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Per un’etica
della lettura
Lucio Coco
«Leggere per sospirare»
I
l Rosetum exercitiorum spiritualium di Jan Mombaer (1460-1501)
chiude la parabola della ricerca spirituale della devotio moderna.
La diffusione della riforma protestante rappresenta infatti
per questo movimento il limite cronologico superiore e ne segna
di fatto la fine. Opera terminale, questo libro si presenta perciò
come un lavoro maturo e di capitale importanza per la conoscenza
dell’ispirazione e dell’elaborazione della scuola stessa. Nell’analisi
del religioso belga prevale l’attenzione al dato interiore e di coscienza attraverso cui costruire una forma più piena e autentica di
vita spirituale e un posto importante in questa indagine è assegnato
all’esperienza della lettura che già aveva assunto, proprio per il tipo
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di approccio psicologico che la caratterizza, un rilievo importante nell’area della devotio moderna.
Colpiscono ancora oggi per la loro semplicità e incisività
le parole dell’Imitatio Christi, un testo intriso della spiritualità di
questo movimento, che invitano a leggere i libri nello stesso spirito con cui sono stati scritti senza lasciarsi influenzare dal nome
dello scrittore perché quello che deve indurre alla lettura deve
essere la ricerca della verità non la bellezza della forma («Veritas
est [...] quærenda, non eloquenda»: De imitatione Christi, I,5,1).
In tal senso Gerhard Zerbolt (1367-1398), discepolo di
Geert Groote (1340-1384), il fondatore della scuola, aveva sottolineato che nella lettura ciò che più conta è la finalità [intentio]
con cui si affronta un testo, scrivendo a tal proposito che «la
principale intenzione deve essere la purità di cuore e non la vanità, non conoscere e tanto meno essere conosciuti ma, in base al
proprio metro, trarre profitto per sé e per gli altri» (De spiritualibus
ascensionibus, cap. XLIV, ed. Michaelis Chevalier, Lugduni, 1623,
114).
La lettura si presenta in questo modo come un esercizio
spirituale autonomo, l’attenzione è tesa a cogliere le intime risonanze del testo in chi lo legge e a farne quasi uno strumento
d’esame per la coscienza. Lo scrittore olandese completa il suo
pensiero sottolineando che tutto ciò deve avvenire ricavandone
diletto e la lettura deve servire come uno strumento che permetta
di superare il taedium mentis del solitario, perciò egli scrive: «Puoi
cercare altri frutti nella lettura… come l’opportunità di sfuggire
al tedio della mente» (De spiritualibus ascensionibus, cit., 114).
Jean Gerson (1363-1429), in linea con la devotio moderna, è
forse l’autore che più appassionatamente trasmette questo amore
per la lettura. La via affettiva, che consente al devoto di fare
esperienza di Dio, deve espandersi in qualsiasi attività umana.
«Ogni tipo di studio – egli annota – deve avvenire per passione
[affectus]… per cui nulla si studi, nulla si legga, nulla si canti,
niente si mediti che non abbia lo scopo immediato o mediato di
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accendere la passione [affectus]; infatti in una tale fiamma consiste l’apice supremo della teologia mistica» (Duodecim considerationes,10 in Œuvres complètes, t. IX, par P. Glorieux, Desclée et C.ie,
Paris 1973, 610-611).
Questo principio ispiratore ha immediati riflessi pratici
anche in chi legge che è messo nella condizione di scegliere liberamente ciò che lo stimola di più e sente più vicino a sé. Cade
così anche il dogma di una lettura sempre identica. È lecito,
sostiene Gerson, variare un testo, perché neppure noi siamo
sempre gli stessi: «È ben vero che la nostra natura è portata a
provare fastidio in corrispondenza della nostra mutevolezza» (De
libris legendis a monacho, in Œuvres complètes, t. IX, op.cit., 612). Un
simile approccio «passionale» al testo permette di modellare la
lettura al proprio sentire e alla propria interiorità. Al di là di
ogni studio e ricerca intellettuale diventa per questi autori più
importante concentrarsi sui riflessi emozionali che essa provoca
nell’animo di chi legge, marcando in questo modo una distanza
tra fini, quali attività conoscitiva e affettività, sapere e progresso
spirituale che restavano indistinti nella tradizionale pratica del
leggere. La spontaneità, la semplicità, la naturalezza, a cui accennano
gli scritti dell’anonimo del De imitatione Christi, di Zerbolt e di
Gerson risultano essere, per così dire, dei marcatori di un diverso
modo di avvertire il testo e di leggerlo che, svincolandosi da ogni
precisa regola e indicazione, privilegia la dimensione affettiva
più che quella cognitiva, la libertà e la sensibilità del lettore più
che un metodo già prestabilito e fissato.
Anche Mombaer, quando parla del «bisogno di sospirare»
che deve derivare dalla lettura («suspiria de lectionis serie haurire»,
Rosetum exercitiorum spiritualium, XIII, Bordoni, Milano 1603, 110)
esprime un analogo punto di vista e, mettendo in evidenza la
necessità di leggere il libro in un modo diverso, egli ben rappresenta il vincolo di un passaggio attraverso l’interiorità e il sentimento per mezzo del quale è possibile realizzare una forma più
compiuta di vita spirituale.
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«Studium lectionis»
Da queste testimonianze risulta evidente la modernità e la
novità della riflessione che gli scrittori della devotio moderna, oppure ad essa contigui, propongono e sviluppano sul tema della
lettura. All’interno di questo spazio Jan Mombaer compie tuttavia un ulteriore approfondimento relativo alle problematiche
culturali legate all’atto del leggere considerando esigenze di contesto tanto ambientali che personali. A tal fine nella sua indagine
egli prende in esame l’attività del soggetto leggente e le modalità
di lettura che deve adottare.
In questo senso chi legge dovrà seguire un ordine, stabilire una misura, cercare la correttezza del testo, fissare un tempo,
preoccuparsi di essere perseverante e attento (Rosetum, op.cit., 112).
Mentre la lettura che svolge deve essere certa e ordinata, attenta,
devota, sonora e misurata (Rosetum, op.cit., 112). Stando al lessico con
cui si indicano le funzioni del lettore e gli attributi della lettura
sembra che ci siano delle sovrapposizioni e delle ripetizioni – per
esempio l’ordine e la misura ritornano due volte – ma Mombaer opera una opportuna e chiara distinzione. Da un punto di
vista soggettivo, infatti, l’ordine sta a significare un procedimento
che va dal semplice al complesso, da un punto di vista oggettivo
invece esso indica la regolarità con cui si procede nella lettura:
«Bisogna applicarsi – scrive – a tutto il libro dall’inizio alla fine,
integralmente e ordinatamente con adeguata dedizione, debita
reverenza e somma diligenza» (Rosetum, op.cit., 112).
La misura indica che il soggetto non deve leggere né poco
né troppo e che deve farlo in un tempo determinato, per l’oggetto equivale all’essere definita e centrata su un argomento
«senza bisogno di leggere tante cose insieme invece di una sola»
(Rosetum, op.cit., 113).
Al di là di queste precisazioni, funzioni e qualità specificano e chiariscono la relazione che deve intercorrere tra il lettore
e la lettura. Si deve perciò pretendere la correttezza del codice
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– e questo in linea con quell’umanesimo cristiano che sia Mombaer che Erasmo (suo compagno di scuola) rappresentano così
autorevolmente – perché dalla capacità di apportare delle correzioni a un codice «si sviluppa in primo luogo la solerzia di chi
legge» (Rosetum, op.cit., 112). Inoltre sono richieste perseveranza,
che equivale a dire che «ci vuole cioè assiduità e continuità», e
attenzione, cioè che «la ricerca sia scrupolosa» (Rosetum, op.cit.,
112). In sé la lettura, oltre che essere certa e misurata, deve essere
attenta nel senso che sia capace di ricercare e cogliere «la verità»
del testo, devota, cioè capace di stimolare la riflessione su Dio,
sonora cioè capace di vibrare e far vibrare l’anima di chi legge
(Rosetum, op.cit., 112).
Al di là di queste analisi, tuttavia, ciò che a Mombaer
preme segnalare è che il rapporto lettore/lettura deve essere costruito all’interno di un’altra relazione che egli chiama «studio».
Senza banalizzare questo termine, appiattendolo sul suo significato corrente e comune di lavoro intellettuale e di applicazione
in una disciplina, a lui preme indicare le condizioni che rendono
possibile lo «studium lectionis» (Rosetum, op.cit., 111) e che costituiscono, come se si trattasse di un rapporto del tutto con la parte,
anche le condizioni che rendono possibile la lettura.
Nel tracciare «la strada d’accesso [viam qua ad studium est
accedendum]» a questa attività (Rosetum, op.cit., 111) egli individua
alcuni comportamenti virtuosi: l’intenzione e la partecipazione emotiva con cui ci si avvicina ad un testo, la motivazione, la buona disposizione che si sostanzia nella prontezza, nel distacco, nella rettitudine,
nell’equità e nell’attenzione (Rosetum, op.cit., 111). A tali atteggiamenti corrispondono altrettante qualità morali che vanno dalla
consapevolezza dello sforzo che viene richiesto al riconoscimento
che il sapere non è qualcosa fine a se stesso o un modo per esercitare una propria superiorità.
Mombaer elenca e descrive ancora altre virtù come
l’umiltà con la quale si deve affrontare un testo e anche il timore
che deve accompagnare uno studio. Operando in questo modo,
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al di là dell’elencazione di qualità e di virtù, si comprende che
l’obiettivo di Mombaer è quello di inserire la lettura in un contesto etico che la rende possibile. Bisogna essere distaccati dal
mondo («vacui a curis mundi», ib.) – egli afferma – per non coltivare la lettura di cose vane; la rettitudine ci farà evitare la curiosità; la prontezza ci farà impegnare nello sforzo, ci insegnerà
la continuità, la diligenza; l’attenzione, che coincide quasi con
l’ostinazione, ci permetterà di trovare, di arrivare alla soluzione.
La lettura si alimenta così del tessuto morale in cui cresce e si
sviluppa e a sua volta nutre altre importanti qualità spirituali.
Le passioni, i vizi – sostiene Mombaer – corrompono l’attività
del lettore. Perché una lettura sia efficace è necessario formare la
coscienza, è necessaria cioè una educazione.
«De modo legendi»
Esigenze di contesto morale, quindi, impongono un ampliamento dell’orizzonte interpretativo attraverso il quale la lettura non è più vista come un atto a sé stante, come una mera
astrazione, ma è collocata in un soggetto che per realizzare una
buona qualità di lettura deve lasciare decantare le sue passioni: il
vizio, la distrazione, la noia determineranno altrettanti disturbi
sulle frequenze di chi legge e al limite finiranno per impedire la
lettura stessa. Non riesce a leggere, è questo il pensiero di Mombaer, chi non sa controllare la propria vanità, la propria curiosità,
l’accidia che ci fa andare o troppo piano o troppo veloce. Non si
riesce a leggere se non si riesce a trovare il tempo, da intendersi
quasi come il ritmo più che come una manciata di minuti, se non
si sa ascoltare se stessi.
Per leggere – nel sistema di Mombaer – è necessaria una
educazione quasi, starei per dire, sentimentale; viene richiesta
un’etica, diversamente la lettura sarà disturbata, sarà distorta
o non ci sarà affatto. Per esercitare la lettura è necessario ricostruire un «ecosistema» di valori nei quali inserire questa atti528
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vità. Essi rappresentano per così dire i prerequisiti perché si possa
tornare autenticamente a leggere: un animo soggetto alle passioni, vittima della insofferenza e della noia, non potrà mai leggere, perché leggere, come indica Mombaer, vuol dire accogliere
quanto si legge, vuol dire accettare di farsi medicare da quello
che si legge, vuol dire farsi soccorrere da quello che si legge, vuol
dire andare in risonanza con quello che si legge, diversamente
la lettura risulterebbe stonata e strozzata o, per esprimerci con il
suo lessico, non sarebbe sonora (Rosetum, op.cit., 113).
Oggi si legge poco probabilmente anche perché manca
questa educazione, perché fa difetto questa preparazione sentimentale necessaria per accostarsi a un testo, manca l’umiltà
di ascoltare quello che dice l’altro o che l’altro può insegnarti.
Oggi si legge male perché si preferisce sottacere questa dimensione etica, neppure darla per scontata, ma quasi ignorare la sua
necessità e la sua urgenza. Non è vero, secondo Mombaer, che
si può iniziare un libro da un qualsiasi punto, ci vuole preparazione (Rosetum, op.cit., 112). Nessuno oserebbe iniziare a suonare
il pianoforte partendo da un qualsiasi spartito… La lettura può
ingannare perché sembra che sia alla portata di tutti, ma all’alfabetismo della società scolarizzata corrisponde, in quest’epoca
forse più che in altre, un analfabetismo etico della società secolarizzata che spiega il paradosso del basso numero di lettori in un
contesto per altro verso altamente alfabetizzato.
Non è possibile leggere senza una educazione – la parola
formazione tanto usata oggi dai pedagogisti, dimenticando la questione etica, sembra voler contribuire alla rimozione del problema –, una educazione che insegni a liberarsi di ciò che è vano,
a vincere la curiosità, a non seguire le novità, a non alimentare la
chiacchiera, che renda consapevoli delle capacità di ognuno, che
ci parli del limite, che parli dal limite della nostra umanità e che
su questa sia capace di trovare e fondare motivazioni, spunti per
tornare al libro e a leggere: in questi tempi di povertà sarebbe
troppo sperare altro dalla lettura, quello per esempio che si au-
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gurava Mombaer dalla lettura, che fosse capace di «elevare con
la mente a Dio» (Rosetum, op.cit., 113).