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L'arte della memoria
Alla Fondazione Braglia di Lugano le opere del pittore Zoran Music
/ 05.12.2016
di Alessia Brughera
Capita spesso che per comprendere appieno un artista sia necessario ripercorrere le tappe salienti
della sua esistenza. Questo è particolarmente vero per un pittore come Zoran Music, le cui opere
diventano lo spazio fisico dove dare rifugio ai sentimenti e ai ricordi, ai dolori e alle nostalgie di una
vita. L’arte di Music è visceralmente legata agli accadimenti e ai luoghi che hanno segnato il suo
cammino di uomo, momenti che si sono impressi in maniera indelebile nel suo animo e che con la
stessa forza si sono poi riversati sulle sue tele.
«Pittore della memoria» è stato definito l’artista italo-sloveno nato nel 1909 a Gorizia, allora città
austro-ungarica (e scomparso a Venezia nel 2005). Una memoria che torna indietro sino all’infanzia,
agli anni della Dalmazia e del Carso, territori di confine che riflettono la conformazione multietnica
dell’Impero asburgico e che si dispiegano davanti agli occhi di Music con le loro forme aride e
severe, restituite nei dipinti in una luce sfatta e pacata. Una memoria che si sofferma sull’infausta
esperienza di prigionia nel lager di Dachau – dove il pittore viene internato nel 1944, reo di aver
rifiutato di arruolarsi nelle SS – per trasformare quell’orrore in immagini dal drammatico lirismo.
Una memoria che trova tregua nelle cristalline vedute di una Venezia mitica e languida e che si
insinua nei corpi e nei volti ritratti per farsi specchio della dolente consapevolezza della fatica di
vivere.
Una mostra alla Fondazione Braglia di Lugano ci parla di questo artista che con la pittura ha
espresso il suo essere uomo in un tempo che gli ha concesso gioie e gli ha imposto dolori. A colpire
Gabriele e Anna Braglia è stata proprio la capacità di Music di tradurre con struggente malinconia
ogni sentimento scaturito dalla sua vicenda umana. L’intento dei due collezionisti non è mai stato
quello di dare una visione d’insieme della sua opera, eppure si sono trovati a possedere lavori che
testimoniano quasi interamente il percorso creativo del pittore, consapevoli che per arrivare a
conoscerlo davvero bisognava cogliere il lento dispiegarsi della sua storia personale attraverso la
sua arte.
I Braglia conoscono Music nel 1962 a Cortina d’Ampezzo, la città in cui una decina di anni prima
l’artista aveva vinto il prestigioso Prix de Paris che lo aveva consacrato a fama internazionale. In
questa occasione acquistano la loro prima opera del pittore, un pastello dal titolo Motivo italiano
dove il segno rapido e colorato si fa intimamente evocativo. Lo incontrano di nuovo negli anni
Ottanta, a Venezia, rimanendo sempre più affascinati dal suo saper rappresentare soggetti dalla
forte tragicità o dalla quieta serenità con la medesima profondità di spirito.
Il percorso espositivo di Lugano riunisce una settantina di opere che ben documentano le tematiche
principali trattate dal pittore, a partire dagli acquarelli veneziani, di cui la raccolta Braglia annovera
una ventina di pezzi degli ottanta circa realizzati da Music.
Eleganti e luminosi, questi lavori risalenti agli anni Quaranta sono espressione del felice incontro
dell’artista con la città lagunare dopo il terribile periodo di internamento. A Venezia, diceva Music,
«trovavo l’Occidente e l’Oriente così intimamente fusi che ho capito che lì c’erano la mia tradizione e
la mia verità». Il pittore contempla gli scorci della Serenissima per poi farli vibrare sulla carta
attraverso colori limpidi, a delineare visioni sognanti in cui il ritmo viene dettato dai picchiettii del
pennello. Venezia è la luce che tenta di allontanare il buio, è la leggerezza che tenta di contrastare il
peso dei ricordi.
Degli anni Cinquanta vi sono diverse opere appartenenti alla serie dei Motivi dalmati e dei Cavallini,
dipinti fiabeschi dall’impasto cromatico polveroso in cui le tinte terrose si uniscono al bianco, al nero
e a delicate tonalità fredde di grigi e di azzurri. Sono tele in cui il tempo e lo spazio sembrano
sospesi nel terso chiarore che accarezza il paesaggio scabro. Gruppi di cavalli popolano questi luoghi
come presenze arcaiche, con le loro silhouette preistoriche che evocano un’epoca mitica e le loro
groppe che si confondono con le rocce aride e i dorsali porosi dei monti. In Motivo dalmata del 1952,
ad esempio, li vediamo fondersi con la natura scarna che li circonda mentre guardano l’orizzonte
delle alture carsiche rappresentate come grandi archi neri. Esili e ineffabili, questi animali
appartengono a una dimensione trascendentale che sublima il mondo interiore dell’artista.
L’atroce prova nel campo di concentramento di Dachau si riaffaccia alla mente di Music venticinque
anni dopo averla vissuta. Per il pittore non era possibile affrontare subito quell’orrore, era
necessario un lungo tempo per poterlo elaborare. Risale difatti agli anni Settanta il ciclo di lavori
intitolato Nous ne sommes pas les derniers, dipinti in cui i corpi dalle membra allungate e dalle
forme ossute, con occhi sbarrati e grandi bocche nere spalancate, paiono trovare sollievo alla loro
angosciosa condizione nei morbidi contrasti di luce e ombra e nei colori tenui che dilagano taciti
sulla tela. L’artista aveva già disegnato quei corpi straziati, a Dachau, su pezzi di carta recuperati in
maniera fortuita nel lager. A distanza di anni, però, Music va oltre la brutale visione dello scempio
per far diventare le sue creature tormentate cadaveri spirituali «bianchi come la neve sulle
montagne».
In mostra troviamo anche alcuni ritratti e autoritratti degli anni Novanta, in cui le figure si fanno
quasi immateriali, racchiuse nella dolce turbolenza del tratto e circondate da un’aura scura a
sottolinearne la solitudine. Emblematico è il dipinto Atelier, del 1990, una delle opere più
significative esposte, dove il pittore ritrae sé stesso e la moglie Ida come immobili presenze immerse
in uno spazio che pare abitato dal vuoto.
Music entra animo e corpo nella sua arte, racconto intimo filtrato dal ricordo che ha saputo
ammantarsi di un valore universale attraverso atmosfere silenziose che penetrano più di un grido.
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