Il pensiero di Antonio Rosmini sulla famiglia Mons. Clemente Riva

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Il pensiero di Antonio Rosmini sulla famiglia
Mons. Clemente Riva: la famiglia oggi1
La famiglia è nell’occhio del ciclone della crisi di valori nel nostro tempo. Si sono fatti e si faranno ancora convegni sulle cause, sulla situazione e su possibili rimedi ai mali della famiglia di oggi. Generalmente in questi incontri di studio si dedica il massimo del tempo e dell’impegno alla sociologia e alla
psicologia della famiglia, preoccupati delle conseguenze esteriori ed eclatanti che l’opinione pubblica e i
mass-media pongono in risalto. E ci si accorge che gli strumenti sociali e perfino legislativi sono insufficienti di fronte alla vorticosa e rapida trasformazione sociale, e alla rivoluzione culturale del mondo contemporaneo, che arriva al limite della negazione dell’istituto familiare attribuendogli la responsabilità di
tanti altri mali sociali.
Se dedicassimo invece un po’ più di tempo alla riflessione sull’uomo, sulla natura della socialità intrinseca alla natura umana; se dedicassimo un po’ più di tempo alla riflessione sulla natura della società
coniugale e della famiglia; ossia, se avessimo meno pudore o meno timore di affrontare una filosofia
dell’uomo e della famiglia, arrivando anche al coraggio di una teologia dell’uomo e della famiglia, forse
porremmo dei pilastri solidi su caci poi costruire un’ascetica e un’eventuale politica della famiglia.
Un’autentica filosofia e teologia della famiglia probabilmente ci farebbero consapevoli che le trasformazioni e le rivoluzioni culturali intorno alla natura e all’esistenza della realtà familiare, non sarebbero
altro che un cambiamento di modelli sociologici di famiglia, e non un radicale mutamento dei valori, che
latenti o manifesti, continuano o continueranno a vivere nonostante i tempi nuovi e la diversità delle culture.
Queste considerazioni ci aiutano a comprendere meglio il volume che vogliamo presentare al lettore e
che tratta del pensiero rosminiano sulla famiglia. Antonio Autiero con il suo libro, ha avuto il coraggio
di studiare a fondo le opere rosminiane e di presentare un pensiero filosofico e teologico che. pur essendo stato elaborato nel secolo scorso, dimostra di reggere i tempi lunghi; anzi il suo influsso, quasi nullo
nella fine Ottocento e primo Novecento, sta emergendo con forza sempre più convincente nel tempo
presente.
Il libro che presentiamo è un saggio sistematico e organico della dottrina rosminiana. In ciò si ispira
anche metodologicamente all’Autore studiato, il cui pensiero ha la caratteristica della globalità e «circolarità logica» o. come più volte dagli studiosi è stato sottolineato, dall’«uni-totalità», propria dei grandi
pensatori. Anche in tema di sistematicità il nostro tempo manifesta delle implicite esigenze di organicità,
di fronte al frammentarismo e allo spappolamento dispersivo della vita, della convivenza e del pensiero
umano attuale.
Il problema nodale da cui l’Autiero parte è la realtà e la dignità della persona nella sua struttura ontologica, nella sua dimensione morale, nel suo bisogno di comunione e nella sua fondazione sociale radicale, da cui derivano vari tipi di società umane. Dopo la società religiosa che esprime i rapporti del Creatore con le creature intelligenti, vi è per Rosmini la società coniugale. Nel libro dell’Autiero, la società coniugale viene studiata dapprima in relazione alla società teocratica, poi nel rapporto personale in cui il
matrimonio è considerato come vertice della comunione umana. Vi è ancora uno «specifico» dell’unione
coniugale come unione di persone di sesso diverso con parità e dignità tra i due coniugi.
Capitoli di grande interesse e di splendida attualità sono quelli dedicati all’amore coniugale e ai fini1.
Prefazione al libro di ANTONIO AUTIERO, Amore e coniugalità, Marietti 1980.
1
beni del matrimonio.
L’amore coniugale presenta tre livelli: le affezioni sensibili, l’affetto sensuale e l'affezione sessuale.
L’amore coniugale li abbraccia tutti e tre e li eleva nell’amore «veramente umano», che è un amore personale, spirituale, morale, totale, responsabile. Tale amore coniugale diventa perfetto nel cristiano, poiché in esso si sublima nell’amore-carità.
Di fronte a questa ampiezza di visione umana e cristiana dell’amore coniugale, mi verrebbe da qualificare meschina e riduttiva la ideologia di chi ritiene la famiglia e il «primato dell'amore» nella famiglia
un «mito» da distruggere. Evidentemente si tratta di una concezione dell'amore limitata al livello sensitivo, animale, materialistico, consumistico, in cui l’«altro» è un oggetto di consumo.
Interessanti sono anche le distinzioni tra amore coniugale e sessualità, e tra sessualità ed esercizio della genitalità: distinzioni importanti, dense di significato e pregnanti di conseguenze. In tutto è sempre
presente l’individuo come persona; lo stesso scambio di corpi è un incontro di persone non di cose, e
quindi caratterizzato da un rapporto etico e di «verità». Due vite umane che si incontrano nel dono reciproco di vita, di bene fisico e di bene spirituale. Vengono alla mente i discorsi di Giovanni Paolo II nelle
Udienze del mercoledì a commento dei primi versetti della Genesi.
Il problema dei fini del matrimonio ha avuto ed ha tuttora una forte discussione con interventi
dell’Autorità Ecclesiastica. Lo stesso Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, dopo aver riconosciuto
onore e dignità all’amore coniugale, che è stato anche santificato da Cristo con un Sacramento, afferma
che «il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione
della prole» (n. 50). E non entra nel dibattito sulla gerarchia dei fini, insistendo piuttosto sui contenuti
spirituali e umani dell’amore coniugale.
Rosmini, nel suo approfondimento, chiama il fine un bene. Ora, questi fini-beni del matrimonio sono
molteplici. Il matrimonio è desiderato per il bene che è «la stessa società coniugale», per il bene che è
nell’effetto di tale società, ossia la prole, per il bene della gioia e della felicità che l’incontro coniugale
porta con sé.
La pienezza dell’unione tra i coniugi porta, inoltre, come conseguenza: l’indissolubilità del matrimonio, l’unicità del coniuge, la comunanza di vita, la comunanza di beni.
Nel pensiero rosminiano, l’antropologia filosofica viene arricchita dalla «antropologia soprannaturale», perché il Verbo di Dio, «che già illumina ogni uomo che viene in questo mondo», discende dal cielo
e si incarna, comunicandosi poi nell’anima umana come Grazia vitale. Il matrimonio, dall’esser dono di
Dio creatore e realtà sacra per natura, diviene sacramento. Il matrimonio cristiano si fa allora segno
dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa.
Le conseguenze reali di questo fatto soprannaturale sono molteplici. Rosmini spiega come i coniugi,
per il fatto d’esser cristiani, partecipano del sacerdozio comune conferito ad ogni fedele col carattere battesimale e, nell’esercizio delle funzioni coniugali e familiari, esercitano il «sacerdozio domestico». Questa
affermazione richiama alla nostra mente tutto il tema del ministero coniugale e il tema della famiglia
come chiesa domestica, di grande attualità oggi.
È evidente come emerga, da queste dottrine rosminiane, l’importanza di una spiritualità coniugale
che, per Rosmini, è caratterizzata dall’essere incarnata, ossia non dualistica, cioè senza separazione di
valori umani e di valori soprannaturali; dall’essere realistica, ossia di mantenimento di un costante regime di fedeltà al quotidiano; dall’essere dinamica, ossia in continua perfettibilità nella crescita ed arricchimento; dall’essere ecclesiale, ossia ad immagine del rapporto Cristo-Chiesa, per cui i coniugi vivono
una realtà cristiana e una liturgia, perché la famiglia è quasi una «piccola chiesa»; infine dall’essere cristologica, ossia Cristo deve essere il fondamento e l’amico della nuova casa.
La sacramentalità del matrimonio conferisce alla sua indissolubilità una fermezza e un'inviolabilità
ulteriore, se fosse possibile, poiché oltre il vincolo naturale vi si aggiunge la forza della Grazia divina,
con cui la fragilità umana viene sostenuta e potenziata. Il peccato introduce un disordine nell’uomo, una
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cecità spirituale e una debolezza morale che incide anche nella volontà, rendendola talvolta incapace di
fedeltà ai dettami della Legge divina e naturale. La Grazia divina, viceversa, purifica la coscienza, illumina la mente, fortifica la volontà e dona all’uomo una vitalità nuova.
Vengono affrontate anche le questioni teologiche e giuridiche circa la materia e il ministro del sacramento e il rapporto tra contratto e sacramento, nonché la questione dei vari impedimenti che rendono
nullo il matrimonio.
Altra questione oggi scottante per i riflessi politici e giuridici civili è quella dei rapporti tra il matrimonio
dei cristiani e lo Stato, con gli effetti civili del matrimonio religioso e che Rosmini aveva affrontato in occasione della legge piemontese circa il matrimonio.
L’ultimo capitolo del volume è dedicato ad una lettura critica del pensiero rosminiano. E, una prima
osservazione di rilievo che viene fatta è quella di un radicamento della dottrina rosminiana nella storia,
sia come rapporto con la verità rivelata dell’Antico e del Nuovo Testamento, sia come rapporto con
l’autentica tradizione ecclesiastica, sia come sensibilità ai segni dei tempi, che offrono un cammino di
rinnovamento e di aggiornamento dei principi e dei valori immutabili.
In conclusione, i punti emergenti del pensiero rosminiano circa il matrimonio che vengono segnalati
dal nostro attento Autore sono i seguenti:
a) il carattere personalistico che segna la natura del matrimonio;
b) la dottrina dei fini-beni del matrimonio;
c) la stima e la valutazione positiva della sessualità;
d) l’affermazione forte della sacramentalità del matrimonio;
e) il tema del «sacerdozio domestico»;
Í) la famiglia come «piccola chiesa»;
g) la connessione strettissima tra antropologia e teologia del matrimonio.
Volendo terminare questa presentazione con la risposta ad un interrogativo abbastanza diffuso, riguardante il perché Rosmini non abbia avuto molta influenza sulla teologia italiana degli ultimi cento
anni, la quale rimase in tal modo una «teologia anemica», utilizzerei le parole dei PP. Alszeghy-Flick, s.
j.: «Nelle condanne contro il Rosmini si procedette con troppa precipitazione … e che l’aver voluto soffocare il pensiero filosofico e teologico del grande roveretano, ha avuto influsso negativo per lo sviluppo
della ricerca originale teologica e filosofica in Italia» (p. 335).
Viceversa, il Concilio Vaticano II ha rivelato che gli «ultimi» tre grandi teologi cattolici, e cioè Rosmini, Möhler, Newman, che nel passato ebbero difficoltà in un certo mondo ecclesiastico, oggi sono considerati degli anticipatori fedeli alla vera tradizione, profeti ubbidienti alla Chiesa e ricercatori sensibili ai
segni dei tempi.
† CLEMENTE RIVA
Vescovo Ausiliare di Roma
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ANTONIO AUTIERO, Amore e coniugalità
cap. V: Fini e caratteristiche del matrimonio
Procedendo con coerente logica interna, dall’analisi della natura del matrimonio come piena unione
tra uomo e donna, Rosmini deduce la dottrina dei fini e delle caratteristiche della società coniugale che
in questo capitolo andiamo a presentare.
Soprattutto per la dottrina dei fini del matrimonio è inevitabile il rimando a quelle pagine nelle quali
veniva analizzato il concetto e la fisionomia di una società che si qualifica a partire dal fine-bene che essa
si propone2.
A. I fini del matrimonio
Tra i fattori determinanti perché si abbia una società, Rosmini annovera quello dell’oggetto come valore-meta che il soggetto si propone e verso cui liberamente e coscientemente si orienta3’. Questo diventa
il fine-bene da raggiungere.
Nel caso specifico della società coniugale l’oggetto è la più piena unione possibile a realizzarsi tra due
persone di sesso diverso. Ne deriva che «ella appunto, questa unione che esclusivamente ha luogo fra
persone umane di sesso diverso, è quella che forma l’oggetto dell’amore e il fine della società che ne consegue»4.
Si osservi che in questo contesto Rosmini parla di «fine» e non di «fini». Più avanti, però, il suo pensiero si allarga e si presenta in maniera più completa. Egli dice: «Il matrimonio è appetito dagli individui
umani per due beni:
1 - pel bene della stessa società coniugale, perocché essa è un bene;
2 - pel bene che giace nell’effetto naturale della coniugale società, la figliolanza»5.
Qui, troviamo il termine «bene» al posto di «fine», ma ciò non comporta sostanziale differenza, poiché in seguito Rosmini stesso dice che «questi due sono fini legittimi del matrimonio»6.
Accanto a questi due fini, Rosmini ne segnala un altro che chiama «fine prossimo della società coniugale», cioè la «scambievole soddisfazione». «La ragione di ciò si è, che dicendosi unione piena, si dice
unione felice … onde i membri che la compongono (= la società coniugale) presero, entrando in essa,
l’obbligazione di adoperare ciascuno tutti i mezzi onesti possibili a rendere la società loro prospera e felice»7.
A parte, allora, questo fine prossimo, restano i due fini-beni sopra indicati che Rosmini presenta gerarchizzati fra loro nel senso che il primo cioè l’unione, è lo stesso matrimonio, il secondo, cioè la prole, è
un effetto di esso8. Ciò risulta chiaro dall’affermazione che «il vero e primitivo fine del matrimonio altro
non è che il bene che trova l’uomo nella stessa unione stabile, piena, perfetta col suo simile d’altro ses-
2.
Cfr. cap. II, paragrafi IV e V.
3.
Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del Diritto, vol. III, n. 34.
4.
Ib., vol. IV, n. 995.
5.
Ib., vol., IV, n. 1378.
6.
Ib., vol. IV, n. 1379.
7.
Ib., vol. IV, n. 1392. Rosmini utilizza questo ragionamento come titolo di superiorità del marito sulla moglie. Cfr. sopra,
cap. II, par. V.
8.
Cfr. Ib., vol. IV, n. 1391.
4
so»9. La generazione, perciò, non è il fine intrinseco al matrimonio, ma un effetto o fine estrinseco10. Il
primato, dunque, spetta all’amore coniugale.
La fondazione di questo primato, poi, Rosmini la pone nel fatto che la unione piena è lo stesso matrimonio e che nella istituzione primitiva di esso, fatta dal creatore, seppure non mancasse il bene della
prole, tuttavia il bene dell’unione «fu posto a base e fondamento dell’altro colle solenni parole che pronunciò Iddio stesso: “Non è bene che l’uomo sia solo: facciamogli un aiuto simile a sé” (Gen 11)»11.
Argomentando proprio su questo passo biblico, Rosmini vede il bene della prole incluso nel complesso di tanti altri beni che la donna offre all’uomo, sicché diventi un «aiuto a lui corrispondente», fino a
concludere, allora, che «esso (= la prole) non fu proposto come un fine distinto ed immediato»12.
Quello poi, che avrebbe dovuto essere un fine-bene unico e inglobante in sé tutti i singoli beni, si frantumò, per effetto del peccato, determinando lungo l’arco della storia dell’umanità la prevalenza ora
dell’uno ora dell’altro fine, cosicché la perdita della «squisitezza del sentimento, l’intensità e l’ampiezza
dell’affetto … (fece sì che) … questo primo, immediato, naturale fine del matrimonio cedesse al secondo,
al possesso dei figliuoli»13.
Conseguenza, secondo Rosmini, di questa frantumazione del fine unico in diversi fini e la prevalenza
del secondo sul primo è la svalutazione della società coniugale che scade così al rango di un mezzo di
procreazione, al punto tale che «si credette ben presto, che la dignità umana nell’uso de’ sessi fosse al
tutto salva quand’ella si ordinava alla generazione colla quale fondare una casa, una stirpe»14.
Il porre come fine essenziale, interno al matrimonio la procreazione è cosa immorale non solo perché
svaluta la dignità della società coniugale, ma anche perché riduce i membri di questa, che come persone
devono sempre essere trattati come «fini», al rango di «mezzi». Infatti, «la persona fa ingiuria in tal caso
alla persona con cui si accoppia, perocché l’adopera siccome puro mezzo a’ suoi fini, sia ch’egli cerchi in
tale congiungimento il solo piacere sessuale, sia ancora che vi cerchi dei figliuoli. Tutto questo è contro la
natura del congiungimento, che, come vedemmo, è un congiungimento vitale, e operato dall’anima, la
quale nell’uomo non è soltanto sensitiva, ma ad un tempo sensitiva ed intellettiva. Non può l’anima essere adoperata qual mero istrumento e mezzo ad un uomo, senza che sia avvilita la sua dignità e fattale
ingiuria gravissima. Indi l’obbrobrio, di cui il buon senso di tutti i tempi e di tutti i luoghi copre la meretrice. Non può dunque l’individuo d’un sesso usare coll’individuo d’un altro, se non a condizione
d’amarlo come fine, che è quanto dire, come un se stesso, e quindi d’aver con esso lui quell’unione piena, a cui dagli idiomi di tutti i popoli venne riserbato un proprio nome, ricco di decoro, quello di matrimonio»15.
Altro motivo per cui Rosmini non attribuisce alla prole il ruolo di fine primario è che il fine della procreazione da sé solo non esclude né la poligamia né la poliandria, mentre invece «il primo e compiuto
fine del matrimonio lo sommette a quelle nobili leggi, che escludono da esso tutti quei difetti, e gli aggiungono la sua naturale perfezione»16.
9.
Ib., vol. IV, n. 1380. Cfr. a tale proposito quanto viene detto circa l’unione di amore come fine del matrimonio in L. P RENNA ,
Antropologia della coniugalità. Corpo e sentimento, Città Nuova Editrice, Roma 1980, pp. 78-80.
10.
La generazione «non esprime se non l’effetto e tutt’al più un ufficio del matrimonio», Ib., vol. IV, n. 1404. «I figliuoli adunque esistono qual conseguenza della piena unione attuale de’ genitori di cui sono una cotale accessione e distendimento»,
Ib., vol. IV, n. 1444.
11.
Ib.
12.
Ib.
13.
Ib., vol. IV, n. 1381.
14.
Ib., vol. IV, n. 1382. Evidentemente, la portata di questa affermazione va letta nel quadro della stima che Rosmini aveva
della sessualità come comunicazione di amore. Cfr. sopra, cap. III, par. IV.
15.
Ib., vol. IV, n. 1084.
16.
Ib., vol. IV, n. 1383. In nota, Rosmini dichiara: «Questo vilissimo fine dell’uso de’ sensi, quand’è solo, distrugge il matrimonio; perocché scioglie l’unione dell’uomo e della donna da tutte quelle sante leggi, che le meritarono il nome dignitoso
5
In definitiva, secondo il Roveretano, il problema del fine del matrimonio è da inquadrare nel contesto
della natura di esso, sicché meglio appaia che «la parte principale delle conseguenze di tale unione (è costituita) dai fini morali e spirituali, che gli uomini devono per la loro morale e intelligente natura proporsi, quando si uniscono in matrimonio; poiché questi fini sono la loro reciproca perfezione morale, e
non tanto il generare i figliuoli, quanto il santamente allevarli, e la soddisfacente convivenza di tutta la
famiglia, la quale soddisfacente convivenza da altro non si ottiene principalmente che dall’amore sia degli sposi tra loro, sia tra essi e i figliuoli, medesimi; onde infine tutti si riducono i fini del matrimonio
all’amore morale, e ai frutti di questo amore»17.
B. Le caratteristiche del matrimonio
Punto di partenza per decifrare le caratteristiche del matrimonio è ancora la natura profonda di esso.
«La pienezza dell’unione fra coniugi induce quattro conseguenze:
1. indissolubilità del matrimonio;
2. unicità del coniuge;
3. comunanza di vita;
4. comunanza di beni»18.
I. Indissolubilità del matrimonio
1. L’indissolubilità come valore e ideale
L’indissolubilità è il risvolto in termini negativi della caratteristica di stabilità e di permanenza del
vincolo coniugale che Rosmini vede essenziale e naturale nel matrimonio.
Essa si fonda «1. nel Diritto di natura; 2. nel Diritto divino primitivo; 3. nel Diritto evangelico uscente
dalla dignità sacramentale del matrimonio cristiano»19.
Per diritto di natura egli intende la natura stessa del matrimonio che, consistendo nella piena unione
dell’uomo e la donna, non potrebbe realizzarsi in verità e pienezza se non in un contesto di perennità e
di definitività.
Questa intenzionalità profonda20, radicata nella natura del matrimonio, venne poi confermata e promulgata dalle parole con cui il primo uomo, ispirato da Dio, espresse la natura del matrimonio: «Or questo è osso delle
In merito alla nota 2
Filosofia del diritto: Diritto Sociale, libro I, capitolo I, n. 34-35, 38; capitolo II, n. 49.
34. - Ma se il concetto di convenzione non involge quello di società, onde ripeteremo finalmente quest’ultimo?
Da quel vincolo che abbiam chiamato, col suo proprio nome, sociale (9/2).
Questo vincolo è formato da più persone cospiranti in un fine, e aventi la consapevolezza e volontà di cospirare
di matrimonio. Per altro questo nome stesso dato al coniugio rammenta il secondo fine, e non il primo, essendo dedotto
dal concetto di madre», cit.: nota 1.
17.
ID., Del Matrimonio, Ed. critica, p. 242. Il proporre in questa luce la teoria dei fini del matrimonio non evitò a Rosmini aspre
polemiche, soprattutto da parte del gesuita A. Perego. Ma i termini e i contenuti di questa controversia li rimandiamo alla
parte dove affronteremo la valutazione critica del pensiero rosminiano.
18.
ID., Filosofia del Diritto, vol. IV, n. 1239. Rosmini parla di «conseguenze» e non di caratteristiche. La diversità terminologica
non pare connotare sostanziale differenza.
19.
Ib., vol. IV, n. 1240.
20.
Questa terminologia non è rosminiana, ma può ritenersi equivalente a ciò che Rosmini chiama «Diritto di natura» o «legge
naturale». Cfr. ib., vol. IV, nn. 1240-1241.
6
congiuntamente nel detto fine. Le persone colle volontà così disposte sono associate insieme.
35. - Pongasi mente alla ragione, perché noi non ci contentiamo di dire che «il vincolo sociale è formato da più
persone cospiranti in un fine»; ma aggiungiamo, “e aventi consapevolezza e volontà di cospirare congiuntamente
nel detto fine”.
38. - Riassumendo, distingueremo quattro fattori della società:
1.° Una cospirazione di più volontà in uno stesso oggetto:
2.° Una cognizione di questa cospirazione;
3.° Una volontà di questa cospirazione;
4.° Una cospirazione di volontà conferenti qualche cosa in comunione.
49. - L’atto adunque che forma la società è un complesso di atti contemporanei e consenzienti della volontà di
più persone, le quali pongono in comunione qualche cosa: questo complesso d’atti, la pluralità delle persone, la cosa che esse pongono in comune; ecco i soli elementi, le condizioni essenziali della società. Non ottiene adunque
giustamente questo nome, per riassumerci, né la coesistenza, né la convivenza, né l’unione di più uomini nello stato di natura, fra’ quali cada il rapporto di doveri e di diritti individuali, stipulino pur anche de’ contratti; né
un’aggregazione che abbia a scopo il solo bene d’un individuo, come quella di dominio e di sudditanza; né lo stato
di semplice contemplazione, o di amore, quando si trovi in una sola persona. La natura di tutte queste relazioni è
grandemente diversa dalla natura della società.
Filosofia della politica: La Società e il suo fine
Capitolo I
De’ vincoli dell’uomo colle cose e colle persone
(pag. 129) L’uomo ha de’ rapporti colle cose e colle persone. I rapporti appartengono all’ordine ideale.
Ma oltre a’ rapporti, l’uomo stringe altresí tanto colle cose che lo circondano, quanto colle persone, de’ vincoli effettivi, i quali appartengono all’ordine delle realità.
I rapporti necessari, immutabili, costituiscono altrettante leggi (4), che debbono essere dall’uomo rispettate.
I vincoli non sono che de’ fatti, i quali o si trovano conformi alle leggi, od alle leggi difformi; ovvero sono arbitrari, cioè né positivamente voluti, né positivamente proibiti dalle leggi.
…
Le cose hanno verso l’uomo il rapporto di mezzo, e le persone hanno verso l’uomo il rapporto di fine.
L’uomo avvincola ed unisce a sé tutte le cose che sono fuori di sé e che gli possono servire a qualche uso, le fa
sue, fa su di esse i suoi assegnamenti: così egli stabilisce un vincolo di proprietà. L’uomo avvincola ed unisce a sé anche le persone, e se stesso ad esse; ma questa congiunzione propria delle persone, è interamente diversa da quella
dell’uomo colle cose: l’uomo non considera le persone come quelle che gli possono prestar del vantaggio; nel qual
caso non le distinguerebbe dalle cose; ma come quelle in compagnia delle quali egli può godere de’ vantaggi che
gli prestano le cose: le persone così unite fra loro vengono ad avere una comunione di beni: tutte insieme sono un
fine solo; le cose non sono che de’ mezzi a quel fine che tutte le persone hanno in comune: questo è un vincolo di società.
Il vincolo di proprietà ha per base l’utilità della persona che si lega colle cose.
Il vincolo di società ha per base la benevolenza scambievole delle persone che si legano insieme.
7
FILOSOFIA DEL DIRITTO
Diritto Razionale privato, Parte seconda – Diritto sociale, Libro II: Diritto Sociale Speciale, Parte Prima: Diritto della Società Teocratica; Sezione Terza: Diritto comunale della
Società Teocratica Perfetta; Cap. III: Diritti propri dei soci aggregati
Art. I: Sacerdozio dei fedeli, principio dei loro diritti
890. Allorquando un uomo s’aggrega alla Chiesa (nel battesimo), accadono due cose: 1° una consacrazione dell’uomo al culto divino che, se l’uomo non mette ostacoli, trae a sé la sua santificazione; 2° un
contratto fra Dio e la Chiesa da una parte, e l’uomo che si aggrega dall’altra (741-742). La consacrazione
dell’uomo al culto divino nel battesimo è una operazione interna, che Iddio fa nello spirito, colla quale
egli riveste l’uomo di un carattere e dignità sacerdotale, che poi si accresce nella confermazione, e si
compie nell’Ordine sacro.
891. Il carattere sacerdotale di ogni fedele21 involge:
1° Un’elevazione dell’uomo all’ordine soprannaturale;
2° Il possesso, che il Signore prende dell’uomo come di un servo destinato in perpetuo a prestargli un
culto soprannaturale;
3° La facoltà di eseguire certi atti di culto soprannaturale, e di ricevere ed esercitare certi uffici nella
Chiesa.
892. Questa facoltà di eseguire certi atti di culto soprannaturale e di ricevere ed esercitare certi uffici
nella Chiesa, è il DIRITTO ESSENZIALE di ogni fedele; è DIRITTO CONNATURALE, perché dato a lui nell’atto
della sua generazione soprannaturale, cioè nel battesimo; il DIRITTO PRIMO nel suo genere; perciò il principio di tutti i diritti, che hanno o possono avere i fedeli cristiani.
893. Questo carattere sacerdotale viene solo da Dio, non dall’arbitrio dell’uomo: perciò le facoltà annesse a questo carattere non si possono mai perdere dall’uomo, benché ne possa essere impedito
21.
1Pt 2,9. Di questo primo grado di sacerdozio, di cui son rivestiti tutti i fedeli, parlano i più antichi Padri della Chiesa.
SANT’IRENEO († 201) Contra haereses, IV, 20. - TERTULLIANO († 215) De Orat., c. XXVIII. - ORIGENE († 234) Omelia IX, sul Levitico, n. 8. - La Chiesa greca separata ha mantenuto la stessa dottrina circa il sacerdozio privato, di cui partecipa ogni fedele, e
che si chiama anche spirituale o mistico per distinguerlo dal sacerdozio sacramentale proprio dei soli preti, come mi può vedere dalla Confessione ortodossa di PIETRO MOGILAS vescovo di Kiew (OrjodoxoV Ômologia thV kajolikhV kai apostolikhV eklhsiaV thV anatolikhV fatta imprimere la prima volta dal Dragomanno Panagiota colla prefazione del patriarca
Nettario, e colla traduzione latina in Amsterdam 1662) approvata da quattro patriarchi ed altri vescovi, nella quale si legge: Sacerdotium duum est generum Alterum SPIRITUALE, alterum SACRAMENTALE. Communione sucerdotii spiritualis ortodoxi omnes
christiani fruuntur. - Atque pro ut sacerdotium hocce est, ita eiusdem modi etiam fiunt oblationes: nimirum preces, gratiarum
actiones, exstirpationes pravarum corporis cupiditatutm adfectionumque; voluntaria martyrii propter Christum perpessio; ceteraque
hujusmodi. P. I, q. 708. (Wratisl. 1751 in 8).
8
l’esercizio22.
894. In virtù poi di questo carattere ogni fedele partecipa in un certo modo a ciascuno dei sette poteri
della Chiesa universale: quindi egli ha dei diritti connaturali (speciali), relativamente a ciascuno di essi;
ma ne partecipa in modo assai minore che non facciano quelle speciali persone, che sono rivestite del sacerdozio esterno quale si conferisce solamente nell’Ordine sacro, che è un carattere e dignità sacerdotale
più augusta, che non si deve mai confondere col sacerdozio interno e di primo grado, comune ai semplici fedeli23. Questo si potrebbe anche chiamare sacerdozio privato e individuale; come quello che viene conferito coll’imposizione delle mani si potrebbe denominare sacerdozio pubblico e sociale: il primo si riferisce
alla società dell’uomo con Dio; il secondo alla società che gli uomini con Dio associati hanno fra loro.
895. Dallo stesso fonte nascono remotamente i diritti acquisiti dei fedeli, e della loro comunità.
Vediamo dunque come il sacerdozio individuale e privato dia al cristiano qualche partecipazione ai
sette poteri sacerdotali conferiti da Cristo alla sua Chiesa, e come egli lo metta in grado di procurarsi altri diritti.
Art. II: Come il semplice fedele partecipi dei sette poteri lasciati da Cristo alla sua Chiesa
…
§ 5. Come partecipi del potere ierogenetico [sacramento del matrimonio].
900. In virtù del carattere dei battezzati avviene anche che il contratto matrimoniale, fornito delle formalità stabilite dalla Chiesa24, rappresenti l’unione di Cristo e della Chiesa e a questa rappresentazione
risponda il conferimento della grazia; avviene, in una parola, che il contratto matrimoniale dei cristiani
sia in pari tempo un sacramento.
22.
Quindi è, che ai sacerdoti e prelati della Chiesa, non vien meno la loro autorità, né l’efficacia del loro ministero, neppure
perdendo la grazia divina con la loro cattiva condotta; perché non perdono mai il carattere, nel quale risiede la podestà ecclesiastica. Perciò il Bellarmino scrisse così: Dico igitur, episeopum malum, presbyterum malum, doctorem malum, esse membra
rnortua et proinde nona vera corporis Christi, quantum attinet ad rationem membri ut est pars quaedam vivi corporis (in quanto cioè
ha rotto il contratto sociale, e perduto il bene sociale); tamen esse verissima membra in ratione instrumenti (in quanto che
l’operazione con cui Iddio unì a sé l’uomo come strumento, onde nasce la podestà del carattere, non viene mai meno), id
est papam, et episcopos esse vera capita, doctores veros, veros oculos, seu veram linguarn huius corporis. Et ratio est, quia membra
constituuntur viva (cioè partecipanti della vita di Cristo, che è il bene sociale) per caritatem qua impii carent: at istrurnenta operativa constituuntur per POTESTATEM sive ordinis sive iurisdictionis (che si fonda infine nell’ordine stesso) quae etiam sine gratia
esse potest. De Ecclesia militante, L. III, c. IX.
23.
Il catechismo del Concilio dà appunto il nome di interno e di esterno a queste due specie di sacerdozi. P. II, c. VII: XLIVXLVII. - Gli eretici del secolo XVI hanno confuso insieme queste due forme di sacerdozio, contro il quale errore vedi il
Concilio di Trento, sess. XXIII, c. III.
24.
La Chiesa collo stabilire alcune formalità necessarie alla validità del sacramento del matrimonio, a ragion d’esempio la
presenza del parroco e di due testimoni, che rendono pubblico il contratto matrimoniale, non fa che determinare e stabilire
la materia di questo sacramento. Mentre in altri sacramenti la materia fu precisamente determinata da Dio, nel matrimonio
Gesù Cristo non determinò la materia, se non in parte, cioè stabilendo che debba essere un contratto monogamo dei battezzati; e del resto lasciò libertà alla Chiesa il fissare quelle formalità, che. potessero rendere nei vari tempi un tale contratto
legittimo e degno di rappresentare l’unione di Cristo e della Chiesa, e quindi materia idonea a tanto sacramento.
9
907. Di che consegue, che i cristiani, in forza del carattere sacerdotale di cui sono insigniti (secondo
l’opinione più comune, e ch’io credo certa), siano ministri di questo sacramento. Così mentre, rispetto
agli altri sacramenti, il carattere impresso dà loro solamente la facoltà passiva di riceverli; rispetto al sacramento del matrimonio dà loro anche la facoltà attiva di amministrarlo, e di formarlo25.
(Filosofia del Diritto, vol. II, n.890-919)
25.
Che «ogni qual volta i cristiani stringono un contratto matrimoniale legittimo (cioè rivestito delle formalità volute dalla
Chiesa), essi formino anche un sacramento» e che «i contraenti siano i ministri di questo sacramento», sono due proposizioni legate strettamente insieme. Perché se è vera la prima, subito si può dimostrare a tutto rigore la seconda con questo
argomento: E deciso dal Concilio di Trento, che i matrimoni clandestini che si facevano nei secoli precedenti erano veri
matrimoni, «siano rati e veri matrimoni» (Sessione XXIV, Canoni sulla riforma del matrimonio, c. I). Se dunque non si dà vero
contratto matrimoniale presso i cristiani senza che egli sia contemporaneamente sacramento, che é la prima proposizione;
ne viene che i ministri del sacramento siano i contraenti cristiani, che è la seconda; poiché, come dicevamo, i contraenti cristiani prima del Concilio di Trento facevano fra loro dei veri matrimoni senza l’intervento del sacerdote. Conviene dunque
dimostrare la prima proposizione, cioè che presso i cristiani non si dà vero e legittimo contratto matrimoniale senza che sia
ad un tempo sacramento ; ed si dimostra così: 1° Nel linguaggio ecclesiastico rati e veri non sono se non quei matrimoni
che sono anche sacramenti. Ma il Concilio di Trento ha dichiarati matrimoni rati e veri quelli che si facevano dai cristiani
fra loro senza sacerdote: dunque anch’essi erano veri sacramenti. … 2° Nelle parole delle divine Scritture non si trova nessuna distinzione fra il matrimonio legittimo dei cristiani, ed il sacramento; ma si parla di quello come fosse di natura sua
sacramento. E Cristo stabilisce l’indissolubilità del matrimonio dei cristiani, escludendo qualunque altro matrimonio che sia
dissolubile. Ora l’indissolubilità di cui parla Cristo é quella che risulta dal vincolo sacramentale, dicendo l’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito (Mt. 19,6). Dunque non c’è, fra i cristiani, che un matrimonio indissolubile non solo per contratto,
ma prima per legge di Dio, che prescrive l’ indissolubilità del contratto medesimo; perciò non c’è un vero matrimonio cristiano che non sia sacramento. 3° San Paolo pure, quando dice, che il matrimonio dei cristiani sacramentum est, non esclude nessun matrimonio dei cristiani, non ne riconosce un altro, che non sia sacramento (Ef 5,32). E come prova s. Paolo
che il matrimonio cristiano sia sacramento? Dal fatto che esso è immagine dell’unione di Cristo e della Chiesa, la quale é
rappresentata, secondo l’Apostolo, in ogni matrimonio dei cristiani. 4° Il Concilio di Trento a sua volta parla sempre di un
solo matrimonio possibile fra i cristiani, il quale é allo stesso tempo contratto legittimo e sacramento (Sessione XXIV, Canoni
sulla riforma del matrimonio). 5° L’autorità citata di sopra d’Innocenzo III prova, che la qualità dei contraenti, cioè l’esser fedeli battezzati, aventi il carattere indelebile, é quella che produce la differenza fra il matrimonio dei non cristiani e quello
dei fedeli cristiani; differenza che fa sì che quello dei non cristiani sia vero, ma non rato, e quel dei cristiani sia vero ed anche rato. Ma che cosa vuol dire rato? Secondo il citato pontefice vuol dire: confermato dal sacramento che lo rende indissolubile …Per cui questa opinione non solo é la più comune, come dice il Lambertini, ma anche quella che con buone ragioni
favorirono QUASI TUTTI gli antichi teologi interpretando i canoni giuridici (ivi). - Merita anche di esser letto su questo argomento,
il breve scritto intitolato, Terzo Saggio di osservazioni sopra alcuni articoli del progetto di Codice Civile dell’avvocato G.
B. Monti. - Mendrisio, tipografia della Minerva Ticinese, 1836.
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1833: Regole comuni degli Ascritti all’Istituto della Carità
sotto la invocazione di Gesù paziente e di MARIA Addolorata.
CAP. III.
Della carità verso la propria famiglia.
l. Dopo la carità verso se stesso, l’Ascritto si propone di praticare la carità verso la propria famiglia;
poiché la divina Provvidenza coll’averlo circondato di quelle persone che compongono la sua famiglia,
gli ha mostrato essere questa la volontà di Dio, che egli eserciti in primo luogo la carità verso di esse come a lui più prossime, essendo espressa così la Legge dell’Amore «Amerai il prossimo tuo come te stesso».
2. L’Ascritto nella propria famiglia, ben lontano dal rendersi causa della minima discordia o dispiacere, si comporterà in maniera tale da poter essere considerato come un angelo di pace e un ministro di
amore e di santa concordia. A tal fine l’Ascritto porrà ogni impegno nel modellare ed adeguare il proprio carattere alla dolcezza e ad una somma affabilità; nel rendersi vero modello di pazienza inalterabile,
di compiacenza, di mansuetudine, con premura e affettuosa accortezza per tutti fino alle minime cose,
preferendo gli altri a se stesso, cedendo volentieri anche quand’è dalla parte della ragione, e non ricusando di patire qualche cosa al fine di vedere gli altri tranquilli e contenti, e gustando nel Signore la soavità che si trova nel fare, per amor suo, questi ed altri simili atti giornalieri di generosa carità.
3. Ogni Ascritto cercherà di appurare e santificare in se stesso i vincoli e le affezioni naturali, informandole alla carità universale, per la quale si amano gli uomini per Iddio in Gesù Cristo suo figlio; perciò subordinerà sempre le sue affezioni al maggior piacere e gloria del Padre Celeste, come pure subordinerà tutti i beni e vantaggi terreni alla salvezza dell’anima e ai beni e vantaggi spirituali.
4. E in particolare l’Ascritto sarà solerte, nel modo però adattato al posto che occupa nella famiglia,
nel cooperare al bene spirituale degli altri. Ed i genitori siano un modello di diligenza nell’educare santamente la prole, conducendola alle catechesi parrocchiali e ammaestrandola non solo per mezzo di altri,
ma per quanto possono anche da se stessi, trattandola sempre con giustizia e con dolcezza, e proponendole dei fini di operare retti e nobili.
5. Gli Ascritti Sacerdoti debbono rendersi sempre più consapevoli del sublime spirito della loro santa
vocazione; ed aver sempre presente ciò che pronunciarono quando ricevettero la tonsura clericale simbolo della rinunzia a tutte le cose della terra, cioè che essi sceglievano «il Signore come parte della propria eredità» (Sal 15,5) e che volevano aspettare da lui la restituzione di tutto ciò che per suo amore su questa
terra lasciavano. Si persuaderanno quindi, che la vera loro famiglia è la Santa chiesa di GESÙ Cristo, che i
loro veri interessi sono quelli dell’altare dell’Agnello, e delle anime che col Sangue di quell’Agnello immacolato furono redente. Ad essi pertanto spetta d’intendere l’alto significato di quelle parole «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Non crediate che io sia
venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il
figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa. Chi
ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi
non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà» Mt 10,32-39). Tali sono le parole di nostro signore GESÙ Cristo.
6. Poiché è frequente e gravissimo disordine che alcuni laici, che hanno figli o congiunti ecclesiastici,
sia per ignoranza dell’altezza dello stato sacerdotale e per troppo attaccamento alle cose terrene, cercano
di trattenere nelle proprie famiglie i detti sacerdoti colla mira di cavarne vantaggi temporali, il che è un
mettere a pericolo la propria salvezza eterna e anche quella dei detti sacerdoti; perciò gli Ascritti che si
trovassero in simili circostanze si rammenteranno che si deve permettere con piacere che si consacrino a
11
Dio i propri figli (i quali in ciò sono perfettamente liberi dalla patria potestà) e perciò devono anche
permettere loro di lasciare le proprie case e di impiegarsi e stabilirsi dove essi credono di poter meglio
corrispondere alla chiamata divina che li destinò ministri dell’Altissimo. E severissimo sarebbe il conto
che dovrebbero render quei padri e quelle madri, che fossero la causa che chi è consacrato a Dio invece
di ascoltare la voce divina, intendesse e seguisse le voci della carne e del sangue. Perciò i nostri Ascritti
volendo essere fedeli servi del Signore e a lui subordinare tutte le altre mire e interessi anche in questa
generosità di rinunziare per l’amore di Dio al proprio sangue procureranno di rendersi imitabili esempi
in mezzo al popolo cristiano.
1842: Regole comuni degli Ascritti all’Istituto della Carità26
V. - DOVERI VERSO LA PROPRIA FAMIGLIA
19. - In quanto alla propria famiglia egli amerà di osservare le cose seguenti:
I. Ben lontano dal rendersi causa della minima discordia o dispiacere in famiglia, egli si comporterà come un angelo di pace e un ministro di puro amore, ponendo ogni sforzo per temprare il proprio carattere alla dolcezza e a rendersi paziente e compiacente nelle cose oneste, preferendo gli altri a se stesso, e
cedendo volentieri anche quando è da parte sua la ragione, senza tuttavia mancare a quella fermezza che
un padre di famiglia, o un marito, deve mostrare, quando vi è interessato il buon ordine e il bene dei
suoi soggetti;
20. - II. Cerchi di controllare in se stesso le affezioni naturali, informandole colla carità universale, per
la quale si amano gli uomini per Dio in Gesù Cristo suo Figlio;
21. - III. Sia sollecito, nel modo più conveniente al posto che occupa in famiglia, nel cooperare al bene
spirituale degli altri membri; ma specialmente i genitori ascritti procurino di rendersi modello di diligenza nell’educare cristianamente la propria prole.
26. La prima edizione di queste regole fu pubblicata dallo stesso Rosmini a Novara, presso la Tipografia Vescovile di P. Alber-
to Ibertis, nel 1842. Alle Regole fece seguire le Massime di perfezione cristiana adatte ad ogni condizione di persone, un Metodo di
meditare, che era un compendio e semplificazione della Ottava lezione spirituale, che spiegava appunto la meditazione, un
Metodo per esaminare la propria coscienza ed una breve Appendice.
Una seconda edizione venne fatta ad Intra nel 1896, e quindi una terza leggermente ritoccata e riordinata con l’aggiunta di
titoletti che dividevano le Regole in capitoli, venne fatta a Rovereto nel 1929.
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ANTONIO ROSMINI, Discorso terzo tenuto nella seconda Festa di Pentecoste.
Della luce dello Spirito santo.
Omnis enim qui male agit, odit lucem.
«Chiunque infatti fa il male, odia la luce ...»27
Dopo aver celebrato con la santa Chiesa il digiuno del Signore nel tempo quaresimale, i dolorosi misteri della sua passione e morte nella settimana santa, la gloria della sua risurrezione l’ottava di Pasqua,
quindi la sua ascensione al cielo e l’altissimo seggio da lui ottenuto alla destra del Padre; in questi giorni
siamo invitati ad esaltare riconoscenti e con intimo affetto del cuore quella ineffabile bontà di Cristo glorioso che si compiacque di mandare nella sua Chiesa il suo Spirito consolatore, che dal procede Padre e
dal Figlio.
Ad ogni passo della sua vita terrena l’Uomo-Dio aveva distribuito agli uomini nuovi doni, tutti ordinati a renderli simili a se stesso, perché non poteva amarci se non di un amore, che ci facesse desiderare
di vedere riprodotta in noi la sua stessa immagine. Poiché questa era la volontà del Padre suo: egli doveva essere il sublime modello, in cui tutti gli uomini, contemplandolo, vedessero la forma che dovevano prendere per riuscire perfetti; e questa volontà del Padre era tutto ciò che di più caro vi poteva esser
allo stesso suo Figlio, essendo desiderio naturale d’ognuno quello di scorgere molti altri simili a se stesso.
GESÙ Cristo, non cercando la propria soddisfazione ma la volontà dell’amato Padre, si fece per noi in
ogni suo atto esemplare; quando digiunò c’insegnò e ci meritò quella virtù di penitenza di cui noi soli
peccatori abbiamo bisogno; quando patì e morì in croce, c’insegnò e ci meritò quella fortezza e pazienza
che ci è necessaria per crocifiggere le nostre cattive concupiscenze; quando risorse ottenne dall’eterno
suo Genitore anche la risurrezione dei nostri corpi perche fossero configurati al suo immortale e glorioso; coll'ascensione poi al cielo rese necessario, dovendo noi essergli in tutto simili, che la stessa nostra
carne corruttibile divenuta incorrotta, ottenesse un posto nel cielo dove risiede la sua e dove dobbiamo
fin d’ora abitare colla mente. Lassù il Signore GESÙ eternamente si bea nella beatitudine del divino amore, e volle anche in questo anticiparci sulla terra una certa somiglianza con sé. Poiché già nel seno del
Padre egli si rivolse a Lui pregandolo di mandare sui suoi discepoli lasciati pellegrini nel mondo quello
Spirito consolatore, in cui la sua umanità nonché la sua divinità, già si delizia senza fine. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore28.
Per questo, diceva agli Apostoli prima di partire da essi, che era bene per loro stessi ch’egli salisse al
cielo, né dovevano rattristarsi per la sua partenza, perché una volta nella pienezza del gaudio e della
gloria, predestinata da tutti i secoli, anch’essi ne avrebbero guadagnato come quelli che dovevano essergli in tutto simili. Oh chi potrebbe finir mai d’esaltare la grandezza di quest’ultimo dono dello Spirito
santo, che per noi tutti, o miei fedeli, inviò dall’alto il nostro glorioso Signore! Io non so e non posso in
verità entrare col ragionamento molto addentro in tanto mistero, ma ne toccherò pure un poco, sulle orme dell’odierno Vangelo, aiutandomi a farlo lo Spirito del Signore; al quale voi vogliate raccomandarmi,
affinché quel poco che vi sto per dire non lo tragga dalle mie proprie tenebre, ma dalla sua luce.
Il passo del Vangelo che abbiamo letto nella Messa, è parte di un ragionamento, che il divino nostro
maestro GESÙ tenne con Nicodemo, uno tra i capi dei Giudei. Cristo gli disse, che « Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi
27.
Gv 3,20. L’odierno Vangelo.
28.
Gv 14,16.
13
crede in lui - ( aggiunse Cristo parlando del Figlio di Dio, cioè di sé stesso) -, non è condannato; ma chi non
crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la
luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la
verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio»29.
La Chiesa assegnò questo brano del Vangelo di s. Giovanni alla festa di oggi, perché vi si parla della
luce soprannaturale, che è proprietà dello Spirito santo, il quale istruisce le nostre anime. È vero che anche il Verbo è luce delle anime, ma conviene sapere che la luce del Verbo divino, che ci viene comunicata
per mezzo di Cristo, e la luce dello Spirito santo, non sono mai del tutto divise; ma la luce del Verbo incomincia l’opera che la luce dello Spirito santo perfeziona. È il Verbo che manda lo Spirito e così egli ci
illumina, ed è questo lume dello Spirito santo che ci fa conoscere il Verbo, che dà alle anime la cognizione intima di Cristo GESÙ e la comprensione delle sue parole; cognizione preziosissima e del tutto inestimabile.
La luce del Verbo divino ci viene comunicata specialmente nel santo battesimo, e anche l’anima del
bambino, benché ella non se ne accorga perché non può ancor riflettere sopra se stessa, rimane irraggiata
da questa luce: per cui il bambino, se i genitori lo custodiscono bene e lo tengono lontano dalle occasioni
del male e dal prendere cattive abitudini, forse prima ancora di poter peccare; il bambino, crescendo nella innocenza e nella infusa santità, quando giunge all’età della ragione, suole mostrarsi ottimamente disposto a credere alla parola di Dio che gli viene annunziata, perché la luce del Verbo ricevuta nel battesimo gli fa vedere e conoscere subito e immediatamente la verità, e gliela fa amare e praticare.
Considerino bene qui i genitori che mi ascoltano, quanto diligente, quanto grande deva esser la cura
che si prendono dell’innocenza dei loro fanciulli, perché non avvenga che operino il male prima del
tempo, poiché «chiunque fa il male - dice GESÙ Cristo - odia la luce, e non viene alla luce»30; per cui se poi i
figli non ascoltano volentieri la parola di Dio, non le prestano attenzione, non pongono il cuore a praticarla, la colpa di chi sarà? se non in gran parte dei padri e delle madri; i quali negligenti ed incauti, od
anche, che Dio non voglia, viziosi, non custodirono bene i loro figli, non li tennero lontani dalle occasioni
dei peccati, o forse, ahimè, li scandalizzarono essi stessi. E che n’è quindi avvenuto? Che avendo quei disgraziati fanciulli cominciato a peccare, prima solo materialmente e per ignoranza e mal istinto e poi anche con malizia, hanno preso immediatamente ad odiare la luce di Cristo pur ricevuta nel battesimo, e
quindi tappano gli orecchi ai santi principi, ed induriscono il cuore, perché chiunque fa il male, odia la luce
31. Ed ecco l’origine della moderna empietà.
Cristo ce l’aveva già svelato. Quale meraviglia dunque, o miei fedeli, che si veda al giorno d’oggi tanta gioventù irreligiosa, se si vedono pure tanti genitori negligenti nell'educare la loro prole? Quale meraviglia che, se vi guardate intorno, voi notate qui così pochi fanciulli devoti? E non vi accusa, e padri e
madri , anche solo il disordine che si scorge dinanzi alle porte di questa nostra parrocchia, dove si trattengono tanti fanciulli in ozio, e nel gioco, e talora perfino durante il tempo delle sacre funzioni? I genitori che vengono in chiesa li vedono; ma passano loro innanzi senza dir nulla. Non viene loro dunque in
mente di farli entrare nella casa del Signore e d’insegnar loro ad adorarlo con affetto, e ad udire la spiegazione della sua legge con riverenza? Questo, che pur sarebbe un atto di grandissima carità che ogni
uomo per bene, passando, potrebbe fare a pro degli abbandonati fanciulli, è per voi, o genitori, un dover
rigoroso, uno stretto obbligo.
La luce dello Spirito santo poi viene comunicata con pienezza nel sacramento della Cresima, il quale
compie e perfeziona l’opera divina incominciata nel battesimo. Nel battesimo noi siamo incorporati a
GESÙ Cristo: partecipiamo della luce del Verbo. Se giunti all'età della conoscenza del bene e del male, noi
29.
Gv 3,16-21.
30.
Gv 3,20.
31.
Ibidem.
14
abbiamo conservato l’innocenza, e abbiamo efficacemente creduto alle verità della fede, beati noi! Con
questo primo atto di fede cooperammo all’opera della grazia battesimale. Se poi oltre a ciò, perseverando in una vita immune da colpe, o almeno mondati dalle colpe, ricevemmo anche degnamente il sacramento della Confermazione, la grazia e la luce di Dio si è in noi raddoppiata ed esige perciò da parte nostra una nuova cooperazione e frutti di buone opere.
Perché se già prima della Confermazione, noi dovevamo esser buoni, dopo ricevuto il sacramento
dobbiamo essere cristiani perfetti. Questo insegnamento è di nuovo importantissimo specialmente per
voi, o genitori: intendete quel gravissimo dovere che vi impone verso i vostri teneri figliuoli? Siete obbligati a far sì, che i vostri figli non solo ricevano a debito tempo il sacramento della Cresima, ma quello che
è più, che lo ricevano degnamente, cioè in grazia di Dio; e siano ben consapevoli e a pieno intelligenti del
dono che in quella sacra unzione vien loro conferito; perché se essi ricevessero sgraziatamente la Cresima in stato di peccato, lo Spirito santo non potrebbe discendere in essi colla sua grazia; in quanto il dono
dello Spirito è luce, e «chi opera male odia la luce», perciò come potrebbero i vostri figli ricevere quella luce
che odiano? e che non fa violenza a nessuno, non irraggiando se non quelli che lietamente l’accolgono?
Come potrebbero ricevere quello Spirito che rivela tutte le loro immoralità, le riprende e castiga? Ah
quanto non viene trascurato anche questo sacro dovere dai genitori poco cristiani dei nostri tempi!
Da dove mai tutto ciò? Nasce dall’ignoranza o dalla malizia? Dio vi giudicherà, o genitori, e molti di
voi dovranno forse rendergli conto non meno della vostra ignoranza che della vostra malizia; perché la
stessa vostra ignoranza è spesso colpevole, o miei fratelli; occupandovi tutto il giorno delle vostre faccende temporali, ingolfati da mattina a sera in esse, come se fossero le sole cose importanti, vi scordate
del tutto dell’anima e dell’eternità che vi aspetta; non vi date cura d’istruirvi, d’imparare a conoscere la
vostra santissima religione e i rigorosi doveri del vostro stato ch’ella v’impone. L’amor poi smoderato
alle ricchezze temporali scatena in voi le passioni, vi fa schiavi dei vizi e ridotti in così miserevole stato,
voi vi disamorate sempre di più e prendete perfino a nausea la parola e la legge di Dio, che non lusinga
le vostre perverse inclinazioni, né annuisce alle vostre inique azioni; quindi ne temete e ne odiate la luce,
perché chiunque fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.
Quanto a me, credo che il male presente abbia un’origine anche molto più antica, e che ella debba cercarsi nella negligenza degli antenati, che Dio usi pur loro misericordia. Ma certamente non hanno cominciato solo oggi i padri e le madri cristiane ad esser così negligenti nei loro doveri. Se non fosse così,
come mai si vedono uscire così scarsi frutti di santità dal sacramento della Confermazione, in cui scende
nei cristiani bene disposti lo Spirito santo? Io non mi lamento già perché non appaiono nei cresimati le
grazie gratis date, il dono cioè delle lingue, della profezia, dei miracoli ed altre tali meraviglie che accompagnavano questa sacra unzione nei primi tempi della Chiesa, le quali grazie non rendono l’uomo
più santo; ma mi rammarica il vedere che molti fanciulli cristiani, dopo essere stati unti col sacro Crisma
e aver ricevuta l’imposizione delle mani dal vescovo, non si mostrano però migliori di prima; anzi talora
cresce a grandi passi coll’età la malizia, e con i peccati cresce a gran passi anche la sfrontatezza del peccare.
E non siete stati voi stessi quanti qui siete adulti tutti confermati dal vescovo? Eppure a quanti potrei
domandare: “Dove sono i frutti dello Spirito santo se l’avete in voi ricevuto? Che mai vuol dire quella
mancanza di carità, od anche quelle inimicizie che perdurano fra di voi come prima? perché quelle intemperanze e quelle disonestà, quegli inganni del prossimo, quei danni od ingiurie con i vostri fratelli?
Dimostrano forse operazioni così opposte alla legge divina un popolo ripieno di Spirito santo? Chi c’è
dunque tra di voi che si rammenti di aver cambiato vita e abitudini dal tempo in cui ha ricevuto la santa
Cresima? Chi può dire con verità, che da quel giorno condusse una vita più illibata e santa, come si conviene a colui che oggi non vive più del proprio spirito, ma dello Spirito di Dio stesso? Felice chi può dirlo. Ma dubito, che molti lo possano.
Se dunque una gran parte almeno dei cristiani riceve l’unzione del sacro Crisma senza che nel suo vivere risplenda di più la santità e il suo cuore più arda d’amore, e la sua mente più penetri nella luce di15
vina, non si deve fortemente temere che quel sacramento sia stato da essi ricevuto come una vana cerimonia, senza le dovute disposizioni? Non si deve temere che, avendo i vostri padri e gli antenati della
presente generazione incominciato a essere negligenti nel dovere di disporre bene i loro figli a questo
gran sacramento, poi di padre in padre sia cresciuta l’ignoranza e la colpevole trascuratezza che noi vediamo? Sì certo, perché se voi, padri, aveste ricevuto colla dovuta pietà ed istruzione il sacramento della
Confermazione e aveste gustato il dono di Dio, sareste assai probabilmente solleciti, che lo ricevessero
bene e lo gustassero anche i vostri figli. Quindi tutti coloro che esaminando se stessi devono confessare,
per attestazione della propria coscienza, di avere ricevuto senza le necessarie disposizioni il sacramento
della Cresima, perché mancò chi si prendesse cura di loro, deh! prima di tutto se ne pentano e poi incomincino a provvedere alla salvezza dei loro figliuoli, in modo che quelli non li debbano rimproverare un
giorno della medesima colpa, ed accusare forse anche dinanzi al Giudice supremo; poiché mentre Dio
diede loro il suo Figliuolo unigenito per salvarli, e questi, dopo tant’altri doni, mandò dal cielo la luce
dello Spirito santo per consolarli e confortarli; i loro figli, per la mala educazione, rifiutarono villanamente i doni celesti e non accolsero nel cuore il divino splendore, alla stessa stregua di coloro che oggi
amavano operare il male, che è stato loro insegnato dai loro padri e dalle loro madri. Perché chiunque fa il
male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.
Ma l’animo vizioso non solo rifiuta la luce della grazia che i sacramenti devono comunicare, non solo
genera un certo fastidio di tutte le cose buone e sante; ma, come vi dicevo, distoglie anche la mente
dell’uomo dalla fede, impedisce o revoca il suo assenso alle verità rivelate, e così produce l’incredulità.
Sì, l’origine dell’incredulità ci fu predetto e svelato da Cristo in quelle parole chiunque fa il male, odia la luce. Non crediate che l’incredulità sia solo propria dei nostri tempi, ci fu sempre al mondo e sempre per la
stessa causa. Ci furono sempre increduli ed infedeli, perché ci furono sempre quelli che operarono il male e che perciò non potevano sopportare la luce della dottrina di GESÙ Cristo, la quale condanna ogni
male morale e comanda ogni bene; dalla quale i malvagi si vedevano condannati e tuttavia volevano operare il male, ed operarlo a man salva; senza essere scoperti e condannati dagli uomini.
Questa è la vera causa per cui gli uomini perversi inventano senza posa tante menzogne ed appongono tante calunnie alla religione; ora bestemmiando contro i suoi misteri, ora riducendo i suoi santi principi, ora cercando in tutti i modi di far credere al mondo ch’ella non sia vera, non buona, non utile; questa è la ragione per cui i falsi filosofi compongono i loro sistemi d’empietà, l’ateismo, il deismo, il panteismo ed altri tali. Essi fanno tutto questo per la segreta ragione che la religione di GESÙ Cristo è luce, e
che essi odiano e temono la luce, e cercano di nascondersi nelle tenebre, affinché, diffuse queste dappertutto, nessuno abbia più occhi per vedere le loro deformità, le loro basse tendenze, le loro vergogne.
Qui si scopre ancora la ragione d’un fatto sempre costante e che dura dal principio del mondo fino ad
oggi e durerà quanto il mondo stesso. Cioè i buoni sono sempre odiati e perseguitati dai malvagi, benché
questi siano sempre amati e beneficati dai buoni. E come può essere diversamente se gli stessi buoni sono luce, perché hanno in sé la luce di Cristo e del suo Spirito santo, e questa luce risplende in tutte le loro
opere? E queste opere giuste e benefiche e sante degli uomini illuminati da Cristo e dal suo Spirito, non
sono esse un continuo rimprovero e tacita ma severa condanna delle opere cattive dei malvagi? Quindi
costoro si sentono offesi dall’agir bene degli uomini santi, e negli stessi loro benefici trovano qualche cosa da odiare; perciò sono sempre ostili ed irosi con essi, e scelgono di calunniarli, s’oppongono loro in
tutto, li perseguitano quanto possono, a misura della propria perversità e della santità di quelli.
Eccovi, miei fedeli, le vere origini delle persecuzioni incessanti che i perversi maneggiano contro coloro che vivono piamente e camminano nella luce di Cristo; eccovi l’amplissima e purtroppo perenne origine delle loro perpetue menzogne, o cavilli con i quali s’ingegnano screditarli; delle violenze palesi, degli odi segreti e delle inesauste maldicenze, a cui soggiacciono e i sacerdoti e i vescovi, e soprattutto il
Papa; perché il Papa, come vicario di Cristo in terra, e i vescovi e i sacerdoti, sono la luce del mondo,
16
come ha dichiarato Cristo che li mandò, voi siete la luce del mondo32, essi sono appunto da lui incaricati di
attizzare la lucerna sempre ardente nel tempio, di mantenere nel mondo la luce spirituale tramandando
di generazione in generazione la parola eterna di Dio, e quasi di travasare lo Spirito santo ora predicando la verità, ora conferendo la grazia con i sacramenti. Per cui chi vive bene nella Chiesa cattolica e fa la
verità, viene ad essi per riceverne quella luce che rende le sue opere sempre più belle e sempre più gloriose: Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio33: ma
chi opera il male, non può sopportare la conversazione dei sacri ministri, e non può sopportare che siano
al mondo e vi esercitino un tanto ufficio, perché chiunque fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché
non siano svelate le sue opere.
Per cui le cattive opere sono già un passo verso l’incredulità. Lasciate pure che la vostra gioventù che
si allontana dalla patria per gli annuali lavori, e passa gran tempo dell’anno fra popoli stranieri, dove
sovente le tocca udire dottrine empie, maldicenze, calunnie contro la Chiesa e i ministri sacri; lasciate
pure, dico, che sia già rovinata quanto al costume, che sia già per tempo viziata; ahimè! quanto facilmente presterà gli orecchi alle ingannevoli parole dei seduttori! Come le sembreranno prima dolci e poi verosimili! quanto presto perderà insomma la fede che ha pure succhiato col latte! Il suo cuore corrotto non
cercherà altro che le tenebre, fra le quali bramerà nasconder a sé stessa le proprie sconcezze;: accoglierà
queste tenebre che il demonio per mezzo dei suoi diffonde colla gioia stessa, colla quale il ladro o
l’assassino aspetta una notte oscura e tempestosa per commettervi impunemente i suoi furti e le sue ribalderie.
Fate invece che la vostra gioventù sia ben radicata nella pietà e nella onestà della vita cristiana prima
di allontanarsi dal tetto paterno; deh! qual orrore non proverà al primo udire le voci della empietà e della miscredenza? con quanta cura non si guarderà dalle compagnie degli iniqui e dei seduttori, e discernendo a primo aspetto il falso, il calunnioso, il sofistico dentro ai loro ragionamenti, con cui cercano di
travolgere nelle tenebre dell'incredulità quanti più possono per renderli tristi e dei tutto simili a se medesimi! E così riceverà poi la patria di ritorno i suoi figli dalle annuali loro peregrinazioni costanti nel
bene, semplici e retti, tali quali se ne partirono, fermissimi nelle loro antiche credenze e a questo loro
tempio in cui rinacquero nell’acque battesimali, a queste sacre funzioni, agli usi patri, alle abitudini ed
alle persone della loro casa e del parentado affezionatissimi. Porteranno ai loro vecchi genitori insieme
coll’affetto e colla riverenza figliale i frutti delle loro fatiche non consumati dai vizi e dalle passioni disordinate.
Ma qui qualcuno mi dirà che non tutti però quelli che operano il male rinunziano anche alla fede;
molti, benché peccatori, credono e devono sperare di salvarsi, dicendo Cristo che colui che crede nel Figlio di Dio non viene giudicato. Rispondo che si deve certamente distinguere quelle cadute che si attribuiscono alla fragilità umana, da quelle che provengono da una consumata e costante malizia. Per altro
non inganniamoci, o miei fratelli, i gradi d’incredulità sono due: certo, il secondo grado, il grado maggiore, è quello a cui giungono quegl’infelici che espressamente ed esplicitamente ricusano di credere
quanto Dio ha rivelato agli uomini; costoro camminano brancolando nelle più fitte tenebre, nella notte
più cupa. Ma questa estrema rovina è preceduta da un primo grado d’incredulità, consistente in una incredulità pratica, cioè nell’avere una fede sterile e morta, a cui non seguono le opere buone, benché questa dimostri all’uomo la loro necessità e rigorosamente la prescriva. Questa fede priva di opere, rassomiglia, o cari, ad una lucerna che fuma e non arde; è spenta, perciò non fa luce, e per di più manda un odore cattivo. Allo stesso modo si può ben dire, in un certo senso, di ogni uomo che opera il male, che egli
ha spento la sua lampada, che non cammina nella luce, perché non ubbidisce alla sua fede che è luce, ma
opera come se egli non credesse affatto.
Deh, o fratelli, se noi con fede viva credessimo che ogni peccato mortale ci conduce all’inferno, forse
32.
Mt 5,14.
33.
Gv 3,21.
17
lo commetteremmo? Se credessimo veramente, vivamente che l’amore di Dio e del prossimo ci conduce
al paradiso, potremmo non amare Dio ed il prossimo? Se dunque non amiamo Dio, se non facciamo al
nostro prossimo del bene, ed anzi gli facciamo del male; se non evitiamo i peccati, ma assai leggermente
ne imbrattiamo le anime nostre, non è segno manifesto che non crediamo a pieno e che non amiamo la
luce della fede? che ci industriamo piuttosto a spegnerla colle nostre cattive opere, poiché ella ci è contraria? Ella di continuo ci impone d’operare quel bene che non ci piace, e noi tralasciamo di tralasciare
quel male che pur ci piace e di continuo operiamo.
Nessuno dunque, operando il male, trovi la scusa di presumere da quelle parole di GESÙ Cristo, che
«chi crede nel Figlio di Dio non verrà condannato»34; perché in queste parole Cristo parla solo di colui che
crede con viva fede e lo dichiara espressamente; al contrario di coloro che operano il male e commettono
i peccati e odiano la luce della fede, cioè non credono con amore alle cose divine né con efficacia. Ma deve temere grandemente colui che, sebbene gli sembri di credere colla sua mente e benché colla sua bocca
confessa la fede, tuttavia non crede col cuore e colle sue male azioni contraddice e rinnega la sua fede
speculativa; perché chi non crede è già stato condannato. Sì, miei cari, operando il male l'uomo, rinunzia di
fatto a Cristo, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio35.
Tuttavia con queste parole io non intendo scoraggiare i deboli e fragili cristiani, i quali gemono e si
dolgono giornalmente per le loro cadute, a cui li conduce miserevolmente l’infermità più che una profonda malizia. No, non voglio annoverare questi tribolati e infelici peccatori fra quegli uomini «di cui già
è stato fatto giudizio: perché essendo venuta nel mondo la luce di Cristo e dello Spirito santo, essi amarono piuttosto le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie»36. A costoro io piuttosto rivolgerò quelle dolci e confortevoli parole del discepolo dell’amore: « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché
non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto»37 .
Pentitevi dunque, compungetevi, purificatevi, fratelli miei, e soprattutto sperate incessantemente nella bontà del celeste Padre, il quale «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque
crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma
perché il mondo si salvi per mezzo di lui»38. Si salva chi crede in lui.
Fratelli peccatori, ravvivate dunque la fede e sarete salvi; amate la luce, amate di essere anche rimproverati dalla luce della vostra fede; se amerete il rimprovero di questa luce celeste, voi con ciò stesso
avete già cominciato ad odiare il peccato, perché luce e peccato non stanno insieme; né si può avere quella e questo; invocate dunque in questi santissimi giorni, uniti con tutta la Chiesa cattolica, il divino Spirito, e domandategli quella sua luce ineffabile; la preghiera assidua ve l’otterrà; e il raggio di quella luce
scaccerà da voi la tenebra del peccato; e la fede resa viva ed ardente, vi farà infine salvi in eterno, perché
chi crede in lui non è condannato.- Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna39. Amen.
34.
Gv 3,18.
35.
Ivi.
36.
Cfr. Gv 3,19.
37.
1Gv 2,1.
38.
Gv 3,16-17.
39.
Gv 3,18.16.
18
A. ROSMINI, Discorso tenuto il 5 ottobre 1834
in occasione di prendere possesso della parrocchia.
«… Anche a voi dunque, o padri, qui indirizzo le mie parole: anche da voi chiedo speciale cooperazione nel mio gravissimo ufficio di procurare la salvezza di tutto il popolo; poiché, educando bene i vostri figli, santificate voi stessi e lasciate buona quella generazione che vi succede. A voi dirò dunque: Ricordatevi che noi sacerdoti siamo istituiti per sopperire a quello che non potete far voi, non per scaricarvi di quello che potete fare, e di cui (essendo vostro dovere naturale confermato dalla legge divina) nessuno potrebbe dispensarvi.
E chi erano al tempo della legge di natura i sacerdoti, se non voi, padri di famiglia? non crediate che
vi sia cessata questa dignità dopo l’istituzione del sacerdozio mosaico, o di quello di Cristo. Voi siete ancora, nelle vostre famiglie, gli antichi sacerdoti; dovete ancora offrire a Dio ogni giorno i vostri figli, la
moglie, i familiari; dovete annunziar loro la sua legge, insegnarne la pratica coll’esempio, e soprattutto
educare nel timore dell’Altissimo la prole. È dunque vostro dovere naturale, o padri, dare una mano a
me vostro pastore; io lavoro per il bene e la santificazione delle vostre famiglie e dei figli; e voi mi rifiuterete l’unirvi strettamente con me, soccorrendomi di tutto il vostro potere in tanto mio pensiero e travaglio? Padri di famiglia, miei concittadini, vi notifico che lo scopo del buon pastore non si può ottenere
senza la vostra cooperazione; vi dichiaro che io ho accettato una così immensa briga, che mi fa padre di
tutte le vostre famiglie e che accumula sulle mie spalle tutti i vostri doveri, perché ho pensato: i padri di
famiglia miei concittadini mi aiuteranno, io avrò in essi altrettanti domestici sacerdoti, altrettanti cooperatori parrocchiali …».
19
A. ROSMINI, Discorso in occasione del matrimonio del fratello Giuseppe 40
DOPO BENEDETTE LE NOZZE. AGLI SPOSI
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a
Cristo e alla Chiesa!
Ef 5,32.
Nati ed allevati lontani, sempre sconosciuti l’uno all’altro, chi poteva, fratelli miei, condurvi prontamente ai piedi di questo altare, di fronte al quale darvi la mano da sposi, sottomettendovi a un comune
vincolo per tutta la vostra vita, se non quel Dio che, avendo in mano i cuori e le sorti degli uomini, ne dispone a pro di quelli che si affidano a Lui?
In questo solenne momento, in cui avete già pronunziato il gran sì definitivo, mi sembra, carissimi
sposi, di vedervi stupiti di voi stessi per non sapervi spiegare un avvenimento che ora voi stessi avete
compiuto. Se la divina Provvidenza tessé il vostro nodo, al quale io sono testimone che non è stato preceduto da nessuna passione sregolata, ma da una parte e dall’altra solo i desideri e i consigli materni, e la
persuasione in voi che il sacro vincolo coniugale che avete stretto, fosse volontà del Creatore; Ora a questo Creatore e dolcissimo Signore tenete sempre rivolti gli occhi della fede e della speranza.
Egli che vi ha dato e conservato fin qui la vita, vi ha pure preparato questo indivisa e comunione della
vita; e già vi promette fin da quest’ora gli aiuti, con cui possiate servirlo indivisi fino alla morte sopra la
terra e goderlo indivisi per tutta l’eternità in cielo, giacché le opere del Signore non sono imperfette. E se
Egli, per così dire, vi spinse a venire a questo sacro suo tempio, qui anche vi accolse paternamente, qui
santificò i vostri giuramenti scambievoli; qui Egli stesso vi unì con un indissolubile vincolo sacramentale, vi nutrì del suo preziosissimo corpo, vi colmò di benedizioni, e ricevette benigno e pietoso le suppliche che umilmente, e quasi direi nello stupore dei vostri cuori, gli avete innalzato, chiedendogli la grazia
di poter adempiere gli importantissimi obblighi del vostro nuovo stato.
Per cui se sono grandi gli obblighi che in questo giorno, per voi indimenticabile, avete assunto, sono
anche grandi e maggiori gli aiuti che da Dio dovete aspettarvi, e che devono attendersi tutti quelli che,
come voi, in Dio si unirono, e in Dio solo ripongono la loro fiducia.
Perciò io non credo affatto di intimorirvi, ma anzi di incoraggiarvi a sperare ancora di più, se vi tengo
un breve discorso intorno ai vostri nuove obblighi insieme anche ai nuovi aiuti che Iddio vi promette.
Gli obblighi più generali dei coniugi cristiani si possono ridurre a quattro. Il primo riguarda Dio, ed è
che il matrimonio dei discepoli di Cristo vuole esser un’unione spirituale. Il secondo riguarda gli sposi,
ed è che devono avere tra loro un perpetuo amore. Il terzo riguarda il corpo della nuova famiglia a cui
danno origine, ed è che sia da essi governata prudentemente. Il quarto infine riguarda i figli che nascessero dal loro matrimonio, ed è che li provvedano di buona educazione. Il Sacramento è quello che dà la
forza e gli aiuti ai coniugi d’adempiere tutti questi così impegnativi obblighi; ed è quello che allo stesso
tempo li insegna loro, mostrandoglieli già presenti ed espresse in se stesso.
Ogni Sacramento infatti è in un certo senso già un’immagine di ciò che significa, e quello del matrimonio rappresenta la mistica unione di Gesù Cristo colla sua Chiesa, di cui dice san Paolo: Questo mistero
è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Ora tutti i vostri obblighi, o sposi, rimarranno continuamente presenti alla vostra mente e vivi nell’animo, solamente se considererete che l’unione di Gesù
40
.
Questo discorso, detto dal Rosmini a Mezzotedesco nell’aprile del 1842, dopo benedette le nozze del suo fratello Giuseppe
colla baronessa Adelaide De Cristiani di Rallo, fu pubblicato a Milano nel 1843 dal Pogliani nel volume intitolato Predicazione, che fa parte della Collezione delle opere rosminiane; poi nel 1862 a Firenze fra gli Scritti vari sul Matrimonio Cristiano del Cellini.
20
Cristo colla sua Chiesa, è l’esemplare da cui dovete imparare e a cui rendere sempre più simile la vostra
unione.
Nell’unione di Gesù Cristo colla Chiesa, voi prima di tutto potete riconoscere ed ammirare la spiritualità, che deve abbellire e nobilitare il vostro matrimonio, e che io dissi essere il vostro primo dovere, il
quale riguarda Iddio, purissimo spirito. Dove mai si forma, dove si consuma l’unione di Cristo e della
sua Chiesa, se non nell’unità stessa di Dio? Perché siano perfetti nell’unità 41. Questa meravigliosa spiritualità delle nozze di Cristo colle anime sante, che formano l’immacolata sua sposa, non impedisce affatto,
che si unisca loro anche corporalmente, poiché Egli in questa vita terrena dà loro per nutrimento il suo
stesso santo corpo, e li nutre di sé anche nella vita futura: li farà mettere a tavola e passerà a servirli 42.
Quel suo stesso corpo è fonte di santità e di divina carità, e non c’è nulla di terreno in quell’unione ineffabile. È vero che i nostri corpi mortali composti di fragile carne e peccatrice non possono unirsi in un
modo così divino; ma quanto inevitabilmente vi è di vile e di corruttibile nella convivenza coniugale,
deve servire anch’esso al solo fine spirituale e santo, a cui essa è ordinata e in grazia del quale è da Dio
benedetta; senza che né il peccato del primo padre che corruppe tutta l’umana stirpe, né il pentimento
che Dio mostrò per aver creato l’uomo quando col diluvio cancellò ogni carne dal mondo, potessero impedire che la prima benedizione data dal Creatore alle nozze, e rinnovata ed accresciuta dal Redentore,
rimanesse efficace e feconda dei più puri e santi frutti.
Ciò dunque che proviene all’unione sponsale dalla corruzione dell’umanità, lasci sempre, o fratelli, il
dominio a ciò che gli viene da Dio stesso; sia una casta unione e serva ai fini di Dio, serva a Dio, e cessi
anche del tutto allorquando il trattare più intimo nella preghiera col Creatore, soprattutto nei giorni di
digiuno e di penitenza, esiga una maggiore purezza e spiritualità; in questi tempi il vostro matrimonio
sarà simile più da vicino a quello di Maria e di Giuseppe, matrimonio verissimo, benché senz’altra congiunzione che quella di due spiriti concordi e unanimi nel loro Dio.
In tale unione di spiriti sta appunto quell’amore perpetuo, che dicevo essere il secondo dovere che
hanno gli sposi verso se stessi. Ed anche questa unione viene meravigliosamente espressa e rappresentata nell’amore che passa fra Cristo e la Chiesa, amore totalmente concorde, generosissimo, perpetuo. Gesù è sposo sempre fedele alla sua Chiesa, e l’immacolata sua sposa, la Chiesa, è sempre fedele al suo Gesù. Gesù forma le caste delizie della Chiesa, e la Chiesa forma le caste delizie di Gesù. La Chiesa non
vuole altro se non quello che vuole Gesù suo capo e suo signore, a cui ella è legata e in ogni cosa ubbidientissima; a sua volta Gesù non vuole altro che il maggior bene della sua Chiesa.
Egli vuol vedere in lei ogni virtù, ogni grazia, ogni gloria; sicché non è mai possibile, che fra il volere
di Gesù e il volere della Chiesa entri la più piccola discordia o disunione di sorta. Che se lo Sposo divino
dà il suo sangue per abbellire di pregi immortali la sua diletta, questa impara da Lui la stessa generosità;
e il torrente del sangue dei martiri che innaffiò tante terre per secoli interi, ed ancora le innaffia, a lei
sembrano solo poche gocce d’acqua versate in compenso dell’amore del suo Sposo, ed è anche tale veramente. Un amore così consenziente e generoso non si spegne per morte; anzi le nozze dell’Agnello si
consumano nella beata eternità, dove egli s’immola in perpetuo per lei col desiderio, ed ella per Lui.
Quale esempio, sposi miei dilettissimi! Non impauritevi per l’alta immagine che il vostro sacramento
vi propone. Poiché Dio,che lo istituì, è vero che mette innanzi all’umana infermità concetti altissimi e
perfetti, pari a sé stesso; ma non fa solo questo. Di più: egli stesso si unisce all’uomo nello stesso sacramento, per compiere nell’uomo il disegno della perfezione umana concepito nella sua mente divina. Inoltre viene in soccorso dell'infermità dell’uomo, non solo aiutandolo, ma anche perdonandolo; e noi,
rispondendo al suo aiuto, accogliendo umiliati il suo perdono, possiamo, se non raggiungere l’esemplare
infinito e divino, almeno avvicinarvici per una certa analogia e proporzione senza limiti. Così se è quasi
impossibile che due volontà umane e imperfette di viandanti su questa terra vadano in tutto d’accordo, è
41
.
Gv 17,23.
42
.
Lc 12,37.
21
tuttavia possibile ch’esse pervengano a bella e piena concordia per mezzo del sacrificio, cioè cedendo
l’uno all’altra, compatendo l’una dell’altro i difetti, portandone i pesi; così con una virtuosa concordia
d’annegazione meritino quaggiù quella beata concordia di godimento, che è propria solo del cielo.
Il terzo dovere degli sposi cristiani dicevamo essere il buon governo della loro famiglia. Anche di
questo governo, il vostro sacramento, o fratelli, vi propone un altissimo esempio nella Provvidenza, colla
quale Gesù Cristo governa la famiglia umana, andando sempre d’accordo la Chiesa sua sposa. Gesù Cristo e la santa Chiesa governano con amore, con fortezza, con sapienza; invitano colla carità illimitata tutti gli uomini ad unirsi a sé, li incoraggiano se timorosi, li rinforzano se deboli, li curano se ammalati, li
sopportano se noiosi, li ammaestrano se ignoranti, li nutrono se affamati, ne hanno compassione se sofferenti; se sbagliano li correggono, pentiti li accolgono amorosamente al seno: e tutto ciò fanno per
l’unico fine della loro vera felicità, cioè per renderli buoni e perfetti, degni della ricompensa celeste.
Simili a queste devono essere le cure continue di un buon padre e di una buona madre di famiglia.
Quanto non vuole essere dolce al loro cuore il pensiero che sono costituiti da Dio ministri ed immagini,
entro le mura domestiche, della Provvidenza! Quanto non devono temere inoltre di se stessi, e quanto
impegnarsi d’operare con saggezza, fortezza ed amore, pensando che tutti i membri della loro casa e tutti quelli che dipendono da loro, hanno il diritto di vedere nelle loro sollecitudini l’immagine della divina
sapienza e bontà! Che sublime incarico non sarà dunque il vostro, sposi dilettissimi! Da voi dipenderà
non solo la vostra felicità, ma quella di quanti dovranno convivere con voi sotto il medesimo tetto, servi
o figli, le famiglie dei vostri contadini e dipendenti sparsi nelle vostre proprietà, e di quanti da voi e da
essi per lunga serie di generazioni discenderanno.
Infine il quarto e assai impegnativo dovere incomincia per gli sposi cristiani quando ricevono da Dio
in dono figli. Anche quest’ultimo obbligo è racchiuso nel concetto di quel gran sacramento, che esprime
la mistica unione di Cristo e della Chiesa. Perché l’unione di Cristo e della Chiesa non è già infeconda, o
fratelli, anzi genera spiritualmente innumerevoli figli colla parola divina e con l’acqua del santo battesimo; noi stessi siamo stati generati così dalla Chiesa a Cristo; di essa il profeta Isaia avea già predetto
l’immensa fecondità e in lei e per lei furono compiute, ed anzi vinte le antiche promesse fatte ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, in premio della loro fede, colle quali era loro assicurata una discendenza
più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del lido del mare.
Contate i figli della Chiesa cattolica, se potete. Questa sposa di Cristo, uscita dal suo costato, come vite feconda, partorisce figli al suo Sposo da cui fu tratta, senza mai invecchiare; ormai oggi nessuna tenda
o palazzo, nessuna città o provincia li può contenere, poiché le ha riempite più e più volte, e ne riempie
ancora la terra. Generati poi spiritualmente, spiritualmente li educa, né cessa mai di ammaestrarli e di
ammonirli; li accompagna lungo il difficile pellegrinaggio della presente vita, confortandoli ed assistendoli anche nell’ultimo loro respiro.
Perciò se a Dio piacerà di donare anche a voi figli, come vi fanno sperare le benedizioni ricevute, avrete un nuovo ambito in cui imitare Cristo e la Chiesa che fin d’ora rappresentate, provvedendo alla loro saggia e pia educazione. A voi allora spetterà d’aver cura non solo dei corpi e del bene temporale dei
vostri figli, ma quello che assai più importa, della salvezza di quelle anime a voi affidate da Dio stesso,
pur senza saperne il come. Starà a voi, dopo che saranno rigenerate alla grazia, infondere in quelle anime i primi rudimenti della dottrina di Cristo, di custodire da tutti i pericoli la loro innocenza,
d’imprimere nelle loro tenere menti i principi della giustizia, della equità, della generosità e, in una parola, d’accendere nei loro cuori l’amor di Dio e del prossimo. Tali semi poi devono far ottenere loro quella
vita eterna, per la quale soltanto, voi essi e tutti noi siamo creati.
Per cui ciascuno di quei cari figli che Iddio vi concedesse prima di tutto presentatelo ed offritelo a Lui,
come cosa tutta sua e niente di più desiderate di questo: che sia veramente suo, che Iddio tutto lo consacri a sé; né avvenga mai che imitiate quei genitori carnali, i quali accompagnano con lacrime di dolore,
anziché di gioia, i loro figli che Iddio si degna di togliere dagli affari del mondo per collocarli nei suoi
templi, come se li perdessero tanto quanto più si avvicinano a Dio, nel quale soltanto possono viver sicu22
ri, soltanto per il quale e nel quale devono amarsi. Io non vedo cosa che debba essere veramente più desiderabile al cuore di una madre cristiana, che di avere trai figli suoi qualche nuovo Samuele, imitatrice
di quella Anna fedele che diede così lietamente questo illustre profeta al tempio del Signore.
Tali sono gli obblighi degli sposi cristiani, o fratelli, brevemente esposte: assai impegnativi è vero, ma
non a tal segno che non si possano adempiere da coloro che, come dicevo a principio, ripongono la loro
fiducia in Dio, nelle grazie e negli aiuti ch’Egli unì al vincolo sacramentale.
Perché i sacramenti di Cristo non solamente sono segni, ma di più: sono segni efficaci; cioè essi producono nelle anime, che li ricevono degnamente, quella grazia appunto che rappresentano. Per cui se il
sacramento del matrimonio segna l’unione di Cristo colla Chiesa,. questa santissima unione non è solo
segnata e rappresentata perché la imitino le anime dei fedeli che si sposano, ma è ben anche in essi riprodotta dal sacramento. Veramente in questo gran sacramento vien comunicata una grazia tale, per cui
i coniugi partecipano della santità stessa dell’unione di Cristo e della Chiesa, cioè partecipano di quella
carità nella quale stanno congiunti insieme Cristo e i suoi fedeli discepoli, che formano la sua diletta sposa, la Chiesa.
Poiché se Cristo è capo di tutti gli uomini rigenerati dal battesimo, anche se poi abbiano rotto l’unione
della grazia peccando; è pur sempre il tenero sposo di quelle anime che non hanno smarrita la preziosa
gemma della carità con cui le aveva sposate, o che l’hanno di nuovo ricuperata. La qual stessa carità, io
dicevo, viene in parte infusa negli sposi cristiani per il sacramento, se lo ricevono degnamente; per cui il
loro amore naturale ed umano si sublima e si plasma sulla carità di Cristo e così perfino l’amore coniugale acquista indole e tempra di carità soprannaturale. E in questa carità, che congiunge l’uno all’altro gli
sposi cristiani, che è della stessa natura di quella che congiunge Cristo coi suoi fedeli discepoli che formano la pura sua sposa, si racchiudono tutti quegli aiuti efficacissimi, ch’io vi dicevo, con i quali potrete
sostenere i pesi della comunione coniugale. Perché dove è la carità, ivi è lo spirito di Gesù Cristo; se il sacramento vi unisce col glutine della carità, il glutine che vi congiunge è lo spirito di Cristo Gesù, dal quale deriva ogni vigore.
Da ciò deriva quella conoscenza che vi dimostra quanto siano più eccellenti le anime dei corpi, e
v’insegna e muove a rivolgere tutte le cose corporee e temporali al miglioramento ed alla salvezza
dell’anima, rendendo così spirituale il vostro matrimonio, nell’ultimo fine che vi proponete e soddisfacendo al dovere che avete verso Iddio, spirito purissimo.
Da ciò deriva anche ogni vero amore, perché lo spirito di Cristo è carità; giacché fu lui il primo a portare sulla terra il vero amore, dagli uomini tutti ignorato; lui solo poté dire: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri»43. Amore unico eppure così vario nelle sue forme, come quello che riveste
tutti gli affetti umani; ora manifestandosi quale amore materno, ora quale amore filiale, ora quale amor
fraterno, ora quale amore coniugale: santificando tutti questi affetti umani, fortificandoli tutti, rendendoli puri, costanti e generosi. Per cui voi, attingendo alla sorgente dello spirito di Gesù Cristo
un’abbondante ricchezza della sua altissima carità, ben potrete adempiere al dovere che avete verso voi
stessi di una perpetuo amore.
Sempre dal medesimo spirito della carità di Cristo, di cui siete fatti partecipi, potrete trarre quell’alto
senno e quella prudenza, colla quale amministrare saggiamente le cose di casa vostra e reggerne le persone; sarà una conduzione perfetta, se tutta fatta di carità. Così soddisferete al dovere, che riguarda il
corpo della vostra famiglia.
Infine nella carità di Cristo troverete racchiuso il dono di educare santamente la prole: dolce, ma arduo compito, nel quale i padri e le madri di famiglia, forse più che in tutti gli altri, hanno bisogno di un
aiuto superiore e divino.
Ma qui riflettete bene, fratelli miei. Il sacramento, che avete or ora ricevuto, santifica il vostro amore
43
.
Gv 15,12.
23
comunicando alle vostre anime quell’amore soprannaturale e divino che congiunge Cristo colla sua
Chiesa, nel quale amore sono contenuti tutti gli aiuti che vi sono necessari per compiere i tanti e così impegnativi obblighi del vostro nuovo stato. Ma questi aiuti dovete voi stessi derivarli di continuo dalla
grazia sacramentale, perché a che vi gioverebbe essere in possesso di una sorgente perenne di acqua purissima, se non ne attingeste poi neppure una goccia, o non ci avvicinaste neppure la bocca per prendervene un sorso? La grazia ricevuta dunque non è tale da dispensarvi dal cooperare con essa e dal porre
ogni vostra intraprendenza con cui poter avvalervene. E quali saranno queste intraprendenze? La preghiera, miei cari, e le opere buone: ecco quello che potete aver sempre alle mani, con cui trafficare il tesoro della grazia da voi oggi ricevuta nel sacramento; tesoro che rimane con voi finché rimane la vostra unione. Il resto lo farà bene Iddio. La Chiesa ha già pronunciato su di voi le sue benedizioni: Ecco com’è
benedetto l’uomo che teme il Signore 44. Quello che non potrete dunque fare voi, lo farà Iddio stesso; la sua
provvidenza dirigerà intorno a voi tutti gli avvenimenti che non dipendono da voi; dalla sua mano benefica ricevererete con fede ugualmente i beni ed i mali; perché Iddio vi darà sia gli uni che gli altri nel corso della vostra vita, affinché cogli uni e cogli altri vi santifichiate insieme, oggetto altissimo dei suoi scopi.
Quanto a me, non ho bisogno di esporvi oltre il mio augurio: voi lo conoscete, è quello stesso di Dio e
della sua ineffabile provvidenza. Sia lo sposo benedetto nella sua sposa, dirò coi sentimenti della Chiesa;
sia la sposa amabile al suo sposo come Rachele, e come Rachele temperi i disagi e le lunghe pene del suo
Giacobbe. Sia sapiente come Rebecca, e come Rebecca fondi una casa simile a quella d’Isacco. Sia longeva e fedele come Sara, e meriti d’accogliere e di servire nella sua casa gli angeli del Signore come
quell’antica poté fare nella casa di Abramo. Niente possieda in lei o negli atti suoi l’autore dell’antica
prevaricazione. Sia dignitosa, sia venerabile per morigerato decoro, erudita negli insegnamenti celesti,
cresca ogni giorno nello splendore di tutte le virtù, felice nei figli; possa vedere unita al suo sposo i figli
dei figli e in estrema vecchiaia riposi col suo sposo nella pace eterna del Signore. Così sia.
44
.
Sal 128(127),4.
24
A. ROSMINI, Del bene del matrimonio cristiano- ragionamento45
Così il divino Restauratore di tutte le cose richiamò il matrimonio alla sua primitiva istituzione, gli restituì i beni ch’egli aveva perduti, glieli aumentò. Questi beni erano tre: l’unione soprannaturale degli
sposi in Dio, la fede coniugale, la prole. Rispetto a quest’ultima, la benedizione che Cristo dà alle nozze
col ministero della sua Chiesa le rende feconde, ed è comprovato come le nazioni cattoliche siano comparativamente più prolifiche delle non cattoliche, e come la purità dei costumi, effetto della sola grazia
di lui, rende più fertili e più robuste le stirpi. E dove in famiglie fedeli a Cristo manchi la prole, non è
senz’altro fine d’amorosa provvidenza: e Cristo le compensa d’altri e migliori beni. I figli nati alla luce
sono mondati da ogni macchia nel lavacro del Salvatore, simboleggiato appunto nella linfa che divisa
dal cruore gli uscì dal costato; così essi sono tolti alle mani del loro potente nemico, rivestiti della candida stola dell’innocenza, incorporati a Cristo, adottati come figli di Dio, eredi del regno, consorti della divina natura.
Una interna, soprannaturale virtù, che Gesù Cristo aggiunge alle anime degli sposi, dà loro il potere
di conservare anche la fedeltà coniugale, ed il toro immacolato: così il Sacramento è istituito in rimedio
del peccato e in freno e medicina della concupiscenza. Solo Gesù Cristo è quel legislatore che
nell’umanità decaduta poté rimettere in vigore la legge primitiva delle nozze: restituire al matrimonio la
sua perfezione, la quale consiste nell’essere fra uno ed una. Sotto la legge di natura l’umanità l’ebbe presto dimentica, la pluralità delle mogli non parve ignominia. Mosè non poté mettervi sufficiente riparo:
concesse il divorzio per la durezza dei cuori. Ma Cristo rammollì e rigenerò i duri cuori secondo la profezia: «Io toglierò da loro il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne»46; così i redenti ricuperarono
quella forma di matrimonio ch’era stata propria dei primi uomini innocenti. Perché se il matrimonio doveva essere, secondo il concetto della divina istituzione, la massima perfetta indivisa unione dell’uomo
con la donna47, come poteva esser massima e perfetta, qualora non si contraesse fra due unici, l’uno dei
quali reciprocamente fosse tutto dell’altro? Qualora l’uomo avesse il possesso esclusivo della sua compagna, e la donna il possesso esclusivo del suo compagno?
Ma si astragga colla mente dalla potenza spirituale di Cristo, dalla sua grazia che soggioga al dovere
morale il forte egualmente ed il debole, quale sarà la condizione della donna rispetto all’uomo? Quella
misera ed infelicissima, che ci dimostrano le storie di tutte le età innanzi alla venuta del Redentore, le
storie di tutti i popoli che ancora al presente vivono in sulla terra fuori della Chiesa. Oh Dio quanto nocque a se stessa colei che imprudente e presuntuosa entrò in discorso coll’astuto serpente! Quanto nocque
alle sue povere figlie! Oh spose cristiane, che possedete sicure tutto il cuore dei vostri sposi, a chi dovete
la vostra felicità? Istruitevi, confrontate la vostra condizione con quella di altre che non ebbero la grazia,
come voi, di nascere in seno alla Chiesa cattolica, e imparerete che andate interamente debitrici a Gesù
Cristo di quel bene che vi è così caro; da Lui dovete riconoscerlo: in Lui e per Lui goderlo. Gesù proclamò uguali nel diritto coniugale l’uomo forte e la donna debole. Egli temperò con una interiore soave virtù ed ammansì la fortezza dell’uomo; ne diede alla donna redenta dall’abiezione, ed aggiunse un tal
nuovo incanto spirituale e celeste alle pure sue grazie; la donna per Lui divenne un nuovo essere che
45.
Questo Ragionamento fu scritto da Rosmini nel 1847 e mandato da Verona al Conte Clemente Solaro della Margarita in
occasione delle nozze della figlia di lui Eleonora con Giovanni Cantono dei Marchesi di Ceva, e in quella stessa occasione
stampato a Torino dal Mussano. Nel 1848 fu ristampato a Roma dal Salviucci, insieme con un Ragionamento di Guido Ferrari, in occasione delle nozze della signora Maria Alibrandi col signor Francesco Fajella. Nell’edizione nazionale critica delle opere di Rosmini è pubblicano in appendice nel vol. 30: A. ROSMINI, Del Matrimonio. Operette varie, a cura di Remo Bessero Belti, Città Nuova editrice, Roma 1977, p. 338-353.
46.
Ez 9,19.
47.
L’unione dell’uomo alla donna nel matrimonio è massima quando ci sia quella tra le anime e tra i corpi». S. TOMMASO,
Somma teologica, Suppl. q. 44, a. 2, ad 3.
25
impone rispetto, lucente quasi stella della società domestica. Così fu tolto tutto ciò che v’aveva di duro,
d’insopportabilmente duro, nel castigo intimato alla peccatrice, alla rea: «Tu sarai sotto il potere dell'uomo, ed egli dominerà su di te»48.
Oh potestà dolce, quella del marito cristiano sulla sua compagna amabile specchio di virtù! Oh dominio prezioso, di cui la moglie cristiana s’onora, esercitato dall’amore, tutela dell’innocenza, guida dell'incauta semplicità, conforto della debolezza, ordine e decoro di tutta la famiglia! E la Chiesa di Cristo che,
secondo il comando e l’esempio del suo Fondatore, piglia sotto le ali della sua protezione tutti i deboli,
non allo sposo, ma alla sposa si rivolge principalmente al giorno delle nozze, e solennemente la benedice
e pronunzia su di lei molte preghiere, affinché più forte per la benedizione e per le preghiere, ella sia benedizione allo stesso marito ed alla casa di lui.
Se dunque la prole sperata ed ottenuta è giusto motivo di giubilo, si deve a Gesù Cristo; se la fede reciproca, che sottomette alla ragione il talento ed innalza a dignità morale l’unione materiale abbellendola
di pudore coniugale ed è gran parte della pace delle famiglie, non si poté pienamente praticare prima di
Cristo, anche questo bene si deve a Cristo, si deve particolarmente al sacrosanto sigillo di cui Egli segnò
le nozze dei suoi fedeli rendendo il loro matrimonio un Sacramento, e un Sacramento grande in Cristo e
nella Chiesa. In virtù del qual Sacramento si ha l’unione degli sposi in Dio, che, come dicevamo, era il
maggior bene del primo matrimonio che annodò Adamo ed Eva innocenti e l’ampio fonte di tutti gli altri
beni. E così pure nella restaurazione cristiana del matrimonio, l’unione degli sposi in Dio è la sorgente e
la causa, per dirlo nuovamente, degli altri due beni summentovati.
Giova attentamente considerare l’economia della divina sapienza e bontà nella santificazione degli
uomini per Gesù Cristo. La radice feconda di questa santificazione è nel battesimo. Per questo sacro rito
il Verbo divino si congiunge immediatamente e sostanzialmente coll’anima umana, il battezzato è unito
a Cristo come un tralcio alla vite, un membro al capo, una pietra dell’edificio alle fondamenta. Quindi
egli partecipa delle prerogative di Cristo, e particolarmente della sua potestà sacerdotale che lo rende atto a far di quegli atti di culto soprannaturale, coi quali la creatura, comunicando veracemente col Creatore, l’onora; e questo carattere sacerdotale nell’anima del battezzato è indelebile. Di che nasce per amorosa istituzione di Cristo, che allorquando due fedeli di vario sesso intendono perpetuamente unirsi in
quella unione perfetta e compiuta che è il matrimonio, si uniscano non solo in ciò che hanno di naturale,
ma ben anche in ciò che hanno di soprannaturale, succedendo così la comunicazione del carattere indelebile delle loro anime. E quindi il culto cristiano della famiglia: poiché non solo ciascuno dei due individui per il carattere sacerdotale ricevuto nel battesimo, e confermato nella cresima, ha potestà di far atti di
culto cristiano grati a Dio; ma quei due divenuti un solo per il matrimonio possono di più prestare congiuntamente un solo culto a Dio; il quale conviene principalmente che sia prestato dall’uomo, siccome
capo, insieme colla sua sposa, siccome corpo di lui.
È dunque il matrimonio dei cristiani una unione soprannaturale, per la quale viene costituito un solo
sacerdozio domestico. Di che non deve far più meraviglia, se ministri del Sacramento siano gli stessi contraenti, giacché si sa che per il carattere indelebile impresso nelle loro anime, essi partecipano del mistico
sacerdozio di Cristo, per il quale fatto della loro unione diviene anch’esso un atto di culto.
E, presupposta l’istituzione di Cristo, diviene ancora un Sacramento. Perché il consenso in tale unione
rappresenta vivamente l’unione di Cristo coi fedeli che formano la sua Chiesa, ed anche la produce o per
dir meglio la perfeziona negli sposi. E veramente in che consiste l’unione di Cristo cogli uomini se non
nel comunicare ad essi sé stesso, da una parte la sua divina natura, dall’altra le sue sacre carni? Dalle
quali esce la virtù dell’acqua battesimale e degli altri Sacramenti. Esse poi si uniscono nel modo più intimo e stupendo alle carni dei fedeli nell’Eucaristia. Così dello sposo e della sposa si fa una carne, e di ciò
che vi è di divino nello sposo e nella sposa si fa un sacerdozio. Non è un sacerdozio nuovo, per cui il Sacramento del matrimonio non imprime carattere indelebile, ma è l’unione di due sacerdozi in uno che
48.
Gen 3,16.
26
dura solo quanto dura l’unione, cioè quanto la vita dei coniugi49.
La partecipazione poi al sacerdozio di Cristo per il carattere indelebile è perenne fonte di grazia, dove
la libera volontà non ponga ostacolo di peccato; perciò anche il sacerdozio, che mescolano insieme i coniugi e l’unione dei caratteri impressi nelle loro anime (nella quale unione consiste l’elemento soprannaturale del matrimonio) è loro fonte di tal grazia che in comune posseggono; la quale perfezionando il loro amore, confermando l’indissolubilità del loro congiungimento, dando loro virtù di usare convenientemente e santamente del diritto coniugale, e di soddisfare a tutti i doveri annessi allo stato, in una sola
santità li accoglie e contiene50.
E con questa grazia speciale gli sposi si uniscono sempre più a Gesù Cristo; perciò in sé stessi perfezionano le nozze di Cristo colla sua Chiesa. Le quali nozze, come vedemmo, incominciano, nel battesimo, coll’unione del carattere, e si compiono coll’unione della grazia. Per cui quantunque le nozze di Cristo colla sua Chiesa non si contengano pienamente nel Sacramento del matrimonio, perché esso non
congiunge tutti i fedeli a Cristo, ma due soli, e non dà loro la prima unione, perché l’ebbero già dal battesimo, ma un aumento dell’unione della grazia (e in quanto non vi si contengono sono soltanto significate, non effettuate); tuttavia si può dire che parzialmente anche nel Sacramento del matrimonio si contengano le nozze di Cristo rispetto ai due sposi la cui unione in Cristo è non solo significata dal Sacramento, ma anche svolta colla grazia sacramentale, e, per così dire, esercitata. Il consenso dunque espresso colle parole o con altri segni, il quale produce il nodo indissolubile, significa quell’unione di Cristo e
della Chiesa ad un tempo, e ne applica la virtù agli uffici ed alla vita dei coniugi. E del pari per consentimento di volontà avviene nella fede e nel battesimo e negli altri Sacramenti lo sposalizio di Cristo e della Chiesa. Poiché Cristo liberamente elegge e incorpora a sé gli uomini, e coi vezzi, per così dire, della
sua grazia, muove soavemente le loro volontà, quasi di desiderata donzella, a consentire nella unione
con lui, la quale unione Egli bramò tanto da non ritenere grave il sostenere la morte per ottenerla.
Siccome dunque Dio fu l’autore del matrimonio fra gli uomini innocenti, così Gesù Cristo n’è autore
fra gli uomini redenti, per i quali egli lo rese Sacramento. E a porre questo Sacra mento in effetto, Egli,
operatore principale, adopera gli stessi fedeli contraenti quasi istrumenti nelle sue mani. Non dimentichino gli sposi tanta dignità di ministri del Sacramento che essi effettuano in se stessi, di cui le loro proprie persone sono la materia, le loro parole, esprimenti il consenso, la forma; non dimentichino che tanto
possono quali membra di Gesù Cristo, a cui furono incorporati nel battesimo; la virtù del loro atto discende dal loro capo, né discenderebbe s’essi non fossero del suo corpo, cioè della Chiesa; la Chiesa vi
concorre colla sua fede e colla sua autorità sancendo il loro atto, e dichiarandone la divina origine: «Io vi
congiungo », ella dice « in matrimonio nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo»; parole rivolte a rammentare che è Iddio quello che veramente unisce gli sposi mediante il loro consenso, accettato a
nome di Dio dalla Chiesa, senza la quale il matrimonio cristiano non sarebbe, a tal che in potere di lei è il
renderlo irrito e nullo con apporvi qualche impedimento. La potestà dunque dei contraenti va condizionata all’autorità della Chiesa. Perciò prima a Dio ed a Cristo, e poi alla santa loro madre la Chiesa gli
sposi cristiani debbono il beneficio delle loro nozze e la loro non profana felicità. Alla Chiesa dunque
debbono serbarsi grati, e generare ed educare per lei dei figli che la consolino.
Ma qui, poiché la santità del matrimonio cristiano si deve ripetere radicalmente dal carattere indelebile e dalla grazia battesimale, come la santità del matrimonio dei primi parenti si ripeteva dalla grazia in
49.
S. TOMMASO D’AQUINO scrive: «Siccome l’acqua del battesimo unitamente alla forma delle parole non opera immediatamente a produrre la grazia, ma a produrre il carattere; così gli atti esterni e le parole che esprimono il consenso producono
direttamente un certo nesso, che è il Sacramento del matrimonio; e questo nesso, in virtù della divina istituzione opera dispositivamente alla grazia». Sum. Suppl. q. 47, a. 3, ad 2. Lo stesso dottore dà poi una ragione diversa dalla recata da noi
del perché il matrimonio non imprima carattere indelebile. Suppl. q. 49, a. 3, ad 5.
50.
Il CONCILIO DI TRENTO dichiara la grazia del Sacramento del matrimonio con queste parole: «Lo stesso Cristo, istitutore ed
operatore dei venerabili Sacramenti, colla sua passione ci meritò la grazia, che perfeziona quel naturale amore, e conferma
l’indissolubile unità, e santifica i coniugi». Sessione 24, Del Matrimonio.
27
cui erano stati costituiti, giova paragonare alquanto le due grazie per conoscere la differenza della santità dell’uno e dell’altro matrimonio. L’antico Adamo possedeva la grazia di Dio; ma il nuovo Adamo Gesù Cristo è Dio stesso: nella sua umanità risiedono tutti i tesori della sapienza e della scienza nascosti51,
vi riposò su lo Spirito Santo nella sua pienezza che da Cristo procede. Per cui i redenti incorporati a Cristo e formanti con lui un corpo ed uno spirito, possiedono di Dio assai più che non gli uomini innocenti.
Da questa parte adunque il matrimonio cristiano si avvantaggia sopra quello stesso che nel paradiso terrestre fu istituito.
Ma Cristo comunica sé stesso all’uomo guasto e disordinato dall’originale nequizia; onde effetto immediato di questa comunicazione nella presente vita è la sola rigenerazione dell’anima; la carne rimane
tuttavia disordinata anche dopo il battesimo, affinché si adempia la pena di morte pronunziata dal Creatore; subita la qual pena verrà rigenerata anche la carne, la cui risurrezione gloriosa compirà la vittoria di
Cristo e il beneficio della sua passione e morte. Così avviene che anche il cristiano porti congiunto alla
sua anima, in Cristo divinizzata, una carne inferma ed ignominiosa che nulla giova, un corpo di morte.
Quindi «la tribolazione della carne» che annunzia l’Apostolo ai coniugati52. Alla quale si aggiungano le
cure moleste, le penose sollecitudini della vita, i pesi dei difetti reciproci dell’uno e dell’altro consorte,
quelli della società degli altri uomini, i provvedimenti temporali per il buono stato della casa e dei figli, e
se ne avrà un non lieve fardello imposto ai maritati di delicati e difficili doveri, di tentazioni pericolose,
di distrazioni debilitanti lo spirito. Le quali cose fanno sì che quantunque lo stato matrimoniale abbia ricevuto da Cristo una sublime eccellenza quale non l’ebbe giammai, tuttavia troppo più alto ancora, più
glorioso e più beato si preconizzi dalla Chiesa lo stato della santa verginità.
51.
Col 2,3.
52.
1Cor 7,28.
28
A ROSMINI, Conferenze sui doveri ecclesiastici
Dalla Conferenza XIII: L’amministrazione dei Sacramenti
Il matrimonio
Veniamo ora ad esaminarci sull’amministrazione importantissima del Matrimonio. Questo è quel sacramento da cui scaturisce tutta la società umana, e perciò è importante oltre ogni dire che sia ricevuto
dai fedeli cristiani colle migliori disposizioni.
Ora, il Parroco zelante dev’essere attento principalmente a tre cose: 1) che i matrimoni non si facciano
sconsideratamente, come detta la cieca passione animale; 2) che gli sposi siano ben istruiti prima di venire a congiungersi; 3) che questo sacramento sia ricevuto in stato di grazia di Dio.
Affinché non si stringa un legame simile in modo sconsiderato, il Parroco è obbligato ad insegnare al
popolo cristiano le considerazioni che si devono premettere alla deliberazione di sposarsi, e specialmente ammaestrarne ed ammonirne i poveri, i quali dovrebbero riflettere più di tutti prima di fare un tale
passo e, invece – per ignoranza o malcostume – lo fanno più ancora sconsideratamente degli altri; e deve
far sentire questa dottrina in pubblico e in privato ogni qualvolta gli capiti l’occasione opportuna, giacché le maggiori divisioni nelle famiglie, le discordie e la moltiplicazione dei miserabili privi di sostentamento e di educazione hanno origine anche da matrimoni non ponderati.
Si deve altresì addurre alla mancanza di consapevolezza negli sposi la cattiva educazione dei figli,
non solo perché i genitori ignorano spesso la maniera di allevarli bene, ma anche perché non intendono
la gravità dell’obbligo che ne deriva loro: è nel dovere del Parroco, quindi, il non lasciar passare nessuno
alle nozze se non sia stato bene da lui esaminato e istruito, come vuole la Chiesa, cosa che pure si trascura.
Però, il Parroco non deve aspettare certo a parlare di queste cose solo nel momento in cui devono avvenire i matrimoni, ma assai di frequente deve far intendere dal pulpito la gravità dell’obbligo di educare la prole, la necessità che chi vuole sposarsi sia prima bene istruito e, infine, la grandezza e la moltitudine dei pesi che il vincolo matrimoniale porta con sé.
Egli deve spesso far capire quale sacrilegio sia il ricevere questo sacramento in peccato, come troppe
volte avviene, e intimare che fondare le famiglie con questo primo peccato, fondarle con un tale sacrilegio, porta alla maledizione delle case; e poi deve incitare tutti a prepararsi anzitempo con una confessione generale, e non permettere che vengano a confessarsi lo stesso giorno della celebrazione delle nozze.
Ora, questi doveri così importanti – a causa delle loro immense conseguenze – per la Chiesa e per la
Società, sono eseguiti da quelli cui spettano? Ecco ciò che dobbiamo ripensare seriamente fra noi.
Non è da dubitare che – riformandosi i sacerdoti su tutti questi punti, o perfezionandosi – la Chiesa e
il popolo di Dio ne debbono trarre infinito vantaggio, e questo è un nuovo motivo – oltre quello della
salvezza dell’anima nostra – che ci deve spingere a porvi mano.
29
A. ROSMINI, La libertà d’insegnamento53
Capitolo VI:
Quale sia il diritto d’istruzione e di educazione che compete ai padri di famiglia.
I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere per maestri ed educatori dei loro figli quelle persone in cui ripongono maggior fiducia.
Questo diritto generale contiene i diritti seguenti speciali:
1° Di far educare i loro figli in patria o fuori, in scuole ufficiali o non ufficiali, pubbliche o private, come
ritengono meglio per il bene dei loro stessi figli;
2°
Di stipendiare appositamente quelle persone, nelle quali credono di trovare maggior onestà, scienza e idoneità;
3°
Di associarsi più padri di famiglia insieme istituendo scuole dove mandare in comune i loro figli.
Il diritto che hanno i padri di famiglia di far istruire ed educare da chi giudicano meglio la loro prole
non è indeterminato, nel qual caso non sarebbe diritto, ma racchiuso entro alcuni limiti, oltre i quali cessa.
Ed in primo luogo anche i genitori devono rispettare nei loro figli i diritti connaturali di uomini tutti,
diritti inalienabili ed assoluti. Perciò i padri di famiglia non hanno alcuna facoltà giuridica di dare o di
far dare ai propri figliuoli un insegnamento che li perverta; e se un governo civile prende sotto la sua tutela questi diritti dei figli, senza invadere, con questo pretesto, la sfera dei diritti paterni, esercita una legittima autorità ed adempie ad un suo dovere, perché il Governo è istituito principalmente per tutelare i
diritti di tutti.
In secondo luogo, il diritto dei genitori è limitato dal diritto che ha la Chiesa cattolica all'insegnamento. Come i governi non possono arrogarsi nessuna autorità su questo insegnamento, così neppure i padri
di famiglia; ma e padri e governi devono dipendere con docilità dal magistero stabilito sopra la terra da
GESÙ CRISTO54.
53.
Sono una serie di articoli che scrisse a partire dall'aprile 1854 per il giornale Armonia di Torino e poi riuniti sotto il titolo
Della libertà d'insegnamento. Sono scritti in stile giornalistico e giuridico che a partire dalla nozione e fondamento giuridico della libertà d’insegnamento svolgono in polemica con molte opinioni opposte dell’epoca il diritto-dovere d'insegnare
e di apprendere
54.
La Rivista delle Università e dei Collegi nei numeri 16, 18 (1854) si è dimostrata molto malcontenta di questi nostri articoli,
specialmente perché nel capitolo IV abbiamo riconosciuto i diritti della Chiesa Cattolica, quali GESÙ CRISTO li ha fatti. Essa
non doveva prendersela contro di noi, perché noi non abbiamo fondato la Chiesa. Non ha contrapposto ragioni a ragioni,
ma contumelie: prova indiretta della falsità e malizia della sua causa. Per di più ha mentito dando ad intendere ai suoi lettori, che noi professiamo dottrine del tutto diverse da quelle che si trovano dichiarate nei nostri articoli. Ci fa dire che «ogni laico, per cristiano e per pio che egli sia, insegnando qualche cosa della religione violerà il diritto divino, sarà usurpatore, impostore; e che «se un laico qualunque, insigne per dottrina e per religiosità, avesse voluto insegnare ad altri un po’
di religione e di morale, avrebbe violato il diritto della Chiesa, ed ingannatore perché insegnante di una dottrina che non
dovette mai avere avuto».
Ci fa dire che « chi non ha il diritto divino del pontefice e dei vescovi non può pretendere di avere libertà d'insegnamento». Dà ad intendere ai suoi lettori, che «la nostra teoria della universale libertà dell’insegnamento finisce con ridurre il diritto ad un solo uomo in terra». Tutti coloro che avranno letto questi nostri articoli, vedranno da sé l’infedeltà e la falsità di
tali asserzioni. Di più, la Rivista vuol far credere che noi abbiamo fatto un fascio di tutti i sacerdoti «che hanno parte
nell’insegnamento e nel governo dell’istruzione pubblica del Regno», e li abbiamo dichiarati tutti scorretti e scandalosi;
quando noi, senza nominare affatto il Piemonte, abbiamo parlato in generale. E così chi strilla, mostra ben chiaramente che
si lagna senza nostra colpa.
E Poiché si richiama proprio ai sacerdoti del Regno, non avremo timore d'aggiungere qui quello che non abbiamo detto
negli articoli, ed è questo. Noi riconosciamo che moltissimi di quei sacerdoti che si applicarono all’istruzione pubblica sono degni per ogni verso della stima e della venerazione, che loro professiamo. E che perciò? Non c’è forse un lamento universale dei buoni cittadini e degli stessi pastori della Chiesa, rispetto ad altri, certo in minor numero, che sono tutto
30
In terzo luogo, il diritto che hanno i padri di famiglia di scegliere i maestri e gli educatori che credono
migliori, non dà loro il diritto di imporre alle persone che scelgono o stipendiano per tale ufficio, i metodi d’insegnamento; questo deve essere lasciato alla piena libertà e scelta degli stessi maestri ed educatori.
È vero che i padri possono, giuridicamente parlando, stabilire con una convenzione la maniera
d’insegnare, nel qual caso gli insegnanti, accettandola, rinuncerebbero al proprio diritto; ma questo, generalmente parlando, sembra sconveniente, perche segno di sfiducia negli istitutori e di viltà da parte
degli stessi, che sono tenuti, senza bisogno di convenzione, ad usare quel metodo che stimano migliore e
a non abbandonarlo per motivi di basso interesse.
Per quanto riguarda la parte educativa, essendo essa compito dei genitori, i quali non possono mai
rimetterla totalmente ad altre mani, e soltanto parzialmente agli educatori, conviene sia che questi ultimi
riconoscano ragionevolmente l’autorità dei primi, sia che gli uni e gli altri siano in pieno accordo e procedano con una perfetta coerenza ed unità.
Infine il diritto dei genitori non è una facoltà arbitraria e capricciosa ma temperata dalla ragione e
dalla morale: è una facoltà di fare del bene ai figli e non di far loro del male.
I governi che arrogano a sé il monopolio dell’insegnamento, come pure tutti quelli che concedono una
libertà d’insegnamento di solo nome, ostacolando in effetto con innumerevoli formalità e pesi l’esercizio
del diritto di insegnare, come abbiamo visto nel capitolo precedente, ledono anche il diritto dei padri di
famiglia, a cui impediscono la piena libertà d’esercitarlo. Poiché è chiaro, che questo rimane tanto più
vincolato nella scelta delle scuole e dei maestri, quanto più si mettono impedimenti alle scuole e
all’esercizio della professione di maestro da parte del governo.
Vi sono tra noi dei teorici in materia, che riconoscono nei padri il diritto di far istruire i loro figli da
persone di loro fiducia, scelte senza impedimento, ma poi aggiungono: «Ciò nonostante al presente non
conviene lasciare questa libertà ai padri di famiglia, perché non ne sanno usare, hanno molti pregiudizi
ereditati dal passato. Conviene dunque per ora privarli di quella libertà, fino a quando siano formati alle
nuove idee di oggi; allora poi gliela concederemo ». Quelli che ragionano così sono falsi liberali, il che è
quanto dire non liberali, sono testoline incoerenti, senza principi. Col loro ragionamento distruggono ad
un tempo il concetto del diritto e quello della morale; nel fondo di questi animi è rimasto solo l'utilitarismo, sotto la parola d’opportunità, e forse anche senza che lo sappiano essi stessi. Infatti, qual principio
seguono mai costoro? Nessuno per ripeterlo. Seguono forse il principio della libertà?
*****
Libri e studi
ANTONIO AUTIERO, Amore e Coniugalità. Antropologia e teologia del matrimonio in Antonio Rosmini, Casale Monferrato,
Marietti, 1980
LINO PRENNA, Antropologia della coniugalità. Corpo e sentimento, Roma, Città Nuova, 1980
AA. VV., La società domestica. Matrimonio e Famiglia nel pensiero di Antonio Rosmini, 13ª “Cattedra Rosmini”, Roma,
Città Nuova, 1982
LUCIA SAVARÈ, La Società domestica nel pensiero di Antonio Rosmini, Tesi di laurea in pedagogia, Milano, Università Cattolica, 1986-87
LUCIA SAVARÈ, La Società domestica in Antonio Rosmini, in “La Famiglia - bimestrale di problemi familiari” Anno
XXIII, n. 133, gen. – feb. 1989, Brescia, La Scuola.
NELLO MUZZIN, Amore e istituzione - famiglia e matrimonio in Antonio Rosmini, Roma, Città nuova Editrice, 2003
l’opposto! Ora per avvelenare le fonti pubbliche, c’è forse bisogno che tutti siano avvelenatori? - Un giornale come la Rivista, che pretende di influire, e che influisce veramente sull’istruzione pubblica, e che mente sfacciatamente, e falsifica con
tanta passione le altrui opinioni e dottrine, e che mostra tanto risentimento contro chi annunzia i diritti dati da GESÙ CRISTO ai Pastori della Chiesa, un tale giornale, dico, è una prova esso stesso del guasto profondo che corrode lo spirito generale dell’istruzione e dell’educazione.
31
Incontro del Santo Padre con i giovani della diocesi di Roma in preparazione alla
XXI Giornata Mondiale della Gioventù
Colloquio di Sua Santità Benedetto XVI
con i giovani
Piazza San Pietro Giovedì, 6 aprile 2006
2) Santo Padre, sono Anna, ho 19 anni, studio Lettere e appartengo alla Parrocchia di Santa Maria del Carmelo.
Uno dei problemi con i quali abbiamo maggiormente a che fare è quello affettivo. Spesso facciamo fatica ad amare.
Fatica, sì: perché è facile confondere l’amore con l’egoismo, soprattutto oggi, dove gran parte dei media quasi ci impongono una visione della sessualità individualista, secolarizzata, dove tutto sembra lecito, e tutto è concesso in
nome della libertà e della coscienza dei singoli. La famiglia fondata sul matrimonio sembra ormai poco più di
un’invenzione della Chiesa, per non parlare, poi, dei rapporti prematrimoniali, il cui divieto appare, perfino a molti
di noi credenti, cosa incomprensibile o fuori dal tempo... Ben sapendo che tanti di noi cercano di vivere responsabilmente la loro vita affettiva, vuole illustrarci cosa ha da dirci in proposito la Parola di Dio? Grazie.
Si tratta di una grande questione e rispondere in pochi minuti certamente non è possibile, ma cerco di
dire qualcosa. La stessa Anna ha già dato delle risposte in quanto ha detto che l’amore oggi è spesso male interpretato, in quanto è presentato come un’esperienza egoistica, mentre in realtà è un abbandono di
sé e così diventa un trovarsi. Lei ha anche detto che una cultura consumistica falsifica la nostra vita con
un relativismo che sembra concederci tutto e in realtà ci svuota. Ma allora ascoltiamo la Parola di Dio a
questo riguardo. Anna voleva giustamente sapere che cosa dice la Parola di Dio. Per me è una cosa molto bella costatare che già nelle prime pagine della Sacra Scrittura, subito dopo il racconto della Creazione
dell’uomo, troviamo la definizione dell’amore e del matrimonio. L’autore sacro ci dice: “L’uomo abbandonerà padre e madre, seguirà la sua donna e ambedue saranno una carne sola, un’unica esistenza”.
Siamo all’inizio e già ci è data una profezia di che cos’è il matrimonio; e questa definizione anche nel
Nuovo Testamento rimane identica. Il matrimonio è questo seguire l’altro nell’amore e così divenire
un’unica esistenza, una sola carne, e perciò inseparabili; una nuova esistenza che nasce da questa comunione d’amore, che unisce e così anche crea futuro. I teologi medievali, interpretando questa affermazione che si trova all’inizio della Sacra Scrittura, hanno detto che tra i sette Sacramenti, il matrimonio è il
primo istituito da Dio, essendo stato istituito già al momento della creazione, nel Paradiso, all’inizio della storia, e prima di ogni storia umana. E’ un sacramento del Creatore dell’universo, iscritto quindi proprio nell’essere umano stesso, che è orientato verso questo cammino, nel quale l’uomo abbandona i genitori e si unisce alla sua donna per formare una sola carne, perché i due diventino un’unica esistenza.
Quindi il sacramento del matrimonio non è invenzione della Chiesa, è realmente “con-creato” con
l’uomo come tale, come frutto del dinamismo dell’amore, nel quale l’uomo e la donna si trovano a vicenda e così trovano anche il Creatore che li ha chiamati all’amore. E’ vero che l’uomo è caduto ed è stato espulso dal Paradiso, o con altre parole, parole più moderne, è vero che tutte le culture sono inquinate
dal peccato, dagli errori dell’uomo nella sua storia e così il disegno iniziale iscritto nella nostra natura risulta oscurato. Di fatto, nelle culture umane troviamo questo oscuramento del disegno originale di Dio.
Nello stesso tempo, però, osservando le culture, tutta la storia culturale dell’umanità, costatiamo anche
che l’uomo non ha mai potuto totalmente dimenticare questo disegno che esiste nella profondità del suo
essere. Ha sempre saputo in un certo senso che le altre forme di rapporto tra l’uomo e la donna non corrispondevano realmente al disegno originale sul suo essere. E così nelle culture, soprattutto nelle grandi
culture, vediamo sempre di nuovo come esse si orientino verso questa realtà, la monogamia, l’essere
32
uomo e donna una carne sola. E’ così, nella fedeltà, che può crescere una nuova generazione, può continuarsi una tradizione culturale, rinnovandosi e realizzando, nella continuità, un autentico progresso.
Il Signore, che ha parlato di questo nella lingua dei profeti d’Israele, accennando alla concessione da
parte di Mosè del divorzio, ha detto: Mosè ve lo ha concesso “per la durezza del vostro cuore”. Il cuore
dopo il peccato è divenuto “duro”, ma questo non era il disegno del Creatore e i Profeti con chiarezza
crescente hanno insistito su questo disegno originario. Per rinnovare l’uomo, il Signore - alludendo a
queste voci profetiche che hanno sempre guidato Israele verso la chiarezza della monogamia – ha riconosciuto con Ezechiele che abbiamo bisogno, per vivere questa vocazione, di un cuore nuovo; invece del
cuore di pietra – come dice Ezechiele – abbiamo bisogno di un cuore di carne, di un cuore veramente
umano. E il Signore nel Battesimo, mediante la fede “impianta” in noi questo cuore nuovo. Non è un
trapianto fisico, ma forse possiamo servirci proprio di questo paragone: dopo il trapianto, è necessario
che l’organismo sia curato, che abbia le medicine necessarie per poter vivere con il nuovo cuore, così che
diventi “cuore suo” e non “cuore di un altro”. Tanto più in questo “trapianto spirituale”, dove il Signore
ci impianta un cuore nuovo, un cuore aperto al Creatore, alla vocazione di Dio, per poter vivere con questo cuore nuovo, sono necessarie cure adeguate, bisogna ricorrere alle medicine opportune, perché esso
diventi veramente “cuore nostro”. Vivendo così nella comunione con Cristo, con la sua Chiesa, il nuovo
cuore diventa realmente “cuore nostro” e si rende possibile il matrimonio. L’amore esclusivo tra un uomo e una donna, la vita a due disegnata dal Creatore diventa possibile, anche se il clima del nostro
mondo la rende tanto difficile, fino a farla apparire impossibile.
Il Signore ci dà un cuore nuovo e noi dobbiamo vivere con questo cuore nuovo, usando le opportune
terapie perché sia realmente “nostro”. È così che viviamo quanto il Creatore ci ha donato e questo crea
una vita veramente felice. Di fatto, possiamo vederlo anche in questo mondo, nonostante tanti altri modelli di vita: ci sono tante famiglie cristiane che vivono con fedeltà e con gioia la vita e l’amore indicati
dal Creatore e così cresce una nuova umanità.
E infine aggiungerei: sappiamo tutti che per arrivare ad un traguardo nello sport e nella professione
ci vogliono disciplina e rinunce, ma poi tutto questo è coronato dal successo, dall’aver raggiunto una
meta auspicabile. Così anche la vita stessa, cioè il divenire uomini secondo il disegno di Gesù, esige rinunce; esse però non sono una cosa negativa, al contrario aiutano a vivere da uomini con un cuore nuovo, a vivere una vita veramente umana e felice. Poiché esiste una cultura consumistica che vuole impedirci di vivere secondo il disegno del Creatore, noi dobbiamo avere il coraggio di creare isole, oasi, e poi
grandi terreni di cultura cattolica, nei quali si vive il disegno del Creatore.
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