M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, pp. 189, € 14. E giusto insegnare ai nostri figli a pregare, se Dio è morto? Mi pongo questo problema come padre prima che come psicoanalista. Ma cosa significa pregare? Significa alimentare nei nostri figli l'illusione in un Dio che non esiste più, in un mondo dietro al mondo? Significa, come pensa una certa cultura del disincanto, alimentare un rituale superstizioso? Oppure insegnare a pregare è un modo per custodire l'evocazione di un Altro che non si può ridurre alla supponenza del nostro sapere, è un modo per preservare il non tutto, per educare all'insufficienza, all'apertura al mistero, all'incontro con l'impossibile da dire? Un mio caro collega non sopporta di sentirmi fare questi discorsi. È convinto che la psicoanalisi sia un abbandono senza ritorno di ogni forma di preghiera. Dio non risponde, il Padre tace, il ciclo sopra le nostre teste, come ripete Sartre, è vuoto. Così inizia questo ultimo libro di Massimo Recalcati, psicoanalista di indirizzo lacaniano che da anni si occupa della clinica dei cosiddetti nuovi sintomi (anoressia, bulimia, dipendenze, attacchi di panico). La domanda che l’Autore si fa è quella del titolo: Cosa resta del padre? Recalcati non si presenta come credente e non pretende di dire Cosa resta di Dio-padre? eppure è chiaro come la riflessione sulla paternità sia urgente per i cristiani che hanno – come tutti – la necessità di trovare un modo credibile e convincente di essere padri e madri per i propri figli ma che – più degli altri – sanno che trovare uno stile di essere genitori è fondamentale se si annuncia un Dio che è genitore, appunto, Padre. Nella prima parte del libro Recalcati analizza lo smarrimento della figura paterna nella società contemporanea ma non si limita a questo: traccia anche alcune piste molto chiare e convincenti per provare a immaginare un nuovo modo di paternità. Nella seconda parte offre poi tre esemplificazioni del suo pensiero: analizza due romanzi recenti, Patrimonio di Philip Roth (1991) e La strada di Cormac McCarthy (2006), e due film di Clint Eastwood: Million Dollar Baby (2005) e Gran Torino (2009). Lo stile è piacevole e anche il linguaggio tipicamente lacaniano non impedisce di seguire il ragionamento e entrare in dialogo con i pensieri dell’autore. Il punto di partenza di Recalcati è l’idea dell’evaporazione del padre. È finito il tempo in cui il padre era il garante e l’incarnazione di una legge eterna e fissa e in questa rappresentanza assolveva al proprio compito. Chiunque abbia provato a proporsi ad un figlio come duro custode di una dura legge sa che questo non può più funzionare oggi. E non è un male. Eppure questa situazione lascia smarriti i padri di oggi. Resta ancora qualcosa da fare? C’è ancora un compito da svolgere per aiutare i propri figli a diventare uomini, a vivere la propria vita? Il compito fondamentale individuato dall’Autore è legato alla trasmissione del desiderio. Quello che un padre dovrebbe consegnare al proprio figlio, quello in cui lo dovrebbe aiutare è imparare a desiderare una vita, un lavoro, un amore. Oggi questo è tutt’altro che scontato: molti giovani – e molti adulti – sembrano incapaci di trovare in se stessi delle ragioni profonde che diano gusto e possibilità al proprio esistere. Magari sono rispettosi delle leggi o delle convenzioni sociali o religiose ma non desiderano veramente il proprio stare con gli altri (o con Dio). Magari sono capaci di godimenti sfrenati ma non di desiderare davvero ciò che godono. Non si tratta di un bisogno da poco e non si tratta di una risposta facile. Quello che serve, secondo l’Autore, è “la capacità degli adulti di fornire una testimonianza su come si possa esistere senza voler suicidarsi o impazzire, sulla capacità di rendere questa esistenza degna di essere vissuta” (p. 108). Per fare questo due aspetti sono necessari. Il primo è di ritrovare il rapporto fra desiderio e legge. La legge, la regola, il limite, a differenza di quanto sembrerebbe non è solo un ostacolo per il desiderio ma la sua condizione. In un mondo senza legge, senza limite, il desiderio non si genera. Desiderare qualcosa significa infatti concentrarsi su qualcosa di specifico, di concreto, riuscendo a trattenersi dal godere di altre mille cose per perseguire il proprio desiderio specifico. La regola offre una disciplina che permette di costruire un desiderio senza che questo venga inghiottito dalle mille possibilità della vita. “Affinché vi sia facoltà di desiderare, è necessario che vi sia legge […] un padre è colui che sa unire e non opporre il desiderio e la Legge” (p. 51). Il secondo aspetto è ritrovare il rapporto fra desiderio e godimento. Nella prospettiva di Jaques Lacan, a cui Recalcati si riferisce, godimento e desiderio sono due cose ben diverse. Se il desiderio è la capacità di donarsi a qualcosa o qualcuno e accoglierlo, il godimento “deborda senza argine, senza freni, non si aggancia al desiderio, sospinge verso la consumazione dissipativa della vita” (p. 47). Il godimento però non va semplicemente negato, sarebbe solo pericoloso, va invece legato al desiderio e questo solo un padre lo può fare (non necessariamente un padre biologico), offrendo se stesso come un esempio, un testimonianza di come si possa godere la vita senza farla diventare uno sfascio, di come si possa vivere il proprio desiderio – lavorativo, affettivo, sociale – in modo da poter trovare in questo il proprio godimento e la propria legge. “Una generazione deve donare all’altra, insieme al senso del limite, la possibilità dell’avvenire, il desiderio come fede nell’avvenire” (p. 109) Come si fa a trasmettere questo punto centrale del desiderio a una generazione che non riconosce nessuna legge assoluta, nessun principio di autorità, in una parola ad una generazione in cui il padre/padrone è scomparso? Recalcati risponde con la categoria della testimonianza. Non c’è altra strada per condurre i propri figli sulla via di una vita ricca e piena di desiderio, di bellezza, che offrire la propria testimonianza di adulti che hanno saputo tentare la vita trovando una propria strada. Non si tratta però di una testimonianza morale: non si tratta di dare il “buon esempio” soltanto. Si tratta invece di mostrare come potrebbe essere una vita buona, ricca di desideri e pure reale e realizzata nella realtà concreta e sempre limitata. “La trasmissione del desiderio da una generazione all'altra non può avvenire come la realizzazione di un programma cognitivo o come effetto di una retorica pedagogica perché ogni trasmissione si fonda su un impossibile: l'impossibilità di governare il mistero assoluto della vita e della morte” (p. 63). I tre capitoli finali che analizzano i romanzi di Roth e McCarthy e i film di Clint Eastwood per mettono di continuare la riflessione davanti alla tv o leggendosi un buon romanzo. In fondo un padre, se vuole insegnare cosa sia una vita desiderabile, deve anche avere qualche spazio in cui la bellezza abbia un posto, che sia la bellezza di un libro, di un film, di uno sport, della montagna…. Un padre non può essere qualcuno che, come diceva un mio giovane paziente di suo padre, “ha una risposta a tutto”. È piuttosto qualcuno che sa che il sapere non racchiude e non risolve mai adeguatamente il mistero dell’esistenza e della sua contingenza illimitata. (p. 85) Leonardo Paris (Ufficio Cultura)