L'anziano
L’anziano È un periodo complesso del ciclo di vita
perché è tra quelli più intrisi di cambiamenti e
modifiche; di conseguenza è inevitabile che queste
modifiche portino ad un adattamento di cambiamenti
molteplici che coinvolgono più dimensioni della
persona: fisica, psicologica, sociale e relazionale. In
questa fase di vita più che in altre, tali dimensioni
sono interdipendenti. L’uomo è un’unità
biopsicosociale e ha delle dimensioni molto correlate
tra loro. Tipi di cambiamenti Scenescenza: periodo
della vita che va dai 65 anni in poi. Si tende a
distinguere tra 3a e 4a : la prima va dai 65 ai 75 anni,
la seconda dai 75 in poi (giovani vecchi, vecchi vecchi).
Questa distinzione è usata di rado perché non è del
tutto veritiera per via che soprattutto nell’età anziana
ci sono molte differenze tra persona e persona.
Nell’età anziana si evidenziano le caratteristiche
uniche. Il nostro ciclo di vita è esprimere quello che
siamo. Il nostro stile di vita incide sulla vecchiaia.
La società cresce troppo in fretta e per questa
ragione, forse, non ha tempo di di riconoscere
nulla: ancor meno il valore di coloro di cui in
fretta intende sbarazzarsi"
(V. Chesi)
L’invecchiamento è un fenomeno non soltanto biologico
bensì anche psicologico. Quando una persona comincia a
guardare indietro al proprio passato con nostalgia sempre più
forte e al futuro con ansia e insicurezza, quando il passato
appare globalmente sotto una luce positiva mentre il presente e
ancor più il futuro si prospettano carichi di ombre inquietanti,
allora si può dire che si è entrati nell’ultima parte della vita,
nella senescenza.
Volendo fare una descrizione dell’invecchiamento
psicologico "tipico", potremmo dire che l’anziano si muove e
pensa lentamente, non pensa più in modo creativo perché è
ancorato a se stesso e al proprio passato; apprende male e
lentamente, anzi a volte non desidera affatto imparare cose
nuove e ha in antipatia le innovazioni perché è legato alle
proprie convinzioni personali e quindi vive senza aspirazioni,
abbandonandosi ai ricordi. Oltre a non avanzare, l’anziano
spesso regredisce, entra in una specie di seconda infanzia,
diventando sempre più egocentrico, disposto a ricevere più di
quanto dà, irritabile, litigioso, capriccioso come i bambini (la
parola rimbambito significa proprio "ridiventato bambino").
Tutto ciò accade perché la persona anziana ha ormai perso
irrimediabilmente amici, marito o moglie, lavoro, status sociale,
potere, reddito e credibilità; quasi sempre ha "perso" anche i
figli, nel senso che questi si sono sposati e hanno lasciato la casa
dei genitori per costruirsi una propria famiglia; spesso è anche
presa da malattie che riducono ulteriormente le possibilità di
muoversi o di apprezzare le piccole gioie della tavola e gli altri
piccoli piaceri della vita.
Per l’uomo i primi veri segni di invecchiamento psicologico
cominciano con il pensionamento. In una società come la nostra
l’uomo viene identificato come soggetto produttivo e quindi il
pensionamento, cioè la cessazione dell’attività lavorativa e
produttiva, viene a togliere all’uomo il suo ruolo, il suo
elemento valorizzante, relegandolo così in una posizione
marginale della società. Tale emarginazione non è quasi mai ben
accetta e comporta così l’inizio di disturbi psicologici di vario
tipo.
Per quanto riguarda la donna, già con l’arrivo della
menopausa si cominciano a vedere netti segni di
invecchiamento psicologico, pur potendoci essere differenze
anche grandi a seconda della personalità del soggetto.
Come la pubertà rappresenta per la donna l’inizio della vita
sessuale con tutte le implicazioni psicologiche relative, così la
menopausa costituisce per la sua immaginazione la fine della
vita sessuale intesa come fertilità e a sua volta associata con il
rapporto con l’uomo. La donna, cioè, quando arriva la fine delle
mestruazioni, non essendo più fertile, più o meno
inconsciamente avverte di aver esaurito un proprio ruolo
fondamentale e comincia a sentirsi inutile sia come essere
umano sia soprattutto come moglie.
Spesso ne consegue una diminuzione, e a volte la totale
scomparsa, del desiderio sessuale e quindi una diminuzione dei
rapporti sessuali e anche dei rapporti affettivi. In questo modo si
può manifestare una conflittualità sino a quel momento latente,
anche perché il marito (di solito ancora in buono stato fisico)
vorrebbe invece continuare a vivere come prima il suo momento
sessuale con la moglie.
Se a questo aggiungiamo un ambiente familiare noioso,
l’avvicinarsi del pensionamento e il fatto che i figli ormai grandi
se ne sono andati e non costituiscono più un legame, allora
possiamo capire perché non raramente i matrimoni falliscono e
ci sono molte separazioni proprio poco tempo dopo l’arrivo
della menopausa, dopo decenni di vita in comune trascorsi
apparentemente senza grosse crisi.
Comunque, al di là dei possibili divorzi, la donna che non ha
un lavoro proprio, che non ha un’autonomia economica e
sociale, che non ha particolari gratificazioni al di fuori
dell’ambiente casalingo, più facilmente soffre (e invecchia) dal
punto di vista psicologico dopo l’arrivo della menopausa.
Di solito questa donna comincia a dedicarsi con più cura ai
figli per imporsi come madre ma soprattutto come femmina;
però è proprio a quest’età che i figli sono più grandi, diventano
indipendenti e lasciano la casa e quindi lei si sente sola, si sente
tradita, si sente abbandonata. Per vivere ancora l’importanza del
proprio ruolo può essere indotta a voler ugualmente influire
sulla vita dei figli anche se questi si sono sposati, ma con certe
premesse i risultati sono spesso negativi.
Questo atteggiamento psicologico può aggiungersi e quindi
può aumentare i possibili disturbi fisici e soprattutto i disturbi
neuro-psichici (depressione, ansia, angoscia) conseguenti alla
modificazione ormonale tipica dell’età della menopausa.
In conclusione, secondo il pensiero comune l’anziano "tipico"
è visto come una persona debole e priva di interessi, che occupa
una posizione sociale emarginata, che ha perso qualsiasi ruolo
importante, che attende la morte tra mille ricordi e mille paure,
sentendosi un peso per la società, per la famiglia e per se stesso.
Si potrebbero inoltre tracciare alcuni particolari profili
classici dell’invecchiamento psicologico:
1. Costruttività: un uomo dotato di senso
dell’umorismo, tollerante, consapevole di se stesso e con
una infanzia felice, di solito accetta relativamente bene
l’invecchiamento, il pensionamento e la morte, non ha
eccessivi rimpianti e soprattutto riesce a guardare al futuro
e a conservare la capacità di trovare piacere (nel cibo, nel
lavoro, nel bere, nel sesso ecc.).
2. Dipendenza: una persona ambiziosa, socialmente
passiva, con buona capacità di osservazione, molto
ottimista ma non pratica, tendente ad essere dominata dal
partner, di solito è contenta di andare in pensione, adora le
vacanze ed abbonda in cibo e bere, ma alla fine non è
affatto soddisfatta di questo tipo di vita.
3. Difesa: una persona con una vita professionale stabile,
ben adattata, socialmente attiva, che ha sempre rifiutato
aiuti, emotivamente molto controllata, abitudinaria, che
agisce solo quando vi è costretta, di solito è molto
spaventata dalla vecchiaia e quindi cerca di rimandare il più
possibile il pensionamento non vedendone i vantaggi né gli
svantaggi.
4. Ostilità: una persona lamentosa, sospettosa,
aggressiva, spesso con vita professionale instabile, vede
solo svantaggi nella vecchiaia, invidia molto i giovani e ha
il terrore della morte.
5. Rifiuto di se stesso: una persona sprezzante di se
stessa, molto critica, con poche ambizioni, socialmente ed
economicamente in progressivo declino, con matrimonio
spesso infelice e pochi hobbies, che si sente vittima delle
circostanze, accetta di buon grado il fatto di invecchiare e
non invidia i giovani, anzi spesso è stanco della vita e
considera la morte come un sospirato sollievo.
Tutte queste descrizioni sono in realtà soltanto miti,
stereotipi, cioè modelli convenzionali che si basano su opinioni
precostituite, generalizzate e troppo semplicistiche.
In particolare è da considerarsi troppo semplicistica la visione
dell’anziano come persona debole, mentalmente lenta e priva di
interessi: infatti la maggior parte delle persone di età
avanzata (circa il 70-75%) è intellettualmente e socialmente
abile, mentalmente vivace, interessata all’ambiente che la
circonda (e sarebbe anche produttiva se le si desse
l’opportunità di fare qualche lavoro).
Bisogna inoltre sapere e tenere sempre presente questo fatto:
negli anziani che presentano declini intellettuali spesso la
causa non è necessariamente l’inevitabile processo biologico
dell’invecchiamento bensì tutta una serie di stress psicoemotivi (problemi psicologici legati alla salute fisica,
impedimenti nello svolgimento delle normali attività quotidiane,
mancanza di partecipazione ad attività gratificanti, scarsa
quantità o qualità dei contatti sociali, luogo di residenza
inadeguato, problemi economici ecc.) legati all’avanzare
dell’età, stress che almeno in buona parte potrebbero essere
prevenuti o trattati.
Altro fatto importante da tenere presente è che la gamma
delle espressioni della vecchiaia è molto estesa e varia a seconda
delle caratteristiche socioculturali, professionali, geografiche
ecc., per cui è assolutamente impossibile pensare che le persone
anziane costituiscano un gruppo omogeneo dal punta di vista
psicologico. In altri termini, bisogna considerare la vecchiaia
soprattutto come un’esperienza del tutto personale,
individualizzata che, pur essendo certamente il risultato di
fenomeni di deterioramento biologico comuni alla media delle
persone, è conseguenza dell’accumularsi di tutti quei particolari
traumi fisici e psicologici che contrassegnano l’esistenza di ogni
essere vivente in modo diverso dagli altri.
Forse però il vero problema non è tanto da ricercarsi
nell’anziano quanto nell’ambiente che circonda l’anziano stesso.
Per esempio, la scomparsa degli amici e dei famigliari impegna i
vecchi nella ricerca di alternative in cui reinvestire le proprie
potenzialità psico-emotive, ma purtroppo la sostituzione di
amici e parenti è spesso impossibile perché l’ambiente erige una
vera e propria barriera contro ogni tentativo di rinnovare legami
vitali.
Quindi, le esigenze e le energie psicologiche insoddisfatte
finiscono per essere rivolte verso l’interno e per innescare
tutta una serie di sofferenze che ci fanno vedere l’anziano
come egocentrico e troppo preoccupato di sé: tutto ciò non fa
altro che spingere l’anziano verso un isolamento ancora
maggiore e una solitudine ancora più profonda.
Considerando la nostra società italiana o comunque in
generale le società industrializzate, non c’è dubbio che esistono
persone anziane che non vengono emarginate (ad esempio
quelle particolarmente creative oppure quelle ricche) e che
conservano larghi spazi di partecipazione e talvolta addirittura di
guida. Purtroppo, però, si tratta sempre di minoranze.
L’atteggiamento sociale generale è infatti quello di emarginare,
di ghettizzare tutti i soggetti non produttivi o considerati
irrecuperabili. In questo tipo di società orientata verso valori di
esasperata vitalità ed efficienza, posseduta dal senso del futuro,
è evidente che non c’è posto per i vecchi, che chiaramente non
hanno alcun futuro.
Quindi nell’anziano si genera un progressivo senso di
insicurezza e di ansia perché si sente fisicamente inadeguato
a far fronte alla domanda sociale di prestanza e produttività: è
proprio per difendersi da questa ansia che l’anziano si irrigidisce
sulle proprie convinzioni passate e diventa conservatore, ma ciò
non fa altro che produrre ulteriore solitudine ed isolamento.
Nei casi estremi il vecchio si difende dal senso della propria
impotenza accusando gli altri di ingannarlo, di derubarlo, di
prenderlo in giro e questo lo fa soprattutto nei confronti delle
persone che lo assistono perché inconsciamente le giudica
colpevoli di sottrargli la padronanza di se stesso, confermando la
perdita delle sue facoltà.
Un altro meccanismo di difesa messo in atto dalla maggior
parte degli anziani è la perdita della memoria recente e
l’esaltazione di quella passata. L’anziano dimentica facilmente
i fatti recenti sia perché è sganciato dalla realtà attuale (e quindi
dimentica cose che effettivamente non lo interessano), sia
perché si difende dalla povertà del presente dimenticandolo a
mano a mano che esso lambisce la sua esistenza. La memoria
per i fatti lontani, invece, viene addirittura esaltata perché,
ricordando i tempi in cui aveva prestanza fisica e ruolo sociale,
l’anziano rinnova una valutazione ed una stima della propria
persona che la condizione di vecchio sembra negargli.
Un capitolo a parte meriterebbe la questione dell’attività
sessuale dell’anziano. Qui mi limiterò a ricordare che, in brutale
violazione di profonde esigenze psicologiche e di naturali
possibilità fisiologiche, la sessualità dell’anziano è considerata
generalmente come di cattivo gusto, se non addirittura di
oscenità.
Bisognerebbe invece prendere coscienza del fatto che il
bisogno di intimità e di amore può essere avvertito in modo
più critico che mai nell’età avanzata proprio per tutti i motivi
che prima abbiamo detto e cioè per la perdita del coniuge, del
lavoro, della famiglia, del prestigio ecc. In realtà noi sappiamo
bene che gli ospedali e gli istituti per lungodegenza sono
organizzati in modo da impedire qualsiasi attività sessuale
dell’anziano, dimenticando che sarebbe di vitale importanza
poter procurarsi quel tipo di sfogo e di soddisfazioni fisiche e
psichiche che sono necessarie anche, e forse soprattutto, in
età avanzata.