Arte, scienza e (le) verità del mondo (Fiedler, Dessoir, Mukařovský, Goodman) Simona Chiodo Pare, talvolta, che tra gli esiti di un percorso di progressivo divaricamento di arte ed estetica, che si discostano l’una dall’altra sino a smarrire del tutto, in qualche caso, ogni occasione di relazione, si assista ad una vigorosa invasione dell’esperienza artistica all’interno di questioni di natura gnoseologica, fino a toccare il cuore di problemi che fanno capo all’indagine scientifica più classica e tradizionale. È possibile accostare esperienza artistica ed esperienza scientifica, non soltanto considerando entrambe come due legittime vie d’accesso al mondo, ma sostenendo l’opportunità di un fertile confronto e di una feconda interazione reciproca? Ed è possibile, inoltre, parificare la dignità del contributo che l’arte porta circa la questione della verità con quella della riflessione scientifica, elevando l’opera d’arte a strumento vero e proprio di disvelamento di verità, intendendo per verità non un tipo del tutto particolare di verità emotiva e, per così dire, sentimentale (ovvero, per certi versi, meno vera), bensì quella stessa verità cognitiva a cui si suppone possa giungere la scienza? È possibile partire da un’osservazione di questo tipo: una significativa parte delle elaborazioni filosofiche tese ad evidenziare l’opportunità di una sostanziale separazione di estetica ed arte mostra tracce più o meno evidenti dell’emersione della questione scientifica accanto al proposito di riforma sostanziale dei rapporti tra artistico ed estetico; è come se, all’interno di riflessioni talvolta anche sensibilmente distanti, si sviluppassero ugualmente intuizioni tese tutte quante a proporre come possibile ulteriore conseguenza della rottura dell’identità tra arte ed estetica un notevole avvicinamento dell’arte alla scienza (ovvero dell’arte alla questione della verità). E tutto questo accade, a ben guardare, accanto ad un altra significativa riflessione comune: l’accostamento alla speculazione scientifica non è mai reso Copyright c 2002 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti ai Ministeri della Pubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietata, se non esplicitamente autorizzata per iscritto, a priori, da parte dell’autore. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali. ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura possibile a fronte della perdita della specificità dell’arte, dello smarrimento delle peculiarità distintive della dimensione artistica rispetto ad ogni altra dimensione gnoseologica eventuale; piuttosto, accade il contrario: ogni interazione con il pensiero scientifico comincia ad ipotizzarsi ed a prodursi soltanto a partire da una più completa autonomia raggiunta dall’arte, non solo rispetto all’estetica ma, grazie a questo passaggio preliminare, rispetto ad ogni altra sfera speculativa e creativa. L’ipotesi è questa. Più l’arte acquisisce il diritto e la piena legittimità di una vita propria, e di una propria libertà, più divengono fertili e produttivi i tentativi di confronto e collaborazione con ogni altro territorio di indagine, qualunque esso sia. Per questo, l’intrecciare le proprie vie con la scienza è il risultato, seppur mediato, della separazione dell’artistico dall’estetico: non c’è occasione alcuna di incontro all’interno di una relazione vincolante ed esclusiva, così come non c’è possibilità di sviluppo di un’identità propria, autonoma e capace di rigenerazione e di rinnovamento endogeno, o meglio di un rinnovamento eteronomo, certamente prodotto dall’interazione con altre sfere di creazione, ma necessariamente sorretto dalla piena assunzione di vesti indipendenti e di uno statuto di libertà. Occorre precisare, inoltre, che solo grazie ad una ritrovata immersione dell’arte nel mondo prende vita l’opportunità di ridefinirsi in un ruolo non più unicamente contemplativo bensì fortemente conoscitivo: l’arte può parlare del mondo, tentando, come ogni altro strumento di analisi che lo percorra, di dire la verità su di esso, solo riavvicinandosi alle cose, rinunciando a quell’astrazione e a quella sublimazione che si supponevano garanti di eternità ed universalità; il graduale ma deciso processo di laicizzazione che ha caratterizzato l’arte in questi ultimi centocinquant’anni è stato fondamentale: quasi paradossalmente, proprio attraverso la perdita d’aura, lo smarrimento di specialità in nome dell’acquisizione di normalità, l’arte può nuovamente aspirare ad altro tipo di specialità, ad inediti ed arditi tentativi, all’esplorazione di territori del tutto nuovi e sino ad ora, a loro volta, considerati area esclusiva di un’unica e sola tipologia metodologica di accostamento. Occorre riconoscere, in altre parole, che l’arte altro non è che «uno dei mezzi che sono stati dati agli uomini per appropriarsi del mondo» 1 , è «assai più che un oggetto di eccitazione estetica» 2 , poiché è, piuttosto, e a pieno titolo «linguaggio al servizio della conoscenza»3 , il cui valore non si configura come «accessorio alla vita, ma come indispensabile estrinsecazione di vita» 4 . Fiedler rappresenta una tra le voci che ribadiscono con più forza, oltre che con sorprendente anticipo, la necessità di una completa parificazione della dignità conoscitiva di arte e scienza, considerandole entrambe strumenti di indagine del reale, di disvelamento di una verità che nel caso dell’arte non è certo offuscata da miti romantici intessuti di sentimentalismi e tesi a promuovere, dell’arte, un’immagine puramente ed esclusivamente legata all’emotività e, quindi, a tutto ciò che è indefinito, instabile, sfuggente ad ogni tentativo di analisi sistematica. 1 2 3 4 K. Fiedler, Aforismi sull’arte, tr. it. di R. Rossanda, Tea Arte, Milano 1994, p. 41. Ibid., p. 35. Ibid. Ibid., p. 37. 2 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Questo il primo deformante pregiudizio da sradicare con decisione: «Attribuire alla produttività artistica dello spirito umano tutte le fantasie che nascono negli uomini e che, come favole, non si lasciano sottoporre ad una esatta indagine, significa avere idee confuse e contribuire a confonderle» 5 ; ed ancora: «Quando si afferma che l’arte può offrire una conoscenza, ci si deve ben guardare dall’immaginare con ciò una conoscenza che si realizzi per mezzo di sensazioni. Un conoscere del genere è impensabile. È vero che l’arte può ridestare anche sensazioni, ma la conoscenza che essa attinge è intellettiva come qualsiasi altra forma del conoscere, partecipando tuttavia della ragione in modo differente» 6 . Non che si sostenga l’omologazione dell’arte alla scienza, in effetti. Arte e scienza restano in ogni caso due distinti atteggiamenti gnoseologici, conservando ciascuno peculiarità proprie e modalità proprie di accesso agli orizzonti indagati; tuttavia, sebbene la «partecipazione alla ragione» avvenga nei due casi differentemente, non per questo si deve approdare alla definizione di una gerarchia che stabilisca insanabili ed incolmabili divari che separino la qualità gnoseologica dei due percorsi a vantaggio di quella scientifica, come tradizionalmente accade. È vero che l’arte si connette con più evidenza alla sfera delle sensazioni e delle emozioni, ma ciò non impedisce che possa ugualmente essere raggiunta una conoscenza di tipo intellettivo che, per Fiedler, resta in ogni caso l’unica forma di conoscenza possibile; la dimensione percettiva e sensibile che caratterizza l’arte non diviene, in altre parole, ostacolo ineliminabile e definitivo volto ad ostruire una feconda partecipazione della vita dell’arte all’indagine sul mondo. Non soltanto non accade nulla del genere ma, piuttosto, si verifica qualcosa di ben diverso: la specificità dell’arte, che fa anche capo alla sua diretta partecipazione alla sfera emotiva, non fa che dotarla di attributi a loro volta speciali ed altrove irrintracciabili, che divengono inediti veicoli di accesso gnoseologico. Laddove i consueti strumenti di analisi scientifica falliscono il tentativo di penetrazione della verità, rivelandosi inadeguati ad una pretesa efficacia conoscitiva che sia universale e che parli ovunque ed in qualunque tempo, per qualsiasi orizzonte indagato, il medesimo linguaggio, l’arte può scoprirsi come percorso compensativo capace di integrarsi alla scienza con un proprio e peculiare contributo connotato da specificità del tutto distanti dalle metodologie e dai risultati di quest’ultima: «l’uomo è nel giusto», sostiene Fiedler, «quando non si appaga del solo conoscere scientifico»7 , a maggior ragione «se si pensi che all’interno dell’esperienza ci sono dei campi non accessibili alla conoscenza scientifica della natura» 8 ; del resto è evidente un «risorgere continuo della teoria di una possibilità di conoscenza che non sia vincolata alle clausole della teoresi. Essa si presenta come un tipo di conoscenza intuitiva di oggetti che non si lasciano penetrare dal metodo scientifico, perché il loro piano di realtà e di esistenza giace nell’immaginazione 5 6 7 8 Ibid., p. Ibid., p. Ibid., p. Ibid., p. 41. 48. 41. 39. 3 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura dell’uomo»9 . Non soltanto, quindi, l’arte offre canali speciali di penetrazione del mondo. Occorre prendere atto di un secondo fondamentale elemento: la specialità può capovolgersi e riguardare, oltre che la modalità di approdo gnoseologico, anche alcuni oggetti stessi di indagine che possono rivelarsi in qualche modo singolari, e per questo poco conformi ad una comprensione analitica e scientifica, e ben più facilmente raggiungibili, semmai, da vie di accesso sintetiche ed intuitive, più attigue all’emotività ed alla sensitività, senza per questo, tuttavia, confondersi con esse e senza per questo, soprattutto, ridursi ad una dimensione puramente sensibile e nient’affatto intellettiva. In effetti, ci si sta progressivamente addentrando in seno ad una questione teorica di grande rilievo e di notevole complessità, poiché sostenere l’esistenza di aree poco conformi all’analisi scientifica che risiedono nell’immaginazione dell’uomo, significa innanzitutto affermarne la legittimità ontologica: esiste anche ciò che non solo non è afferrabile e tangibile, ma che soprattutto non vive nello spazio e nel tempo, quantomeno in un certo modo d’essere intesi. Vi è possibilità di piena ed autentica esistenza, in altre parole, anche laddove le categorie percettive del tempo e dello spazio siano annullate. L’immaginazione dell’uomo rappresenta, in questo senso, una dimensione che rivendica un effettivo statuto ontologico, innanzitutto, e strumenti di penetrazione adeguati che ne rendano possibile una conoscenza forse più comprensiva e meno impositiva, in secondo luogo. A questo proposito, un azzardo comparativo. Anche sulla questione del problema ontologico dell’immaginario, Fiedler, seppur solo attraverso qualche isolato cenno, anticipa riflessioni di vastissima portata filosofica. La distanza tra le realtà immerse nelle tradizionali categorie di spazio e tempo e le evanescenti realtà dell’immaginario divengono sempre più labili e sottili: Nelson Goodman 10 restituisce validità scientifica ai mondi creati dall’immaginazione, ora considerati pienamente compatibili rispetto a quelli postulati dalla scienza; Thomas Pavel 11 riconosce ad entrambi uno statuto ontologico autentico e propriamente detto, recuperando ed approfondendo alcune riflessioni di Alexius Meinong a proposito della possibile messa in atto di una sorta di tolleranza ontologica. Non solo ciò che non esiste richiede a gran forza la legittimazione della propria effettiva, e a suo modo reale, esistenza, ma ha inoltre il potere di incidere su ciò che esiste, trasformandone, modificandone e dirigendone la vita: i mondi di invenzione, insomma, sono autenticamente mondi di verità ed interagiscono senza posa con ogni altra sfera di esperienza umana, attingendo e cedendo materia ed energia. 9 Ibid., p. 40. Il tema della dignità ontologica della fiction è elaborato in particolar modo in Ways of Worldmaking, Harvester Press, Hassocks 1978. 11 T. Pavel si è occupato moltissimo di questo tema, abbracciando in particolare la semantica dei mondi possibili. La tesi a sostegno di una parità ontologica di mondi per così dire reali e mondi di invenzione viene argomentata in particolar modo in T. Pavel, Mondi di invenzione. Realtà e immaginario narrativo, tr. it. di A. Carosso, Einaudi, Torino 1992. 10 4 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Tornando a Fiedler, occorre ribadire che, in ogni caso, parificare la dignità conoscitiva della scienza a quella dell’arte significa in realtà ed in primo luogo evidenziare le specificità di quest’ultima, efficace proprio in virtù della propria differenza dalla prima e divenendo possibile alternativa ai percorsi indagativi analitici e sistematici proprio perché così radicalmente distante da certe modalità conoscitive da svelarsi fertile punto di vista laddove la scienza si mostri miope strumento di percezione (o anche semplicemente accostando i propri risultati a quelli, ricchi e di grande interesse, prodotti in altro modo): «scienza ed arte hanno una parte ugualmente significativa. Conoscere il mondo, e porre a se stessi il mondo come oggetto, è la stessa cosa; perché in tanto una cosa è conosciuta in quanto s’è fatta oggetto della nostra coscienza. Ora la scienza ci fa conoscere il mondo da un lato, l’arte dall’altro; nessuna delle due esaurisce interamente il contenuto del mondo, ambedue restando nella propria sfera. L’arte pertanto ha il grande compito di contribuire dal suo lato all’obiettivazione del mondo; questo soltanto è il suo fine» 12 . La prospettiva è quella di un affiancamento collaborativo che rispetti le differenze, le porti vigorosamente all’emersione e parta proprio da esse per costruire le fondamenta di un nuovo quadro gnoseologico più ampio e completo. Non si procede per opposizione, alternatività ed esclusione reciproca, bensì per integrazione e complementarietà riconosciuta. In qualche caso questa tensione alla parificazione può apparire eccessivamente forzata: dell’arte viene identificata, come unica finalità che sia autenticamente significativa, la conoscenza ed il tentativo di obiettivazione del mondo; i toni e le coloriture sono quasi perentorie: l’unico fine dell’arte ha a che vedere con la conoscenza, poiché l’arte «comincia solo dove sorge l’impulso alla conoscenza»13 , e gli inizi stessi della storia dell’arte «dovrebbero venir cercati, nel corso di essa, solo in quel momento nel quale affiora un’esigenza al conoscere e pertanto un’attività artistica nel senso proprio. Si può continuare a dipingere, scolpire, comporre musica e poesia senza tuttavia fare della vera arte; questo fatto viene sempre trascurato dai manuali di storia dell’arte che normalmente si limitano a trattare l’arte da un punto di vista storico in tutte le sue manifestazioni anche accessorie, credendo con ciò di esaurirla, mentre è ancora da scrivere una vera storia dell’arte, una storia cioè di quel conoscere che nell’arte trova la propria mediazione e rivelazione» 14 . La conoscenza è, quindi, il perno su cui si regge il senso dell’arte; non che vengano escluse altre possibili (e reali) finalità, ma si configurano tuttavia come secondarie rispetto al profondo istinto che anima del resto ogni attività umana, ovvero l’inalienabile tensione alla penetrazione del mondo ed all’appropriazione di esso (e di se stessi con esso). Un’ultima osservazione. È così sostanziale per Fiedler il desiderio di invasione della verità che percorre l’arte, da avvicinare quest’ultima non solo alla scienza, ma anche alle radici più profonde della filosofia: «Lo stupore è il primo inizio dell’arte come della filosofia»15 . E lo stupore, d’altro canto, non è nient’altro che il primo 12 13 14 15 K. Fiedler, op. cit., p. 45. Ibid., p. 47. Ibid., p. 117. Ibid., p. 141. 5 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura stimolo alla conoscenza del mondo, la condizione originaria che precede ogni possibile domanda ed ogni possibile quesito a cui dare risposta o a cui, quantomeno, tentare di rispondere. In questo modo si chiude il cerchio: l’importanza dei grandi artisti, così come quella dei grandi scienziati o dei grandi filosofi, si concentra in fondo in un unico punto, che li avvicina tutti quanti: «sta semplicemente nel fatto che essi, con la loro arte, apportano alla coscienza sensibile dell’uomo qualche cosa di nuovo»16 . Ciascuno per la propria via, in definitiva, apre spiragli sul mondo e sulla sua verità. Ed ora un passo oltre. Come già anticipato, la relazione, seppur apparentemente velata e non certo immediata, tra l’avvenuto divorzio tra estetica ed arte e l’avvicinamento di quest’ultima alla gnoseologia, ha più o meno esplicitamente percorso l’indagine di alcuni degli autori che si sono dedicati al problema della ridefinizione dell’identità di arte ed estetica e dei rapporti che a questo punto esse intrecciano l’una con l’altra. Fiedler, certo, rappresenta un caso particolarissimo di evidente apertura a questo tema; Dessoir e Mukařovský, dal canto loro, testimoniano con qualche cenno, seppur sporadico ed isolato, l’affioramento di alcune condizioni peculiari in favore di un avvicinamento di arte e scienza tra loro, in qualche caso solo confrontando certe caratteristiche che introducono un possibile territorio di paragone, in altre occasioni ipotizzando una vera e propria interazione ed integrazione delle reciproche aree di pertinenza. Dessoir apre uno spiraglio innanzitutto su un possibile e fecondo confronto: esiste un «imprescindibile nesso spontaneo tra arte e scienza» 17 , pur mantenendo l’arte, in ogni caso «una sua funzione spirituale autonoma e valida a sé» 18 . Che vi sia il rischio di assorbimento dell’arte all’interno della scienza, ovvero all’interno della metodologia scientifica, è quindi una preoccupazione costante; per questo accade sia nel caso di Dessoir, sia nel caso di Fiedler, che venga ribadita con forza, ancor prima dell’avvio del confronto, la necessità di tutelare l’autonomia dell’arte, ancora decisamente troppo debole di fronte alla riconosciuta autorevolezza della scienza in fatto di questioni di verità, e di verità che aspirino, in quanto tali, ad universalità e a verificabilità intersoggettiva nel tempo e nello spazio. Così si antepone all’ipotesi di collaborazione reciproca il sostegno della particolarità che l’arte dovrà in ogni caso conservare, ribadendo il valore della differenza: «Oggetto principale della mia esposizione è stato proprio il fatto che l’arte, in contrasto con la scienza, assume il mondo dell’esperienza, nell’una o nell’altra delle sue qualità, in creazioni di nuovo tipo, e dà valore a gesti, suoni, parole, forme spaziali. In ciò tuttavia la materia sensibile è connessa liberamente in vista di diverse possibilità, e queste possibilità non sono mero mezzo bensì risultato finale. Si distinguono dal gioco capriccioso dell’immaginazione individuale in virtù di una necessità in esse possente»19 . 16 Ibid., p. 55. M. Dessoir, Estetica e scienza dell’arte, a cura di L. Perucchi e G. Scaramuzza, tr. it. di F. Farina, Edizioni Unicopli, Milano 1986, p. 256. 18 Ibid. 19 Ibid. 17 6 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura L’area di interrelazione si rivela, d’altro canto, di particolare interesse. Arte e scienza si incontrano per come, analogamente, trattano il proprio oggetto, che viene in entrambi i casi valorizzato con forza, emergendo da una sotterranea zona di dati indifferentemente mescolati tra loro e senza identità propria, ed approdando ad una inconsueta luminosità che invada, una volta tanto, la zona d’ombra d’origine. Fonda quindi l’eventualità di collaborazione e dialogo questa importante caratteristica comune: la capacità di elevare un oggetto qualsiasi, connotandolo di una significatività sino a quel momento nient’affatto posseduta, conferendogli un senso completamente nuovo e di interesse centrale; è come se scienza ed arte fossero entrambe dominate da una particolarissima potenzialità di attribuzione di valore capace di far transitare, per così dire, sui territori entro cui si muovono, la propria specialità e la propria atipicità, dotando a loro volta di specialità gli oggetti che di volta in volta vengono messi a fuoco. In questo senso, arte e scienza «hanno in comune il compito di trasformare il dato e di dargli un risalto che altrimenti non avrebbe»20 . Ma anche a questo proposito emerge una differenza sostanziale: nel fare tutto questo, nell’esaltare il dato dotandolo di una visibilità del tutto nuova, scienza ed arte si comportano differentemente, poiché mentre la prima compie una sorta di violenza nei confronti della natura delle cose, la seconda procede assecondandone ogni moto, ogni eventuale deviazione da modelli preordinati ed ogni possibile irregolarità; la scienza tende ad anteporre al mondo una griglia sistematica volta ad ordinarlo, l’arte accoglie più benevolmente e più duttilmente la complessa, sfaccettata e spesso poco organicamente circoscrivibile natura delle cose. Commentano a tal proposito Perucchi e Scaramuzza, parafrasando Dessoir: «la scienza elimina l’irrazionale, l’intuitivo, le differenze qualitative, conferisce omogeneità e crea nessi necessari, ma con ciò opera una sorta di violenza alle cose e alla natura. L’arte invece preserva il mondo sensibile, lo ordina e lo unifica conferendogli una necessità di tipo intuitivo, e un’universalità non dimostrata, ma spontaneamente data»21 . L’arte garantisce più libertà, in altri termini. Quest’ultima considerazione illumina a proposito di una differenza qualitativa di notevole portata, rispetto ad una possibile applicazione gnoseologica a cui indirizzare il mondo dell’arte. Non solo è possibile affiancare l’arte alla scienza, affrancandola da una dimensione puramente contemplativa, astratta, del tutto sradicata da concreti problemi intellettivi e cognitivi; c’è dell’altro: l’arte può rivelarsi veicolo conoscitivo in certi casi ancor più adeguato e fertile della stessa scienza, poiché tende ad accogliere la molteplicità ed ogni apparente insensatezza piuttosto che ritoccarne le punte di estrema irregolarità smussandole sino a reintrodurle entro più omogenei modelli percettivi che, del resto, si rendono a loro volta efficaci ed utili strumenti di indagine proprio perché volti a semplificare, agevolando la creazione di livelli di confrontabilità di dati in 20 Commentano così L. Perucchi e G. Scaramuzza la posizione espressa da Dessoir a proposito del rapporto tra arte e scienza. 21 Ibid. 7 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura origine anche molto distanti tra loro. Dessoir si avvicina a Fiedler: la tensione volta a parificare vie d’indagine analitiche ed arte diviene, a tratti, un’apologia di quest’ultima, di cui si esalta l’approccio sintetico ed intuitivo come possibile apertura alla complessità del reale. Non solo l’arte raggiunge una piena legittimità gnoseologica, ma viene riconosciuta come particolare garanzia della sopravvivenza dell’irregolare e dell’atipico. L’arte, insomma, ancor più che la scienza, è sinonimo (o può esserlo) di libertà, di occasione, per il mondo, di essere abbracciato all’interno di un più accogliente orizzonte di focalizzazione e di comprensione. Mukařovský compie un percorso per certi versi opposto: non tanto è l’arte ad appropriarsi di caratteristiche tradizionalmente scientifiche, ovvero intellettive e cognitive, quanto piuttosto è la scienza ad essere sensibilmente percorsa da vene decisamente artistiche, o quantomeno estetiche: «anche il risultato del lavoro scientifico, la soluzione scientifica, manifesta spesso tracce della funzione estetica: la semplice soluzione di un problema matematico può dare anche (accanto al suo valore conoscitivo) un sentimento di soddisfazione estetica. In alcune scienze, infine, la funzione estetica diventa direttamente parte dello stesso procedimento scientifico: per la storia per esempio è stata spesso sostenuta la tesi che si trovi al limite tra l’arte e la scienza»22 . La prima osservazione ha a che fare con l’esteticità pura, senza l’aggiunta di ulteriori implicazioni artistiche che, del resto, possono tranquillamente generarsi e svilupparsi ben al di fuori dei confini dell’estetico. Mukařovský sostiene che in ogni tipo di risoluzione scientifica sono presenti, almeno in potenza, tratti di funzionalità estetica; in particolare, l’operazione che sembra mettere in atto tende ad accostare una coloritura di tipo estetico non tanto al procedimento cognitivo in sé, qualora gli si riconoscano certe peculiari caratteristiche che con l’estetico possano intrecciarsi e trovare particolari e definite nicchie di interrelazione. Accade semmai qualcosa di sensibilmente differente: la funzione estetica nasce dal senso di soddisfazione conseguente al procedimento scientifico. Non tanto è ausiliare od utile ai fini della conoscenza, quanto piuttosto attigua e collaterale ad essa che, in ogni caso, è pur sempre raggiunta mediante autonomi percorsi di indagine. Altrove, ad ogni modo, può accadere qualcosa di ancora diverso, poiché esistono particolari tipologie di scienze che, per una propria modalità di essere e di darsi, sviluppano una reale collaborazione questa volta estesa non soltanto all’estetico, ma anche all’artistico: in questo caso, la funzione estetica diviene parte integrante e produttiva del procedimento scientifico che difficilmente potrebbe fare a meno del supporto artistico per aspirare al raggiungimento di risultati più ricchi, complessi e più ampiamente soddisfacenti. La storia ne è uno tra gli esempi più rappresentativi e significativi: non solo, per un verso, la produzione artistica costituisce, in ogni caso, un fondamentale bacino di informazioni, di dati e di materiale da sottoporre ad analisi per estrapolarne più vasti indizi, più accurate indicazioni, oltre che 22 J. Mukařovský, Il significato dell’estetica. La funzione estetica in rapporto alla realtà sociale, alle scienze, all’arte, tr. it. di S. Corduas, Einaudi, Torino 1973, pp. 87-88. 8 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura per focalizzare strumenti che talvolta più efficacemente di altri svelino sintomatiche caratteristiche di un’epoca e rappresentino, con particolare carica espressiva, possibili canali di penetrazione diacronica. C’è dell’altro. L’artisticità diventa una modalità d’indagine assunta nella ricerca stessa: non ne è più solo un importantissimo oggetto, ma si tramuta in una sorta di lente volta a consentire particolarissime tipologie di messa a fuoco; è come se lo storico stesso si appropriasse di approcci di focalizzazione artistici, accostando a meccanismi analitici e sistematici intuizioni sintetiche e ben poco rigorosamente fondate. Si ripropone qualcosa di già emerso: laddove la scienza non penetra, ad essa si affiancano sistemi d’analisi molto vicini a procedimenti di tipo artistico, dominati da atteggiamenti indagativi sensibilmente meno ortodossi che attingono ad aree disorganiche percorse da intuizioni, indimostrabili connessioni, chiose spesso più narrative che scientifiche. Eppure, il valore che l’arte aggiunge alla conoscenza si rivela anche in questo caso di enorme portata: talvolta schiude orizzonti sino a quel momento poco visibili o del tutto impercettibili, introducendovi metodologie scientifiche che solo dopo esservi entrate si rivelano efficaci griglie analitiche; talvolta assolve funzionalità di tipo euristico, guidando ed indirizzando una ricerca laddove manchino approdi gnoseologici meglio verificati e verificabili. L’arte, insomma, può divenire una sorta di pionieristica via che illumini inedite possibilità di accesso a territori ancora del tutto in ombra o che apra prospettive e focalizzazioni del tutto nuove su aree già da tempo percorse da analisi scientifica, trasformandone, in questo modo, la percezione ed il senso. Ed ora un passo oltre, sia in termini cronologici, sia in riferimento alla natura della riflessione affrontata. Goodman offre interessanti chiavi di lettura a proposito del rapporto tra cultura artistica e cultura scientifica. Sino ad ora, si sono toccate riflessioni tese ad individuare possibili relazioni tra mondo dell’arte e mondo della scienza considerati entrambi come due autonome e ben distanti modalità di approccio al reale, tradizionalmente prive di visibili legami od analogie ora metodologiche, ora finalistiche. Tuttavia, un tratto sostanziale del patrimonio speculativo ereditato è stato, in ogni caso, mantenuto: la natura cognitiva ed intellettiva della scienza non è mai stata fortemente discussa; piuttosto, si è tentato di avvicinare l’arte alla scienza tenendo salde le fondamenta di quest’ultima, ovvero trovando relazioni tra le due sfere quasi esclusivamente a partire da un movimento del mondo dell’arte verso quello della scienza, e non viceversa, come se la scienza venisse riconosciuta come un sistema così vigorosamente collaudato da poter godere di una maggiore stabilità, e come se l’arte, in difetto di prestigio intellettuale, dovesse per questo tendere verso la scienza legittimandosi attraverso il reperimento di caratteristiche tipicamente o collateralmente scientifiche nella propria modalità di darsi. Fiedler ha tentato di parificare le intenzionalità artistiche a quelle scientifiche, già del tutto riconosciute e saldamente identificate ed identificabili; Dessoir ha rintracciato nell’arte una peculiarità tipicamente, ed in primo luogo, scientifica, per quanto sino a quel momento difficilmente ammessa, almeno nella chiave di interpretazione ora proposta. In entrambi i casi, ad ogni modo, è l’arte che si è animata 9 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura di tensione verso la scienza, quasi ammettendo, più o meno implicitamente, di partire da una posizione di assoluto svantaggio; solo a seguito dell’avvenuto accostamento di scienza ed arte si è resa possibile un’emersione più vigorosa di quei particolarissimi tratti che dominano la vita dell’arte segnandone un’incolmabile distanza dalla scienza, tratti che, a questo punto, si sono rivelati cifra tangibile del sensibile contributo gnoseologico introdotto dall’arte. È come se, in altre parole, l’arte abbia potuto riappropriarsi (od appropriarsi) di un effettivo e legittimo ruolo intellettivo e cognitivo soltanto a seguito di un avvicinamento, per certi versi e almeno da principio subordinante, nei confronti della scienza: l’arte ha potuto svelare la propria natura conoscitiva, così come la propria specialità di approccio conoscitivo, solo attraverso un accostamento a metodologie ed intenti tipicamente scientifici. Mukařovský, per primo, anticipa un’inversione di tendenza, introducendo una prospettiva sensibilmente diversa: non più si illuminano tratti che avvicinano arte a scienza, bensì si individuano coloriture artistiche all’interno di quest’ultima. La funzione estetica, e collateralmente la funzione artistica, invade ora con forza la ricerca analitica e sistematica; l’arte non reclama più dignità conoscitiva in nome di una riconosciuta vicinanza alla scienza, conditio sine qua non di una successiva emersione della propria differenza, ma deborda a priori, conservando del tutto intatta la propria autonomia, in territori di altro prioritario dominio. Goodman prosegue sulle tracce di un’intuizione analoga. Il suo è un tentativo di rilettura complessiva di ogni dimensione esegetica di fronte al mondo; precede ed anticipa ogni possibile confronto di arte e scienza un quadro di ricerca ben più vasto, che ha come obiettivo un radicale ripensamento delle fondamenta stesse di qualunque genere di percezione del reale, sia essa di natura analitica o sintetica, sistematica o frammentaria, razionale od intuitiva. Arte e scienza divengono, in un orizzonte così definito, semplicemente due differenti possibilità di approccio al mondo ugualmente sottoposte a riforma concettuale e svolta teorica; non solo: divengono due possibili canali di percezione fra numerosi altri, ora superati, ora in corso di sviluppo, ora non ancora generati. Si tratta di rileggere ogni via di accostamento alla verità come teoria dei simboli: ciascun percorso di penetrazione del reale diviene un sistema simbolico, ovvero linguaggio. Ogni tentativo di descrizione del mondo non è nient’altro che traduzione di esso in sistemi linguistici e simbolici di volta in volta differenti, che schiudono di volta in volta angolazioni prospettiche nuove, introducendo inconsuete ed illuminanti aperture alla realtà e svelandone progressivamente, e senza possibilità di esaurimento, la verità. Il mondo non corrisponde ad una sola traduzione linguistica, così come non si esaurisce all’interno di una sola verità; esso è autenticamente in tanti modi quante sono le possibili vie simboliche che lo rappresentano, la sua verità è innanzitutto affiancamento e convivenza di più verità tra loro (e tra loro più o meno compatibili)23 . 23 A questo proposito, commenta F. Brioschi nell’“Introduzione” all’edizione italiana di N. Goodman, I linguaggi dell’arte, Il Saggiatore, Milano 1976: «Goodman è un nominalista, convinto che 10 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Il primo passo è proprio questo, non confondere il mondo con le sue descrizioni, e non confonderne, quindi, la verità con una in particolare tra queste (identificata, ad esempio, con la scienza): «I filosofi sono inclini a scambiare le caratteristiche del discorso per caratteristiche dell’oggetto di cui si discorre. Raramente si conclude che il mondo, in quanto una sua descrizione vera è composta di parole, debba a sua volta essere fatto di parole; ma talora si suppone che la struttura del mondo sia eguale a quella della descrizione. Questa tendenza cade nel linguomorfismo quando concepiamo il mondo come costruito di oggetti atomici corrispondenti a certi nomi propri, e di fatti atomici corrispondenti a enunciati atomici. E abbiamo una reductio ad absurdum quando qualche filosofo d’occasione afferma che una descrizione semplice può essere appropriata solo se il mondo è semplice; o asserisce (e l’ho sentito fare con tutta serietà) che una descrizione coerente sarà una deformazione a meno che il mondo non sia effettivamente coerente. Secondo questa linea di pensiero, suppongo che prima di descrivere il mondo in inglese dovremmo stabilire se esso è scritto in inglese» 24 . La provocazione di Goodman ha lo scopo di chiarire il nodo teorico su cui si regge l’intera sua riflessione: è possibile confrontare i differenti percorsi di accesso alla verità del mondo a valle di un ripensamento di essi come linguaggi, o sistemi simbolici, ognuno dei quali dà una propria verità del mondo, più o meno significativa non più a seconda di quale tipo di linguaggio la esprima, bensì a seconda di quale coerenza rappresentativa con il proprio stesso codice di regole conservi. La dignità della verità non è più, per così dire, compartimentale, ma trasversale; non si definisce più attraverso la supposta differenza qualitativa (e gerarchica) tra un linguaggio e l’altro, ma passa attraverso la conformità interna ad un unico linguaggio. Arte e scienza non solo altro che due differenti sistemi simbolici che descrivono entrambi, con modalità proprie ed un proprio senso di intima coerenza, il mondo, svelandone ognuno la propria verità, destinata a convivere e ad interagire con ogni altra verità espressa. Precisa Brioschi, chiosando quanto elaborato da Goodman, che «noi rendiamo conto del mondo attraverso una varietà di sistemi simbolici, o linguaggi; facendo uso di essi, costruiamo descrizioni ognuna delle quali ci restituisce non la verità, bensì una verità, un aspetto più o meno significativo del mondo. L’oggetto che ho di fronte è una macchina per scrivere, un fascio di atomi o il numero di serie con cui è contrassegnato? Quale di queste cose esso è veramente? Allo stesso titolo potremmo domandarci se esso non sia veramente il disegno che lo rappresenta sul libretto delle istruzioni (o un qualsiasi altro disegno). Chiunque troverebbe priva di senso tale domanda; ma le domande precedenti non lo sono in minor misura. L’oggetto ha tanti modi di essere. E i sistemi simbolici con cui costruiamo le nostre descrizioni differiscono solo per i loro tratti specifici, nessuno garantisce un avvicinamento maggiore a una presunta verità ontologica, tutti si confrontano pail mondo non sia riconducibile a una sola definizione del suo modo di essere, in quanto esso è in tanti modi quanto sono le nostre possibili descrizioni o raffigurazioni veritiere. La conoscenza non è rispecchiamento della realtà, né le proprietà delle nostre descrizioni sono proprietà del mondo». 24 N. Goodman, “The way the world is”, Review of Metaphysics, 1960, pp. 48-56. 11 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura rimenti con un problema di conoscenza: spetta poi alle singole descrizioni dare un contributo effettivo di sapere, ciascuna nel proprio ambito» 25 . La verità è relativa, o meglio molteplice; e soprattutto è in fieri, non certo definitiva. Per questa ragione innanzitutto, arte e scienza, così come qualsiasi altro linguaggio che descriva il mondo, possono riconoscersi come dotate di piena legittimità gnoseologica ancor prima di qualunque tipo di confronto volto ad indagarne le reciproche potenzialità. Non per questo, in ogni caso, si rivela trascurabile, o persino eludibile, l’opportunità di sgomberare il campo da alcuni pregiudizi che tendono ad arginare significativamente le capacità di indagine cognitiva proprie dell’arte; nonostante il punto di partenza sia fondato sulla piena coscienza della parità gnoseologica, quantomeno teorica, che ogni sistema rappresentativo possiede rispetto ad ogni altro sistema esistente o possibile, esiste ugualmente il rischio di ereditare acriticamente alcune limitanti considerazioni a proposito del particolare tipo di conoscenza a cui l’arte, per una sua presunta natura caratterizzata da vene profondamente emotive, possa aspirare. In altri termini, occorre argomentare contro l’idea che l’arte, qualificandosi come via espressiva sentimentale ed emotiva, sia condannata a sfiorare soltanto una conoscenza intellettiva del mondo, per quanto possa costituirsi come sistema linguistico di rappresentazione di esso che lo penetri, producendone sì un certo tipo di conoscenza, ma destinata tuttavia a restare confinata entro la sfera dell’emotività. Qualità cognitiva e contenuto espressivo, in altre parole, sono due differenti elementi che devono restare distinti: «Un’espressione sul volto di un attore non deve necessariamente determinare né essere determinata dalle emozioni corrispondenti. Un pittore o un compositore non sono obbligati ad avere le emozioni che esprimono nella loro opera. E, ovviamente, le opere d’arte stesse non sentono ciò che esprimono, anche se ciò che esprimono è un sentimento» 26 . Non solo deve essere tracciato un confine chiaro tra il contenuto emotivo dell’opera e l’intenzionalità del suo autore; la questione determinante si spinge oltre: il vero rischio è quello di mescolare contenuti, per così dire, sentimentali, alla funzionalità intellettiva dell’arte, riducendola ad un semplice dispiegamento percettivo di tipo emotivo 25 F. Brioschi, “Introduzione”, in N. Goodman, I linguaggi dell’arte., cit., p. XII. Significativa l’argomentazione prodotta da Goodman a questo proposito: «Alcuni di questi casi suggeriscono che quanto viene espresso sia, piuttosto, il sentimento o l’emozione suscitata nell’osservatore: che un quadro esprima tristezza per il fatto di rendere il visitatore un po’ triste, e una tragedia esprima angoscia per il fatto di spingere lo spettatore a lacrime virtuali o reali. L’attore non deve necessariamente sentirsi triste, ma riesce ad esprimere tristezza esattamente nella misura in cui mi rende triste. Ammesso che questa concezione sia più plausibile della prima presa in considerazione, non è però molto sostenibile. Data una cosa, qualsiasi emozione possa essere suscitata, raramente si tratta di quella espressa. Un volto che esprime strazio ispira pietà piuttosto che tormento; un corpo che esprime odio e ira tende a provocare avversione o timore. Ancora, ciò che è espresso può essere qualcosa di diverso da un sentimento e da un’emozione. Un quadro bianco e nero che esprime colore non mi fa sentire colorato; ed un ritratto che esprime coraggio e intelligenza difficilmente genera l’una o l’altra delle due qualità nello spettatore». Conclude quindi Goodman: «Questi confusi concetti di espressione sono collegati alla diffusa convinzione che suscitare emozioni sia una funzione primaria dell’arte. Mi sia consentito qui levare tra parentesi una protesta contro questa idea, e contro le teorie estetiche – come quella della catarsi emotiva – che ne discendono». 26 12 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura e nient’altro. L’arte si dirige semmai verso il tentativo di parlare del mondo e della sua verità, e tutto questo, per quanto un’opera possa addentrarsi in sfere dominate dall’emotivo, non significa affatto che il risultato conoscitivo sia in qualche modo determinato e trasfigurato dalle emozioni di cui si serve ed a cui attinge. Per quanto l’arte spesso indaghi materia emotiva, la conoscenza a cui aspira è di ben altra natura: è, precisamente, conoscenza legittimamente fondata di contenuti non riducibili entro griglie d’analisi logiche (o meglio, che possiedono certamente una propria logica, ben diversa, d’altro canto, da quella che domina le metodologie di indagine scientifica). Se la via artistica ed estetica tende al cognitivo tanto quanto quella scientifica, di quale tipo di peculiarità qualitativa si dota? Che cosa discosta l’esperienza estetica del mondo da quella analitica (e da ogni altra)? Goodman passa in rassegna alcune tra le più diffuse ipotesi di attribuzione di specialità a tutto quanto sia connesso alla sfera di percezione estetica: si può identificare nell’esperienza estetica un’assoluta mancanza di utilitarismo e praticità ma, del resto, pur ammettendo la legittimità e l’universalità di questa considerazione, occorre concludere che non ogni esplorazione disinteressata sia a sua volta necessariamente estetica, il che basta ad infrangere ogni tentativo di attribuzione di esclusività; si può ricondurre la specialità del fatto estetico alla sfera del piacere e del godimento contemplativo o, quantomeno, ad un senso di soddisfacimento delle aspettative emotive, ma anche in questo caso «la soddisfazione fallisce palesemente lo scopo di distinguere gli oggetti e le esperienze estetiche da quelle non estetiche. Non solo una certa ricerca scientifica dà grande soddisfazione, ma alcuni oggetti ed esperienze estetiche non ne danno affatto. La musica e il nostro ascolto, i quadri e il nostro osservarli, non fluttuano fra l’estetico e il non-estetico a seconda che il suonare o il dipingere vadano dall’entusiasmo al tormento. L’essere estetico non esclude l’essere insoddisfacente o l’essere esteticamente brutto» 27 . Le conclusioni suggeriscono almeno due osservazioni possibili: in primo luogo, non esistono confini netti che distinguano l’estetico da ciò che non lo è, poiché si fallisce ogniqualvolta si tenti di individuare in maniera definitiva una demarcazione forte tra le due aree; in secondo luogo, e conseguentemente a questa prima considerazione, occorre ammettere che non esistono qualità esclusive dell’arte, e dell’esperienza estetica in generale, che ne determinino a priori particolari indirizzi di indagine orientati, per lo più, a connotarsi di coloriture emotive o sentimentali. Non è affatto vero, più semplicemente, che l’arte sia caratterizzata da un’aura di assoluta specialità rispetto ad ogni altro sistema simbolico di rappresentazione del mondo e che questa sua presunta atipicità implichi una qualità gnoseologica altrettanto speciale, ovvero emotiva. L’arte, come del resto Fiedler già anticipa, aspira ad una conoscenza autentica, che non può che caratterizzarsi intellettivamente e cognitivamente nel suo risultato finale, a prescindere da quale sia la materia a cui si attinge per la propria stessa generazione. Pur riconoscendo quanto sia «difficile staccarci dall’idea che l’arte sia, per un verso o per l’altro, più emotiva della scien27 Ibid., p. 205. 13 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura za»28 , occorre ugualmente concludere che esperienza estetica e scientifica abbiano «entrambe, a quanto si vede, un carattere fondamentalmente cognitivo» 29 . Ovvero: «Qualsiasi raffigurazione dell’esperienza estetica come una sorta di bagno o orgia emozionale è palesemente assurda»30 . L’intento è chiaro. Una volta riconosciuta la capacità conoscitiva della via artistica, occorre sfrondarla da ulteriori pregiudizi che tendono ad inquinarne l’effettiva efficacia; ogni sistema linguistico di traduzione del mondo parla della verità di esso e la sua particolare modalità di funzionamento non determina mai uno spostamento della qualità gnoseologica, facendola retrocedere da un piano intellettivo ad un piano emotivo. Il nucleo centrale della teoria di Goodman potrebbe forse essere espresso in questi termini: sebbene la materia artistica sia spesso di natura emotiva, la conoscenza che da essa stessa passa non lo è affatto. Ogni esperienza estetica od artistica che attinga ad emozioni non per questo diviene esperienza emotiva. L’arte è pervasa da emozioni che in ogni caso, in qualunque caso, assumono una funzionalità cognitiva. Pur non snaturando la dimensione emotiva dell’arte, ovvero la sua vita, per così dire, sentimentale, se ne dirige il senso ed il significato più profondo ed autentico verso derive eminentemente cognitive: a paragone con la scienza, il risultato è il medesimo. Un’altra precisazione. Quanto sostenuto si regge, evidentemente, su di una premessa concettuale sino ad ora implicita: ogni dualistica separazione tra emotivo e cognitivo è superata d’un balzo, poiché l’emotivo, nel caso dell’arte, funziona cognitivamente. Si tratta di una delle eredità culturali e storiche più faticosamente scardinabili: «gran parte delle difficoltà che ci hanno tormentato possono essere imputate alla dispotica dicotomia fra cognitivo e emotivo. Da una parte mettiamo sensazione, percezione, inferenza, congettura, ogni ricerca e investigazione inerte, fatto e verità; dall’altra parte, piacere, pena, interesse, soddisfazione, disappunto, ogni risposta affettiva senza la partecipazione del cervello, apprezzamento e disgusto»31 . 28 Ibid., p. 206. Ibid. 30 Ibid., p. 207. Goodman esemplifica sostenendo che «le emozioni suscitate tendono ad essere mute e oblique rispetto, ad esempio, alla paura o tristezza o depressione o esultanza che sorgono da una vera battaglia o perdita o sconfitta o vittoria, e non sono in genere più forti dell’eccitazione o scoramento o entusiasmo che accompagnano l’esplorazione o la scoperta scientifica. Ciò che lo spettatore inerte sente risulta del tutto estraneo a ciò che sentono i personaggi ritratti sul palcoscenico, e anche a ciò che egli stesso sentirebbe se fosse presente a eventi della vita reale. E se saltasse sul palcoscenico per partecipare, la sua risposta non potrebbe più essere definita estetica. Sostenendo che l’arte abbia a che fare con emozioni simulate si finisce per dire, analogamente alla teoria della rappresentazione come copia, che l’arte è un misero sostituto della realtà: che l’arte è imitazione, e che l’esperienza estetica è un surrogato che solo in parte compensa la mancanza di contatto e incontro diretto con il Reale». 31 Ibid., p. 208. Ed aggiunge poco oltre che «quanto conosciamo attraverso l’arte è sentito nelle nostre ossa, nervi e muscoli, come è afferrato dalla nostra mente, che tutta la sensibilità e capacità di risposta dell’organismo prende parte nell’invenzione e nell’interpretazione dei simboli». 29 14 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura Il piacere, insomma, può condurre ad autentica conoscenza. Non si tratta, d’altro canto, di elidere ogni risvolto emotivo dalla vita dell’arte; affermare che il sentimento venga orientato al cognitivo non implica certo una sorta di intellettualizzazione dell’esperienza artistica, svuotandola di ogni contenuto alogico ed irrazionale. Semmai accade il contrario: non tanto è la percezione estetica ad intellettualizzarsi, quanto piuttosto è la coscienza del mondo ad emotivizzarsi. È una sfumatura quasi impercettibile ma fondamentale. Non accade, cioè, che l’arte si pieghi freddamente all’analisi ed a funzioni esclusivamente investigative, poiché, in tal caso, mortificherebbe la propria stessa esuberanza vitale, la propria endogena forza creativa e creatrice. Il senso dell’accostamento è in verità l’opposto: è la cognizione ad arricchirsi, nel caso dell’arte, delle potenzialità dinamiche di quest’ultima, elaborando materiale emotivo ed impiegandolo attraverso modalità gnoseologiche. L’alogico, il variegato e complesso patrimonio a cui l’arte attinge e che l’opera d’arte fa vivere dotandolo di particolare rilievo, diventa una sorta di caleidoscopico bacino destinato ad essere manipolato cognitivamente. E tutto questo nulla toglie al valore puramente espressivo (e, in un certo qual modo, caldo) che l’arte continua a conservare, continuando, del resto, a mantenere risvolti di altra natura, tratti attigui ad altro tipo di fruizione: «Il fatto che le emozioni prendano parte nella cognizione non implica che esse non siano sentite, come il fatto che la vista ci aiuta a scoprire le proprietà degli oggetti non implica che non siano presenti le sensazioni di colore. In realtà, le emozioni devono essere sentite – vale a dire, devono essere presenti, come devono le sensazioni – se sono da usarsi cognitivamente»32 . Non soltanto emozione e cognizione si affiancano proseguendo l’una il percorso dell’altra; di fatto, interagiscono mescolandosi, senza che si possa identificare un passaggio definitivo e chiaro che segni l’avvio di un’elaborazione intellettiva dei contenuti emotivi. Le emozioni, infatti, «funzionano cognitivamente non come elementi separati, ma in combinazione tra di loro e con altri strumenti di conoscenza. La percezione, la concettualizzazione e il sentimento interferiscono e interagiscono; e una lega siffatta spesso rende impossibile un’analisi in componenti emotive e non-emotive»33 . Ancora una precisazione. Il materiale emotivo, proprio perché lavorato e manipolato a sua volta da processi cognitivi, perde le caratteristiche di valore di partenza; è indifferente quale sia la tonalità della sfumatura sentimentale dominante: la sua positività o negatività, la sua forza espressiva o debolezza comunicativa sono destinate ad essere trasformate autonomamente dalle condizioni di origine, ovvero dalle sole considerazioni di tipo estetico, connesse alla valutazione del valore artistico dell’opera. Accade così che la qualità o intensità dell’emozione non corrisponda necessariamente alla sua efficacia cognitiva, poiché «un’emozione debole può essere informativa quanto una travolgente; e trovare che un’opera esprime scarsa o nessuna emozione può essere significativo esteticamente tanto quanto trovare 32 33 Ibid., p. 209. Ibid., p. 210. 15 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura che essa ne esprime molta»34 . Esiste il valore estetico ed artistico, da un lato, ed esiste il valore cognitivo, dall’altro; per quanto quest’ultimo passi attraverso il secondo senza dicotomia alcuna, il risultato dell’elaborazione intellettiva trasfigura i connotati d’origine dell’opera d’arte che, da puro oggetto di contemplazione estetica, diviene veicolo di conoscenza del mondo, linguaggio simbolico che parla di esso e della sua verità. Un ulteriore ingrediente della riflessione di Goodman lo avvicina, per qualche verso, a Mukařovský: per entrambi, è evidente che l’interazione fra arte e scienza vada ad introdursi anche nelle modalità stesse che danno vita all’analisi scientifica e che la percorrono. Se per Mukařovský i meccanismi sistematici della scienza sono spesso intercettati dalla funzione estetica, visibile in particolare nella storia, per Goodman i sentimenti abbracciano, a ben guardare, orizzonti di indagine assai più vasti e diffusi di quanto non possa sembrare. È come se, in verità, l’emotività non possa mai del tutto escludersi dalla ricerca, influenzandone e determinandone, più di quanto non appaia, i risultati finali e le modalità per raggiungerli: non soltanto nella vita di ogni giorno «la classificazione degli oggetti per mezzo dei sentimenti è spesso più vitale di una classificazione per mezzo di altre proprietà»35 ; accade inoltre che «l’importanza della discriminazione per mezzo dei sentimenti non scompare quando la motivazione diventa teorica, cessando di essere pratica. Lo zoologo, lo psicologo, il sociologo, anche quando i loro intenti sono puramente teorici, usano legittimamente l’emozione nelle loro indagini. In effetti, in ogni scienza, mentre l’oggettività necessaria ripugna al ragionamento fondato sui propri desideri, all’interpretazione preconcetta dell’evidenza, al rifiuto dei risultati indesiderati, alla negligenza di linee di ricerca sgradite, non ripugna invece all’uso dei sentimenti nell’esplorazione e nella scoperta, all’impeto dell’ispirazione e della curiosità, o ai suggerimenti dati dall’eccitazione per problemi suggestivi e ipotesi promettenti»36 . Ogni venatura emotiva, insomma, non può che entrare a far parte anche dell’indagine scientifica (oltre che dell’arte, che resta uno dei codici di espressione di essa più fecondi e rappresentativi), poiché anche la scienza è così profondamente umana da non poter mai astrarsi da tutto ciò che pervade la vita degli uomini: anche quando le griglie d’indagine di cui si serve, anche quando i modelli purificati da contingenze e particolarismi accidentali sembrano segnare un’incolmabile distanza da ogni tensione vitale di ben altro tipo, quest’ultima entra nei meccanismi analitici sporcandoli della sua propria vita e, paradossalmente, diviene spesso un’ulteriore occasione di penetrazione del mondo. Ed ora il quesito più arduo: quale differenza c’è, a questo punto, tra arte e scienza? Se entrambe si propongono il raggiungimento dello stesso obiettivo di natura gnoseologica, se entrambe collaborano ed interagiscono tra loro così salda34 Ibid., p. 211. Ibid. In particolare, Goodman sostiene che spesso l’emotività sia la guida più affidabile per una sorta di quotidiana esplorazione del mondo, poiché «è più probabile che tutto ci vada per il meglio se siamo abituati a temere, volere, sfidare, diffidare delle cose giuste al momento giusto, che non se percepiamo solo la loro forma, le loro dimensioni, il loro peso». 36 Ibid. 35 16 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura mente da non poter determinare confini certi e definiti, e se entrambe, infine, sono in verità pervase da tratti di emotività e tratti di organicità, qual è la cifra che possa individuare una distanza davvero sostanziale e fondamentale tra le due? In effetti, non si dà alcuna differenza che sia realmente essenziale. Arte e scienza sono, ugualmente, due sistemi di codificazione simbolica del mondo che funzionano cognitivamente, indifferentemente da quale sia la materia di partenza, ai fini della conoscenza. L’unica possibile differenza identificabile fa capo alla modalità di espressione linguistica di cui, rispettivamente, arte e scienza si servono. Indirizzi, orientamenti e finalità rimangono i medesimi: si tratta semplicemente di due procedimenti di simbolizzazione diversi che, per questo, creano diversi scorci prospettici sulla realtà, illuminandone sfumature percettive di volta in volta differenti. Arte e scienza sono diverse poiché costituiscono due linguaggi diversi (e, per questo, le verità a cui giungono non potranno mai sovrapporsi del tutto: la verità stessa, quella a cui è possibile aspirare, non è altro che linguaggio, non è altro che un modo particolare di parlare del mondo 37 . Persino la specificità estetica è stemperata: affermare l’idea di una sostanziale parificazione gnoseologica che coinvolga, quantomeno concettualmente ed al di là delle specifiche ed autonome regole di codificazione, tanto l’arte quanto la scienza, significa far decadere l’estetico da condizioni di specialità assoluta (spesso ritradotta in termini di inafferrabilità) a dimensioni normali e consuete, ordinariamente intrecciate alla vita e quotidianamente direzionate alla percezione della verità del mondo. Estetico ed artistico sono, così come accade per la scienza, veicoli di indagine ugualmente sottoponibili a scandaglio ed ugualmente privi di ultramondanità ed ultraumanità: fanno parte della vita e per questo parlano di essa. Le uniche possibili peculiarità dell’estetico rispetto ad altri sistemi simbolici hanno a che fare con caratteristiche di secondaria importanza che non ne determinano certo un’eccellenza di qualche tipo: si tratta di densità sintattica, densità semantica e saturazione sintattica38 , ovvero tre regole della particolare grammatica attraverso cui parlano oggetti d’arte ed esperienze estetiche in generale. Cosa dire, infine, della verità a cui arte e scienza aspirano? Esiste una differenza qualitativa tra le due o, anche in questo caso, occorre superare una posizione dogmaticamente pregiudiziale a favore della verità scientifica, poiché considerata più stabile, affidabile, regolata e quindi (eventualmente) definitiva? Goodman incalza quasi provocando: «Nonostante l’opinione corrente, la verità in se stessa conta assai poco nella scienza. Possiamo, a nostra volontà, produrre volumi di verità sicure fin tanto che non ci preoccupiamo della loro importanza; le tavole 37 Il nominalismo orienta profondamente le conclusioni di Goodman. Come visto, ogni descrizione correttamente prodotta, ovvero generata in coerenza con i criteri interni al linguaggio adottato, è dotata di verità e di pertinenza gnoseologica. 38 Un breve inquadramento: «la densità sintattica è caratteristica dei sistemi non linguistici, ed è un tratto che distingue gli schizzi dalle partiture e dai copioni; la densità semantica è caratteristica della rappresentazione, della descrizione e dell’espressione nelle arti, ed è un tratto che differenzia gli schizzi e i copioni dalle partiture; e una relativa saturazione sintattica distingue, fra i sistemi semanticamente densi, quelli più rappresentazionali dai più diagrammatici, i meno dai più schematici». 17 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura di moltiplicazione sono inesauribili, e le verità empiriche abbondano. Le ipotesi scientifiche, per quanto vere, sono inutili se non soddisfano requisiti minimi di generalità o di specificità imposti dalla nostra ricerca, se non realizzano qualche analisi o sintesi eloquente, se non sollevano e non rispondono a questioni significative. La verità non basta; è al massimo una condizione necessaria. Ma anche questa è una concessione eccessiva; le leggi scientifiche più nobili sono raramente del tutto vere. Discrepanze di scarso rilievo sono trascurate in considerazione della loro portata o del loro potere o della loro semplicità. La scienza smentisce i suoi dati come lo statista smentisce i suoi elettori – entro i limiti della prudenza» 39 . Che la verità non viva se non all’interno di una dimensione essenzialmente euristica? Se così fosse, a maggior ragione, ogni possibile dicotomia tra scienza ed arte smarrirebbe la propria ragion d’essere. Non esistono traguardi definitivamente e per sempre raggiunti, esiste solo una fortissima ed imprescindibile tensione alla conoscenza, all’appropriazione del mondo e delle sue verità, le quali, a loro volta, non si danno che all’interno di sistemi arbitrariamente costruiti, destinati a subire infinite trasformazioni di senso, e quindi infiniti spostamenti di significato. Arte e scienza condividono anche questo comune destino: la tensione che le anima e che ne determina e ne alimenta la vita non è altro che aspirazione, volontà o desiderio di approccio ad una verità che, del resto, si regge su fondamenti ontologici molto più deboli di quanto, forse, non ci si auguri. Ogni tentativo di conoscenza, quindi, non può che partire dalla costante coscienza del limite, coscienza che induce a produrre sistemi di codificazione e di classificazione sempre più duttili, aperti e plasmabili. Del resto, aggiungerebbe Banfi, «non dunque a elucubrazioni metafisiche, ma a ricerche metodologiche, epistemologiche e logiche la fisica nucleare invita la filosofia, affinché ne possa definire la posizione e la struttura teoretica garantendone il libero sviluppo all’interno di un’aperta, dialettica sistematica del sapere» 40 . Il rigore metodologico, quello stesso ostinato rigore così caro a Banfi, si affianca con vigore all’idea di una ricerca aperta, costantemente sospesa nei propri risultati finali. Non è affatto una paradossale aporia o una contraddizione interna: è la condizione per un pensiero che progredisca anziché smarrirsi all’interno dei propri labirintici ed infiniti assiomi. È come se il sapere, accogliendo l’idea della propria stessa crisi come motore di vita, si trasformasse in cultura: «Bisogna che il sapere scientifico diventi cultura scientifica. Questo può verificarsi solo a due condizioni: il sapere scientifico deve accompagnarsi ad una aperta coscienza critico-metodologica; bisogna che il sapere scientifico sviluppi una propria coscienza storica, impari a sapersi come storicità»41 . Arte e scienza, entrambe immerse nel mondo, entrambe storicamente 39 Ibid., pp. 220-221. A. Banfi, “La filosofia e la fisica nucleare”, in Annali, Istituto Antonio Banfi, Reggio Emilia 1987. 41 P. Rossi ricorda così alcune posizioni banfiane contro l’idea di un inesorabile sgretolamento della scienza contemporanea (P. Rossi, “L’umanità e la filosofia di Antonio Banfi”, in M. Dal Pra, D. Formaggio, P. Rossi, Antonio Banfi (1886-1957), Unicopli, Milano 1984). 40 18 ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura fondate, non fanno che produrre un sapere altrettanto storico, relativo al tempo ed allo spazio entro cui è stato concepito e si è sviluppato. Ovvero, producono cultura. 19