (43) (1).
Le disposizioni dell’articolo 31 non si applicano nel
caso di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta
126
è inferiore a tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria.
(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 121 della L.
24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
l Le pene accessorie non possono essere inflitte in caso di condanna per delitto commesso
per eccesso colposo di legittima difesa, trattandosi di reato a tutti gli effetti colposo. * Cass. pen.,
sez. I, 22 gennaio 1982 (c.c. 14 dicembre 1981, n.
1946), Gualandi.
34. (1) Decadenza dalla potestà dei genitori e sospensione dall’esercizio di essa. – La legge determina i casi (32, 38, 982, 564, 569, 609 nonies) nei quali la
condanna importa la decadenza dalla potestà dei genitori (316 c.c.) (2).
La condanna per delitti commessi con abuso della
potestà dei genitori importa la sospensione dall’esercizio di essa (287, 288 c.p.p.) per un periodo di tempo
pari al doppio della pena inflitta (139).
La decadenza dalla potestà dei genitori importa
anche la privazione di ogni diritto che al genitore spetti
sui beni del figlio in forza della potestà di cui al titolo IX
del libro I del codice civile (315 ss. c.c.).
La sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori importa anche l’incapacità di esercitare, durante
la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti
sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del
libro I del codice civile (315 ss. c.c.).
Nelle ipotesi previste dai commi precedenti,
quando sia concessa la sospensione condizionale della
pena, gli atti del procedimento vengono trasmessi al
tribunale dei minorenni, che assume i provvedimenti
più opportuni nell’interesse dei minori (3).
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 122 della L.
24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
(2) Si veda l’art. 71, terzo comma, della L. 4 maggio 1983, n.
184, recante disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori,
in tema di violazione delle norme di legge in materia d’adozione.
(3) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 5 della L. 7
febbraio 1990, n. 19, recante modifiche in tema di circostanze,
sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici
dipendenti.
l La mancata indicazione di durata della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale
non ne comporta la nullità, data la sua predeterminazione legislativa in un periodo di tempo
pari al doppio della pena inflitta, senza possibilità
alcuna di determinazione da parte del giudice. *
Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1992, n. 5432 (ud. 13
marzo 1992), Atria.
35. Sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte. – La sospensione dall’esercizio di una
professione o di un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, una profes-
127
Titolo II – Delle pene
sione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per i
quali è richiesto uno speciale permesso o una speciale
abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità (14
ss. coord.).
La sospensione dall’esercizio di una professione o
di un’arte non può avere una durata inferiore a quindici
giorni, né superiore a due anni (79, 139, 140).
Essa consegue a ogni condanna per contravvenzione, che sia commessa con abuso della professione,
arte, industria, o del commercio o mestiere (689, 691,
7274), ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti,
quando la pena inflitta non è inferiore a un anno d’arresto.
l Le pene accessorie dell’interdizione temporanea o sospensione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere non sono applicabili
nei confronti di colui che abbia venduto o messo
in vendita merci ovvero che abbia offerto od
eseguito servizi o prestazioni a prezzi superiori
a quelli stabiliti dal Comitato interministeriale
prezzi (Cip). La normativa vigente in materia
riserva infatti all’esclusiva competenza del ministro e del presidente del comitato il potere di sospendere il denunciato dall’attività che abbia dato
luogo all’infrazione o di escluderlo dalle assegnazioni di determinate materie, prodotti e di contingenti di esportazione e di importazione e dalla
concessione dei relativi permessi, nonché dalle
gare previste dal regolamento per la contabilità
generale dello Stato. * Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 1984, n. 8951 (ud. 21 giugno 1984), Surra.
l La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte costituisce una pena accessoria,
essendo una conseguenza ex lege della condanna;
alla sua applicazione non osta, pertanto, la circostanza che, a seguito del fatto per cui è processo,
il questore abbia comminato la sospensione della
licenza. Quest’ultima misura, ha, infatti, solo natura cautelare. * Cass. pen., sez. I, 7 luglio 1978,
n. 9053 (ud. 20 gennaio 1978), Runci.
35
bis. (1) Sospensione dall’esercizio degli uffici
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
– La sospensione dall’esercizio degli uffici direttivi delle
persone giuridiche e delle imprese priva il condannato
della capacità di esercitare, durante la sospensione,
l’ufficio di amministratore (2382 c.c.), sindaco (2399
c.c.), liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (2),
nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza
della persona giuridica o dell’imprenditore.
Essa non può avere una durata inferiore a quindici
giorni né superiore a due anni e consegue ad ogni condanna all’arresto per contravvenzioni commesse con
abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.
(1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 123 della L. 24
novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione.
Art. 35 bis
(2) Le parole: «e direttore generale» sono state così sostituite
dalle attuali: «, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari» dall’art. 15, comma 3,
lett. b), della L. 28 dicembre 2005, n. 262.
l La pena accessoria (sospensione, dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e
delle imprese) prevista dall’art. 35 bis, introdotto
con l’art. 123 L. 24 novembre 1981, n. 689, sulle
modifiche al sistema penale, è applicabile per il
combinato disposto degli artt. 31 (condanna per
delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio
o di una professione o di un’arte — interdizione) e
33 cod. pen. (condanna per delitto colposo), a tutte
le ipotesi contravvenzionali senza distinguere tra
contravvenzioni commesse con dolo o con colpa.
Infatti, secondo tali disposizioni, vi può essere un
abuso di poteri o una violazione di doveri anche
in caso di delitto colposo: è solo l’entità della pena
irrogata che può escludere l’applicazione della
interdizione, per espresso dettato legislativo, ma
non è prevista, anzi è esclusa, una incompatibilità
tra interdizione e comportamento colposo dell’agente. * Cass. pen., sez. VI, 18 settembre 1986,
n. 9530 (ud. 4 giugno 1986), Cioccia.
l La sospensione dall’esercizio degli uffici
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese,
di cui all’art. 35 bis c.p. può riguardare non solo
l’ufficio di amministrazione, ma anche quello di
sindaco, liquidatore, direttore generale, nonché
«ogni altro ufficio» con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore,
conseguendo ad «ogni condanna» all’arresto per
contravvenzioni con abuso dei poteri o violazione
dei doveri di ufficio. Poiché fra i doveri di ufficio
degli uffici direttivi di persone giuridiche o di
imprese sono da ricomprendere quelli attinenti
all’osservanza delle normative antinfortunistiche,
sull’igiene del lavoro od antinquinamento, legittimamente il giudice applica la pena accessoria
della sospensione dell’esercizio dell’ufficio, ove
accerti l’inosservanza delle normative medesime,
stabilite dal legislatore in un rapporto di stretta
connessione con i predetti uffici per la tutela di
interessi di ordine generale. * Cass. pen., sez.
III, 24 giugno 1985, n. 6249 (ud. 16 aprile 1985),
Boni.
36. Pubblicazione della sentenza penale di condanna (1). – La sentenza di condanna [alla pena di
morte (2) o] all’ergastolo (22) è pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello
ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza.
La sentenza di condanna è inoltre pubblicata [,
per una sola volta, in uno o più giornali designati dal
giudice e] (3) nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita
dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In
mancanza, la durata è di quindici giorni (4).
Art. 37
Libro I – Dei reati
La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il
giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è
eseguita d’ufficio e a spese del condannato.
La legge determina gli altri casi (165, 186, 347,
448, 475, 498, 501 bis, 518, 722) nei quali la sentenza
di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi
precedenti [, salva la pubblicazione nei giornali, che è
fatta unicamente mediante indicazione degli estremi
della sentenza e dell’indirizzo internet del sito del Ministero della giustizia] (5) (536, 694 c.p.p.) (6).
(1) Si veda il R.D.L. 9 luglio 1936, n. 1539, relativo alla pubblicazione delle sentenze penali nei giornali.
(2) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice
penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo
Lgt. 10 agosto 1944, n. 224.
L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che
non è ammessa la pena di morte.
Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di
morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle
militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena
di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal
codice penale.
(3) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse
dall’art. 37, comma 18, lett. a), n. 1), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111.
(4) Le parole: «e nel sito internet del Ministero della giustizia.
La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in
misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di
quindici giorni.» sono state aggiunte dall’art. 67, comma 1, della
L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009.
(5) Le parole: «, salva la pubblicazione nei giornali, che è fatta
unicamente mediante indicazione degli estremi della sentenza
e dell’indirizzo internet del sito del Ministero della giustizia», aggiunte dall’art. 2, comma 216, della L. 23 dicembre 2009, n. 191,
sono state poi soppresse dall’art. 37, comma 18, lett. a), n. 2), del
D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella L. 15
luglio 2011, n. 111.
(6) Per altri casi di pubblicazione si vedano le seguenti disposizioni:
a) art. 9 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, recante disposizioni
sulla stampa, in tema di reati commessi mediante pubblicazione
in un periodico;
b) art. 6 della L. 30 aprile 1962, n. 283, recante disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari;
c) artt. 28, quinto comma, e 38 della L. 20 maggio 1970, n.
300, recante norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, in tema di violazioni alla citata legge;
d) art. 6 della L. 20 novembre 1971, n. 1062, recante norme
sulla tutela delle opere d’arte;
e) art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina sui reati fiscali;
f) art. 26 del D.L.vo 22 maggio 1999, n. 251, recante disciplina
dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli pericolosi;
g) art. 76 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
l Il condono previsto dal D.P.R. 16 dicembre
1986 n. 865 è applicabile anche alla pena accessoria della pubblicazione della condanna, prevista
128
dall’art. 36 c.p. Quando tuttavia il giudice abbia
negato la concessione del beneficio ritenendo che
la pubblicazione della sentenza non rientri tra le
pene accessorie temporanee, facendo oggetto di
specifica statuizione tale esclusione — e contro tale
decisione non sia stata proposta impugnazione —
non sarà più possibile, per il principio dell’intangibilità del giudicato, procedere in fase esecutiva
all’applicazione del provvedimento di clemenza. *
Cass. pen., sez. I, 26 luglio 1995, n. 3957 (c.c. 30
giugno 1995), P.M. in proc. Zorzi. [RV202438]
l L’art. 57 della L. 24 novembre 1981, n. 689,
che disciplina gli effetti delle pene sostitutive ed i
criteri di ragguaglio, dispone al comma 2 che la
pena pecuniaria si considera sempre tale, anche se
sostitutiva di quella detentiva. Pertanto, nell’ipotesi
delittuosa di emissione di assegno senza autorizzazione (art. 1 della L. 15 dicembre 1990, n. 386), non
va disposta l’applicazione della pena accessoria della
pubblicazione della sentenza (art. 5, comma 2, L. n.
386 citata), ove il giudice abbia sostituito la pena
pecuniaria alla reclusione. * Cass. pen., sez. V, 30
agosto 1994, n. 9315 (ud. 21 giugno 1994), Tempesta.
l La pubblicazione della sentenza di condanna,
in quanto pena accessoria non temporanea, non è
condonabile ai sensi dell’art. 9, d.p.r. 16 dicembre
1986, n. 865, avente ad oggetto la concessione di
amnistia e indulto. * Cass. pen., sez. V, 22 settembre
1989, n. 12763 (ud. 23 giugno 1989), Galavotti.
l La scelta del giorno in cui deve essere effettuata la pubblicazione della sentenza penale di
condanna non è preclusa da alcuna disposizione
al giudice il quale, nell’esercizio del potere discrezionale in ordine alle modalità esecutive della
detta pena accessoria, può anche valutare l’opportunità che la pubblicazione avvenga in giorno festivo, in cui solitamente maggiori sono i lettori dei
giornali. Né può trarsi argomento contrario dalla
disposizione dell’art. 615, primo comma, c.p.p.
che sancisce l’obbligo del direttore responsabile
del giornale di pubblicare la sentenza di condanna
non più tardi di tre giorni successivi a quello in
cui ha ricevuto dall’autorità giudiziaria la richiesta
di pubblicazione: invero detto termine è prescritto esclusivamente per il direttore del giornale ed
esso non è incompatibile col potere discrezionale
del giudice di stabilire per la pubblicazione della
sentenza la domenica; ovviamente, in tal caso, il
direttore sarà tenuto alla inserzione nella prima
domenica utile successiva alla sentenza. * Cass.
pen., sez. II, 20 maggio 1966, n. 1551, Ghini.
37. Pene accessorie temporanee: durata. – Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è
espressamente determinata, la pena accessoria ha una
durata eguale a quella della pena principale inflitta, o
che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione per
insolvibilità del condannato (136). Tuttavia, in nessun
129
Titolo II – Delle pene
caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello
massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria (79, 139, 140).
l Rientra nella nozione di pena accessoria
non espressamente determinata dalla legge, quella per cui sia previsto un minimo ed un massimo,
sicché, in tali casi, la durata della pena accessoria
va parametrata dal giudice a quella della pena
principale inflitta; qualora tuttavia, sussista il
concorso eterogeneo di reati si deve aver riguardo
alla pena principale inflitta per il reato cui la
stessa pena accessoria si riferisce, non potendosi
irrogare una pena accessoria in relazione a reato
che non la prevede. (Fattispecie relativa alle pene
accessorie previste per i reati tributari dall’art. 12
D.L.vo. n. 74 del 2000). * Cass. pen., sez. V, 28
luglio 2010, n. 29780 (c.c. 30 giugno 2010), Ramunno e altro. Difforme la massima che segue.
[RV248258]
l Agli effetti dell’art. 37 c.p., pena accessoria
di durata espressamente determinata dalla legge
è anche quella per la quale la legge contempli un
minimo ed un massimo spettando in tali casi al
giudice, nell’ambito di tale intervallo temporale,
stabilirne la concreta durata ricorrendo ai criteri
di cui all’art. 133 c.p. * Cass. pen., sez. III, 20 giugno 2008, n. 25229 (ud. 17 aprile 2008), Ravara.
[RV240256]
l La pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un impresa commerciale applicata
con la sentenza di condanna per il reato di bancarotta (nel caso di specie, semplice documentale), siccome è dalla legge determinata solo nel
massimo, deve avere durata eguale a quella della
pena principale inflitta, secondo quanto previsto dall’art. 37 cod. pen.. * Cass. pen., sez. V, 12
aprile 2010, n. 13579 (ud. 2 marzo 2010), Ografo.
[RV246712]
l Rientra nella nozione di pena accessoria,
non espressamente determinata dalla legge,
quella per la quale è previsto un minimo ed un
massimo, sicché, in tali casi, la durata della pena
accessoria va parametrata dal giudice a quella
della pena principale inflitta. (Fattispecie relativa
alle pene accessorie previste per i reati tributari
dall’art. 12 D.L.vo n. 74 del 2000). * Cass. pen.,
sez. III, 10 novembre 2008, n. 41874 (c.c. 9 ottobre 2008), Azzani e altro. [RV241410]
l La durata delle pene accessorie temporanee
conseguenti di diritto alla condanna e fissata dalla legge solo nel massimo, quando non sia stata
espressamente determinata dal giudice, è eguale
a quella della pena principale inflitta. (Nella
specie, relativa a ritiro della patente e divieto di
espatrio irrogati come effetto della condanna per
delitto in tema di stupefacenti, il giudice di primo
grado aveva genericamente applicato in sentenza le pene accessorie «per la durata minima di
legge». In relazione a tale formula la Corte ha
Art. 37
ritenuto che essa non potesse interpretarsi come
riferita a un sol giorno, ma dovesse intendersi
come ragguagliata al periodo di durata della pena
principale, purché non oltre i limiti del massimo
edittale previsto per le sanzioni accessorie e, di
conseguenza, ha giudicato corretta l’individuazione, da parte del giudice dell’esecuzione nella
durata di un anno pari alla pena della reclusione
inflitta dal giudice della cognizione quella delle
pene accessorie). * Cass. pen., sez. I, 16 maggio
2008, n. 19807 (c.c. 22 aprile 2008), Ponchia.
[RV240006]
l La pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali ed all’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi
impresa per dieci anni prevista dall’art. 216, u.c.,
L. fall., non è indeterminata e si sottrae, pertanto,
alla disciplina di cui all’art. 37 c.p. (Nella specie la
pena accessoria che consegue alla condanna per
il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in
misura fissa e inderogabile dal legislatore nella
durata di anni dieci). * Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 2007, n. 39337 (ud. 20 settembre 2007), Bucci.
[RV238211]
l In tema di pene accessorie, nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la
durata della pena accessoria a quella principale
deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la
violazione più grave e non a quella complessiva,
comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione. (Fattispecie in tema di pene accessorie stabilite dall’art. 317 bis c.p.). * Cass. pen., sez. VI,
22 maggio 2006, n. 17542 (ud. 13 febbraio 2006),
Prestipino Giarritta ed altro. [RV234496]
l Qualora la condanna inflitta per i delitti
di cui agli artt. 314 e 317 c.p. sia inferiore ai tre
anni di reclusione, la pena accessoria da irrogare
è la interdizione temporanea, commisurata alla
pena principale. * Cass. pen., sez. VI, 11 marzo
2003, n. 11383 (ud. 21 gennaio 2003), Marinelli.
[RV223949]
l Nel caso di pluralità di reati — unificati dal
vincolo della continuazione — la durata della
pena accessoria secondo il criterio fissato dall’art.
37 cod. pen. va determinata con riferimento alla
pena principale inflitta per la violazione più grave,
con conseguenze diverse, peraltro, a seconda che
trattasi di continuazione eterogenea, ovvero omogenea. Nella prima ipotesi, infatti, il riferimento
è esplicito ed esclusivo al reato in concreto ritenuto più grave, restando al di fuori, pertanto, il
quantitativo di pena aggiunta a titolo di continuazione per le ulteriori violazioni di specie diversa
non comportanti pene accessorie; nella seconda
ipotesi, invece, poiché l’identità dei reati unificati
comporta necessariamente la pena accessoria per
ciascuno di essi, la misura della stessa va commisurata all’intera pena principale inflitta con la
condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 4 luglio 1986, n.
6990 (ud. 13 giugno 1986), Brandemburg.
Art. 38
Libro I – Dei reati
l Nel caso di reato continuato, per determinare la durata della pena accessoria ai sensi dell’art.
37 c.p., occorre riferirsi alla pena base, cioè alla
pena senza l’aumento della continuazione. Infatti, le plurime violazioni del reato continuato si
considerano unitariamente solo ai particolari effetti previsti dalla legge per escludere il principio
quot delicta, tot poenae o ai fini della decorrenza
del termine di prescrizione dei vari reati, mentre
ad ogni altro effetto e, quindi, anche all’effetto
dell’applicazione delle pene accessorie, esse vanno tenute distinte. * Cass. pen., sez. V, 8 ottobre
1983, n. 8043 (ud. 2 maggio 1983), Amitrano.
l Quando la condanna comprende congiuntamente e la pena detentiva e la pena pecuniaria e
comporta l’applicazione di una pena accessoria,
per la determinazione della durata di questa si
deve tenere conto, a norma dell’art. 37 c.p., anche
della pena pecuniaria che dovrebbe scontarsi per
conversione. * Cass. pen., sez. VI, 18 dicembre
1978, n. 16038 (ud. 17 ottobre 1978), Martino.
38. Condizione giuridica del condannato alla pena di morte. – Il condannato alla pena di morte (21)
(1) è equiparato al condannato all’ergastolo, per quanto
riguarda la sua condizione giuridica (32).
(1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice
penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo
Lgt. 10 agosto 1944, n. 224.
L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che
non è ammessa la pena di morte.
Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di
morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle
militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena
di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal
codice penale.
Titolo III
Del reato
Capo I
Del reato
consumato e tentato
39. Reato: distinzione fra delitti e contravvenzioni. – I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni,
secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice (17; 4 ss. coord.).
l L’art. 5 delle disposizioni di coordinamento
e transitorie dettate con r.d. 28 maggio 1931 n.
601 stabilisce che i reati si considerano delitti o
contravvenzioni secondo la diversa specie della
pena per essi rispettivamente prevista. Lo stesso
articolo nel primo capoverso aggiunge che i reati
preveduti dalle leggi anteriori al 19 ottobre 1930
sono tuttavia da considerarsi contravvenzioni
ove sia comminata la pena della multa in misura
non superiore nel massimo a lire duemila, sola
130
ovvero congiuntamente o alternativamente con
l’ammenda o con altra pena pecuniaria senza
indicazione della specie, anche se determinata
in misura fissa o proporzionale. I reati punibili
con multa fissa o proporzionale non considerati
nel citato capoverso rientrano nella prima parte
dell’art. 5 e quindi debbono considerarsi delitti.
* Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 1975 (ud. 27
novembre 1974), Corsini.
40. Rapporto di causalità. – Nessuno può essere pu-
nito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se
l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione
od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
SOMMARIO:
a) Nesso causale;
b) Casistica;
c) Condotta omissiva.
a) Nesso causale.
l Nella valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di
copertura deve attingere al sapere scientifico, la
funzione strumentale e probatoria di quest’ultimo
impone al giudice di valutare dialetticamente le
specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la
scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai
concreti elementi scientifici raccolti. (La Corte ha
precisato che una opzione ricostruttiva fondata
sulla mera opinione del giudice, attribuirebbe a
questi, in modo inaccettabile, la funzione di elaborazione della legge scientifica e non, invece, come
consentito, della mera sua utilizzazione). * Cass.
pen., sez. IV, 4 novembre 2010, n. 38991 (ud. 10
giugno 2010), Quaglierini e altri, in Riv. Pen. 7-8/11
con nota di Rovero Roberto e Del Forno Elena.
[RV248853]
l Nei reati colposi, qualora si assuma violata
una regola cautelare cosiddetta «elastica» che
cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare — al contrario di
quelle cosiddette «rigide» che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento — è
necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere
ad una valutazione di tutte le circostanze del caso
concreto. (Nella specie la Corte ha annullato con
rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo da incidente stradale, fondata sul generico
riferimento alla inadeguatezza della velocità, senza una analitica valutazione di tutte le circostanze
del fatto in grado di definire l’esatta incidenza di
tale violazione nel caso concreto). * Cass. pen.,
sez. IV, 20 luglio 2007, n. 29206 (ud. 20 giugno
2007), Di Caterina ed altro. [RV236905]