113 Titolo II – Delle pene Titolo II Delle pene (1) (1) Per i reati di competenza del giudice di pace si vedano le sanzioni applicabili dal medesimo giudice previste dal titolo II (artt. 52-62) del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. Capo I Delle specie di pene, in generale 17. (1) Pene principali: specie. – Le pene principali stabilite per i delitti (5, 6 coord.) sono: 1) [la morte (2)] (21; 27 Cost.); 2) l’ergastolo (22); 3) la reclusione (23); 4) la multa (24). Le pene principali stabilite per le contravvenzioni (5, 6 coord.) sono: 1) l’arresto (25); 2) l’ammenda (26). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 168 del 28 aprile 1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile. (2) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. l È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, l’art. 17 del codice penale, nella parte in cui non esclude l’applicabilità della pena dell’ergastolo nei riguardi dei minorenni. * Corte cost., 28 aprile 1994, n. 168, X. 18. (1) Denominazione e classificazione delle pene principali. – Sotto la denominazione di «pene detentive» o «restrittive della libertà personale» la legge comprende: l’ergastolo, la reclusione e l’arresto. Sotto la denominazione di «pene pecuniarie» la legge comprende: la multa e l’ammenda. (1) Si veda, l’art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, in virtù del quale alle pene di questo articolo devono ritenersi aggiunte le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi. 19. Pene accessorie: specie. – Le pene accessorie (20, 77, 166; 662 c.p.p.; 1082 c.n.) per i delitti sono: 1) l’interdizione dai pubblici uffici (28, 29; coord. 14, 15, 16); Art. 17 2) l’interdizione da una professione o da un’arte (30, 31); 3) l’interdizione legale (32); 4) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (32 bis); 5) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (32 ter, 32 quater); 5 bis) l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro (1); 6) la decadenza o la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori (34) (2). Le pene accessorie per le contravvenzioni sono: 1) la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte (35); 2) la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (35 bis) (2). Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale di condanna (36; 543 c.p.p.) (3). La legge penale determina gli altri casi in cui le pene accessorie stabilite per i delitti sono comuni alle contravvenzioni (6712). (1) Questo numero è stato inserito dall’art. 5, comma 1, della L. 27 marzo 2001, n. 97, sugli effetti del giudicato penale per i dipendenti pubblici. (2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 118 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (3) Si veda il R.D.L. 9 luglio 1936, n. 1539 in tema di pubblicazione delle sentenze penali nei giornali. l La pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 186 c.p. ha natura di sanzione civile che può disporsi a carico del colpevole qualora essa costituisca un mezzo per riparare il danno, diversamente dalla pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 19 c.p. che ha la natura di pena accessoria. Trattasi, pertanto, di istituto ontologicamente appartenente al processo civile, dal quale mutua la sua disciplina, pur quando l’azione civile venga proposta nel processo penale. Ne consegue che la pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 186 citato non può essere disposta d’ufficio in mancanza della domanda della parte istante. (Nella specie la Corte ha annullato sul punto la pronuncia dei giudici di merito che avevano ordinato la pubblicazione della sentenza senza che la parte civile ne avesse fatto domanda, in ipotesi, tra l’altro, in cui il procedimento riguardava il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare — ex art. 570, comma secondo — ritenuta non suscettiva di danni non patrimoniali, escludendo, tra l’altro, la reciproca soccombenza e la legittimità, totale o parziale, della compensazione delle spese). * Cass. pen., sez. VI, 6 luglio 1998, n. 7917 (ud. 15 giugno 1998), Maniero B. [RV211384] 20. Pene principali e accessorie. – Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; Art. 20 Libro I – Dei reati quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa (77, 139, 140; 662 c.p.p.). l L’assoluto automatismo nell’applicazione delle pene accessorie, predeterminate per legge sia nella specie che nella durata e sottratte, perciò, alla valutazione discrezionale del giudice, comporta, da un lato, che l’erronea applicazione di una pena accessoria da parte del giudice di cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione, e dall’altro che, quando alla condanna consegue di diritto una pena accessoria così dalla legge stabilita, il P.M. ne può chiedere l’applicazione al giudice dell’esecuzione qualora si sia omesso di provvedere con la sentenza di condanna. * Cass. pen., sez. I, 23 novembre 2004, n. 45381 (c.c. 10 novembre 2004), P.G. in proc. Tinnirello ed altro. Conforme: Cass. pen., ord. 30 aprile 2010, n. 16634 (ud. 15 aprile 2010), Drago. [RV230129] l Ai fini dell’applicazione di una sanzione accessoria, si deve avere riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata sia per l’applicazione delle circostanze attenuanti che per la scelta del rito. (Nel caso di specie, la Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, sostituendola con quella di carattere temporaneo, in quanto in grado di appello la pena detentiva era stata rimodulata rispetto a quella irrogata in primo grado — all’esito di un giudizio abbreviato — in misura inferiore a cinque anni). * Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2004, n. 3538 (c.c. 23 dicembre 2003), Maisto. [RV230305] l L’applicazione della causa di non punibilità della ritrattazione, in un procedimento per falsa testimonianza a carico di un avvocato, non impedisce al giudice di appello di comunicare al consiglio dell’ordine di appartenenza dell’imputato l’esito del processo, con la trasmissione della relativa sentenza, in quanto si tratta di un adempimento di natura procedurale, diretto ad investire il titolare dell’azione disciplinare delle valutazioni in ordine alla rilevanza disciplinare del fatto già oggetto del giudizio penale, dovendosi, pertanto, escludere che una tale comunicazione possa qualificarsi come pena accessoria, non essendo, peraltro, prevista da alcuna norma di legge (la Corte ha anche precisato che la natura non sanzionatoria della comunicazione e la sua funzione strumentale rispetto all’esercizio del potere disciplinare, concorrente con quello giurisdizionale, escludono che l’adempimento informativo possa incidere sul divieto di reformatio in pejus). * Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2003, n. 16244 (ud. 5 dicembre 2002), Fontana. [RV224954] l Poiché l’art. 597, terzo comma, c.p.p. non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi inibi- 114 ti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo imputato, quelli concernenti le pene accessorie — le quali, secondo il disposto dell’art. 20 c.p., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa — al giudice di secondo grado è consentito applicare d’ufficio le pene predette qualora non vi abbia provveduto quello di primo grado, e ciò ancorché la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il gravame del pubblico ministero. (Fattispecie in tema di interdizione dai pubblici uffici). * Cass. pen., Sezioni Unite, 17 luglio 1998, n. 8411 (ud. 27 maggio 1998), P.M. in proc. Ishaka. [RV210979] l L’assoluto automatismo nell’applicazione delle pene accessorie, predeterminate per legge sia nella specie che nella durata e sottratte, perciò, alla valutazione discrezionale del giudice, comporta che l’erronea applicazione di una pena accessoria da parte del giudice di cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione ovvero, qualora venga dedotta con ricorso per cassazione, anche dal giudice di legittimità che, sul punto relativo, può direttamente dichiarare l’ineseguibilità della sentenza, stante la sua evidente contrarietà alla legge. * Cass. pen., sez. II, 10 gennaio 1997, n. 4492 (c.c. 13 novembre 1996), P.M. in proc. Kenzi [RV206850] l Gli effetti penali della condanna, dei quali il codice penale non fornisce la nozione né indica il criterio generale che valga a distinguerli dai diversi effetti di natura non penale che pure sono in rapporto di effetto a causa con la pronuncia di condanna, si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna e non pure di altri provvedimenti che possono determinare quell’effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, ope legis, dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, ancorché aventi la condanna come necessario presupposto; per la natura sanzionatoria dell’effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale. * Cass. pen., Sezioni Unite, 8 giugno 1994, n. 7 (c.c. 20 aprile 1994), Volpe. l Essendo le pene accessorie un effetto automatico della condanna, la loro applicazione non comporta obbligo di motivazione. * Cass. pen., sez. V, 12 giugno 1984, n. 5400 (ud. 7 marzo 1984), Napolitano. l La pena accessoria temporanea è condonata per intero quando corrisponde ad una pena principale interamente condonata; altrimenti rimane in vita per un periodo di tempo uguale a quello della pena principale residua ed eseguibile, quale effetto penale di questa. La pena accessoria consegue di diritto alla condanna come effetto penale di essa e quando è predeterminata dalla legge sia nella specie che nella durata, può essere 115 Titolo II – Delle pene applicata di ufficio in sede esecutiva anche se è stata omessa dal giudice che ha pronunciato la condanna. * Cass. pen., sez. V, 5 luglio 1976, n. 7578 (ud. 26 febbraio 1976), Giardina. l Sono pene accessorie quelle che, per espressa disposizione di legge, accedono alla condanna per un determinato reato; sono effetti penali della condanna alcune conseguenze, afflittive o restrittive, della condanna, stabilite dalla legge prevalentemente a tutela dei terzi od alcune incapacità non ricollegate allo status di condannato, ma a quello di interdetto, inabilitato, sottoposto a misura di sicurezza o a libertà vigilata. (Nella specie, è stato ritenuto un effetto penale della condanna la incapacità ad essere elettore, previsto per i condannati per alcuni reati). * Cass. pen., sez. II, 15 novembre 1975 (ud. 24 marzo 1975), Di Gioia. Capo II Delle pene principali, in particolare 21. [Pena di morte. – (Omissis)] (1). (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. 22. (1) Ergastolo. – La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (2), con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno (29, 32, 36; 1 coord.; 642 c.p.p.). Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto (3) (4). (Omissis) (5). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 168 del 28 aprile 1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile. (2) Per l’individuazione dei relativi istituti penitenziari si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. (3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634. (4) Si veda l’art. 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, che così dispone: «8. 1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legge, nei casi in cui è applicabile o è stata applicata la pena dell’ergastolo con isolamento diurno, se è stata formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ovvero la richiesta di cui al comma 2 dell’articolo 4 ter del decreto legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, Art. 21 n. 144, l’imputato può revocare la richiesta nel termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In tali casi il procedimento riprende secondo il rito ordinario dallo stato in cui si trovava allorché era stata fatta la richiesta. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti sono utilizzabili nei limiti stabiliti dall’articolo 511 del codice di procedura penale. «2. Quando per effetto dell’impugnazione del pubblico ministero possono essere applicate le disposizioni di cui all’articolo 7, l’imputato può revocare la richiesta di cui al comma 1 nel termine di trenta giorni dalla conoscenza dell’impugnazione del pubblico ministero o, se questa era stata proposta anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nel termine di trenta giorni da quest’ultima data. Si applicano le disposizioni di cui al secondo ed al terzo periodo del comma 1. «3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni del comma 2 dell’articolo 303 del codice di procedura penale». (5) Il terzo e il quarto comma di questo articolo sono stati abrogati dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634. SOMMARIO: a) Questioni di legittimità costituzionale; b) Inapplicabilità dell’indulto; c) Isolamento notturno. a) Questioni di legittimità costituzionale. l È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, l’art. 22 del codice penale, nella parte in cui tale norma non esclude l’applicabilità della pena dell’ergastolo nei riguardi dei minorenni. * Corte cost., 28 aprile 1994, n. 168, X. b) Inapplicabilità dell’indulto. l L’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte, ma soltanto, per volontà del legislatore, « in toto» ovvero convertibile in pena di altra specie. * Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 2007, n. 39531 (c.c. 4 ottobre 2007), Scuto. [RV237750] l La pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte, ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore, in toto ovvero, sempre in forza della medesima volontà, convertibile in pena di altra specie, di guisa che ad essa non può essere applicato, in mancanza di una specifica norma, l’indulto previsto in via generale soltanto per le pene detentive temporanee. * Cass. pen., sez. I, 16 giugno 2000, n. 2128 (c.c. 22 marzo 2000), Araniti. Conformi: Cass. pen., sez. I, 4 marzo 1993, n. 44, Pau; Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 1995, n. 3258, Rovelli; Cass. pen., sez. I, 20 settembre 2007, n. 35209 (c.c. 15 giugno 2007) Andriotta. [RV216194] l Il condono è incompatibile con l’ergastolo che non può essere considerato una pena temporanea neanche sotto il limitato profilo dell’accesso alla liberazione condizionale o a misure alternative alla detenzione. * Cass. pen., sez. I, 8 marzo 1993, n. 536 (c.c. 10 febbraio 1993), Di Guardo. Art. 23 Libro I – Dei reati c) Isolamento notturno. l L’isolamento notturno del condannato all’ergastolo, a differenza di quello diurno, che è una vera e propria sanzione penale, si configura come modalità di esecuzione della pena in termini di maggiore afflittività, che può non essere applicato ove sussistano gravi ragioni ostative, sicché non è configurabile un interesse giuridicamente apprezzabile del detenuto a instare per l’inasprimento del proprio trattamento penitenziario e a dolersi, mediante ricorso per cassazione, del provvedimento del magistrato di sorveglianza che ne abbia respinto il reclamo per l’omessa attuazione. * Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2007, n. 16400 (c.c. 27 febbraio 2007), Stilo. Conforme, Cass. pen., sez. I, 30 dicembre 2009, n. 50005 (c.c. 1 dicembre 2009), Cantarella. [RV236158] 23. Reclusione. – La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni (1), ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (2), con l’obbligo del lavoro (3) e con l’isolamento notturno (29, 32, 64, 66, 78, 132 ss.; 1 coord.; 656, 6911 c.p.p.). Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all’aperto (1422). Sono applicabili alla pena della reclusione le disposizioni degli ultimi due capoversi dell’articolo precedente (4). (1) Si veda l’art. 442, secondo comma c.p.p., il quale, in caso di condanna a seguito di giudizio abbreviato, stabilisce che la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze sia diminuita di un terzo. (2) Per l’individuazione dei relativi istituti penitenziari si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Si veda inoltre l’art. 95 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, T.U. delle leggi sugli stupefacenti, il quale stabilisce che la pena detentiva comminata al condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi. (3) Gli artt. 20 e 21 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario, prevedono rispettivamente l’obbligo del lavoro negli istituti penitenziari e la possibilità per i detenuti di essere assegnati al lavoro all’esterno. (4) Questo comma deve ritenersi implicitamente abrogato dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634, recante modificazioni alle norme del codice penale relative all’ergastolo e alla liberazione condizionale. SOMMARIO: a) Limite minimo di quindici giorni; b) Minimo edittale e patteggiamento; c) Casistica. a) Limite minimo di quindici giorni. l Il limite minimo di quindici giorni stabilito per la reclusione deve essere osservato sia ai fini del computo finale della pena da irrogare, sia ai 116 fini delle operazioni intermedie di calcolo. (Nel caso di specie, la pena irrogata era stata determinata in misura inferiore a detto limite a seguito dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza prevista dall’art. 62 n. 4 c.p.). * Cass. pen., sez. II, 16 giugno 2009, n. 24864 (ud. 29 maggio 2009), P.M. in proc. Taccola. [RV244341] l In tema di reato continuato, l’art. 81 c.p., mentre pone un duplice sbarramento al massimo di pena irrogabile (triplo della pena prevista per la violazione più grave) nonché, nel rispetto del principio del favor rei, il divieto di infliggere, comunque, una pena superiore a quella applicabile di base al cumulo materiale, nulla dice in ordine al minimo, che deve ritenersi perciò applicabile anche nella misura di un giorno di pena detentiva, purché il giudice del merito assolva il duplice obbligo di carattere generale: di non richiedere nel minimo di quindici giorni di reclusione, sancito dall’art. 23 c.p., la pena inflitta a titolo di continuazione; di motivare ai sensi dell’art. 132 c.p., oltre che in ordine alla determinazione della pena base, in relazione all’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 11 maggio 1995, n. 5419 (ud. 29 marzo 1995), P.M. in proc. Pani. [RV201646] l Il limite minimo di quindici giorni previsto dalla legge per la reclusione (art. 23 c.p.) non è suscettibile di riduzione sia ai fini del computo della pena da infliggere in concreto sia ai fini dei calcoli intermedi consistenti anch’essi in un aumento o in una diminuzione della pena. Infatti la portata dell’art. 132 cpv. c.p., secondo cui, nell’aumento o nella diminuzione della pena, non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvo i casi espressamente determinati dalla legge, non può essere limitata al risultato finale del calcolo ma investe anche gli aumenti di pena. Ne consegue che il limite legale della reclusione di quindici giorni non può essere vulnerato dalla diminuzione delle attenuanti o diminuenti eventualmente concesse, mentre deve essere aumentato nel minimo consentito per effetto, in ipotesi, della ritenuta continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 19 ottobre 1993, n. 9442 (ud. 11 maggio 1993), P.M. in proc. Vicedomini. b) Minimo edittale e patteggiamento. l Il limite minimo di quindici giorni stabilito per la reclusione dell’art. 23, comma primo, c.p., è assoluto e, per ciò, irriducibile, sia ai fini della pena da infliggersi in concreto sia ai fini dei calcoli intermedi. Né il predetto limite può essere superato, in caso di pena patteggiata, per effetto dell’applicazione della diminuente di cui all’art. 444 c.p.p. * Cass. pen., sez. VI, 24 gennaio 1997, n. 487 (ud. 3 dicembre 1996), P.M. in proc. Scanio. Conformi: Cass. pen., sez. II, 16 febbraio 2000, n. 702, P.M. in proc. Miccichè; Cass. pen., sez. V, 18 maggio 1999, n. 1743, P.M. in proc. 117 Titolo II – Delle pene Fracasso A; Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 1993, n. 1994, P.G. in proc. Del Bosco; Cass. pen., sez. V, 1 febbraio 1993, n. 842, P.M., in proc. Pelaia; Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1992, n. 7222, Ingenito. [RV207735] l In sede di patteggiamento non è in ogni caso possibile quantificare la pena detentiva della reclusione in misura inferiore al minimo di 15 giorni fissato dall’art. 23 c.p. indipendentemente dalla circostanza che, per effetto della successiva sostituzione, si pervenga ad una misura della multa in sè non illegale. * Cass. pen., sez. VI, 5 settembre 1996, n. 8301 (ud. 11 giugno 1996), P.G. in proc. Galipò C. [RV206138] l Anche in tema di patteggiamento, il limite di giorni quindici di reclusione stabilito per la pena detentiva concernente i delitti (art. 23 c.p.) è irriducibile, sia ai fini del computo della pena da infliggere in concreto, sia ai fini dei calcoli intermedi. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto di poter porre rimedio all’errore, in applicazione dell’art. 620, lett. l, c.p.p., senza necessità di annullare con rinvio, rideterminando la pena detentiva adeguandosi ai criteri di valutazione espressi per la pena irrogata dal giudice di merito e sostanzialmente escludendo la necessità di apprezzamento di fatto). * Cass. pen., sez. II, 7 ottobre 1993, n. 9140 (ud. 3 febbraio 1993), Barbon. c) Casistica. l Agli effetti dell’applicazione di misura cautelare per tentativo di delitto punito con la pena dell’ergastolo, si ha riguardo non alla pena minima di dodici anni di reclusione prevista dall’art. 56, comma secondo, c.p., ma a quella massima di ventiquattro anni di reclusione, desumibile dall’art. 23, comma primo, stesso codice. (Fattispecie relativa a pretesa decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare per tentato omicidio pluriaggravato, in relazione al quale la Suprema Corte ha escluso la rilevanza delle aggravanti non ad effetto speciale, né comportanti una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, ma ha ritenuto doversi far riferimento non alla pena edittale minima per il tentativo di delitto punito con l’ergastolo, bensì alla pena edittale massima, da individuare a norma dell’art. 23, comma primo, c.p.). * Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 1996, n. 5531 (c.c. 24 ottobre 1996), Borriello. [RV206187] l In caso di contestazione dell’ipotesi di reato prevista dall’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, al fine di stabilire il termine massimo di custodia cautelare, la pena massima secondo la regola generale dettata dall’art. 23 c.p., va individuata in ventiquattro anni di reclusione. * Cass. pen., sez. IV, 20 settembre 1996, n. 2119 (c.c. 14 settembre 1996), Fazio. [RV205571] 24. (1) Multa. – La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 50 (2), né superiore a euro 50.000 (3) (133 bis). Art. 24 Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro 50 a euro 25.000 (4). (1) Questo articolo è stato sostituito dall’art. 101 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Le parole: «non inferiore a euro 5» sono state così sostituite dalle attuali: «non inferiore a euro 50» dall’art. 3, comma 60, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (3) Le parole: «né superiore a euro 5.164» sono state così sostituite dalle attuali: «né superiore a euro 50.000» dall’art. 3, comma 60, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (4) Le parole: «da euro 5 a euro 2.065» sono state così sostituite dalle attuali: «da euro 50 a euro 25.000» dall’art. 3, comma 60, della L. 15 luglio 2009, n. 94. SOMMARIO: a) Aggiunta della multa per i delitti determinati da fini di lucro; b) Sanzione espressa in Euro. a) Aggiunta della multa per i delitti determinati da fini di lucro. l L’art. 24, comma 2, c.p. nel prevedere l’aggiunta della pena della multa nei delitti determinati da motivi di lucro è applicabile non solo nei casi in cui il fine di lucro operi come uno dei motivi più o meno remoti del reato, ma altresì quando detto fine operi come motivo unico ed integrativo della fattispecie criminosa (dolo specifico) ovvero come elemento materiale del reato stesso; la contraria soluzione sarebbe in contrasto con la lettera e lo spirito della norma suddetta la quale non distingue tra tali estremi, dovendosi d’altro canto convenire che, a maggior ragione, l’aggiunta della multa trovi giustificazione quando il fine in questione sia elemento connaturato della fattispecie criminosa. (Fattispecie in tema di corruzione). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo. l Il principio di legalità della pena è vincolante non solo quando venga applicata una pena non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando venga applicata una pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale principio la Cassazione ha eliminato la pena della multa inflitta per il reato di corruzione ai sensi dell’art. 24, comma 2, c.p. che consente l’aggiunta della pena della multa per i delitti determinati da motivi di lucro puniti con la sola reclusione: all’uopo ha considerato che il reato ascritto all’epoca dei fatti era punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e che pertanto, per il principio di legalità della pena, esso rimaneva fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo. Art. 25 Libro I – Dei reati b) Sanzione espressa in Euro. l Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, espressa in lire si intende espressa anche in euro, secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall’1 gennaio 2002 ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro, secondo la previsione di cui all’art. 51, comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue che attualmente non è possibile fissare la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata espressa in euro). * Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, n. 4718 (c.c. 6 ottobre 1999), P.G. in proc. Giancola. [RV215103] l Non è legale la sanzione pecuniaria espressa in euro, sia perché le pene pecuniarie, ai sensi degli artt. 24 e 26 c.p., sono sempre indicate in lire, sia in quanto, allo stato, l’euro esiste solamente come valuta di conto, ma non anche come moneta fisica. (Nella fattispecie, la Corte, ai sensi dell’art. 619 comma 2 c.p.p., ha rettificato, convertendo in lire la pena pecuniaria, la sentenza del pretore, che aveva condannato l’imputato ad una multa in euro). * Cass. pen., sez. V, 4 agosto 1999, n. 2678 (c.c. 2 giugno 1999), P.M. in proc. Giancola R. [RV214179] 25. Arresto. – La pena dell’arresto si estende da cinque giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (1) o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l’obbligo del lavoro (2) e con l’isolamento notturno (66, 78, 134; 1, 12 coord.). Il condannato all’arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento, avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni. (1) Per una più precisa individuzione dei relativi istituti di pena si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante disposizioni sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Si veda inoltre l’art. 95 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, T.U. delle leggi sugli stupefacenti, il quale stabilisce che la pena detentiva comminata al condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi. (2) Gli artt. 20 e 21 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario prevedono rispettivamente l’obbligo del lavoro negli istituti penitenziari e la possibilità per i detenuti di essere assegnati ad un lavoro all’esterno. l La questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 c.p., con riferimento all’art. 3 Cost., è manifestamente infondata, posto che la violazione dell’art. 3 Cost. può ravvisarsi soltanto quando, in difetto di una giustificazione del precetto ragionevole e desumibile da esigenze obiettive, la norma determina non consentite situazioni di privilegio 118 o di svantaggio, e che siffatte situazioni non si possono verificare qualora il legislatore stabilisca minimi edittali delle pene al di sotto dei quali, nei confronti di tutti, è vietato di scendere da parte del giudice, ancorché concorrano eventuali circostanze attenuanti. * Cass. pen., sez. III, 28 novembre 1975, n. 9184, Bocchi. 26. (1) Ammenda. – La pena dell’ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20 (2) né superiore a euro 10.000 (3) (133 bis; 8 coord.) (4). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 101 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Le parole: «non inferiore a euro 2» sono state così sostituite dalle attuali: «non inferiore a euro 20» dall’art. 3, comma 61, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (3) Le parole: «né superiore a euro 1.032» sono state così sostituite dalle attuali: «né superiore a euro 10.000» dall’art. 3, comma 61, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (4) L’art. 10 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, così come modificato dall’art. 3, comma 63, della L. 15 luglio 2009, n. 94, prevede che: «La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a € 10 e non superiore a € 15.000. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo. «Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo». SOMMARIO: a) Limitazione quantitativa; b) Sanzione espressa in Euro. a) Limitazione quantitativa. l Nel caso di oblazione nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la sola ammenda, di cui all’art. 162 c.p., quando la pena edittale è indeterminata nel massimo — come nella specie per la contravvenzione prevista dall’art. 677, primo comma, c.p. — occorre fare riferimento al disposto dell’art. 26 c.p., secondo il quale la pena dell’ammenda pura non può essere superiore a due milioni di lire. Pertanto, in tal caso, la somma da pagare deve essere pari alla terza parte del detto importo di lire due milioni, cioè lire seicentosessantaseimila. * Cass. pen., sez. I, 23 giugno 1994, n. 7317 (ud. 27 aprile 1994), P.M. in proc. Cavaleri. Conforme, Cass. pen., sez. I, 20 maggio 1994, n. 5794, Gaglione. l La limitazione quantitativa della pena dell’ammenda, stabilita dall’art. 26 c.p., non si estende alle sanzioni disposte dalle leggi speciali. * Cass. pen., sez. III, 23 ottobre 1986, Rinaldi. b) Sanzione espressa in Euro. l Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, espressa in lire si intende espressa anche in euro, secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall’1 gennaio 2002 ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro, 119 Titolo II – Delle pene secondo la previsione di cui all’art. 51, comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue che attualmente non è possibile fissare la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata espressa in euro). * Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, n. 4718 (c.c. 6 ottobre 1999), P.G. in proc. Gullotto. Conforme, Cass. pen., sez. V, 4 agosto 1999, n. 2678, P.M. in proc. Ginanola. [RV215103] 27. (1) Pene pecuniarie fisse e proporzionali. – La legge determina i casi nei quali le pene pecuniarie sono fisse e quelli in cui sono proporzionali. Le pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo. (1) L’art. 115 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione stabilisce che gli artt. 113 e 114 non si applicano alle pene e sanzioni amministrative pecuniarie quando l’ammontare delle stesse o della pena base che viene assunta per la loro determinazione non è fissato direttamente dalla legge ma è diversamento stabilito. l Le pene pecuniarie proporzionali non sono soggette, per loro natura, ad alcun limite massimo, come espressamente disposto dall’art. 27, seconda parte, c.p. Ne deriva che, in caso di concorso di reati, le norme sulla continuazione (art. 81, comma secondo, c.p.) e quelle sul cumulo giuridico (art. 78 c.p.) non possono trovare applicazione limitatamente a quella parte delle violazioni che siano punite con pene pecuniarie proporzionali. In particolare, per quel che attiene alla continuazione, la legge, allorquando stabilisce che una pena sia proporzionale all’entità o al numero delle infrazioni, esclude implicitamente l’applicabilità della normativa sulla continuazione dato che questa non prevede la proporzionalità della pena in rapporto all’entità o al numero delle violazioni che vengono a confluire nel reato continuato ed atteso che il giudice non ha il potere di sovvertire il meccanismo della proporzionalità sostituendovi — quando la pena proporzionale inerisca alla violazione meno grave — quello dell’aumento fino al triplo della pena base pecuniaria ovvero detentiva. * Cass. pen., sez. VI, 4 settembre 1992, n. 9361 (ud. 11 giugno 1992), Orofino ed altro. Capo III Delle pene accessorie, in particolare 28. Interdizione dai pubblici uffici. – L’interdizione dai pubblici uffici (191) è perpetua o temporanea (77, 79; 662 c.p.p.; 14 ss. coord.). L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato: 1) del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico; Art. 27 2) di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale (357) o di incaricato di pubblico servizio (358); 3) dell’ufficio di tutore (346 ss. c.c.) o di curatore (48, 392, 424, 486, 528 c.c.; 78 ss., 780 c.p.c.), anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura (31, 564, 569, 609 nonies) (1); 4) dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche; 5) degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico (2) (3); 6) di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti; 7) della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti. L’interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l’interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze (2). Essa non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque (79; 14-16 coord.). La legge determina i casi nei quali l’interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi (512, 564, 569, 609 nonies) (4). (1) L’art. 6 della L. 20 febbraio 1958, n. 75, recante norme in tema di abolizione della regolamentazione della prostituzione, prevede per i colpevoli dei reati previsti dalla suddetta legge, un’ipotesi specifica di interdizione dall’esercizio della tutela e della curatela. (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 3 del 13 gennaio 1966, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, del secondo comma, n. 5 e del terzo comma di questo articolo limitatamente alla parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 13 del 19 luglio 1968, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma, n. 5 di questo articolo per quanto attiene alle pensioni di guerra. (4) L’art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, prevede casi particolari di pene accessorie in materia tributaria. SOMMARIO: a) Giurisprudenza costituzionale; b) Questione di legittimità costituzionale; c) Valutazione delle riduzioni di pena; d) Decorrenza; e) Durata. a) Giurisprudenza costituzionale. l È costituzionalmente illegittimo il secondo comma n. 5 dell’art. 28 c.p. per quanto attiene alle pensioni di guerra. * Corte cost., 19 luglio 1968, n. 13. Art. 28 Libro I – Dei reati l Sono costituzionalmente illegittimi il secondo comma n. 5 ed il terzo comma dell’art. 28 c.p. nella parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro. * Corte cost., 13 gennaio 1966, n. 3. b) Questione di legittimità costituzionale. l È manifestamente infondata — in relazione all’art. 27 della Costituzione — la questione di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 29 del c.p. sotto il profilo che la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici sarebbe in contrasto con il principio secondo cui le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma devono tendere alla rieducazione del condannato. (La Cassazione ha chiarito che, una volta esclusa, come ha fatto la Corte costituzionale con sentenza n. 264 del 1974, l’illegittimità costituzionale della pena principale perpetua dell’ergastolo, a maggior ragione deve essere esclusa quella di una pena accessoria perpetua; e che, soprattutto, la predetta pena accessoria può efficacemente contribuire proprio all’emenda del condannato ed al suo reinserimento nel consorzio civile, inducendolo a mantenere la buona condotta richiesta per l’applicazione della riabilitazione che estingue le pene accessorie). * Cass. pen., sez. I, 15 maggio 1980, n. 6183 (ud. 21 marzo 1980), Altieri. c) Valutazione delle riduzioni di pena. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici produce effetti diversi sugli obblighi concernenti il servizio militare a seconda che sia temporanea o perpetua. In entrambi i casi l’interdizione, secondo il combinato disposto dei commi secondo e terzo dell’art. 28 c.p., non riguarda gli incarichi di pubblico servizio obbligatori, salvo che la legge non disponga altrimenti. Una deroga è prevista solo dal disposto degli artt. 28 e 33 c.p.m. di pace e dell’art. 6 del D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (in materia di leva e reclutamento), che preclude il servizio militare e l’appartenenza alle forze armate per coloro cui sia stata applicata la pena della interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ne consegue che l’interdizione temporanea, quando riferita ad obblighi concernenti il servizio militare, non libera l’interessato dal dovere di darvi osservanza. (Fattispecie relativa al delitto di diserzione impropria aggravata, riconosciuto a carico di militare di leva che, riportata durante il servizio la condanna all’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un reato comune, aveva omesso di ripresentarsi al corpo di appartenenza). * Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 2004, n. 4044 (ud. 25 novembre 2003), Cammarata. [RV230013] l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici il giudice deve tenere conto dell’entità della pena quale risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente proces- 120 suali o premiali, che costituiscono l’incentivo per la collaborazione dell’imputato alla definizione del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese dall’art. 29 c.p., non è consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale determinata in relazione alla gravità del reato. (Fattispecie in tema di patteggiamento in appello). * Cass. pen., sez. II, 13 novembre 2003, n. 43604 (c.c. 7 ottobre 2003), D’Angelo. [RV227608] l La diminuente prevista per la celebrazione del processo con rito abbreviato ha genesi e finalità che la rendono non assimilabile a una circostanza attenuante. Ne consegue che qualora venga inflitta per il reato di concussione una pena inferiore a tre anni di reclusione in conseguenza della applicazione di detta diminuente, la condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, derivando l’applicazione della interdizione temporanea solo da una riduzione di pena conseguente al riconoscimento di una circostanza attenuante. * Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2000, n. 2383 (ud. 26 gennaio 2000), Fadda G. [RV215643] l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell’entità della pena così come risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito e riduzioni di pena meramente processuali o premiali, non essendo consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale. (Fattispecie nella quale era stata richiesta in executivis dal P.M. l’interdizione legale a norma dell’art. 32 c.p. in relazione a condanna a pena complessiva di anni quattro di reclusione, per la quale la pena-base superava i cinque anni di reclusione, ridotti per la scelta del rito abbreviato). * Cass. pen., sez. I, 14 maggio 1997, n. 2650 (c.c. 10 aprile 1997), P.G. in proc. Zinghini. [RV207445] l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria nell’ipotesi di reato continuato, occorre tener conto della pena principale inflitta per il reato più grave e non anche dell’aumento per la continuazione. (Fattispecie in tema di interdizione dai pubblici uffici). * Cass. pen., sez. II, 7 maggio 1987, n. 5495 (ud. 21 novembre 1986), Iatino. d) Decorrenza. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici si attua per effetto del giudicato, e quindi con decorrenza dal giorno in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile; un’attività propriamente esecutiva della relativa pronuncia non è concepibile, poiché nessun atto ulteriore potrebbe togliere o comunque modificare quella capacità che il condannato ha già perduto per effetto della sentenza. Per conseguenza, la sospensione dell’esecuzione della pena accessoria, disposta dal giudice dell’esecuzione in sede di incidente, deve considerarsi nulla siccome abnorme; e di un simile provvedimento non può tenersi conto nel computare la durata della pena accessoria, dovendosi in tale computo compren- 121 Titolo II – Delle pene dere anche il periodo di tempo durante il quale l’esecuzione è stata in apparenza sospesa. * Cass. pen., sez. II, 7 febbraio 1966, n. 391, P.M. in proc. Serra. e) Durata. l In materia di reati previsti dal codice penale, nel caso di generica previsione, senza indicazione di durata, della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, essa deve intendersi come interdizione temporanea con durata uguale a quella della pena principale inflitta, e, comunque, non inferiore a un anno. (Fattispecie relativa alla ritenuta inapplicabilità ai reati previsti dal codice penale dell’art. 4 del R.D. 28 maggio 1931 n. 601 — disposizioni di coordinamento e transitorie al codice penale,— applicabile soltanto alle ipotesi di interdizione prevista da leggi — che prevedono l’interdizione perpetua — decreti e convenzioni internazionali). * Cass. pen., sez. VI, 10 novembre 1997, n. 10108 (ud. 29 maggio 1997), D’Ambrosio ed altri. [RV208815] 29. Casi nei quali alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici (1). – La condanna all’ergastolo (22) e la condanna alla reclusione (23) per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque (31, 33, 98, 139, 140, 317 bis, 389; 662 c.p.p.; 15 coord.; 2282 l. fall.). La dichiarazione di abitualità (102 ss.) o di professionalità nel delitto (105), ovvero di tendenza a delinquere (108), importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (33). (1) Casi particolari di interdizione dai pubblici uffici sono previsti dalle seguenti disposizioni: a) art. 2, quinto comma, della L. 20 giugno 1952, n. 645, recante norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, in tema di reati concernenti la ricostituzione del disciolto partito fascista; b) art. 6, della L. 20 febbraio 1958, n. 75, in tema di reati concernenti la prostituzione; c) art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina sui reati fiscali; d) art. 2, della L. 25 gennaio 1982, n. 17, in tema di reati inerenti le associazioni segrete. SOMMARIO: a) Interdizione perpetua; a-1) Limiti di pena; a2) Dichiarazione di abitualità, professionalità o di tendenza a delinquere; b) Interdizione temporanea; c) Entità della pena irrogata ai fini dell’applicazione della pena accessoria. a) Interdizione perpetua. a-1) Limiti di pena. l Sia l’art. 9, D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 e sia l’art. 2, D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394 preve- Art. 29 dono la concessione dell’indulto solo per le pene accessorie temporanee. È, quindi, esclusa da tale beneficio, la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, perché consegue di diritto, ai sensi dell’art. 29, primo comma, c.p., alle condanne alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni. * Cass. pen., sez. V, 12 maggio 1992, n. 5558 (ud. 25 marzo 1992), Fabbrocini. a-2) Dichiarazione di abitualità, professionalità o di tendenza a delinquere. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici consegue ope legis — a norma dell’art. 29 in relazione all’art. 20 c.p. — alla dichiarazione di delinquente abituale, senza necessità di alcuna statuizione del giudice di cognizione il quale, con la sentenza di condanna, non è tenuto ad applicare le pene accessorie conseguenti alla condanna stessa, dovendo ad esse provvedere in executivis il giudice competente. * Cass. pen., sez. II, 17 febbraio 1971, n. 945, Piccottini. b) Interdizione temporanea. l L’interdizione temporanea dai pubblici uffici, ai sensi dell’art. 29 c.p., consegue a condanna alla reclusione per tempo non inferiore a tre anni di reclusione. Detta pena, in caso di reati unificati per continuazione, è quella irrogata per quello ritenuto più grave, non dovendosi tenere conto dell’aumento per continuazione, e, in caso di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all’art. 442 c.p.p., la pena da prendersi in continuazione è quella risultante dopo la diminuzione di un terzo imposta dallo speciale giudizio abbreviato. * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 1995, n. 12741 (ud. 9 novembre 1995), Triolo. [RV203336] c) Entità della pena irrogata ai fini dell’applicazione della pena accessoria. l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell’entità della pena principale irrogata dalla sentenza di condanna, anche all’esito delle eventuali diminuzioni processuali. * Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 2008, n. 46340 (c.c. 26 novembre 2008), Giometti. [RV242322] l In tema di pene accessorie, nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria a quella principale deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la violazione più grave, come determinata in concorso delle circostanze attenuanti e aggravanti e del relativo bilanciamento, e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 1999, n. 4559 (ud. 25 febbraio 1999), Lubrano V. Conforme, Cass. pen., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9329, Maidecchi. [RV213149] Art. 30 Libro I – Dei reati l Ai fini dell’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, poiché le pene accessorie assumono carattere di automatismo in rapporto all’entità del trattamento sanzionatorio, il limite di pena di cui all’art. 29 c.p. non può prescindere dagli effetti su di esso del procedimento speciale del rito abbreviato e, quindi, della conseguente diminuente sulla pena da infliggersi in concreto. * Cass. pen., sez. VI, 13 maggio 1998, n. 5567 (ud. 16 febbraio 1998), Di Francesco. [RV210996] l Qualora più reati per i quali intervenga condanna siano legati dal vincolo della continuazione, l’entità della pena, ai fini dell’applicazione di una pena accessoria, va determinata non con riferimento alla pena complessiva, compreso l’aumento per la continuazione, ma unicamente con riferimento alla pena-base. * Cass. pen., sez. I, 24 settembre 1997, n. 8605 (ud. 11 luglio 1997), Panetta e altro. [RV208580] l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, occorre far riferimento alla pena alla quale l’imputato è stato condannato e cioè a quella in concreto comminata dopo il computo di tutte le attenuanti e le diminuenti previste dalla legge senza distinzione di merito o di rito. Ne consegue che in caso di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all’art. 442 c.p.p., la pena applicata in concreto è quella risultante dopo la diminuzione di un terzo imposta dallo speciale giudizio abbreviato. * Cass. pen., sez. I, 11 settembre 1997, n. 8263 (ud. 19 maggio 1997), Cinà. [RV208328] l Ai fini della applicazione della interdizione dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, il limite di pena di cui all’art. 29 c.p. va individuato non con riguardo alla pena irrogata in concreto, dopo la riduzione conseguente alla diminuente ex art. 442, comma secondo, c.p.p., ma a quella stabilita dal giudice prima dell’applicazione di detta diminuente, data la natura meramente processuale di essa e tenuto conto del logico collegamento della pena accessoria alla negativa valutazione sostanziale del fattoreato riflessa nella pena principale. * Cass. pen., sez. VI, 28 maggio 1997, n. 4951 (ud. 7 marzo 1997), Marchese ed altri. [RV208909] l Ai fini dell’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici i limiti di pena fissati dagli artt. 29 e 32 c.p., nel caso di giudizio abbreviato, vanno individuati non con riguardo alla pena irrogata in concreto, ma a quella stabilita dal giudice prima dell’applicazione della diminuente del rito: invero detta diminuente ha genesi e finalità meramente processuali che non consentono la sua assimilazione ad una normale circostanza attenuante. * Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1996, n. 6321 (ud. 29 marzo 1996), Buonanno. [RV205090] l Al fine di stabilire se alla condanna debba conseguire o meno l’interdizione dai pubblici 122 uffici, e se questa debba essere perpetua o soltanto temporanea, occorre considerare l’entità della pena irrogata in concreto, come risultante a seguito del computo dell’eventuale diminuente per il rito abbreviato; l’art. 29 c.p., infatti, riferendosi genericamente alla «condanna», ha riguardo esclusivamente alla pena irrogata, in sè considerata, a prescindere dagli elementi del calcolo aritmetico che concorrono a determinarla. * Cass. pen., sez. II, 16 aprile 1996, n. 3716 (ud. 18 ottobre 1995), Costa. [RV204745] l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici il giudice deve tenere conto dell’entità della pena quale risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente processuali o premiali, che costituiscono l’incentivo per la collaborazione dell’imputato alla definizione del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese dall’art. 29 c.p., che si riferisce alla condanna inflitta comprensiva delle singole parti componenti, non è consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale determinata in relazione alla gravità del reato. (Fattispecie in tema di patteggiamento in appello). * Cass. pen., sez. II, 31 gennaio 1995, n. 4914 (c.c. 16 novembre 1994), P.M. in proc. Fagiano. l Poiché la diminuente prevista per la celebrazione del processo con il rito abbreviato ha genesi e finalità meramente processuali che la rendono non assimilabile ad una circostanza attenuante del reato, i limiti di pena fissati dall’art. 29 c.p. per stabilire la durata dell’interdizione dai pubblici uffici vanno individuati non sulla pena irrogata in concreto e in maniera definitiva ma in un momento anteriore vale a dire prima di operare la diminuzione per il rito prescelto. Ne deriva che qualora venga inflitta una pena inferiore ai cinque anni di reclusione in conseguenza dell’applicazione della detta diminuente, la condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. * Cass. pen., sez. IV, 13 aprile 1994, n. 4327 (ud. 1 marzo 1994), Belleri. l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, occorre avere riguardo non alla pena totale inflitta per più reati, bensì a quella irrogata per ogni singolo reato, senza tener conto di eventuali cause estintive della pena. * Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 1992, n. 11633 (ud. 21 ottobre 1992), Puca. 30. Interdizione da una professione o da un’arte (1). – L’interdizione da una professione o da un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità e importa la decadenza dal 123 Titolo II – Delle pene permesso o dall’abilitazione, autorizzazione, o licenza anzidetti. L’interdizione da una professione o da un’arte non può avere una durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni, salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge (31, 33, 79, 139, 140; 15 ss. coord.; 662 c.p.p.; 216, 217 l. fall.; 11 T.U. di P.S.). (1) Casi particolari d’interdizione da una professione o da un’arte sono previsti dalle seguenti disposizioni: a) art. 20, quarto comma, della L. 31 dicembre 1982, n. 979, recante disposizioni per la difesa del mare, in tema di reati d’inquinamento delle acque marine; b) art. 182 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; c) art. 22 della L. 1 aprile 1999, n. 91, recante disposizioni in materia di trapianti di organi e tessuti. l In tema di pene accessorie, qualora sia applicata dal giudice di merito erroneamente la sanzione disciplinare dell’interdizione dalla professione prevista dall’art. 8 della legge n. 175 del 1992 (che attribuisce espressamente agli ordini e collegi professionali sanitari la facoltà di promuovere ispezioni presso gli studi professionali degli iscritti ai rispettivi albi provinciali, al fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alle rispettive professioni) in luogo della pena accessoria prevista dall’art. 30 c.p., ben può la Corte di cassazione provvedere a rilevare d’ufficio l’erronea applicazione dell’art. 8 suddetto, trattandosi di errore non determinante annullamento e rettificabile ai sensi dell’art. 619 c.p.p. * Cass. pen., sez. VI, 24 maggio 2001, n. 21212 (ud. 11 aprile 2001), Brussato. [RV219839] l La sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense adottata dall’Ordine degli avvocati e procuratori non ha alcuna comunanza con la pena accusatoria dell’interdizione dall’esercizio di una professione di cui all’art. 30 c.p.: mentre la prima costituisce estrinsecazione di una funzione amministrativa, la seconda rappresenta una sezione penale perché consegue di diritto alla condanna come effetto penale della stessa. Le due sanzioni pertanto operano in ambiti e su basi diverse, per cui possono concorrere e le sorti dell’una non sono influenzate da quelle subite dall’altra. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso che, essendo stata dichiarata estinta per indulto ex D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865 la pena accessoria dell’interdizione dalla professione, del pari potesse ritenersi estinta la sospensione cautelare; con riguardo ad una siffatta fattispecie è stata pertanto ritenuta la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione). * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 1996, n. 2066 (ud. 9 novembre 1995), Torregrossa. [RV204155] 31. Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di Art. 31 un’arte. Interdizione. – Ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel n. 3 dell’articolo 28, ovvero con l’abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri ad essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere (332, 37, 79, 982, 140, 323, 328, 334, 357, 358, 360, 3664, 373; 14 ss. coord.). SOMMARIO: a) Condizioni di applicabilità; b) Abuso della professione. a) Condizioni di applicabilità. l La pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile in caso di condanna per un reato di falso commesso da un pubblico ufficiale, anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, c.p., trattandosi di pena accessoria relativa “ope legis” a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. * Cass. pen., sez. V, 19 gennaio 2011, n. 1450 (ud. 4 novembre 2010), Antoci e altro. [RV249095] l Il delitto di violazione dei sigilli commesso dal custode rientra nella categoria dei delitti perpetrati con abuso di poteri o con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, sicché alla condanna segue l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. * Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2006, n. 14238 (ud. 8 marzo 2006), Calise. [RV234118] l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ex art. 31 c.p. consegue alla condanna per il delitto di falsa testimonianza, rientrando questo tra i delitti commessi con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione. * Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2003, n. 44758 (ud. 29 ottobre 2003), Continisio. [RV227323] l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ex art. 31 c.p. consegue ad ogni condanna per il delitto di violazione dei sigilli commesso dal custode, rientrando questo tra i delitti commessi con l’abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio per i quali l’art. 31 c.p. prevede la detta interdizione. * Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1508 (ud. 4 dicembre 1997), Perone V. Conforme, Cass. III, 8 marzo 2010, n. 9169 (c.c. 28 ottobre 2009), Risi. [RV209824] l L’alternatività delle pene accessorie, prevista dall’art. 31, ultima parte, c.p., non si riferisce ad un potere di scelta alternativa conferito Art. 31 Libro I – Dei reati al giudice, ma a due diverse situazioni relative all’irrogabilità della pena in considerazione della qualità soggettiva del reo (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio oppure esercente una professione, arte, industria, etc.). Ne consegue, pertanto, che se il condannato riveste la duplice ed inseparabile qualità di pubblico ufficiale o esercente di pubblico servizio e di esercente una professione, legittimamente possono applicarsi insieme l’una e l’altra pena accessoria. (Fattispecie relativa ad interdizione temporanea sia dai pubblici uffici che dalla professione, disposta nei confronti di medici e farmacisti, convenzionati con il Servizio sanitario nazionale). * Cass. pen., sez. II, 27 giugno 1987, n. 7761 (ud. 15 novembre 1986), Rosa. l La sospensione dall’esercizio del commercio ex art. 15 d.l.c.p.s. 15 settembre 1947, n. 896, non ha alcuna comunanza con la pena accessoria ex art. 31 c.p. Invero, mentre la prima ha natura amministrativa sul piano soggettivo ed oggettivo, essendo la sua operatività indipendente dall’accertamento giudiziale della responsabilità per il reato previsto dall’art. 14 del citato decreto n. 896/1947, la seconda costituisce una sanzione penale, poiché consegue di diritto alla condanna come effetto penale della stessa giusto il disposto dell’art. 20 c.p. (Nella specie, nell’affermarsi — sulla base dell’enunciato principio — la legittimità del cumulo delle sanzioni indicate, si è esclusa la possibilità di far luogo al principio di specialità, invocato dal ricorrente, precisandosi che elemento indefettibile del ricordato principio è che più leggi o più disposizioni della medesima legge regolino la stessa materia: di qui l’esigenza che le fattispecie legali, gli elementi accessori, le sanzioni previste dalle norme apparentemente concorrenti abbiano carattere penale e costituiscano delle entità omogenee). * Cass. pen., Sezioni Unite, 28 febbraio 1984, n. 1719 (ud. 28 gennaio 1984), Fantolino. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata l’aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61 n. 9 c.p., trattandosi di pena accessoria inerente ope legis a tutti i reati commessi in violazione dei doveri connessi a una pubblica funzione. * Cass. pen., sez. II, 7 maggio 1983, n. 4243 (ud. 9 novembre 1982), Porcelli. l La norma che prevede l’applicazione della pena accessoria per i delitti commessi con abuso dei poteri inerenti a una pubblica funzione non fa alcuna distinzione tra delitto tentato e delitto consumato. * Cass. pen., sez. VI, 9 gennaio 1982, n. 162 (ud. 16 dicembre 1981), Di Salvo. Conforme, Cass pen., sez. VI, 26 gennaio 1976, Arecco. l La diversità di trattamento riservata, in tema di pene accessorie, dagli artt. 31 e 33 comma secondo c.p. risale non alla diversa specie della pena prevista per i reati commessi con abuso della qualità di pubblico ufficiale (art. 31) e per i reati 124 colposi (art. 33), bensì alla diversa gravità che assume il fatto nelle due ipotesi. Il diverso criterio di applicabilità della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o commercio o mestiere, non contrasta, pertanto, con il principio di uguaglianza sancito negli artt. 31 e 33 comma secondo c.p., è manifestamente infondata. * Cass. pen., sez. VI, 15 aprile 1975 (ud. 13 dicembre 1974), Franchini. b) Abuso della professione. l In tema di pena accessoria della interdizione da una professione, la locuzione «abuso della professione», utilizzata dall’art. 31 c.p., va intesa nel senso di uso abnorme del diritto all’esercizio di una determinata professione, con l’intento di conseguire uno scopo diverso da quello al quale l’abilitazione è strumentale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto sussistere tale presupposto nella condotta di un medico che aveva reiteratamente consentito a soggetto non abilitato di utilizzare il suo nome e la sua posizione fiscale per l’esercizio abusivo della professione di dentista). * Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 14368 (ud. 17 novembre 1999), Rotondo. [RV216829] l La condanna per il delitto di frode in commercio importa la pena accessoria della pubblicazione della sentenza e dell’interdizione da una professione o arte, in applicazione degli artt. 30, 31 e 518 c.p. Tali pene vanno inflitte anche con riferimento all’ipotesi del tentativo, poiché le predette norme non differenziano quest’ultimo dal reato consumato. * Cass. pen., sez. III, ord. 17 settembre 1996, n. 2196 (c.c. 14 maggio 1996), Volpe. [RV206268] l L’interdizione temporanea dall’esercizio della professione, conseguente ad ogni condanna per delitti commessi con l’abuso di una professione riguarda nel suo complesso l’attività il cui legittimo esercizio esige una speciale abilitazione e non soltanto il settore specializzato in cui essa viene in concreto espletata. (Nella specie è stato rigettato il ricorso di un medico odontoiatra — condannato per il reato di cui agli artt. 110-348 c.p., per avere consentito ad un odontotecnico l’attività di medico odontoiatra presso il proprio studio dentistico — il quale deduceva in violazione dell’art. 31 c.p. per essere stata inflitta l’interdizione temporanea dalla professione di medicochirurgo anziché dall’attività di odontoiatra). * Cass. pen., sez. VI, 1 settembre 1995, n. 9297 (ud. 6 marzo 1995), Bignardi. [RV203078] l Il termine «abuso della professione» va interpretato nel senso di uso abnorme del diritto all’esercizio di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione, effettuato con l’intenzione di conseguire uno scopo diverso da quello per il quale il diritto è stato concesso, seguito da un comportamento contra legem particolarmente grave sia dal lato obiettivo che da quello subiettivo. * Cass. pen., sez. V, 18 novem- 125 Titolo II – Delle pene bre 1986, n. 12876 (ud. 2 ottobre 1986), Pratesi. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 14368, Rotondi. l Per l’applicabilità della pena accessoria dell’interdizione della professione di giornalista non è sufficiente un isolato comportamento diffamatorio nel quale pure può ipotizzarsi la violazione dei principi di etica professionale sanciti nell’ordinamento della professione di giornalista (obbligo del rispetto della verità unitamente a quello dei doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede), ma occorrono gravi e ripetute lesioni dei menzionati principi, determinati da un comportamento corrivo e, quindi, produttivo di danno sociale. L’ipotesi dell’abuso della professione, ai fini dell’applicazione della pena accessoria prevista dall’art. 31 c.p., presuppone un uso abnorme del diritto all’esercizio della professione e un comportamento illecito particolarmente grave sia dal lato obiettivo (per la reiterazione e la gravità del fatto) sia dal lato soggettivo (per la maggiore intensità del dolo). (In applicazione di tale principio è stata ritenuta inapplicabile la pena accessoria dell’interdizione da una professione nei confronti di un giornalista che, esercitando il diritto di critica ad una trasmissione televisiva, aveva sconfinato, in una sola frase dell’articolo, nella diffamazione). * Cass. pen., sez. V, 11 luglio 1983, n. 6454 (ud. 3 giugno 1983), Zanetti. 32. Interdizione legale. – Il condannato all’ergastolo è in stato di interdizione legale. La condanna all’ergastolo importa anche la decadenza dalla potestà dei genitori (316 c.c.) (1). Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato d’interdizione legale; la condanna produce altresì, durante la pena, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti (33) (1). Alla interdizione legale si applicano, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, nonché la rappresentanza negli atti ad esse relativi, le norme della legge civile sulla interdizione giudiziale (424, 425 ss. c.c.; 662 c.p.p.). (1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 119 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. l Al condannato, ancorché ammesso al programma di protezione per i collaboratori di giustizia, legalmente interdetto ai sensi dell’art. 32 c.p., è inibita l’iscrizione presso la Camera di commercio per lo svolgimento di un’attività di impresa. (Nell’applicare tale principio, la Corte ha precisato che a diversa soluzione non può condurre né la disposizione di cui all’art. 17 L. 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’art. 5, comma secondo, L. 22 giugno 2000, n. 193, la quale esclude l’operatività dell’incapacità derivante dall’interdizione ai soli casi di costituzione di rapporti di lavoro ed assunzione della qualità di Art. 32 socio in cooperative sociali, né la disciplina di cui all’art. 8 della L. 13 febbraio 2001, n. 45, secondo la quale dal rifiuto del collaborante di accettare adeguate opportunità di lavoro o di impresa deriva la revoca del programma di protezione, atteso che tale condotta negativa non può equipararsi al fenomeno normativo ostativo all’esercizio dell’attività di impresa, costituito dagli effetti preclusivi derivanti dalle pene accessorie). * Cass. pen., sez. I, 13 febbraio 2002, n. 5960 (c.c. 17 dicembre 2001), Mazza. [RV221134] l Nell’ipotesi di condanna con rito abbreviato per stabilire se il giudice debba o meno applicare la pena accessoria dell’interdizione legale di cui all’art. 32 c.p. deve aversi riguardo alla pena determinata per il reato giudicato, quale risultante prima della riduzione per la diminuente prevista dall’art. 442, comma secondo, c.p.p. * Cass. pen., sez. IV, 28 dicembre 1996, n. 11238 (ud. 12 dicembre 1996), Gallo ed altro. [RV207331] l Al cosiddetto «patteggiamento in appello», previsto dall’art. 599, comma 4, c.p.p. non sono applicabili le norme che regolano l’applicazione della pena su richiesta prevista dall’art. 444 c.p.p. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che nel caso in cui il giudizio di appello si sia svolto ai sensi del suddetto art. 599, comma 4, c.p.p. non possa escludersi l’applicazione di pene accessorie ed in particolare che sia applicabile l’interdizione legale durante la pena, disposta nel giudizio di primo grado). * Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 17680 (c.c. 3 maggio 1995), P.M. in proc. D’Amato. [RV202218] 32 bis. (1) Interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (2). – L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (3), nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore. Essa consegue ad ogni condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Si veda l’art. 182 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. (3) Le parole: «e direttore generale» sono state così sostituite dalle attuali: «, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari» dall’art. 15, comma 3, lett. a), della L. 28 dicembre 2005, n. 262. l In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione va inflit- Art. 32 ter Libro I – Dei reati ta solo in caso di condanna per scarico eccedente i limiti di accettabilità e non anche nell’ipotesi di mancanza di autorizzazione. * Cass. pen., sez. III, 31 ottobre 1992, n. 10422 (ud. 25 settembre 1992), Albert. 32 ter. (1) Incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. – L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione importa il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio (2). Essa non può avere durata inferiore ad un anno né superiore a tre anni. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Si veda l’art. 182 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. 32 quater. (1) Casi nei quali alla condanna conse- gue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. – Ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli 316 bis, 316 ter (2), 317, 318, 319, 319 bis, 320, 321, 322, 322 bis (2), 353, 355, 356, 416, 416 bis, 437, 501, 501 bis, 640, numero 1) del secondo comma, 640 bis, 644, (3) commessi in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa importa l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. (1) Questo articolo, aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, è stato da ultimo così sostituito dall’art. 3 del D.L. 17 settembre 1993, n. 369, recante disposizioni urgenti in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, nella L. 15 novembre 1993, n. 461. (2) Le parole: «, 316 ter» e «, 322 bis» sono state inserite dall’art. 6, comma 1, della L. 29 settembre 2000, n. 300. (3) La parola: «644,» è stata inserita dall’art. 7 della L. 7 marzo 1996, n. 108. 32 quinquies. (1) Casi nei quali alla condanna consegue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego. – Salvo quanto previsto dagli articoli 29 e 31, la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter e 320 importa altresì l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica. (1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 5, comma 2, della L. 27 marzo 2001, n. 97, sugli effetti del giudicato penale per i dipendenti pubblici. 33. Condanna per delitto colposo. – Le disposizioni dell’articolo 29 e del secondo capoverso dell’articolo 32 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo (43) (1). Le disposizioni dell’articolo 31 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta 126 è inferiore a tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria. (1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 121 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. l Le pene accessorie non possono essere inflitte in caso di condanna per delitto commesso per eccesso colposo di legittima difesa, trattandosi di reato a tutti gli effetti colposo. * Cass. pen., sez. I, 22 gennaio 1982 (c.c. 14 dicembre 1981, n. 1946), Gualandi. 34. (1) Decadenza dalla potestà dei genitori e sospensione dall’esercizio di essa. – La legge determina i casi (32, 38, 982, 564, 569, 609 nonies) nei quali la condanna importa la decadenza dalla potestà dei genitori (316 c.c.) (2). La condanna per delitti commessi con abuso della potestà dei genitori importa la sospensione dall’esercizio di essa (287, 288 c.p.p.) per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta (139). La decadenza dalla potestà dei genitori importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della potestà di cui al titolo IX del libro I del codice civile (315 ss. c.c.). La sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori importa anche l’incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile (315 ss. c.c.). Nelle ipotesi previste dai commi precedenti, quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento vengono trasmessi al tribunale dei minorenni, che assume i provvedimenti più opportuni nell’interesse dei minori (3). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 122 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Si veda l’art. 71, terzo comma, della L. 4 maggio 1983, n. 184, recante disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, in tema di violazione delle norme di legge in materia d’adozione. (3) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 5 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti. l La mancata indicazione di durata della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale non ne comporta la nullità, data la sua predeterminazione legislativa in un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, senza possibilità alcuna di determinazione da parte del giudice. * Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1992, n. 5432 (ud. 13 marzo 1992), Atria. 35. Sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte. – La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, una profes- 127 Titolo II – Delle pene sione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per i quali è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità (14 ss. coord.). La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte non può avere una durata inferiore a quindici giorni, né superiore a due anni (79, 139, 140). Essa consegue a ogni condanna per contravvenzione, che sia commessa con abuso della professione, arte, industria, o del commercio o mestiere (689, 691, 7274), ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti, quando la pena inflitta non è inferiore a un anno d’arresto. l Le pene accessorie dell’interdizione temporanea o sospensione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere non sono applicabili nei confronti di colui che abbia venduto o messo in vendita merci ovvero che abbia offerto od eseguito servizi o prestazioni a prezzi superiori a quelli stabiliti dal Comitato interministeriale prezzi (Cip). La normativa vigente in materia riserva infatti all’esclusiva competenza del ministro e del presidente del comitato il potere di sospendere il denunciato dall’attività che abbia dato luogo all’infrazione o di escluderlo dalle assegnazioni di determinate materie, prodotti e di contingenti di esportazione e di importazione e dalla concessione dei relativi permessi, nonché dalle gare previste dal regolamento per la contabilità generale dello Stato. * Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 1984, n. 8951 (ud. 21 giugno 1984), Surra. l La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte costituisce una pena accessoria, essendo una conseguenza ex lege della condanna; alla sua applicazione non osta, pertanto, la circostanza che, a seguito del fatto per cui è processo, il questore abbia comminato la sospensione della licenza. Quest’ultima misura, ha, infatti, solo natura cautelare. * Cass. pen., sez. I, 7 luglio 1978, n. 9053 (ud. 20 gennaio 1978), Runci. 35 bis. (1) Sospensione dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. – La sospensione dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, l’ufficio di amministratore (2382 c.c.), sindaco (2399 c.c.), liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (2), nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore. Essa non può avere una durata inferiore a quindici giorni né superiore a due anni e consegue ad ogni condanna all’arresto per contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 123 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. Art. 35 bis (2) Le parole: «e direttore generale» sono state così sostituite dalle attuali: «, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari» dall’art. 15, comma 3, lett. b), della L. 28 dicembre 2005, n. 262. l La pena accessoria (sospensione, dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese) prevista dall’art. 35 bis, introdotto con l’art. 123 L. 24 novembre 1981, n. 689, sulle modifiche al sistema penale, è applicabile per il combinato disposto degli artt. 31 (condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un’arte — interdizione) e 33 cod. pen. (condanna per delitto colposo), a tutte le ipotesi contravvenzionali senza distinguere tra contravvenzioni commesse con dolo o con colpa. Infatti, secondo tali disposizioni, vi può essere un abuso di poteri o una violazione di doveri anche in caso di delitto colposo: è solo l’entità della pena irrogata che può escludere l’applicazione della interdizione, per espresso dettato legislativo, ma non è prevista, anzi è esclusa, una incompatibilità tra interdizione e comportamento colposo dell’agente. * Cass. pen., sez. VI, 18 settembre 1986, n. 9530 (ud. 4 giugno 1986), Cioccia. l La sospensione dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, di cui all’art. 35 bis c.p. può riguardare non solo l’ufficio di amministrazione, ma anche quello di sindaco, liquidatore, direttore generale, nonché «ogni altro ufficio» con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore, conseguendo ad «ogni condanna» all’arresto per contravvenzioni con abuso dei poteri o violazione dei doveri di ufficio. Poiché fra i doveri di ufficio degli uffici direttivi di persone giuridiche o di imprese sono da ricomprendere quelli attinenti all’osservanza delle normative antinfortunistiche, sull’igiene del lavoro od antinquinamento, legittimamente il giudice applica la pena accessoria della sospensione dell’esercizio dell’ufficio, ove accerti l’inosservanza delle normative medesime, stabilite dal legislatore in un rapporto di stretta connessione con i predetti uffici per la tutela di interessi di ordine generale. * Cass. pen., sez. III, 24 giugno 1985, n. 6249 (ud. 16 aprile 1985), Boni. 36. Pubblicazione della sentenza penale di condanna (1). – La sentenza di condanna [alla pena di morte (2) o] all’ergastolo (22) è pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza. La sentenza di condanna è inoltre pubblicata [, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice e] (3) nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni (4). Art. 37 Libro I – Dei reati La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è eseguita d’ufficio e a spese del condannato. La legge determina gli altri casi (165, 186, 347, 448, 475, 498, 501 bis, 518, 722) nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti [, salva la pubblicazione nei giornali, che è fatta unicamente mediante indicazione degli estremi della sentenza e dell’indirizzo internet del sito del Ministero della giustizia] (5) (536, 694 c.p.p.) (6). (1) Si veda il R.D.L. 9 luglio 1936, n. 1539, relativo alla pubblicazione delle sentenze penali nei giornali. (2) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. (3) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall’art. 37, comma 18, lett. a), n. 1), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111. (4) Le parole: «e nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni.» sono state aggiunte dall’art. 67, comma 1, della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. (5) Le parole: «, salva la pubblicazione nei giornali, che è fatta unicamente mediante indicazione degli estremi della sentenza e dell’indirizzo internet del sito del Ministero della giustizia», aggiunte dall’art. 2, comma 216, della L. 23 dicembre 2009, n. 191, sono state poi soppresse dall’art. 37, comma 18, lett. a), n. 2), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, nella L. 15 luglio 2011, n. 111. (6) Per altri casi di pubblicazione si vedano le seguenti disposizioni: a) art. 9 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, recante disposizioni sulla stampa, in tema di reati commessi mediante pubblicazione in un periodico; b) art. 6 della L. 30 aprile 1962, n. 283, recante disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari; c) artt. 28, quinto comma, e 38 della L. 20 maggio 1970, n. 300, recante norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, in tema di violazioni alla citata legge; d) art. 6 della L. 20 novembre 1971, n. 1062, recante norme sulla tutela delle opere d’arte; e) art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina sui reati fiscali; f) art. 26 del D.L.vo 22 maggio 1999, n. 251, recante disciplina dei titoli e dei marchi di identificazione dei metalli pericolosi; g) art. 76 del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. l Il condono previsto dal D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865 è applicabile anche alla pena accessoria della pubblicazione della condanna, prevista 128 dall’art. 36 c.p. Quando tuttavia il giudice abbia negato la concessione del beneficio ritenendo che la pubblicazione della sentenza non rientri tra le pene accessorie temporanee, facendo oggetto di specifica statuizione tale esclusione — e contro tale decisione non sia stata proposta impugnazione — non sarà più possibile, per il principio dell’intangibilità del giudicato, procedere in fase esecutiva all’applicazione del provvedimento di clemenza. * Cass. pen., sez. I, 26 luglio 1995, n. 3957 (c.c. 30 giugno 1995), P.M. in proc. Zorzi. [RV202438] l L’art. 57 della L. 24 novembre 1981, n. 689, che disciplina gli effetti delle pene sostitutive ed i criteri di ragguaglio, dispone al comma 2 che la pena pecuniaria si considera sempre tale, anche se sostitutiva di quella detentiva. Pertanto, nell’ipotesi delittuosa di emissione di assegno senza autorizzazione (art. 1 della L. 15 dicembre 1990, n. 386), non va disposta l’applicazione della pena accessoria della pubblicazione della sentenza (art. 5, comma 2, L. n. 386 citata), ove il giudice abbia sostituito la pena pecuniaria alla reclusione. * Cass. pen., sez. V, 30 agosto 1994, n. 9315 (ud. 21 giugno 1994), Tempesta. l La pubblicazione della sentenza di condanna, in quanto pena accessoria non temporanea, non è condonabile ai sensi dell’art. 9, d.p.r. 16 dicembre 1986, n. 865, avente ad oggetto la concessione di amnistia e indulto. * Cass. pen., sez. V, 22 settembre 1989, n. 12763 (ud. 23 giugno 1989), Galavotti. l La scelta del giorno in cui deve essere effettuata la pubblicazione della sentenza penale di condanna non è preclusa da alcuna disposizione al giudice il quale, nell’esercizio del potere discrezionale in ordine alle modalità esecutive della detta pena accessoria, può anche valutare l’opportunità che la pubblicazione avvenga in giorno festivo, in cui solitamente maggiori sono i lettori dei giornali. Né può trarsi argomento contrario dalla disposizione dell’art. 615, primo comma, c.p.p. che sancisce l’obbligo del direttore responsabile del giornale di pubblicare la sentenza di condanna non più tardi di tre giorni successivi a quello in cui ha ricevuto dall’autorità giudiziaria la richiesta di pubblicazione: invero detto termine è prescritto esclusivamente per il direttore del giornale ed esso non è incompatibile col potere discrezionale del giudice di stabilire per la pubblicazione della sentenza la domenica; ovviamente, in tal caso, il direttore sarà tenuto alla inserzione nella prima domenica utile successiva alla sentenza. * Cass. pen., sez. II, 20 maggio 1966, n. 1551, Ghini. 37. Pene accessorie temporanee: durata. – Quando la legge stabilisce che la condanna importa una pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione per insolvibilità del condannato (136). Tuttavia, in nessun 129 Titolo II – Delle pene caso essa può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria (79, 139, 140). l Rientra nella nozione di pena accessoria non espressamente determinata dalla legge, quella per cui sia previsto un minimo ed un massimo, sicché, in tali casi, la durata della pena accessoria va parametrata dal giudice a quella della pena principale inflitta; qualora tuttavia, sussista il concorso eterogeneo di reati si deve aver riguardo alla pena principale inflitta per il reato cui la stessa pena accessoria si riferisce, non potendosi irrogare una pena accessoria in relazione a reato che non la prevede. (Fattispecie relativa alle pene accessorie previste per i reati tributari dall’art. 12 D.L.vo. n. 74 del 2000). * Cass. pen., sez. V, 28 luglio 2010, n. 29780 (c.c. 30 giugno 2010), Ramunno e altro. Difforme la massima che segue. [RV248258] l Agli effetti dell’art. 37 c.p., pena accessoria di durata espressamente determinata dalla legge è anche quella per la quale la legge contempli un minimo ed un massimo spettando in tali casi al giudice, nell’ambito di tale intervallo temporale, stabilirne la concreta durata ricorrendo ai criteri di cui all’art. 133 c.p. * Cass. pen., sez. III, 20 giugno 2008, n. 25229 (ud. 17 aprile 2008), Ravara. [RV240256] l La pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un impresa commerciale applicata con la sentenza di condanna per il reato di bancarotta (nel caso di specie, semplice documentale), siccome è dalla legge determinata solo nel massimo, deve avere durata eguale a quella della pena principale inflitta, secondo quanto previsto dall’art. 37 cod. pen.. * Cass. pen., sez. V, 12 aprile 2010, n. 13579 (ud. 2 marzo 2010), Ografo. [RV246712] l Rientra nella nozione di pena accessoria, non espressamente determinata dalla legge, quella per la quale è previsto un minimo ed un massimo, sicché, in tali casi, la durata della pena accessoria va parametrata dal giudice a quella della pena principale inflitta. (Fattispecie relativa alle pene accessorie previste per i reati tributari dall’art. 12 D.L.vo n. 74 del 2000). * Cass. pen., sez. III, 10 novembre 2008, n. 41874 (c.c. 9 ottobre 2008), Azzani e altro. [RV241410] l La durata delle pene accessorie temporanee conseguenti di diritto alla condanna e fissata dalla legge solo nel massimo, quando non sia stata espressamente determinata dal giudice, è eguale a quella della pena principale inflitta. (Nella specie, relativa a ritiro della patente e divieto di espatrio irrogati come effetto della condanna per delitto in tema di stupefacenti, il giudice di primo grado aveva genericamente applicato in sentenza le pene accessorie «per la durata minima di legge». In relazione a tale formula la Corte ha Art. 37 ritenuto che essa non potesse interpretarsi come riferita a un sol giorno, ma dovesse intendersi come ragguagliata al periodo di durata della pena principale, purché non oltre i limiti del massimo edittale previsto per le sanzioni accessorie e, di conseguenza, ha giudicato corretta l’individuazione, da parte del giudice dell’esecuzione nella durata di un anno pari alla pena della reclusione inflitta dal giudice della cognizione quella delle pene accessorie). * Cass. pen., sez. I, 16 maggio 2008, n. 19807 (c.c. 22 aprile 2008), Ponchia. [RV240006] l La pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali ed all’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per dieci anni prevista dall’art. 216, u.c., L. fall., non è indeterminata e si sottrae, pertanto, alla disciplina di cui all’art. 37 c.p. (Nella specie la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in misura fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci). * Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 2007, n. 39337 (ud. 20 settembre 2007), Bucci. [RV238211] l In tema di pene accessorie, nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria a quella principale deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la violazione più grave e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione. (Fattispecie in tema di pene accessorie stabilite dall’art. 317 bis c.p.). * Cass. pen., sez. VI, 22 maggio 2006, n. 17542 (ud. 13 febbraio 2006), Prestipino Giarritta ed altro. [RV234496] l Qualora la condanna inflitta per i delitti di cui agli artt. 314 e 317 c.p. sia inferiore ai tre anni di reclusione, la pena accessoria da irrogare è la interdizione temporanea, commisurata alla pena principale. * Cass. pen., sez. VI, 11 marzo 2003, n. 11383 (ud. 21 gennaio 2003), Marinelli. [RV223949] l Nel caso di pluralità di reati — unificati dal vincolo della continuazione — la durata della pena accessoria secondo il criterio fissato dall’art. 37 cod. pen. va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la violazione più grave, con conseguenze diverse, peraltro, a seconda che trattasi di continuazione eterogenea, ovvero omogenea. Nella prima ipotesi, infatti, il riferimento è esplicito ed esclusivo al reato in concreto ritenuto più grave, restando al di fuori, pertanto, il quantitativo di pena aggiunta a titolo di continuazione per le ulteriori violazioni di specie diversa non comportanti pene accessorie; nella seconda ipotesi, invece, poiché l’identità dei reati unificati comporta necessariamente la pena accessoria per ciascuno di essi, la misura della stessa va commisurata all’intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 4 luglio 1986, n. 6990 (ud. 13 giugno 1986), Brandemburg. Art. 38 Libro I – Dei reati l Nel caso di reato continuato, per determinare la durata della pena accessoria ai sensi dell’art. 37 c.p., occorre riferirsi alla pena base, cioè alla pena senza l’aumento della continuazione. Infatti, le plurime violazioni del reato continuato si considerano unitariamente solo ai particolari effetti previsti dalla legge per escludere il principio quot delicta, tot poenae o ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dei vari reati, mentre ad ogni altro effetto e, quindi, anche all’effetto dell’applicazione delle pene accessorie, esse vanno tenute distinte. * Cass. pen., sez. V, 8 ottobre 1983, n. 8043 (ud. 2 maggio 1983), Amitrano. l Quando la condanna comprende congiuntamente e la pena detentiva e la pena pecuniaria e comporta l’applicazione di una pena accessoria, per la determinazione della durata di questa si deve tenere conto, a norma dell’art. 37 c.p., anche della pena pecuniaria che dovrebbe scontarsi per conversione. * Cass. pen., sez. VI, 18 dicembre 1978, n. 16038 (ud. 17 ottobre 1978), Martino. 38. Condizione giuridica del condannato alla pena di morte. – Il condannato alla pena di morte (21) (1) è equiparato al condannato all’ergastolo, per quanto riguarda la sua condizione giuridica (32). (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. Titolo III Del reato Capo I Del reato consumato e tentato 39. Reato: distinzione fra delitti e contravvenzioni. – I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice (17; 4 ss. coord.). l L’art. 5 delle disposizioni di coordinamento e transitorie dettate con r.d. 28 maggio 1931 n. 601 stabilisce che i reati si considerano delitti o contravvenzioni secondo la diversa specie della pena per essi rispettivamente prevista. Lo stesso articolo nel primo capoverso aggiunge che i reati preveduti dalle leggi anteriori al 19 ottobre 1930 sono tuttavia da considerarsi contravvenzioni ove sia comminata la pena della multa in misura non superiore nel massimo a lire duemila, sola 130 ovvero congiuntamente o alternativamente con l’ammenda o con altra pena pecuniaria senza indicazione della specie, anche se determinata in misura fissa o proporzionale. I reati punibili con multa fissa o proporzionale non considerati nel citato capoverso rientrano nella prima parte dell’art. 5 e quindi debbono considerarsi delitti. * Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 1975 (ud. 27 novembre 1974), Corsini. 40. Rapporto di causalità. – Nessuno può essere pu- nito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. SOMMARIO: a) Nesso causale; b) Casistica; c) Condotta omissiva. a) Nesso causale. l Nella valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di copertura deve attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria di quest’ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti. (La Corte ha precisato che una opzione ricostruttiva fondata sulla mera opinione del giudice, attribuirebbe a questi, in modo inaccettabile, la funzione di elaborazione della legge scientifica e non, invece, come consentito, della mera sua utilizzazione). * Cass. pen., sez. IV, 4 novembre 2010, n. 38991 (ud. 10 giugno 2010), Quaglierini e altri, in Riv. Pen. 7-8/11 con nota di Rovero Roberto e Del Forno Elena. [RV248853] l Nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta «elastica» che cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare — al contrario di quelle cosiddette «rigide» che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento — è necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo da incidente stradale, fondata sul generico riferimento alla inadeguatezza della velocità, senza una analitica valutazione di tutte le circostanze del fatto in grado di definire l’esatta incidenza di tale violazione nel caso concreto). * Cass. pen., sez. IV, 20 luglio 2007, n. 29206 (ud. 20 giugno 2007), Di Caterina ed altro. [RV236905]