Accademia di belle arti di Venezia Corso di diploma: Nuove tecnologie per le arti Progettazione grafica Il culto della Bellezza nella società consumistica Lo sguardo di Julianne Rose Relatore: Prof Gabriele Coassin Diplomanda: Maria Marta Giurato Anno accademico 2010/2011 A mio padre che mi ha sempre sostenuta e non ha mai smesso di credere in me. 2 Indice Introduzione 4 Ⅰ. CAPITOLO 1. Julianne Rose e la società del consumo 7 1.1 Julianne Rose: da prodotto a produttrice 7 1.1.2 Julianne Rose: da produttrice ad artista Ⅱ. 8 1.2 Poetica 11 1.3 Manipolazione mentale: consumismo, pubblicità e moda. 13 1.3.1 Manipolazione mentale: i giocattoli 16 1.3.2 Manipolazione mentale: la bambola 18 1.3.3 Manipolazione mentale: il gioco al maschile 21 1.3.4 Manipolazione mentale: conseguenze 22 1.4. La fotografia come menzogna 24 CAPITOLO 2. Julianne Rose: opere 29 2.1 Autoportrait Chantant 30 2.2 Expired 35 2.3. Flesh and Plastic, Live Dolls e Kids For Sale 41 Conclusioni 50 Appendice 60 Bibliografia e sitografia 71 Ringraziamenti 75 3 Introduzione Scopo di questa tesi è quello di mettere in evidenza un particolare modo di denunciare, attraverso l’arte, gli effetti del consumismo, della moda e della pubblicità veicolati dai mass media. Per fare ciò mi sono concentrata sulla figura di Julianne Rose, artista australiana, che critica tramite le sue fotografie e istallazioni gli effetti del consumismo rampante e gli stereotipi di bellezza, mettendo in evidenza quali sono le ripercussioni sulla formazione dell’identità e del carattere dei bambini. Il motivo per cui la mia scelta è caduta su questa artista, oltre che per i temi affrontati, riguarda soprattutto lo stile che Julianne Rose adopera per mettere in atto questa sua denuncia. Paradossalmente infatti la Rose fa ricorso ad un estetismo smisurato, estremo. Julianne Rose, con la quale penso di avere in comune questa ricerca ostentata verso un estetismo quasi artificioso, è infatti la fotografa che più mi ha ispirata, e che mi ha fatto capire in che direzione voglio volgere la mia personale ricerca artistica. Attraverso le sue immagini scrupolosamente studiate nei minimi dettagli, mette in scena soggetti - che spesso sono bambini - caratterizzati da una bellezza e perfezione surreale. Il motivo per cui ritrae spesso bambini è perché è proprio durante l’infanzia che entrano nella coscienza degli individui codici morali e comportamentali. I bambini infatti, attraverso il gioco, sviluppano attitudini e comportamenti che sono condizionati dagli stimoli esterni che essi ricevono a partire proprio dai giocattoli. I giocattoli moderni portano infatti i bambini ad assimilare stereotipi di bellezza e perfezione, ricerca di elevato status sociale e consumo di beni materiali. Secondo Jan Pierre Klein «i giocattoli e soprattutto le bambole, sono gli strumenti perfetti 4 per questo tipo di manipolazione. Trasmettono l’immagine e la concezione di una bellezza ideale derivata dalle fantasie di chi li crea» (Klein, Catalogo The Flesh & Blood Toystore).1 Per analizzare questa artista e le sue opere ho inizialmente (primo capitolo) accennato la sua biografia. Nella sua vita vi sono stati infatti avvenimenti importanti - per fare un esempio vincere il concorso di bellezza “Australia Face of 85” - che l’hanno indotta a svolgere questo tipo di ricerca artistica. Seguendo, nel capitolo sarà possibile trovare informazioni su cos’è la società del consumo, sul ruolo che in essa svolgono la pubblicità, la moda, i media e in particolare la televisione, i giocattoli. Per finire ho dedicato un paragrafo a “la fotografia come menzogna”, per spiegare come la fotografia, che già per sua natura non può far altro che mentire, in questo contesto socio-culturale gioca un ruolo importante nel rafforzare acriticamente quegli ideali stereotipati dettati dalla moda e dalle pubblicità. Una volta disegnato lo sfondo in cui Julianne Rose opera, nel secondo capitolo analizzo le sue opere principali. L’Autoportrait Chantant, istallazione in cui l’artista riflette sulla oggettivazione della persona da parte del mondo della moda; Expired in cui mette sottovuoto delle bambole abbandonate al fine di conservarle nel tempo e ridarle nuova vita; Flesh and Plastic, Live dolls e Kids for Sale, in cui l’artista esplora la mercificazione dei bambini al servizio della pubblicità guidata dalle fantasie degli adulti e il paradossale rapporto del bambino sia come consumatore di oggetti sia come oggetto stesso. Attraverso le sue immagini singolari Julianne Rose riflette sulla formazione dell'identità, del carattere e del gusto, in un ambiente che promuove la massificazione e l'alienazione. Infine delineo nelle conclusioni la mia personale esperienza artistica, presentando alcune interpretazioni fotografiche del tema trattato. A supporto di questa tesi, oltre a far riferimento ai vari testi rintracciabili in bibliografia, ho anche avuto il piacere di conoscere personalmente (via e1 Klein, Jean-Pierre, The Flesh & Blood Toystore, Communic’Art, 2006 5 mail) l’artista la quale, oltre che fornirmi il materiale (testi e articoli pubblicati su di lei) per i necessari approfondimenti, mi ha gentilmente rilasciato un’intervista (consultabile in appendice). 6 CAPITOLO 1. JULIANNE ROSE e la società del consumo Julianne Rose, photo by Jeff Manzetti, 2010 1.1 Julianne Rose: da prodotto a produttrice Julianne Rose nasce a Townsville, Australia il 23 agosto 1966. Quando era bambina sognava di diventare una foto-giornalista. Dopo le scuole superiori voleva studiare Giurisprudenza in Australia per poi proseguire con giornalismo ma un esperienza inaspettata cambia il corso delle sua vita. Infatti all’età di 18 anni si avvicina al mondo della moda dopo aver vinto il concorso di bellezza “Australia Face of 85”. Diventata Top model, entra immediatamente nel mondo dei media, della pubblicità e delle comunicazioni viaggiando negli Stati Uniti e in Europa, spostando per un po' l’ attenzione dai suoi veri interessi. 7 «Quando il valore di qualcuno viene misurato dagli occhi della società e quindi si limita ai confini della “plastica” (esteriorità, aspetto), a nessuno interessa sapere se hai qualcosa da dire o se fai delle riflessioni»2 afferma Julianne Rose. Ha successivamente perseguito la sua passione per la fotografia, anche se non nella forma esatta che aveva inizialmente previsto. Inizia a sperimentare preziose tecniche, formandosi a livello professionale e personale «nel mondo competitivo e crudele della moda e della pubblicità degli anni ottanta e novanta, in cui il modello capitalistico della nostra società aveva raggiunto il culmine»3. 1.1.2. Julianne Rose: da produttrice ad artista Dopo aver fatto in prima persona l’esperienza di essere considerata “oggetto” del consumo - negli anni novanta - come già detto, è Julianne Rose a passare dietro l'obiettivo della macchina fotografica e a lanciarsi nella fotografia di moda e pubblicitaria. Specializzandosi nel ritrarre soprattutto visi infantili, diventa ben presto un'esperta nel campo. Quando però in seguito si trasferisce a Parigi dando alla luce due figlie si mette a guardare il suo lavoro da un’altra prospettiva e non sopportando più di partecipare alla trasformazione dei bambini in prodotti, si rivolge da quel momento in poi ai cliché della moda e e della pubblicità per denunciare l'abuso dell'immagine del bambino nella nostra società.4 Andando su www.juliannerose.net è ancora possibile visitare quello che era il sito commerciale dell’artista. All’interno del sito vi si trovano immagini pubblicitarie di bambini perfetti che indossano preziosi gioielli, altri che pubblicizzano marche di noti profumi, altri ancora che indossano vestiti e scarpe alla moda, per finire con alcuni video di spot pubblicitari. 2 Heuser Chilla, Julianne Rose, The Flesh and Blood Toystore, rivista First Class Paris 3 Intervista via mail, vedi appendice 4 Falconnier, Isabelle, Les Enfants-poupèes de Julianne Rose, rivista L’HEBDO. 8 Immagine pubblicitaria, www.juliannerose.net/ Su questa sua esperienza come fotografa di moda Julianne Rose afferma: La mia esperienza nel campo della fotografia commerciale ha spesso nutrito la mia ricerca artistica, e molti miei soggetti - specialmente i bambini o quelli che si riferiscono ai bambini - sono ispirazioni, riflessioni o addirittura reazioni ad esperienze con l’industria della pubblicità e della moda. Il fatto che io abbia avuto in prima persona, esperienza diretta di questi soggetti sotto diversi aspetti, mi ha aiutato ad esplorarli in modo da utilizzare questa prima esperienza come input (trasformando la fotografia commerciale in fotografia artistica). 5 Immagine pubblicitaria, www.juliannerose.net/ 5 Intervista via mail, vedi Appendice 9 Spot pubblicitario, www.juliannerose.net/ Durante la sua carriera di fotografa pubblicitaria, Julianne Rose ha catturato innumerevoli immagini di bambini. «L'immagine stereotipata che gli adulti hanno circa l'infanzia viene impiegata abbondantemente perché le agenzie pubblicitarie sanno bene che le immagini di bambini bellissimi colpiscono dritto i cuori e le tasche dei consumatori.» 6 I soggetti messi in scena dalla Rose nelle sue opere sono una metafora esplicita della manipolazione e oggettivazione del soggetto nella società contemporanea. L'artista pone una riflessione sulla formazione dell'identità in un contesto che favorisce la massificazione e l'alienazione, re-interpretando il giocattolo e i suoi soggetti come icona culturale. 6 Clavijo, Raisa, Julianne Rose / Flesh and Plastic, http://artpulsemagazine.com/julianne-rose-flesh-and-plastic/ 10 1.2 Poetica Le Tematiche che stanno a cuore alla nostra artista, come già brevemente accennato e come vedremo meglio più avanti attraverso un analisi attenta delle sue opere riguardano soprattutto: gli effetti della società del consumo (perché ci convinciamo che determinati prodotti ci servono necessariamente), la menzogna estetica dettata dalla moda, dalla pubblicità e dalla televisione (che ci costringe a trasformarci esteticamente per sentirci accettati nella società, ne è esempio la sua opera “Autoportrait Chantant”, in cui lei manifesta tutto il suo disagio nel sentirsi come un prodotto della moda), gli effetti che si ripercuotono sui bambini che crescono assimilando stereotipi estetici e comportamentali (attraverso i giocattoli, la televisione ecc). Julianne Rose affronta queste tematiche attraverso le sue istallazioni e fotografie in cui il suo intento è palesemente quello di “sbatterci in faccia questa realtà” creando immagini patinate, in cui possiamo vedere bambini bellissimi e perfetti, che sembrano usciti dalle pubblicità. Ovviamente parlando di bellezza e perfezione, si fa riferimento a quella così intesa socialmente. Per quanto riguarda gli stereotipi di bellezza, possiamo dire che anche la fotografia contribuisce a costruire questa «menzogna cosmetica» 7 attraverso le scelte tecniche che vengono effettuate dal fotografo prima e dopo lo scatto. Julianne Rose, attraverso le sue immagini singolari, «costruisce un discorso in cui critica gli effetti nocivi del consumismo rampante e le strategie di manipolazione del settore della pubblicità nella formazione delle identità degli esseri umani.»8 7 Sontag, Susan, On Photography Farrar Straus and Giroux, (Sulla fotografia, Realtà e immagine nella nostra società), New York, 1973, trad. Ita E.Capriolo, Torino, Enaudi, 2004, p. 40 8 Clavijo, Raisa, Julianne Rose / Flesh and Plastic, http://artpulsemagazine.com/julianne-rose-flesh-and-plastic/ 11 Afferma Julianne Rose: Oggi, l'arte visiva può essere una forma di giornalismo in una dimensione diversa. E senza dubbio, permette oggi una maggiore libertà di espressione. E' difficile per me fare riferimento ad alcuni soggetti (identità, infanzia, rappresentazione del corpo...) senza mettere in discussione e interrompere i numerosi preconcetti consensuali della società contemporanea. Propaganda e Media Vision bloccano il pubblico in uno spazio contenuto, ma attraverso l'arte si possono provocare delle micro-perturbazioni nel sistema, permettendo di conseguenza uno spazio di riflessione alternativa.9 Ma vediamo prima di tutto di definire la società consumistica, così come viene sostenuta e diffusa dai media e con essa, nei vari aspetti che la riguardano come la pubblicità, la moda, la televisione, ecc. 9 Intervista via mail, vedi Appendice 12 1.3 Manipolazione mentale: consumismo, pubblicità e moda. «Consumismo è un termine usato per descrivere gli effetti dell'identificazione della felicità personale con l'acquisto, il possesso e il consumo continuo di beni materiali, generalmente favorito dall'eccessiva pubblicità. È associato spesso con le critiche al consumo a partire da Karl Marx e Thorstein Veblen.»10 Questa è la definizione che ci da Wikipedia del consumismo. Col tempo ci siamo convinti che essere consumatori di determinati prodotti, sia una normale scelta arbitraria. Pensiamo che ciò che compriamo, lo scegliamo noi in base al nostro gusto e piacere. In realtà tutto ciò che noi consumiamo, “alimenti, elettrodomestici, indumenti, automobili, programmi televisivi”, ecc...viene proposto dai mass media al fine di ottenere un incremento di consumi con una conseguente crescita della produzione e quindi dei guadagni.11 Se c'è una testimonianza della malleabilità della mente umana, se c'è una prova di quanto sia plasmabile il pensiero umano, e di come facilmente le persone possano essere influenzate e guidate attraverso gli stimoli offerti dall'ambiente, e di quali siano gli effetti: il mondo della pubblicità è la testimonianza di questo.... Si rimane impressionati dal lavaggio del cervello che porta questi robot programmati noti come "consumatori" a vagare e vagare solo per entrare in un negozio e spendere, per esempio, 4 mila dollari per una borsa che probabilmente è costata 10 dollari perché prodotta in un'azienda che sfrutta manodopera oltreoceano. Tutto solo per lo status che quella marca rappresenta nell'opinione comune». (Documentario: Zeitgeist Moving Forward, di Peter Joseph)12 10 Wikipedia, Consumismo, http://it.wikipedia.org/wiki/Consumismo\ 11 Anon. La società dei consumi, http://www.scuolascacchi.com/storia_novecento/ consumismo.htm 12 Joseph, Peter, Zeitgeist Moving Forward, documentario di, 2011 http://www.youtube.com/ watch?v=4Z9WVZddH9w 13 Santo Giunta in “Nei luoghi del design” sostiene che: Il consumo è un fatto che riguarda l'intera umanità, gli equilibri, lo sfruttamento. Dietro a questo nostro gesto spontaneo, vissuto ormai dai più come mera consuetudine del proprio quotidiano, si nascondono gravissimi problemi, di portata planetaria, di natura sociale, politica ed ambientale che nessuno può più permettersi di ignorare.13 La pubblicità, attraverso i suoi messaggi subliminali, fa il possibile per fornire ai suoi spettatori prototipi umani da ammirare e da emulare al fine di potersi identificare piacevolmente con essi e quindi riprodurre quei comportamenti senza riflettere su quali sarebbero i propri. Questi prototipi sono messi in azione in contesti e in situazioni che danno luogo a modelli culturali, si pensi ad esempio alle pubblicità di profumi, di moda, di prodotti per la cura del corpo, alimenti, tecnologia ecc. i quali funzionano come canoni di socializzazione e come motori del comportamento e dell’azione sociale.14 In questo modo, la pubblicità, inizialmente nata semplicemente per far sapere che un determinato prodotto esiste e promuoverlo al fine di poterlo poi vendere, col tempo ha assunto il compito, più che di informare, di persuadere il pubblico della necessità di acquistare quel determinato prodotto, trasformandosi così in complice dei media nel voler creare stereotipi sociali attraverso mezzi di manipolazione mentale. 13 Giunta, Santo, Nei luoghi del design, Azioni e interazioni, Palermo, Biblioteca Del Cenide, 2008, p. 81 14 Anon., Stereotipi sessisti, http://nuke.dubbieverita.it/Stereotipi/Stereotipisessisti/ Stereotipisessistiepubblicit%C3%A0/tabid/483/Default.aspx 14 Questo accadde nel momento in cui si capì che attraverso i media è possibile far giungere idee ma soprattutto messaggi assoluti nelle case di tutti, e la televisione è il mezzo più adatto a questo tipo di “ipnosi”.15 Marshall Mc Luhan nel suo scritto più famoso, Gli strumenti del Comunicare, del 1964 (Understanding Media: The Extensions of Man), inaugura uno studio pionieristico nel campo della “ecologia dei media”. È qui che McLuhan afferma che è fondamentale esaminare i media non tanto sulla base dei contenuti che essi diffondono, ma più che altro in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio". L'espressione "il medium è il messaggio", vuole indicare che il vero messaggio che ogni medium comunica è costituito dalla natura del medium stesso. È proprio la particolare struttura comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis.16 Da queste osservazioni, è possibile dedurre che la manipolazione mentale condotta dai media, avviene a prescindere dal messaggio che essi diffondono. I media oggi, e sopratutto la televisione con le pubblicità e i programmi che possiamo seguire noi spettatori sono solo un pretesto per spingere la società alla non riflessione, alla pigrizia e alla passività intellettuale. E questo avviene mediante un intrattenimento fatto di notizie che riguardano maggiormente avvenimenti di cronaca che servizi su quello che accade realmente nel mondo, reality show, soap opere e pubblicità che altro scopo non hanno che quello di convincerti che quel prodotto che pubblicizzano è importante e che devi averlo a tutti i costi. Così come le pubblicità di moda di profumi e di cellulari che cercano di convincere che se possiedi quel preciso 15 Anon. La società dei consumi, http://www.scuolascacchi.com/storia_novecento/ consumismo.htm 16 Marshall Mc Luhan, Understanding Media: The Extensions of Man, Gli strumenti del comunicare, trad. ita E. Capriolo, Il Saggiatore, 2008. 15 prodotto, verrai accettato dalla società per lo status che quel prodotto rappresenta. Al giorno d'oggi la nuova cultura consumistica è stata architettata e imposta per sopperire ad un bisogno di consumi sempre maggiore. Ed è per questo che gran parte delle multinazionali attualmente preferisce investire nella pubblicità, piuttosto che nel processo di fabbricazione. Lavorando diligentemente per creare false esigenze. E sembra che funzioni. (Documentario: Zeitgeist Moving Forward, di Peter Joseph).17 1.3.1 Manipolazione mentale: i giocattoli I giocattoli hanno un ruolo fondamentale nella crescita, nella formazione della personalità, del pensiero, dei gusti e perfino dell’indentità di un individuo. Sostiene Raisa Clavijo a tal proposito: Durante lʼinfanzia, attraverso il gioco, entrano nella nostra coscienza codici morali e comportamentali, che condizionano le nostre azioni e scelte future. Giocare è un'imitazione del mondo adulto attraverso cui gli esseri umani sviluppano attitudini, apprendono i valori morali e si riconoscono come appartenenti a gruppi sociali specifici. 18 Anche se un giocattolo a prima vista può sembrare un oggetto del tutto innocente, innocuo e pensato unicamente all’intrattenimento del bambino, spesso invece è studiato appositamente per svolgere un ruolo ben preciso. Scrive Roland Barthes sui giocattoli: 17 Joseph, Peter, Zeitgeist Moving Forward, documentario di, 2011 http://www.youtube.com/ watch?v=4Z9WVZddH9w 18 Clavijo, Raisa, Julianne Rose / Flesh and Plastic, http://artpulsemagazine.com/julianne-rose-flesh-and-plastic/ 16 I giocattoli più diffusi sono essenzialmente un microcosmo adulto; sono tutti riproduzioni in formato ridotto di oggetti umani, come se agli occhi del pubblico il bambino non fosse in fondo che un uomo più piccolo, un homunculus a cui si debbano fornire oggetti sulla sua misura.19 (Roland Barthes, 1957) Con questo Barthes vuole farci notare come i giocattoli, raramente hanno delle forme inventate. Si pensi ad esempio ai bambolotti per le bambine, il ferro da stiro, il passeggino, l’aspirapolvere ecc.... Questi giocattoli che “significano qualcosa” e che vogliono mostrare l’universo delle “funzioni adulte” ai bambini, mirano in primis a far accettare questi stereotipi comportamentali ai bambini da subito e poi a farli allenare a diventare adulti.20 Bambolotto 19 Barthes, Roland, Mythologies, (Miti d’oggi), Paris, éditions du Seuil, 1957,trad. ita Lidia Lonzi, 1994. p. 51 20 ivi, p. 51- 52 17 1.3.2 Manipolazione mentale: la bambola Barbie La bambola rappresenta il modello d’identificazione femminile per antonomasia. È un giocattolo talmente tanto interiorizzato che non necessita di presentazione alcuna per riuscire ad essere venduto. Le bambole che si vedono nelle pubblicità, sono un esplicito surrogato dell’immagine della bambina. È palese che la bambola di per se è la metafora sociale della donna oggetto da una parte, e donna madre, procreatrice e casalinga dall’altra. Un complesso di metafore contraddistinto dall’essere rivolto esclusivamente alle bambine, escludendo i maschietti; un mondo che ignora completamente i cambiamenti sociali, i desideri e le esigenze delle donne 18 contemporanee. Stesso effetto “alienante” riproducono tutte altre bambole, bambolotti bebè, Barbie, e i diversi complementi: culle, vestitini, biberon, pannolini, accessori, cibo, passeggini, ecc. Questi giocattoli, illudono le bambine facendole credere che esistono allo scopo di puro intrattenimento, ma in realtà questi hanno un compito ben preciso: vogliono far assimilare loro un preciso stereotipo sociale ovvero la donna come mamma dedita ai figli e ai lavori di casa. Questo è il compito che è stato attribuito ai bambolotti e ai relativi accessori mentre le bambole tipo Barbie, Nancy e Bratz rappresentano la metafora della donna oggetto e di desiderio maschile. Queste, fanno assimilare alle bambine uno stereotipo ideale di bellezza che non esiste e, poiché costituiscono giocattoli molto definiti, impediscono una possibile loro trasformazione e reinterpretazione.21 Ma perché allora la Barbie ha riscosso tanto successo? È fisicamente impossibile che una donna fatta in quel modo possa sopravvivere: Il collo troppo sottile non potrebbe sorreggere la testa. La vita misura quanto la circonferenza cranica. Lo spazio riservato allo stomaco è così stretto da poter ospitare un intestino molto piccolo, ecc...22 23 J.P. Klein recensisce l’arte di Julianne Rose nel catalogo “The Flesh & Blood Toystore” e a tal proposito fa delle considerazioni molto interessanti sulla Barbie: 21 Domínguez, Carmen Pereira, La pubblicità di giocattoli. Una riflessione sopra i suoi disvalori e sul suo contributo alla disuguaglianza di genere, Tesi di Laurea, Facoltà di Scienze dell'Educazione, Università di Vigo, 2009, rpd.cib.unibo.it/article/download/ 1703/1075 22 Mostaccio, Rosaria, Donne vere contro Barbie: come saremmo se avessimo le sue proporzioni, http://www.pinkblog.it/post/6443/donne-vere-contro-barbie-come-saremmo-seavessimo-le-sue-proporzioni, 2010 23 È mia personale opinione che: una bambola venga creata a somiglianza di una bambina reale come modella di riferimento. La bambina a sua volta vuole assolutamente imitare la bambola. Questo accade perché la bambola ha delle alterazioni fisiognomiche che creano straniamento, quindi interesse. La bambina non sa cos’ha di diverso quella bambola da lei ma ne è estremamente attratta. È per questo motivo che, secondo me le Barbie, come le Bratz ed altre bambole hanno riscosso tanto successo. 19 La Barbie è sia una caricatura dell’ideale di donna fisico e morale degli americani, sia simbolo dell’emancipazione della donna dai fornelli... La Barbie insegna alle bambine che devono dedicarsi al perseguimento della felicità mediante l’acquisizione di beni materiali che possiedono l’approvazione di uno status, ma dice pure alle ragazzine che anche loro possono diventare delle pilote, dei medici, o rockstars.24 (Jaen-Pierre Klein, The Flesh & Blood Toystore) In ogni caso, sia che si tratti di bambolotti che vogliono insegnare alle bambine il mestiere di madre, sia che si tratti di bambole come Barbie che insegnano che se non sei ritenuta bella socialmente non verrai mai accettata, è possibile riscontrare come il gioco non è un atto puramente ricreativo volto a far sperimentare al bambino le proprie attitudini ma, più che altro, sembra voler insegnare ai bambini il gioco degli adulti e farli crescere senza libero arbitrio, gusti e idee personali bensì in base alle convenzioni presenti nella società in cui si muove. 24 Klein, Jean-Pierre, The Flesh & Blood Toystore, Communic’Art, 2006 20 1.3.3 Manipolazione mentale: Il gioco al maschile Action man Aqua Blaster Action Man, Power Rangers, Lego Attack e Lego Fortezza Pirata, Mega Blocks ecc., sono solo alcuni dei giocattoli pensati per i bambini. Essi riportano tutti sulle rispettive confezioni innumerevoli scene di lotte e attacchi, nelle quali macchine fantastiche, eroi irreali e diversi personaggi maschili mostrano le loro armi artificiose e sfoggiano la loro muscolatura come prova di virilità e potere. Nel mercato dei giocattoli è previsto che i bambini possano canalizzare l’aggressività, arrivando persino al punto di legittimare la violenza ed esaltarla come valore: ad esempio, sulle confezioni dei videogiochi vi sono testi che vogliono palesemente incitare i bambini alla violenza.25 Osserva Julianne Rose, «Mio figlio ha 11 anni, ha un volto d’angelo ed è il più bravo della sua classe a scuola. Ma in casa gioca a...”SCARFACE MONEY-POWERRESPECT THE WORLD IS YOURS”. Sulla confezione del videogioco è possibile leggere i seguenti testi: - «Vivi la vita turbolenta dell'infame Lord 25 Domínguez, Carmen Pereira, La pubblicità di giocattoli. Una riflessione sopra i suoi disvalori e sul suo contributo alla disuguaglianza di genere, Tesi di Laurea, Facoltà di Scienze dell'Educazione, Università di Vigo, 2009, rpd.cib.unibo.it/article/download/ 1703/1075 21 cubano della droga che ha ridefinito il sogno americano ..., Prima ottieni i soldi, poi ottieni il potere, e poi ottieni la vendetta!, Buttalo giù, fallo volare via, o uccidi il tuo nemico con lo stile e il fascino di Tony., Diventa il capo di un'economia fiorente della malavita. (...)» e così via. I giochi pensati per i bambini come possiamo vedere mirano maggiormente a far credere ai maschietti che è importante essere forti fisicamente, che se si vuole avere successo bisogna combattere per ottenere ciò che si vuole. Questo modo di giocare con un massiccio uso della violenza è anche un buon pretesto per preparare i maschietti un giorno all’idea di poter fare parte di un esercito e combattere per al propria patria a mio avviso. 1.3.4 Manipolazione mentale: conseguenze É evidente che in questo modo, viene propinato al bambino il modello dell’uomo forte, violento, che non si occupa e non si interessa assolutamente della casa, dei figli ecc.. In quanto compito della donna. Al contrario la donna, indifesa e fragile, si prende cura dei figli e della casa e cura la sua immagine per piacere agli uomini. In questo modo, l'infanzia viene manipolata da un modello idealizzato creato da fantasie degli adulti. Ancora Jaen Pierre Klein sull’effetto alienante dei giocattoli: la Pubblicità favorisce l'uniformità di pensieri, sentimenti, stili di vita e comportamenti creando individui standardizzati, clonati. I giocattoli e soprattutto le bambole, sono gli strumenti perfetti per questo tipo di manipolazione. Trasmettono l’immagine e la concezione di una bellezza ideale derivata dalle fantasie di chi li crea. (Jaen Pierre Klein, catalogo Flesh & Blood Toystore).26 26 Klein, Jean-Pierre, The Flesh & Blood Toystore, Communic’Art, 2006 22 Il motivo per cui «Le fotografie e le istallazioni di Julianne ritraggono spesso bambini...» è «...perché proprio durante lʼinfanzia, fase fondamentale e primaria dell'esistenza, che si forma il gusto e piacere dellʼessere umano.»27 27 Klein, Jean-Pierre, The Flesh & Blood Toystore, Communic’Art, 2006 23 1.4 La fotografia come menzogna Le fotografie non sanno mentire, ma i bugiardi sanno fotografare. L. Hine, 1909) 28 Gli stereotipi di bellezza si insidiano nella nostra mente sin da quando siamo bambini. Tutti quei canoni estetici con cui, inevitabilmente, ci confronteremo sempre, specie quando osserviamo quelle immagini di donne o uomini “perfetti” che troviamo rappresentati nelle riviste di moda, dipendono indubbiamente anche da come il mezzo fotografico ce li presenta. La fotografia oggi, ma anche ieri, non è mai stata veritiera al cento per cento. Michele Smargiassi, in “Un autentica bugia, la fotografia il vero, il falso” (il titolo è già fortemente esplicativo) vuole spiegarci proprio questo. «Per sua natura, la fotografia non può che mentire» 29 è il titolo del primo capitolo. Partendo da questo capitolo, ci spiega man mano che quando osserviamo una fotografia dobbiamo tenere conto di come avviene il processo di trasposizione della realtà in un immagine bidimensionale, vale a dire, considerare una serie di scelte stilistiche che fa il fotografo prima dello scatto che inevitabilmente modificano la realtà nell’immagine riprodotta. Può dipendere ad esempio da quanta luce per quanto tempo il fotografo fa entrare dentro la macchina, l’inquadratura, l’obiettivo usato, la macchina usata per scattare quella fotografia, le condizioni di luci che c’erano in quel preciso momento ecc. Per cui l’idea che abbiamo tutti, che una fotografia rappresenta esattamente ciò che avremmo potuto vedere noi se ci fossimo 28 Hine, Lewis, Social Photography. How the Camera May Help in social Uplift, ora in TRACHTENBERG Alan (ed.), Classic Essays on Photography, New Haven, Leeteʼs Island Books 1980 29 Smargiassi, Michele, Un autentica bugia, La fotografia il vero, il falso, Roma, Contrasto DUE, 2009, p. 12 24 trovati accanto al fotografo quando ha scattato la fotografia, va rivalutata secondo il “sarcastico suggerimento” di Joel Snyder e Neil W. Allen:3031 una fotografia ci mostra ciò che avremmo visto in certo istante da un certo punto di vista se avessimo tenuto la testa immobile e un occhio chiuso e se noi potessimo vedere come attraverso un obiettivo da 140 o da 40 mm e se vedessimo in Agfacolor o in Tri-X sviluppate con un D76 e stampate su carta Kodabromide n. 3.32 (Barrow Armitage Tydeman, 1982) Secondo Smargiassi la fotografia: non vorrebbe attribuirsi alcun dono, alcun potere: sono i mortali, di loro iniziativa e senza chiederle il permesso, ad affidarle la custodia del sacro fuoco della Verità. Con una rapidità che ha dell’incredibile, la fotografia si vede assegnato il compito, negato per secoli alle arti figurative, di fornire le prove che il mondo è davvero come lo vediamo.33 Una volta considerata l’idea che già di suo, la fotografia, senza parlare di interventi postumi, mente nell’affermare le cose, possiamo adesso parlare di 30 ivi, p. 53 31 Nota personale: Se pensiamo ad esempio che per Platone lʼarte è vista come copia della copia, quindi imperfetta, alla stesso modo dovremmo dire che la fotografia (arte) che già sta copiando una copia, e poi ancora vi aggiunge modifiche (parlando di manipolazione digitale) è copia della copia anche essa, ma è ancora più imperfetta? Oppure possiamo dire che in questo caso, lʼintervento è giustificato con il fatto che, non potendo far altro che riprodurre una copia imperfetta, si cerca così, attraverso la manipolazione, di avvicinarsi alla perfezione? Stando a quanto appena detto ritengo che per quanto riguarda la ricerca della perfezione in fotografia dovremmo intenderla come ricerca di un rapporto ragionevole tra complessità, creatività ed efficacia del messaggio, evidentemente "viziato" o meglio caratterizzato dal punto di vista, dall'estetica e quindi dall'inconfondibile firma del suo autore. 32 Barrow T.F.. Armitage S., Tydeman W.E. (eds.)Reading into Photography, Selected Essays 1959-1980, Albuquerque, The University of New Mexico Press, p.70 33 Smargiassi, Michele, Un autentica bugia, La fotografia il vero, il falso, Roma, Contrasto DUE, 2009., p. 11 25 ciò che da bugiarda, la fa diventare mezzo per inculcare ideali di bellezza nella mente delle persone. Il momento dello scatto è di fondamentale importanza. Rappresenta il momento di spartizione fra gli interventi precedenti e quelli che ci saranno. Dopo lo scatto, ma comunque prima che l’immagine venga mostrata ai fruitori, si può ancora rielaborare l’immagine per “correzione, rimozioni o aggiunte”34. Quello che accade quando ritocchiamo un immagine fotografica è falsificare ancora l’immagine che di sua natura già, un po’ mente. Oggigiorno però l’intervento postumo sull’immagine - se torniamo a parlare di moda e pubblicità - è diventato un must. Non esiste immagine sui rotocalchi femminili che non sia stata manipolata, anche minimamente prima di essere stata pubblicata. A tal proposito è interessante, come ci fa anche notare Smargiassi nel suo libro35, analizzare il video realizzato da “Dove”36 Dove Evolution, 2006, http://www.youtube.com/watch?v=iYhCn0jf46U rintracciabile su youtube.com dove è possibile vedere la trasformazione di una semplice ragazza in una super modella da manifesto pubblicitario. Prima la ragazza tramite l’intervento di prodotti cosmetici, viene truccata e pettinata da professionisti. Dopo tramite la manipolazione digitale in photoshop, alla ragazza vengono ingrandite le labbra, allungato il collo, ridisegnato l’ovale, ingranditi gli occhi ecc. Alla fine del video appare una frase molto semplice 34 ivi, p. 140 35 ivi, p. 145 36 Dove, Dove Evolution, 2006, http://www.youtube.com/watch?v=iYhCn0jf46U 26 ma pregna di significato “No wonder our perception of beauty is distorted” (Non c’è da stupirsi se la nostra percezione della bellezza è distorta). Lo scopo di questo video è stato quello di scardinare gli attuali stereotipi di bellezza. Con una semplicità impressionante, questo spot dimostra quanto siano artefatti i canoni estetici che ci arrivano dalla pubblicità. Inoltre essendo il video stato girato in fast-motion, fa capire immediatamente al pubblico l'enorme differenza tra il “prima” e il “dopo”. La nostra percezione della bellezza è enormemente influenzata dai media. La “violenza” visiva a cui il nostro occhio è stato e viene sottoposto ogni giorno dalle migliaia di immagini che vediamo, ha creato degli stereotipi estetici comuni a tutti dai quali è difficile svincolarsi. “Possiamo correggere le vostre fotografie per farle assomigliare alla vostra vita” dice il cartello di uno studio fotografico americano. Secondo Smargiassi, per la maggior parte delle persone accade esattamente il contrario 37 Si cerca di correggere la propria vita per farla assomigliare alle fotografie. A quelle delle “sottili modelle con gambe esageratamente lunghe e vitini di vespa” fabbricate a colpi di pennello elettronico sugli schermi opalescenti dei photoshopper delle riviste di moda, ma che “finiscono per distorcere l’immagine che le donne hanno di loro stesse” (Michele Smargiassi, 2009)38 C’è chi si diverte a manipolare le proprie fotografie per apparire più attraenti, spesso inconsapevole di essere vittima degli stereotipi estetici, e chi invece si 37 Smargiassi, Michele, Un autentica bugia, La fotografia il vero, il falso, Roma, Contrasto DUE, 2009, p. 145 38 ibid. 27 oppone fermamente ritenendo il ritocco di nasi, occhi zigomi e volti come un insulto alla persona. Scrive la scrittrice Naomi Wolf: «cancellare con l’airbrush l’età dal volto di una donna equivale a cancellarne l’identità, il potere, la storia» 39. Esempio di immagine photoshoppata che ritrae Brittany Murphy (prima è dopo la manipolazione digitale) fonte:http://static.blogo.it/clickblog/ Come per Smargiassi lo stereotipo visivo del criminale vive nel nostro immaginario grazie all’accumulazione, impossibile prima dell’avvento della fotografia, di una quantità enorme di fotografie pubblicate sui giornali40, così potremmo dire lo stesso per lo stereotipo di bellezza: siamo sempre bombardati da immagini fotografiche che propinano prototipi di bellezza, non è un caso se li abbiamo assimilati con tanta facilità. 39 Wolf, Naomi, The Beauty Myth, Toronto, Vintage, 1990, p. 83 40 Smargiassi, Michele, Un autentica bugia, La fotografia il vero, il falso, Roma, Contrasto DUE, 2009. p. 188, citando S. Reaves, J. Bush Hitchon, S.Y. Park, G.W. Woong in If Looks could Kill: The Ethics of Digital Manipulation of Fashion Models and Attidudes of Readers, relazione presentata Visual Communication Division dellʼAEJMC, Washington, D.C.,agosto 2001 28 CAPITOLO 2. JULIANNE ROSE: opere I feel when writing about art, it’s important to not to over dissect & demystify some works nor direct one's regard to areas that are only relevant on a basic level of observation. There are enough so called "writers" in consensual journalism for that obvious approach. Try to go where others don't see or don't dare to go & there you will often find much to explore. When analysing or criticizing art, avoid falling into the spectacular or celebrity aspect of pieces such as this autoportrait. Instead jump over these layers & start somewhere behind the surface in the dimension where the artistic process exists. Singing Autoportrait is a violent statement, beyond a beauty quest experience. It symbolizes aspects of feminine identity, corporal representation in society & feminine resilience in a masculine-dominated society where women are still very much objectified. Though the form of this installation may seem at 1st amusing, the spectator willingly approaches & interacts, then the elements of sound & light are added to the visuals & so stimulate new senses & sentiment of unease gradually replaces the initial amusement so different dimensions of the subject are then apparent to be explored ...or not ...by each individual. (Julianne Rose, in una e-mail) Dopo aver descritto il contesto socio-culturale nel quale l’artista si aggira e gli argomenti che a lei stanno maggiormente a cuore è arrivato il momento di analizzare alcune delle sue opere. Ho scelto di analizzare quelle opere che più riflettono il contesto sopra descritto e che meglio si allacciano al mio lavoro personale. 29 2.1 Autoportrait Chantant Autoportrait Chantant (Singing Autoportrait) World Survival Tour-1966-2006 Photographs/ lights/sound Flycase 100x141x25cm on tripod -H 2m 30 A mio parere, l’opera “Autoportrait Chantant” è l’opera di più rappresentativa, quella che più di tutti descrive la poetica dell’artista. Julianne Rose riflette qui su quello che accade alle persone quando all’improvviso diventano personaggi di spicco all’interno del mondo della moda. Quello che si verifica si può definire come un processo automatico di oggettivazione e spersonalizzazione della persona. Quest’opera vuole rievocare l’esperienza personale dell’artista quando, come detto, all'età di 18 anni vince il concorso di bellezza “Australia Face of 85 ”. Così, improvvisamente passa da giovane ragazza “anonima” residente in una piccola città ad top model australiana conosciuta e ammirata. Rose in questo modo cessò di essere un essere pensante, e diventò un semplice volto desiderabile, un prodotto del consumismo offerto al pubblico. L’istallazione, realizzata nel 2006, in forma di trittico fotografico montato su treppiede sostiene un “flycase”, la scatola usata dai musicisti per sistemarci dentro la propria roba. L’opera misura in altezza 2 metri e si compone di tre pannelli con luci e suoni in cui, all’interno di dei quali vi è una fotografia dell’artista.41 Nel pannello centrale vi è un ritratto dell’artista a mezzo busto. Il volto da quarantenne, che non accenna minimamente un sorriso, truccato oltraggiosamente di turchese per gli occhi e rosso per le labbra, “i capelli avvinghiati da un diadema perfettamente kitsch”, “il busto avvolto dalla fascia plastificata di vincitrice” 42 del concorso “Australia Face”. Julianne Rose sembra qui volerci dire “sono una vittima” della moda. Al posto del cuore vi è posizionato un altoparlante, al posto del capezzolo sinistro vi è un pulsante. Il pannello a destra rappresenta la donna a figura intera. Il corpo, sostituito con quello di una Barbie, è chiaramente una 41 Delair Magazin, intervista a Julianne Rose, Edition L’Autoportrait 2009 42 Baqué, Dominique, VISAGES, du masque grec à la greffe du visage, Paris, Editions du Regard, 2007, p.201 31 metafora della bellezza stereotipata. Il pannello sinistro, ancora una raffigurazione a figura intera, rappresenta questa volta la donna vista da dietro. Sulla schiena, vi è lo spazio in cui inserire le batterie della bambola parlante. Se premiamo il pulsante posizionato sul capezzolo sinistro del pannello centrale è possibile udire il ritornello della canzone di “I Will Survive” di Gloria Gonnor, mentre su entrambi i pannelli laterali lampeggiano luci da discoteca. Sotto la sua fascia da Miss riutilizzata nell'opera d'arte per questa occasione, la Rose, munita del suo diadema scintillante e delle sue piccole scarpe con tacchi alti, diventa ibrido tra il corpo umano, in carne, vivo e corpo di bambola, in plastica, finto. Guardando quest’opera, dopo l’iniziale sensazione di trovarsi davanti a quello che può essere definita la mercificazione degli standard di bellezza del mondo della moda, vedremo che l’artista in realtà sta manifestando con ciò una forma di resistenza alle suddette convenzioni. E la denuncia non si ferma solo ai componenti visivi, perché come già detto poc’anzi, premendo il bottone rosso che sostituisce il capezzolo sinistro dell'artista nel pannello centrale possiamo ascoltare il ritornello di “I Will Survive di Gloria Gonnor”. "World Survival Tour 1966-2006" è infatti il sottotitolo dell’opera. Perché con quest’opera l’artista vuole dirci che lei sopravviverà: Qualunque sia l'oltraggio che mi farete subire, qualunque sia l'alienazione alla quale vorrete sottomettere il mio corpo e la mia identità, io sopravvivrò. Ferita, oppressa, modellata, formattata, separata dai miei desideri e della mia coscienza, sfigurata, infine io sopravviverò ancora. Qualunque cosa facciate di me, io mi alzerò, io mi rialzerò ancora a testa alta, leggiadra, altera, gaudente. Affrontando il mondo col mio viso di donna.43 43 ivi, p. 201-202 32 Julianne Rose sta invitando ad una riflessione profonda, vuole che anche chi sta guardando l’opera decida di sopravvivere alle più assurde convenzioni propinate alla nostra società. L’artista, attraverso quel pulsante, vuole incitare lo spettatore-guardone ad intervenire nell'opera, spostando la " pulsione scopica" inerente allo spettatore, (desiderio ardente di vedersi stimolato dall'erotismo della quasi nudità) e la nozione di interdetto. Così, ci spiega lei, "certi uomini ridevano, [e che] altri si rifiutavano di toccare il seno" dell’artista.44 Sfoggiando un trucco tanto esagerato, Julianne Rose realizza sotto questi tratti ridicoli la maschera di una femminilità fittizia ed artificiosa attraverso l'esagerazione dei tratti che suggerisce. Come spesso vediamo nelle immagini delle riviste di moda, sui cartelloni pubblicitari o direttamente sulle passerelle delle sfilate, le modelle hanno sempre un trucco esagerato i cui colori troppo accessi o troppo forti non sembrano più voler semplicemente valorizzare la bellezza della modella stessa ma sembrano voler stigmatizzare l'identità delle suddette in uno sfrenato simbolismo erotico. Questa è un opera che mira alla riflessione, specialmente nelle donne. Infatti come possiamo vedere la Rose non ha voluto cancellare dal proprio volto i segni del tempo e, con ciò, il suo stato d’animo nel ricordare la sua esperienza di “Miss”. A tal proposito è interessante ricordare cosa disse Anna Magnani al truccatore che voleva toglierle le rughe prima di entrare in scena nel film “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini: «Lasciamele tutte, non togliermene nemmeno una, c’ho messo una vita a farmele!»45 44 Petiteau, Liza, De l'innocence enfantine à la dénonciation des normes : Julianne Rose ou la résistance aux représentations stéréotypées des standards de beauté, Università du Québec à Montréal trad. Ita mia, 2009, trad. Ita mia, p. 7 45 Anna Magnani in “Mamma Roma”, di Pier Paolo Pasolini, 1962. 33 Dice Julianne Rose in un’intervista su quest’opera: Un autoritratto è sia una messa a nudo dellʼartista, è al tempo stesso un segno di esibizionismo e di umiltà nel non voler nascondere niente e dire tutto...». «...Per realizzare e soprattutto mostrare lʼAutoportrait Chantant, ho avuto bisogno di coraggio, una certa maturità e certamente tanta rabbia. 46 E poi ancora: Singing Autoportrait World Survival Tour 1966-2006 è per me, il pezzo più potente e forse violento che ho prodotto, in quanto è stato concepito e creato in un periodo molto intenso della mia vita ed è simbolo di molte questioni e di esperienze chiave del il mio passato. Realizzarlo è stato come un enorme esorcismo per alcuni aspetti poiché contiene gran parte della energia esplosiva di quel momento. È al tempo stesso bizzarro e terrificante. Trovo che quest’opera sia una rivisitazione molto scomoda.47 (Julianne Rose, intervista via mail, 2012) 46 Delair Magazin, intervista a Julianne Rose, Edition L’Autoportrait 2009 47 Intervista via mail, vedi appendice 34 2.2 Expired Quando Julianne Rose aveva 8 anni, la sua bambola preferita prese fuoco nellʼincendio di casa sua. I suoi genitori, per consolarla, le promisero di comprargliene una nuova. Le dissero pure che quella bambola era ormai troppo vecchia e usata e che ad ogni modo non sarebbe stata una grande perdita buttarla via. Quindi, un giocattolo “vecchio”, anche quando questo ha un valore affettivo, deve essere rimpiazzato da un prodotto nuovo, necessariamente più attraente, poiché chi potrebbe amare ciò che è vecchio? Tuttavia, la piccola Julianne aveva dato tutto il suo amore a questa bambola ma, poiché era danneggiata, doveva finire nella spazzatura secondo il destino ineluttabile degli oggetti di consumo laddove " Tutto ciò che è vecchio e consumato viene sostituito dalla nuova Barbie alla moda.»48 Expired è l’opera che descrive questa visione del “vecchio” come metafora di brutto, inutile, passato e morente in contrapposizione al “nuovo” come sinonimo di bello, utile e attuale. Per realizzare quest’opera Julianne Rose si serve di diverse bambole vecchie, consumate, abbandonate e rovinate, che ripone all’interno di 48 Petiteau, Liza, De l'innocence enfantine à la dénonciation des normes : Julianne Rose ou la résistance aux représentations stéréotypées des standards de beauté, Università du Québec à Montréal trad. Ita mia, 2009, trad. Ita mia, p. 3 35 sacchetti di plastica a cui poi aspira via l’aria mettendole “sottovuoto”. Ad ognuna di loro viene poi assegnato un codice a barre e un ridicolo slogan: «“Peggy Sue, I love you”, Adorable Annabelle, Best friends forever”, “ Cecilia, so Shy”, “Spidermann, Your Lifetime Hero”, “Action Alexis, A Winner”, ... ad nauseam... » 49 Adorable Annabelle, Expired, 2006 Secondo Jan Pierre Klein la serie Expired, decostruisce la logica implicita post-Barbie, che inevitabilmente si riferisce ad una bambola gonfiabile vivente pronta per essere consumata dagli uomini. L'artista deforma, sgonfia e mette sottovuoto le bambole il cui destino traccia poi fra due date: la data della loro produzione, e la data in cui vennero smarrite, abbandonate, danneggiate, scambiate o mutilate. 49 Baqué, Dominique, VISAGES, du masque grec à la greffe du visage, trad.ita mia Paris, Editions du Regard, 2007, p. 199 36 A dispetto del titolo, queste figure avvolte nella plastica non costituiscono un cimitero. Julianne offre loro la "Rosa" della vita, o meglio, della sopravvivenza. Stiamo parlando di resurrezione qui. Julianne abusa di queste figure irrigidite affinché esse si risveglino, trasformando oggetti mercificati in dichiarazioni artistiche.50 E come se lei, mettendole sottovuoto proprio come viene fatto con i cibi per allungarne il tempo di conservazione, volesse rimandare la loro “scadenza”. Diversamente dal manichino che brucia nel forno di Archibald de la Cruz 51 e che ossessiona Julianne, come del resto tutto il lavoro di Buñuel, ella non fa scomparire le sue bambole. Piuttosto, esse sono verificate in un rito di passaggio, non più sacrificando l'estetica, ma rivelando il potere della ri-creazione simbolica. Il vuoto rivela una vacuità aperta alle identità possibili. (Jan Pierre Klein, editore di Art et Térapie)52 Nello stesso modo in cui si cambia una bambola vecchia con una nuova, così si fa anche con tutto il resto: i vestiti, il cellulare, la televisione, gli oggetti che si hanno in casa, l’automobile e così via, tutto ciò che è vecchio e fuori moda pertanto, va sostituito. È così, anche le persone quando iniziano ad invecchiare, cercano di cambiarsi la “faccia” in base a quell’etica che dice che “il vecchio e fuori moda” va sostituito col nuovo. A Tal proposito: Scrive Hillman che, per il bene dell'umanità, “bisognerebbe proibire la chirurgia cosmetica e considerare il lifting un crimine contro l'umanità” 50 Klein, Jean-Pierre, The Flesh & Blood Toystore, Communic’Art, 2006 51 Qui J.P. Klein si riferisce a “La Vie criminelle d'Archibald de la Cruz” un film di Luis Buñuel, del 1955, dove un uomo, attraverso un carillon magico, ha il potere di uccidere le donne semplicemente augurandole la morte: se immagina ad esempio di sparare o di strangolare la sua vittima, questa verrà davvero uccisa pochi istanti più più tardi da un proiettile o strangolata. 52 Klein, Jean-Pierre, The Flesh & Blood Toystore, Communic’Art, 2006 37 perché, oltre a privare il gruppo della faccia del vecchio, finisce per dar corda a quel mito della giovinezza che visualizza la vecchiaia come anticamera della morte.53 (La forza del carattere 2000) Quest’opera, oltre che volerci rievocare la nostra società consumistica - dove ciò che è desueto, superato e fuori moda, anche se ancora funzionale, viene immediatamente sopperito a prescindere dal valore affettivo che quell’oggetto possa avere - vuole anche farci un discorso sulla donna, anch’essa vista come oggetto di “consumo”, con la quale non vi è un legame affettivo perché, quando risulta “vecchia e fuori moda”, viene rimpiazzata con un’altra più bella e nuova. Infatti Jan Pierre Klein ci parla della logica implicita post-Barbie, utilizzando la metafora della donna vista come bambola gonfiabile vivente pronta per essere utilizzata a piacimento. Come l’artista qui, ridona vita a queste piccole bambole vecchie e sfigurate, così anche noi dovremmo rispettare maggiormente quello che abbiamo, sia che si tratti di cose, persone o di noi stessi. Quando l'artista procede a mettere le bambole sottovuoto nelle buste di plastica nella serie Expired, alcune di loro non vogliono lasciarsi soffocare. Questi piccoli corpi emarginati dalla loro non idoneità agli standard ideali di bellezza, resistono anche perforando la plastica. In questo senso, se viene difficile comprimere tutti questi corpi nei sacchetti, questa prospettiva apre la strada alla rivalorizzazione del corpo abbandonato. Ritruccando queste bambole, l'artista ridona vita a questi piccoli corpi depravati. Tutto ciò che è fuori dalle norme, fuori misura e fuori dal consumo arriva finalmente una nuova visibilità attraverso la creazione artistica. Ormai, il trucco non è più solamente quello che spinge l'individuo a un dovere di bellezza. Se la maschera libera intensificazioni multiple perché assorbe il volto vivente dell'individuo, dissolve la carne dalla sua familiarità, disgrega i 53 La forza del carattere, James Hillmann; citato in Umberto Galimberti, Facciamo un lifting alle nostre idee, in L'espresso n. 20 anno LIII, 24 maggio 2007, p. 199 38 riferimenti e le interdizioni del sentimento abituale d'identità e gli sostituisce un viso fittizio, immobile, una superficie di proiezioni in cui l'immaginario può ricamare a suo piacimento, allora i volti nascosti dal trucco di Julianne Rose sono le maschere che pongono il senso di marginalità identitaria al cuore delle nostre società contemporanee di consumo. Alla stessa maniera, poiché "nel cancellare il suo viso attraverso un artificio e soprattutto con la comodità della maschera, l'individuo si libera dai vincoli dell'identità, Julianne Rose crea attraverso questi differenti visi truccati una visione che noi qualifichiamo come caleidoscopia dell'identità del soggetto contemporaneo. (Le Breton, 2003)54 Attraverso un analisi attenta di quest’opera possiamo vedere che le bambole di Julianne Rose non sono affatto “Expired” (scadute) giacché lei, tramite l’intervento artistico, dona loro la possibilità di una vita nuova, come se Action Alexis, 2006 54 LE BRETON, David, Des visages. Essai dʼanthropologie, Paris, Métailié, 2003, p.224, citato da Liza Petiteau, in De l'innocence enfantine à la dénonciation des normes : Julianne Rose ou la résistance aux représentations stéréotypées des standards de beauté. 39 volesse prepararle ad essere nuovamente esposte sugli scaffali dei negozi di giocattoli aspettando che altre bambine si innamorino di nuovo di loro. 40 2.3 Flash and Plastic, Live Dolls e Kids For Sale Flesh and Plastic (2005-2007) è l’opera che esplora il processo di mercificazione che subiscono i bambini per mezzo della pubblicità e la moda. In questa serie di stampe fotografiche a colori, realizzata in forma di dittici, l’artista contrappone due immagini: l’immagine di un bambino o di una bambina reale, in carne e ossa, vivente, all’immagine di un bambolotto o di una bambola di plastica quindi inerte, finta, il cui aspetto però rimanda al bambino reale. Paradossalmente però guardando il bambolotto, si può percepire quel viso come se manifestasse più vitalità di quello del bambino reale creando così un sorta di inquietudine nell’osservatore. Un gioco di contagio opera in queste immagini - rielaborate digitalmente - che presentano dettagli che rendono viva l'espressione della bambola o, al contrario, irreale l’immagine del bambino (una bocca troppo divisa, un bianco dell’occhio troppo forte che si unisce a ciglia e palpebre troppo rigide, la luminosità del lip gloss, la pelle vivente satinata come quella di una bambola...). È la bambina reale dalla pelle pastello, di porcellana, che non esprime più nulla, mentre la bambola presenta uno sguardo triste che emana di forza perturbante.55 (Ludovic Fouquet 2012) 55 Fouquet, Ludovic, Le mannequin et la poupée, une icône explosive?,, trad.ita mia http:// www.erudit.org/culture/etc1073425/etc1128309/34966ac.pdf, 2012 41 In Flesh and Plastic #5 una ragazzina bionda e dagli occhi azzurri, da un lato, incarna la sua bambola preferita, Barbie, rappresentata sull’altro lato del Flesh and Plastic #5, 2006 dittico. Turchese per le palpebre e ciglia lunghe e ben definite. Labbra che accennano un sorriso, come quelle di Barbie, di un rosso magenta. Una pelle estremamente levigata e uniformemente illuminata, irreale, nel suo nascondere la stessa trama della pelle rimandando ad un effetto plastico, fittizio. Secondo Julianne Rose questa bambina di 5 anni così truccata e rappresentata, rispecchia le fantasie narcisistiche della madre nel sognare di vedere esposta questa fotografia in grandi dimensioni in una galleria d’arte. 42 In Flesh and Plastic #6 contrappone all’immagine di un bimbo bellissimo dagli occhi cerulei e bocca spalancata l’immagine di un bambolotto, uno di quelli che, se lo metti in posizione orizzontale, come per farlo addormentare, chiude gli occhi, anch’esso dalla bocca spalancata. Anche in questo caso la Flesh and Plastic #6, 2006 somiglianza è impressionante e costringe l’occhio a far avanti e indietro fra i due bimbi del dittico. Il bambolotto però, sembra essere più vero, come del resto tutte le bambole in questa serie, in quanto possiede una pelle esattamente così come la conosciamo nelle bambole. Dall’altro canto, invece, il bimbo reale, sembra possedere una pelle da manifesto pubblicitario, che risulta più finta di quella di plastica del bambolotto. 43 E che dire di Flesh and Plastic #8 dove entrambi i bebè, sia vero che bambolotto, sembrano avere la stessa tonalità e trama della pelle, oltre che la stessa forma della testa e espressione facciale. Flesh and Plastic #8, 2006 Stessa cosa vale per Flesh and Plastic #01 in cui Julianne Rose contrappone due bimbi di colore, visti di profilo, paffutelli. Anche qui la somiglianza è Flesh and Plastic #1 impressionante. Stessi lineamenti, stessa texture per la pelle, unica differenza: pare più vero il bambolotto. 44 Poi vi è ancora Flesh and Plastic 04, dove una bambina asiatica è truccata Flesh and Plastic #4 nello stesso stile del teatro delle maschere giapponesi. Privandoci di qualsiasi contesto narrativo, Julianne Rose crea un faccia a faccia con i soggetti rappresentati, recando un disagio nell’occhio dello spettatore, che costringe inevitabilmente ad un andirivieni senza tregua fra il modello umano e quello inanimato. In queste serie, l'oggetto acquisisce un'anima e i bambini diventano un ibrido. La dualità fra entità oggettiva trasformata in un altro feticcio del consumismo che in questo caso è rappresentata dal corrispettivo bambolotto è ancora più accentuata in Live Dolls, una serie fotografica in cui Julianne Rose ritrae bambole con volti infantili, modelli di perfezione che allo stesso tempo nascondono discriminazione, ombre conturbanti e perverse. 45 Live Dolls 09, 2006 Nel catalogo della mostra per "Ultra Peau" presso il Palais de Tokyo (Parigi) nell'estate del 2006 è possibile leggere a proposito di questa serie: " «Sono queste immagini di figli perfetti da ordinare da catalogo o sono bambole viventi?» 56 Live Dolls 02, 2006 56 Citato da Raisa Clavijo, Julianne Rose / Flesh and Plastic, http://artpulsemagazine.com/ julianne-rose-flesh-and-plastic/ 46 Questo fotografie in grande formato emanano una sensualità disumanizzata, un ideale di bellezza e perfezione nutrito dai mass media. «Bambole dagli occhi bellissimi e un incarnato desiderabile» 57 e di una perfezione irraggiungibile esemplificano quel concetto di bellezza a cui le persone iniziano a guardare già in tenera età. Lo stesso discorso viene portato avanti in “Kids for Sale” del 2005. Ancora una volta una serie fotografica che prende di mira l’oggettivazione del bambino che questa volta però, è addirittura in vendita, parafrasando il titolo “Kids for Sale”, “Bambini in Vendita”. In questa serie, l’artista, per rendere ancora più esplicita la sua denuncia contro chi, trasforma i bambini in oggetti di consumo, presenta queste creature come inscatolate, esattamente come troviamo inscatolate le Barbie che sono poste sugli scaffali dei negozi, con i relativi accessori posti affianco, e in basso a destra il primo piano del soggetto. Anche qui, per dar maggior rilievo alla questione, vengono presentati dei volti dalla pelle inverosimilmente perfetta. Guardando questi bambini possiamo osservare che, «gli occhi mostrano una sorta di vuoto inquietante, i volti, sono inflessibili, non esprimono la gioia infantile.» 58 nota Dominique Baque in Visages – Du Masque Grec à la Greffe du Visage. Il Fotografo di moda, l’infermiere, la casalinga, l’ atleta, la segretaria, il surfista, sono solo alcune delle professioni che l'artista ricrea in questa serie. Julianne Rose propone questi bambini con indumenti ben precisi che rinviano, senza alcun dubbio, ai modelli indotti dai media. Mentre a Steve il Fotografo di moda indossa un jeans attillato e occhiali da sole Ray Ban è equipaggiato da diversi apparecchi fotografici, scorte di pellicole e di enormi teleobiettivi che rinviano a simboli “fallici”, “Selina Secretery”, con i suoi tacchi a spillo e il tailleur giallo oro, tiene il telefono cellulare nella mano sinistra, circondata dai suoi accessori come computer portatile, cuffie e il suo immancabile kit di make-up completo di ciglia finte, cipria e ombretti colorati. 57 Clavijo, Raisa, Julianne Rose / Flesh and Plastic, http://artpulsemagazine.com/julianne-rose-flesh-and-plastic/ 58 Baqué, Dominique, VISAGES, du masque grec à la greffe du visage, Paris, Editions du Regard, 2007, p. 199 47 Oppure ancora “Betty Biker”, con le sue altissime scarpe in vernice nera, calze a rete rosa, catene metalliche che inevitabilmente rimandano allʼuniverso dei sexy shop. Steve Photographer, 2005 Selina Secretary, 2005 Biker Betty, 2005 48 Ogni bambino si vede così attribuire i vestiti e gli accessori che corrispondono ad archetipi di individui ben definiti, Lungi dall'essere accessori casuali quelli che questi bambini hanno con se, questa serie costituisce una caricatura un po 'sarcastica dei modelli di comportamento sessista, stereotipi attribuiti al genere maschile o femminile, dove, come precisa Colette Guillaumin, «Il fatto che uomini e le donne sono vestiti in modo diverso, con abiti di tagli diversi [...] è un esempio di marcatura che è sopravvissuta alla coscienza generale».59 Julianne Rose con “Kids for Sale" vuole dirci che i giocattoli oltre che promuovere il consumo di beni materiali, cercano anche di infondere ruoli sociali idealizzati in conformità con il loro genere. «Il lavoro di Julianne Rose coinvolge l'estetica quanto l'etica. Lei insiste con domande sulla rappresentazione del corpo nella nostra società..»60 59 GUILLAUMIN, Colette, Sexe, Race et Pratique du pouvoir, Paris, INDIGO & côté-femmes, 1992, p.179 citato da Liza Petiteau, De l'innocence enfantine à la dénonciation des normes : Julianne Rose ou la résistance aux représentations stéréotypées des standards de beauté, trad. Ita mia p. 7 60 Australian Embassy, Objectif féminin Trois photographes australiens Nathalie Latham, Julianne Rose, Vee Speers, 2007, trad.it mia 49 Conclusioni Come già accennato nell’introduzione, ho deciso di approfondire l’arte di Julianne Rose perché mi sento molto affine a quella che è la sua ricerca artistica oltre che alle sue scelte stilistiche nella rappresentazione del corpo. Le sue fotografie sono state per me fonte di grande ispirazione dal momento in cui ho deciso di volgere la mia ricerca verso i temi che riguardano il sociale. Le persone sono i miei soggetti preferiti perché, a differenza degli oggetti sono vive e possiedono la facoltà di poter raccontare una storia. Anche le cose in realtà possono raccontare una storia in qualche modo, ma le storie dei vivi sono sempre quelle più interessanti e quelle che ci toccano di più. Però a volte le persone incontrano quello che in questa tesi è stato definito come processo di “oggettivazione” o di “spersonalizzazione”. Il primo che togliendo “umanità” alla persona, tende a rendere o comunque a far assomigliare le persone più a “oggetti”, il secondo invece tende ad eliminare personalità. In entrambi i casi, si tratta di processi che spesso avvengono dopo che alle persona sia stato fatto il lavaggio del cervello, e di questo se ne è già parlato a proposito di manipolazione mentale indotta dai media, dalla pubblicità e dalla moda che creano false esigenze e stereotipi di bellezza. É vero però che noi tutti in qualche modo ne subiamo il fascino. In realtà la bellezza è qualcosa avvolta nel mistero. Ognuno di noi sa dire se c’è qualcosa che che ritiene bello o meno, però non si può negare che la bellezza oggi viene strumentalizzata. A seguire illustrerò alcune delle mie opere alcune delle quali sono state realizzate prima di conoscere l’arte di Julianne Rose, altre dopo. Partirò in ordine cronologico. La prima serie che vorrei descrivere è intitolata “Urban wildlife Expierence”, in questa serie ho rappresentato diversi “stereotipi” umani, ovvero persone con ideali e stili diversi, e ad ognuno di loro ho poi fatto interpretare un opere d’arte in base a comunanze di ordine stilistico, per somiglianza, o più semplicemente, per puro divertimento. 50 Per fare qualche esempio in Medusa Rastafari vi è una ragazza con dei lunghi dreadlocks, piercing al naso e sotto il labbro inferiore, la cui testa mozzata viene presentata su un vassoio d’argento come accade nella Medusa di Caravaggio. Medusa Tastafari, 2009 In Mod&Punk, metto a confronto in una rivisitazione di “La mano ubbidisce all’intelletto” di C.M. Mariani, due soggetti che hanno avuto una rivalità storica in passato, ovvero il mod e il punk. Mod&Punk, 2009 51 E ancora una “Madonna dark” dove una ragazza con uno stile da “dark” interpreta la “madonna con bambino” di J. Fouquet. Bambole dall’aspetto tenebroso prendono il posto degli angeli, un trono con teschi sostituisce quello austero di Fouquet, al posto del bambino la Madonna dark sorregge un volume di libro C. Baudellaire, “Le Fleur du Mal”. Madonna Dark, 2009 In queste fotografie, possiamo vedere la rappresentazione di stereotipi sociali, analizzati da un punto di vista iconografico ma messe in scena senza far rinuncia ad un intenso estetismo e cura dei particolari. 52 Un’altra mia serie che racchiude un forte estetismo nella rappresentazione del corpo è “Doll” del 2010. In queste serie, una ragazza semplicissima viene presentata come ibrido fra donna reale e manichino. Ho prestato particolare cura nel definire alcuni tratti del volto e del corpo per renderli somiglianti a quelli di una bambola. Ma questo processo non è assoluto, poiché ho voluto lasciar trasparire una sorta di ambiguità in questo soggetto, fra vero e falso, reale e non reale. A seguire alcuni esempi: Doll 01, 2010 53 Doll 07, 2010 54 Doll 04, 2010 55 Ultima serie fotografica che voglio illustrare per concludere con i miei lavori è la serie “Revealing Shadows”. In questa serie, diversi soggetti posano davanti ad una parete neutra e sono illuminati da una luce abbastanza forte da poter vedere proiettata alle loro spalle la loro ombra ben definita e ritagliata. L’ombra in questa serie rappresenta la verità di questi soggetti. Questa verità si manifesta attraverso l’azione del fotografare. In questo senso, ogni soggetto rappresentato, porta con se nella sua ombra, i propri desideri, i propri sogni, le proprie paure, o i propri ricordi. Anche i questa serie spicca la mia quasi ossessione verso un estetismo ricercato, lo stereotipo sociale, la visione dell’identità incerta, la cura e raffinatezza della rappresentazione. Revealing Shadows 01, 2010 56 Revealing Shadows, 10, 2010 57 Revealing Shadows, 12. 2010 58 59 Appendice Intervista rilasciata da Julianne Rose via e-mail il 14/09/2011 • Since when have you dealt with photography? J. Rose: As a child I intended to be a photo-journalist . After highschool, at almost 18, set to study lawat university in Australia & then follow in journalism, my life changed course unexpectedly &I spent years to follow in the fashion, publicity & communications industries in Europe &USA. I pursued my passion for photography ,though not in the exact form I had initially intended. Iexperienced invaluable technical, professional & personal formations in the cut throat world of fashion & advertising during the 80s & 90’s when the capitalistic model of our society peaked. Today, Visual art can be a form of journalism in a different dimension. And without doubt, one which allows much a greater liberty of expression. It’s difficult for me to refer to certain subjects ( identity , childhood , corporal representation…..) without questioning & disrupting the numerous consensual preconceptions of contemporary society. Propaganda & media lock public vision into a restrained space but through art one can provoke microperturbations in the system, consequently allowing a space for alternative reflection. • What kind of subjects appeals to you? What makes a subject interesting for you? J.Rose: Any subjects which evoke a visual form of what I feel internally. I tend to photograph & work with faces quite often, either human or inert & often children or dolls . These elements symbolize, in a minimalist form, the specific dimensions I’m exploring. When I work in film my subjects often 60 • What is your message? J.Rose: I don’t have a particular “message” as such as my work is not composed of certitudes & I try to stay as neutral as possible in regards to the subjects I represent. I aim to explore & expose issues without inflicting too much personal judgement. Art is an open space & I believe, most of the time, quite subjective. Like a huge think tank. Artists as canals through whom pass inspiration, vision, & other phenomena of which we are not necessarily conscious. The commercial notion is not easy to dominate in the artworld & I am constantly confronted with the strong paradoxes of being an artist today. The spaces in which I dwell can be controversial & disturbing for some people, so my images are deliberately very esthetic, intricately designed, created & finished in detail. The finished object is always sophisticated & attractive so the spectator may approach comfortably my images & then choose (or not) to explore the layers beyond this surface vision. • I enjoyed very much the series "flesh and plastic" (This work has been a great inspiration for one of my own photographic series) How did you come up with the idea of taking these particular types of photos? J. Rose: Flesh & Plastic is the fruit of much reflection on the representation of children in our modern society of consummation, the object & the objectified, reality & fantasy. This project confronts us with the projection of an adult world on the innocence of youth & aims to mirror one’s own personal construction. The layers of this work are numerous to explore, as are the paradoxes of it’s subjects. I choose to represent these subjects in a endless back & forth imagery where there are no definite limits. 61 Questions lead to more questions, in a constant matrix. The Flesh & Plastic dyptics are ambiguous in every sense. The children are untouchable & the dolls seduce the spectator in an almost human manner ,so the frontiers remain indistinct ,permitting different degrees of possible interpretation & identification. I want to create an unease at the same time as an attraction. At these points of perturbation & doubt, this state of dizziness can allow an elevated degree of perception if one accepts. • Which camera and equipment do you usually use? Which camera lens do you usually use for your photos? Do you use flash or lamps? J. Rose: I choose my cameras, lenses & lighting equipment in accordance with the project on which I am working & the desired result. Hardly any of my artwork is ever spontaneous. Expressions or poses can “happen” occasionally but the general content of my images is always a very precise, long reflection & complicated technical preparation. I don’t really have particular preferences for film, digital, specific formats, flash or spots. It really depends on what I want to materialize. That is the pleasure of creating an image. Once I’m inspired, the pre & postproduction stages are considerably more challenging than the shooting itself. Art is quite different to commercial photography. It is not really about the content of the image but moreso what is projected through the visual by it’s creator & what the result evokes for the spectator. Art photography is not decorative & requires deep creative processing. Photography has only recently begun reclaiming it’s identity as a means of expression in the contemporary artworld. There is still opposition to this new media for different reasons. However, I believe it is only important what an artist has to say , not the media employed. 62 • What do you think about the use of software for photo editing? I guess you use photoshop, what is it for you and what does this software allow you to do? J. Rose: Computers, like cameras or lenses, are tools & depend entirely on the artist’s personal vision & expression. Without an artist’s vision, these tools have no importance so all accessories to image creating are justified if the essence of the piece is powerful enough. It’s a question of desire. Too much importance is allocated to whether or not digital photography is as valuable as non digital & whether or not a retouched image is as “valuable “ as a raw image. In these cases we tend to lose the essence of creation. A photo shot in 5 minutes on a digital camera & retouched in detail can have as much impact as an image shot over hours on film with no further enchancing. Just as different techniques exist in most medias. Is there a fondamental difference in the essence of a same text handwritten or typed? Art is subjective to an audience & functions like a sort of mirror to each. When the mirror attracts many people, the artist’s work is renowned because a greater number identify with & respond to the reflection they encounter. • In general, how is an idea born? What is the inspiration for you? What are the conditions which give you the best ideas? J. Rose: I meditate & read as much as possible, look at loads of films / documentaries & I am particularly interested in philosophy. Life is an endless school of learning & I’ve attained all I know through relationships ,experience, work & curiosity. I allow for inspiration by consciously opening all the channels possible to my inner self. I don’t like structure & repression & was never an easy student. I feel very easily board & uninspired when there is not constant evolution in the energy which surrounds me. Inspiration & ideas can sometimes germinate for ages before finding the right formulation. This can be mental torture & there are no rules or perfect conditions. One has to just try & be receptive at all times. 63 • Which artist have influenced your work and why? J. Rose: I’m not specifically influenced by other artists in my work but there are many artists whose work I do admire & spaces to which I personally relate such as Hans Bellemere or Louise Bourgois for example . I also greatly admire cineastes like Bunuel , Fritz lang & Ozu . Artist like these are also situated at the ambiguous intersections where perception is inevitably disturbed . • When and how did you start seeing yourself as an artist? How do you evaluate an artwork? J. Rose: I don't think one decides at which moment he or she is an artist. You just are & couldn't be anything else because nothing else really makes sense. Recognition as an artist comes from others who identify with what they see or hear or experience through your work. It is often the spectator who completes the artpiece. There are great artists who are not very well known publicly because their work doesn't related to consensual issues or perhaps isn't expressed in a way which allows others to easily open their own doors within. Many artist don’t have the means to communicate work to a large public. Today we have the possibility with internet to communicate all over the world but there is also so much information constantly in circulation that in the end it is unfortunately a question of marketing rather than the quality of artwork. It’s not an easy task to present your intimacy to the rest of the world either. Evaluating an artpiece is a complicated subject. I consider art & the artworld 2 separate aspects of my work. I always create firstly for myself & my own personal evolution, then propose my creations to others (or sometimes not) Once a piece is proposed to the public it’s value depends on the market , production costs & the in between figures (gallery, museum, etc) I don’t 64 produce for the sake of producing or to satisfy a market with what “sells.” This has been a subject of conflict for me at times with certain galerists. My work has to be my pure vision, materialized at the right moment or it doesn’t satisfy me & I if I accept to make concessions for commercial reasons, I may as well shoot advertising. • As you know, in art there are no guidelines, what is the next thing you need to do? J. Rose: I have many uncompleted works & ideas pending . My creative processing can be quite slow & long at times so I just keep going without too much projection. I seem to finalize & produce new works when I’m stimulated for a particular project or exhibition so I admit thet I complete works faster under pressure. However this is only the production aspect. Inspiration & creation are not effected by such pressures. Quite the contrary. • Which photo (or series) is your best? J. Rose: Each of my works have a particular importance or relevance for me because each is a reflection of a particular state in which I am or were It’s therefore impossible to judge which is my best. Singing Autoportrait World Survival Tour 1966-2006 is to me, the most powerful & perhaps violent piece I’ve produced so far as it was conceived & created in an extremely intense period of my life & is symbolic of many issues & key experiences of my past. The piece was a huge exorcism in some aspects & it contains much of the explosive energy of that moment. It is at the same time drole & terrifying & I find this piece very uncomfortable to revisit. I have other projects not yet produced which are presently very important to me & with which I haven’t yet felt like separating. While I am working on a project , the project obsesses my esprit until it is completed . Then I move on, often exhausted & lightened. I also like to return later & 65 revisit certain of my works like old friends (or sometimes enemies) as a form of autointerrogation. Through this type of retrospection I can sometimes see my own work in a new light & am inevitably surprised to rediscover axes that I had unconsciously abandoned. • What would you suggest for those who want to start? J. Rose: Only you can see through your eyes. Intervista rilasciata da Julianne Rose via e-mail il 14/12/2011 • I visited Juliannerose.net website and I think it belongs to you but I would like to ask you what kind of photos they are? Belong they to your previous job? Can you give me some informations about them? J. Rose: Yes this was my commercial website. My expérience in commercial photography has oftened nourished my artistique research & many of the subjects (especially about or with children) are inspirations & reflections or even réactions to advertising or fashion industry experiences The fact that I have, myself ,experienced différents aspects of the subjects I explore is also an aid as I can use this first hand expérience as a motor (modelling to commercial photography to art photography) • I was thinking to compare you with Diane Arbus because you both refused to work as fashion photographers. As we know Diane took a series of photographs in her later years of people with disability,people who she built a good relationship with; before taking the photos ,she liked to become closer to them; so I would like to know what kind of relationship or mood do you etablish with your photographic subjects? In your case with children? 66 J. Rose: I don’t only work with children so my Relationships with subjects partly dépends on the age of the subject I photograph or film. I also like to explore questions on féminin représentation & identity. However I admit thatwhen working with Children I am totally in synchro & apart from the obvious technical difficulties because everything goes so quickly & must be prepared faultlessy when working with children, I feel them much less inhibited & défensive than adults. Children are very spontaneous & their eyes express so much that many adults camoflage or manipulate when being photographed or filmed . Adults project a lot more whereas children are themselves…well at least very young ones. It takes longer for me to be able to « see » an adult subject than a child. • Yesterday I was talking with my supervisor about “Live Dolls” serie ,and we were wondering how can you obtain that kind of skin like pieces of pottery? Maybe you don’t like to share these kind of details but can you please give me,at least, general informations like the type of light do you use, or film, or photoediting? Above all can you tell me if the subject are real people or dolls? J. Rose: Some of my subjects are people & some dolls. There is no rule.& it isn’t very relevant. This work explores once again the uncomfortable intersection of reality & fantasy, of flesh & plastic, of projection… It is moreso the rupture & the state of doubt that interests me rather than the simply esthetic lecture… a dimension between two dimensions, a no man’s land of perception. This is the clash where one can feel, reflect, question, doubt. Humains are drawn instinctively to perfection in what they see, so it is interesting for me to use this in my work .I deliberately ‘perfect’ my images to invite the viewer to a flawless face which doesn’t repulse & then I incite a deeper lecture of the subject. This double lecture is a constant élément in 67 much of my work. The dolls I use differ in their materials . Sometimes they are plastic, sometimes resin or ceramic. It dépends on what I am looking for in a particular project. Non living subjects take on a living aspect & vice versa , emphasizing the confusion of contrasts. Lighting is the most important factor in my photography work. & I am a perfectionist in all the technical aspects of my images. I have been in the feild of photography for 20years so I am from the time when photographers knew how to take a photo alone, how to interprete & create light themselves to obtain a desired result. Today I also shoot much of my work in digital because new technics offer new possibilities but I also enjoy returning to film for certain projects & I am constantly aware of the vast technicity necessary in photography to obtain a deliberate result. I think it’s a pity that with the arrival of digital, automatic cameras & computer programs, the photography profession has been drastically devalued. New technologies are wonderful as tools but they should be considered only as Tools. I believe the artist’s vision is inevitably what counts. Cameras, computers etc are Tools to enchance that vision. As are paints or brushes for a painter or marble for a sculpter. I can use computers at times to clean imperfections on my images like spots on skin etc but I don’t look to manipulate images as such ,to change their form ,as this is not what my work is focused on. I use lighting extensively & manually adapt my camera settings & light readings to acheive a particular effect. I then know what the result will be before shooting . A photo is never the same twice. No two instances can ever be identical. 68 E-mail di Julianne Rose del 24/01/2012 I feel when writing about art, it’s important to not too over dissect & demystify some works nor direct one's regard to areas that are only relevant on a basic level of observation. There are enough so called "writers" in consensual journalism for that obvious approach. Try to go where others don't see or don't dare to go & there you will often find much to explore. When analysing or criticizing art, avoid falling into the spectacular or celebrity aspect of pieces such as this autoportrait. Instead jump over these layers & start somewhere behind the surface in the dimension where the artistic process exists. Singing Autoportrait is a violent statement , beyond a beauty quest experience. It symbolizes aspects of feminine identity, corporal representation in society & feminine resilience in a masculine-dominated society where women are still very much objectified. Though the form of this installation may seem at 1st amusing, the spectator willingly approaches & interacts, then the elements of sound & light are added to the visuals & so stimulate new senses & sentiment of unease gradually replaces the initial amusement so different dimensions of the subject are then apparent to be explored ...or not ...by each individual. I hope this can help you in your work process Maria. I am sure it is extremely difficult to write your thesis, especially as we have never met & conversed directly but it's an excellent exercise for you to know someone strictly through their artwork. There seem to be less barriers somehow. It's a very interesting experience. I have also experienced this with an art critic whom I really enjoy reading called Dominique Baqu. She is a french specialist in contemporary photography & has written several times about my work in books or art magazines & though we have never met, she is one of those people who inevitable jump the surface layers of her subjects to explore other dimensions. 69 70 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Australian Embassy, Objectif féminin Trois photographes australiens Nathalie Latham, Julianne Rose, Vee Speers, 2007, trad.it mia Barrow T.F., Armitage S.,Tydeman W.E., (eds.) Reading into Photography, Selected Essays 1959-1980, Albuquerque, The University of New Mexico Press Barthes, Roland, Mythologies, (Miti d’oggi), Paris, éditions du Seuil, 1957,trad. ita Lidia Lonzi, 1994. Baqué, Dominique, VISAGES, du masque grec à la greffe du visage, Paris, Editions du Regard, 2007. 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Un grazie a mia sorella Vanessa e a mio fratello Vincenzo solo per il semplice motivo di esistere oltre che per l’amore che sanno trasmettermi ogni volta che torno a casa. E ancora grazie alle mie due sorelle acquisite, Maria e Ines, che in questi anni a Venezia sono state per me sorelle, madri e amiche. Ancora grazie ad Emiliano che, appassionandosi alla tesi mi ha fornito preziosi consigli. Un grazie ai miei coinquilini e a tutti i miei amici, quelli vicini e lontani. Ma il ringraziamento più grande va a me stessa: alla fine sono stata io a decidere di volercela fare. 75