6. ENURESI E ENCOPRESI OK

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CAPITOLO X - Disturbi dell’evacuazione
X.x Enuresi
Il termine enuresi indica la mancata acquisizione – o la perdita – del controllo uretrale. È del tutto
distinta dall’incontinenza urinaria, che indica invece l’incapacità di tenersi asciutto e che ha un
substrato neuropatologico o anatomopatologico preciso. Nell’incontinenza urinaria si ha una
vescica sempre vuota oppure un ostacolo alla minzione (es. contrattura dello sfintere o stenosi) con
vescica sempre piena e incontinenza paradossa. Nel caso dell’enuresi invece lo svuotamento della
vescica avviene ogni volta completamente e secondo la meccanica fisiologica della minzione.
L’enuresi è di fatto fisiologica ed è normale nei bambini fino a 4-5 anni di età. A cinque anni circa
il 90% dei bambini non si bagna più; 9% si bagna di notte e 1% di notte e di giorno (Panizon, 2005,
p. 928).
Il controllo della vescica, una delle tappe basilari verso l’autonomia, non è un fenomeno innato che
avviene naturalmente, ma è un meccanismo di controllo volontario che si acquisisce attraverso
piccoli progressi a partire dalla fine del primo anno di vita. È in questo periodo infatti che il
bambino inizia a prepararsi a raggiungere il controllo della minzione. Il lattante ha una vescica
“disinibita”: l’aumento della pressione intravescicale (da riempimento) provoca un riflesso
minzionale che non viene inibito ed è seguito dalla minzione. Prima dell’anno questo riflesso viene
spontaneamente e ripetutamente inibito tra una minzione e l’altra, prima in modo inconsapevole,
poi in modo sempre più volontario (id.). Tenendo ben in mente che le tappe di acquisizione del
controllo uretrale hanno una grande variabilità individuale, idealmente i passaggi potrebbero essere
i seguenti: da 15 a 24 mesi le minzioni diurne vanno progressivamente regolarizzandosi; a 18 mesi
il bambino fa capire quando è bagnato; a 24 mesi la pulizia diurna di fatto è acquisita; a 36 mesi la
pulizia notturna è acquisita a condizione di essere alzato dall’adulto almeno una volta; a 42 mesi la
pulizia è acquisita completamente, benché di tanto in tanto possa capitare qualche incidente fino a
5-6 anni. In ogni caso il passaggio da una tappa a quella successiva dipende sia dall’influenza dei
fattori ambientali sia di quelli relazionali ed è quindi molto difficile generalizzare. L’educazione al
controllo della minzione richiede molta attenzione e pazienza ed è importante aspettare quando il
bambino è pronto, senza forzarlo prima del tempo. Va anche tenuto conto del grado di sviluppo
linguistico del bambino: non solo il bambino deve essere in grado di trattenere e di riconoscere il
bisogno fisiologico, ma deve anche essere in grado di esprimerlo e comunicarlo. Ci sono alcuni
accorgimenti per facilitare l’acquisizione del controllo uretrale e sfinterico e per far sì che non
diventi un problema. In casa è necessario creare le migliori condizioni perché il bambino accetti di
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buon grado la nuova situazione: il vasino va acquistato insieme facendogli scegliere la forma che
preferisce e, all’inizio va messo in un posto che non necessariamente è il bagno, ma potendo, anche
in salotto vicino ai suoi giochi e ai familiari. Un altro passo importante per invogliare il piccolo a
togliere il pannolino è portarlo a fare compere facendogli scegliere le mutandine che preferisce ,
belle colorate, come piacciono a lui. In questo modo si trasmette da un lato la percezione che si
tratta di un’attività condivisa, inserita nella relazione affettiva con i genitori, creando nello stesso
tempo degli spazi di autonomia e indipendenza (il poter scegliere). In casa, all’inizio, è necessario
accompagnare il bimbo in bagno a cadenza regolare (ogni trenta minuti circa) dicendo con
entusiasmo “andiamo a fare la pipì?”; la domanda eslicita “devi fare la pipì?” avrà come risposta
quasi sempre un “no!”. Lo stesso accorgimento deve essere seguito – magari con tempi un poco più
dilatati – anche a scuola. L’indicatore che il bambino sta iniziando ad acquisire consapevolezza
dello stimolo è il fatto che riesca ad avvertire dopo che ha fatto la pipì. In questa fase delicata è
importante (sia per i genitori che per gli educatori) non scoraggiarsi e soprattutto non umiliare il
bambino. Qualche volta può essere utile rassicurarlo, magari con la condivisione di un piccolo
segreto: che a volte è capitato anche a noi, da piccoli, che un goccino di pipì sia finito sulle
mutandine…non è certo la fine del mondo! In queste prime fasi è importante non dare mai nessuna
punizione, mentre è importante complimentarsi con lui quando lo usa, ricordandogli le volte che è
riuscito e quanto sia stato bravo. Stabiliamo con il bimbo un regalo speciale, se riesce a fare la pipì
nel vasino o nel wc per tutto il giorno senza bagnarsi. Quando il bimbo riesce a fare a meno del
pannolino durante il giorno, è l’ora di cominciare anche durante i riposini pomeridiani per poi
arrivare a toglierlo anche di notte. Per una buona e serena acquisizione è necessario che chi sta con
il bambino – educatori del nido, i nonni, la babysitter – collaborino concordemente nei diversi
passaggi: è controproducente e destabilizzante per il piccolo se in alcuni contesti si seguono alcune
regole e in altri no.
Il processo naturale che abbiamo descritto sopra può però andare incontro a difficoltà o
rallentamenti o diventare un vero e proprio problema di non controllo. È in questi casi che si parla
di enuresi.
(inizio box)
Il DSM-IV-TR definisce così i criteri per la diagnosi di Enuresi (p. 139):
La manifestazione fondamentale dell'enuresi è una
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A. ripetuta emissione di urine nel letto o nei vestiti (sia involontaria che occasionalmente anche
intenzionale)
B. il comportamento è clinicamente significativo, come manifestato o da una frequenza di 2 volte
alla settimana per almeno tre mesi consecutivi o dalla presenza di disagio clinicamente significativo
o compromissione dell’area sociale, scolastica, o di altre aree importanti del funzionamento
C. in bambini di almeno cinque anni di età (o il livello di sviluppo è equivalente)
D. Il comportamento non è dovuto esclusivamente all’effetto fisiologico diretto di una sostanza (es.
diuretico) o di una condizioni mediche generali (diabete, spina bifida o disturbo convulsivo) o
lesioni all'apparato urinario
Come definito nel DSM IV il disturbo deve manifestarsi almeno due volte alla settimana per
almeno tre mesi consecutivi, e determinare una compromissione significativa dell'area sociale,
scolastica.
Si distinguono due sottotipi dell'enuresi:
enuresi notturna: è il sottotipo più comune, in cui la perdita di urine si ha solo durante il sonno
notturno. Si manifesta principalmente durante il primo terzo della notte, solo occasionalmente
l'emissione avviene durante il sonno REM, e può accadere che il bambino ricordi un sogno che
comportava l'atto di urinare
enuresi diurna: la perdita di urina si ha durante il giorno, è più comune nelle femmine che nei
maschi, ed è rara dopo i nove anni. Si manifesta più frequentemente nel primo pomeriggio dei
giorni di scuola e può essere dovuta a difficoltà ad usare il bagno per ansia sociale o all'eccessivo
coinvolgimento nelle attività.
L'enuresi può manifestarsi in due forme:
forma primaria: nella quale il bambino, oltre i quattro - cinque anni non ha mai raggiunto il
controllo della continenza urinaria (durante il giorno il controllo dovrebbe essere acquisito intorno
ai 3 anni).
forma secondaria: nella quale il disturbo si sviluppa dopo aver raggiunto e mantenuto , per almeno
5-6 mesi, il controllo della continenza urinaria. L'enuresi secondaria si manifesta più
frequentemente tra i cinque e gli otto anni.
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(fine box)
Epidemiologia
Circa il 5-10% dei bambini di sette anni bagna il letto (Panizon, 2005) e 3-5% a dieci anni (DSMIV-TR, p. 138); negli stati uniti la prevalenza dell’enuresi nei bambini di sette anni è del 9% a 10
del 7% , mentre nelle bambine del 6% e del 3% rispettivamente (Byrd, Weitzman, Lanphear, et al.,
1996). Circa 1-2% degli adolescenti soffre di enuresi notturna e 1% di enuresi diurna. Circa il 90%
dei casi di disturbi delle condotte di eliminazione sono funzionali, cioè non dovute a problemi
neurologici, fisiologici o medici (Von Gontard, 2011). La frequenza con cui i bambini bagnano il
letto può variare tra una volta alla settimana e quasi tutte le notti. L’enuresi è più frequente nei
maschi che non nelle femmine – circa il doppio di casi – e nei maschi la sintomatologia tende ad
essere più marcata. L’enuresi primaria è più frequente nei maschi rispetto a quella secondaria,
viceversa invece per le femmine, per le quali é l’enuresi secondaria ad essere più frequente
(Chiozza Bernardinelli, Caione et al., 1998). L’enuresi sembra inoltre essere più frequente nei
bambini che vengono da famiglie numerose.
Cause
Tra le cause dell’enuresi vanno annoverate sia cause fisiologico-mediche, che psicologiche. In
particolare i meccanismi fisiologici sono maggiormente rilevanti nell’enuresi primaria, quelli
psicologici tendono a prevalere in quella secondaria, anche se anche nel primo caso i fattori
relazionali sono molto importanti. Da un punto di vista medico i bambini con enuresi primaria
notturna hanno dei piccoli disturbi della minzione anche di giorno (es. gocciolamento), una
tendenza a trattenere l’urina e un imperfetto controllo minzionale. La maggior parte di questi
bambini ha una vescica immatura, piccola su base ereditaria, anche se il problema non è tanto la
dimensione, quanto il fatto che la vescica tende a contrarsi quando ancora non è piena e il bambino
non riesce a trattenere l’urina nella quantità prodotta la notte. Inoltre questi bambini hanno un sonno
molto pesante, come osservato dai loro genitori (Neveus, Hetta, Cnattingius, et al. 1999) e una
soglia di risveglio tendenzialmente più elevata: il bambino ha bisogno di stimoli più intensi per
uscire dal sonno e di stimoli particolarmente intensi per reagire (Wolfish Pivik, Busby, 1997).
L’ovvia conseguenza è che i bambini non riescono a svegliarsi in risposta allo stimolo della vescica
piena. È presente inoltre un’alterazione dell’ormone antidiuretico o vasopressina. È un ormone
prodotto dalle cellule nervose dei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo che ha la
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funzione principale di favorire la ritenzione di acqua. La secrezione dell’ormone è legata soprattutto
alle variazioni della pressione osmotica del plasma, alla temperatura del sangue, all’ipossia, ma
anche a stimoli psichici (emozioni, condizioni di stress, dolore ecc.). Ci sono dati che portano a
indicare la sede anatomofunzionale principale del disturbo a livello retino-ipotalamo-ipofisario e la
sua natura in un ritardo di maturazione. Dall’ipotalamo partono impulsi per il sistema nervoso
autonomo che regolano tra l’altro il feedback vescicale. “In sostanza non sorprende che eventi con
rilevanza affettiva possano disturbare questo equilibrio delicato” (Panizon, 2005, p. 929). In caso di
enuresi è importante la consultazione medica per escludere la presenza di malattie che potrebbero
causare l’emissione di urina, quali il diabete mellito o insipido, disturbi renali o malformazioni
urogenitali (Roche, Menon, Gill, et al., 2005).
Ereditarietà
In un lavoro svolto su un campione molto ampio di popolazione, 8000 bambini di circa sette anni
con enuresi notturna e incontinenza urinaria diurna e rispettivi genitori, è stata riscontrata
un’importante relazione tra la presenza di enuresi nei bambini e la presenza di simili problemi nella
storia dei loro genitori (von Gontard, Heron, Joinson, 2011). Circa il 75% dei bambini con enuresi
primaria ha un parente biologico di primo grado che ha sofferto del disturbo ed il rischio di enuresi
è 5/7 volte maggiore nei figli di un genitore che ha una storia di enuresi (DSM-IV-TR). Si parla di
enuresi secondaria quando il problema è la perdita della capacità di controllo uretrale
precedentemente acquisita. Molte ricerche sottolineano come i bambini che soffrono di enuresi
secondaria hanno più problemi psicologici e individuano tra gli eventi stressanti che innescano il
problema la nascita di un fratellino o altri eventi potenzialmente traumatici. Ad esempio l’enuresi
notturna secondaria è stata osservata come conseguenza del coinvolgimento del bambino in un
incidente stradale (Eidlitz-Markus, Shuper, Amir, 2000). In generale nell’enuresi secondaria il
disturbo tende ad avere prevalentemente una valenza psicologica. Solitamente trae origine da
un’educazione sfinterica troppo precoce, spesso ottenuta con un controllo costante e con continue
sollecitazioni a fare pipì. Il bambino che all’inizio si sottomette a tale condizionamento passivo, in
un periodo evolutivo successivo può arrivare a utilizzare l’enuresi come un mezzo per comunicare
ai genitori il proprio disagio. Sono bambini ai quali è stato chiesto molto in termini di prestazione
che, riprendendo a bagnare il letto ottengono di ritornare a una condizione di dipendenza in cui i
genitori si prendono in cura di loro.
Trattamento
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In entrambe le sue forme l’enuresi è un problema che, soprattutto a partire dall’età della scuola
dell’obbligo quando aumentano le occasioni di esposizione sociale per i bambini, genera sofferenza
intensa. Svariati studi riportano sentimenti di imbarazzo, ansia, riduzione del livello di autostima ed
effetti negativi sulla percezione di sé, sulle relazioni interpersonali e sulla qualità della vita in
generale (Morison, 1998). Tuttavia interventi medico-farmacologici prima dei sette, otto anni non
sono indicati. Solo a partire da questa età il numero di bambini che soffrono di enuresi e per i quali
il disturbo ha assunto una certa rilevanza è una piccola percentuale della popolazione e solo a
partire da questa età è possibile contare su una piena partecipazione del bambino. Da un punto di
vista medico è necessario escludere la presenza di un’infezione. Dal punto di vista farmacologico
viene somministrata desmopressina – un ormone antidiuretico sintetico - che serve a far produrre
meno urina e di conseguenza il bambino di bagna meno. Ha una buona efficacia, nel due/tre per
cento dei casi (Glazener, Evans, 2002), ma quando la somministrazione del farmaco viene sospesa
il problema ritorna. Anche se è relativamente priva di effetti collaterali (Hjälmås, Hanson,
Hellström, et al., 1998) ci sono comunque importanti cautele al suo utilizzo (Robson, Nørgaard,
Leung, 1996). Nei paesi di lingua anglossassone le linee guida per il trattamento dell’enuresi
notturna primaria indicano come trattamento di prima linea l’azione sulla difficoltà di risvegliarsi
dal sonno, risolta attraverso un allarme sonoro (Neveus, 2011). Il meccanismo è relativamente
semplice: quando la prima goccia di urina della minzione notturna involontaria raggiunge un
sensore nel letto o sotto il pigiama si attiva un intenso rumore – ad esempio un campanello – che
risveglia il bambino. Secondo alcune ricerche la percentuale di efficacia varia tra il 50 e l’80%
(Glazener, Evans, 2007).
I problemi psicologici che accompagnano l’enuresi possono essere spesso importanti, soprattutto se
la situazione è mal gestita con rimproveri, un atteggiamento squalificante o mortificando il
bambino. Le ricerche ci mostrano come i bambini che soffrono di enuresi hanno anche un basso
livello di autostima, almeno fino a quando il problema è presente (Hägglöf, Andrén, Bergström, et
al., 1997); problemi di enuresi diurna e notturna sono più comuni tra i bambini che soffrono di
disturbo di deficit d’attenzione e iperattività [ADHD] (Duel, Steinberg-Epstein, Hill, et al., 2003),
tanto che circa il 15% dei bambini con enuresi hanno una diagnosi di ADHD e viceversa (Baeyens,
Roeyers, Hoebeke, et al., 2004; Elia, Takeda, Deberardinis, et al., 2009) e sono più a rischio di
disturbi depressivi e in genere di difficoltà relazionali a scuola (Yeung, Sihoe, Sit, et al., 2004).
Molte linee guida indicano nella terapia comportamentale e cognitivo-comportamentale il
trattamento d’elezione per l’enuresi, anche se non ci sono dati relativi a studi randomizzati
controllati, ma solo riscontri dall’esperienza clinica internazionale (Lane, Robson, 2009). Lo scopo
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primario della terapia comportamentale è aiutare il bambino ad avere adeguate abitudini: deve
essere incoraggiato a svuotare la vescica con frequenza sufficiente ad evitare l’urgenza e
l’incontinenza diurna, individuando anche un momento preciso nella giornata (es. la mattina) per
svuotare il retto. Un aspetto centrale degli interventi cognitivo-comportamentali è la spiegazione al
bambino del meccanismo della diuresi, della minzione, insegnandogli a mettere in atto alcuni
esercizi di controllo (urinare volontariamente, interrompere volontariamente, trattenere il flusso e
riprendere la minzione). È anche importante tenere traccia, magari su un calendario delle occasioni
in cui il problema è stato gestito adeguatamente (es. una notte senza fare la pipì a letto) supportando
e riconoscendo apertamente il successo e rinforzando con piccoli premi che il bambino desidera.
Bisogna avere pazienza, nel senso che i risultati non ci possono essere prima di almeno sei mesi ed
è importante il coinvolgimento dei genitori. È importante riuscire a far capire alle famiglie che non
c’è nessuna corsa per riuscire, che il tempo necessario è tutto il tempo che ci vuole e che contano
anche piccoli e lenti progressi. Spesso si tratta di famiglie in cui uno o entrambi i genitori hanno
aspettative elevate verso il bambino (e verso se stessi), tendono ad essere molto attenti alla buona
qualità delle prestazioni in vari ambiti della vita del bambino, dalla scuola allo sport, faticando ad
accettare gli insuccessi. Vanno quindi aiutati ad accogliere quelle che ai loro occhi sono
imperfezioni o mancanze del bambino (e che a volte possono attribuire anche a loro mancanze e
incapacità) diminuendo la pressione sul piccolo non solo per quello che riguarda la pipì, ma in
generale. Nel caso dell’enuresi secondaria legata alla nascita di un fratellino (o sorellina) è utile
aiutare i genitori – mamma e papà – a cercare degli spazi e dei momenti in cui stare con il bambino
- giocare insieme, fare una cosa speciale, ritagliare uno spazio solo suo - facendogli sentire di nuovo
il senso di unicità che forse avverte di avere un po’ perso. È importante anche spiegare bene il senso
di tutte le prescrizioni comportamentali perché l’intervento ha migliori possibilità di riuscita se
bambino e genitori riescono a comprendere il senso delle richieste dell’esperto.
Cosa può fare l’insegnante
Lavoro in classe: il senso di vergogna e imbarazzo accompagna spesso le giornate di questi
bambini, che quando soffrono di enuresi diurna sono spesso preoccupati di fare pipì davanti agli
altri. Se succede in classe spesso può essere un episodio molto doloroso che resta nella memoria e
nella storia del bambino con uno strascico di dolore. È importante gestire adeguatamente gli episodi
che avvengono in classe. Ovviamente il bambino che si è fatto la pipì addosso non va assolutamente
mortificato e va bloccato sul nascere ogni commento squalificante o di dileggio dei compagni di
classe, spiegando (magari quando il bambino è in bagno a cambiarsi) che è un problema fisiologico
che potrebbe capitare a chiunque. Per ridurre al minimo l’impatto dell’evento è buona norma,
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quando si è o si è venuti a conoscenza del problema, farsi portare dai genitori e lasciare in classe un
cambio: potersi rivestire subito in modo da non puzzare o restare bagnati riduce in modo
significativo il senso di imbarazzo e di vulnerabilità del bambino e consente di riprendere il lavoro
in modo normale senza che l’episodio diventi il centro dell’attenzione della giornata e anzi possa
essere dimenticato presto. Lo stesso nelle occasioni di gite scolastiche o quando è previsto che si
dorma fuori. A volte i bambini con enuresi notturna non vogliono dormire in altri luoghi che la loro
casa perché hanno paura di bagnarsi durante la notte, ma questo a sua volta genera un vissuto di
esclusione e di isolamento che aumenta il malessere e lo stress del bambino. A volte sono proprio i
genitori che non lo lasciano andare in gita per la paura che si bagni. Scegliere dei compagni di
stanza adatti, tra i più maturi e comprensivi può essere una strategia che aiuta il bambino a esporsi
gradatamente alle situazioni che teme. Facendo riferimento alle indicazioni della terapia
comportamentale è importante far andare al bagno il bambino più spesso degli altri. Così è
importante cercare di ridurre le situazioni di ansia e paura che generano uno stato di stress che a sua
volta facilita gli episodi.
Lavoro con i genitori: ci sono alcuni aspetti su cui è bene aiutare i genitori. Per prima cosa va
ricordato loro che è importante tranquillizzare il bambino su quello che gli succede ed essere
sempre disposti a parlare con lui, ma soprattutto ad ascoltarlo. Dal suo punto di vista ciò che gli
accade è assolutamente fuori dal suo controllo e dalla sua volontà e questo gli lascia una sensazione
di impotenza difficile da dissipare. Durante il giorno va fatto bere spesso poiché più liquidi assume
più produce urina che favorisce la dilatazione della vescica, mentre nelle due ore prima di andare a
letto il bambino dovrebbe bere non più di mezzo bicchiere d’acqua. Abbiamo visto poco sopra che è
importante gratificare il bambino quando non si è bagnato nel corso della notte, ma è altrettanto
importante reagire gentilmente e non in modo punitivo quando avviene: l’atteggiamento punitivo
non fa altro che rimandare nel tempo la risoluzione del problema. Sul sito della International
Children’s Continence Society è possibile reperire interessante materiale informativo, ovviamente
in lingua inglese al sito: http://www.i-c-c-s.org.
Proprio a partire dal lavoro clinico e di ricerca in ambito medico su questo tipo di problemi è
emersa la parziale inadeguatezza della classificazione del DSM-IV e la necessità di tener
adeguatamente conto di quanto messo in luce da urologi e pediatri. In particolare gli aspetti che
richiederebbero un aggiustamento sul piano diagnostico sono i seguenti
1. l’enuresi (o enuresi notturna) indica ogni tipo di incontinenza intermittente durante il sonno
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2. per la diagnosi è necessario differenziare tra quattro sottotipi: primaria/secondaria e
monosintomatica/non monosintomatica (caratterizzata da segni di disfunzioni vescicali durante il
giorno, es. incontinenza diurna, urgenza e frequenza dello stimolo, flusso interrotto)
3. il termine enuresi diurna è obsoleto e non deve più essere utilizzato
4. nel caso di incontinenza sia diurna che notturna è necessario fare due diagnosi: enuresi e
incontinenza diurna.
5. l’incontinenza diurna funzionale comprende un gruppo eterogeneo di disturbi che riciedono
diagnosi appropriate e uno specifico trattamento.
X.x Encopresi
L‘acquisizione del controllo sfinterico e il conseguente uso del vasino è un altro passo molto
importante nella crescita di un bambino. Normalmente la maggior parte dei bambini inizia a dare
segno di essere pronta emotivamente e fisicamente per usare il vasino tra i due e i tre anni di età,
anche se alcuni vi arrivano prima e altri addirittura dopo. Generalmente le bambine sono più
precoci dei maschi. Come ogni momento della crescita, anche questo, va affrontato con calma e
tranquillità, anche se a volte la gestione del vasino può diventare un problema relazionale tra
genitori e bambino. La prima tappa importante nel percorso di sviluppo del controllo sfinterico è
che il bambino deve avere consapevolezza della propria urina e delle proprie feci, cioè deve
accorgersi di aver bagnato o sporcato il pannolino. In un secondo momento deve riuscire a
riconoscere lo stimolo, pur non essendo ancora in grado di controllarlo, deve poi desiderare di
provare a usare il vasino e successivamente deve saper controllare e posticipare di qualche minuto
quando “gli scappa”. Nel processo naturale di acquisizione di questa competenza c’è quindi un
processo di integrazione tra percezione adeguata di stimoli sensoriali e controllo volontario del
proprio corpo, che avviene sempre dentro la cornice di una relazione con l’adulto che determina
anche quale valore ha ciò che sta avvenendo.
Vi sono alcuni indicatori che segnalano quando un bambino può iniziare a essere abituato al
controllo sfinterico e che sono assai utili per non rischiare d’anticipare di troppo l’uso del vasino:
a. I pannolini del bambino sono asciutti per almeno due ore durante l'arco della giornata o dopo il
sonnellino e i movimenti del suo intestino stanno diventando regolari e prevedibili
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b. Le espressioni del viso o la postura indicano quando sta lasciando andare pipì o feci, inoltre,
quando sporca il pannolino non sembra a suo agio e si agita o chiede di essere cambiato
c. Quando è in bagno, aiuta a farsi svestire ed è pronto a seguire semplici istruzioni
d. Sa nominare la pipì o la cacca e, anche solo per gioco, chiede di usare, il vasino o di mettere le
mutandine.
Se l’età lo consente, è più facile abituare i bambini al vasino nel periodo estivo perché la minor
quantità di indumenti rende più facile svestirli o cambiarli se non si arriva in tempo. È importante
anche non iniziare il percorso di educazione all’uso del vasino in un periodo in cui vi siano grandi
cambiamenti in atto all'interno della famiglia, come ad esempio un trasloco, la nascita di un altro
figlio, il passaggio a un altro asilo, una vacanza in famiglia, una malattia o un divorzio. Ci sono
alcuni suggerimenti pratici che possono essere di aiuto ai genitori e agli educatori: quando si ritiene
che il bambino sia pronto è importante incoraggiarlo allegramente ad affrontare questo passo e “a
essere un bambino o una bambina grandi”'. È altrettanto importante non insistere troppo, ma
chiedere la sua collaborazione, facendogli capire che noi siamo lì per aiutarlo. Lo stesso
atteggiamento giocoso, deve essere seguito anche dalle altre persone che si prendono cura di lui
(es., babysitter, nonni, parenti). E’ necessario mostrarsi pazienti poiché i risultati non arriveranno
subito. Potrebbero essere necessarie diverse settimane. Come abbiamo visto in precedenza il
mancato controllo della vescica tende a essere un fattore ereditario, e spesso uno o più componenti
della famiglia risultano avere avuto problemi simili da bambini. Importante è assicurarsi che il
nostro bambino comprenda ciò che gli diciamo e ciò che desideriamo lui faccia. L’esempio è molto
importante per i nostri bambini, permettiamogli quindi di osservare il fratello o la sorella mentre
sono in bagno, ma ancor più è utile che le madri mostrino come si fa la pipì alle bambine e i padri lo
facciano con i maschietti. È anche importante decidere quali parole usare per descrivere le parti del
corpo, oppure come chiamare l’urina e le feci: meglio usare i termini comuni e familiari ed evitare
naturalmente di descrivere gesti o situazioni, con termini “sporchi o negativi”. Andare in bagno è
del tutto naturale, non deve essere vissuto con vergogna. Il vasino deve essere pratico, leggero,
colorato e divertente. Se alcuni genitori preferiscono da subito usare il water è necessario utilizzare
un riduttore e uno sgabello per appoggiare i piedi. Alcuni bambini hanno paura di cadere nel water
e si sentono più a loro agio con i piedi appoggiati. Nel processo per abituare gradualmente all’uso
del vasino è possibile anche lasciare che il bambino si sieda vestito, incoraggiandolo in un secondo
momento a sedersi senza pantaloni e pannolino e per le prime volte si può lasciarlo usare anche in
altre stanze, fuori dal bagno, per poi progressivamente portarlo nella zona adatta. Per i bambini la
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regolarità e la ripetitività dei comportamenti è un mezzo necessario perché le abitudini si
consolidino, quindi è importante far sedere il bambino sul vasino alla stessa ora ogni giorno in
modo tale che diventi una routine. È bene provare nelle ore in cui generalmente fa la pipì o la cacca,
ad esempio dopo colazione e alla fine degli altri pasti oppure dopo che avrà bevuto un pochino. Va
incoraggiato a provare anche in altri “momenti chiave” della giornata, come prima e dopo il
sonnellino, prima del bagnetto e prima di andare a dormire. Cercare di prenderlo in tempo, quando
mostra segni che ha bisogno di fare la pipì o la cacca è importante per poterlo gratificare se riesce.
Fare in modo che le sedute sul vasino non siano brevi, almeno qualche minuto, consente di dare al
bambino la possibilità di rilassarsi e di fare, nel caso, i propri bisogni. Non è possibile avere risultati
positivi, se non attraverso la sua collaborazione, quindi è meglio parlargli con un tono incoraggiante
oppure leggergli un libro sull'argomento. Un testo divertente è “Chi me l'ha fatta in testa?”
(Holzwarth, Erlbruch, 2007) in cui una talpa, uscendo dalla propria tana, si ritrova con una cacca a
mo' di turbante; pur essendo assai miope, decide di svolgere accurate indagini e scoprire l'autore di
quel gesto così sconveniente in un percorso che fa scoprire le forme delle cacche ... fino a trovare il
proprietario della cosa che ha in testa. Non bisogna aspettarsi che il bambino faccia tutto subito, né
mostrarsi delusi se non combina niente, … ma quando lo farà, merita un premio con lodi e abbracci.
Le ricompense e gli incentivi, in questa prima fase, possono essere molto utili. Alcuni genitori lo
scrivono sul calendario e danno un piccolo premio ogni volta che il bambino usa con successo il
vasino. Con il tempo, sarà importante insegnare al bambino a compiere tutti i passaggi che lo
porteranno al controllo sfinterico: sentire lo stimolo, lasciare l’attività che sta facendo, andare verso
il bagno, abbassarsi i pantaloni, sedersi sul vasino o sul water, fare la pipì e/o la cacca, strappare un
pezzo di carta igienica, pulirsi il sederino partendo dalla parte anteriore e procedendo verso quella
posteriore (per prevenire le infezioni urinarie e vaginali nelle bambine), gettare la carta igienica nel
water, alzarsi le mutandine e i pantaloni, schiacciare l'acqua, e lavarsi e asciugarsi le mani.
Scegliere vesti pratici, con pantaloni larghi, facili da abbassare e rimettere, consente di creare uno
spazio in cui il bambino sperimenta un poco di autonomia. È molto importante il modo in cui sono
gestiti gli incidenti di percorso che non devono essere sanzionati e soprattutto non devono mai
portare ad un atteggiamento di squalifica, disprezzo o disgusto espresso linguisticamente o con
l’atteggiamento dell’adulto, ma vanno gestiti in modo comprensivo e pratico. Genitori ed educatori
è bene che abbiano pronta la scorta di mutande, pantaloni, salviettine intime e sacchetti di plastica a
portata di mano da usare al bisogno. Un buon mezzo di apprendimento è una bambola che impara
insieme al bambino e a cui lui può insegnare ciò che sta imparando a fare. L’uso del vasino è un
processo che richiede tempo per essere raggiunto, i genitori spesso vanno aiutati a non avvertire un
senso di fallimento se il bambino ha bisogno di un tempo più lungo rispetto ai coetanei e soprattutto
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a sostenere con affetto il piccolo. Ci sono però situazioni in cui questo processo naturale che si
raggiunge intorno ai quattro anni non si instaura oppure, una volta acquisito viene perduto. È la
situazione che clinicamente viene definita come encopresi.
(inizio box)
Il DSM-IV-TR definisce così i criteri per la diagnosi di encopresi (p. 134):
La manifestazione fondamentale dell'encopresi è la ripetuta
A. evacuazione di feci in luoghi inappropriati (per esempio nei vestiti, sul pavimento) sia
involontaria che intenzionale
B. l'evento deve verificarsi almeno una volta al mese per un periodo minimo di tre mesi
C. l’età cronologica è almeno quattro anni (o il livello di sviluppo è equivalente)
D. il comportamento non è dovuto esclusivamente agli effetti fisiologici di una sostanza (lassativi) o
di una condizione medica generale, se non attraverso un meccanismo che comporti costipazione
Si distinguono due tipi di decorso:
decorso primario: in cui il soggetto non ha mai raggiunto il controllo delle sfintere anale;
decorso secondario: in cui il disturbo si manifesta dopo che per un certo periodo è stato raggiunto il
normale controllo sfinterico.
L'encopresi può essere distinta in due sottotipi in base al quadro clinico:
con costipazione e incontinenza da sovra-riempimento: la fuoriuscita delle feci è continua e avviene
sia di giorno che durante la notte
senza costipazione e incontinenza da sovra-riempimento: le feci sono di consistenza normale il
soggetto si sporca in modo intermittente. Le feci possono essere deposte in luoghi significativi.
(fine box)
Epidemiologia
L’incontinenza fecale volontaria, che avviene per lo più di giorno, è molto più rara di quella
urinaria, però le conseguenze sociali e relazionali nell’incontinenza fecale sono molto più marcate e
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quindi è sufficiente una frequenza minore rispetto all’emissione di urine per porre la diagnosi. In
gastroenterologia pediatrica è stato messo a punto un sistema di classificazione dei disturbi in età
infantile ROME-III in due versioni: 0-4 anni (Hyman, Milla, Benninga et. al., 2006) e 4-18
(Rasquin, Di Lorenzo, Forbes, et al., 2006). In questi lavori il termine encopresi è stato sostituito
dal termine di incontinenza fecale volontaria. Anche se si tratta di problematiche di segno opposto,
c’è un legame importante tra l’incontinenza fecale volontaria e i problemi di costipazione tanto che
in questo sistema classificatorio il disturbo principale è stato considerato la costipazione funzionale
che può essere accompagnata dal problema dell’incontinenza fecale oppure no. Dal punto di vista
della frequenza mentre solo 1% dei bambini di cinque anni soffre di encopresi, prevalentemente
maschi, ben 9% soffre di costipazione (van den Berg, Benninga, Di Lorenzo, 2006). La
costipazione è associata a ritenzione fecale, defecazione dolorosa, tempi di transito nel colon lenti e
altri sintomi (von Gontard, Neveus, 2006; Benninga, Buller, Heymans, et al., 1994). La definizione
di costipazione è difficile e non può essere basata solo su una bassa frequenza di defecazione,
perché alcuni bambini pur defecando un poco, tendono a trattenere le feci nel retto. In questo tipo di
disturbi è molto importante l’intervento precoce che è associato a un più alto tasso di successo
(Rasquin, Di Lorenzo, Forbes, et al., 2006). Anche se al momento non sono previste modificazioni
nei criteri diagnostici nel passaggio dal DSM-IV-TR al DSM-5, le ricerche svolte soprattutto in
campo pediatrico suggerirebbero la necessità di tenere conto di queste interconnessioni tra
costipazione e incontinenza fecale introducendo nei criteri diagnostici anche alcuni dettagli specifici
su questi aspetti ritentivi tratti dal ROME-III (von Gontard, 2011).
Parlando più strettamente dell’encopresi, studi ampi sulla popolazione sono piuttosto rari. La stima
della prevalenza del disturbo basata sui dati medici è scarsa perché i genitori tendono a evitare di
chiedere aiuto al medico per questo tipo di problemi, anche se sono proprio queste le situazioni per
cui sarebbe assolutamente necessario un intervento precoce, in considerazione delle conseguenze
importanti sulla salute psicologica del bambino. In un lavoro svolto in Olanda nel 2005 su 18456
bambini di 5-6 anni e 16293 di 11-12 anni, è stato osservato che la prevalenza dell’encopresi era del
4.1% nei bambini di 5-6 anni e del 1.6% nel gruppo di età maggiore, con una percentuale maggiore
tra i maschi e in coloro che vivevano in aree disagiate. Di questi bambini solo il 37.7% tra quelli di
5-6 anni e il 27.4% tra quelli di 11-12 avevano avuto la possibilità di essere seguiti con un
intervento appropriato. Questa mancanza è purtroppo un problema diffuso: molti bambini con un
disturbo dell’evacuazione non ricevono una diagnosi adeguata né quindi il trattamento necessario.
Spesso i genitori faticano a rivolgersi allo specialista perché pensano che il problema sia legato alla
pigrizia del bambino o alla sua indifferenza verso il problema, oppure perché si vergognano per non
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essere stati capaci di evitare il problema. Il trattamento invece consente di intervenire anche sui
problemi psicologici concomitanti, quali disturbi del comportamento, difficoltà di apprendimento
situazioni di abuso. Pur non essendo interventi brevi gli interventi terapeutici sono possibili ed
efficaci (van der Wal, Benninga, Hirasing, 2005).
Cause
Tra le cause dell’encopresi, uno dei motivi scatenanti (ma non l’unico) può essere individuato in
qualche evento accaduto durante il processo di acquisizione del controllo sfinterico e che ha causato
dolore, fastidio o paura nel momento dell’emissione delle feci – ad esempio il flusso rumoroso
dell’acqua di scarico o una defecazione per qualche motivo accompagnata da intenso dolore - che
hanno spaventato il bambino (Cox, Ritterband, Quillian et al., 2003). Un altro fattore scatenante
possono essere comportamenti di abuso che abbiano interessato prevalentemente l’area anale.
Attenzione: non tutti i bambini che hanno un problema di encopresi sono stati abusati, ma molti
bambini abusati hanno anche problemi di encopresi. Altri fattori di rischio più fisici sono uno stato
di costipazione cronica precoce, scarsa motilità intestinale e un tono muscolare basso ed anche una
scarsa consapevolezza delle sensazioni corporee, compresi gli stimoli dolorosi. Anche un ritardo nel
training alla pulizia, soprattutto se senza adeguata attenzione e guida genitoriale o condotta in modo
confuso, incoerente e contradditorio può essere una fattore di rischio. Il disturbo può essere presente
nei bambini con disturbi dell’attenzione e soprattutto nei disturbi oppositivo-provocatori, nei
disturbi della condotta e nei disturbi ossessivo-compulsivi. Lo stile familiare è spesso marcatamente
focalizzato sull’ambiente circostante, sugli aspetti prestazionali e sull’apprendimento e molto meno
o per nulla sull’acquisizione delle abilità motorie. Infine anche il ritardo mentale e le varie forme di
disabilità possono costituire un importante fattore di rischio (Padgett Coehlo, 2011).
I comportamenti che possiamo osservare nel bambino non sono sempre identici. In alcuni casi
infatti il piccolo si isola per defecare, altre volte invece defeca senza interrompere ciò che sta
facendo, altre capita che perda le feci mentre sta andando in bagno. Anche le reazioni del bambino
possono essere molto diverse e segnalare un diverso stile di regolazione delle emozioni e del
comportamento: può ostentare indifferenza a quello che è avvenuto, nascondersi o cambiare e
nascondere i suoi indumenti sporchi, ostentare il fatto di essersi sporcato in modo provocatorio. In
alcuni casi sono bambini passivi e ansiosi e il non riuscire a controllare l’emissione delle feci è un
modo passivo-aggressivo di esprimere in modo immaturo la propria rabbia verso i genitori. In altri
casi sono invece bambini che tendono a essere oppositivi e con il loro comportamento manifestano
il loro rifiuto a sottomettersi alle regole. Non basta quindi la semplice osservazione del
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comportamento per comprendere il senso e il valore che questo sintomo ha per il bambino e
soprattutto la sua funzione relazionale, ma è necessario osservare in modo più ampio la qualità
dell’interazione con le figure di riferimento.
Varie ricerche soprattutto condotte in tempi recenti hanno messo in relazione l’encopresi con i
disturbi esternalizzanti, anche se i dati non sono sempre concordi. Una ricerca condotta su un
campione olandese ha rilevato un’elevata percentuale di disagio psicologico nei bambini con
problemi di encopresi, di cui 36% disturbi internalizzanti e 27% disturbi esternalizzanti,
prevalentemente disturbi comportamentali. Bambini con un disturbo oppositivo provocatorio e che
presentano anche sintomi regolari di incontinenza fecale tendono ad avere più comportamenti
antisociali e compiere atti di bullismo rispetto ai bambini in cui l’incontinenza fecale è sporadica;
tendono anche ad avere un disturbo da comportamento dirompente. Spesso l’esacerbarsi dei
comportamenti provocatori e oppositivi tende a essere amplificata dalla percezione che i genitori
progressivamente sviluppano sui loro bambini, che vengono descritti e pensati come bambini
impossibili, terribili e che devono essere tenuti in riga anche a forza: l’uso frequente di un
atteggiamento punitivo e rigido innesca spesso un circolo vizioso che non fa altro che aumentare il
comportamento disturbato del bambino. Il modo in cui un genitore percepisce e quindi descrive il
suo bambino è molto importante, perché le etichette linguistiche e le rappresentazioni sottostanti
guidano in maniera potente le nostre azioni, il modo in cui ci approcciamo a una persona o a
problema. Quando i genitori di bambini encopretici tendevano a definire i loro figli cocciuti o
caparbi, l’efficacia del trattamento psicoterapeutico era minore, rispetto ai casi in cui – a parità di
gravità di diagnosi – non c’era questa percezione negativa nei genitori. In alcuni casi i
comportamenti esternalizzanti possono precedere la comparsa del disturbo dell’evacuazione, in altri
casi invece il disagio e il dolore legati al disturbo innescano i problemi comportamentali (van Dijk,
Benninga, Grootenhuis 2010). In queste famiglie spesso il padre ha un ruolo di secondo piano
rispetto alla relazione madre-bambino e la madre – frequentemente molto preoccupata della
regolarità fisiologica - è spesso rigida nell’educazione al controllo sfinterico e vescicale e in
generale sul comportamento del bambino. Quando l’encopresi viene utilizzata nella relazione in
modo oppositivo è importante lavorare per cercare di costruire un assetto cooperativo con il
bambino (per questo motivo gli interventi comportamentali di regolazione comportamentale e di
toilet-training a volte funzionano e a volte no). Proprio perché spesso è la mamma che è
iperfocalizzata sugli aspetti della pulizia, è importante che sia proprio la mamma a cercare di far
sentire il bambino integrato nella famiglia cercando di costruire con lui dei momenti di maggiore e
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calda collaborazione, per trasformare l’atteggiamento oppositivo in un momento di vicinanza e
condivisione.
Trattamento
Anche con i trattamenti più efficaci sono necessari almeno sei mesi o un anno perché il bambino
riacquisiti in modo relativamente stabile il controllo intestinale e le ricadute sono assolutamente la
norma, soprattutto nei momenti in cui si verificano dei cambiamenti di vita o nei passaggi, ad
esempio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria. Gli interventi comportamentali (Kuhn,
Marcus, Pitner, 1999) sono uno dei trattamenti di elezione, secondo le linee guida più diffuse, anche
se hanno l’importante limite di agire prevalentemente sul comportamento legato alla defecazione,
trascurando il ruolo e l’importanza primaria dei disturbi comportamentali (van Dijk, Benninga,
Grootenhuis, et al., 2010). I genitori spesso sono disorientati perché non riescono a capire quali
possono essere i tipi di interventi più funzionali per modificare il comportamento dei loro bambini.
Le punizioni di fatto non funzionano e tendono a incrementare piuttosto che ridurre la tendenza a
defecare nei posti inappropriati. Molto più funzionale è cercare di aiutare i bambini a capire perché
si presenta il problema, con l’ausilio di supporti adatti (pupazzetti, disegni, storie), aiutarli a
mantenere una certa regolarità nell’andare in bagno per evacuare e migliorare la dieta. È importante
rendere l’andare in bagno un momento connotato da tranquillità e serenità, in cui l’adulto e il
bambino stanno insieme bene, dentro una buona e calda relazione affettiva. Questo spesso può
essere difficile da trasmettere a quelle famiglie in cui tutto ciò che ha a che fare con i bisogni
corporali è avvertito come qualche cosa di sporco e brutto che si deve cercare di tenere nascosto per
quel che è possibile. Questo ci permette di capire anche quanto sia importante la componente di
protesta e di rabbia che il comportamento disfunzionale del bambino spesso può avere nei confronti
dei suoi genitori. Da un punto di vista strettamente comportamentale è di aiuto lasciare che sia il
bambino, quando il livello cognitivo lo consente, a decidere in parte il programma (quando andare
in bagno, per quanto tempo starci, cosa avere come ricompensa). Può essere utile anche farsi aiutare
a pulire gli abiti sporchi e fare il bagno da soli, l’importante è dare loro delle istruzioni precise,
chiare e commisurate alla loro età. Utili sono anche i diari o tenere nota sul calendario dei propri
successi. È importante mantenere sempre le promesse che sono state fatte, questo è un principio che
vale per tutti i bambini, ma per questi è particolarmente importante perché vuol dire potersi fidare
dell’altro. Da un punto di vista psicologico tutti gli interventi devono essere orientati a far sì che il
bambino sviluppi la sua capacità di controllo interno e di autoregolazione e soprattutto migliori il
suo senso di autoefficacia. Quando sono presenti altri disturbi, come ad esempio un disturbo di
deficit d’attenzione e iperattività ADHD oppure un disturbo oppositivo-provocatorio, è importante
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intervenire tempestivamente su questi aspetti più rilevanti e pervasivi perché il disturbo
dell’evacuazione è per lo più un sintomo secondario (Friman Hofstadter, Jones, 2006). Quando
sono presenti disturbi comportamentali - aggressività, oppositività, accessi di collera – è difficile
ottenere l’adesione del bambino alle richieste dei genitori e la presenza di difficoltà
comportamentali è correlata ad un esito peggiore nell’acquisizione di abitudini adeguate
nell’evacuazione (Levine, Bakow 1976). Nei casi in cui ci sono difficoltà comportamentali in altre
aree, quali il vestirsi, il lavarsi, l’andare a letto, queste vanno trattate prima di occuparsi del
problema dell’evacuazione.
Per chiunque si occupi del bambino, dallo psicologo, all’educatore all’insegnante, è importante
vedere direttamente se e quanto riesce a seguire o fatica a seguire le richieste dei genitori, non solo
basarsi sulla loro descrizione del bambino e su quanto essi raccontano. È possibile aiutare i genitori
a ridurre l’opposizione del figlio e aumentare l’adesione alle loro richieste attraverso specifici
protocolli (Forehand, McMahon 1981; Hembree-Kigin, McNeil, 1995) che si possono riassumere
nei seguenti punti:
a. dilazionare la propria riposta in modo da avere lo spazio per gestire l’irritazione, a frustrazione
e l’aggressività che il comportamento del bambino può avere generato: contare fino a dieci serve
sempre
b. riconoscere e valorizzare sempre i buoni comportamenti, anche etichettandoli “grazie per essere
stato gentile/cooperativo/attento
c. rinforzarli anche con una ricompensa concreta
d. creare delle occasioni in cui il bambino può fare qualcosa e avere successo
e. creare delle occasioni in cui il bambino può scegliere cosa fare e avere la sensazione di
controllare la situazione, invece di imporre le proprie decisioni
f. se si devono stabilire delle regole stabilirle in modo chiaro, ben definito, coerente e mantenerle:
mai cambiare un accordo a meno di non averlo negoziato nel frattempo o disattenderlo
g. la routine aiuta
Ricordando che i sintomi dei bambini sono sempre legati alla relazione con le figure di riferimento
e dalla qualità e tipo di questa relazione ricevono il loro significato più profondo, le dinamiche
familiari dei bambini con disturbi dell’evacuazione sono problematiche e i rapporti interpersonali
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spesso difficili. Spesso, come abbiamo visto poco sopra, i genitori tendono ad essere molto rigidi e
attenti alla pulizia e la famiglia presenta spesso un inadeguato atteggiamento pedagogico nei
confronti del bambino, ad esempio attraverso richieste troppo elevate o richieste fatte in modo
rigido e impositivo. A questo atteggiamento il bambino può rispondere in modi diversi: assumere
un atteggiamento passivo che si manifesta attraverso il sintomo, oppure assumere un
comportamento apertamente oppositivo con i rifiuto di sottomettersi al modello educativo e alle
regole della famiglia. A volte l’encopresi è una richiesta di attenzione rivolta ai genitori, altre volte
è espressione di una regressione nell’evoluzione del bambino dovuta a fatti reali della vita familiare,
ad esempio la nascita si un fratellino o l’inserimento a scuola, altre volte ancora l’espressione di
rabbia e dolore.
Cosa deve fare l’insegnante
È importante il contatto tra la scuola e la famiglia, quindi i genitori devono essere avvertiti se il
problema non è uno o pochi episodi isolati e molto distanziati tra loro. Nel contatto con i genitori è
utile raccogliere un po’ di informazioni per capire la frequenza reale degli episodi e se del caso
suggerire un colloquio con lo specialista.
In classe è importante cercare di capire cosa è successo e se il bambino è consapevole degli stimoli
fisiologici, soprattutto è necessario non mortificare mail il bambino né sottolineare eccessivamente
l’avvenimento, meglio connotarlo come qualche cosa che può capitare, su cui si interviene
pragmaticamente in modo da togliere il disagio e la vergogna (per lo sporco e la puzza). Anche in
classe si possono mettere in atto alcune delle strategie comportamentali consigliate sopra per
cercare di costruire delle abitudini regolari: capire che dieta alimentare segue abitualmente il
bambino può essere molto utile per spingere a normalizzare la dieta. Spesso infatti sono bambini
che tendono a cibarsi di pochi alimenti preferiti, per lo più quelli che non aiutano il transito
intestinale: ricordiamo che l’encopresi si alterna e accompagna spesso con stipsi ostinata che si può
protrarre anche per una decina di giorni. Un altro intervento fattibile nella scuola è organizzare dei
momenti cadenzati per andare in bagno e la vicinanza di un insegnante accogliente può costituire
un’esperienza emotiva correttiva importante.
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