UNA SUPPLY CHAIN SEMPRE PIU` ORGANIZZATA Le criticità dei

UNA SUPPLY CHAIN SEMPRE PIU' ORGANIZZATA
Le criticità dei suoi processi,
le nuove tecnologie al suo servizio
a cura della redazione di Computerworld Italia
Destinazione >> ICT e R&S >>E-business
Sommario
Come affrontare la complessità................................................................. 4
La contraffazione del farmaco si combatte con la tracciabilità........................ 7
RFID: non solo etichette.........................................................................10
Logistica: il mito dell’ordine perfetto ...................................................... 13
Glossario.............................................................................................. 17
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Introduzione
Per supply-chain management (SCM) si intende quel processo che consente di ottimizzare la
consegna di merci, servizi e informazioni dal fornitore al cliente, sfruttando applicazioni
dedicate e integrate tra loro, consentendo oggi anche lo scambio di informazioni online via
Internet. Questa catena va a coinvolgere di norma una comunità di partner commerciali molto
variegata, tutti impegnati nel comune obiettivo di soddisfare quello che sarà il cliente finale. E'
questa una tematica che riguarda le imprese di ogni dimensione e settore, probabilmente una
delle poche che a livello di complessità accomunano anche mondi molto diversi come quelli
dell’industria alimentare, la filiera della distribuzione del farmaco e il comparto fashion, che
devono affrontare problematiche di gestione peculiari, per la cui soluzione il mercato propone
tecnologie innovative che nel contempo mirano a rendere più fluidi i processi.
Tra queste c'è ad esempio quella di 'identificazione basata su radio frequenze', o RFID (Radio
Frequency Identification), ossia l'uso di etichette intelligenti (smart tag) destinate al
tracciamento delle merci. Di fatto di RFID si è cominciato a parlare con forza dopo che nel
2003 Wal-Mart, il più importante operatore retail al mondo, ha comunicato di aver chiesto ai
suoi fornitori principali di supportarla, avendo
appunto l'intenzione di basare
sull’identificazione via radio la gestione della sua supply chain. Una tecnologia che, va detto, è
in realtà sul mercato già da tempo e le sue prime applicazioni industriali risalgono già agli anni
Sessanta. L’RFID non è in ogni caso la panacea per tutti i mali: quando si parte con un
progetto di questo tipo si deve avere ben chiaro il suo ritorno atteso, direttamente o meno, in
termini economici. La tecnologia, al di là delle sue specificità, alla fine diventa infatti una fonte
di informazioni che sono certamente molto utili ma che devono essere memorizzate e gestite in
maniera opportuna, per evitare che RFID sia una avanguardia molto avanzata ma priva di
supporto da parte del back office.
Oltre a questo, esistono altre tematiche correlate di cui bisogna tener conto, come quella della
sicurezza e quindi della privacy: se la questione in genere viene lasciata alle relative Authority
nazionali, dal punto di vista tecnico si può solo dire che le soluzioni per evitare ambiguità e
dubbi ci sono. Il problema ovviamente non tocca in modo particolare le installazioni businessto-business, in cui a essere marchiati sono in genere colli o addirittura pallet, ma piuttosto
verticalizzazioni business-to-consumer particolarmente sensibili, come ad esempio quelle in
ambito farmaceutico, di cui si è detto prima.
Gestire la supply chain non è infine un problema solo tecnologico, di scelta delle applicazioni e
dell'hardware, ma anche di organizzazione. In tal senso è necessario coinvolgere tutta
l'azienda, sui vari livelli, nel disegno dei processi e dei sistemi a supporto, in modo tale da
favorire la migliore integrazione possibile e quindi la comunicazione tra le parti in causa delle
informazioni più utili a prevedere la domanda e, quindi, tutto quanto ne consegue.
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COME AFFRONTARE LA COMPLESSITÀ
Tre esperti analizzano le peculiarità della supply chain in tre settori verticali: food,
pharma e fashion
a cura di Ruggero Vota
In questo articolo, con l’aiuto di operatori estremamente focalizzati nei settori alimentare,
farmaceutico e fashion, abbiamo voluto affrontare le criticità e le specificità della supply-cahin
di questi tre mondi piuttosto significativi per la realtà economica italiana. Se gli obiettivi di
fondo, così come emergono dalla nostra inchiesta, risultano essere in gran parte condivisi
(tracciabilità del prodotto, pianificazione della produzione sempre più guidata dalla domanda e
continuo miglioramento dell’efficienza) per implementare una soluzione di gestione di una
determinata filiera non si può ormai prescindere dalla specializzazione che deriva dalla
conoscenza di fondo di determinate problematiche e dalle tecnologie che possono affrontarle.
Un tema generale come l’RFID (Radio Frequency IDentification), per esempio, è in realtà visto
in modo molto diverso dai tre comparti presi in esame e quindi di difficile applicazione con una
regola più generale.
La supply chain dell’industria alimentare
Il settore alimentare (food nel gergo di molti) è costantemente caratterizzato da fattori esterni
che condizionano fortemente sia la pianificazione della produzione (stagionalità, deperimento
della materia prima, domanda del consumatore finale...) sia la distribuzione e la
commercializzazione della merce (ottimizzazione delle scorte, pianificazione dello scaffale nella
grande distribuzione...), ci ha spiegato Davide Pansolin, marketing manager di Atomos. Oltre a
questi fattori critici le aziende del settore si possono trovare a dover gestire in poco tempo
eventi eccezionali non del tutto prevedibili, come il recente caso dell’influenza aviaria sta
dimostrando in queste settimane, che fanno saltare le normali variabili di business con
conseguenze molto pesanti sui conti delle aziende.
Tracciabilità ma senza RFID
Il tema oggi all’ordine del giorno trasversale a tutte le aziende del settore alimentare è
senz’altro quello della tracciabilità e della rintracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera che
parte dal produttore e arriva al consumatore finale; tema che è stato indotto nel settore dalle
recenti normative di legge. In questo contesto è quindi importante che le imprese produttrici,
quelle che si occupano del commercio al dettaglio e gli altri partner che intervengono nella fase
di vendita possano applicare un sistema di tracciabilità rapido, flessibile e possibilmente poco
oneroso.
A questo proposito il tema RFID è di sicuro interesse, ma oggi la possibilità di utilizzare tag in
una logica ‘usa e getta’ su ogni singolo prodotto si rivela ancora un’opzione troppo costosa.
All’interno dell’azienda di produzione è invece sempre più sentita l’esigenza di analizzare la
domanda per generare delle previsioni di produzione con una pianificazione che tenga conto
della capacità produttiva interna dell’impresa. Questo fattore assume una criticità crescente
con l’aumentare della frequenza di queste analisi e oggi non sono poche le realtà che pensano
di arrivare a un’elaborazione della previsione della domanda su base quotidiana. Un progetto
SCM che quindi non affronti con efficacia questo snodo fondamentale rischia di fallire i suoi
obiettivi e di compromettere le prestazioni generali di tutta l’azienda. Un altro punto critico sta
infine nel fatto che la schedulazione della produzione deve sempre tenere conto delle
caratteristiche peculiari del prodotto che si va a trattare.
Vince l’approccio graduale
Per portare avanti con efficacia un progetto di implementazione di una soluzione di supply
chain in un’azienda del settore alimentare è necessario partire da una visione a 360° per poi
focalizzarsi sulle singole tematiche con progetti molto dettagliati e soprattutto verificati
puntualmente. Un metodo di lavoro efficace può essere quello di definire degli obiettivi
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intermedi più facilmente raggiungibili e verificabili che consentono, passo dopo passo, di
portare a compimento i progetti più complessi.
Questo approccio progettuale si rivela come più sicuro anche quando l’azienda vuole capire con
un certo grado di affidabilità quale sarà il ritorno del suo investimento nel progetto di SCM.
Partendo ‘dal basso’ , per esempio iniziando con l’implementazione dell’avanzamento di
produzione, si ottengono dati più concreti per giustificare l’investimento. Parlare invece di
grandi progetti rende molto più complesso il calcolo del ROI e anche meno affidabile il risultato
finale.
Un esempio di approccio passo a passo è l’implementazione della supply chain in Pastificio
Rana, un progetto che Atomos ha iniziato dalla realizzazione di un sistema di schedulazione
della produzione volto a garantire la fattibilità dei piani produttivi nel rispetto dei numerosi
vincoli che contraddistinguono la peculiare produzione dell’azienda. In una seconda fase il
progetto si è esteso alla gestione del magazzino prodotto finito e ora all’organizzazione delle
spedizioni con visualizzazione via web della tracciabilità aperta ai clienti di filiera.
La distribuzione dei farmaci
Gli operatori attivi nel settore della distribuzione dei prodotti farmaceutici devono oggi
affrontare tre problematiche strettamente correlate tra loro, ci racconta Luca Cavenaghi,
pharma business manager di IBS Italia.
Il primo fattore di criticità è l’integrazione nella fase di acquisizione degli ordini: oggi infatti gli
ordini al distributore dalle farmacie arrivano da una molteplicità di ‘fonti’ non tutte strutturate
(telefono, fax, mail, web...). Risolvere questo primo problema significa poter affrontare con più
tranquillità il secondo elemento, ovvero l’automazione volta a ottimizzare i prelievi da
magazzino. Un passaggio indispensabile se si tiene conto del fatto che il distributore di farmaci
si trova a organizzare ogni due o tre ore al massimo un giro di consegna, per una media tra le
tre e le quattro consegne al giorno. Viene da sé che il terzo fattore critico è riuscire a
mantenere un livello di servizio e di affidabilità molto alto: un distributore di farmaci gestisce
volumi molto elevati e tratta una merce che richiede un alto livello di attenzione, e in alcuni
casi trattamenti particolari, è quindi fondamentale che tutto il processo venga gestito con le
migliori garanzie. Lo scambio di confezioni, o la comunicazione erronea di informazioni sensibili
sono eventi che devono essere continuamente ridotti attraverso l’implementazione di
miglioramenti e affinamenti successivi.
Lo snodo fondamentale di un progetto SCM in questo settore, così come in altri, è
l’integrazione dell’azienda distributrice con i suoi fornitori e i suoi clienti. La gestione integrata
di un elevato numero di informazioni garantisce all’azienda un vantaggio competitivo
permettendo una migliore gestione degli acquisti, delle spedizioni, dello stoccaggio della merce
e dei rientri a magazzino.
Anche in questo settore il tema della tracciabilità è al centro dell’attenzione di tutti gli operatori
di filiera e l’argomento RFID è attualmente preso in considerazione anche per motivi legati al
tema della contraffazione dei farmaci (si veda anche articolo a pagina 7).
Una filiera guidata dal cliente
Nel mercato fashion si sente sempre più parlare di ‘demand driven supply network’, ossia di
una catena che parte dalla domanda del consumatore finale e arriva a comprendere i fornitori
dell’azienda di produzione che dà il marchio al capo d’abbigliamento, spiega Gianmarco
Mangili, business developer fashion&retail di TXT e-solutions. Nel mondo del fashion la
situazione attuale sta andando infatti in una direzione in cui la posizione del consumatore finale
è sempre più importante e la capacità dell’azienda produttrice di capire cosa vuole, o vorrà, è
un prerequisito chiave per il suo successo. Inoltre le aziende del comparto sono ormai inserite
all’interno di un network complesso e collaborativo che vede il coinvolgimento più stretto dei
fornitori/terzisti, e la gestione di questa particolare relazione assume dunque una criticità
crescente quando si parla di progetti SCM.
Ma gli elementi che caratterizzano questo mercato sono anche: il numero crescente di
collezioni da gestire in un anno, fattore che ha un forte impatto sull’organizzazione aziendale
(chi si è attrezzato per tempo oggi arriva anche a gestire 12 collezioni in un anno chi invece è
rimasto legato alle modalità e alle logiche del passato non arriva a gestirne quattro); tempi di
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realizzazione dei prodotti ridotti a poche settimane (casi Zara e H&M) e un sempre più spinto
rapporto qualità/prezzo.
A questo scenario le aziende italiane, che prevalentemente si muovono su un’offerta di ‘lusso’,
rispondono da un lato con elevati livelli di terziarizzazione e delocalizzazione, dall’altro stanno
operando riorganizzazioni interne per far fronte al tema crescente del numero di collezioni da
gestire.
Quest’ultimo elemento (la frequenza delle collezioni) rende ancora più critico che in passato il
problema fondamentale delle date di consegna per tutti i terzisti che partecipano al network di
una grande marca. Il rispetto di questo elemento critico sempre più fa la differenza fra il
successo o meno di una collezione.
Come si evita l’insuccesso
Viste tutte queste criticità, un progetto SCM per il settore fashion è generalmente un’attività
trasversale rispetto alle funzioni aziendali, va quindi a toccare interi processi dell’impresa e il
rischio di insuccesso è molto elevato se non si verificano a priori dei prerequisiti fondamentali
che coinvolgono le persone, i processi e le tecnologie presenti in azienda.
Un progetto SCM ha impatti sui modelli di sviluppo del lavoro, è quindi basilare per l’azienda
valutare in precedenza la disponibilità al cambiamento della sua struttura. Inoltre è importante
verificare che le soluzioni che intende implementare si integrino facilmente con la base
applicativa esistenti e che possano contare per le loro elaborazioni su strutture dati consistenti.
Infine, bisogna riuscire a coinvolgere i fornitori e i terzisti ‘chiave’, ovvero coloro che risultano
vitali per il mantenimento dell’ecosistema che ruota intorno all’impresa.
Una soluzione di supply relationship management (SRM) può essere quindi un valido supporto
a molte delle criticità che incontra un’azienda del settore. Itierre, azienda del gruppo IT
Holding, ha implementato uno strumento di questo tipo sviluppato da TXT che favorisce la
condivisione via web della scheda tecnica con uno sgravio dell’attività dell’ufficio acquisti
quantificato tra il 10% e il 20%. Inoltre, la soluzione permette la condivisione via web con
fornitori e terzisti degli ordini di produzione e fornitura e dei relativi piani e tempi di consegna.
Disporre di piani sempre aggiornati consente di pianificare la produzione interna in modo
ancora più efficace e di sincronizzarla con l’attività del partner anche a fronte di eventuali
imprevisti.
RFID a tutto campo
Nel settore fashion i benefici che si possono immaginare dall’implementazione dell’RFID sono
legati all’utilizzo dei tag su ogni singolo capo, almeno per quanto riguarda la produzione di
fascia alta. Solo in questo caso possono prendere vita una serie di idee legate alla ‘customer
experience’, non realizzabili diversamente, o alla gestione dello scaffale intelligente, oltre a
tematiche di anticontraffazione o di gestione in ambito logistico.
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LA CONTRAFFAZIONE DEL FARMACO SI COMBATTE CON LA
TRACCIABILITÀ
Supply chain più sicure, grazie ai tag RFID, per affrontare un fenomeno in forte
espansione
(g.g.) Nel corso di un recente convegno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha tenuto a
Roma è emerso che è in pericolosa crescita su scala mondiale il fenomeno della contraffazione
dei farmaci. In alcuni Paesi dell’Africa addirittura il 65% dei prodotti in circolazione risultano
contraffatti, ma anche in Brasile il fenomeno si manifesta in misura non trascurabile, con un
mercato ‘inquinato’ da ben il 30% di false confezioni medicinali.
In Europa il fenomeno è ancora lontano dal raggiungere queste dimensioni, ma la stima del
10% fatta dagli esperti è più che realistica e i 4 milioni di confezioni contraffatte in un anno
sono sufficienti a invitare le aziende farmaceutiche e i governi a prendere le necessarie
contromisure. In Italia, secondo una recente ricerca presentata da Federconsumatori, le
confezioni sequestrate nel 2005 avrebbero raggiunto le 130mila unità e nel 4% dei casi,
informa l’associazione, si tratterebbe di veri e propri plagi, vale a dire “medicinali
apparentemente in tutto e per tutto identici agli originali”.
In termini economici, secondo i dati forniti dall’OMS, il danno provocato alle aziende
farmaceutiche ammonta a 46 miliardi di dollari all’anno. Ma il dato più allarmante è la crescita
del fenomeno negli Stati Uniti, che su base annua, secondo la FDA (Food & Drug
Administration), hanno registrato un più 150%, per effetto dell’aumento esponenziale nel
numero di organizzazioni malavitose coinvolte in questa attività e dell’insufficiente severità con
cui in genere tali reati vengono perseguiti. Le pene infatti risultano molto meno severe per il
traffico di farmaci falsi rispetto a quelle per il traffico di stupefacenti come cocaina ed eroina.
RFID al centro della supply chain
Le case farmaceutiche sembrano non avere intenzione di continuare a subire la situazione. Con
il pieno appoggio dell’OMS e dei singoli Governi, stanno cercando di rivedere completamente la
catena distributiva per riuscire a tenere maggiormente sotto controllo il percorso effettuato
dagli imballaggi una volta usciti dalla produzione. D’altra parte, dal punto di vista dei venditori
al dettaglio, il problema non è di facile soluzione. Il lungo percorso che i medicinali seguono
dalla fabbrica prima di arrivare al punto vendita rende complicato appurarne la reale
provenienza.
In alcune nazioni, un primo provvedimento è stato quello di obbligare le case farmaceutiche a
certificare l’autenticità dei propri prodotti attraverso una sorta di ‘pedigree’ in grado di
documentare l’origine del farmaco e attraverso chi è passato. Più efficace nel supportare
questa direttiva, secondo le raccomandazioni diramate dalla FDA, dovrebbe rivelarsi l’adozione
su larga scala della tecnologia RFID all’interno della supply chain per mantenere il pieno
controllo del percorso effettuato dai farmaci. L’invito è già stato raccolto da diversi produttori,
che hanno di conseguenza avviato una prima fase sperimentale per valutarne i risultati e le
problematiche. Aziende di livello internazionale quali Pfizer e GlaxoSmithKline hanno attivato
dei progetti pilota miranti a mantenere il pieno controllo del percorso dal produttore al
consumatore e hanno iniziato già da qualche tempo a inserire le etichette RFID sulle confezioni
di alcuni tra i farmaci più diffusi.
I primi risultati emersi dalle diverse strategie adottate fanno capire che esistono dei problemi.
L’adozione su larga scala della tecnologia RFID rende prima di tutto necessari ingenti
investimenti, mentre sul lato utente, la presenza di etichette intelligenti su ogni confezione,
introduce questioni legate alla privacy e alla sicurezza. Complessivamente, la strada sembra
però quella giusta e il compito cui sono chiamati i CIO delle aziende farmaceutiche è ora quello
di rivedere l’infrastruttura IT nell’ottica di supportare i nuovi processi associati alla supply
chain.
Il compito non appare certamente dei più facili. La catena distributiva legata all’industria
farmaceutica è una delle più complesse in assoluto. È inoltre vero che il settore è soggetto a
regole molto vincolanti, ma si tratta di regole che variano da nazione a nazione, così come i
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prezzi di vendita. Generalmente un farmaco, una volta lasciata la fabbrica, attraversa una serie
di distributori e può subire anche diversi re-imballaggi prima raggiungere la destinazione
finale.
Al problema della contraffazione si affianca quindi un altro aspetto: quello della corretta
distribuzione dei prodotti. Grazie all’impiego di accorgimenti quali ologrammi e filigrane con
colorazioni distinte, alcuni produttori hanno accertato come grossisti attivi in Paesi dove era
stato fissato un determinato prezzo, in realtà rivendevano le medicine in nazioni diverse da
quelle concordate, naturalmente a un prezzo maggiore.
Le prime impressioni
Il produttore Genzyme ha messo a punto in collaborazione con UPS un sistema web-based in
grado di ‘seguire’ il percorso dei propri colli in Europa a partire dai centri di distribuzione
collocati in Gran Bretagna e Irlanda. Grazie a questa soluzione i clienti di Genzyme sono ora in
grado di conoscere via web lo stato del proprio ordine. I buoni risultati ottenuti stanno
convincendo l’azienda a estendere il servizio ad altre aree geografiche.
Per una soluzione definitiva del problema però, l’idea che al momento raccoglie maggiori
consensi passa per l’adozione della tecnologia RFID. L’obiettivo resta quello di associare a
ciascun collo, o addirittura confezione, una sorta di ‘pedigree’. La diffidenza verso le prime
normative locali, che lasciavano la possibilità di stilare il documento anche in modo manuale,
sta lasciando spazio ai risultati che è possibile ottenere grazie a una gestione completamente
automatizzata delle informazioni lungo tutto l’arco della supply chain. Anche rispetto ai codici a
barre, inoltre, è vero che una soluzione RFID in fase di realizzazione risulta decisamente più
costosa, ma tali spese sono ampiamente compensate nei passaggi operativi, dove non è più
necessario impiegare personale in ogni ‘anello’ della catena per provvedere alla scansione del
codice. Un altro vantaggio importante nell’impiego delle etichette in radio frequenza è la
possibilità di tenere sotto controllo la temperatura del farmaco lungo il percorso distributivo,
elemento fondamentale per garantirne l’efficacia.
Tra chi è già passato alla messa in opera di un progetto di questo tipo, nonostante non siano
mancate le difficoltà, l’industria farmaceutica Oxycontin è già in grado di tracciare un primo
bilancio più che positivo dall’impiego dei tag RFID. Le etichette applicate a ciascuna confezione
consentono al distributore di autenticare, certificare e garantire che ogni numero di serie abbia
una totale corrispondenza con quanto dichiarato dal produttore. La tecnologia RFID inoltre
viene sfruttata per memorizzare informazioni accessorie utili quali, per esempio, la data di
scadenza e il lotto di appartenenza. Secondo un portavoce dell’azienda, i risultati migliori si
potranno raggiungere quando sarà possibile estendere la soluzione a tutti gli altri passaggi
della supply chain.
Non mancano però i problemi. I casi di successo della tecnologia RFID in ambito logistico non
devono trarre in inganno. Per rendere il sistema completamente affidabile sarebbe infatti
necessario estendere l’utilizzo dell’RFID fino all’ultimo anello della catena, ovvero le farmacie,
ma questo significa etichettare ogni singola confezione, con costi naturalmente più elevati. Un
altro aspetto cruciale è la possibilità di escludere nel modo più assoluto che la radiofrequenza
possa in qualche modo alterare le medicazioni. Dai primi test effettuati sembra lecito
concludere
che
per
quanto
riguarda
i presidi solidi tale
Esperienze e soluzioni
rischio sia da escludere.
Un progetto di pedigree elettronico è stato recentemente attivato da
Unisys e da SupplyScape per la distribuzione di un medicinale
Prima di procedere con i necessari
analgesico prodotto da Purdue Pharma che coinvolge anche il
investimenti,
le
aziende
distributore statunitense H.D. Smith.
farmaceutiche sono determinate a
Purdue è una delle aziende farmaceutiche più attive nella lotta
capire fino in fondo quale sia la
contro i casi di falsificazione: già nel novembre 2004 l’azienda è
stata una delle prime ad adottare confezioni anticontraffazione per
reale affidabilità del sistema. La
proteggere i propri antidolorifici. Il distributore H.D. Smith in questi
durata
delle
etichette
per
anni si è invece impegnato nello sviluppo di supply chain ‘sicure’ che
esempio, deve essere superiore al
vedono nell’implementazione del pedigree elettronico il mattone
periodo di validità del farmaco. È
fondamentale di tutto il sistema. Il progetto pilota consentirà di
tenere traccia della distribuzione dei farmaci e il ruolo di Purdue e
inoltre necessario implementare in
H.D. Smith sarà quello di autenticare, certificare e verificare la
produzione un sistema di controllo
corrispondenza tra i medicinali e le informazioni memorizzate nel
che verifichi con una serie di test
pedigree elettronico.
la corretta funzionalità di ogni
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etichetta e, nel caso di malfunzionamenti, di sostituirla prima che venga abbinata a una
confezione.
Sul fronte della produzione e della grande distribuzione la tecnologia RFID sembra ormai una
questione all’ordine del giorno. Oltre all’aspetto legato ai costi, c’è un altro elemento che
solleva qualche perplessità: il livello di definizione, ancora scarso, degli standard.
Dal punto di vista della distribuzione e della vendita al dettaglio invece esiste ancora qualche
ostacolo, soprattutto di natura economica, per via degli investimenti richiesti, dal momento che
la tecnologia RFID non viene ancora considerata sufficientemente affidabile.
Gli analisti di diverse società di ricerca condividono la scelta delle aziende che preferiscono
prendere tempo prima di avventurarsi in un progetto RFID su larga scala, dal momento che
non sono ancora note con certezza le percentuali di errore nella lettura delle etichette e i reali
rischi di interferenze per etichette applicate a involucri in metallo o contenenti liquidi.
Il nodo della privacy
Un ostacolo di tutt’altra natura alla diffusione della tecnologia RFID è rappresentato dalle
questioni legate alla privacy. Il tema non è affrontato allo stesso modo in tutti i Paesi, e questo
per molti attori ‘globali’ dell’industria farmaceutica rappresenta un ostacolo in più. Negli Stati
Uniti, sono diverse le associazioni di consumatori e di tutela dei diritti civili che hanno avanzato
perplessità su un’adozione indiscriminata di questa tecnologia. In realtà, finora i tag sono stati
utilizzati solamente sugli imballaggi per il trasporto e non ancora sulle singole confezioni, ma la
società di analisi di mercato Forrester riconosce che il problema della privacy potrebbe
diventare un serio limite alle potenzialità dell’RFID.
Per combattere con successo la contraffazione dei farmaci, la tracciabilità dei prodotti resta in
ogni caso uno strumento indispensabile. Un valido esempio arriva proprio dall’Italia, dove già
da qualche tempo per legge ogni farmaco soggetto a prescrizione medica deve essere
etichettato con un codice a barre univoco. Tali codici vengono letti a ogni passaggio della
supply chain fino a raggiungere la farmacia o l’ospedale. Tutti i dati raccolti vengono infine
inviati a un database centrale controllato dal Ministero della Salute. Una legge come la nostra
probabilmente è destinata a incontrare molte resistenze in altri mercati nazionali, ma dal punto
di vista delle case farmaceutiche rappresenta comunque un valido esempio a supporto della
diffusione della tracciabilità con l’RFID.
Oltreoceano, d’altra parte, si sta affermando l’opinione che la strada da intraprendere sia
proprio questa, in virtù della crescente convinzione che l’opportunità rappresentata dalla
radiofrequenza sia l’ultima possibilità per risolvere il problema della contraffazione dei farmaci
prima che sia troppo tardi.
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RFID: NON SOLO ETICHETTE
Da un paio d'anni gli "smart tag" promettono di cambiare il mondo retail, e non solo
quello, ma la tecnologia RFID può davvero rivoluzionare la supply chain? Sì, ma
attenzione: perché questo accada alcuni tasselli devono andare ancora al loro posto.
di Francesco Pignatelli
I sistemi RFID si basano sul concetto di "smart tag" o "smart label", ossia etichetta intelligente.
Uno smart tag non è altro che un transponder contenente un chip accoppiato a un’antenna RF,
il tutto inglobato in uno strato di plastica, carta o resina che lo rende simile a un’etichetta
autoadesiva o a una scheda magnetica.
Dietro questa descrizione generica ci sono in realtà molti tipi di tag. I più semplici non hanno
chip e contengono solo un codice fisso di pochi bit (fino a un centinaio), sufficienti quando si
deve solo identificare univocamente un oggetto fisico. In genere, però, uno smart tag contiene
un chip con memoria (variabile intorno al Kilobyte, fissa o riscrivibile) e un minino di potenza
elaborativa. L’antenna serve a dialogare in radiofrequenza con i dispositivi di lettura: questi
"illuminano" il tag con onde radio (nella gran parte dei casi a circa 14, 500 o 800 Mhz), e
l’etichetta risponde inviando i suoi dati. L’energia per la risposta viene ricavata dal segnale di
interrogazione: più precisamente, infatti, la risposta è una riflessione (backscattering) di
quest’ultimo nella quale viene inserita l’informazione del tag. Con questo principio operano le
etichette "passive", che hanno un raggio d’azione inferiore alla decina di metri. Le tag "attive"
sono invece collegate a una batteria che fornisce l’energia per trasmettere dati su distanze più
elevate e indipendentemente dalla potenza - o anche dalla presenza - del segnale di
interrogazione. Esistono anche etichette ibride o "semipassive": hanno una batteria ma
comunicano solo se interrogate da un lettore, entro un raggio d’azione di qualche decina di
metri.
I sistemi con tag passivi sono inevitabilmente del tipo cosiddetto RTF (Reader Talk First): è il
lettore che chiede al transponder di inviare i suoi dati. Anche i tag semipassivi sono
generalmente usate in sistemi RTF, mentre i tag attivi possono dare vita ai sistemi TTF (Tag
Talk First) in cui il transponder invia costantemente, o a intervalli di tempo prefissati, le sue
informazioni.
La comunicazione tra lettore e tag non è banale, specie quando - e dovrebbe essere la
normalità - un lettore si trova nel raggio d’azione di più tag: in questo caso tutti i tag attivati
dal segnale del lettore rispondono, creando interferenza. Ogni produttore ha sviluppato un suo
sistema per evitare le collisioni di più segnali, ma in genere il principio è lo stesso: ogni tag è
individuato da una sequenza di bit e il lettore avvia una selezione ad albero su questo
identificatore. In due parole: prima sono invitate a parlare solo quei tag il cui identificatore
inizia ad esempio per 101. Se sono più di una la selezione viene raffinata allungando il codicefiltro di un bit e chiamando le etichette di "nome" 1011. Il processo a eliminazione
("singulation") continua fino a quando l’identificatore individua un solo tag.
Non è la replica del barcode
Lo schema generale interrogazione-riposta-elaborazione lascia intravedere molte applicazioni
pratiche. In quelle più propagandate RFID è una alternativa ai tradizionali codici a barre
applicati su ogni singolo articolo, ma il parallelo tra etichette intelligenti e barcode non è
sempre appropriato.
I vantaggi principali degli smart tag rispetto ai codici a barre sono tre: sono modificabili,
conservano più dati e la lettura radio è più elastica di quella ottica. Il primo punto è legato alla
struttura del tag: se è stata realizzata con memorie riscrivibili, un dispositivo di
lettura/scrittura può indicare al chip dell’etichetta cosa memorizzare nella sua RAM. La capacità
di memoria non è elevata, ma comunque superiore ai 17-128 byte di un barcode mono o
bidimensionale. Nel processo di scansione, il limite principale del codice a barre è che il lettore
deve "vedere" bene l’etichetta, altrimenti non riesce a decifrarla. Il lettore RFID deve invece
solo poter raggiungere il tag in radiofrequenza, quindi "legge" anche etichette non visibili.
Dove invece il codice a barre mantiene un vantaggio almeno per ora evidente è nei costi: il
prezzo degli smart tag sta scendendo ma resta sempre molto superiore a quello di un’etichetta
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di carta. Oggi non avrebbe senso cambiare tutti i codici a barre con gli smart tag, non fosse
altro perché sugli articoli più economici costerebbe più l’etichetta del prodotto, ma per molte
applicazioni basta che uno smart tag sia associato a un gruppo di articoli: dallo scatolone al
pallet.
La sostituzione ha invece senso quando il valore (economico o meno) del singolo prodotto
"marchiato" è molto superiore al costo del tag, quando il tag è recuperabile o quando i
vantaggi economici portati indirettamente dal sistema RFID sono tali da controbilanciare lo
"spreco" sull’etichetta.
Nell’approcciare i sistemi RFID l’elemento più importante è proprio il valore aggiunto
dell’identificazione in radiofrequenza: poter fare cose nuove e non replicare la supply chain
preesistente con costi maggiori. Il modo migliore per capire i vantaggi di RFID è guardare alle
realizzazioni: le più convincenti sono state fatte da chi muove un grandissimo numero di
prodotti e da chi ne muove meno ma ha forti esigenze di tracciabilità.
Le applicazioni possibili
Nel primo caso il vantaggio è l’automazione dei processi logistici. L’uso di smart tag elimina
operazioni manuali che sono invece inevitabili quando l’identificazione di un collo o di un
insieme di colli avviene con altri mezzi. Batterie di sensori identificano immediatamente gli
articoli con smart tag, e un unico passaggio basta per leggere molte etichette intelligenti: si
risparmia tempo e soprattutto si realizzano applicazioni nuove. Un esempio è il controllo
immediato di una bolla di spedizione: tutti i relativi articoli, muniti di smart tag, sono inseriti su
un pallet e al passaggio attraverso una barriera di sensori il sistema verifica se ciò che esce
dall’azienda corrisponde effettivamente all’ordine da evadere, senza dover controllare tutto a
mano.
Gli smart tag sono un aiuto valido quando si parla di tracciabilità dei prodotti: se ciascun
articolo viene dotato della sua etichetta intelligente e, nel suo ciclo di vita aziendale, passa
attraverso vari sensori RFID, è possibile sapere in ogni momento dove si trova. Posso ad
esempio "taggare" tutti i componenti di un motore e far passare il prodotto finito attraverso dei
sensori per individuare all’istante quali elementi lo compongono. Il tema della rintracciabilità
non è nuovo, ma RFID permette di svolgerlo con un maggiore precisione identificando il
singolo componente e non, come spesso capita, il suo lotto. Il problema qui è solo il rapporto
tra costo dei tag e opportunità commerciale della soluzione.
Questo ostacolo non si pone quando la possibilità di rintracciare in tempo reale o almeno di
identificare con certezza un "item" è un fattore critico. Le applicazioni qui spaziano dal
controllo di dove si trovano beni di valore alla verifica che un determinato articolo sia originale
e non contraffatto (non è banale clonare uno smart tag), dal voler evitare scambi di oggetti
apparentemente simili (si pensi al sangue per le trasfusioni) all’uso di RFID per seguire i
movimenti di persone in un edificio.
I problemi in evidenza
Come per ogni tecnologia di nuova diffusione, anche per RFID non tutti gli aspetti tecnici sono
completamente delineati, almeno non tanto da farne una soluzione "plug and play". In primo
luogo, per gli standard c’è ancora strada da fare e c’è sempre il rischio di incompatibilità tra gli
elementi di base (tag, antenne e sensori), se di produttori diversi. Il problema è evidente se si
punta a una diffusione dell’identificazione in radiofrequenza tra aziende diverse: o c’è un
accordo su una particolare soluzione, o qualcuno potrebbe trovarsi a non leggere il tag del suo
fornitore. Pesa poi il prezzo dei tag, anche se si sta lavorando molto in questo senso. Anche
per questo diversi retailer ritirano i tag prima della consegna del prodotto, le riprogrammano e
le utilizzano più volte.
Meglio pianificare
Una volta presa coscienza di tutti gli aspetti di una soluzione RFID e deciso di partire con un
progetto, magari pilota, il responsabile IT deve tenere conto di diversi punti tecnologici e
organizzativi.
Il primo elemento di attenzione si incontra banalmente nella modellazione del sistema: quanto
granulare (a livello di singolo articolo, di confezione, di collo, di pallet...) si vuole che sia
l’ambiente RFID? La risposta - dettata da fattori di costo, di opportunità progettuale o di
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strategia - è essenziale perché definisce anche la mole di dati che arriveranno dal campo al
sistema informativo.
Va verificato che il back-office e la rete siano in grado di sostenere l’ingresso e l’elaborazione di
tutte le informazioni legate, ad esempio, alla movimentazione delle merci. Chi gestisce un
traffico di dati logistici molto elevato, come la grande distribuzione, tende a suddividerne la
gestione tra più livelli (sistema centrale, magazzino di distribuzione, punto periferico...):
questa organizzazione non solo è consistente con la distribuzione fisica delle merci, ma è anche
tale da "delocalizzare" i picchi applicativi e di traffico. A un’architettura logica di questo tipo
deve corrispondere un’architettura informatica analoga.
Quanto strettamente, poi, si vogliono monitorare i tag? In continuazione, solo su richiesta od
ogniqualvolta si verifica una transazione che ne riguarda almeno una? Nel primo caso si ha una
valutazione in tempo reale di cosa c’è e dove, ma il carico elaborativo potrebbe essere
sproporzionato ai vantaggi se il sistema ha una granularità troppo fine. Il terzo caso è quello
più tipico: l’evento controllato è la movimentazione dell’oggetto a cui il tag è collegato.
Con il concetto di evento si entra nel tema dell’integrazione applicativa: a meno che i software
che gestiscono la supply chain non abbiano già un modulo ad hoc per interfacciarsi con il
mondo della radiofrequenza, realizzare il dialogo fra back office - magari legacy - e sistemi
RFID non è sempre semplice. Il problema impone una certa attenzione nel processo di
selezione dei fornitori hardware e software: una volta sviluppati o acquistati i middleware
necessari per un certo tipo di sensoristica RFID non si può cambiare in corsa perché si scopre
che non tutto si parla o non lo fa abbastanza velocemente.
"Velocemente" non è però un termine assoluto: se la promessa dei fautori di RFID è in un certo
senso la logistica in tempo reale, questa certamente non dipende solo dall’identificazione in
radiofrequenza. La velocità si "cabla" nel sistema anche e soprattutto a livello applicativo,
quando si decide come i software dovranno reagire a un evento-RFID. Non ha molto senso, per
fare un esempio estremo, realizzare un sistema in grado di rilevare il movimento di un singolo
pezzo da uno scaffale se poi queste informazioni vengono elaborate da un sistema batch a fine
mese.
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LOGISTICA: IL MITO DELL’ORDINE PERFETTO
Per consegnare i prodotti giusti al posto giusto nel momento giusto non basta un
software
Verso la fine del 2003, Qualcomm cominciò a notare che la richiesta dei suoi chip per telefoni
cellulari cresceva molto più del previsto, a causa di una forte impennata nella domanda dei
consumatori. Improvvisamente i costruttori di telefonini iniziarono a chiedere sempre più chip,
e questo boom colpì Qualcomm dove era più vulnerabile: nella sua supply chain. “Non
riuscivamo a dare ai clienti quello che ci chiedevano - ricorda il CIO di Qualcomm -. La
domanda era cresciuta del 37% in un anno, e noi non riuscivamo ad aumentare abbastanza la
capacità produttiva: alcune consegne erano semplicemente impossibili”.
Scorte esaurite. Un incubo per chi ha la responsabilità di catene di fornitura sempre più
complesse e geograficamente disperse. Nel caso di Qualcomm, l’azienda non solo ha perso
un’opportunità fondamentale per aumentare il fatturato, ma è anche stata costretta a
ripensare il suo modo di operare sul mercato.
Il periodo critico è durato per buona parte del 2004, ma Qualcomm ha riorganizzato la sua
supply chain in modo da non farsi più cogliere di sorpresa. L’alta direzione coordina sessioni
periodiche di pianificazione della domanda, con personale degli acquisti, del finance, dell’IT,
delle vendite e del marketing. Inoltre cerca di aumentare la flessibilità della catena lavorando
con fornitori multipli. L’azienda ha anche cominciato a condividere più informazioni con i suoi
dieci fabbricanti di chip, mediante connessioni Web e download di file. L’obiettivo, se ci sarà un
altro picco di domanda imprevisto, è di riuscire a ridistribuire meglio la produzione fra i
fornitori, ove necessario. Qualcomm fornisce 140 milioni di chip all’anno a costruttori di telefoni
cellulari come Samsung e Motorola: finora ha migliorato il suo indice di puntualità nelle
consegne da meno del 90% (durante il periodo di crisi) al 96%, un valore elevato per un
settore sempre alla ricerca di tempi di consegna più brevi.
Un cammino lungo (e non per tutti)
Secondo AMR Research, un’azienda con un’alta percentuale di “ordini perfetti” – cioè completi,
senza difettosità e arrivati alla data richiesta nel luogo richiesto – può trarne vantaggi
importanti. La società di ricerca pubblica ogni anno la classifica delle migliori supply chain del
mondo. Le aziende nella parte alta della classifica hanno meno scorte, un miglior cash flow e
maggiori profitti. Secondo AMR, un aumento del 3% degli ordini perfetti si traduce in un
aumento dell’1% dei profitti. Arrivare a questo livello di precisione, tuttavia, richiede ben altro
che inserire dati in qualche software. Per raggiungere e mantenere alte percentuali di ordini
perfetti, un’azienda può essere costretta anche a dover ristrutturare tutta la sua supply chain.
Occorrono sistemi di collegamento in tempo reale con fornitori e clienti, e quindi rapporti più
stretti con entrambi. È importante mantenere un flusso di informazioni dai clienti fino ai
fornitori, ed essere capaci di prevedere la domanda finale. Deve essere migliorata la visibilità
della domanda a lungo termine, grazie alla costante collaborazione fra responsabili della supply
chain e le aree commerciali e di marketing.
Arrivare all’ordine perfetto può essere costoso. Per ricavare il massimo dagli investimenti in
tecnologie e processi di supply chain, le aziende hanno bisogno di un approccio graduale e
mirato. Dice AMR: “Chi non individua prima i suoi punti deboli, si muove alla cieca”. In effetti
per alcuni tipi di produzione, per esempio quelli di beni commodity, la corsa all’ordine perfetto
può anche non avere senso. Per la maggior parte dei settori però (come ad esempio auto,
elettronica, distribuzione) un alto indice di qualità delle consegne può portare molti vantaggi. E
un CIO che voglia essere protagonista nelle strategie della sua azienda deve giocare un ruolo
importante nella definizione della strategia di supply chain. Il CIO sa cosa può fare l’IT, e ha gli
argomenti per sostenere le proposte di investimenti nella supply chain. Rimettere ordine in una
supply chain è al 75% processo e al 25% strumenti e tecnologie.
Alla ricerca della perfezione
I fabbricanti di semiconduttori della Silicon Valley furono fra i primi a usare l’espressione
“ordine accurato” nei primi anni Ottanta; nel decennio successivo, la pratica di misurare la
qualità delle consegne si era diffusa in altri segmenti d’industria. Secondo Hau Lee, professore
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a Stanford, molti produttori di oggi capiscono l’importanza della precisione nelle consegne, ma
i più sottovalutano i costi dell’imprecisione. Lee cita il caso di un’azienda giapponese messa in
crisi dal fatto che i camionisti, una categoria ad alto costo, erano spesso inattivi a causa di
ordini di consegna imprecisi.
Se un’azienda vuole migliorare la sua percentuale di consegne perfette, anzitutto deve
identificare le cause delle consegne imperfette. Secondo AMR, fra le principali cause di
difettosità ci sono: esaurimento delle scorte, ritardi di produzione e di logistica interna,
spedizioni in ritardo e non accurate, scarsa qualità dei prodotti finiti, danni durante il trasporto.
L’azienda che punta alla consegna perfetta potrebbe riscontrare un aumento dei costi della sua
supply chain, specialmente se sta anche cercando di aumentare la rapidità di consegna.
Un’azienda dovrebbe confrontare i costi con quelli tipici del suo settore, e poi decidere in base
all’importanza che i clienti assegnano a una consegna perfetta. Per esempio le aziende che
producono componenti per autoveicoli tipicamente hanno una finestra limitata di tempo per la
consegna: “Se non arrivi in tempo, rischi di far fermare la catena di montaggio”.
Se l’azienda decide che vale la pena puntare alla consegna perfetta, il processo comincia con la
previsione della domanda, una fase che qualcuno paragona allo scrutare la sfera di cristallo.
Per lo più, gli esperti concordano che non basta usare un buon software per avere delle buone
previsioni. Come hanno dimostrato ben noti casi come Nike assicurarsi della qualità dei dati
che entrano negli algoritmi previsionali è fondamentale per evitare errori costosi.
La ricetta di Procter & Gamble
Ci sono aziende che cambiano la supply chain per avere una miglior visibilità. Procter &
Gamble, per esempio, ha cominciato a rivedere la sua supply chain quattro anni fa per
migliorare l’efficienza, ma anche per avere una visione più chiara della domanda del
consumatore con cui integrare i dati storici tradizionali. L’idea è informare i fornitori di quello
che si vende oggi aggregando i dati dai POS. Da vent’anni P&G scambia dati POS con alcuni dei
principali clienti, come Wal-Mart, nell’ambito del suo sistema di rifornimento automatico.
Quando una cassa di Wal-Mart registra la vendita di una confezione di detersivo Tide, il dato
arriva a un centro distribuzione P&G. Superato un certo numero di vendite, scatta l’ordine di
mandare un altro carico di Tide all’opportuno centro distribuzione Wal-Mart, che lo instraderà
al punto vendita.
Oggi P&G sta lavorando per dare ai suoi fornitori un maggior accesso ai dati di produzione. In
passato, quando un prodotto veniva a mancare sugli scaffali, il dettagliante verificava la
giacenza nei suoi magazzini e al centro di distribuzione; se necessario inoltrava un ordine a
P&G, dove qualcuno controllava le giacenze per assegnare una data di consegna all’ordine
ricevuto. A sua volta, in base alle serie storiche, P&G contattava i suoi fornitori per assicurarsi
di non trovarsi in condizione di scorte esaurite.
Oggi, per un numero crescente di prodotti, P&G aggrega i dati provenienti dai POS e li passa ai
fornitori su un portale web dedicato, collegato al suo sistema SAP e a un portale clienti. “Tutta
la nostra rete lavora con gli stessi dati”, dice il vicepresident P&G della supply chain globale.
Così, i casi di merce esaurita sono scesi dal 20% di categorie con un tasso di esaurito alto
(10% o oltre) a circa il 7%.
Il problema della vecchia catena di fornitura P&G era che la ricostituzione delle scorte esaurite
poteva richiedere settimane, a volte mesi. Oggi, dice il VP, “poiché teniamo aggiornati i nostri
fornitori su base giornaliera, sanno cosa sta succedendo e sono in grado di rifornire
rapidamente”. La previsione della domanda di P&G non è perfetta, ma si sta avvicinando
all’esecuzione di ordini accurati, perché contiene informazioni su quello che sta avvenendo
sugli scaffali dei negozi su base giornaliera, e questa informazione è condivisa con i fornitori.
Lo scopo è avere flessibilità nella catena di fornitura, in modo da permettere alle fabbriche di
produrre per domani il rimpiazzo di ciò che è stato venduto la settimana scorsa. AMR ritiene
che P&G si stia avvicinando all’obiettivo di avere l’intera capacità di supply chain trainata dalla
domanda (driven-by-demand).
Da un capo all’altro della catena
Nell’agosto 2004 la direzione di Qualcomm decise che era necessario avere un miglior controllo
della domanda e dell’offerta, e per questo fuse il gruppo di pianificazione offerta con quello di
pianificazione domanda, creando un’organizzazione integrata di gestione della supply chain. In
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precedenza, ognuno di questi gruppi lavorava in relativo isolamento, ma oggi ogni regione
raccoglie le previsioni dei clienti e le analizza con il gruppo di pianificazione.
La direzione si era resa conto che, se voleva migliorare la sua capacità di risposta agli ordini,
aveva bisogno di un sistema previsionale a lungo termine che tenesse conto della capacità
produttiva dei fornitori. Per questo però era necessaria la collaborazione non solo del gruppo
supply chain, ma di tutta l’azienda. Era necessario produrre un piano della domanda più
dettagliato e più spesso aggiornato, che servisse da road map per tutta l’azienda. Prima di
tutto è stato potenziato il sistema di pianificazione delle vendite e delle operations, un
processo che richiede la collaborazione dei gruppi supply chain, finance, marketing e vendite.
Tutti i dati previsionali e di domanda vengono inseriti nel software Oracle di pianificazione della
domanda, cosa che ha ridotto gli errori e oggi permette una maggiore capacità di analisi
rispetto al metodo precedente, basato su Excel.
In Qualcomm, i responsabili della supply chain si incontrano settimanalmente con i colleghi
delle vendite e del marketing, per rivedere le previsioni e preparare l’ incontro mensile. A
quest’ultimo partecipa anche l’alta direzione aziendale. Lo scopo ultimo è ottenere una visuale
delle esigenze di produzione più a lungo termine. Con i cambiamenti in corso, Qualcomm oggi
crea un forecast a dodici mesi, ma il programma è di estenderlo a diciotto mesi nel prossimo
futuro.
In P&G, la pianificazione delle vendite e delle operazioni è ancora più importante oggi che il
settore del retail vede percentuali fino al 30% di prodotti in promozione o in svendita. Una
promozione può facilmente gonfiare la domanda ed esaurire le giacenze del punto vendita.
Questo significa che il personale commerciale e di marketing, responsabile della promozione,
deve rendere partecipi di questa informazione la logistica e gli acquisti, per mettere in atto il
miglior piano di fornitura possibile. Generalmente, in P&G i responsabili principali di ogni
categoria merceologica si incontrano almeno una volta al mese per esaminare insieme il piano
della domanda. Ma alcune unità, specialmente quelle che si occupano di settori in cui il
consumatore si aspetta frequenti novità, si incontrano più spesso.
L’importanza di comunicare
Oltre a migliorare la collaborazione interna, quindi, un’azienda che cerca di migliorare la sua
percentuale di ordini perfetti deve condividere con i fornitori le informazioni su promozioni e
domanda. Questo vale anche al di fuori del settore manifatturiero. Per esempio, West Marine,
la catena al dettaglio di forniture per barche più grande degli Stati Uniti, nel 1996 acquistò
un’azienda concorrente, la E&B Marine: ma i nuovi centri di distribuzione erano mal collegati, e
le situazioni di merce esaurita in alta stagione salirono oltre il 12%. Allo stesso tempo, le
vendite scesero quasi dell’8%. Arrivati al 1998, con un’evidente situazione di difficoltà, fu
assunto un nuovo CEO che riconobbe rapidamente il problema come causato dalla supply chain
e si mosse per risolverlo al più presto.
Secondo il responsabile pianificazione e approvvigionamenti, l’azienda è riuscita a rimettersi in
assetto grazie a un programma pluriennale che mette in collegamento punti vendita e
magazzini e comunica previsioni di domanda ai fornitori principali. In tre anni West Marine ha
integrato i suoi centri distribuzione con sistemi di rifornimento a livello di punto vendita,
collegati ai fornitori con EDI, e ha investito in una serie di sistemi per la previsione e il
rifornimento, che connettono i punti vendita ai centri distribuzione e ai fornitori. West Marine
oggi collabora con 200 fornitori, 70 dei quali ricevono in input le previsioni dell’azienda e le
integrano nel loro sistema ERP.
Informare i fornitori: sì, ma come?
Cinque anni fa, la percentuale di inoltri puntuali di ordini ai fornitori dai centri distribuzione era
caduta intorno al 30-40%. Oggi è risalita all’80%, e il VP di West Marine ritiene che il
miglioramento sia dovuto alla capacità della sua azienda di condividere rapidamente con i
fornitori le informazioni sulle vendite. Ogni notte l’azienda interpella tutti i 390 punti vendita
ottenendo la situazione delle vendite, aggiorna le giacenze e, con quei dati, costruisce
proiezioni di vendita e di ordinativi.
West Marine invia le previsioni aggregate ai suoi fornitori con e-mail automatiche. Ogni lunedì
invia rapporti sulle giacenze a 200 fornitori. Poi, lavorando su un anno di dati, produce un
forecast annuale, esegue il calcolo degli ordini per i centri distribuzione e invia le previsioni di
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acquisto ai fornitori. Su base trimestrale, la direzione dell’azienda misura l’accuratezza di
risposta dei fornitori. L’aggregazione dei dati fatta da West Marine aiuta i fornitori a capire la
domanda, segmentata per regioni e per stagioni, e di conseguenza ha fatto crescere gli
indicatori di consegne puntuali.
Anche Qualcomm sta lavorando per migliorare il modo con cui condivide le informazioni lungo
la catena di fornitura. Al momento usa collegamenti Internet e lo scambio di file, ma durante il
prossimo anno prevede di costruire un ‘hub internet’ a cui connettere il suo parco crescente di
fornitori, ma non ha ancora deciso se adottare un modello di tipo EDI, oppure costruire un
sistema custom, o usare qualche combinazione delle due possibilità. Ribadisce il VP P&G per la
supply chain: “Man mano che la qualità delle consegne aumenta, si ‘spremono’ fuori dal
sistema i costi delle scorte in eccesso e quelli delle consegne sbagliate: l’aumento degli ordini
perfetti riduce i costi, se lo si fa bene”.
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GLOSSARIO
EDI
Electronic Data interchange, sistemi che consentono lo scambio di documenti e
l'esecuzione di transazioni in formato elettronico, usando diversi standard, spesso verticali
su industria. Storicamente sono impiegati da grandi aziende che ne richiedono poi l'utilizzo
ai rispettivi partner di business.
RFID
Radio Frequency IDentification, tecnologia che usa trasmettitori radio a bassa potenza per
leggere dati memorizzati in una 'etichetta' (chiamata tag) a distanze variabili. I tag RFID
vengono usati per tracciare risorse, gestire inventari e autorizzare pagamenti
POS
Point of Sale. Con questo termine in genere ci si riferisce al punto di pagamento di un
negozio, dove vengono anche registrati i dati della transazioni. Tali sistemi sono spesso
composti da registratori di cassa e periferiche relative (stampante, scanner, schermi
sensibili al tatto, chioschi e palmari). I dati vengono poi inviati al sistema gestionale che
alimenta il database delle informazioni utili ai processi di supply chain.
SRM
Supply chain Relationship Management, declinazione del CRM (Customer Relationship
Management) che concerne lo scambio di informazioni fra un’azienda e i suoi fornitori.
Ricade quasi sempre nell’ambito del Supply Chain Management.
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Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito
http://www.sanpaoloimprese.com/
Documento pubblicato su licenza Nuov@ Periodici Italia
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