Archivio selezionato: Dottrina RESPONSABILITÀ CIVILE SPORTIVA NEL « CALCIO A SETTE » E COLLEGAMENTO FUNZIONALE ALL'AZIONE DI GIOCO Responsabilita' Civile e Previdenza, fasc.4, 2014, pag. 1335 Riccardo Frau Classificazioni: SPORT - Responsabilità sportiva Sommario (*)1. Il fatto e la sentenza. — 2. Il collegamento funzionale tra azione di gioco e lesione sportiva nella giurisprudenza. — 3. Azioni vietate dai regolamenti e orientamenti interpretativi. — 4. La rilevanza delle regole tecnicosportive nell'ambito del giudizio di responsabilità civile. — 5. Considerazioni conclusive. 1. IL FATTO E LA SENTENZA Il caso in commento concerneva le lesioni riportate dal partecipante ad una gara di « calcio a sette», in occasione del contrasto con un avversario, che, colpendolo con un calcio alla caviglia, ne aveva determinato la caduta e la conseguente lussazione di una clavicola nell'impatto con il terreno. Per quanto è dato trarre dalla lettura della sentenza, più esattamente, si trattava di un intervento da tergo, portato dal difensore (in ritardo sull'azione avversaria) ai danni dell'attaccante in corsa, ormai prossimo a concludere a rete, il quale cadeva sul terreno di gioco e riportava le lesioni di cui sopra. Il giudicante giunge ad una pronuncia di rigetto della domanda di risarcimento. Al riguardo, nell'iter argomentativo della motivazione si trova espressamente richiamato l'orientamento adottato dalla Cassazione in tema di responsabilità civile sportiva, secondo la quale quest'ultima sussisterebbe solo ove la condotta del danneggiante sia stata dettata da una precisa volontà di ledere l'avversario, ovvero qualora la stessa non risulti funzionalmente connessa all'attività di gioco, o ancora, se pur connessa al gioco, essa sia stata caratterizzata da una violenza e irruenza incompatibili con le caratteristiche concrete dello sport esercitato. Dette circostanze, tuttavia, vengono ritenute insussistenti nel caso dedotto in giudizio. La decisione offre quindi lo spunto per una ricognizione sul fenomeno della responsabilità civile nello sport (1), con particolare riferimento al gioco del calcio (2). Nel contempo, essa consente un approfondimento sulla valenza delle regole tecniche di gioco ai fini del giudizio di responsabilità ordinaria, anche mediante una ricognizione sulle norme regolamentari del gioco del calcio e su quelle di alcune discipline da esso derivate, come il « calcio a cinque » e il « calcio a sette ». 2. COLLEGAMENTO FUNZIONALE TRA AZIONE DI GIOCO E LESIONE SPORTIVA Scorrendo la motivazione, essa afferma, in uno dei passi centrali, che la questione rilevante, ai fini dell'accertamento della responsabilità del danneggiante, era il verificare se la condotta di quest'ultimo risultasse o meno funzionalmente connessa all'attività di gioco. Di fatto, proprio per aver ravvisato la sussistenza di questo nesso teleologico, la decisione ha ritenuto di non accogliere la domanda di risarcimento. Questo passo della sentenza richiede, peraltro, un preliminare inquadramento della tematica nella cornice degli orientamenti espressi al riguardo in sede interpretativa. La motivazione, in questo tratto, aderisce infatti (con espresso richiamo al precedente) all'orientamento della S.C., secondo il quale, in presenza di un collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, verrebbe meno la perseguibilità giuridica della condotta dannosa. Date queste premesse, ne deriverebbe la pratica conseguenza che la responsabilità risarcitoria va esclusa non solo in caso di condotta rispondente alle regole di gioco, ma anche nel caso in cui, pur in presenza di una violazione delle regole, l'azione risultasse funzionalmente collegata alla contesa sportiva. Di contro, tale nesso funzionale non sarebbe idoneo ad escludere la responsabilità nell'ipotesi di violenza o irruenza incompatibili con le caratteristiche dello sport praticato (3). Detto collegamento, inoltre, verrebbe a mancare anche nel caso in cui l'atto fosse stato compiuto allo scopo di ledere l'integrità fisica dell'avversario (4)(restando ferma, in tali ipotesi, la responsabilità dell'agente). Così argomentando, la pronuncia si pone nel solco di un orientamento che già registra svariati riscontri nella giurisprudenza relativa al gioco del calcio (e, come si vedrà nel seguito, estesi anche alla disciplina del calcetto), dove si rinvengono, in effetti, diversi richiami ai profili, spesso interconnessi, del « rischio generico del fallo » e del « criterio finalistico » dell'esimente sportiva (5). Il passo giustifica quindi un richiamo più ampio, per una migliore collocazione della materia. A tale riguardo, meritano, in primo luogo, di essere brevemente ricordati gli incisi della giurisprudenza penale, che, con portata in qualche modo anticipatoria rispetto al dibattito sulla responsabilità civile sportiva, hanno posto in evidenza l'eventualità di subire (e dover quindi tollerare, almeno in certi limiti), nell'ambito di una contesa agonistica, un'azione tecnicamente irregolare. La S.C., in particolare, ha da tempo affermato che neppure la violazione di regole dettate per salvaguardare l'incolumità dei partecipanti (oltre che per quello della salvaguardia della natura dello sport) può comportare automaticamente la sussistenza di una colpa, posto che, nella volontaria partecipazione alla gara, è implicito anche il « rischio generico del fallo ». Per quanto attiene al giocatore di calcio, infatti, lo stesso sarebbe conscio della possibilità, o addirittura della probabilità, di essere irregolarmente atterrato con uno sgambetto, o con una spinta che superi i limiti regolamentari, e, partecipando al gioco, tacitamente consente al rischio di subire, in conseguenza di ciò, delle lesioni. Dato quanto precede, sussisterebbe invece il superamento del rischio consentito quando l'azione fallosa, oltre che essere volontaria, fosse di tale durezza da comportare la prevedibilità di pericolo serio dell'evento lesivo a carico dell'avversario, in base alle leges artis, le quali ammettono un comportamento anche marcatamente agonistico, ma che non travalichi dal dovere di lealtà sportiva fino a sconfinare nel disprezzo per l'altrui integrità fisica (6). Più recentemente, è stato quindi ritenuto dalla S.C. che sussiste il superamento del rischio consentito nel caso in cui il calciatore realizzi l'evento lesivo mediante una violazione volontaria delle regole di gioco, tale da superare i limiti della lealtà sportiva (7). Dal canto suo, la giurisprudenza di merito ha riconosciuto un esonero da responsabilità anche nel caso di comportamento, che, sebbene connotato da una marcata irruenza agonistica, era risultato comunque animato dalle finalità proprie di quel tipo di competizione (8)(valorizzando al massimo grado, in questa ipotesi, la figura del collegamento funzionale della condotta alla gara). Il limite alla rudezza dell'azione sarebbe pertanto rappresentato dal dovere di lealtà sportiva, dal momento che il porre scientemente a repentaglio l'incolumità fisica dell'avversario condurrebbe ad un rischio superiore a quello consentito dalla pratica sportiva ed accettato dal partecipante medio (9). Ciò posto, per quanto attiene più specificamente al versante dell'illecito civile, si registrano orientamenti non dissimili, nei quali si tende a riprendere, in parte qua, la richiamata tesi. In particolare, è stato affermato che, in tema di lesioni cagionate nel contesto di un'attività sportiva, non dà luogo a responsabilità aquiliana il fallo commesso da un calciatore ai danni di un avversario, ove esso risulti collegato funzionalmente al gioco e posto in essere con una violenza compatibile con le caratteristiche concrete del gioco stesso (10). Non mancano, tuttavia, alcune puntualizzazioni, quando si sottolinea che, ai fini della sussistenza o meno di tale collegamento, le modalità dell'azione fallosa devono trovare corrispondenza e giustificazione nel contesto della gara, che, specie se amichevole, non ammetterebbe condotte connotate da una particolare violenza (11). Gli orientamenti sopra richiamati, come si anticipava, trovano ormai una sostanziale rispondenza anche nella giurisprudenza formatasi, in anni recenti, relativamente al gioco del « calcio a cinque » (12). Sul punto, in ogni caso, si avrà modo di tornare diffusamente nel seguito. Da quanto sopra sembra quindi emergere, anche sul piano della responsabilità extracontrattuale, un crescente favor interpretativo in ordine ad un criterio teleologico, che tende a giustificare le lesioni cagionate dall'azione sportiva, anche se portata in violazione delle regole di gioco, qualora essa risulti inquadrabile nella tensione agonistica al risultato. Il quadro descritto, peraltro, comporterebbe l'esigenza di richiamarsi a criteri di valutazione alquanto mobili, o quantomeno generici, quali il concetto di « lealtà sportiva » o di « collegamento funzionale », ovvero di « rudezza dell'azione », che, svincolati da un oggettivo apprezzamento sul rispetto o meno di regole tecniche, aprono la via ad un margine non trascurabile di discrezionalità. Non a caso, si registra una diversa opinione, per quanto minoritaria, la quale, partendo dall'assunto che i regolamenti sportivi non sempre riescono, fin dall'origine, a prefigurare esaustivamente tutte le condotte pericolose (13), sostiene l'opportunità di un costante richiamo, anche in questa disciplina, ai principi di generale prudenza, come temperamento dell'agonismo sportivo (14). Il criterio qui enunciato condurrebbe ad una regola di valutazione più stringente (e, in parte, antitetica rispetto alla teorica in precedenza richiamata), derivandone la sostanziale perseguibilità, sul piano della responsabilità ordinaria, delle azioni che cagionino danni fisici all'avversario, qualora le stesse, quand'anche nella formale osservanza della regola sportiva, non si fossero rivelate conformi ai canoni di comune cautela. Si assiste invece ad una sostanziale convergenza di opinioni nel ritenere che restano sanzionabili, sia sul versante sportivo che su quello ordinario, le condotte intenzionalmente lesive dell'avversario, che, sebbene esplicate nell'ambito di una contesa calcistica, risultino peraltro totalmente avulse dalle esigenze di gara (si pensi al fallo di reazione, ivi compreso quello di « ritorsione », ovvero al fallo a gioco fermo, oppure « a palla lontana »). Il tratto, come visto, è incidentalmente richiamato anche nella pronuncia che si annota, dove si afferma che sussisterebbe, in ogni caso, la responsabilità dell'agente nell'ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere. A tale proposito, era già stato da tempo affermato dalle Sezioni penali della S.C. che, fatto salvo il richiamato principio del collegamento funzionale, può essere considerata azione di gioco solo quella tesa al diretto controllo o tiro del pallone, al tentativo di impossessarsi di quest'ultimo o di contenderlo all'avversario, oltre alla corsa per inserimento nell'azione, nell'attesa di ricevere la palla in possesso di altri giocatori. Di contro, il comportamento dell'atleta risulterebbe pienamente perseguibile quando lo svolgimento di una competizione, come detto, si rivelasse la sede occasionale di tempo e di luogo per una condotta lesiva unicamente dettata dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica lesivo della altrui incolumità personale (15). Più recentemente, infatti, il giudice di legittimità ha ribadito che, in tema di lesioni personali cagionate durante unapartita di calcio, non sussistono apprezzabili cause di giustificazione qualora, a gioco fermo, un calciatore colpisca volontariamente al volto l'avversario che aveva realizzato una rete, trattandosi qui di lesioni volontarie, in cui la gara è stata semplicemente sede dell'azione violenta mirata alla persona dell'antagonista (16). Il tratto appare pacifico anche presso la giurisprudenza di merito, dove è stata esclusa l'esimente sportiva in caso di aggressione verificatasi ai danni di calciatore avversario in un momento in cui il gioco era lontano dai due protagonisti dell'episodio (17). Analogamente, è stato ravvisato il reato di lesioni volontarie relativamente ad un episodio in cui l'atleta aveva sferrato un pugno al volto al portiere avversario dopo che l'azione di gioco era cessata (18). Da quanto sopra, emerge quindi un parziale contrasto di opinioni sulla giustificabilità giuridica di condotte di gara tecnicamente irregolari, ma funzionalmente connesse ad una fase di gioco. La sentenza che si annota mostra, al riguardo, di aderire all'orientamento prevalente, che esclude la responsabilità civile al ricorrere del citato nesso teleologico. La decisione, inoltre, richiama, almeno per inciso, la consolidata opinione secondo la quale eventuali azioni violente avulse dalle finalità sportive restano pienamente perseguibili. 3. AZIONI VIETATE DAI REGOLAMENTI E ORIENTAMENTI INTERPRETATIVI Un ulteriore passo che merita attenzione nella sentenza annotata è quello in cui, nell'ambito delle prove testimoniali, il tribunale esamina la deposizione del teste che riferiva del contrasto portato da tergo rispetto all'attaccante lanciato a rete, azione che, a detta del testimone, era più pertinente ad un incontro di calcio a undici, che non di calcio a sette. Il tratto, sebbene non approfondito in motivazione, rivela profili di interesse ai fini della successiva indagine sulla rilevanza delle regole tecnico-sportive nell'ambito del giudizio di responsabilità civile e giustifica, pertanto, qualche maggiore riflessione. Al riguardo, occorre premettere che il regolamento federale del gioco del calcio e quello del calcio a cinque, dopo un periodo in cui le rispettive stesure risultavano non coincidenti, specie in tema di azioni vietate, tendono ora, su quest'ultimo profilo, a convergere. La norma sportiva cui fare riferimento, per entrambe le discipline, è infatti sostanzialmente la « Regola 12 » (19), nella quale vengono sanzionate alcune condotte, se commesse, a giudizio dell'arbitro, in modo negligente, imprudente o con vigoria sproporzionata: fra queste, perstare al caso in esame, dare o tentare di dare un calcio ad un avversario, sgambettare il medesimo (20), o effettuare un tackle(21)sullo stesso. In precedenza, tuttavia, il regolamento del calcetto risultava differente su questo punto, in quanto il contrasto da tergo scivolato era in ogni caso vietato, a prescindere da un apprezzamento dell'arbitro sulle eventuali connotazioni di imprudenza o eccessivo vigore oggi richieste (22). Di qui, probabilmente, le perplessità emerse in sede di escussione testimoniale. Si pone, quindi, un primo interrogativo sulla regola tecnica applicabile, tenendo anche conto che l'evento dedotto in causa risaliva all'anno 2003, in cui — a quanto consta — vigeva la precedente stesura del regolamento del calcio a cinque, con il divieto assoluto del contrasto da tergo scivolato. Tuttavia, il caso in esame si caratterizza per un'ulteriore peculiarità, in quanto si trattava di una partita di calcio a sette, la cui pratica non risulta, ad oggi, oggetto di regolamento federale, per quanto si rinvengano alcuni disciplinari redatti dalle varie associazioni organizzatrici dei tornei (23). Dal relativo esame, si trae che solitamente la regola sui comportamenti vietati è la n. 10 e la maggior parte delle volte — ma non sempre — essa ricalca la citata regola n. 12 del calcio a undici (24). In questo quadro, non sarebbe fuori luogo una prima riflessione tesa ad individuare la norma applicabile alle condotte irregolari del calcio a sette, specie per il periodo in cui, comenella vicenda dedotta in causa, la regolamentazione di alcune discipline derivate (calcio a cinque) non coincideva, in tema di azioni vietate, con quella dello sport principale (risultando, in particolare, più severa quella del calcetto). In tale prospettiva, un primo criterio di analisi potrebbe essere quello di verificare se i partecipanti avessero o meno aderito ad uno dei regolamenti associativi sopra richiamati (ad esempio, in fase di iscrizione ad una competizione ufficiale). Se ciò non si fosse verificato, o se questo percorso interpretativo non si rivelasse utile (25), gli argomenti prevalenti parrebbero nel senso che la norma da richiamare sia più quella del calcio a undici che non quella del calcio a cinque, sia per la prevalenza di riferimenti in questo senso, sia per la maggiore severità (almeno all'epoca dei fatti) e, per certi versi, eccezionalità del regolamento della disciplina del calcetto. Per stare al caso specifico dedotto in causa, quindi, sul piano tecnico il contrasto da tergo verosimilmente non era da ritenersi vietato tout court(26). Il tratto, tuttavia, pare appianarsi, come meglio si vedrà nel seguito, una volta che le regolamentazioni tendono a convergere. Ciò posto, occorre qui ricordare che i precedenti editi in tema di responsabilità aquiliana nell'ambito della pratica del calcetto in parte attingono agli orientamenti maturati nell'ambito del calcio a undici, ma in parte se ne discostano, mostrando un trattamento più severo e meno tollerante rispetto a determinati gesti atletici, ove forieri di rischio per l'avversario (27). Pare quindi utile provare a riassumere in questa sede i dati più significativi. In primo luogo, è da premettere che, similmente a quanto avviene per la disciplina del calcio, anche il calcetto viene ricondotto fra quelle « a contatto eventuale », non rientrando direttamente la violenza fisica nel contenuto regolamentare (28). Non dissimile è anche il quadro interpretativo formatosi, sulla pratica del calcetto, riguardo al fenomeno del c.d. rischio sportivo (29), che si ritiene insito — e accettato — nella disciplina in argomento. In proposito, si richiama qui l'orientamento secondo il quale i partecipanti ad una partita di calcio a cinque, decidendo di scendere in campo, assumono il rischio di condotte violente degli altri competitori non conformi alle regole del gioco, le quali non costituiscono fonte di responsabilità civile qualora siano poste in essere senza l'intenzione di ledere la persona altrui o comunque non denotino disprezzo per l'incolumità del concorrente e siano adeguate alla finalità del gioco, oltre che ispirate a razionalità sportiva (30). Si assiste ad un ulteriore parallelismo, per le due discipline, nel dibattito maturato intorno al fondamento della non punibilità, in linea di principio, dell'azione agonistica. Al riguardo, occorre premettere che il profilo della « scriminante sportiva », se da un lato ha ricevuto particolare impulso dai cultori del diritto penale (31), non manca di spiegare tutta la sua efficacia anche sul terreno della responsabilità civile, specie ove si consideri il consolidato principio, secondo il quale la normativa sul fatto illecito contiene un implicito rinvio alle disposizioni penali in materia di cause di giustificazione, in presenza delle quali anche l'illecito extracontrattuale resterebbe escluso (32). Quanto al fondamento della scriminante applicabile alle attività sportive, si potrà ricordare — in estrema sintesi — come, al riguardo, si sia fatto riferimento, volta per volta, alla consuetudine (33), al consenso dell'avente diritto (34), all'esercizio del diritto (35), o ancora alla causa di giustificazione non codificata (36), per la quale la ratio sarebbe la stessa che informa le altre figure espressamente previste, secondo cui non sussiste danno sociale quando, fra due interessi in conflitto, uno può essere soddisfatto solo a costo del sacrificio dell'altro (37). La tesi della scriminante tacita, in particolare, viene fondata su un procedimento analogico in bonam partem(38), che pone in risalto l'utilità dello sport per il miglioramento della salute psicofisica dei cittadini e l'interesse primario che l'ordinamento statuale riconnette a detta pratica, visto il suo contenuto altamente educativo (39). L'eco di questo dibattito, conseguentemente, ha trovato riscontro anche in riferimento al gioco del calcio, dove prevalgono i richiami, da un lato, alla figura del consenso dell'avente diritto (40)(o, talvolta, all'esercizio del diritto) e, dall'altro, alla citata scriminante atipica sportiva (41). È stato tuttavia puntualizzato, al riguardo, che, in tema di lesioni cagionate nel contesto a una attività sportiva, ricompresa nella categoria degli sport a violenza solo eventuale (tratto che, secondo i commentatori, accomuna sia il calcio a undici che quello a cinque, come visto) non opera la scriminante di cui agli artt. 50 e 51 c.p. (42)e si verte, invece, in una ipotesi di superamento del c.d. rischio consentito ogniqualvolta venga posta coscientemente a repentaglio l'incolumità del giocatore avversario, il quale deve ragionevolmente attendersi comportamenti agonistici anche rudi, ma non violazioni del dovere di lealtà che si risolvano nel disprezzo per l'altrui integrità fisica (43). Infine, sempre in linea con gli orientamenti maturati sul gioco del calcio, si ritiene inescusabile la condotta tesa a ledere l'avversario senza un'apprezzabile finalità connessa allo svolgimento della gara, di cui si è avuto modo di accennare nelle pagine precedenti. In particolare, la giurisprudenza ha sottolineato che in relazione alla disciplina sportiva del calcetto, al cui contenuto regolamentare si ritiene estranea la violenza fisica, l'illecito meramente sportivo è configurabile solo quando la condotta lesiva (44)si inserisca finalisticamente nel contesto dell'attività agonistica. Esso non ricorrerebbe, invece, quando lo svolgimento della gara sia solo l'occasione dell'azione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica, in realtà avulso dalle esigenze di svolgimento della competizione (45). Da ciò discenderebbe, quindi, una responsabilità piena anche secondo l'ordinamento comune. Sul lato opposto, come si anticipava, si registrano alcuni riferimenti tesi ad un apprezzamento più severo della condotta agonistica esplicata nella disciplina « derivata» rispetto a quella principale. In particolare, la giurisprudenza della S.C., a suo tempo, ha avuto modo di precisare, in termini generali, che il contenuto agonistico del calcio a cinque è minore rispetto al gioco del calcio, in particolare quando si tratti di gara amichevole (46), con tutto ciò che ne consegue relativamente alla valutazione dei danni cagionati nell'arco di dette competizioni. A tali conclusioni potrebbe anche aver concorso il dato pragmatico della maggiore concitazione e frequenza dei contrasti di gioco nella pratica del calcetto, dato che il campo presenta dimensioni notevolmente più ristrette rispetto a quello prescritto per la disciplina principale, con tutto ciò che ne consegue sulle probabilità di verificazione dei sinistri. I tratti che precedono, come visto, mostrano, da parte della giurisprudenza tratti sia di convergenza che di distinzione del calcio a cinque rispetto alla disciplina principale, individuando, a volte, nella disciplina derivata, l'esigenza di una maggiore continenza agonistica. Deve osservarsi, peraltro, che la cornice interpretativa sopra citata si è formata in un periodo in cui le regole tecniche delle due pratiche sportive registravano alcune sostanziali differenziazioni, che giustificavano anche formalmente una tesi di questo tipo. Si tratta di vedere, peraltro, se detto assetto verrà a modificarsi una volta che, come visto, la regolamentazione delle due pratiche sportive tende ora sostanzialmente a coincidere nella norma relativa alle azioni vietate. 4. LA RILEVANZA DELLE REGOLE TECNICO-SPORTIVE NELL'AMBITO DEL GIUDIZIO DI RESPONSABILITÀ CIVILE Come si è avuto modo di constatare nelle pagine che precedono, la regolamentazione tecnica della disciplina del calcio e delle pratiche sportive da essa derivate sembrano esercitare una concreta influenza anche sul giudizio ordinario di responsabilità. Il tema della responsabilità civile nello sport e, in particolare, nel calcio evoca quindi l'interrogativo circa la rilevanza giuridica del fenomeno sportivo, al fine di verificare se lo stesso presenti punti di contatto con l'ordinamento giuridico generale, o se, al contrario, detti fenomeni si collochino su piani sostanzialmente diversi (47). Al riguardo, sebbene si sia registrata una divergenza di opinioni in dottrina (48), diversi orientamenti depongono per ritenere acquisita la giuridicità dell'ordinamento sportivo (49), alla luce di una serie di riscontri sia in sede legislativa che interpretativa. Sotto questo profilo, ad esempio, è parso significativo il dato normativo che, nel riconoscere il CONI quale ente esponenziale dell'ordinamento sportivo, ha conferito allo stesso la personalità giuridica (art. 1, d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242; ma, in precedenza, già l'art. 1, l. 16 febbraio 1942, n. 426, si esprimeva in termini analoghi). La giurisprudenza, dal canto suo, ha evidenziato come il rapporto che intercorre fra l'ordinamento giuridico statale e quello sportivo sia di riconoscimento: da parte dell'ordinamento giuridico statale verrebbe infatti riconosciuto l'ordinamento giuridico sportivo già autonomamente esistente e perciò originario, in quanto collegato all'ordinamento giuridicointernazionale, donde attinge la sua fonte (50). Più di recente, la S.C. ha individuato anche nella Carta costituzionale un possibile fondamento dell'autonomia dell'ordinamento sportivo e precisamente nella tutela della libertà associativa (art. 18 Cost.), oltre che nel riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo (art. 2 Cost.) (51). Dato quanto precede, la giuridicità dell'ordinamento sportivo si manifesterebbe, in primo luogo, con la sua potestà normativa, che si declina in norme statutarie e regolamentari, ivi compresa la previsione delle regole tecniche per le singole discipline. Una volta ammessa la potestà di autonormazione dell'ordinamento sportivo, peraltro, la giurisprudenza tende a circoscriverne la portata alla sola regolamentazione dello specifico settore, restando devoluti ad una riserva di legge (intesa anche come legge in senso materiale) i rapporti intersoggettivi e le situazioni giuridiche attive dei privati (52). Posto che il principio appena esposto era inizialmente maturato nell'ambito di una vicenda relativa a rapporti negoziali attinenti all'ambito sportivo (53), esso non ha mancato, tuttavia, di spiegare i suoi effetti anche sul terreno della responsabilità civile. La successiva giurisprudenza, infatti, ha avuto occasione di soggiungere che anche le controversie aventi ad oggetto una richiesta di risarcimento del danno extracontrattuale devono essere ricondotte alla giurisdizione ordinaria (54), in quanto concernenti un diritto che trova la sua unica tutela nell'ordinamento giuridico positivo (55). Posto quanto sopra, risultano più definiti i rapporti fra ordinamento generale e sportivo: una volta limitata la potestà regolamentare di quest'ultimo ad un'efficacia sostanzialmente interna, il giudizio di responsabilità civile resta di esclusiva pertinenza dell'ordinamento generale e, conseguentemente, devoluto alla cognizione del giudice ordinario. Dato questo perimetro, resta tuttavia da affrontare il quesito relativo a quale sia la rilevanza delle norme sportive rispetto al giudizio di responsabilità civile, per i danni verificatisi nel corso della competizione. Come meglio si vedrà fra poco, infatti, la statuizione di regole tecniche di condotta non è priva di rilevanza nella valutazione del giudice ordinario, a comprova di una certa « permeabilità » fra i due sistemi. Si tratta quindi di individuare il modo attraverso il quale l'infrazione tecnico-sportiva interagisca con l'ordinamento generale, fino a diventare elemento costitutivo della colpa aquiliana. In tale prospettiva, pare opportuna una preliminare analisi tesa a verificare le finalità cui è ispirata la regola sportiva. Su questa tematica, a parere degli interpreti, se è vero che dette disposizioni sono principalmente dettate per sanzionare una condotta tecnicamente irregolare, vero è peraltro che esse possono rispondere ad una pluralità di esigenze, che vanno dalla necessità di garantire l'equilibrio della competizione fino alla prevenzione di veri e propri eventi dannosi a carico del partecipante o di terzi (56). Non mancano, oltre a tutto, disposizioni ispirate ad entrambe le finalità, fra le quali possono annoverarsi, a titolo di esempio, il divieto di colpire l'avversario sotto la cintura (pugilato) o l'obbligo di dare strada (gare motoristiche). Del resto, anche la violazione di una norma posta a garanzia della parità iniziale dei partecipanti potrebbe, in concreto, concorrere a determinare una valutazione di responsabilità civile (si pensi, in questa prospettiva, all'obbligo di mantenere la propria corsia nelle gare di atletica leggera) (57). Ciò posto, la richiamata Regola 12 sulle azioni vietate, comune sia alla disciplina del calcio che a quella del calcetto, parrebbe potersi ascrivere alle norme sportive destinate a preservare sia la correttezza della contesa agonistica, sia l'integrità fisica dei partecipanti, visto che la gran parte delle condotte sanzionate dalla prescrizione citata rivestono una indubbia potenzialità lesiva nei confronti del destinatario del contrasto. Né la prospettiva di fatto muterebbe qualora si volesse semplicemente affermare che, nel tutelare l'integrità fisica del partecipante, si avesse in realtà, come scopo mediato, quello di garantire il regolare svolgimento della competizione. Sciolta questa riserva, si porrebbe peraltro un problema già avvertito nel dibattito generale sulla valenza della norma tecnica nel giudizio di responsabilità ordinaria. In altre parole, infatti, quand'anche riconosciuta la rilevanza giuridica delle regole di condotta sportiva e la pluralità degli oggetti della sua tutela, si tratta di verificare se la mera osservanza di tali prescrizioni sia sufficiente (o meno) ad escludere la fattispecie aquiliana. Sul punto, si confrontano peraltro diverse ipotesi ricostruttive, variamente argomentate da parte degli interpreti (58), che, in qualche misura, sono state anticipate nelle pagine che precedono e che ora conviene riassumere. In prima analisi, è stato quindi sostenuto che l'illecito comune si configura solo nel caso in cui sia stata violata anche la regola sportiva. Conseguentemente, nel caso di scrupolosa osservanza di quest'ultima, non potrebbe residuare alcun profilo di responsabilità (59). Altra corrente interpretativa ritiene invece che il mero rispetto delle norme federali non sarebbe da solo sufficiente ad escludere la responsabilità di tipo comune, dal momento che l'atleta è invece tenuto ad un quid pluris, consistente nel vigile ed umanitario rispetto dell'altrui integrità fisica (60). Il principio si rinviene, fra l'altro, nella risalente giurisprudenza della S.C., dove era stata sanzionata la condotta lesiva di un contendente, nonostante l'azione di gioco risultasse, all'epoca, conforme al regolamento sportivo vigente (61). Fra i giudici di merito — con più espresso riferimento all'illecito civile — è stato quindi evidenziato come la tutela dei diritti dei terzi resta affidata ai principi generali, fra cui ha preminente rilievo quello del neminem laedere, del quale le norme sportive possono costituire un complemento o un'integrazione: in altre parole, le norme tecnico-sportive avrebbero un mero valore sussidiario rispetto ai canoni di comune prudenza (62). La tesi appena prospettata, pertanto, va nel senso che il rispetto della regola sportiva, di per sé, non esclude che possa astrattamente configurasi una responsabilità di tipo aquiliano. Vero è peraltro che, una volta accertata la correttezza della condotta sotto il profilo tecnico, sembra comunque assottigliarsi il margine per un eventuale giudizio di colpevolezza civile, che risulterebbe a tale effetto fondato su criteri più rigorosi e, in fin dei conti, estensivi di quelli già contemplati dal regolamento, nelle cui norme è stato presumibilmente ponderato il rischio insito nello svolgimento della specifica disciplina sportiva (63). Tuttavia, l'ipotesi, per quanto residuale, non pare priva di rilievo: come detto, il fatto stesso che la giurisprudenza abbia, a suo tempo, sanzionato una condotta di gioco sebbene conforme al regolamento, dimostra che i regolamenti medesimi non sempre riescono a prevedere fin dall'origine tutte le condotte potenzialmente pericolose per l'incolumità fisica dei partecipanti. Non mancano, fra l'altro, espressi riferimenti nei quali si richiamano gli « addetti ai lavori» a colmare, con la loro prudenza ed esperienza, eventuali lacune che le regole tecniche possono sempre in concreto presentare (64). Quanto sopra risulterebbe vero, a maggior ragione, per gli sport di recente affermazione, le cui prescrizioni tecniche potrebbero avere necessità di un periodo di verifica e di assestamento. In questo quadro, si evidenzia l'orientamento che ravvisa nella condotta conforme alle regole sportive una presunzione di liceità, la quale verrebbe meno solo di fronte ad oggettivi elementi di responsabilità (65). All'estremo opposto, si colloca invece la tesi secondo la quale la violazione della norma regolamentare sportiva non comporta necessariamente una responsabilità di tipo comune. Sussisterebbe infatti un margine di azioni lesive che, pur contrarie ai regolamenti di gioco, non sarebbero sanzionabili, in quanto rientrano nel rischio che ogni atleta consapevolmente assume nell'esercizio della propria disciplina. Detto tratto, come visto in premessa, è stato particolarmente approfondito dalle Sezioni penali della Suprema Corte, che hanno elaborato, al proposito, la figura del c.d. rischio del fallo (66), ma ha ricevuto in seguito un significativo riscontro dalla restante giurisprudenza (67), alla quale, atteso il percorso della motivazione, sembra potersi ascrivere anche la sentenza che qui si annota. 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE La rassegna che precede induce ad alcune considerazioni di sintesi. In primo luogo, emerge come la regolamentazione delle condotte vietate nel calcio a undici sia stata ormai estesa alla pratica del calcio a cinque, visto il sostanziale allineamento della normativa federale sul punto (a parte alcune residue marginali differenziazioni). Il ravvicinamento dei due testi regolamentari, fra l'altro, consente ora di avere un riferimento più solido per l'eventuale estensione dei medesimi a ulteriori discipline derivate. Tuttavia, resta da verificare se, a fronte di una norma sanzionatoria sportiva ormai omogenea, il quadro giurisprudenziale tenderà anch'esso ad omologarsi, posto che, fino ad oggi, gli orientamenti tendevano verso una valutazione più severa dell'azione esplicata nell'ambito del calcio a cinque. Come visto, infatti, riguardo a quest'ultimo non mancano i richiami ad una condotta più continente rispetto al quantum di irruenza agonistica consentito nel gioco del calcio, anche per via di alcune caratteristiche intrinseche della competizione. Inoltre, non è da escludere che l'allineamento delle norme regolamentari e, in particolare, di quella sulle condotte vietate, vadano, medio tempore, ad influenzare anche le varie redazioni circolanti sulla disciplina del calcio a sette, auspicabilmente giungendo ad una stesura uniforme della stessa. Per quanto attiene più propriamente all'illecito aquiliano, posto che l'osservanza (o meno) della regola tecnica sembra ancora costituire un utile (anche se non determinate) indicatore nell'ambito del giudizio di responsabilità civile, tuttavia l'accreditarsi, sotto quest'ultimo versante, della tesi che ritiene non perseguibili le azioni irregolari, quando finalisticamente giustificate dalla tensione al risultato agonistico, rischia di accentuare il divario fra norma sportiva e norma comune. A fronte del medesimo episodio, infatti, ben potrebbe verificarsi che l'ordinamento sportivo sanzioni la condotta vietata dal regolamento, ma che quest'ultima, sotto il profilo del giudizio risarcitorio, venga invece mandata esente da responsabilità, una volta ravvisato il collegamento teleologico di cui sopra. Si assisterebbe quindi ad una sempre più marcata asimmetria di valutazione per i due versanti e, sotto questo aspetto, risulterebbe indirettamente circoscritto il ruolo della norma sportiva, relegata così ad un ambito strettamente tecnico. Non ultimo, l'aver fondato il discrimine fra condotte giustificate e condotte perseguibili su criteri difficilmente oggettivabili, quali la c.d. lealtà sportiva e simili, non consente all'interprete di rapportare la propria valutazione a parametri univoci, trattandosi, come è evidente, di operazione suscettibile di ampi margini di opinabilità. Fra l'altro, è lecito porsi il dubbio che l'esonero da responsabilità di determinate condotte in ragione del solo risultato sportivo rischi di determinare la creazione aree di non punibilità talmente estese da risultare difficilmente giustificabili sul piano dell'ordinamento generale, posto che la gravità di alcuni casi, rimasti privi di tutela risarcitoria, non sembra deporre per un vaglio sempre efficace. A questo proposito, infatti, un eccessivo allargamento dell'esimente sportiva non sempre pare coerente con la ratio che dovrebbe essere sottesa a tale effetto. Si pensi, ad esempio, al tema della scriminante sportiva non codificata, che, come visto, troverebbe il suo fondamento nell'interesse ad incentivare la pratica agonistica per i suoi benefici effetti sui consociati. Ciò posto, nel momento in cui si riconosce che detta esimente proietta la sua copertura su condotte che, in violazione dei regolamenti di gioco, cagionino danni fisici, anche gravi, all'avversario, sorge allora qualche dubbio se ciò sia del tutto coerente con le finalità appena richiamate, o se sia invece più appropriato ritenere che l'ordinamento abbia interesse ad incoraggiare un'attività sportiva solo se ed in quanto praticata secondo le regole. In questo quadro — e in attesa di eventuali assestamenti più soddisfacenti del quadro interpretativo — pare necessario che la valutazione sul sinistro sportivo venga più saldamente ancorata ad alcuni criteri che iniziano, come visto, a trovare significativi riscontri in sede giudiziale, quali la considerazione della tipologia della competizione e delle qualità dei partecipanti, in modo che l'astratta liceità della condotta agonistica venga adeguatamente contestualizzata e, quando necessario, circoscritta. Note: (*) Contributo approvato dai Referee. (1) Sul tema, si vedano, fra gli altri, Alpa, La responsabilità civile in generale e nell'attività sportiva, in Riv. dir. sport., 1984, 487; Bona-Castelnuovo-Monateri, La responsabilità civile nello sport, Milano, 2002; Frattarolo, La responsabilità civile per le attività sportive, Milano, 1984; Scialoja, voce Responsabilità sportiva, in Dig. IV, disc. priv., Sez. civ., XVII, Torino, 1988, 410 ss.; Sica, Lesioni cagionate in attività sportive e sistema di responsabilità, in Corr. giur., 2000, 737; Vidiri, La responsabilità civile nell'esercizio delle attività sportive, in Giust. civ., 1994, II, 199; nonché, volendo, Frau, La responsabilità civile sportiva, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, X, Torino, 1998, 305 ss. Ulteriori spunti in Bertini, La responsabilità sportiva, Milano, 2002; e Capilli-Putti, La responsabilità nello sport, in Bessone (a cura di), Casi e questioni di diritto privato, XX, Milano, 2002, 67 ss.; nonché in Facci, La responsabilità del partecipante ad una competizione sportiva, in questa Rivista, 2005, 1038 ss.; Palmieri, Oltre l'agonismo: competizioni sportive e responsabilità civile, in Riv. dir. sport., 1997, II, 764; Sferrazza, La responsabilità oggettiva delle società di calcio, in questa Rivista, 2008, 2154. Per un compendio degli orientamenti giurisprudenziali, sia consentito rinviare al nostro La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Profili generali, ivi, 2006, 1028 ss. (2) Sul tema, si conceda di fare riferimento ai nostri FrauLa responsabilità civile sportiva nel calcio: collegamento funzionale all'azione di gioco, tipologia di gara e qualità dei partecipanti, in questa Rivista, 2011, 2250 ss.; La responsabilità civile nel gioco del calcio torna davanti al giudice di merito, ivi, 1141; nonché La responsabilità extracontrattuale nel gioco del calcio, in Aa.Vv., Calcio professionistico e diritto, a cura di Demuro-Frosini, Milano, 2009, 291 ss.; La responsabilità civile nel calcio davanti al giudice di merito, in questa Rivista, 2007, 886; La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Il gioco del calcio, ibidem, 2006, 2026 ss. V. anche Maietta, Lesioni cagionate durante una gara di calcio: un “vulnus” all'autonomia dell'ordinamento sportivo, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 682. (3) L'annotata pronuncia richiama espressamente, sul punto, Cass. civ., 8 agosto 2002, n. 12012, in Foro it., 2003, I, 168; e, sebbene relativa a diversa pratica sportiva, Cass. civ., 22 ottobre 2004, n. 20597, in Giust. civ. Mass., 2004, 10; e in Danno resp., 2005, 509, con nota di Conti. (4) Il principio va, ovviamente, riconfigurato per i casi in cui la violenza fa parte del contenuto tecnico della disciplina (boxe, lotta, ecc.). (5) Da ultimo, Cass. civ., 16 febbraio 2011, n. 7247, in questa Rivista, 2011, 2250 ss.; ma già Trib. Piacenza, 1° giugno 2010, ivi, 1138. (6) Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, in Foro it., 1993, II, 79; in Giust. pen., 1993, II, 279. (7) Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2003, n. 39204, in Riv. pen., 2004, 194 (fattispecie relativa alle gravi lesioni cagionate ad un avversario, durante una partita di calcio, con un intervento a gamba tesa). (8) Trib. Rieti, 12 gennaio 2001, in Giur. merito, 2001, 409. Nella specie, la lesione inferta all'avversario, in una partita di calcio, è stata appunto giustificata — e si è escluso il reato ex art. 582 c.p. — essendosi ravvisato il « fallo da ultimo uomo », commesso dall'ultimo difensore per evitare il goal. Il tribunale qui mostra, pertanto, di inquadrare detta condotta nell'ambito di una tensione al risultato sportivo e ne esclude la perseguibilità giuridica. L'eventualità del ricorso al fallo, purchè contenuto nei limiti dell'utilità e dell'economia della competizione, era già stata anticipata da una parte della dottrina: si veda, al riguardo, Bonvicini, La responsabilità civile, I, Milano, 1971, spec. 437. (9) Trib. Aosta, 21 maggio 1997, in questa Rivista, 1997, 1208, con nostra nota, La responsabilità per lesioni personali nell'incontro di calcio (fattispecie relativa ad un caso di lesioni personali gravi, per avere il contendente sferrato volontariamente un calcio al viso dell'avversario). (10) Cass. civ., 8 agosto 2002, n. 12012, cit.; e Trib. Napoli, 28 settembre 2006, in questa Rivista, 2007, 881, con nostra nota. Recenti spunti anche in Trib. Piacenza, 1° giugno 2010, cit. (11) Si veda, in particolare, Trib. Milano, 24 giugno 2004, a quanto consta inedita, ma in www.dejure.it, che ha sancito l'obbligo risarcitorio per le lesioni conseguite ad un violento sgambetto da tergo all'avversario, ritenuto ingiustificabile alla luce del carattere amichevole della gara. Si rinvia, inoltre, ai richiami riportati in nota 30 circa l'esigenza di una valutazione sulle caratteristiche della competizione e delle qualità dei partecipanti. (12) Si veda Cass. pen., Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 24942, in Riv. pen., 2001, 727 (per il caso delle lesioni cagionate, durante una partita di « calcio a cinque », con una gomitata all'avversario, a seguito del « tunnel » subito). Sul tema, v. inoltre Trib. Milano, 20 dicembre 1999, in Riv. dir. sport., 2000, 189, secondo la quale i partecipanti ad una partita di calcetto, decidendo di scendere in campo, assumono il rischio di condotte violente degli altri competitori non conformi alle regole del gioco, le quali non sono fonte di responsabilità civile qualora siano poste in essere senza l'intenzione di ledere la persona altrui o comunque non denotino disprezzo per l'incolumità del concorrente e siano adeguate alla finalità del gioco oltre che ispirate a razionalità sportiva. (13) Tanto che lo stesso regolamento del calcio ha registrato progressivi assestamenti: si veda il caso della « carica al portiere », all'epoca non vietata dal regolamento, che venne, in seguito, appositamente modificato: Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 1950, in Giust. pen., 1951, II, 232 ss. Più recentemente, si vedano le modifiche al Regolamento di gioco del calcio, con la previsione di condotta gravemente sleale per l'annullamento di una chiara occasione da rete ad un calciatore che si dirige verso la porta avversaria commettendo un fallo punibile con un calcio di punizione o di rigore. (14) Oltre a Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 1950, cit., v. anche gli spunti in Cass. pen., Sez. IV, 22 maggio 1967, in Giust. pen., 1967, II, 582. (15) Cass. pen., Sez. V, 6 marzo 1992, in Cass. pen., 1995, 565 (s.m.); e in Giust. pen., 1994, II, 313 (s.m.) (fattispecie nella quale le lesioni erano state prodotte con un calcio sferrato da un giocatore mentre veniva effettuata una rimessa in campo da un avversario, e cioè in una fase in cui il gioco non era in via di svolgimento); Cass. pen., 20 novembre 1973, in Foro it., 1974, II, 377; Trib. Venezia, 27 settembre 1999, in Giur. merito, 2000, 641; e in Giust. pen., 2000, II, 511. Si veda altresì Cass. pen., 27 marzo 2001, n. 24942, cit., per un richiamo ai medesimi principi nel gioco del calcio a cinque. (16) Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2005, n. 45210, in Ced Cass. pen. 2005, rv. 232723. (17) Trib. Belluno, 28 maggio 1986, in Riv. dir. sport., 1991, 97. Sotto il profilo penalistico, fra l'altro, la giurisprudenza non si è mostrata propensa ad accogliere, in casi similari, la richiesta di attenuanti per l'aver agito l'atleta sotto la suggestione di una folla in tumulto: così Pret. Palermo, 14 novembre 1975, in Riv. dir. sport., 1975, 404. (18) Trib. Trento, 2 gennaio 2001, cit. Per l'inescusabilità del fallo a gioco fermo durante una partita di calcio, v. anche Trib. Marsala, 29 ottobre 1981, in Riv. dir. sport., 1982, 197. (19) Il testo integrale della norma regolamentare del calcio a cinque sta in www.aiafigc.it/download/regolamenti/reg_2011_c5.pdf. Si veda, in particolare, il seguente estratto:REGOLA 12 - Falli e scorrettezze. Falli sanzionabili con un calcio di punizione diretto.Un calcio di punizione diretto è accordato alla squadra avversaria se un calciatore commette una delle sette infrazioni seguenti in un modo considerato dagli arbitri negligente, imprudente o con vigoria sproporzionata: dà o tenta di dare un calcio ad un avversario; sgambetta un avversario; salta su un avversario; carica un avversario; colpisce o tenta di colpire un avversario; spinge un avversario; effettua un tackle su un avversario.Un calcio di punizione diretto è parimenti accordato alla squadra avversaria del calciatore che commette una delle seguenti tre infrazioni: trattiene un avversario; sputa contro un avversario; tocca deliberatamente il pallone con le mani (ad eccezione del portiere nella propria area di rigore) (...). (20) La corrispondente regola per la disciplina del calcio sanziona anche il tentativo di sgambetto. (21) Per una prima definizione di tackle, nel web v. www.garzantilinguistica.it: « contrasto diretto tra due giocatori per la conquista del pallone ». Più articolata la definizione di Wikipedia, Tackle nel calcio: « Il termine tackle (o contrasto) sta ad indicare, nel calcio, il contrasto tra due giocatori avversari, nel quale il giocatore senza palla cerca di togliere la palla all'avversario. Il tackle è detto “scivolata” quando il giocatore senza palla esegue una scivolata cercando di toccare con il piede il pallone in possesso dell'avversario. L'invenzione di tale gesto è attribuita all'uruguaiano Schiaffino. Ogniqualvolta il giocatore che esegue il tackle tocca il calciatore avversario al posto del pallone, si commette un fallo. Questo accade anche quando si esegue un tackle sulla palla ma in maniera eccessivamente irruente e pericolosa ». (22) Il testo previgente della regola del calcio a cinque, al momento della presente stesura, è ancora disponibile sul linkwww.figc.it/it/98/3821/Norme.shtml. Esso si esprimeva nei seguenti termini, evidenziando che il tackle da tergo scivolato era vietato in via assoluta, non richiedendosi il requisito aggiuntivo dell'imprudenza o dell'eccessivo ardore agonistico. Si veda, in particolare, la lettera i): « tenta di giocare il pallone intervenendo in scivolata da tergo su un avversario che sia in possesso del pallone o che sia in procinto di giocarlo (contrasto da tergo scivolato). Questa norma non si applica al portiere che si trova nella propria area di rigore, purché egli non giochi in maniera imprudente, spericolata o con sproporzionata vigoria ». (23) Si vedano, nel web, le varie redazioni CSI, UISP, ANSPI, ecc., che variano anche a seconda della piazza su cui si esercita l'attività sportiva. (24) Per una delle « codificazioni » di questa disciplina, v. « Regolamento del gioco del Calcio a 7 Uisp », di Genova ed. 2012-2013, in www.uisp.it/genova (che sostituisce l'edizione 2010). In particolare, si veda la « Regola 10 »:I falli e le scorrettezze devono essere puniti come segue: Calcio di punizione indiretto. Un calcio di punizione diretto è accordato alla squadra avversaria del calciatore che a giudizio dell'arbitro, commette per negligenza, imprudenza oppure per vigoria sproporzionata uno dei seguenti dieci falli: 1) da o tenta di dare un calcio ad un avversario; 2) fa o tenta di fare uno sgambetto ad un avversario; 3) salta su un avversario; 4) carica un avversario; 5) colpisce o tenta di colpire un avversario; 6) spinge un avversario; 7) effettua un tackle su un avversario; 8) trattiene un avversario; 9) sputa contro un avversario; 10) tocca volontariamente il pallone con le mani e/o con le braccia (ad eccezione del portiere quando si trova all'interno della propria area di rigore). (25) Ad esempio, in caso di competizioni « libere ». (26) Si rinviene, nel web, una qualche rispondenza a questa ricostruzione, sebbene non giuridicamente motivata: « Per lo svolgimento del calcio a 7 si applica il Regolamento Tecnico di gioco per il calcio a 11 della FIGC, al quale tuttavia, vengono applicate delle importanti eccezioni (...). A differenza del calcio a 5, le scivolate con intento di prendere la palla ritenute dall'arbitro non pericolose, sono permesse », in http://it.wikipedia.org/wiki/Calcio_a_7. (27) Così Cass. pen., Sez. IV, 10 maggio-6 ottobre 2006, n. 33577, in questa Rivista, 2006, 2071 ed ivi i richiami ai precedenti gradi di giudizio: Trib. Trapani, 24 maggio 2002; e App. Palermo, 9 maggio 2003. Il tratto si coglie in un obiter dictum della sentenza, in cui la ratio del ridotto grado di violenza consentito sembrerebbe individuata dalla S.C. nel minor numero dei partecipanti alla competizione: « Donde la violazione delle regole calcistiche e delle norme di prudenza, stante la sproporzione e l'eccessività dell'intervento a fronte della caratteristiche dell'incontro di calcio, a cinque giocatori per parte (già per questo differenziatesi dal calcio tradizionale ad undici giocatori contrapposti per il minor contenuto agonistico)... ». (28) Cass. pen., Sez. V, 6 marzo 1992, cit.; Più recentemente, Cass. pen., Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 24942, cit. (29) Non è qui possibile ripercorrere, dato il taglio del presente contributo, l'articolato dibattito sul rischio sportivo. Per limitarsi ad un richiamo della giurisprudenza saliente in tema di responsabilità civile, v. Cass. civ., 15 gennaio 2003, n. 482, in Dir. giust., 2003, 5, 30; Cass. civ., 20 febbraio 1997, n. 1564, in questa Rivista, 1997, 699, con nostra nota; Cass. civ., 10 luglio 1968, n. 2414, ivi, 1969, 335. Frequenti riscontri si ritrovano poi nelle Sezioni penali della S.C.: Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2005, n. 19473, in questa Rivista, 2005, 1034, con nota di Facci; e in Riv. pen. 2005, 951, nonché in Giur. it., 2006, 3 589; Cass. pen., Sez. V, 2 giugno 2000, n. 8910, in Riv. pen., 2000, 1148; Cass. pen., Sez. III, 25 febbraio 2000, in questa Rivista, 2001, 133; Cass. pen., Sez. V, 21 febbraio 2000, in Corr. giur., 2000, 737, con nota di Sica, nonché in Riv. dir. sport., 2000, 2; Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit. Anche nella giurisprudenza di merito non mancano i riferimenti: App. Genova, 11 febbraio 1981, in Riv. dir. sport., 1982, 186; Trib. Bologna, 5 agosto 2004, in Gius, 2004, 4227; Trib. Trento, 2 gennaio 2001, in Riv. pen., 2001, 395; Trib. Milano, 20 dicembre 1999, in Riv. dir. sport., 2000, 189, con nota di Chinè-Agnino; Trib. Aosta, 21 maggio 1997, in questa Rivista, 1997, 1208, con nostra nota; Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1994, 434. In dottrina, si vedano, fra gli altri, Busnelli-Ponzanelli, Rischio sportivo e responsabilità civile, in questa Rivista, 1984, 283; De Marzo, Accettazione del rischio e responsabilità civile, in Riv. dir. sport., 1992, 8 ss.; Frattarolo, La responsabilità civile per le attività sportive, cit., 54; Pascasio, Sul rischio sportivo, in Riv. dir. sport., 1961, 73; nonché Maiorca, Colpa civile, in Enc. dir., VIII, Milano, 1960, 534; e il nostro, La responsabilità civile sportiva, in Il diritto privato nella giurisprudenza, cit., spec. 74 ss. (30) Trib. Milano, 20 dicembre 1999, cit. A tale proposito, sembra utile ricordare, per quanto incidentalmente, che, a parere della giurisprudenza, il rischio « accettabile ed accettato » dal contendente viene ad assumere diverse graduazioni a seconda che si tratti di competizione fra professionisti o dilettanti, ovvero di gara ufficiale o allenamento e che, in tale ultima ipotesi, detto rischio tenderà ad assumere un contenuto minimo. Non mancano, al riguardo, orientamenti tesi a sanzionare con maggior rigore la condotta lesiva esplicata nel contesto di una mera esibizione (Trib. Roma, 4 aprile 1996, in questa Rivista, 1996, 1247) o di un allenamento [App. Milano, 14 ottobre 1960, in Riv. dir. sport., 1961, 196; Cass. pen., Sez. IV, 22 novembre 1961 (ud.), in questa Rivista, 1962, 507 (s.m.)], quando ritenuta eccessiva ed anomala rispetto al modesto contenuto agonistico insito in tali contese (in dottrina, v. Dini, L'atleta e i limiti del rischio, in Riv. dir. sport., 1977, 60 ss.). (31) Si vedano, fra gli altri e salvo quanto richiamato nelle successive note: Russo, Lesioni sportive, tra illecito sportivo e responsabilità, in Foro it., 2000, II, 321; Bellagamba, Fondamento e limiti di punibilità della violenza sportiva, in Dir. pen. proc., 2000, 995; De Francesco, La violenza sportiva ed i suoi limiti scriminanti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 588; Dinacci, Violenza sportiva e liceità penale: un mito da superare, in Giur. merito, 1984, 1210; Vidiri, Illecito penale e lesioni cagionate in competizioni sportive, in Riv. dir. sport., 1992, II, 327; Di Pietropaolo, Note in tema di scriminante dell'esercizio dell'attività sportiva, in Cass. pen., 2001, II, 508. (32) Cass. civ., 3 giugno 1998, n. 5462, in Giust. civ. Mass., 1998, 1205; Trib. Verona, 13 dicembre 1988, in Giur. it., 1990, I, 2, 135, nonché, con espresso riferimento all'attività sportiva, Pret. Trento, 11 maggio 1996, in Riv. dir. sport., 1997, 277. (33) Spunti già in Cass., 24 febbraio 1928, in Giur. it., 1928, 141. V., in dottrina, Pichler, La lesione sportiva nel diritto penale, in Riv. dir. sport., 1964, 63. La tesi fondata sull'esimente consuetudinaria, nonostante alcuni isolati consensi, ha prestato però il fianco all'obiezione che quest'ultima non può avere l'effetto di abrogare le fattispecie delittuose legislativamente previste, a meno che non sia precedente all'intervento del legislatore e da questi riconosciuta: cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 1985, 65; Vidiri, Illecito penale e lesioni cagionate in competizioni sportive, in Giust. pen., 1993, II, 280 ss., 283. (34) V. Cass., 24 febbraio 1928, cit. Sul consenso dell'avente diritto come scriminante sportiva, v. Chiarotti, La responsabilità penale nell'esercizio dello sport, in Riv. dir. sport., 1959, 237 ss.; Rampioni, Sul c.d. «delitto sportivo»: limiti di applicazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, 660 ss. V. la giurisprudenza delle Corti penali: Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2003, n. 39204, cit.; Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit.; Cass. pen., Sez. I, 20 novembre 1973, cit. Ma anche Trib. Brindisi, 9 dicembre 1999, in Riv. dir. sport., 2000, 160. Secondo tale inquadramento, in particolare, il partecipante ad una competizione presterebbe il proprio assenso a subire offese alla propria integrità fisica, accettando il rischio connaturato alla specifica disciplina praticata. La tesi sconta tuttavia il rilievo che il diritto all'integrità fisica e alla vita sono beni indisponibili e, pertanto, un illimitato consenso dell'atleta in ordine alla lesione dei medesimi deve ritenersi inefficace, considerato anche che, come noto, l'ordinamento vieta l'omicidio del consenziente e gli atti dispositivi che cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica: Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., 271. (35) Su tale prospettazione, v. Caianiello, L'attività sportiva nel diritto penale, in Riv. dir. sport., 1975, 273 ss.; Nuvolone, I limiti taciti della norma penale, Padova, 1972, 181; Pannain, Violazione delle regole del giuoco e delitto sportivo, in Arch. pen., 1962, 670 ss. In giurisprudenza, Trib. Bari, 22 maggio 1963, in Arch. pen., 1964, II, 71. Tale opinione, che tende a valorizzare una rilevanza giuridica immediata della regola sportiva nell'ordinamento generale, incontra peraltro il limite che, così argomentando, la scriminante andrebbe ad operare solo per l'attività sportiva svolta in competizioni ufficiali, sotto l'egida del CONI o delle sue federazioni, restandone escluse le competizioni libere: Frattarolo, op. cit., 34. (36) Antolisei, loc. ult. cit.; Borruso, Combattimento sportivo e diritto penale. L'incidenza della responsabilità penale nell'esercizio dello sport, in Riv. dir. sport., 1956, 409 ss., 431. In giurisprudenza, v. recentemente Cass. pen., Sez. V, 4 luglio 2008, n. 44306, in Foro it., 2009, II, 77; e in Guida dir., 2009, 1, 96 (s.m.); ma anche Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2003, n. 39204, cit.; Cass. pen., Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 24942, cit.; Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2005, n. 19473, cit.; Cass. pen., 2 giugno 2002, in Riv. pen., 2000, 1148; Cass. pen., Sez. V, 21 febbraio 2000, cit.; Cass. pen., Sez. V, 2 dicembre 1999, n. 1951, in Cass. pen., 2000, 3016, con nota di D'Ambrosio; e in Riv. pen., 2000, 321. Fra la giurisprudenza di merito, v. Trib. Rieti, 12 gennaio 2001, cit.; Trib. Trento, 2 gennaio 2001, in Riv. pen., 2001, 395. (37) Spunti dottrinali in Antolisei, op. cit., 271; e Bettiol, Diritto penale, Padova, 1972, 359. (38) Antolisei, loc. ult. cit.; Borruso, Combattimento sportivo e diritto penale. L'incidenza della responsabilità penale nell'esercizio dello sport, cit., 431. In giurisprudenza, v. recentemente Cass. pen., Sez. V, 4 luglio 2008, n. 44306, cit.; ma anche Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2003, n. 39204, cit.; Cass. pen., Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 24942, cit.; Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2005, n. 19473, cit.; Cass. pen., 2 giugno 2002, in Riv. pen., 2000, 1148; Cass. pen., Sez. V, 21 febbraio 2000, cit.; Cass. pen., Sez. V, 2 dicembre 1999, n. 1951, cit.; Fra la giurisprudenza di merito, v. Trib. Rieti, 12 gennaio 2001, cit.; Trib. Trento, 2 gennaio 2001, cit. (39) In particolare, l'opinione prevalente ritiene che le competizioni sportive siano incoraggiate dal legislatore per gli effetti positivi svolti sulle condizioni fisiche della popolazione, tali da giustificare la configurazione di una specifica — per quanto non espressamente contemplata — causa di giustificazione. Al riguardo, v. Cass. pen., Sez. V, 20 gennaio 2005, n. 19473, cit.; ma anche Cass. pen., Sez. V, 21 febbraio 2000, cit. (40) Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit. Ma, più recentemente, un richiamo a questo tipo di esimente si rinviene in Cass. pen., Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 24942, cit.; nonché in Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2003, n. 39204, cit.; Pret. Trento, 11 maggio 1996, cit. (41) Cass. pen., Sez. V, 21 febbraio 2000, cit.; Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit.; Trib. Rieti, 12 gennaio 2001, cit. (42) L'inciso evoca la tematica delle cause di giustificazione nell'attività sportiva, che, data la sede, può essere qui solo incidentalmente richiamata. Si veda, al riguardo, la letteratura citata alla nota 31. (43) Cass. pen., Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 24942, cit. (44) La Corte cita, quali azioni di gioco, l'esempio del diretto controllo e tiro del pallone, del tentativo di impossessarsene e di contenderlo all'avversario e la corsa per introdursi nell'azione, in attesa di ricevere il pallone in possesso di altri giocatori. (45) Cass. pen., Sez. V, 6 marzo 1992, cit. (46) Così Cass. pen., Sez. IV, 10 maggio-6 ottobre 2006, n. 33577, cit., Si noti come, nel caso esaminato, la S.C. avesse evidenziato che, a differenza degli altri giocatori, compresa la vittima delle lesioni, il danneggiante aveva militato nella serie B di calcio a cinque. (47) Sul tema, si vedano, senza pretesa di completezza, Di Nella, La teoria della pluralità degli ordinamenti e il fenomeno sportivo, in Riv. dir. sport., 1998, 5 ss.; Id., Il rapporto fra fenomeno sportivo e diritto, osservazioni di teoria generale e di diritto civile, comunitario e comparato, ibidem, 243 ss.; Id., Il fenomeno sportivo nell'unitarietà e sistematicità dell'ordinamento giuridico, ivi, 1999, 25 ss.; Frosini, L'ordinamento sportivo nell'ordinamento costituzionale, in Aa.Vv., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Napoli, 2009, 305 ss.; Manfredi, Osservazioni sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, in Foro amm. TAR, 2006, 2971 ss.; Paolantonio, Ordinamento statale e ordinamento sportivo: spunti problematici, ivi, 2007, 1152 ss.; Perlingieri, Riflessioni conclusive, in Aa.Vv., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, cit., 715 ss.; Quaranta, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. dir. sport., 1979, 29 ss.; Valori, Il diritto nello sport, II ed., Torino, 2009, 3 ss.; Zatti, «Ordinamento sportivo» e ordinamento giuridico statuale tra «autonomia» e «riserva di giurisdizione». Dal «diritto dei privati» all'«ordinamento settoriale»: verso una « lex sportiva»?, in Rass. dir. econ. sport, 2007, 316 ss. (48) Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, III ed., Napoli, 2006, 159 ss.; Lepore, La responsabilità civile e la tutela della «persona-atleta», Napoli, 2009, 36 ss.; Da ultimo, v. Berti De Marinis, La responsabilità civile dei genitori ex art. 2048 c.c. per il fatto illecito del minore commesso durante una partita di calcio, in questa Rivista, 2012, 1960 ss. Sul tema, v. anche Pellegrini, L'evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Milano, 2007, 46 ss.; e Di Nella, Lo sport. Profili teorici e metodologici, in Id. (a cura di), Manuale di diritto dello sport, Napoli, 2010, 54 ss. (49) V. già Cesarini Sforza, La teoria degli ordinamenti giuridici ed il diritto sportivo, in Foro it., 1933, 1381 ss. Ma anche Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, 10 ss.; Id., Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, 671; Luiso, La giustizia sportiva, Milano, 1975, 359 ss.; Modugno, Pluralità degli ordinamenti, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1983, 32 ss. (50) Cass. civ., 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro it., 1978, I, 862, nella cui motivazione è richiamato analogo precedente della S.C.: Cass. civ., 2 aprile 1963, n. 811, ivi, 1963, I, 894. Detti principi trovano riscontro anche nella giurisprudenza di merito: Trib. Trani, 17 aprile 1981, in Giust. civ., 1982, I, 518. (51) Cass. civ., 28 settembre 2005, n. 18919, in Giust. civ. Mass., 2005, f. 7-8. (52) Cass. civ., 11 febbraio 1978, n. 625, cit. (53) Oltre a Cass. civ., 11 febbraio 1978, n. 625, cit., si vedano Cass. civ., 24 settembre 1994, n. 7856, in Mass. Foro it., 1994, 736; Cass. civ., 3 aprile 1987, n. 3218, in Giust. civ., 1987, I, 1678. Più recentemente, per la rilevanza delle norme sportive sui requisiti del contratto dell'atleta professionista, la cui carenza determina la nullità del contratto medesimo, si veda Cass. civ., 23 febbraio 2004, n. 3545, in Giust. civ. Mass., 2004, f. 2; nonché in Studium Juris 2004, 1280, in Contratti, 2004, 881; e in Giur. it., 2004, 1886. Contra, per una rilevanza meramente « interna » della difformità del contratto dal « tipo » imposto dalle norme federali, v. Trib. Perugia, 10 aprile 1996, in Rass. giur. umbra, 1996, 417. (54) Sez. Un. civ., 26 ottobre 1989, n. 4399, in Foro it., 1990, I, 899; App. Trento, 31 luglio 1982, in Riv. giur. circ. trasp., 1983, 298; Trib. Roma, 12 marzo 1982, in Foro it., 1983, I, 809. Si segnala, per la peculiarità della fattispecie, la pronuncia che ha ribadito la cognizione del giudice ordinario in ordine alla richiesta risarcitoria per danno alla reputazione, avanzata dal presidente dimissionario di una società calcistica, nei confronti della FIGC: Cass. civ., 10 novembre 1994, n. 9351, in Mass. Foro it., 1994. (55) Trib. Trento, 14 marzo 1980, in Riv. dir. sport., 1981, 60. A margine di quanto sopra, occorre evidenziare che in materia di risarcimento del danno si assisterebbe ad un particolare assetto della materia quando il pregiudizio derivi da un atto amministrativo illegittimo (ad esempio, una decisione degli organi federali sportivi), in cui occorre preliminarmente procedere all'annullamento dell'atto contestato. Al riguardo, una recente pronuncia del Consiglio di Stato, pur facendo salva la giurisdizione della magistratura ordinaria per la causa di risarcimento del danno, ha ritenuto che l'affiliato alla federazione sportiva, prima di adìre il G.O. debba esaurire i gradi della giustizia sportiva tesi alla rimozione del provvedimento da cui origina la richiesta: v. Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3002, in questa Rivista, 2013, 1579, con nota di Stalteri, Il Consiglio di Stato e la pregiudiziale sportiva attraverso l'art. 30 c.p.a., ibidem, 1584 ss., spec. 1590 ss. (56) In tal senso, v. Frattarolo, La responsabilità civile per le attività sportive, cit., 24; Frau, La R.C. sportiva, in Cendon (a cura di), La responsabilità civile, cit., 310; in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit. (57) L'esempio è riportato da Frattarolo, La responsabilità civile per le attività sportive, cit., 25. (58) Un significativo contributo iniziale a questo tema è stato dato dalla dottrina penalistica: a tale riguardo, si ricorderà, incidentalmente, che la valutazione della responsabilità — ai fini dell'illecito penale e civile — si presterebbe, secondo alcuni, ad una lettura omogenea, stante il carattere unitario della colpa e della condotta materiale: cfr. Marini, La violenza sportiva, in Noviss. Dig. it., XX, Torino, 1957, 982 ss.; Figone, La responsabilità sportiva, in Giur. sist. civ. comm., diretta da Bigiavi, III, Torino, 1987, 361 ss. Ma criticamente, v. Zeno Zencovich, La responsabilità civile da reato, Padova, 1989, 56. (59) Vidiri, Illecito penale e lesioni cagionate in competizioni sportive, cit., 280 ss., 284; ma già Carabba, Illecito sportivo e illecito penale, in Riv. dir. sport., 1981, 186 ss., 195; Crugnola, La violenza sportiva, ivi, 1960, 53 ss., 78. (60) Frattarolo, op. cit., 43. (61) Cass. pen., 9 ottobre 1950, cit.; Cass. pen., 22 maggio 1967, cit. (62) Trib. Bari, 31 marzo 1958, in Arch. giur. circ. sin., 1958, 1047; ma v. anche Trib. Monza, 9 dicembre 1968, in Riv. dir. sport., 1969, 400; Trib. Monza, 30 giugno 1965, in Foro it., 1966, II, 35; Pret. Bari, 9 marzo 1962, in Arch. pen., 1962, II, 665. (63) Frattarolo, op. cit., 47. (64) Trib. Milano, 14 gennaio 1985, in Foro it., 1985, II, 288, relativa ad un incontro di boxe. (65) Trib. Bari, 31 marzo 1958, cit. (66) Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit. (67) Cass. civ., 16 febbraio 2011, n. 7247, cit.; Cass. civ., 8 agosto 2002, n. 12012, cit.; Trib. Piacenza, 1° giugno 2010, cit.; Trib. Napoli, 28 settembre 2006, cit.; Trib. Milano, 24 giugno 2004, cit. Archivio selezionato: Legislazione Nazionale Autorità: Decreto Legge - 21/06/2013, n. 69 Gazzetta uff.: 21/06/2013, n. 144 Classificazioni: CONTABILITÀ GENERALE DELLO STATO - In genere Testo vigente EPIGRAFE DECRETO-LEGGE 21 giugno 2013, n. 69 (in Suppl. ordinario n. 50 alla Gazz. Uff., 21 giugno 2013, n. 144). - Decreto convertito, con modificazioni, in Legge 9 agosto 2013, n. 98 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia. (DECRETO DEL FARE). TITOLO III TITOLO III MISURE PER L'EFFICIENZA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO E LA DEFINIZIONE DEL CONTENZIOSO CIVILE CAPO I CAPO I Giudici ausiliari ARTICOLO N.62 (Finalita' e ambito di applicazione) Art. 62 1. Al fine di agevolare la definizione dei procedimenti civili, compresi quelli in materia di lavoro e previdenza, secondo le priorita' individuate dai presidenti delle Corti di appello con i programmi previsti dall'articolo 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, si applicano le disposizioni del presente capo. 2. Le disposizioni del presente capo non si applicano ai procedimenti trattati dalla Corte di appello in unico grado. Archivio selezionato: Legislazione Nazionale Autorità: Legge - 28/04/2014, n. 67 Gazzetta uff.: 02/05/2014, n. 100 Classificazioni: GIUDICE PENALE Testo vigente EPIGRAFE LEGGE 28 aprile 2014, n. 67 (in Gazz. Uff., 2 maggio 2014, n. 100). - Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. CAPO I Capo I Deleghe al Governo ARTICOLO N.1 Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie Art. 1 1. Il Governo e' delegato ad adottare uno o piu' decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene, con le modalita' e nei termini previsti dai commi 2 e 3 e nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere che le pene principali siano l'ergastolo, la reclusione, la reclusione domiciliare e l'arresto domiciliare, la multa e l'ammenda; prevedere che la reclusione e l'arresto domiciliari si espiano presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato «domicilio», con durata continuativa o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie; b) per i reati per i quali e' prevista la pena dell'arresto o della reclusione non superiore nel massimo a tre anni, secondo quanto disposto dall'articolo 278 del codice di procedura penale, prevedere che la pena sia quella della reclusione domiciliare o dell'arresto domiciliare; c) per i delitti per i quali e' prevista la pena della reclusione tra i tre e i cinque anni, secondo quanto disposto dall'articolo 278 del codice di procedura penale, prevedere che il giudice, tenuto conto dei criteri indicati dall'articolo 133 del codice penale, possa applicare la reclusione domiciliare; d) prevedere che, nei casi indicati nelle lettere b) e c), il giudice possa prescrivere l'utilizzo delle particolari modalita' di controllo di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale; e) prevedere che le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non si applichino nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 105 e 108 del codice penale; f) prevedere che il giudice sostituisca le pene previste nelle lettere b) e c) con le pene della reclusione o dell'arresto in carcere, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato ovvero quando il comportamento del condannato, per la violazione delle prescrizioni dettate o per la commissione di ulteriore reato, risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse, anche sulla base delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato; g) prevedere che, per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione della reclusione e dell'arresto domiciliare, si applichino, in ogni caso, i criteri di cui all'articolo 278 del codice di procedura penale; h) prevedere l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 385 del codice penale nei casi di allontanamento non autorizzato del condannato dal luogo in cui sono in corso di esecuzione le pene previste dalle lettere b) e c); i) prevedere, altresi', che per i reati di cui alle lettere b) e c) il giudice, sentiti l'imputato e il pubblico ministero, possa applicare anche la sanzione del lavoro di pubblica utilita', con le modalita' di cui alla lettera l); l) prevedere che il lavoro di pubblica utilita' non possa essere inferiore a dieci giorni e consista nella prestazione di attivita' non retribuita in favore della collettivita' da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato; prevedere che la prestazione debba essere svolta con modalita' e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato; prevedere che la durata giornaliera della prestazione non possa comunque superare le otto ore; m) escludere la punibilita' di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuita' dell'offesa e la non abitualita' del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale (1); n) provvedere al coordinamento delle nuove norme in materia di pene detentive non carcerarie sia con quelle di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, sia con quelle di cui alla legge 26 novembre 2010, n. 199, sia con la disciplina dettata dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sia con quelle di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, tenendo conto della necessita' di razionalizzare e di graduare il sistema delle pene, delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative applicabili in concreto dal giudice di primo grado. 2. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati entro il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Gli schemi dei decreti legislativi, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle Camere, corredati di relazione tecnica, per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti possono essere emanati anche in mancanza dei predetti pareri. Qualora tale termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal primo periodo o successivamente, la scadenza di quest'ultimo e' prorogata di sessanta giorni. Nella redazione dei decreti legislativi di cui al presente comma il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega. I predetti decreti legislativi contengono, altresi', le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia. 3. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo possono essere emanati uno o piu' decreti legislativi correttivi e integrativi, con il rispetto del procedimento di cui al comma 2 nonche' dei principi e criteri direttivi di cui al comma 1. 4. Dall'attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 5. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono ai compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. (1) Per le disposizioni in materia di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto vedi il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 08/05/2013 n. 27161 Fonti: Diritto e Giustizia online 2013, 20 giugno Classificazioni: OMICIDIO PRETERINTENZIONALE L'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo misto a colpa, ma unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell'aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell'agente, il quale, pertanto, risponde per fatto proprio, sia pure per un evento più grave di quello effettivamente voluto che, per esplicita previsione legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorio (confermata la condanna per l'imputato che, nel corso di un regolamento di conti per un fallo di gioco avvenuto durante una partita di calcetto, aveva colpito con un pugno la vittima, la quale cadendo aveva sbattuto il capo contro un marciapiede decedendo due giorni dopo). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. VI Data: 23/09/2014 n. 11294 Fonti: Diritto & Giustizia 2015, 18 marzo Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento Si ha un'ipotesi di desistenza, ai sensi dell'art. 56, comma 3, c.p., nelle fattispecie in cui è sollecitata la consegna di un bene da parte della vittima, con condotte artificiose o minacciose, e tale consegna non avvenga per un atteggiamento di 'rinuncia' del soggetto attivo che non completa la condotta necessaria al fine della traditio della cosa. Il recesso attivo è invece ravvisabile laddove la cosa verrebbe consegnata, nell'inerzia dello stesso agente, e ciò non avvenga a causa di una condotta impeditiva dello stesso (riconosciuta, nella specie, l'ipotesi di desistenza, atteso che l'imputata, accusata per i delitti tentati di truffa e millantato credito, in quanto aveva indotto la persona offesa a farsi consegnare una somma di denaro, dichiarando di poter condizionare la valutazione medica concernente una sua domanda di indennità d'accompagnamento, non si era presentata all'appuntamento per la consegna del denaro fissato con una telefonata di cui erano stati avvertiti i Carabinieri). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 28/03/2014 n. 16274 Fonti: Diritto & Giustizia 2014, 15 aprile Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento Si ha recesso attivo quando, ad attività criminosa compiuta, e mentre è in svolgimento l'ormai autonomo processo naturale (che è in rapporto necessario di causa ed effetto tra una determinata condotta ed un determinato effetto cui la prima mette capo), l'agente si riattiva, interrompendo tale processo, così da impedire il verificarsi dell'evento (nella specie l'imputato, immediatamente dopo aver colpito la vittima cagionandone gravissime lesioni, si era adoperato per soccorrerla, per un verso frenando l'emorragia dalle ferite con un asciugamano bagnato d'acqua avvolto attorno al capo e, per altro verso, altrettanto immediatamente adoperandosi per consentire il pronto intervento dei sanitari e di una ambulanza. Tale condotta aveva consentito il ricovero della vittima in ospedale e l'intervento chirurgico in tempi estremamente ravvicinati rispetto all'insorgenza delle patologie cagionate, dovendo, pertanto, essere preso in considerazione dai giudici del merito per stabilire la sussistenza gli estremi della diminuente di cui all'art. 56, comma 4, c.p.). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 20/11/2012 n. 46776 Fonti: Diritto e Giustizia online 2012, 5 dicembre (nota di: CAPITANI) Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Idoneità e univocità degli atti Ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo - di tempo - di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione - considerata come l'insieme dei suddetti atti - abbia la rilevante probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto e che il medesimo sarà commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (art. 56 c.p., comma 3) o il recesso attivo (art. 56 c.p., comma 4). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 04/10/2012 n. 40624 Fonti: Diritto e Giustizia online 2012, 18 ottobre Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Idoneità e univocità degli atti Laddove l'agente si proponga di realizzare una truffa attraverso la produzione di atti falsificati, solo in presenza di un falso grossolano -ontologicamente inidoneo a svolgere erga omnes una qualsivoglia funzione decettiva - può dirsi sussistente la inidoneità assoluta, ex ante, dell'atto a trarre in inganno e realizzare, quindi, la frode cui il falso era preordinato (nella specie, relativa alla falsificazione di un biglietto gratta e vinci, la Corte ha statuito che la presenza di sofisticate procedure di verifica circa la autenticità dei documenti recanti le vincite e presentati per la riscossione, da parte dell'organismo deputato alla erogazione dei premi nel caso di importi consistenti, rappresenta un elemento "esterno" e successivo alla azione posta in essere dall'imputato che non influisce in alcun modo sul versante della relativa idoneità agli effetti di quanto previsto dall'art. 56 c.p., rendendo quindi la relativa condotta rispondente alla figura di tentativo di truffa). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 11/04/2012 n. 47257 Fonti: Diritto e Giustizia online 2012, 10 dicembre Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Intenzione delittuosa La figura di reato prevista dall'art. 56 c.p., che ha come suo presupposto il compimento di atti finalizzati ("diretti in modo non equivoco") alla commissione di un delitto, non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta considerazione dall'agente, che accetta il rischio del suo verificarsi (c.d. dolo eventuale), ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l'evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall'agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (c.d. dolo diretto alternativo), o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito come scopo finale (c.d. dolo diretto intenzionale). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 12/12/2014 n. 1388 Fonti: Diritto & Giustizia 2015, 15 gennaio Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento In tema di tentativo, può configurarsi la desistenza volontaria e il recesso attivo quando l'autore inverta con modalità inequivoche la situazione di cui ha ancora la piena disponibilità, il pieno dominio (esclusa, nella specie, l'ipotesi del recesso attivo nella condotta dell'imputato che, entrato in un negozio per estorcere del denaro, a seguito della reazione violenta della vittima, si era allontanato dal luogo del fatto). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 11/06/2014 n. 28231 Fonti: Diritto & Giustizia 2014, 2 luglio Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - In genere Ai fini dell'accertamento della volontà omicidiaria assume valore determinante l'idoneità dell'azione, che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, dovendosi diversamente l'azione ritenersi sempre inidonea, per non aver conseguito l'evento, sicché il giudizio di idoneità è una prognosi, formulata "ex post", con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell'azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare. Ne consegue che ricorre la fattispecie di tentato omicidio, e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e specificamente l'idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la profondità della ferita inferta inducano a ritenere la sussistenza in capo al soggetto agente del cosiddetto "animus necandi" (riconosciuta la responsabilità per tentato omicidio in capo all'imputato che, nel corso di una rissa, aveva colpito con un coltello un altro soggetto, atteso che il tipo di arma impiegata, l'idoneità offensiva della stessa, la sede corporea colpita e la profondità della ferita evidenziano un chiaro animus necandi). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 29/01/2014 n. 7036 Fonti: CED Cassazione penale 2014 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento In tema di desistenza dal delitto, la volontarietà non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da fattori esterni idonei a menomare la libera determinazione dell'agente. (Fattispecie di tentata estorsione, nella quale la Corte ha escluso la configurabilità della desistenza volontaria nella condotta dell'imputato, che si rivolgeva ai Carabinieri consentendo il ritrovamento del veicolo, oggetto del reato, solo dopo aver raggiunto la consapevolezza di non riuscire ad ottenere il pagamento della somma richiesta alla persona offesa, dell'esistenza di indagini già in corso, nel cui ambito temeva di essere già stato identificato e prossimo ad un possibile arresto). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 10/01/2014 n. 9284 Fonti: Cassazione Penale 2014, 11, 3775 CED Cassazione penale 2014 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento DELITTO TENTATO - Desistenza volontaria - Concorso nel reato - Desistenza del singolo concorrente - Configurabilità Condizioni. In tema di tentativo il concorrente nel reato plurisoggettivo, per beneficiare della desistenza volontaria, non può limitarsi ad interrompere la propria azione criminosa, occorrendo, invece, “un quid pluris” consistente nell'annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell'azione che fino a quel momento si sono prodotte. Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 11/12/2013 n. 6120 Fonti: CED Cassazione penale 2014 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - In genere La configurabilità del tentativo è esclusa quando l'azione delittuosa non ha raggiunto uno sviluppo dal quale dedurre la improbabilità che l'agente porti a compimento il progetto criminoso ed è interrotta per una scelta del medesimo. (In applicazione del principio, la Corte ha assolto dall'accusa di tentato omicidio gli imputati che, unitamente con altri giudicati separatamente, dopo aver assunto la decisione di uccidere un esponente di organizzazione criminale contrapposta, avevano predisposto le armi e le basi operative ed avevano costantemente monitorato i movimenti della vittima per poi desistere dal proposito criminoso quando uno dei complici era stato arrestato per altro reato). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 18/11/2014 n. 50659 Fonti: CED Cassazione penale 2015 Classificazioni: INVASIONE DI TERRENI O DI EDIFICI Ai fini della configurabilità del reato di invasione di terreni o edifici, il dolo specifico di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto presuppone che la condotta dell'agente sia diretta a realizzare un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del titolare dello "ius excludendi" e può essere desunto non solo dalla stabile permanenza del soggetto nel terreno o nell'edificio, ma anche da elementi diversi purchè univocamente dimostrativi della finalità di dare inizio ad un possesso non meramente transitorio od occasionale. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del tentativo del reato di cui all'art. 633 cod. pen. in relazione a condotta diretta a fare ingresso in un appartamento, in assenza di qualsiasi elemento indicativo della volontà di attuare una permanente occupazione dell'immobile e non, invece, di farne un uso occasionale e momentaneo). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 05/11/2014 n. 46805 Fonti: Diritto & Giustizia 2014, 13 novembre Classificazioni: RAPINA - In genere Hanno rilievo, nell'ambito della fattispecie del tentativo, non solo gli atti tipicamente inquadrabili nella fase esecutiva della condotta tipizzata, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, per le circostanze concrete facciano fondatamente ritenere che l'azione abbia la rilevante probabilità di conseguire l'obbiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad una soglia dell' iter criminis tale da rendere concettualmente implausibile un arresto della attività in corso di svolgimento in vista della realizzazione del delitto, con la conseguenza di rendere, ex ante prevedibile che la intera realizzazione del fatto sarà portata a compimento, a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto agente (nella specie, relativa alla contestazione nei confronti degli imputati del tentativo di rapina, la Corte ha sottolineato che l'intervenuto approntamento di tutto il logistico necessario alla realizzazione del piano, quali l'approvvigionamento delle armi, la predisposizione di una base, di un piano di fuga e di un adeguato studio dell'obiettivo, il tutto a ridosso del giorno previsto per l'azione, rappresentava all'evidenza un iter ormai in avanzato stadio di realizzazione concreta, interrotta solo dall'intervento delle forze dell'ordine che avevano operato l'arresto dei complici ed il sequestro delle armi e degli altri oggetti necessari per la consumazione del delitto). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. III Data: 22/10/2014 n. 4674 Fonti: Diritto & Giustizia 2015, 3 febbraio Classificazioni: VIOLENZA SESSUALE, ATTI DI LIBIDINE VIOLENTI E REATI CONTRO LA LIBERTÀ SESSUALE Violenza sessuale - - in genere Il tentativo di violenza sessuale sussiste sia quando gli atti idonei diretti in modo non equivoco alla perpetrazione dell'atto sessuale abusivo non si siano estrinsecati in un contatto corporeo e sia quando il contatto corporeo, quantunque superficiale e fugace, non abbia potuto raggiungere una zona erogena o comunque considerata tale e presa di mira dal reo per la pronta reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell'agente mentre per la consumazione del reato di violenza sessuale è sufficiente che l'agente raggiunga le parti intime della persona presa di mira (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi dal subire ulteriormente la condotta illecita del soggetto attivo o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica (riconosciuta, nella specie, la consumazione del reato, atteso che l'imputato aveva afferrato le braccia della vittima, così da impedirle ogni movimento, e l'aveva costretta a subire atti sessuali, consistiti nel leccarle la guancia e nel toccarle le parti intime). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 16/10/2014 n. 46412 Fonti: Diritto & Giustizia 2014, 12 novembre (s.m.) (nota di: CAPITANI) Guida al diritto 2014, 48, 45 (s.m) Classificazioni: RAPINA - Rapina impropria Ricorre la rapina impropria nella forma del tentativo allorquando l'agente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa mobile altrui a chi la detiene ma non riuscendo in tale intento per la costante vigilanza della persona offesa o di un suo delegato, adoperi, immediatamente dopo, violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l'impunità; ricorre invece la rapina impropria consumata quando l'agente, dopo l'amotio della res, riesce a portare a termine anche l'ablatio - ossia lo spossessamento dell'avente diritto, che fa perdere a costui il controllo sulla cosa, dimodoché non è più in grado di recuperarla autonomamente, senza l'ausilio di terzi o delle forze dell'ordine - e adoperi, immediatamente dopo, violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità (nella specie, l'imputato, dopo aver prelevato dagli scaffali dell'esercizio commerciale una scatola di scarpe e un paio di pantaloni ivi esposti per la vendita e dopo aver rimosso il "dispositivo antitaccheggio" dalla scatola di scarpe e il c.d. "codice a barre" dai pantaloni, venne sorpreso dal personale di vigilanza prima di varcare la barriera delle casse; egli - allora - consegnò al personale del negozio la scatola contenente le scarpe, abbandonò i pantaloni su uno scaffale prossimo all'uscita, e si allontanò dal negozio, dandosi alla fuga. La Corte ha sottolineato che non essendo la merce mai fuoriuscita dalla costante osservazione del personale di vigilanza, che rimase costantemente in grado di interrompere autonomamente l'azione dell'imputato, la sottrazione della res non poteva dirsi consumata, essendo invece rimasta solo tentata). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. un. Data: 17/07/2014 n. 52117 Fonti: CED Cassazione penale 2015 Classificazioni: FURTO - In genere In caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo "in continenti", impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo. Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 23/05/2014 n. 25681 Fonti: Diritto & Giustizia 2014, 16 giugno Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento L'ipotesi della desistenza volontaria che presuppone una determinazione da parte del soggetto agente di non proseguire nell'azione criminosa indipendentemente dall'intervento di cause esterne che impediscano comunque la prosecuzione dell'azione o la rendano vana (esclusa, nella specie, la sussistenza della desistenza nella condotta dell'imputato che, entrato in un negozio brandendo all'indirizzo del commerciante un coltello dal manico nero, intimandogli di consegnargli tutti i soldi che aveva, era uscito precipitosamente perché la vittima sottrattasi alla sua signoria temporanea era riuscita a guadagnare la fuga, uscire dal negozio e chiamare in soccorso il commerciante esercente l'attività accanto alla sua). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 19/03/2014 n. 25301 Fonti: Diritto & Giustizia 2014, 16 giugno Classificazioni: REATO IN GENERE - Dolo - - alternativo ed eventuale In tema di elemento psicologico del reato, il dolo alternativo sussiste se l'agente si rappresenta e vuole indifferentemente l'uno o l'altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, sicché già al momento della realizzazione dell'elemento oggettivo del reato egli deve prevederli entrambi. Si ha, invece, dolo eventuale allorquando l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di una diversa conseguenza della propria condotta e, ciononostante, agisca accettando il rischio di cagionarla. Ne consegue che il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, in quanto è ontologicamente incompatibile con la direzione univoca degli atti compiuti nel tentativo, che presuppone il dolo diretto. Al contrario, vi è compatibilità tra tentativo penalmente punibile e dolo alternativo, poiché la sostanziale equivalenza dell'uno e dell'altro evento, che l'agente si rappresenta indifferentemente come eziologicamente collegabili alla sua condotta e alla sua cosciente volontà, comporta che questa forma di dolo è diretta, atteso che ciascuno degli eventi è ugualmente voluto dal reo. Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 05/12/2013 n. 51514 Fonti: CED Cassazione penale 2013 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento È configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell'evento non per volontaria iniziativa dell'agente ma per fattori esterni che impediscano comunque la prosecuzione dell'azione o la rendano vana. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto configurabile il tentativo di rapina in un caso in cui l'imputato, dopo essere entrato in un esercizio commerciale con il volto travisato e con un grosso coltello da cucina in mano, intimando ai gestori di consegnargli quanto incassato, si era allontanato avendo verificato che nel registratore di cassa non vi era denaro). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. II Data: 22/10/2013 n. 5504 Fonti: CED Cassazione penale 2013 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - In genere L'autonomia del delitto tentato comporta che gli effetti giuridici sfavorevoli previsti con specifico richiamo di determinate norme incriminatrici vanno riferiti alle sole ipotesi di reato consumato e ciò in quanto le norme sfavorevoli sono di stretta interpretazione e, in difetto di espressa previsione, non possono trovare applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato. (Fattispecie, nella quale la Corte ha ritenuto che tra i reati di cui agli art. 628, 629 e 630 c.p., per i quali non opera, ai sensi dell'art. 649, comma 3, prima parte, c.p., la causa di non punibilità prevista da detta disposizione, non rientra l'ipotesi dell'estorsione tentata). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. VI Data: 03/10/2013 n. 13085 Fonti: CED Cassazione penale 2014 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento In relazione alle condotte di partecipazione a reato associativo, il tentativo è configurabile soltanto prima che siano realizzate le condizioni per il mantenimento della situazione antigiuridica che caratterizza l'organico inserimento nel sodalizio, avvenuto il quale le condotte di volontario allontanamento dal consesso criminale non possono essere inquadrate come desistenza ex art. 56, comma terzo, cod. pen. ma soltanto quali espressioni di ravvedimento post-delittuoso e sintomi di cessazione della permanenza. (Nella specie, relativa a violazione dell'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, la Corte ha escluso la desistenza volontaria nei confronti di un soggetto che, dopo aver ricoperto per alcuni mesi il ruolo di gestore di una "piazza di spaccio" per conto di un gruppo criminale campano, si era allontanato dal territorio di insediamento del sodalizio per intraprendere attività lavorativa lecita in altra regione dov'era stato tratto in arresto). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 10/07/2013 n. 33383 Fonti: Guida al diritto 2013, 41, 86 Classificazioni: OMICIDIO VOLONTARIO - In genere Correttamente viene ravvisato il reato di tentato omicidio, e non quello di minaccia aggravata dall'uso di arma, nella condotta di chi, neppure particolarmente avvezzo nell'uso di un'arma da fuoco, spari di notte, ad altezza d'uomo, con un'arma non di precisione e corta, attraverso una finestra di un'abitazione in cui si sa per certa la presenza di persone (per averle viste poco prima transitare), giacché in tal caso l'agente non può non rappresentarsi sia l'evento di lesioni volontarie sia quello di omicidio volontario (dolo alternativo), non sapendo quale in concreto dei due eventi si verificherà, volendoli cumulativamente, ma indifferentemente. Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 14/06/2013 n. 30336 Fonti: Cassazione Penale 2014, 6, 2156 (s.m.) (nota di: PADRONE) CED Cassazione penale 2013 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Desistenza volontaria dall'azione e impedimento volontario dell'evento DELITTO TENTATO-Desistenza volontaria -Tentato omicidio - Esplosione di un solo colpo di arma da fuoco Configurabilità della desistenza - Esclusione. Integra il reato di tentato omicidio la condotta dell'agente che abbia indirizzato anche un solo colpo di arma da fuoco con l'intento di uccidere un avversario, non riuscendovi per imperizia balistica. (La S.C. ha precisato che, trattandosi di tentativo compiuto, non sarebbe configurabile la desistenza, anche se l'agente, dopo quell'unico colpo si sia dileguato senza scaricare il caricatore ancora pieno di colpi da esplodere). Archivio selezionato: Massime Autorità: Corte appello Milano Data: 14/05/2013 n. 2672 Fonti: Redazione Giuffrè 2013 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Idoneità e univocità degli atti Agli effetti del delitto tentato, l’azione è inidonea solo se difetta intrinsecamente di qualsiasi efficacia causale rispetto all’evento. Deve trattarsi, pertanto, di inidoneità assoluta, accertata con valutazione ex ante. Ne deriva che la semplice insufficienza del mezzo non vale ad escludere la configurabilità del tentativo. (Nella specie, l’imputato è stato condannato per il tentativo di furto in abitazione privata, in quanto lo stesso, introdottosi in uno stabile munito di cacciavite, tastava le porte degli appartamenti, cercando di trovare un punto in cui inserire il cacciavite per forzarle e nel contempo per saggiarne la resistenza con ripetute pressioni descritte dalla teste. Tali modalità di condotta, invero, indicano non solo la univocità degli atti ma anche, senza dubbio, l’idoneità degli stessi diretti alla commissione del furto). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 11/02/2013 n. 16612 Fonti: CED Cassazione penale 2013 Cassazione Penale 2014, 3, 942 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Idoneità e univocità degli atti DELITTO TENTATO-Idoneità degli atti - Caratteri - Fattispecie in tema di incendio. Ai fini della sussistenza del delitto tentato, occorre che, sulla base di una valutazione ex ante, gli atti compiuti, anche se meramente preparatori o solo parziali, siano idonei ed univoci, ossia diretti in modo non equivoco a causare l'evento lesivo ovvero a realizzare la fattispecie prevista dalla norma incriminatrice, rivelando così l'intenzione dell'agente di commettere lo specifico delitto. (Nella specie la Corte ha ritenuto il tentativo di incendio nella condotta di un soggetto sorpreso mentre era sul punto di attivare, con un accendino, l'innesco da lui preparato onde appiccare un incendio alla vegetazione circostante). Archivio selezionato: Massime Autorità: Cassazione penale sez. I Data: 15/11/2012 n. 1218 Fonti: Diritto e Giustizia online 2013, 11 gennaio (nota di: PIRAS) Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - In genere Non ci sono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentato omicidio, ove vi sia una palese assenza di intenzione di uccidere, quando l'agente, pur potendo portare a compimento l'azione delittuosa, tuttavia la interrompa volontariamente (nella specie, l'imputato aveva minacciato con un coltello alla gola la persona offesa, ma aveva desistito volontariamente dall'azione delittuosa). Archivio selezionato: Massime Autorità: Corte appello Torino sez. II Data: 02/10/2012 n. 3001 Fonti: Redazione Giuffrè 2013 Classificazioni: TENTATIVO DI REATI - Idoneità e univocità degli atti Posto che in tema di delitto tentato, ex art. 56 c.p., la valutazione circa l’idoneità delle condotte deve essere effettuata con giudizio "ex ante", senza adottare un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì considerando che la condotta consegua lo scopo per cui è stata posta in essere, in ordine al reato di cui all’art. 600 bis, comma 1, c.p., si configura la fattispecie delittuosa in forma di tentativo se le condotte poste in essere dall’agente (nella specie, consistenti in approcci con minori, scelti tra quelli che più chiaramente manifestavano situazioni di personale disagio o cha apparivano più desiderosi di acquisire le utilità promesse o addirittura già avevano acconsentito a ricevere attenzioni sessuali dietro pagamento di denaro, nonché nella ripetuta offerta di regali anche costosi - come uno scooter -, oltre che nelle diverse elargizioni di denaro o di ricariche telefoniche) appaiono oggettivamente incentivanti e quindi concretamente idonee ad indurre i giovani interlocutori ad accedere alle richieste di prestazioni sessuali “a pagamento” avanzate dall’imputato. Utente: Maria Rita G. VERARDO - www.iusexplorer.it - 25.03.2015 © Copyright Giuffrè 2015. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156