Anno 3 Numero 3 Ottobre 2010 Guest Editor Massimo Morfini Editorial Board Angiola Rocino Annarita Tagliaferri Ezio Zanon FOCUS: Valore della profilassi nell’emofilia Anno 3 - 3/10 FOCUS: Valore della profilassi nell’emofilia Guest Editor Massimo Morfini Editorial Board Angiola Rocino Annarita Tagliaferri Ezio Zanon INDICE FOCUS: Valore della profilassi nell’emofilia Introduzione 5 Il monitoraggio della profilassi: un approccio clinico pratico 7 Angiola Rocino Profilassi secondaria 17 Annarita Tagliaferri L’emorragia cerebrale nell’emofilia A e B 23 Ezio Zanon Notizie sullo studio SHAPE 30 Focus Review 31 Focus Emostasi Anno 3 - N. 3 - Ottobre 2010 Direttore responsabile Emilio Polverino Registrazione al Tribunale di Milano al n. 129 del 26/02/2008 Periodico quadrimestrale edito da Alter M&P S.r.l. Piazza San Camillo de Lellis, 1 - 20124 Milano - Tel 02.48017541 - Fax 02.48194527 E-mail: [email protected] Sede e Redazione di Milano 09AP1513 - 10/2010 Stampa Momento Medico S.r.l. - Via Terre Risaie, 13 - 84131 Salerno Introduzione L’osservazione clinica che il fenotipo emorragico dei pazienti emofilici affetti da emofilia moderata o lieve è completamente diverso da quello dei pazienti affetti dalla forma grave, rappresenta il razionale che sta alla base e giustifica la terapia sostitutiva continuativa, la così detta “profilassi”. Mentre infatti nell’emofilia grave, definita come carenza del fattore VIII o IX inferiore a 1 U/dl, le manifestazioni emorragiche, ematomi muscolari od emartri, si possono verificare anche senza una causa o un trauma apparenti, nelle forme moderate o lievi (fattore VIII/IX 1-5U/dl o >5 U/dl, rispettivamente) esiste quasi sempre un trauma occasionale o un intervento chirurgico alla base di una manifestazione emorragica. Inoltre l’età di insorgenza delle prima manifestazione emorragica è nettamente precoce, in genere entro i primi 18 mesi di vita nei pazienti affetti da emofilia grave mentre questo evento può essere rinviato fino all’età dell’adolescenza o della vita adulta nei pazienti affetti dalla forma moderata o lieve rispettivamente. La frequenza degli episodi emorragici può raggiungere facilmente il ritmo di 1 emartro ogni 4 o 2 settimane nelle forme gravi. L’attivazione dei meccanismi della flogosi, che si verifica sicuramente fin dalla prima esposizione dei tessuti articolari alle componenti cellulari o al ferro emoglobinico, determina la recidiva dell’emorragia, fino alla costituzione di target joints, in genere definiti come articolazioni sedi di emorragia 1 volta al mese per 6 volte consecutive. È da sottolineare tuttavia che secondo alcuni studi in vitro e nel cane emofilico, e recentemente in un modello murino, l’esposizione della cartilagine al sangue intero determina nel giro di solo 4 giorni una sofferenza del trofismo cartilagineo e una attivazione delle citochine, come la IL1, il TNF-α, la IL1-β e la formazione di radicali liberi OH –. Alla sinovite si associa quindi fin dal primo emartro un meccanismo degenerativo della cartilagine e l’apoptosi dei condrociti. Lo scopo della profilassi è quello di trasformare un paziente affetto da emofilia grave in un paziente con un livello costantemente intorno al 3-5 U/dl, in una forma moderata: non c’è dubbio che prevenire è meglio che curare. Questo è tanto più vero in condizioni in cui il versamento emorragico può invadere la cavità articolare in pochi minuti e non dare quindi il tempo al paziente di attuare la terapia sostitutiva nella maniera più precoce possibile. Al contrario, piccoli versamenti articolari possono essere non apprezzati dal paziente ma tuttavia rappresentare il trigger del processo degenerativo cronico caratteristico della artropatia emofilica. Recenti studi hanno sottolineato l’importanza dei così detti “emartri sub-clinici”. Non è ancora stato definito in maniera sicura quale sia lo schema terapeutico migliore in termini soprattutto di costo/efficacia. Se infatti è importante mantenere il livello minimo costantemente oltre il 2-5U/dl non è facile stabilire uno schema fisso valido per tutti i pazienti. 5 Il fenotipo emorragico infatti deriva ovviamente dal genotipo del fattore VIII o del fattore IX ma anche da altri polimorfismi di altri geni regolatori dell’uptake della proteina infusa, il cui ruolo non è ancora ben definito. In genere viene considerato come valido lo schema di 3 infusioni a settimana di 25 U/kg ma esistono pazienti che hanno sperimentato una netta riduzione della frequenza di emorragie anche con somministrazioni di 50 U/kg limitate a 2 volte per settimana. Certamente, dato il rapido decadimento del fattore VIII ma anche del fattore IX, maggiore è l’intervallo di tempo fra le somministrazioni, maggiore deve essere la dose infusa. È convinzione comune che il miglior trattamento profilattico dovrebbe essere personalizzato sulle caratteristiche farmacocinetiche del singolo concentrato nel singolo paziente. Esperienze di profilassi guidata dai parametri farmacocinetici del paziente, in primo luogo dalla clearance del prodotto in uso, realizzate in Svezia in studi aperti, non controllati, hanno determinato una netta riduzione del consumo del concentrato necessario per la conduzione della profilassi. Grandi aspettative sono riposte nei nuovi concentrati long acting in quanto la riduzione del numero delle infusioni è fortemente desiderata dai pazienti emofilici. Oltre al prolungamento della permanenza in circolo, i concentrati long acting dovranno tuttavia dimostrare di avere la stessa efficacia clinica degli attuali prodotti. La profilassi per essere realmente efficace deve essere iniziata subito dopo la prima manifestazione emorragica, se non addirittura prima: profilassi primaria. Una valutazione attenta del fenotipo emorragico del paziente è fondamentale per iniziare la terapia prima dell’instaurarsi dei meccanismi della sinovite o del danno cartilagineo che rapidamente porteranno all’instaurarsi dell’artropatia emofilica, processo del tutto irreversibile ma la cui evoluzione può essere ridotta dalla profilassi secondaria. Purtroppo la difficoltà della somministrazione endovenosa dei concentrati di fattore VIII/IX in pazienti molto piccoli rappresenta una grave limitazione alla pratica della profilassi. Anche l’impianto di cateteri venosi centrali o periferici non ha risolto completamente il problema per l’impatto negativo che hanno questi dispositivi sulla qualità di vita dei piccoli pazienti. Le complicanze trombotiche o le infezioni determinano una breve vita dei cateteri, difficilmente oltre i primi 6 mesi. I costi della profilassi in paziente emofilico adulto di 70 kg superano i € 230.000/anno, una cifra sicuramente elevata ma a fronte della quale si verifica un netto miglioramento della qualità della vita e uno sviluppo muscolo-scheletrico pari a quello di un soggetto normale. Quando i benefici sono così elevati, anche il rapporto costo/efficacia si riduce. Un SSN o un SSR basato sulla solidarietà e la condivisione dei bisogni di tutti i cittadini non deve negare a nessun paziente la terapia più appropriata ed efficace per fronteggiare la sua malattia. 6 Massimo Morfini Responsabile Centro Emofilia Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze Focusemostasi Il monitoraggio della profilassi: un approccio clinico pratico Angiola Rocino Centro Emofilia e Trombosi Ospedale San Giovanni Bosco ASL NA1 Centro, Napoli Introduzione I pazienti con emofilia A e B grave presentano un elevato rischio di episodi emorragici severi che possono porre in serio pericolo la vita del paziente. In conseguenza dei ripetuti e frequenti emartri, presentano, inoltre, alterazioni muscolo-scheletriche invalidanti da artropatia cronica che, insieme allo sviluppo di inibitori, rappresentano, oggi, la maggiore complicanza dell’emofilia (1). La profilassi continua iniziata precocemente, in età infantile, è in grado di convertire il fenotipo emorragico grave in una forma più lieve e, riducendo il numero e la frequenza degli episodi emorragici intraarticolari, consente di prevenire lo sviluppo dell’artropatia cronica (2-5). Ne conseguono vantaggi in termini di miglioramento della qualità della vita (QoL) derivanti, non solo dalla ridotta necessità di visite mediche, accessi ai servizi di emergenza e pronto soccorso, ricoveri ospedalieri, interventi chirurgici e riabilitativi, ma anche dalla possibilità di condurre una vita normale, praticare sport, raggiungere un curriculum formativo tale da consentire un normale inserimento sociale e nel mondo produttivo del lavoro (6-8). Gli stessi vantaggi sono ottenibili anche in pazienti adolescenti o adulti mediante regimi di profilassi che, sebbene non più in grado di controvertire la tendenza all’artropatia cronica possono, tuttavia, dilazionarne la progressione o renderne meno gravi le manifestazioni cliniche inabilitanti (8-11). Studi recenti suggeriscono, inoltre, che la profilassi continua, iniziata precocemente, nel periodo di maggior rischio per lo sviluppo d’inibitore, può ridurre notevolmente la frequenza di comparsa di tale temibile complicanza (12-13). Per tali motivi la profilassi rappresenta, oggi, la terapia ottimale per i pazienti con emofilia grave. Raccomandata dalle linee guida per il trattamento dell’emofilia di molti paesi in Europa e in Nord-America, da organizzazioni internazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) e la World Federation of Haemophilia (WFH) ed inserita, inoltre, tra i “principi” cui la terapia dell’emofilia deve ispirarsi dall’European Association for Haemophilia and Allied Disorders (EAHAD) (15-18) la profilassi presenta, tuttavia, non trascurabili difficoltà di gestione nella comune pratica clinica. Inoltre, benché la maggioranza dei clinici ritenga, fermamente, che i benefici della profilassi sovrastino di gran lunga quelli del trattamento a domanda (19-20), i costi elevati e le difficoltà da superare fanno sì che non vi sia unanime accordo circa il regime ottimale da utilizzare. Anzi, sulla base di evidenze sempre più consistenti (21-27), va facendosi strada la convinzione che un regime di profilassi tagliato “su misura” (tailored prophylaxis) costituisca l’approccio migliore e che lo schema di trattamento ideale debba essere costruito e modulato sulla base del fenotipo emorragico di ogni singolo paziente (28-29). Un tale approccio richiede, tuttavia, un’accorta valutazione clinica globale e un attento monitoraggio che tenga anche in conto esigenze, necessità, stile di vita del paziente. Non sono, al momento, disponibili chiare e dettagliate linee guida internazionali cui il clinico possa attenersi nella scelta dei sistemi più idonei per attuare il monitoraggio della profilassi, anche se alcune indicazioni sono state fornite dalle recenti linee guida edite a cura della United Kingdom Haemophilia Centre Doctors’ Organization (UKHCDO) (30). Esse, comunque, si limitano a fornire indicazioni generiche, non definiscono la frequenza del monitoraggio e non indicano le modalità con cui dovrebbe essere valutato il livello di soddisfazione del paziente, la QoL, il grado di autonomia e d’inserimento sociale, tutti aspetti, invece, che risultano di cruciale importanza, se tra gli scopi della profilassi, nel paziente emofilico, non si considerano solo gli aspetti clinici ma il suo benessere globale. 7 Scopo di questo articolo è riassumere quali parametri possano essere utilizzati nella comune pratica clinica, allo scopo di individuare un sistema di monitoraggio della profilassi che possa essere di facile attuazione e che fornisca al medico le maggiori indicazioni circa il regime ottimale da utilizzare, in rapporto alla fenomenologia emorragica di ogni singolo paziente ma anche alle sue necessità, attitudini, abitudini comportamentali. Gli interventi educazionali e la valutazione dell’aderenza alle prescrizioni Il monitoraggio clinico del paziente emofilico in profilassi non è di facile attuazione. Non infrequentemente, lo stesso numero e la frequenza degli episodi emorragici possono non essere facilmente monitorati. Il trattamento domiciliare, cardine fondamentale di ogni regime di profilassi comporta, infatti, che la maggior parte degli episodi emorragici acuti, e soprattutto quelli apparentemente meno gravi, vengano gestiti esclusivamente dal paziente e/o dai familiari che ne attuano il trattamento in completa autonomia. Perché ciò avvenga correttamente è quindi di fondamentale importanza che il paziente ed i familiari imparino a riconoscere i sintomi più precoci dell’insorgere di un episodio emorragico acuto, nelle sue differenti tipologie, e siano ben istruiti ad effettuarne il trattamento precoce a dosaggio adeguato, nonché a gestire le successive infusioni con l’opportuna frequenza. In particolare, il clinico dovrebbe tenere conto che, per i genitori di un piccolo paziente, i primi sintomi di emartro possono non essere facilmente riconoscibili. Essi devono, quindi, essere continuamente supportati nelle difficoltà di gestione della malattia e del trattamento di profilassi che, soprattutto all’inizio, possono essere notevoli. Inoltre, non è da sottovalutare che i primi sintomi di emartro, ben noti ai pazienti trattati a domanda che, con il succedersi delle esperienze, imparano a riconoscerli sempre più precocemente, possono non essere altrettanto facilmente riconoscibili dai pazienti trattati da lungo tempo in regime di profilassi. Non è infrequente, infatti, che trascorrano mesi, se non anni, senza che essi manifestino emartri e il paziente può, pertanto, non essere più in grado di riconoscerne precocemente i sintomi. Né è da escludere, nel caso di un adolescente, ad esempio, che egli non abbia alcuna memoria dei sintomi di emartro se il precedente episodio risale all’epoca della prima infanzia. Un adeguato monitoraggio della profilassi necessita perciò di un continuo supporto educazionale e che i pazienti siano ben addestrati a riconoscere gli episodi emorragici, valutarne la severità ed effettuarne il trattamento. Inoltre, essi devono essere opportunamente istruiti a valutare l’efficacia delle infusioni praticate e a riportarle, correttamente, in appositi diari cartacei o elettronici. Ad ogni visita, effettuata presso il Centro, il medico dovrà, poi, verificare se il paziente abbia avuto difficoltà nel riconoscere eventuali episodi emorragici acuti e se questi siano stati adeguatamente trattati. In caso contrario, dovrà rinforzare gli interventi educazionali già precedentemente forniti invitandolo, contestualmente, a rivolgersi ai medici del Centro in caso di dubbi o necessità di ulteriori indicazioni. Inoltre, affinché il paziente abbia una buona aderenza al regime prescritto, è di cruciale importanza che egli ne comprenda a pieno scopi e benefici. Non è certo un caso, ad esempio, che i maggiori problemi di non aderenza alle prescrizioni comincino a intervenire in età adolescenziale, quando il paziente assume una maggiore capacità auto-decisionale. L’atteggiamento di ribellione verso tutto ciò che gli è imposto dagli adulti, tipico di quest’età può, infatti, tradursi in una minore accettazione della malattia, con conseguente intolleranza verso la periodicità delle infusioni, fino ad un vero e proprio atteggiamento di rifiuto ad attenersi scrupolosamente al protocollo di trattamento. In questa fase, l’attenzione del clinico deve, quindi, spostarsi dai genitori al giovane paziente, dedicandogli tempo, dimostrandogli di comprendere le sue intemperanze, fino a stabilire con lui un rapporto diretto, e senza intermediari, che costituisca la base per interventi d’informazione ed educazione di cui lo stesso giovane divenga il principale protagonista. La visita medica: l’anamnesi e l’esame clinico ortopedico Cardine fondamentale del monitoraggio della profilassi è la visita periodica. Questa dovrebbe essere eseguita almeno con frequenza mensile dai bambini che hanno da poco iniziato la profilassi e per i 8 Focusemostasi quali non è ancora ben definita la frequenza degli emartri. Ciò allo scopo di adeguare il numero e l’intervallo delle infusioni settimanali al regime di vita, all’indole del paziente, al rischio di eventi traumatici, alla tipologia e alla frequenza degli episodi emorragici acuti. Nei bambini più grandi, nei quali è già stato definito un regime di profilassi, adeguato alla sua sintomatologia clinica, la visita può, invece, essere eseguita trimestralmente mentre, negli adolescenti e negli adulti, essa può essere effettuata anche ad intervalli più dilazionati ma, comunque, almeno semestralmente. Anche se il paziente sta già praticando un regime di profilassi ormai standardizzato, visite più ravvicinate dovrebbero, in ogni caso, essere effettuate qualora si verifichi un’intensificazione della sintomatologia emorragica, compaiano articolazioni bersaglio o si sospetti che il paziente non si attenga alle indicazioni terapeutiche oppure se egli riferisce un cambiamento dello stile di vita e delle proprie esigenze. L’esame clinico dovrebbe essere preceduto da un’attenta anamnesi effettuata con un’intervista, idealmente standardizzata, tesa a raccogliere informazioni quanto più precise possibile circa la sintomatologia che il paziente ha presentato nell’intervallo dalla visita precedente. Con l’intervista dovrebbe essere anche verificata l’aderenza alle prescrizioni, la regolarità delle infusioni, la comparsa, la tipologia e la sede di eventi emorragici acuti, il trattamento attuato, il consumo totale di concentrati, tanto per il trattamento di profilassi quanto per la risoluzione di episodi emorragici o in anticipo rispetto a situazioni di rischio che avrebbero potuto comportarne (per esempio, prima di praticare un’attività sportiva). Particolare attenzione dovrebbe, inoltre, essere posta a verificare che non vi siano difficoltà all’accesso venoso e che nel diario del paziente siano correttamente riportate tutte le infusioni effettuate, annotando nome commerciale del prodotto, dosaggio, data e ora dell’infusione, numero di lotto, se si sono verificati o meno eventi avversi, se vi è stata necessità di utilizzo di altri prodotti emostatici e antidolorifici. Nel caso di bambini, il medico, insieme ai genitori, dovrebbe attentamente verificare se vi siano difficoltà nella pratica di attività tipiche dell’infanzia, come: sollevarsi in piedi, saltare, saltellare, correre, arrampicarsi, appendersi, andare in bicicletta, azionare pedali, ecc. e se il bambino manifesti dolore in alcuna di tali attività. Negli adolescenti e negli adulti la raccolta d’informazioni circa il dolore riveste ancora maggiore importanza, costituendo il principale sintomo di un danno articolare ingravescente. È per questo motivo che la valutazione del dolore dovrebbe, idealmente, essere effettuata utilizzando una scala visuale analogica. Non sono, al momento, disponibili scale specifiche per la valutazione del dolore cronico da artropatia emofilica. Cionondimeno, le comuni scale per la valutazione del dolore cronico in altre patologie, come pure quelle a fumetti specificamente adattate ai bambini, possono essere di grande utilità. Un esempio di scala visuale analogica è riportato nella Figura 1. Il suo uso o quello di scale similari può essere utile nella quantificazione del dolore nel paziente emofilico, consentendo una valutazione più standardizzata di quella Assenza di dolore 0 Dolore continuo e molto intenso 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Figura 1. Scala visuale analogica (VAS) per la valutazione del dolore Focusemostasi 9 derivabile dalla semplice descrizione compiuta dal paziente. Questa è, tuttavia, indispensabile per un migliore inquadramento ed è perciò opportuno che il medico abbia cura di porre al paziente precise domande circa le circostanze in cui il dolore compare (in seguito a sforzo, durante un esercizio fisico prolungato, se è attenuato dal riposo, se compare soprattutto al mattino dopo il riposo notturno e tende a diminuire d’intensità o a scomparire con la ripresa dell’attività fisica), la responsività al trattamento sostitutivo, all’uso di analgesici e/o all’uso di FANS e la frequenza con cui egli ha necessità di far ricorso a tali farmaci. L’anamnesi dovrebbe inoltre comprendere la raccolta d’informazioni circa: la tumefazione di particolari articolazioni (permanente, intermittente, solo dopo prolungato esercizio fisico) e l’effetto su tale sintomo del trattamento sostitutivo, l’instabilità dell’articolazione e il blocco della stessa con le relative ripercussioni sulle attività quotidiane (capacità di muoversi in maniera autonoma e svolgere regolarmente un’attività lavorativa), sull’attività fisica e la pratica sportiva. La visita deve comprendere l’esame clinico generale, volto a evidenziare la presenza di comorbidità che possano influire sulla fenomenologia emorragica e sulla scelta del regime di profilassi da attuarsi. Il sospetto clinico o la diagnosi già effettuata di eventuali comorbidità deve inoltre orientare il clinico nella scelta dei test di laboratorio e delle indagini strumentali che ne possano consentire il più corretto inquadramento diagnostico e terapeutico. Cardine principale della visita di follow-up del paziente in profilassi è, in ogni caso, la valutazione clinico-ortopedica volta a individuare precocemente la comparsa o l’aggravarsi di segni di artropatia cronica. In particolare, la valutazione dello stato delle articolazioni dovrebbe essere tesa a obiettivare la presenza di danno articolare, quantificarne l’entità e il grado di motilità delle articolazioni (range of motion, ROM). Allo scopo, è perciò opportuno utilizzare sistemi di scoring standardizzati, opportunamente scelti in base all’età del paziente. Lo strumento più diffuso e storicamente utilizzato per la valutazione delle condizioni ortopediche nel paziente emofilico è rappresentato dallo joint scoring system (JSS), raccomandato dalla Orthopaedic Advisory Committee della World Federation of Haemophilia (WFH). Questo si basa su una scala a 18 punti per ciascuna delle sei articolazioni prese in esame (ginocchia, gomiti e caviglie) nel quale la somma dei punti attribuiti a ciascuna articolazione costituisce lo score totale del paziente (31). Un sostanziale limite di tale sistema è tuttavia rappresentato dalla sua relativa insensibilità ad evidenziare le manifestazioni da artropatia più precoci. Inoltre, esso prevede misurazioni non facilmente eseguibili, nel bambino, a causa della relativa immaturità dello sviluppo somatico, mentre non prende in considerazione attività fisiche e comportamentali tipiche dell’infanzia. Né, d’altro canto, consente una precisa valutazione delle alterazioni più lievi nel paziente adulto. È per questi motivi che diversi strumenti clinimetrici, specificamente disegnati per mettere in evidenza le più sottili alterazioni dell’apparato muscolo-scheletrico, sono stati più recentemente messi a punto (32-33) e successivamente armonizzati in uno strumento unico, l’Hemophilia Joint Health Score (HJHS) a cura dell’International Prophylaxis Study Group (IPSG) (34). Tale strumento (Tabella 1), il cui uso si va sempre più diffondendo, è facilmente utilizzabile nella comune pratica clinica. Attualmente, perciò, la scala WFH viene sempre meno utilizzata nei pazienti precocemente trattati in profilassi e il suo uso è riservato ai soli pazienti in età più avanzata, lungamente trattati a domanda, che presentino segni di danno articolare già in stadio avanzato. Inoltre, il monitoraggio della profilassi dovrebbe anche comprendere la valutazione del grado di autonomia del paziente e di eventuali difficoltà che egli presenti nel compiere attività, come: utilizzare un mezzo di trasporto pubblico, salire le scale, vestirsi, pettinarsi, percorrere lunghe distanze, parcheggiare la propria automobile, sollevare pesi ed in tante altre situazioni della normale vita di tutti i giorni che richiedono una buona funzionalità dell’apparato muscolo-scheletrico. Tali aspetti possono non essere di cruciale importanza nei pazienti più giovani, trattati unicamente con regimi di profilassi, ma possono costituire vere e propie condizioni di disagio. Nel caso di soggetti trattati lungamente a domanda, che abbiano già sviluppato un danno articolare. Uno specifico questionario volto ad esplorare la capacità di esplicare varie attività fisiche necessarie per una normale vita di relazione è rappresentato dalla Haemophilia Activities List (HAL) (35) il cui inserimento tra gli strumenti più 10 Focusemostasi Focusemostasi 11 Punteggio totale (somma del totale del punteggio articolare + punteggio globale dell’andatura) LA=caviglia sinistra; RA=caviglia destra; LE=gomito sinistro; RE=gomito destro; LK=ginocchio sinistro; RK=ginocchio destro Punteggio globale dell’andatura Totale punteggio articolare Andatura Forza Dolore articolare Instabilità Perdita della capacità di estensione Perdita della capacità di flessione Crepitio durante il movimento Allineamento assiale Atrofia muscolare Durata (della tumefazione) Tumefazione LA RA LE RE LK RK Altro Tabella 1. Hemophilia Joint Health Score Perdita della capacità di estensione 0 = <5 1 = 5–10 2 = 11–20 3 = >20 Perdita della capacità di flessione 0 = <5 1 = 5–10 2 = 11–20 3 = >20 Allineamento assiale Misurato solo a livello di caviglia e ginocchio 0 = entro limiti normali 2 = al di fuori dei limiti normali Atrofia muscolare 0 = nessuna 1 = lieve 2 = severa Durata 0 = tumefazione assente o <6 mesi 1 = >6 mesi Tumefazione 0 = nessuna 1 = lieve 2 = moderata 3 = severa Andatura 0 = tutte le capacità sono nell’ambito della normalità 1 = una capacità non è nell’ambito della normalità 2 = due capacità non sono nell’ambito della normalità 3 = tre capacità non sono nell’ambito della normalità 4 = nessuna capacità (passeggiare, salire le scale, correre, saltare) è nell’ambito della normalità Forza (secondo la Scala di Daniels e Worthingham) Con ROM disponibile 0 = mantiene la posizione del test contro la forza di gravità con una resistenza massima (gr. 5) 1 = mantiene la posizione del test contro la forza di gravità con una resistenza moderata (ma cede con una resistenza massima ) (gr. 4) 2 = mantiene la posizione del test con una resistenza minima (gr. 3+) oppure mantiene la posizione del test contro la forza di gravità (gr. 3) 3 = è capace di completare parzialmente il ROM contro la forza di gravità (gr. 3-/2+), oppure è capace di muoversi nell’ambito del ROM una volta eliminata la forza di gravità (gr. 2), oppure è capace di muoversi parzialmente nell’ambito del ROM una volta eliminata la forza di gravità 4 = traccia (gr. 1) o assenza di contrazione muscolare (gr. 0) Dolore articolare 0 = nessun dolore sia all’interno che alla fine del range di movimento (ROM) 1 = presente Instabilità 0 = nessuna 1 = significativa lassità articolare patologica idonei per un corretto follow-up dei pazienti emofilici è sempre più raccomandato da vari esperti. Una versione adattata ad esplorare le attività quotidiane del bambino è stata recentemente messa a punto e sembra garantire promettenti potenzialità di facile applicazione (36). La valutazione strumentale dell’artropatia cronica e degli esiti della profilassi La valutazione a lungo termine degli esiti della profilassi si basa, oltre che sull’esame clinico, sull’esecuzione di indagini di diagnostica strumentale per immagini. Circa la frequenza con cui queste dovrebbero essere eseguite, non sono disponibili specifiche linee guida o raccomandazioni di consenso. Il gruppo di esperti che, nel 2002, stilò gran parte delle raccomandazioni circa l’uso e la gestione della profilassi, tuttora valide, ritenne non utile eseguire esami radiografici standard nel bambino (37) e più utile viene oggi considerata la Risonanza Magnetica (RM). Questa rappresenta, nell’opinione della maggioranza degli esperti, l’indagine diagnostica strumentale più sensibile e in grado di porre in evidenza le più precoci alterazioni da artropatia cronica. Permette, inoltre, di valutare lo stato dei tessuti molli e consente una migliore visualizzazione delle erosioni. La RM rappresenta, tuttavia, un’indagine non facilmente eseguibile di routine e che, nella comune pratica clinica, dovrebbe essere riservata all’approfondimento di casi più difficili (37). D’altro canto, la radiografia convenzionale con la valutazione dello score di Pettersson (38), raccomandato dalla WFH, è più indicata per la valutazione del danno articolare da artropatia cronica in stadio avanzato. Essa non è pertanto utile nel bambino e dovrebbe cominciare ad essere effettuata dall’adolescenza in poi, ad intervalli non standardizzati ma scelti sulla base delle condizioni cliniche del paziente, specie se questi esegue regolarmente un regime di profilassi. In caso ci si trovi, invece, a dover valutare l’opportunità di dare inizio ad un trattamento di profilassi in un paziente adolescente o adulto, la radiografia convenzionale, con determinazione dello score di Pettersson, dovrebbe essere eseguita prima di dare inizio alla profilassi e successivamente ogni 5-10 anni o più frequentemente ma solo se ciò è dettato dalle condizioni cliniche del paziente o è richiesto ai fini di una valutazione chirurgica. In casi selezionati, o per articolazioni selezionate, essa può essere arricchita con la valutazione RM per mettere in evidenza alterazioni più fini, altrimenti non ben evidenziabili con la radiografia standard. In tutti i casi, appare opportuno che la RM sia interpretata da un radiologo esperto nella valutazione dell’artropatia emofilica ed in Centri con una consolidata esperienza nella gestione dei pazienti emofilici, utilizzando un sistema di scoring standardizzato. Diversi sistemi di scoring sono stati recentemente individuati ed armonizzati per consentirne una maggiore riproducibilità d’interpretazione e per minimizzare differenze interpretative operatore-dipendente (39-42). Tuttavia, essi necessitano di essere ulteriormente validati e standardizzati definendo anche, idealmente, precisi protocolli di esecuzione. Inoltre, dovrebbe essere meglio definita l’utilità di questo strumento nel follow-up di pazienti con segni solo iniziali di artropatia cronica che continuano ad essere trattati in profilassi. Promettenti alternative appaiono essere le tecniche ultrasonografiche che potrebbero costituire il mezzo diagnostico ideale, gravato dai minori costi e più facilmente eseguibile (43-44). L’ecografia, pur in mani esperte, non è tuttavia sufficientemente standardizzata e presenta, tuttora, non trascurabili limiti legati in gran parte alla variabilità delle modalità di esecuzione ed interpretazione (45). Nondimeno, il suo utilizzo, eventualmente in parallelo alla determinazione dello score di Pettersson e/o dello score RM, può essere utile anche nella comune pratica clinica, allo scopo di valutarne la praticabilità, i limiti, i vantaggi, i costi-benefici. Inoltre, non pochi sforzi si stanno attualmente compiendo al fine di standardizzarne le metodiche, identificare precisi protocolli di esecuzione e minimizzare le differenze operatore-dipendenti. Il monitoraggio di laboratorio Nel monitoraggio periodico in corso di profilassi, controverso è se controllare o meno i livelli di FVIII/ FIX:C. Molti esperti ritengono che il mantenimento di livelli costantemente >1% non rappresenti di per sé un obiettivo della profilassi, dal momento che eventuali aggiustamenti delle dosi o della fre- 12 Focusemostasi quenza delle somministrazioni vengono effettuati sulla base di criteri clinici (37). Tuttavia, nella comune pratica clinica, è consuetudine di molti Centri monitorare i livelli di FVIII o FIX, soprattutto nei bambini, a causa della minore emivita in tali pazienti. Ciò appare effettivamente opportuno, specie nei pazienti che hanno da poco iniziato la profilassi e in cui non è stato ancora ben identificato l’intervallo tra le somministrazioni più idoneo, al fine di minimizzare il rischio di episodi emorragici acuti. Perché il test risulti di reale utilità è, comunque, necessario che esso venga eseguito al più lungo intervallo di tempo dall’ultima somministrazione di concentrato e che le visite di monitoraggio periodico siano, a tale scopo, opportunamente programmate. Più utile è certamente, l’esecuzione di uno studio di farmacocinetica da eseguirsi non appena possibile, in base all’effettiva utilità clinica, in rapporto all’età del paziente, al reperimento di un facile accesso venoso e alla necessità di effettuare i numerosi prelievi richiesti da un tale studio (30, 37). In ogni caso, la farmacocinetica dovrebbe essere determinata in ottemperanza ai criteri definiti dalla Scientific and Standardization Committee dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis (SSC-ISTH) (46) usando, come plasma di riferimento, uno standard dello specifico prodotto utilizzato dal paziente (47) e dovrebbe avere, come obiettivo, di minimizzare i consumi, individuando la dose minima effettiva da somministrare in ogni singolo paziente (48). Una volta che questa è stata identificata, solo il monitoraggio clinico potrà consentire di valutarne l’adeguatezza e non è da escludere che essa possa variare in rapporto a differenti condizioni cliniche o ad altri fattori. Collins et al., analizzando i dati relativi a 44 bambini di età 1-6 anni e 99 adolescenti o adulti (età 10-65 anni) inseriti nei trial clinici di sicurezza ed efficacia di un nuovo concentrato di FVIII ricombinante, hanno osservato una significativa associazione tra tempo in cui venivano mantenuti livelli di FVIII <1% e la comparsa di emartri (p<0.0001) (49). Inoltre, l’aderenza alla frequenza delle infusioni rappresentava un altro fattore d’importanza critica. Dunque, misurare i livelli di FVIII o FIX può essere di considerevole utilità, soprattutto nei bambini, al fine di aggiustare le dosi somministrate, razionalizzare gli intervalli e cercare di evitare, al meglio, i sanguinamenti traumatici ed atraumatici. Ripetere il dosaggio più volte all’anno, almeno semestralmente, appare ugualmente opportuno anche al fine di verificare che le dosi e la frequenza delle somministrazioni siano adeguate allo stile di vita del paziente e che questi continui ad avere una buona compliance. Un’alternativa al dosaggio dei livelli di FVIII per il monitoraggio della profilassi potrebbe essere data dall’uso di test che determinino la generazione di trombina (50). Più tentativi di standardizzazione di tali test sono stati compiuti al fine di poterli utilizzare nella comune pratica clinica. Tuttavia, il loro utilizzo rimane confinato a laboratori specializzati ed essi non sono routinariamente utilizzati. Ciò non toglie che il loro uso in parallelo al dosaggio di FVIII o FIX possa costituire una valida alternativa, almeno fino a completa standardizzazione delle metodiche e validazione della riproducibilità dei risultati intra- ed inter-laboratorio. Il monitoraggio degli eventi avversi L’uso di prodotti altamente purificati e ricombinanti ha ridotto a incidenze minime le reazioni allergiche frequentemente osservate in passato con l’utilizzo di prodotti ad intermedia purezza largamente contaminati da altre proteine estranee. Tuttavia, reazioni allergiche e gravi reazioni anafilattiche sono sempre da temere in emofilici B gravi con ampie delezioni del gene F9 che sviluppino inibitori (51). In assenza di linee guida specificamente disegnate per la sorveglianza degli inibitori anti-FIX in emofilici B e, considerando che le manifestazioni allergiche possono precedere la stessa comparsa d’inibitori, è perciò raccomandato che l’identificazione della mutazione genica sia eseguita, negli emofilici B gravi, già alla diagnosi e che i pazienti con mutazioni “null” vengano attentamente monitorati, almeno nei primi 20 giorni di esposizione, sia per lo sviluppo d’inibitori, quanto per la comparsa di reazioni allergiche, praticando le infusioni in ambiente ospedaliero, prima di essere avviati al trattamento domiciliare (52). Ciò è parimenti valido per i pazienti che inizino la profilassi prima di aver raggiunto i 20 giorni di esposizione. Alterazioni immunitarie caratterizzate da modificazioni della reattività cutanea cellulo-mediata e della conta di linfociti CD4 e CD8, riduzione della secrezione di IL-2 e da difetto funzionale dei monociti sono state, in passato, osservate anche in pazienti HIV-negativi e attribuite ad infezioni da virus HCV, Focusemostasi 13 CMV, EBV ed altri, compresi eventuali virus non noti, o alla prolungata esposizione ad alloantigeni e proteine estranee contaminanti i concentrati di FVIII ad intermedia purezza (Fibrinogeno, Fibronectina, IgG, IgM) (53) nonché alla presenza di TGF-β1 in alcuni tipi di concentrato (54). Tali effetti non determinano, tuttavia, modificazioni immunologiche clinicamente significative (55) e non sussistono, al momento, motivi che suggeriscano un monitoraggio dei parametri immunitari in soggetti in trattamento di profilassi, particolarmente se vengono utilizzano prodotti ricombinanti e se non altrimenti indicato dalle condizioni cliniche. Tuttavia, un attento monitoraggio per la comparsa di reazioni avverse è parte delle regole di “buona pratica clinica” e deve perciò essere effettuato in tutti i pazienti, comunque trattati, compresi coloro che eseguono un regime di profilassi continua, durante le visite periodiche cui essi vengono sottoposti. Inoltre, la partecipazione a programmi di sorveglianza continua è fortemente raccomandata tanto dalla FDA, in Nord-America, quanto dall’EMEA, in Europa, al fine di documentare la continua sicurezza dei prodotti attualmente in uso e di identificare, il più precocemente possibile, eventuali nuovi problemi che potrebbero insorgere sia in relazione alla trasmissione di agenti infettivi, quanto alla comparsa di reazioni avverse, patologie cardiovascolari, tumori, ed altre patologie potenzialmente correlabili al trattamento sostitutivo (56). Un nuovo programma di sorveglianza (European Haemophilia Safety Surveillance, EUHASS) è stato allo scopo attivato, in Europa, sotto l’egida dell’EAHAD in collaborazione con l’EMEA (57) ed è perciò auspicabile che i pazienti emofilici di qualsiasi età entrino a far parte di tale sistema e siano prospetticamente seguiti. Il monitoraggio della qualità della vita e del grado di partecipazione sociale Sia il monitoraggio che la valutazione degli esiti della profilassi dovrebbero essere arricchiti da una valutazione della QoL e del grado di soddisfazione del paziente, mediante l’utilizzo di questionari standardizzati. Questi strumenti sono caratterizzati da un certo livello di soggettività nell’interpretazione che è stato da alcuni ritenuto un fattore limitante. Tuttavia, proprio la soggettività del paziente, la sua percezione di salute e il personale giudizio sono importanti elementi che meritano di essere tenuti nella stessa considerazione dei parametri clinici e strumentali. In quest’ottica, la valutazione della QoL dovrebbe essere inserita, di routine, nel monitoraggio dei pazienti emofilici alla stessa stregua dell’esame clinico, dei test di laboratorio, degli esami strumentali (58) e comprendere la valutazione sia di indici generici che specificamente correlati all’emofilia (59). Inoltre, è opportuno che vengano utilizzati strumenti opportunamente adattati ad esplorare i diversi aspetti pertinenti alla sfera fisica, psichica ed affettiva nelle diverse età, dall’infanzia all’età adulta alla senescenza. Alcuni tra i più utilizzati strumenti generici sono, per gli adulti, il Medical Outcomes Study 36-Item Health Survey (SF-36) (60), il World Health Organisation Quality of Life Assessment Questionnaire (WHOQoL) (61), l’EuroQoL 5 Dimensions (EQ-5D) (62); per i bambini, il German KINDL (63) e il PedsQL (64) ma ne esistono altri che presentano similarità e differenze tali da richiedere un’approfondita conoscenza della materia, per poter scegliere tra di essi. Tuttavia, pur sottolineando la necessità di adottare strumenti specifici per i pazienti emofilici, diversi autori indicano nei questionari SF36 ed EQ-5D gli strumenti generici più idonei (65-67). Quest’ultimo, in particolare, è quello più frequentemente utilizzato per i pazienti emofilici, poiché la sua sinteticità lo rende più facilmente accettabile. Esso consiste di una scala visuale analogica (da 0 a 100) in cui il paziente esprime un giudizio complessivo circa il suo stato di salute e di una serie di quesiti relativi a 5 domini: mobilità, capacità di prendersi cura di sé stesso ed esplicare le normali attività quotidiane, dolore/fastidio e ansietà/depressione. Strumenti specifici per i pazienti emofilici, sia adulti che bambini, sono stati, inoltre, recentemente messi a punto. Tutti prendono in ampia considerazione le diverse dimensioni: fisica, funzionale, sociale, emozionale, mentale, la malattia ed il suo trattamento e approcciano le problematiche relative alle difficoltà ad esso legate e al livello di soddisfazione del paziente (58,65). In particolare, il questionario Haem-A-QoL, sviluppato da von Mackensen, appare essere di grande 14 Focusemostasi utilità poiché, non solo è disponibile in versioni specifiche per l’adulto, i bambini e gli adolescenti nelle differenti fasce di età (4-7, 8-12, 13-16 anni), ma affronta tematiche particolarmente rilevanti per i pazienti più giovani, come: lo sport, il rapporto con i coetanei e la scuola, la percezione del futuro e i rapporti al di fuori dell’ambito familiare (68). In ogni caso, l’elemento cruciale non appare tanto essere quale strumento generico e specifico venga utilizzato, quanto che la valutazione della QoL e della capacità di affrontare le normali attività fisiche della vita di tutti i giorni costituisca parte integrante della gestione clinica del paziente e che siano monitorate almeno annualmente e ogni qualvolta dall’anamnesi scaturiscano elementi che lascino presupporre modificazioni, tanto in termini di partecipazione sociale quanto in termini di autonomia. Conclusioni L’efficacia della profilassi nel ridurre la frequenza degli episodi emorragici e la comparsa di manifestazioni cliniche invalidanti da artropatia emofilica è ben documentata da una lunga storia di studi osservazionali retrospettivi e più recentemente da studi prospettici, controllati e randomizzati. Grazie al trattamento di profilassi gli emofilici gravi possono, oggi, condurre una vita normale, praticare sports, raggiungere traguardi professionali elevati, senza dover essere limitati dalle difficoltà derivanti da limitazioni fisiche. I traguardi raggiunti possono, tuttavia, essere ulteriormente migliorati con l’adozione di sistemi di monitoraggio della profilassi che, per quanto multi-fattoriali e non univocamente definibili, rappresentano, al momento, l’unica strategia della quale il clinico può giovarsi al fine di personalizzare al meglio il regime di profilassi, sulla base delle caratteristiche fenotipiche del singolo paziente e delle sue esigenze di vita. Bibliografia 1. Mannucci PM, Tuddenham EG. The hemophilias--from royal genes to gene therapy. N Engl J Med 2001; 344: 1773-9. 2. Nilsson IM, Berntorp E, Löfqvist T, Pettersson H. Twenty-five years’ experience of prophylactic treatment in severe haemophilia A and B. J Intern Med 1992; 232: 25-32. 3. 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Profilassi secondaria Annarita Tagliaferri Centro di Riferimento Regionale per la cura dell’Emofilia e delle Malattie Emorragiche Congenite Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma Introduzione La principale causa di morbilità e disabilità, con importanti influenze sulla qualità di vita, nel paziente adulto con emofilia A severa è l’artropatia a carico delle grandi articolazioni (ginocchia, caviglia e gomito), secondaria ad emartri recidivanti e ai conseguenti fenomeni degenerativi a lungo termine (1). Negli ultimi quarant’anni, la storia naturale dell’emofilia A grave è stata radicalmente trasformata dalla disponibilità dei concentrati di fattori della coagulazione e dalla diffusione della profilassi che consiste nell’infusione regolare di concentrati allo scopo di prevenire gli eventi emorragici e le loro conseguenze. L’evidenza dei benefici della profilassi, tanto maggiori quanto prima questa viene instaurata (2-5), è documentata dalla consolidata esperienza dei paesi del nord Europa che tra i primi hanno adottato questo regime terapeutico (2,3). Secondo le definizioni correnti, per profilassi primaria si intende un trattamento regolare e continuo a lungo termine iniziato prima dei 2 anni di età e/o dopo il primo emartro mentre la profilassi secondaria include tutti i trattamenti regolari e continui a lungo termine che non soddisfano i criteri per la profilassi primaria (6). Grazie ai vantaggi clinici che ne derivano, la profilassi è raccomandata, già dagli anni novanta, come trattamento di prima scelta per i pazienti affetti da emofilia A grave dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dalla World Federation of Haemophilia (WHF) (7) e da molte società scientifiche nazionali. Dal 2006, il Medical and Scientific Advisory Council of the US National Haemophilia Foundation (MASAC) e recentemente le linee guida inglesi pubblicate sul British Journal of Haematology (BJH), raccomandano la profilassi negli emofilici gravi di tutte le età (8,9). Mentre la profilassi primaria è attualmente considerata il regime terapeutico di scelta nei bambini con emofilia grave (raccomandazione di grado 1A) (9), essendo stata dimostrata la sua efficacia nel prevenire il danno articolare sia nella pratica clinica che attraverso evidenze basate su studi clinici osservazionali e due studi randomizzati (10-12), i benefici ottenuti con la profilassi secondaria sono stati meno studiati e non sono ancora disponibili dati definitivi da studi prospettici a lungo termine (13,14). Background e definizione di profilassi L’utilizzo della profilassi in pazienti affetti da emofilia A grave trova il suo razionale nell’osservazione che i pazienti con livelli di FVIII:C >1% presentano un numero ridotto di emorragie e di conseguenza sviluppano più raramente l’artropatia emofilica (15,16). Trasformare l’emofilico grave in moderato, attraverso l’infusione regolare del concentrato di fattore carente, comporta un notevole miglioramento della qualità di vita: evitare la disabilità causata dalle frequenti emorragie e dal conseguente danno articolare, permette agli emofilici gravi di condurre una vita normale dal punto di vista clinico, psicologico, e della vita sociale e lavorativa. Nonostante la profilassi sia utilizzata con successo già da circa 40 anni soprattutto nei paesi del nord Europa, fino a poco tempo fa non esisteva una definizione universalmente condivisa. Nel 2002 una revisione delle varie definizioni, nel corso di una Consensus Conference (6) successivamente aggiornata (17), ha condotto ad un’unica definizione di profilassi permettendo così l’analisi e il confronto delle diverse esperienze. 17 Tabella 1. Definizioni dei regimi terapeutici in emofilia (6, 17) Regime Definizione Profilassi Primaria A (dopo il primo emartro) B (in base all’età) Trattamento continuo* a lungo termine iniziato dopo il primo emartro e prima dei due anni di età Trattamento continuo* a lungo termine iniziato prima dei 2 anni di età in assenza di emartri Profilassi secondaria A Trattamento continuo* a lungo termine che non rientra nei criteri che definiscono la profilassi primaria, es iniziato dopo due o più emartri o ad un’età >2 anni Profilassi secondaria B (profilassi a breve termine) Trattamento regolare intermittente (a breve termine) generalmente intrapreso per frequenti emorragie Terapia on-demand Trattamento intrapreso al momento dell’episodio emorragico *per almeno 46 settimane/anno La profilassi primaria ha come obiettivo la prevenzione del danno articolare garantendo così un’ottimale qualità di vita per il bambino emofilico; questo regime terapeutico viene iniziato precocemente (quando ancora non sono presenti alterazioni a livello articolare), non è infatti ancora chiaro quanti emartri possono determinare un danno articolare irreversibile. L’obiettivo della profilassi secondaria è quello di arrestare (o rallentare) la progressione dell’artropatia emofilica. Più precoce è l’inizio della profilassi secondaria migliore è l’outcome in questi pazienti. Profilassi secondaria precoce In letteratura sono disponibili diversi studi sulla profilassi secondaria iniziata in bambini in età scolare e nell’adolescenza (18-22). Nella maggior parte dei casi il trattamento è iniziato per l’incremento del numero di episodi emorragici o dopo sviluppo di target joint. L’outcome clinico meno favorevole dell’inizio tardivo della profilassi è dimostrato nello storico studio svedese in cui sono stati descritti i risultati di 25 anni di profilassi in soggetti con emofilia grave (2). I pazienti che hanno iniziato la profilassi in un’età compresa tra 3 e 13 anni (mediana 7) hanno avuto un più alto numero di emartri e di giorni persi da scuola e presentano uno score ortopedico e radiologico più alti rispetto a pazienti che hanno iniziato precocemente. Anche un’esperienza tedesca ha riportato migliori risultati nei pazienti in cui la profilassi veniva iniziata prima dei 12 anni (18). In ogni caso questi studi dimostrano che anche una profilassi iniziata tardivamente nei bambini è in grado di ridurre la frequenza delle emorragie, di migliorare la performance fisica, la qualità di vita e di ritardare (e in qualche caso invertire) (17,20) la progressione dell’artropatia. L’Orthopaedic Outcome Study rappresenta una pietra miliare di questa evidenza (18). Si tratta di uno studio prospettico (6 anni), multicentrico internazionale, che ha arruolato 477 pazienti con età media di 12 anni ed ha evidenziato che la profilassi, rispetto al trattamento on-demand, è associata ad una significativa minore progressione dell’artropatia e a migliori scores ortopedico e radiologico. Inoltre in questo studio sono stati anche valutati i costi sanitari diretti ed indiretti nei ragazzi in profilassi, dimostrando una riduzione significativa del numero di ricoveri ospedalieri e dei giorni persi di scuola. La profilassi secondaria nell’adolescente e nell’adulto La profilassi secondaria nell’adolescente e nell’adulto presenta ancora oggi diversi quesiti aperti. Il primo argomento dibattuto è se, e fino a quando, continuare la profilassi nei pazienti ormai adolescenti/ adulti che hanno iniziato questo regime terapeutico in età precoce. Secondo alcuni autori (23,24) e secondo le recenti linee guida inglesi pubblicate sul BJH (9) la profilassi andrebbe continuata fino allo sviluppo completo di ossa ed articolazioni dato che gli emartri si possono presentare meno frequentemente una volta che le epifisi si sono saldate e l’accrescimento è completato (24). Occorre comunque 18 Focusemostasi Tabella 2. Studi retrospettivi sulla profilassi secondaria in adolescenti e adulti Autore, anno Tipo di pubblicazione Pazienti Età mediana, range Risultati Miners, 1998 Articolo 19 HA, 5 HB,1 WD 30 (4-63) mediana numero emorragie/anno (37 13) ma 350% consumo di concentrato Loverin, 2000 Abstract 4 HA – 89% media emartri, migliore status ortopedico, minor consumo annuo di concentrato Saba, 2000 Abstract 6 HA,1 HB 37 (29-49) emartri/mese (4.16 0.48) con dei costi ($ 10979 paziente/mese) Fischer, 2005 Abstract 61 HA 26 (19-43) emartri/anno (9.1 3.6); a lungo termine la profilassi rallenta ma non arresta la progressione dell’artropatia Coppola, 2005 Abstract 19 HA 29 (17-46) 71% media emorragie, costi (€ 23645 paziente/mese), miglioramento QoL Tagliaferri, 2006 Lettera 17 HA, 3 HB 27 (12-74) media emartri/anno (26.1 3.4) miglioramento score ortopedico e “wellbeing”, 31% consumo di concentrato e costi Tagliaferri, 2008 Articolo 76 HA, 8 HB 28 (13-76) media emartri/anno (35.8 4.8), miglioramento score ortopedico e costi soprattutto negli adolescenti HA: emofilia A; HB: emofilia B; VWD: malattia di von Willebrand considerare che passare alla terapia on-demand in questi pazienti potrebbe comportare un aumento del numero delle emorragie e conseguentemente un danno articolare ed è per questo motivo che secondo l’OMS e la WFH la durata della profilassi dovrebbe essere indefinita (25); inoltre le recenti linee guida inglesi raccomandano di riprendere la profilassi se si ripresentano frequenti emorragie articolari (9). Pochi studi sono stati disegnati per mettere a confronto, in pazienti che continuano e in pazienti che sospendono la profilassi, il rischio emorragico e la progressione dell’artropatia allo scopo di identificare i candidati al proseguimento della profilassi (24,26); due studi olandesi dimostrano comunque un incremento della tendenza emorragica nei pazienti che hanno sospeso la profilassi (26,27). Occorre inoltre non sottovalutare il complesso momento psicologico che caratterizza l’adolescenza, in cui non si può non considerare il frequente rifiuto dei pazienti nei confronti della malattia cronica e di una terapia considerata rigida e vincolante, per cui il medico si può trovare di fronte alla scelta che gli impone di rivalutare la terapia on-demand al posto della profilassi. Dal momento che i dati presenti in letteratura consigliano fortemente di non desistere con la profilassi durante l’età dell’accrescimento è necessario rendere autonomi i ragazzi al trattamento, migliorando quindi la compliance, anche attraverso corsi di autoinfusione (9). Un altro argomento discusso riguarda il possibile beneficio, ad oggi non ancora ampiamente dimostrato, della profilassi secondaria iniziata in pazienti adolescenti/adulti che presentano un’artropatia degenerativa già instauratasi. Sono infatti pubblicati solo pochi studi retrospettivi quasi tutti riguardanti piccole coorti (28-34) (Tabella 2), e solo un recente studio prospettico cross-over con un follow-up breve (6 mesi) (35) che documentano l’efficacia della profilassi secondaria iniziata in età adolescente/ adulta. Sono in corso due studi prospettici, di cui uno randomizzato (36,37) (Tabella 3). Focusemostasi 19 Tabella 3. Studi prospettici sulla profilassi secondaria negli adulti Autore, anno Collins, 2010 Tipo di studio Cross-over (6 mesi on-demand; 7 mesi profilassi 20-40 UI/ kg 3 volte/sett, di cui il primo mese run-in) Pazienti 19 HA (30-45 anni) con almeno 2 emorragie/ mese Follow-up 13 mesi Risultati mediana numero emartri (15 0), Gilbert score (prevalentemente del bleeding score), consumo concentrato ~ 3-volte (1630 vs 4552 UI/kg/anno). Non differenze significative in HRQoL Studio Tipo Pazienti Stato POTTER, Italia Osservazionale, caso-controllo 52 HA (12-55) Follow-up: ≥60 mesi/paziente. Fine dello studio prevista per dicembre 2010. Analisi ad interim a 48 mesi: emorragie tot e articolari, miglioramento score ortopedico e consumo concentrati e costi nei pz in profilassi SPINART, USA Trial clinico randomizzato 80 HA (12-50) pianificati Previsti 3 anni, termine studio: 2012. Arruolamento in corso. Valutazione danno articolare con RMN Studi controllati in corso HA: emofilia A; HB: emofilia B; VWD: malattia di von Willebrand Tutti questi studi riportano una significativa riduzione del numero delle emorragie totali ed articolari nei pazienti in profilassi secondaria (28-34) associati ad un’ampia variabilità nell’aumento del consumo dei concentrati e dei costi [dal 30-40% (32-34) a 350% (28)]. Fisher ha inoltre evidenziato che la profilassi secondaria a lungo termine, iniziata in età adulta, rallenta, ma non arresta, la progressione dell’artropatia emofilica (31). La più ampia survey su questo argomento è stata condotta da 11 centri dell’Associazione Italiana dei Centri Emofilia (AICE) valutando 84 pazienti affetti da emofilia grave che sono passati dal regime di terapia on-demand a quello di profilassi in adolescenza (n=30) e in età adulta (n=54) (34). Dopo una mediana di osservazione di 5 anni, il cambiamento di regime terapeutico ha ridotto significativamente il numero di emorragie totali ed articolari/anno (rispettivamente 35.8 vs 4.2 e 32.4 vs 3.3; p<0.01) e i giorni persi di scuola/lavoro (34.6 vs 3.0; p<0.01), ha portato ad un miglioramento dello score ortopedico, significativo nel gruppo degli adolescenti, e si è osservato un aumento del consumo dei concentrati (circa il 39% in più) e un conseguente aumento dei costi. Per un sottogruppo di pazienti erano disponibili i dati relativi alla qualità di vita, che hanno dimostrato una maggiore soddisfazione nei confronti della profilassi rispetto all’on-demand in termini di miglioramento del dolore, della mobilità, dell’attività fisica e della vita sociale. Gli autori concludono che il consumo di concentrati ed i costi considerevolmente più alti della profilassi secondaria in questa coorte di pazienti, sono ben bilanciati dal miglioramento del quadro clinico e della qualità di vita. Nel 2010 è stato pubblicato il primo studio prospettico cross-over, con un follow-up di soli 6 mesi, che ha dimostrato una riduzione significativa del numero di emartri durante la profilassi in 20 emofilici gravi (tra i 30 e i 45 anni) che hanno effettuato per 6 mesi un trattamento on-demand, seguiti da 7 mesi di profilassi secondaria (20-40 UI/kg 3 volte/settimana) di cui uno di “run-in”; è segnalato un aumento del consumo in profilassi di concentrato di circa 3 volte e un non significativo miglioramento della qualità di vita. Lo studio presenta però come limite un follow-up molto breve (35). Dal luglio 2004 è in corso uno studio italiano osservazionale prospettico multicentrico, P.O.T.T.E.R. study (Prophylaxis versus On-Demand Therapy Through Economic Report), con follow-up di 5 anni, con l’obiettivo di valutare in 52 emofilici gravi adolescenti e adulti (età compresa fra i 12 e i 55 anni) l’impatto della profilassi secondaria a lungo termine in termini di efficacia e farmacoeconomia e di confrontare in questi pazienti gli effetti della profilassi vs la terapia on-demand. L’analisi ad interim a 4 anni, presentata alla XXIX International Congress of World Federation of Haemophilia (Buenos Aires, luglio 2010), ha rilevato una riduzione significativa del numero di emorragie totali ed articolari e del physical examination score (Gilbert score) nel gruppo di pazienti in profilassi rispetto al gruppo on-demand. Come atteso, i 20 Focusemostasi costi del trattamento sono significativamente più elevati nel gruppo in profilassi (circa 3 volte) ma i costi per terapia on-demand, chirurgia e altre motivazioni sono 3-5 volte più elevati nei pazienti in terapia ondemand. Sono pianificate ulteriori valutazioni riguardo possibili influenze della profilassi sulla qualità di vita e per analizzare altri parametri farmacoeconomici (costo/utilità) (36). Negli Stati Uniti è attualmente in corso un trial randomizzato con follow-up di 3 anni che prevede l’arruolamento di 80 pazienti affetti da emofilia grave, di età compresa tra i 12 e i 50 con l’obiettivo di valutare l’efficacia della profilassi secondaria (rFVIII 25 UI/kg 3 volte/sett) rispetto alla terapia ondemand con end-point il numero di emorragie e il danno articolare (valutato con la RMN basale e dopo 3 anni). La fine dello studio è prevista per dicembre 2012 ma l’arruolamento per ora è lento (37). Discussione e conclusioni L’esperienza recente suggerisce che la profilassi secondaria iniziata tardivamente potrebbe rallentare o arrestare il danno articolare anche negli adulti rispetto alla terapia on-demand anche se questo argomento è ancora dibattuto soprattutto per i pazienti in cui si è già instaurata l’artropatia emofilica. Comunque i benefici che si possono ottenere da una profilassi tardiva sono limitati rispetto a quelli che si ottengono da questa terapia instaurata precocemente (31). Per questo motivo e per gli elevati costi del trattamento l’introduzione della profilassi secondaria in pazienti adulti causa perplessità in alcuni medici. Occorre comunque considerare che in letteratura è riportata una tendenza alla riduzione del consumo di concentrati per la profilassi con l’avanzare dell’età e invece un aumento con la progressione dell’artropatia nei pazienti in trattamento on-demand per cui, quando si considera un follow-up a lungo termine, il consumo risulta comparabile nelle due popolazioni con migliori benefici per i pazienti in profilassi (24,38,39). Le valutazioni farmaco-economiche sul rapporto costo/beneficio della profilassi negli adulti dovrebbero includere tutti i costi correlati alla salute: qualità della vita, giorni di ospedalizzazione, visite al centro emofilia, cicli di fisioterapia, consulenze e procedure ortopediche; i benefici potranno essere maggiormente evidenziati da studi a lungo termine. Molti quesiti rimangono ancora irrisolti come la durata della profilassi secondaria, la dose ottimale e l’intervallo tra le infusioni (40,41). Un regime personalizzato sulla base del “bleeding pattern” e dello stile di vita del paziente può migliorare il rapporto costo-beneficio. Solo studi prospettici a lungo termine e possibilmente randomizzati potranno aiutare a definire l’impatto clinico di questa strategia terapeutica negli emofilici adolescenti ed adulti. Mentre la profilassi primaria rimane il gold standard per preservare la funzione articolare nei pazienti affetti da emofilia grave, i dati della letteratura supportano anche l’efficacia della profilassi secondaria instaurata precocemente. Nonostante non vi siano ancora evidenze pubblicate di studi prospettici controllati a lungo termine, è dimostrato che la profilassi ad ogni età riduce il numero di emartri e, parallelamente, le limitazioni fisiche e psicologiche dei pazienti essendo in grado di trasformare radicalmente la vita degli emofilici gravi; il miglioramento della qualità di vita, come dimostrato anche nella nostra esperienza, appare controbilanciare i costi più alti della profilassi rispetto alla terapia on-demand sia nei pazienti adolescenti che negli adulti. Per questi motivi, pur con le limitazioni legate alle risorse del sistema sanitario e alle specifiche caratteristiche del paziente, l’indicazione alla profilassi sembra giustificata negli emofilici gravi di tutte le età come recentemente raccomandato dal MASAC e dalle linee guida inglesi. Bibliografia 1. 2. 3. 4. Rosendal G, Lafeber P. Pathogenesis of haemophilic arthropathy. Haemophilia 2006; 12 (suppl. 3): 117-121. 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L’emorragia cerebrale nell’emofilia A e B Ezio Zanon Centro Emofilia - Azienda Ospedaliera di Padova L’emorragia cerebrale (EC) è la più grave causa di sanguinamento nei pazienti affetti da emofilia e la più frequente in età neonatale, anche se può presentarsi in tutte le età. Si associa ad una elevata mortalità e alla presenza di gravi ed invalidanti sequele. Prevalenza, incidenza L’incidenza di emorragia cerebrale nella popolazione maschile varia da 13.9/100.000 (registro francese) a 38.6/100.000 (studio svedese) (1,2). In Francia i nuovi casi annualmente di EC nei pazienti emofilici sono 290/100 000 (3); negli USA 540/100.000 (1). L’incidenza di EC negli emofilici è quindi da 10 a 20 volte più alta rispetto alla popolazione maschile generale. L’incidenza cumulativa dell’emorragia cerebrale nei neonati emofilici è stimata intorno al 3,5-4% (4). Le frequenze riportate in letteratura sono comunque variabili e risentono del campione osservato. Nella coorte di Nelson et al. (5), costituita da 309 emofilici di età compresa tra i 6 e i 19 anni, seguiti prospetticamente per 4 anni, la prevalenza di EC è del 12% (23/309) con un’incidenza di nuovi episodi/anno di circa il 2% (Tabella 1). Gosh et al. (6) riportano in una popolazione di 600 emofilici, seguiti per un periodo di 9 anni, un’incidenza di EC del 6.2% (37/600). In una coorte di 401 emofilici brasiliani (7), in un periodo di osservazione dal 1987 al 2001, sono riportati 45 casi di EC in 35 pazienti (8.7%) di età compresa tra 4 giorni di vita e 49 anni (età media 10.6 anni); il 60% delle EC si sono manifestate in pazienti con meno di 10 anni e nei 2/3 dei pazienti viene riportata una storia di trauma. I dati raccolti da Klinge et al. (8) evidenziano una percentuale minore di eventi emorragici cerebrali: 30 EC su 744 emofilici (4%) provenienti da 17/40 centri tedeschi, senza differenze significative in termini di prevalenza in pazienti con emofilia A e B (3.5% vs. 6.3%) e in relazione ai diversi gruppi di età dei pazienti. Lo studio per noi più significativo è quello di Nuss et al. (9) che, in una coorte di 3269 emofilici osservati dal 1993 al 1997, registra 88 EC, pari al 2.7 % dei casi. Tabella 1. Frequenze riportate in letteratura Autore, anno Pazienti Follow-up Nelson, 1999 309 4 anni Risultati Prevalenza di EC 12% Incidenza nuovi episodi/anno 2% Gosh, 2005 600 9 anni Incidenza EC 6.2% (37/600) Antunes, 2003 401 5 anni Prevalenza EC 8.7% Klinge, 1999 744 – Nuss, 2001 3269 5 anni Prevalenza EC 4% (3.5% in pazienti HA e 6.3% in pazienti HB) Prevalenza 2.7% 23 Fattori potenzialmente associati all’insorgenza di emorragia cerebrale a) Gravità e tipo di emofilia Nei 102 episodi di emorragia intracranica pubblicati in letteratura dal 1964 al 1996, l’emofilia era nota in soli 40 pazienti, di cui 35 con emofilia A (22 grave, 10 moderata e 3 lieve) e 5 con emofilia B (1 grave, 2 moderata e 1 lieve; la quinta non era specificata) (10). Nello studio retrospettivo di Stieltjes et al. (3) (dal 1991 al 2001), l’emofilia A grave era presente complessivamente nei 2/3 dei pazienti ma suddividendo per età era presente nel 90% dei neonati, nel 90.9% in bambini di età inferiore ai 2 anni, nel 53.8% in quelli di età compresa tra 2 e 15 anni e nel 50% degli adulti di oltre 50 anni. Nello studio di Nuss (9) infine, l’emofilia A grave risulterebbe essere un fattore indipendente associato ad EC (OD=2; p=0.05). b) Trauma e modalità del parto In uno studio retrospettivo è stata valutata la relazione tra il parto e la morbilità in 583.000 nati vivi con un peso variabile tra i 2500 e 4000 g. Il rischio di insorgenza di un’emorragia intracranica è risultato dello 0.12% in caso di utilizzo della ventosa, 0.15% se viene applicato il forcipe, dello 0.11% se si esegue un taglio cesareo in corso di travaglio, dello 0.05% nel parto naturale, e dello 0.035% nel parto con taglio cesareo programmato (11). Anche nei neonati affetti da emofilia le modalità del parto sembrano giocare un ruolo determinante sull’insorgenza di una EC. A conferma di ciò, dei 12 su 117 neonati emofilici che avevano sviluppato un’emorragia subgaleale ed ematoma cefalico, 10 erano nati con applicazione di ventosa. Il rischio di EC è invece basso in caso di parto naturale ed è questo il metodo da preferire nelle donne carrier di emofilia (12). Per quanto concerne i traumi non da parto, nella casistica di Stieltjes et al. (3) su 123 episodi di EC riconducibili a 106 pazienti, il trauma era presente nel 57.7% dei casi; suddividendo per classi di età, si osservava nell’80.8% dei bambini tra i 2 ed i 14 anni, nel 53.5% dei soggetti tra i 15 e 49 anni e nel 30% degli adulti sopra i 50 anni. Antunes et al. (7) documentano una storia di trauma recente in 24/35 casi (53.3%). Tra i 21 episodi rimanenti non correlati a trauma, 18 erano spontanei, 1 correlato all’ipertensione arteriosa, 1 ad un dispositivo di deviazione cerebro-spinale. Da notare che ben 13 episodi si sono verificati nei pazienti HIV-positivi. Altri fattori di rischio Vi sono pochi lavori che abbiano tentato di correlare altri fattori di rischio con l’insorgenza di emorragia cerebrale. Nel già citato lavoro di Nuss et al. (9) sono emersi come parametri indipendentemente associati all’EC: 1) età > 51 anni, 2) presenza di un inibitore e 3) positività per infezione da HIV. Sedi di emorragia Le emorragie cerebrali vengono classificate in emorragie extracraniche ed emorragie intracraniche. Le emorragie extracraniche si dividono in:1) caput succedaneum, 2) emorragia subgaleale e 3) cefaloematoma. Le emorragie intracraniche comprendono: 1) l’epidurale, 2) la subdurale, 3) la subaracnoidea, 4) l’intraventricolare, 5) l’intraparenchimale. Kulkarni e Luscher (10) hanno rivisto retrospettivamente i casi pubblicati di emorragie del SNC nei neonati emofilici: dei 109 casi di emorragia intracranica riportati in 102 neonati, il 65% era a sede intracranica (EC) e il 35% extracranica. 24 Focusemostasi Nei 71 episodi di EC, la localizzazione non era indicata in 41 casi; nei rimanenti 30 casi, 13 presentavano un ematoma sub-durale, 10 un’emorragia intracerebrale-cerebellare, 3 un’emorragia subaracnoidea, un’emorragia epidurale e un’emorragia retrorbitale, 6 pazienti avevano una combinazione di più sedi di sanguinamento. In molti studi non è possibile distinguere l’EC extracranica dall’EC intracranica; inoltre l’emorragia intracranica ed extracranica possono concomitare. A conferma di questo, nella casistica di Antunes et al. (7) 17 episodi (37.8%) di sanguinamento interessavano più di una sede: 12 (26.7%) erano emorragie subdurali, 7 (15.5%) subaracnoidee, 4 (8.9%) epidurali, 2 (4.4%) intracerebrali e una (2.2%) intraventricolare. Nello studio di Rodriguez et al. (13) erano maggiormente presenti le emorragie subdurali. Nello studio di Nelson et al. (5) le sedi di EC dei 48 episodi erano così distribuite: 15 subdurali, 8 subaracnoidee, 6 intraventricolari, 5 epidurali, 7 parenchimali; in 7 non veniva specificata la sede. Delle 154 emorragie cerebrali riportate nello studio di De Tezanos Pinto (14) in pazienti con età media di 14.8 anni, il 37.7% erano subaracnoidee, il 29.8% subdurali e il 22.7% intracerebrali. La maggior frequenza di emorragie subdurali (53.5%) è riportata anche da Ghosh et al. (6) che documentano nel 32.6% la sede intraparenchimale. Secondo questo studio, la maggior parte delle emorragie intraparenchimali erano localizzate nelle aree frontali o temporali e non erano associate a traumi significativi. Manifestazioni cliniche Nei neonati l’emorragia cerebrale si può presentare in maniera acuta e drammatica. L’EC extracranica non va sottostimata perché può determinare una grave perdita di sangue con shock ipovolemico e rischio di morte anche in neonati apparentemente normali. Anemia, letargia, vomito, ipotensione e shock sono comuni nelle due forme. All’anemia e pallore possono seguire gravi deficit neurologici con disfunzioni motorie e neurovegetative ed afasia. A volte l’EC mima la sintomatologia della sepsi, della CID o della meningite. Nel lavoro di Stieltjes et al. (3) i sintomi in ordine di frequenza presenti nei bambini <2 anni erano: 20.7% apatia/lacrimazione inusuale, 17% vomito, 13.8% coma. Nei bambini > 2 anni invece prevaleva la cefalea (46.9%) seguita dal coma 21% e vomito 12.3%. Il coma indipendentemente dall’età è presente nei 2/3 dei pazienti durante il decorso della malattia. In un altro studio (8) in cui la casistica comprendeva tutte le età, i sintomi più frequenti erano: cefalea (60%), sonnolenza (42.2%) e vomito (42.2%); i segni in ordine di frequenza erano invece deficit neurologici (37.8%), alterazione dello stato mentale (33.3%), rigidità nucale (24.4%), disordini dell’eloquio (11.1%) e papilledema (11.1%); 20 pazienti (44.4%) risultavano asintomatici. Klinge et al. (8) riportano un’alta frequenza di mioclonie (19/30= 63%) con sviluppo di epilessia in 12 pazienti. In molti casi i sintomi dell’emorragia cerebrale possono essere sfumati o assenti, e questo determina un ritardo nella diagnosi di questa grave condizione con aumento della mortalità e delle sequele invalidanti. Mortalità Con il miglioramento dei presidi terapeutici, il tasso di mortalità dell’EC è diminuito dal 70%, dato precedente al 1960, al 20-30% nei 15 anni successivi. Nel lavoro di De Tezanos Pinto et al. (14) la mortalità complessiva risultava del 29.2%; tale percentuale elevata riflette verosimilmente il fatto che la casistica si riferisce agli anni dal 1960 al 1991. Nel lavoro di Nuss et al. (9) i dati furono raccolti nel periodo dal 1993 al 1997 la mortalità scende al 18.2% e all’8,6% nello studio di Antunes et al. (7). Di particolare interesse è la casistica di Stieltjes et al. (3): se si considerano tutti i 123 episodi di emorragia cerebrale vi è una correlazione tra la sede di emorragia e la mortalità: quest’ultima è significativamente più elevata in caso di emorragia intraventricolare [4.6 (2.3–8.8); p<0.001] od intraparenchimale [3.0 (1.3–6.6); p=0.004]. Focusemostasi 25 Incidenza di sequele neurologiche Le sequele neurologiche sono una grave conseguenza dell’emorragia cerebrale. Si stima che l’EC sia responsabile di sequele neurologiche fino al 75% dei casi. Nel lavoro di Kulkarni et al. (10) 10 dei 28 (36%) pazienti valutati riportarono deficit neurologici a lungo termine. Klinge et al. (8) hanno valutato le sequele in 29 pazienti: 17 (59%) soggetti presentarono ritardo psicomotorio e 13 (45%) deficit cerebrali; 7 (24%) pazienti non ebbero sequele neurologiche. Nello studio di Rodriguez et al. (13) 4 su 8 pazienti avevano avuto più episodi di EC e 5 su 8 pazienti svilupparono deficit neurologici (deficit visivi, deficit di apprendimento di grado da moderato a severo e deficit psicomotori). Diagnosi Il ritardo diagnostico è un fattore aggravante considerevole nel trattamento di EC in un paziente emofilico. Il ritardo può riguardare sia il riconoscimento dell’emorragia cerebrale sia il riconoscimento dell’emofilia. Nel lavoro di Stieltjes et al. (3) il ritardo nella diagnosi era presente nel 43.3% dei casi, ed era più frequentemente correlato ad un riconoscimento tardivo dei sintomi iniziali di EC (apatia, crisi di pianto nei giovani e cefalea nei pazienti più vecchi), presenti sovente anche in condizioni diverse. Nello studio di Rodriguez et al. (13) in 7 su 8 casi la diagnosi di emofilia veniva posta retrospettivamente, settimane o mesi più tardi. Myles et al. (15) riportano il caso di due bambini emofilici sottoposti ad un intervento neurochirurgico per emorragia cerebrale prima che fosse stata posta una diagnosi definitiva di emofilia. Anche nella nostra esperienza personale (3 pazienti con EC) la diagnosi di emofilia non era nota. In un paziente fu posta entro le 24 ore dall’evento, dopo aver già eseguito in urgenza un primo intervento neurochirurgico di svuotamento di un ematoma sub-durale; in un secondo paziente la diagnosi di emofilia A grave avvenne in 6ª giornata a causa dei trasferimenti tra un presidio ospedaliero e l’altro; infine, nel terzo paziente il ritardo diagnostico per emofilia lieve fu superiore a una settimana. Secondo il Medical and Scientific Advisory Council (MASAC) della Fondazione Nazionale per l’Emofilia negli USA (16) tutti i neonati con emorragia intracranica dovrebbero essere specificatamente indagati per la presenza di un sottostante disordine emocoagulativo (dosaggio del PT, aPTT e dei fattori della coagulazione). La diagnosi di emorragia cerebrale si può avvalere dell’ultrasonografia transcranica, della TAC, della RMN e della rachicentesi. Nel neonato l’eco-doppler transfontanellare consente la diagnosi della maggioranza delle emorragie cerebrali ma è relativamente inefficace nel diagnosticare un’emorragia subdurale e della fossa cranica posteriore. La TAC è il gold standard per la diagnosi di EC mentre la RMN risulta più sensibile per le emorragie della fossa cranica posteriore. Terapia Il trattamento del sanguinamento intracerebrale prevede l’uso dei concentrati di FVIII e FIX. Non esistono linee guida per il trattamento dell’emorragia cerebrale in pazienti affetti da emofilia. Ghosh et al. (6) raccomandano che dopo aver corretto del 100% il fattore deficitario, si dovrebbe eseguire una TAC cerebrale e richiedere una consulenza neurochirurgica per un possibile intervento. Il protocollo per la somministrazione dei concentrati dei fattori della coagulazione (VIII o IX), tenendo conto del grado di emofilia e del peso del paziente, dovrebbe prevedere il raggiungimento del 100% di correzione del fattore mancante per i primi 3-4 giorni, seguiti dal 50-60% di correzione nei seguenti 7-8 giorni. Considerata la gravità dell’emorragia cerebrale, in termini di mortalità e gravi sequele invalidanti, alcuni autori si sono posti il quesito se, in tutti i neonati in cui la diagnosi di emofilia fosse molto probabile o certa, effettuare la profilassi mediante somministrazione del fattore della coagulazione in modo da evitare tali eventi. 26 Focusemostasi In tal senso Buchanan (17) infonde concentrati di FVIII o IX a neonati con storia familiare di emofilia o segni di sanguinamento sospetti (ad esempio l’emorragia eccessiva dopo circoncisione), immediatamente dopo la nascita o entro 24 ore, in modo da far risalire livelli di FVIII a 150-200 IU/dl o di FIX 60-80 IU/dl in circolo, mantenendo una adeguata emostasi per almeno 72 ore. Alcuni autori (18) infondono il FVIII a livello intrauterino, all’inizio del travaglio, ottenendo nel feto di un provato emofilico livelli normali di FVIII alla nascita. Questo atteggiamento è stato successivamente frenato da due studi (19,20), nei quali si dimostrerebbe che l’insorgenza di inibitori sembra essere correlata alla precocità di trattamento, comparendo nel 3441% dei pazienti trattati entro i sei mesi di età versus lo 0% se l’inizio del trattamento è dopo i 18 mesi. Allo scopo di diagnosticare precocemente un’emorragia cerebrale alcuni consigliano di eseguire un’ultrasonografia cranica e di attuare una profilassi con fattore VIII/IX in caso di un parto potenzialmente traumatico. Studio retrospettivo AICE L’AICE (Associazione Italiana Centri Emofilia), allo scopo di implementare i dati disponibili in letteratura sull’emorragia cerebrale in pazienti emofilici, particolarmente in termini di epidemiologia e terapia, nel 2008 ha avviato uno studio retrospettivo al fine di raccogliere i casi di emorragia cerebrale riferibili agli anni 1987-2008. Lo studio si proponeva come obiettivo primario di stabilire: • la tipologia dei soggetti colpiti • il tipo e le sedi di emorragia • la mortalità • la percentuale di sequele invalidanti • il trattamento effettuato in acuto • l’eventuale trattamento a lungo termine, se eseguito, per la prevenzione della recidive. L’obiettivo secondario era quello di valutare la presenza e il possibile ruolo di alcuni fattori concomitanti: • traumi, in particolare se correlati al parto • infezioni virali (HIV, HCV) • la presenza di inibitore • ipertensione arteriosa • gravità del difetto coagulativo • altre patologie congenite o acquisite associate I criteri di inclusione comprendevano: • pazienti affetti da emofilia A o B di qualunque grado; • almeno un episodio di emorragia cerebrale intra- o extracranica, documentato con TAC e/o RMN o, nel neonato, con ecografia cranica. I dati sono stati raccolti in forma standardizzata e i pazienti sono stati identificati in maniera anonima. Le schede di raccolta dati sono state differenziate una per l’età neonatale e una per le altre età. Lo studio ha avuto l’approvazione del Comitato Etico. La raccolta dati ha coinvolto 23 Centri Emofilia italiani, per un totale di 88 pazienti e di 112 episodi di emorragia cerebrale. Le caratteristiche demografiche dei pazienti sono raccolte nella tabella 2. I pazienti colpiti sono affetti prevalentemente da emofilia A (88.6%); prevale il tipo grave (72.7%); nel 16% dei casi è presente un inibitore ad alto titolo; più di metà della popolazione colpita risulta essere HCV positiva mentre un 13% risulta positivo per l’HIV. Nella figura 1 è rappresentata la distribuzione dei casi in riferimento all’età. Dal grafico si evince che l’età neonatale (20 pazienti con meno di due anni di cui 16 al di sotto di 1 anno) e la fascia tra i 50 e 60 anni sono le età maggiormente colpite. Se l’incidenza di EC in età neonatale è un dato consolidato, particolarmente interessante è la frequenza elevata nei pazienti di oltre 50 anni. Focusemostasi 27 Tabella 2. Caratteristiche dei pazienti con EC N° % 78 10 88.6 11.4 - moderata - lieve 64 11 13 72.7 12.5 14.8 Presenza di inibitore 14 16 Tipo emofilia -A -B Gravità - grave HIV + 12 13.6 HCV + 49 55.7 Terapia prima dell’evento - on-demand - profilassi 81 7 92.0 7.9 Con i miglioramenti conseguiti nel campo della terapia, negli ultimi decenni la vita media di un paziente emofilico sfiora quella della popolazione non emofilica. Come conseguenza, cresce quindi il numero di pazienti emofilici adulti ed anziani che possono presentare i fattori di rischio correlati allo sviluppo di EC. I risultati riportati nella tabella 3 si riferiscono alle sedi di EC, alla durata di terapia e all’outcome, distinti in relazione al numero di episodi emorragici (1° episodio e recidiva). Le sedi maggiormente colpite sono la subdurale e l’intraparenchimale, quest’ultima presente nel 58% in caso di recidiva. La mortalità complessiva è del 19% ed è maggiore in caso di recidiva (25%). Il 58% degli episodi va incontro a risoluzione senza esiti. Tutti i pazienti, se sopravvivono all’evento, vengono trattati almeno per una settimana mentre la terapia prosegue per oltre il mese nel 30% dei casi. Non vi sono dati in letteratura inerenti la profilassi successiva ad un episodio di EC ai fini di prevenirne la recidiva. È noto che i pazienti in profilassi presentano un numero di sanguinamenti significativamente inferiore rispetto a quello dei pazienti in trattamento on-demand. È verosimile pertanto che negli emofilici la profilassi riduca anche il numero di EC. Come si può vedere nella tab. 2 il 94.3% dei pazienti con EC era in trattamento on-demand, in accordo con il lavoro di Traivaree (21) dove le EC si verificavano esclusivamente nel gruppo dei pazienti “on-demand”. 25 20 n° EC 15 10 5 0 <2 2-10 11-20 21-30 Età Figura 1. Distribuzione degli episodi di EC in relazione all’età. 28 Focusemostasi 31-40 41-50 >50 Tabella 3. Sedi di emorragia, durata del trattamento ed outcome Totale 1° Evento Recidiva 112 88 24 13 10 3 6 30 (26.8%) 6 12 49 (43.7%) 5 26 6 7 35 1 4 0 5 14 Durata terapia 1 settimana 2 settimane 3 settimane 4 settimane >4 settimane Profilassi a lungo termine 98 73 54 20 43 34 77 59 43 40 35 27 (30.7%) 21 14 11 10 8 7 (29%) Outcome Morte Risoluzione Risoluzione con sequele Intervento neurochirurgico 22 (19%) 65 20 40 16 53 16 34 6 (25%) 12 4 6 N° emorragie Sede Extracerebrali Intracerebrali - epidurale - subdurale - sub aracnoidea - intraventricolare - intraparenchimale Pur in mancanza di dati effettivi in letteratura, considerata la gravità dell’evento che pone a rischio la vita del paziente, a nostro avviso non c’è alcun motivo per non avviare in profilassi a lungo termine in un paziente emofilico grave che abbia accusato un episodio di EC. Bibliografia 1. 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Obiettivo primario dello studio è di raccogliere dati prospettici sull’aderenza al regime di trattamento di profilassi a lungo termine primaria o secondaria, monitorando le variazioni delle condizioni cliniche e delle capacità di attività fisica, in una popolazione di pazienti affetti da emofilia A grave in profilassi con Helixate® NexGen. Per tutti i pazienti si monitorerà il livello abituale di esercizio fisico attraverso un questionario specifico. Una particolarità dello studio è rappresentata dall’impiego di un holter metabolico denominato SenseWear, clinicamente validato e oggetto di studio in altre discipline mediche, che sarà opzionalmente utilizzato su alcuni pazienti allo scopo di monitorare ciclicamente l’attività fisica metabolica giornaliera, il metabolismo, lo stile di vita ed altri parametri. Lo studio si prefigge inoltre di valutare la possibile influenza di caratteristiche demografiche, socioeconomiche, del fenotipo emorragico, della modalità di accesso venoso e altro sul grado di aderenza del paziente al regime di profilassi prescritto di fattori. Obiettivo yy Valutare la compliance del paziente al regime di profilassi con HNG prescritto dal medico (il paziente o i familiari eseguono le istruzioni impartite dal medico?) yy Analisi dei fattori che la influenzano yy Valutare le modalità di applicazione della profilassi con HNG nei pazienti (posologia, frequenza delle infusioni...) e verificare eventuali correlazioni con outcome clinici e fenotipo emorragico yy Valutare il miglioramento delle condizioni cliniche e dell’attività fisica e della vita sociale (studio, lavoro, attività sociali) dei pazienti in trattamento con HNG che sono passati da on-demand a profilassi Ci si augura che lo studio possa contribuire a mettere in luce gli effetti che l’aderenza puntuale ad un regime di trattamento di profilassi può avere sul benessere psico-fisico del paziente emofilico ed eventualmente esplorare le variabili che possono essere elemento di miglioramento. 30 Focus Review Segnaliamo di seguito alcuni significativi lavori scientifici, recentemente pubblicati. yyS. Dunkley, R.I. Baker, M. Pidcock, J. Price, M. Seldon, M Smith, A. Street, D. Maher, G. Barrese, C. Stone, J. Lloyd. Clinical efficacy and safety of the factor VIII/von Willebrand factor concentrate BIOSTATE in patients with von Willebrand’s disease: a prospective multicentre study. Haemophilia 2010, 1; 16(4):615-24. yyR.A. Zinke, D.L. Ornstein and C.E. Holmes. Factor VIII/von Willebrand factor concentrate for treatment of life threatening epistaxis in Glanzmann’s thrombasthenia. Haemophilia 2010, 1–3. yyG. Castaman, S.H. Giacomelli, M.E. Mancuso, S. Sanna, E. Santagostino, F. Rodeghiero. F8 mRNA studies in haemophilia A patients with different splice site mutations. Haemophilia 2010; 16:786–790. yyJ. Astermark, C. Altisent, A. Batorova, M.J. Diniz, A. Gringeri, P.A. Holme, A. Karafoulidou, M.F. Lopez-Fernández, B.M. Reipert, A. Rocino, M. Schiavoni, M. Von Depka, J. Windyga, K. Fijnvandraat. Inhibitors: Non-genetic risk factors and the development of inhibitors in haemophilia: a comprehensive review and consensus report. Haemophilia 2010; 16:747–766. yyM. Tomaiuolo, M. Tomaiuolo, G. Favuzzi, F. Cappucci, D. Pisanelli, G.L. Tiscia, P. Musto, F.A. Scaraggi, R.I. Cincione, M. Margaglione, E. Grandone. Factor XI deficiency: two novel mutations in asymptomatic Italian patients, Haemophilia 2010; 16:767–770. yyF. Riccardi, A. Tagliaferri, D. Martorana, G.F. Rivolta, L. Valdrè, G. Rodorigo, C. Biasoli, M. D’incà, M.L. Serino, S. Macchi, D. Vincenzi, M. Arbasi, P. Pedrazzi, M. Volta, C. Di Perna, L. Ippolito, M. Savi, T.M. Neri. Laboratory science: Spectrum of F8 gene mutations in haemophilia A patients from a region of Italy: identification of 23 new mutations. Haemophilia 2010; 16:791–800. yyC. Santoro, A. Rago, F. Biondo, L. Conti, F. Pulcinelli, L. Laurenti, M. P. Perrone, E. Baldacci, A. Leporace, M.G. Mazzucconi. Laboratory science: Prevalence of allo-immunization antiHLA and anti-integrin αIIbβ3 in Glanzmann Thromboasthenia patients. Haemophilia 2010; 16:805–812. yyF. Kaspereit, S. Hoffmann, I. Pragst, G. Dickneite. Prothrombin complex concentrate mitigates diffuse bleeding after cardiopulmonary bypass in a porcine model. British Journal of Anaesthesia 2010, 1-7. yyCSL Behring – Prof. Heimburger Award 2010 rewards excellence in coagulation research. Reprint from Volume 104, Number 3 Thrombosis and Haemostasis. September 2010 31 Helixate® NexGen Fattore VIII della coagulazione ricombinante INN: octocog alfa Riassunto delle caratteristiche del prodotto Helixate® NexGen La potenza (UI) viene determinata utilizzando il saggio di coagulazione ad uno stadio con lo standard FDA Mega che è stato calibrato con lo standard WHO in UI. L’attività specifica è approssimativamente di 4000 UI/mg di proteina. Per gli eccipienti, vedere 6.1 1. Denominazione del medicinale Helixate NexGen 250 UI Polvere e solvente per soluzione iniettabile Helixate® NexGen 500 UI Polvere e solvente per soluzione iniettabile Helixate® NexGen 1000 UI Polvere e solvente per soluzione iniettabile Helixate® NexGen 2000 UI Polvere e solvente per soluzione iniettabile ® 3. Forma farmaceutica Polvere e solvente per soluzione iniettabile. La polvere è fornita in flaconcino come polvere secca, o compattata, di colore da bianco a giallo pallido. Il solvente è acqua per preparazioni iniettabili contenuto in un flaconcino. 2. Composizione qualitativa e quantitativa Helixate® NexGen 250 UI Fattore VIII della coagulazione ricombinante, 250 UI/flaconcino INN: octocog alfa Il fattore VIII della coagulazione ricombinante viene prodotto con tecniche di ingegneria genetica da cellule renali di criceti neonati contenenti il gene del fattore VIII umano. Solvente: acqua per preparazioni iniettabili. Il prodotto ricostituito con i 2,5 ml di acqua per preparazioni iniettabili che lo accompagnano contiene approssimativamente 100 UI di octocog alfa/ml. La potenza (UI) viene determinata utilizzando il saggio di coagulazione ad uno stadio con lo standard FDA Mega che è stato calibrato con lo standard WHO in UI. L’attività specifica è approssimativamente di 4000 UI/mg di proteina. Per gli eccipienti, vedere 6.1 Helixate® NexGen 500 UI Fattore VIII della coagulazione ricombinante, 500 UI/flaconcino INN: octocog alfa Il fattore VIII della coagulazione ricombinante viene prodotto con tecniche di ingegneria genetica da cellule renali di criceti neonati contenenti il gene del fattore VIII umano. Solvente: acqua per preparazioni iniettabili. Il prodotto ricostituito con i 2,5 ml di acqua per preparazioni iniettabili che lo accompagnano contiene approssimativamente 200 UI di octocog alfa/ml. La potenza (UI) viene determinata utilizzando il saggio di coagulazione ad uno stadio con lo standard FDA Mega che è stato calibrato con lo standard WHO in UI. L’attività specifica è approssimativamente di 4000 UI/mg di proteina. Per gli eccipienti, vedere 6.1 Helixate® NexGen 1000 UI Fattore VIII della coagulazione ricombinante, 1000 UI/flaconcino INN: octocog alfa Il fattore VIII della coagulazione ricombinante viene prodotto con tecniche di ingegneria genetica da cellule renali di criceti neonati contenenti il gene del fattore VIII umano. Solvente: acqua per preparazioni iniettabili. Il prodotto ricostituito con i 2,5 ml di acqua per preparazioni iniettabili che lo accompagnano contiene approssimativamente 400 UI di octocog alfa/ml. La potenza (UI) viene determinata utilizzando il saggio di coagulazione ad uno stadio con lo standard FDA Mega che è stato calibrato con lo standard WHO in UI. L’attività specifica è approssimativamente di 4000 UI/mg di proteina. Per gli eccipienti, vedere 6.1 Helixate® NexGen 2000 UI Fattore VIII della coagulazione ricombinante, 1000 UI/flaconcino INN: octocog alfa Il fattore VIII della coagulazione ricombinante viene prodotto con tecniche di ingegneria genetica da cellule renali di criceti neonati contenenti il gene del fattore VIII umano. Solvente: acqua per preparazioni iniettabili. Il prodotto ricostituito con i 5 ml di acqua per preparazioni iniettabili che lo accompagnano contiene approssimativamente 400 UI di octocog alfa/ml. Grado dell’emorragia/ Tipo di procedura chirurgica Livello di fattore VIII necessario (%) (UI/dl) 4. Informazioni cliniche 4.1 Indicazioni terapeutiche Trattamento e profilassi dell‘emorragia nei pazienti con emofilia A (carenza congenita di fattore VIII). Questa preparazione non contiene il fattore di von Willebrand e perciò non è indicata nella malattia di von Willebrand. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Il trattamento dovrà essere iniziato sotto il controllo di un medico esperto nel trattamento dell’emofilia. Posologia Il numero di unità di fattore VIII somministrate viene espresso in Unità Internazionali (UI), che sono riferite allo standard attuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per i prodotti a base di fattore VIII. L’attività del fattore VIII nel plasma si esprime o come percentuale (riferita al plasma umano normale) o in Unità Internazionali (riferita ad uno standard internazionale per il fattore VIII nel plasma). Un’Unità Internazionale (UI) di attività di fattore VIII è equivalente alla quantità di fattore VIII presente in un ml di plasma umano normale. Il calcolo del dosaggio necessario di fattore VIII si basa sull’osservazione empirica che 1 Unità Internazionale (UI) di fattore VIII per kg di peso corporeo eleva l’attività plasmatica del fattore VIII dall’1,5% al 2,5% dell’attività normale. Il dosaggio necessario è determinato utilizzando le seguenti formule: I. UI necessarie = peso corporeo (kg) x aumento desiderato di fattore VIII (% della norma) x 0,5 II. Aumento di fattore VIII atteso (% della norma) = 2 x UI somministrate peso corporeo (kg) Il dosaggio e la durata della terapia sostitutiva devono essere regolati in base alle necessità individuali del paziente (peso, gravità dell’alterazione della funzione emostatica, localizzazione ed entità dell’emorragia, titolo degli inibitori e livello desiderato di fattore VIII). La tabella seguente fornisce una guida per i livelli ematici minimi di fattore VIII. Nel caso degli eventi emorragici sottoelencati l’attività del fattore VIII non dovrebbe scendere al di sotto del livello indicato (in % della norma) nel periodo corrispondente: La quantità da somministrare e la frequenza di somministrazione devono sempre essere regolati in base all’efficacia clinica nel singolo caso. In determinate circostanze possono essere necessarie quantità maggiori di quelle calcolate, in particolare per quanto riguarda la dose iniziale. Durante il trattamento, si consiglia un‘adeguata determinazione dei livelli di fattore VIII in modo da stabilire la dose da somministrare e la frequenza alla quale ripetere le infusioni. In particolare, nel caso di interventi di chirurgia maggiore è indispensabile l’attento controllo della terapia sostitutiva tramite l’analisi della coagulazione (attività plasmatica del fattore VIII). La risposta al Frequenza di somministrazione (ore)/ Durata della terapia (giorni) Emorragia Emartri o emorragie muscolari iniziali, o emorragie della cavità orale 20 - 40 Ripetere ogni 12-24 ore. Per almeno 1 giorno, fino a quando si è risolto l’episodio emorragico come indicato dal dolore o si è raggiunta la guarigione Emartri o emorragie muscolari più estesi, o ematomi 30 - 60 Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per 3-4 giorni o più fino a scomparsa del dolore e dell’invalidità Emorragie pericolose per la vita come emorragie intracraniche, emorragie della gola, gravi emorragie addominali 60 - 100 Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore fino a scomparsa del pericolo Chirurgia Minore inclusa l‘estrazione dentaria 30 - 60 Ogni 24 ore, per almeno 1 giorno fino a raggiungimento della guarigione Maggiore 80-100 (pre- e post-operatorio) a) Mediante infusione in bolo Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore fino a quando non si ottenga un’adeguata cicatrizzazione della ferita; continuare poi la terapia per almeno altri 7 giorni allo scopo di mantenere un’attività di fattore VIII del 30-60%. b) Mediante infusione continua Aumentare l’attività del Fattore VIII prima dell’intervento chirurgico con un’infusione iniziale in bolo e far seguire immediatamente un’infusione continua (in UI/Kg/h) per almeno 7 giorni, effettuando un aggiustamento della dose in base alla clearance giornaliera del paziente e dei livelli di Fattore VIII desiderati. fattore VIII può variare nei singoli pazienti, raggiungendo valori differenti di recupero in vivo e dimostrando emivite diverse. In uno studio clinico eseguito in pazienti adulti affetti da Emofilia A sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore è stato dimostrato che Helixate NexGen può essere utilizzato in infusione continua, in fase pre-operatoria, durante l’operazione e in fase post-operatoria. In questo studio è stata impiegata l’eparina per prevenire le tromboflebiti nella sede dell’infusione com’è di norma necessario per qualsiasi altra forma di infusione endovenosa di lunga durata. Per il calcolo della velocità d‘infusione iniziale, l’eliminazione può essere calcolata costruendo una curva di decadimento prima dell’intervento oppure partendo da un valore medio della popolazione (3,0-3,5 ml/h/kg) e poi effettuando il relativo aggiustamento. Velocità di infusione (in UI/kg/h) = clearance (in ml/h/kg) x il livello desiderato di Fattore VIII (in UI/ml). Per l’infusione continua, la stabilità clinica ed in vitro è stata dimostrata usando pompe portatili con serbatoio in PVC. Helixate NexGen contiene un basso livello di polisorbato 80 come eccipiente, che notoriamente aumenta la velocità di estrazione del di-(2-etilesil)ftalato (DEHP) da materiali di polivinil-cloruro (PVC). Questo elemento dev‘essere preso in considerazione nel caso di una somministrazione mediante infusione continua. Per la profilassi programmata contro sanguinamenti in pazienti affetti da grave emofilia A, devono essere somministrate ad intervalli di 2-3 giorni dosi da 20 a 60 UI di Helixate NexGen per kg di peso corporeo. In alcuni casi, specialmente nei pazienti più giovani, possono essere necessari intervalli di dosaggio più brevi o dosi più elevate. I dati sono stati ottenuti in 61 bambini sotto i 6 anni di età. Pazienti con inibitori Nei pazienti dev’essere controllato lo sviluppo degli inibitori del fattore VIII. Se non si raggiungono gli attesi livelli di attività plasmatica del fattore VIII, o se l’emorragia non è controllata da una dose idonea, dev’essere condotta un’analisi per determinare la presenza di inibitori del fattore VIII. Se sono presenti inibitori a livelli inferiori a 10 Unità Bethesda (BU) per ml, una somministrazione aggiuntiva di fattore VIII della coagulazione ricombinante può neutralizzare l’inibitore e permettere la continuazione di una terapia clinicamente efficace con Helixate NexGen. Tuttavia, in presenza di inibitori, le dosi necessarie sono variabili e devono essere aggiustate in base alla risposta clinica e al controllo dell’attività plasmatica del fattore VIII. Nei pazienti con titoli di inibitori superiori a 10 BU o con elevata risposta anamnestica, si deve considerare l’uso di un concentrato (attivato) del complesso della protrombina (PCC) o di preparazioni di fattore VII ricombinante attivato (rFVIIa). Queste terapie devono essere condotte da medici con esperienza nella cura dei pazienti con emofilia. Somministrazione Dissolvere la preparazione come descritto al paragrafo 6.6 Helixate NexGen dev’essere iniettato per via endovenosa per parecchi minuti. La velocità di somministrazione dev’essere determinata in base al grado di benessere del paziente (velocità massima di infusione: 2 ml/min). Helixate NexGen può essere infuso mediante infusione continua. La velocità d‘infusione dev‘essere calcolata in base all’eliminazione (clearance) ed al livello desiderato di Fattore VIII. Esempio: per un paziente del peso di 75 kg con una clearance di 3 ml/h/kg, la velocità d‘infusione iniziale dovrebbe essere di 3 UI/h/kg per ottenere un livello di FVIII del 100%. Per il calcolo dei ml/ora, moltiplicare la velocità d‘infusione in UI/h/kg per i kg di peso corporeo/concentrazione della soluzione (UI/ml). Livello plasmatico desiderato di FVIII Clearance: 3 ml/h/kg 100 % (1 UI/ml) 60% (0.6 UI/ml) 40% (0.4 UI/ml) Velocità di Velocità di infusione per paziente infusione di 75 kg ml/h UI/h/kg Concentrazioni della soluzione di rFVIII 100 UI/ml 200 UI/ml 400 UI/ml 3.0 2.25 1.125 0.56 1.8 1.35 0.68 0.34 1.2 0.9 0.45 0.225 In condizioni di clearance accelerata, come durante emorragie imponenti o danno esteso dei tessuti durante gli interventi chirurgici, possono essere necessarie velocità di infusione più elevate. Le successive velocità di infusione devono essere calcolate in base ai livelli attuali di FVIII e la clearance dev‘essere ricalcolata per ciascun giorno dopo l’intervento chirurgico in base all’equazione: clearance = velocità di infusione/livello attuale di FVIII. Durante l’infusione continua, la sacca d’infusione deve essere cambiata ogni 24 ore. 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità nota al principio attivo, alle proteine di topo o di criceto o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4 Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego Sono possibili reazioni di ipersensibilità di tipo allergico, come per i prodotti a base di proteine da somministrarsi per via endovenosa. I pazienti devono essere informati che la potenziale comparsa di senso di oppressione toracica, senso di instabilità, ipotensione lieve e nausea durante l’infusione possono essere segni precoci di reazioni di ipersensibilità e anafilattiche. Devono essere istituiti un appropriato trattamento sintomatico e una terapia per l’ipersensibilità. In caso si verifichino reazioni allergiche o anafilattiche l’iniezione/infusione dev’essere immediatamente sospesa ed il paziente deve contattare il proprio medico. In caso di shock, si devono osservare le attuali misure cliniche per il trattamento dello shock. La formazione di anticorpi neutralizzanti (inibitori) il fattore VIII è una nota complicanza nel trattamento di soggetti con emofilia A. Questi inibitori sono, invariabilmente, immunoglobuline IgG dirette contro l’attività procoagulante del fattore VIII, che sono quantificate in Unità Bethesda Modificate (BU) per ml di plasma. Il rischio di sviluppo di inibitori è correlato all’esposizione al fattore VIII antiemofilico e, tra gli altri, a fattori genetici; questo rischio è massimo nei primi 20 giorni di esposizione. Raramente gli inibitori possono svilupparsi dopo i primi 100 giorni di esposizione. Casi di ricorrenza di inibitori (a basso titolo) sono stati osservati dopo il passaggio da un prodotto con Fattore VIII ricombinante ad un altro, in pazienti precedentemente trattati, con più di 100 giorni di esposizione e con anamnesi positiva per lo sviluppo di inibitori. I pazienti trattati con il fattore VIII della coagulazione ricombinante devono essere attentamente monitorati per lo sviluppo di inibitori attraverso appropriate osservazioni cliniche ed esami di laboratorio. Vedere anche 4.8 “Effetti indesiderati”. In uno studio clinico sull’uso dell’infusione continua in chirurgia, è stata impiegata l’eparina per prevenire le tromboflebiti nella sede dell’infusione com’è di norma necessario per qualsiasi altra forma di infusione endovenosa di lunga durata. Nell’interesse dei pazienti, ogni volta che si somministra Helixate NexGen si raccomanda di registrare il nome ed il numero di lotto del prodotto. Questo medicinale contiene una quantità inferiore a 1 mmol di sodio (23mg) per flaconcino ed è da considerarsi essenzialmente “privo di sodio”. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione Non sono note interazioni di Helixate NexGen con altri medicinali. 4.6 Gravidanza ed allattamento Non sono stati condotti studi sulla riproduzione animale con Helixate NexGen. A causa della scarsa incidenza dell’emofilia A nelle donne, non sono disponibili informazioni sull’uso di Helixate NexGen durante la gravidanza e l’allattamento. Quindi durante la gravidanza e l’allattamento Helixate NexGen dev’essere usato solo se chiaramente indicato. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Non sono stati osservati effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. 4.8 Effetti indesiderati La frequenza delle reazioni avverse al farmaco riportate con Helixate NexGen è riassunta nella tabella seguente. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Le classi di frequenza sono definite come comune (da ≥1/100 a <1/10), non comune (da ≥1/1.000 a <1/100) e raro (da ≥1/10.000 a <1/1.000). Effetti indesiderati (Termine Preferito secondo MedDRA) Classificazione per sistemi e organi Comune Non comune Raro Patologie del sistema emolinfopoietico *Formazione di Inibitore del Fattore VIII (*Riportato in studi con PUP/MTP) **Formazione di Inibitore del Fattore VIII (**Riportato in studi con PTP e PMS) Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Reazione al sito d’infusione Reazione febbrile correlata all’infusione (piressia) Disturbi del sistema immunitario Reazioni di ipersensibilità della cute (prurito, orticaria ed eruzione cutanea) Reazioni di ipersensibilità sistemica (compresa una reazione anafilattica, nausea,alterazione della pressione arteriosa e capogiro) Lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti nei confronti del fattore VIII (inibitori) è una complicanza nota nel trattamento dei pazienti con emofilia A. In studi con preparazioni di FVIII ricombinante, lo sviluppo di inibitori è stato prevalentemente osservato in emofilici precedentemente non trattati. I pazienti devono essere attentamente controllati per lo sviluppo di inibitori mediante idonee osservazioni cliniche e indagini di laboratorio. Negli studi clinici, Helixate NexGen è stato utilizzato nel trattamento degli episodi di sanguinamento in 37 pazienti precedentemente non trattati (previously untreated patients, PUPs) e in 23 pazienti pediatrici minimamente trattati (minimally treated pediatric patients, MTPs, definiti come pazienti che sono stati trattati per 4 o meno giorni di esposizione). 5 dei 37 (14%) pazienti PUP e 4 dei 23 pazienti (17%) MTP, trattati con Helixate NexGen, hanno sviluppato inibitori: in totale 6 su 60 (10%) con un titolo superiore a 10 BU e 3 su 60 (5%) con un titolo inferiore a 10 BU. In questi pazienti, la mediana dei giorni di trattamento al momento del riscontro degli inibitori era di 9 giorni (intervallo 3 - 18 giorni). La mediana dei giorni di esposizione negli studi clinici era di 114 (intervallo: 4-478). Quattro dei cinque pazienti che non avevano raggiunto 20 giorni di esposizione alla fine dello studio, hanno poi raggiunto più di 20 giorni di esposizione nel follow-up e uno di essi ha sviluppato un inibitore a basso titolo. Il quinto paziente non si è presentato al follow-up. Negli studi clinici con 73 pazienti precedentemente trattati (previously treated patients, PTP, definiti come pazienti che sono stati sottoposti a più di 100 giorni di esposizione), seguiti per 4 anni, nessun inibitore de novo è stato osservato. Negli studi post-registrazione su larga scala con Helixate NexGen, che hanno coinvolto più di 1000 pazienti, è stato osservato che: meno dello 0,2% di PTP ha sviluppato inibitori de novo. In un sottogruppo di pazienti con meno di 20 giorni di esposizione all’ingresso nello studio, meno dell’11% ha sviluppato inibitori de novo. Durante gli studi, nessun paziente ha sviluppato titoli anticorpali clinicamente rilevanti nei confronti delle quantità in tracce di proteine murine e proteine di criceto presenti nella preparazione. Sussiste tuttavia, in pazienti particolarmente predisposti, la possibilità di reazioni allergiche ai componenti, ad es. alle quantità in tracce di proteine murine e di criceto presenti nella preparazione (vedere 4.3. e 4.4.). 4.9 Sovradosaggio Non sono stati riportati sintomi di sovradosaggio con il fattore VIII della coagulazione ricombinante. 5. Proprietà farmacologiche 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: fattore VIII della coagulazione del sangue, Codice ATC: B02B D02. Il complesso fattore VIII/fattore di von Willebrand (VWF) è costituito da due molecole (fattore VIII e VWF) con differenti funzioni fisiologiche. Quando viene infuso in un paziente emofilico, il fattore VIII si lega al VWF nella circolazione del paziente. Il fattore VIII attivato agisce come cofattore per il fattore IX attivato, accelerando la conversione del fattore X a fattore X attivato. Il fattore X attivato converte la protrombina in trombina. Quindi la trombina converte il fibrinogeno in fibrina e si può formare il coagulo. L’emofilia A è un disordine della coagulazione ematica ereditario legato al sesso dovuto a diminuiti livelli di fattore VIII:C e si manifesta con emorragie diffuse nelle articolazioni, nei muscoli o negli organi interni, sia spontaneamente sia come risultato di un trauma accidentale o chirurgico. Con la terapia sostitutiva si elevano i livelli plasmatici di fattore VIII, permettendo quindi una temporanea correzione della carenza del fattore stesso e una correzione della tendenza al sanguinamento. La determinazione del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) è un metodo analitico convenzionale in vitro per l’attività biologica del fattore VIII. L’aPTT è allungato in tutti gli emofilici. Il grado e la durata di normalizzazione dell’aPTT osservati dopo somministrazione di Helixate NexGen sono simili a quelli raggiunti con il fattore VIII derivato dal plasma. 5.2 Proprietà farmacocinetiche L’analisi di tutti i recuperi registrati in vivo nei pazienti precedentemente trattati ha dimostrato un innalzamento medio del 2% per UI/kg di peso corporeo per Helixate NexGen. Questo risultato è simile ai valori riportati per il fattore VIII derivato dal plasma umano. Dopo somministrazione di Helixate NexGen, l’attività di picco del fattore VIII diminuisce, secondo un decadimento esponenziale a due fasi con un’emivita terminale media di circa 15 ore. Questa è simile a quella del fattore VIII derivato dal plasma che ha un’emivita di circa 13 ore. Ulteriori parametri farmacocinetici per Helixate NexGen per l’infusione in bolo sono: tempo medio di permanenza [MRT (0 - 48)] di circa 22 ore e clearance di circa 160 ml/h. La clearance media al basale di 14 pazienti adulti sottoposti a chirurgia maggiore con infusione continua è di 188 ml/h che corrisponde a 3,0 ml/h/kg (range di 1.6-4.6 ml/h/kg). 5.3 Dati preclinici di sicurezza Anche dosi diverse volte più elevate della dose clinica raccomandata (riferita al peso corporeo) non hanno dimostrato alcun effetto tossico acuto o subacuto per Helixate NexGen negli animali di laboratorio (topo, ratto, coniglio e cane). Con octocog alfa non sono stati condotti studi specifici per somministrazione ripetuta come la tossicità sulla riproduzione, la tossicità cronica e la carcinogenesi a causa della risposta immunitaria alle proteine eterologhe in tutte le specie non-umane di mammifero. Non sono stati condotti studi sul potenziale mutageno di Helixate NexGen, dal momento che non è stato possibile rilevare alcun potenziale mutageno in vitro o in vivo per il prodotto predecessore di Helixate NexGen. Depositato in AIFA in data 13/11/2009 - A7198 6. Informazioni farmaceutiche 6.1 Elenco degli eccipienti Polvere Glicina Sodio cloruro Calcio cloruro Istidina Polisorbato 80 Saccarosio Solvente Acqua per preparazioni iniettabili 6.4 Speciali precauzioni per la conservazione Conservare in frigorifero (2°C - 8°C). Non congelare. Tenere i flaconcini nell’imballaggio esterno per tenerli al riparo dalla luce. Il prodotto confezionato può essere mantenuto a temperatura ambiente (fino a 25°C) per un periodo limitato di 3 mesi. In questo caso la validità del prodotto termina alla fine del periodo di 3 mesi; la nuova data di scadenza dev’essere, quindi, annotata sulla parte superiore della confezione. Non refrigerare dopo ricostituzione. Da utilizzarsi una volta sola. La soluzione non utilizzata dev’essere eliminata. Per le condizioni di conservazione del medicinale ricostituito vedere paragrafo 6.3. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Ogni confezione di Helixate NexGen contiene: • un flaconcino di polvere (flaconcino da 10 ml di vetro trasparente di tipo 1 con tappo grigio di miscela di gomma alogenobutilica priva di lattice e sigillo in alluminio) • un flaconcino di solvente (flaconcino da 6 ml di vetro trasparente di tipo 1 con tappo grigio di miscela di gomma clorobutilica priva di lattice e sigillo in alluminio) • un’ulteriore confezione contenente: - 1 kit di travaso 20/20 con filtro - 1 set per l’iniezione in vena - 1 siringa monouso da 5 ml - 2 tamponi alcolici sterili monouso 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la ricostituzione Le istruzioni dettagliate per la preparazione e la somministrazione sono contenute nel foglio illustrativo fornito con Helixate NexGen. La polvere di Helixate NexGen dev’essere ricostituita solo con il solvente fornito utilizzando il set di travaso con filtro, Mix2Vial, sterile fornito con la confezione. La ricostituzione e la diluizione devono essere eseguite in accordo con le Norme di Buona Pratica in particolare per quanto riguarda l’asepsi. Ruotare delicatamente il flaconcino fino a completa dissoluzione della polvere. Non utilizzare Helixate NexGen se si riscontrano particelle visibili o torbidità. Dopo ricostituzione, la soluzione viene trasferita attraverso il set di travaso con filtro Mix2Vial nella siringa sterile monouso (entrambi forniti con la confezione). Per eseguire l’iniezione endovenosa utilizzare il set per l’iniezione in vena fornito nella confezione. Per l’infusione continua il prodotto deve essere preparato in condizioni asettiche. Il prodotto non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità ai requisiti di legge locali. 7. Titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio Schering Pharma AG 13342 Berlin Germania 8. Numero dell’autorizzazione all’immissione in commercio EU/1/00/144/001 Helixate® NexGen 250 UI EU/1/00/144/002 Helixate® NexGen 500 UI EU/1/00/144/003 Helixate® NexGen 1000 UI EU/1/00/144/004 Helixate® NexGen 2000 UI 9. Data della prima autorizzazione/ rinnovo dell’ autorizzazione Data della prima autorizzazione: 04 agosto 2000 Data dell’ultimo rinnovo: 04 agosto 2005 10. Data di revisione del testo Agosto 2009 Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali: http://www.ema.europa.eu 6.2 Incompatibilità Questo medicinale non dev’essere miscelato con altri medicinali o solventi. Possono essere utilizzati solo i set di somministrazione forniti poiché si possono verificare fallimenti del trattamento legati all’adsorbimento del fattore VIII della coagulazione umano alle superfici interne di alcuni dispositivi per infusione. 6.3 Periodo di validità 30 mesi. Dopo ricostituzione il prodotto deve essere utilizzato immediatamente. Tuttavia durante gli studi in vitro è stata dimostrata stabilità chimica e fisica durante l’uso per 24 ore a 30°C in sacche di PVC per infusione continua. Tel. 02 349641 [email protected] www.cslbehring.it A6124 Factors for Life ™ Our Commitment: A Broad Range of Products for the Treatment of Rare Bleeding Disorders