UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTA’ DI ARCHITETTURA Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura_L17 Corso di Teoria e Storia del Restauro Il restauro nel XIX secolo La parabola del restauro stilistico in Italia prof. arch. Caterina Giannattasio Il restauro in Italia nel XIX secolo Soprattutto nel secondo Ottocento, così come avviene in tutta Europa, si diffonde la pratica del restauro stilistico. La prassi Restituire alle fabbriche la loro integrità originaria Ma è anche lecito “interpretare” e “migliorare” l’opera del passato Il restauratore segue le “regole” accademiche, pur applicandole con eccezioni, anche vistose Molto spesso, per ragioni economiche e modeste possibilità imprenditoriali, si impiegano materiali più umili e si semplificano le forme Si effettuano numerosi ‘completamenti’, ‘integrazioni’ e ‘aggiustamenti’ operazioni di ‘restituzione’ alla maniera francese, anche se con minor rigore e intensità Il restauro in Italia nel XIX secolo NODO CRITICO: produzione architettonica nuova e autentico restauro Difficilmente distinguibili, spesso si tende a confondere edifici neo-romanici e neo-gotici - espressione dell’architettura dell’eclettismo - ed esempi di restauro stilistico vero e proprio. architetto eclettico: definendo una nuova opera, un’interpretazione personale in uno stile liberamente scelto. fornisce restauratore: restituisce un’interpretazione appartenente al tempo dell’opera oggetto dell’intervento. Non ha possibilità di scegliere tra i diversi stili, a differenza dell’architetto eclettico, poiché lo stile è intrinseco al monumento su cui interviene. Il restauro in Italia nel XIX secolo Pietro Selvatico Estense Paolo Cesa-Bianchi Cesare Nava Federico Berchet Alfredo D’Andrade Alfonso Rubbiani Emilio De Fabris G. Sacconi Giovanni Battista Giovenale Federico Travaglini Errico Alvino G. Raimondi Dionogi Scano Emmanuele Palazzotto Giuseppe Patricolo Il restauro in Italia nel XIX secolo La prassi 1. Adesione alle regole analogiche S. Croce e S. Maria del Fiore a Firenze S. Petronio a Bologna 2. Progetti stilistici interventi di F. Travaglini interventi di A. Rubbiani 3. Orientamento stilistico nel rispetto del documento interventi di A. D’Andrade, da una parte aspirando a soddisfare il gusto del momento, dall’altra ad intervenire in maniera attenta e scrupolosa Alla fine dell’Ottocento stile, filologia e storia sono ormai compresenti in tutta l’attività di restauro, componendosi nelle maniere più disparate CAMPANIA FEDERICO TRAVAGLINI Santa Trofimena - Minori (SA) San Domenico Maggiore - Napoli ERRICO ALVINO e GUGLIELMO RAIMONDI Duomo di Amalfi Federico Travaglini | 1814-1893 1. Subisce fortemente l’influenza francese 2. Ricompone il nuovo in maniera personale, ma sempre in nome dell’unità di stile 3. Nel suo operato predomina l’istanza dell’artista: la componente progettuale non rispetta l’autenticità 4. Più che il desiderio di ricondurre il monumento ad un unico stile, predomina quello di operare negli edifici le “modificazioni possibili e necessarie per lo scopo dell’arte, vale a dire un migliore accordo del tutto” Il concetto di restauro Il restauro a suo avviso è riconducibile ad alcuni criteri-base, che consistono nell’operare sul monumento nel modo seguente: “restituirlo cioè qual’era o quale poteva essere; purgarlo di quelle forme viziose che il deforme Seicento vi apponeva; creare novellamente quegli ornati che la mano del tempo, o il vandalismo di artefici ignoranti ha innovato o distrutto, farlo in guisa che le minime parti siano conformi al carattere e allo stile dell’intero edificio, secondo i modelli che i numerosi e grandi architetti italiani del Trecento lasciarono”. In definitiva, si preoccupa di abbellire, piuttosto che di conservare. S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini Sorge su un’antica preesisenza (VII-VIII sec.), posizionata ortogonalmente rispetto ad essa. La configurazione attuale risale al XVIII secolo, quando, a causa delle precarie condizioni statiche, l’antica struttura fu ricostruita ex-novo, con asse nord sud, per assecondare il nuovo assetto della città. Vista della chiesa e della città ripresa da est. Prospetto principale della basilica. 1747-63: lavori di costruzione della nuova cattedrale. Rimangono incompiuti la finitura del prospetto e l’apparato decorativo interno. 1796-1808: lavori nella cripta e stuccatura degli interni della basilica 1818: interventi di piccola entità 1830: progetto di un campanile e completameno della facciata S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini L'attuale edificio, con la maestosa facciata rivolta verso il mare, è a croce latina, con l'interno articolato su tre navate. L’imponente facciata è enfatizzata dal sagrato, sopraelevato rispetto alla quota stradale, a cui tuttora si accede attraverso una scala centrale. Vista esterna della zona absidale. Pianta della basilica (rilievo a cura dell’ ing. G. Del Pizzo). Alla sinistra della facciata si staglia l’imponente campanile, anch’esso in stile neoclassico, a pianta quadrangolare e diviso in quattro ordini. Prospetto principale della basilica. S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini Il sistema di coperture interno della chiesa. Navata principale: volta a botte lunettata, decorata con stucchi bicromi. Navate laterali: volte a scodella che in corrispondenza delle cappelle accennano ad un ovale per adattarsi ad esse. Bracci del transetto: volta a botte. Presbiterio: volta a botte e catino emisferico. Incrocio dei bracci: cupola su tamburo. Nella navata centrale spiccano gli stucchi settecenteschi, che si distinguono da quelli ottocenteschi della zona presbiteriale. S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente Pianta della cripta (rilievo a cura dell’ing. G. Del Pizzo). - Travaglini Cripta della Basilica. L'antica cappella di S. Trofimena fu ampliata, decorata e trasformata nell'attuale cripta. Ripropone lo schema di una basilica a tre navi, anche se con dimensioni molto ridotte, soprattutto in altezza. Rivestita con lastre marmoree datate al 1808, conserva ancora alcune lapidi. Particolare del balcone del primo piano di un edificio di Minori, nel quale le colonnine a sostegno degli archetti sono state recuperate, con ogni probabilità, dalla struttura medievale di Santa Trofimena. S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini La perizia per stabilire il costo dei nuovi lavori, previsti nel 1818 dal Decurionato, fu affidata a Giuseppe Lista, il quale produsse un dettagliato elenco dei lavori approvato nell’agosto dello stesso anno. La relazione è molto esplicativa, sia per quanto riguarda lo stato di fatto, sia per l’idea progettuale, che riguardava due aspetti: il prospetto della chiesa e il presbiterio. Tralasciando il progetto inerente la facciata, che il Decurionato decise di rimandare, si diede priorità ai lavori del presbiterio. In generale, l’assenza di un piano di lavoro globale ed unitario, in base al quale affrontare tutte le problematiche della fabbrica fece procedere il cantiere in maniera disorganica con tempi esecutivi molto lunghi e seguendo criteri incoerenti, basati sulla quantità di denaro di volta in volta disponibili. Nel 1830 poiché «la campana grande sistente sul campanile di questa chiesa stava prossima per crollare a motivo di essersi infraciditi i travi che la sostengono» si pensò di realizzare un vero e proprio campanile, la cui mancanza era reclamata dal 1818. In tale occasione si decise di riprendere anche il completamento della facciata. Questa fu oggetto di lunghe discussioni, che videro il coinvolgimento anche di Pietro Valente e Federico Travaglini, tanto che fu necessario aggiornare più volte il progetto iniziale, redatto dal Lista. Insieme al grafico egli stilò anche la perizia nella quale spiegava le motivazioni su cui si fondava la sua scelta caratterizzata da un incerto linguaggio formale estremamente sobrio nell’ornamentazione, adattandosi, per ragioni economiche, al rustico esistente secondo un disegno di ispirazione classica. Santa Trofimena - Minori (SA) | Lista - Valente - Travaglini (1818-44) Due progetti redatti dall’ingegnere provinciale di seconda classe Giuseppe Lista, rispettivamente del 1818 e del 1832. Santa Trofimena - Minori (SA) | Lista - Valente - Travaglini (1818-44) La soluzione progettuale proposta da Pietro Valente nel 1837 in pianta e prospetto. S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini Stato di conservazione della facciata in un disegno firmato da Federico Travaglini, del 1844. Soluzione progettuale proposta da Travaglini. Santa Trofimena - Minori (SA) | Lista - Valente - Travaglini (1818-44) Il prospetto del campanile in due soluzioni proposte da F. Travaglini (1844) e allo stato attuale. S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Chiesa angioina, consacrata nel 1255, dopo qualche decennio fu ampliata inglobando la preesistenza, concludendo i lavori nel 1324. Fu restaurata nel XV sec., in seguito ai danni arrecati da un terremoto, con il rifacimento quasi totale dell’apparato decorativo, fu ricoperta con stucco bianco e adornata con capitelli dorici. Napoli, Piazza San Domenico Maggiore, Oswald Achenbach (1874) Vista dell’abside e dell’antistante piazza Nel XVII sec. Cosimo Fanzago progettò l’altare maggiore. Successivamente intervennero il Nauclerio e Lorenzo Vaccaro, sempre nel Seicento, e nel XVIII sec. Domenico Antonio Vaccaro, che eseguì, tra l’altro, il campanile e il pavimento, conservato nel restauro ottocentesco. San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Non si può parlare di restauro, ma di innovazione. Asseconda i desideri della committenza, i domenicani, che volevano vedere la propria chiesa con un nuovo aspetto. L’intervento interessò essenzialmente l’interno, lasciando nelle forme barocche sia l’esterno che la sacrestia. Investì principalmente l’apparato decorativo, seguendo un gusto che si rifà alla moda neogotica, in cui lo slancio verticale prevale sull’orizzontalità dell’apparato più antico. Le più vistose modifiche interessarono le aperture della navata maggiore e delle cappelle laterali. San Domenica Maggiore, planimetria San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) L’intervento è riassumibile in 4 operazioni: 1) la riduzione alla maniera gotica dei finestroni che dal Seicento avevano assunto la forma rettangolare; 2) l’adozione di ornati di stucco, di dorature di coloriture e di trattamenti superficiali a stucco lucido “corrispondenti allo stile del tempo”; 3) lo spostamento e l’eliminazione di molti monumenti; 4) le creazione di vetrate colorate per le nuove aperture “gotiche”. Vista della navata maggiore San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Disegno della sezione della chiesa prima dell’intervento di Travaglini e secondo il suo progetto. San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Vista della navata centrale. Le pareti della navata centrale mostrano i finestroni gotici della chiesa angioina, riproposti dal Travaglini, collocati al di sopra degli archi acuti della navata. Inserisce, inoltre, medaglioni dipinti in asse con i pilastri, raffiguranti dodici santi dell’ordine dei domenicani. San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Vista della navata centrale e particolare del cassettonato seicentesco a riquadri con fregi e stucchi, che presenta al centro il simbolo dei domenicani e nei quattro angoli le armi della monarchia spagnola e degli Aragona. Travaglini conserva l’antico cassettonato ‘raccordandolo’ però all’insieme con una fascia di colore chiaro e con stucchi. San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Particolari di capitelli. In alto a sinistra: capitelli posti in corrispondenza dei piloni della nave centrale. In basso a sinistra capitelli creati per l’arco maggiore che divide la navata dal transetto. A destra: vedute d’insieme. San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Stato attuale Progetto di restauro del Travaglini a destra. San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53) Errico Alvino Architetto (Napoli 1809-72). Gli si devono numerose opere di stile neogotico o neorinascimentale, nonché, con altri, il tracciato del Corso Vittorio Emanuele a Napoli, dove progettò anche la colonna della piazza dei Martiri. Guglielmo Raimondi Architetto, allievo di Errico Alvino. Duomo di Amalfi | 1872-91 Nell’ anno 987 la diocesi amalfitana fu elevata a sede arcivescovile e metropolitana, e, in virtù di questo riconoscimento, Mansone, duca di Amalfi, fece edificare una nuova cattedrale, a tre navate, accanto alla preesistente basilica dell’ Assunta. I lavori di ampliamento furono effettuati nei primi anni del XIII secolo per iniziativa dell’arcivescovo Matteo di Capua e del cardinale amalfitano Pietro Capuano, e consistettero nella realizzazione della Cripta e dell'Atrio della Cattedrale. Giacinto Gigante - Il duomo di Amalfi A seguito della costruzione della cattedrale mansonea, la basilica dell’Assunta cominciò a perdere gradualmente importanza, e, già nel 1176, era diventata una semplice navata (Nave dei Ss. Cosma e Damiano). Sin dal 1180 , inoltre, davanti al suo ingresso si cominciò ad elevare il campanile. Leo von Klenze - Der Dom von Amalfi (1859) Duomo di Amalfi | 1872-91 Veduta della piazza di Amalfi (A. Senape, 1835 ca.) Amalifi, la cattedrale (P. Benoist, 1850 ca.) L’arcivescovo Filippo Augustariccio, fece completare il campanile nel 1276, facendovi aggiungere la cella campanaria. Lo stesso arcivescovo, tra il 1266 ed il 1268, aveva fatto edificare il Chiostro Paradiso. Ulteriori ampliamenti e ricostruzioni avvennero tra il XVI secolo e il XVIII secolo che gli hanno conferito la veste attuale. Duomo di Amalfi | 1872-91 L’intervento si configura in un periodo in cui si nutrivano pregiudizi per il barocco È espressione dell’eclettismo architettonico, raggiungendo un risultato molto lontano dal primitivo. Ad avviare il processo di ricerca della facciata medievale fu un crollo avvenuto nel 1861 causato da forte vento, che fu l’input per effettuare drastiche demolizioni di parti ritenute pericolanti, ma che in realtà, una volta eliminate, avrebbero consentito una più chiara lettura delle parti sottostanti, al punto che si giunse a demolire completamente il pronao. I lavori ebbero inizio nel 1872, ad opera di Enrico Alvino, a cui subentrò, nel 1880, Guglielmo Raimondi, che portò a compimento l’idea del suo predecessore. In facciata, nel 1862, sotto la crosta barocca si individuarono frammenti della fascia decorativa in mosaico e di alcuni archi, che Alvino riprese accuratamente, purtroppo rifacendoli ex-novo, unitamente ad estesi tratti di facciata e delle strutture sottostanti al piano di calpestio del portico, rifacendosi alla cultura della conservazione del suo tempo. Scelse come materiali di progetto la pietra da taglio, calcare e trachitica, e mosaici, in luogo dell’originario e più economico intonaco colorato e affrescato. Duomo di Amalfi | 1872-91 Il duomo in una cartolina del 1862-71. Tali documenti mostrano la facciata subito dopo la demolizione degli stucchi barocchi e dell’atrio, perpetrati, nel 1862, dall’arch. Lorenzo Casalbore. Nell’immagine in alto a destra emerge l’originario motivo delle due fasce sovrapposte di archi intrecciati, poi ripreso da Alvino nel suo progetto. Frammento dell’antico mosaico distaccato, nel 1872 dalla sommità della facciata originaria del duomo Il duomo in una foto del 1872. Duomo di Amalfi | 1872-91 L’intervento sostituì alle forme barocche un’architettura in “stile amalfitano” Restauro della facciata nei disegni firmati da Alvino, del 1871. Duomo di Amalfi | 1872-91 La cattedrale in una foto Alinari di inizio Novecento, dove spicca il campanile con le stratificazioni barocche, poi rimosse. La cattedrale nello stato attuale. Duomo di Amalfi | 1872-91 Atrio del duomo, scorcio interno ripreso da meridione, successivamente all’intervento di restauro. A sinistra In alto: Vorhalle der Cathedrale zu Amalfi, (H.W. Schulz, 1860). In basso: Atrio del duomo di Amalfi (G. Gigante. 1861). Duomo di Amalfi | 1872-91 Particolare della facciata con le figure dei dodici apostoli e l’Apocalisse di S. Giovanni, Domenico Morelli. I mosaici, confezionati dal maestro veneziano Antonio Salviati tra il 1884 e il 1885 e dai suoi figli nel 1890, furono messi in opera dai maestri veneziani Antonio Gobbo e Antonio Foscato nel 1891. Particolare della facciata con i medaglioni di terracotta, le borchie smaltate rosse e verdi, le riggiole di rivetsimento degli archi intrecciati sorretti da binati di colonnine . Particolare della facciata con il rivestimento di calcare e trachite messoin opera tra 1885 e il 1887 da Raimondi Duomo di Amalfi | 1872-91 EMILIA ROMAGNA ALFONSO RUBBIANI Bologna Chiesa di San Francesco Palazzo di re Enzo e Palazzo del Podestà Alfonso Rubbiani | 1848-1913 Passione per l’architettura medievale Unità stilistica attraverso l’arbitrio e il falso architettonico Interpretazione stilistica che non esclude l’invenzione Nel 1900 scrive: “al restauratore” occorrono “percezione divinatrice, raziocinio ordinatore, finezza tattile della fantasia” “Pochi avanzi bastano a provocare cento idee” La sua posizione è certamente arretrata rispetto a quella dei suoi contemporanei Influenza di VLD restauro consistente in 2 operazioni: a) completamento delle parti incompiute b) ripristino di quelle alterate Influenza di Ruskin estetica e filosofia morale sono inscindibili; l’arte è una delle più alte forme di profezia sociale Influenza di Boito “l’antico vince il nuovo, ma il bello vince l’antico” (1893) Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89 Nel 1236 i Frati Minori iniziarono la costruzione della basilica. Nel 1251, papa Innocenzo IV consacrò l’altare maggiore, ma il tempio fu ultimato solo nel 1263. Sul lato meridionale della chiesa, che è orientata ad est, fu poi realizzato il complesso conventuale, mentre dietro il coro sorse il cimitero, che accolse le tombe di molti giuristi e dottori dello Studio di Bologna. Nel 1796 l’edificio subì il saccheggio delle truppe francesi che lo ridussero a caserma. Il convento fu soppresso e la chiesa, sconsacrata ed ulteriormente spogliata di opere d’arte, fu adibita a caserma. Fu riaperta al culto nel 1842 per divenire pochi decenni dopo un magazzino militare. Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89 L’intervento di Alfonso Rubbiani fece riacquistare il primitivo aspetto alla fabbrica francescana La basilica in una foto del 1920-30 ca. Nel luglio del 1943, però fu ridotta a rovina a causa di un bombardamento. La basilica tornò all’antico splendore grazie ai restauri, conclusi nel 1949, del Genio Civile e della Sovrintendenza ai Monumenti, sotto la direzione di Alfredo Barbacci. La chiesa dopo i bombardamenti del 1943, prospetto principale e interni. Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89 La chiesa presenta una facciata monocuspidata e tripartita, ornata lungo gli spioventi da archetti e bacini in ceramica. La costruzione, a sviluppo basilicale, è caratterizzata da possenti archi rampanti e da un’abside costituita da nove cappelle radiali. L’interno è diviso in tre navate da possenti pilastri ottagoni in laterizio e presenta un transetto che non sporge dai muri perimetrali. L’edificio, pur rimanendo legato all’architettura romanico-padana nella tipologia della facciata, nella decorazione e nelle proporzioni delle campate, mostra chiari richiami all’architettura gotica e ai modelli delle costruzioni cistercensi d’Oltralpe nell’articolazione absidale, negli archi rampanti, nei pilastroni a lesene all’inizio del coro e nello straordinario slancio ascensionale. Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89 Il primo impianto gotico fu successivamente trasformato con l’aggiunta di cappelle inserite lungo le navi e l’abside. Durante il restauro fineottocentesco si decide di demolirle per riportare in vista le tombe dei Glossatori. Tale intervento, secondo Rubbiani, è indispensabile per “risalire alla purità e sincerità del documento”, in connessione col pensiero di Viollet-le-Duc e con le regole della reintegrazione stilistica. L’interno della basilica prima dell’intervento di Rubbiani L’interno della basilica dopo l’intervento di Rubbiani Sempre secondo questa logica fu eliminata anche la “discordante” decorazione interna aggiunta a metà dell’Ottocento. Non trovando sufficienti tracce dell’apparato originario, aggiunge alle pareti e alle cappelle del peribolo un’arbitraria decorazione, in parte imitata da monumenti coevi con la convinzione che l’apparato decorativo si possa sottrarre al rigore dell’archeologia. S. Francesco (1886-89) Bologna Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89 S. Francesco prima e dopo i lavori di liberazione e reintegrazione. Palazzo re Enzo e Palazzo del Podestà - Bologna | 1887-1913 Fu costruito a metà del XIII sec. come ampliamento degli edifici comunali. Appena tre anni più tardi diviene la 'residenza' del re prigioniero della battaglia di Fossalta: re Enzo di Sardegna, figlio di Federico II. Nell'ultimo dei tre piani originari era riservato al re un ampio vano dove trascorse i successivi ventitré anni fino alla morte (1279). Al piano terreno erano conservate le macchine da guerra dell'esercito e il Carroccio. Con una scala coperta si accedeva al loggiato del primo piano dove si tenevano le sedute dei consigli popolari. La Sala del Trecento, realizzata da Antonio di Vincenzo nel 1386, viene successivamente adibita ad archivio comunale, mentre l'ultimo piano subisce una vasta opera di ristrutturazione nel 1771. Palazzo re Enzo e Palazzo del Podestà - Bologna | 1887-1913 Alfonso Rubbiani, con il suo intervento mira a ripristinare l'aspetto gotico dell'edificio a discapito degli interventi successivi. Sulla base delle tracce trovate e delle fonti rinnova la facciata, ricostruisce le merlature, le arcate del pianterreno e la scala quattrocentesca. Il palazzo prima dei lavori di restauro ed il complesso costituito dal palazzo stesso e da quello del Podestà secondo il progetto di restauro di A. Rubbiani, ben rispondente ai criteri ‘stilistici’ d’origine francese. Nel palazzo del Podestà (1887) ripristina le decorazioni in cotto, nel palazzo di Re Enzo (190513), “dopo tante dimostrazioni storiche e artistiche”, sostituisce le finestre architravate con trifore, che poi si dimostreranno diverse da quelle originarie (bifore e non trifore). LIGURIA PIEMONTE VALLE D’AOSTA ALFREDO D’ANDRADE Sacra di S. Michele – S.Ambrogio di Susa Borgo medievale del Valentino - Torino Porta Soprana - Genova Castello di Fénis - Aosta Alfredo D’Andrade | 1839-1915 Conoscenza del monumento nelle sue valenze architettoniche, formali e strutturali 1. Educazione delle maestranze per il concreto rispetto delle tradizioni antiche 2. Ricostruzione filologica basata sullo studio delle tracce, dei monumenti analoghi 3. Rilievo delle decorazioni ed imitazione perfetta 4. Forte influenza di Viollet-le-Duc 5. Vicino al pensiero di Boito Sacra di San Michele - Sant’Ambrogio di Susa | 1889 La Sacra di San Michele nasce in seguito al diffondersi del culto di San Michele che si sviluppa a partire dal V sec. La sua ubicazione in altura e in uno scenario altamente suggestivo, richiama i due preesistenti insediamenti micaelici del Gargano (V sec.) e della Normandia (VIII sec.). Fondata tra il 983 e il 987 sullo sperone roccioso del monte Pirchiriano si trova al centro di una via di pellegrinaggio che unisce quasi tutta l’Europa occidentale da Mont-Saint-Michel a Monte Sant’Angelo. Sul finire del X secolo San Giovanni Vincenzo, un discepolo di San Romualdo, iniziò in questo luogo la vita eremitica. Alle soglie dell'anno mille (983-987 ) il conte Ugo (Ugone) di Montboissier, ricco e nobile signore dell'Alvernia, inizia l'edificazione del monastero, affidato poi a cinque monaci benedettini. Fino alla prima metà del ‘300 il monastero visse la sua stagione più favorevole sotto la guida degli abati benedettini, alla quale seguì mezzo secolo di decadenza e che culminerà, nel 1622, con la soppressione del monastero. La Sacra resta quasi abbandonata per oltre due secoli, finché, nel 1836, Re Carlo Alberto di Savoia, desideroso di far risorgere il monumento che era stato l’onore della Chiesa piemontese e del suo casato, pensò di collocare, stabile, una congregazione religiosa, Offrendo l’opera ad Antonio Rosmini. Sacra di San Michele - Sant’Ambrogio di Susa | 1889 Il complesso è composto da tre edifici, la cui complessa articolazione comporta un’elaborata preparazione del progetto di restauro, che d’Andrade distingue in due fasi, una di consolidamento, l’altra motivata da esigenze statiche e compositive. Vuole ricostruire le parti distrutte e concludere la fabbrica rimasta incompiuta. Fonda il progetto su uno studio preliminare molto approfondito, soffermandosi sull’analisi dei materiali, della loro lavorazione ed esecuzione, volta a raggiungere una perfetta fedeltà ai modelli di riferimento. Borgo medievale del Valentino - Torino | 1884 Viste dell’esterno. Costruito ex novo in occasione dell’esposizione di Torino del 1884, costituisce un modello erudito in stile medievale. Particolare. Porta Soprana - Genova | fine XIX sec. L’intervento è consistito nel restauro delle bucature e nella realizzazione di feritoie e merlature, dimostrando scrupolosità filologica. Sull’esempio del restauro di VLD per Carcassonne, la struttura viene restituita integralmente alla sua dignità di monumento medievale. Disegno restitutivo firmato da A. d’Andrade. Castello di Fénis - Aosta | 1897-1920 Planimetria, pianta del pianterreno. Il primo corpo di fabbrica, probabilmente una “torre castellata” del XII secolo, viene integrato dalle strutture trecentesche che ne definiscono il nucleo centrale pentagonale e le due cinte murarie concentriche. Nel XV secolo viene adeguato ad una funzione più residenziale, con l’inserimento di elementi decorativi. D’Andrade interviene con un cauto restauro, sostanzialmente consistente in opere di consolidamento, in modo da arrestare l’avanzato stato di degrado. La sua proposta è documentata da una serie di rilievi eseguiti con grande scrupolosità. Lo stato dei luoghi al 1909 Stato attuale, ovvero dopo un ulteriore intervento, piuttosto arbitrario. Castello di Fénis - Aosta | 1897-1920 MILANO PAOLO CESA-BIANCHI CESARE NAVA Chiesa di S. Babila Chiesa di S. Babila - Milano | 1883-1905 Paolo Cesa-Bianchi + Cesare Nava La costruzione della basilica risale agli ultimi decenni dell’XI sec., ma nel corso dei secoli, fu oggetto di svariate trasformazioni. Nel 1826 a causa delle pessime condizioni si propose di demolirla, ma, tra il 1881 e il 1890, l'architetto Paolo Cesa Bianchi ne progettò e attuò il restauro, riportandola alle forme originarie. La facciata seicentesca opera di Aurelio Trezzi . In particolare, fu demolita la facciata barocca, ricomposta in stile neoromanico, completata, solo nel 1905, dall'architetto Cesare Nava. Facciata in stile romanico-lombardo, frutto dell’intervento ottocentesco. Cesare Nava VENEZIA FEDERICO BERCHET Fondaco dei Turchi Federico Berchet | 1830-1909 La sua linea di pensiero è vicina a quella di Alvino e Travaglini. A differenza di costoro, però, il suo operato non fu ben accolto, poiché prevalse nell’opinione pubblica l’influenza del pensiero di Ruskin. Fondaco dei Turchi - Venezia | 1858-60 L’edificio è stato costruito nel XIII sec., come residenza della famiglia Pesaro, poi venduto nel secolo successivo alla Repubblica di Venezia e, in seguito, a privati. Nel 1621, la Repubblica lo affittò ai mercanti turchi che lo destinarono a emporio. All’interno venivano depositate le merci ed effettuate le contrattazioni; inoltre furono costruiti un bazar e, secondo le tradizioni turche, una piccola moschea e dei bagni turchi. In questo fondaco, con un porticato al piano terra di derivazione tardo romana e con una ripetizione di archi allungati di tradizione bizantina sulla facciata, il piano abitabile era soltanto uno. A partire dal 1858 diventa di proprietà del comune, che lo restaura, su progetto di Federico Berchet, per poi adibirlo a museo. Dal 1923 ospita il Museo civico di storia naturale di Venezia. Fondaco dei Turchi - Venezia | 1858-60 Il Fondaco dei Turchi prima del restauro, in un disegno firmato da F. Berchet Il piano terra è segnato da dieci archi a tutto sesto e da una loggia con diciotto arcate di dimensioni minori. Ai lati sono state aggiunte due torrette, articolate su tre livelli. Tutta la facciata è sovrastata da un sistema di merlature, assente prima della ricostruzione. Il restauro della facciata non ancora esteso alle finestre del lato a sinistra. FIRENZE NICCOLÒ MATAS Santa Croce EMILIO DE FABRIS Santa Maria del Fiore Chiesa di Santa Croce - Firenze | 1847-54 Niccolò Matas Il fronte della facciata prima della costruzione. La facciato allo stato attuale. La basilica, edificata a partire dal 1294 su progetto di Arnolfo di Cambio, fu consacrata nel 1443, anche se ancora incompiuta nel prospetto. Nel 1476 viene effettuata una prima fascia di paramento marmoreo, poi smantellato nel 1854 per realizzare il nuovo disegno. Nel 1837 l’architetto Matas e lo scultore Lorenzo Bartolini progettano varie soluzioni, tra cui fu scelta quella del modello, replicante forme e stilemi gotici, con elementi scultorei ridotti al minimo e linearità ravvivata dalla policromia dei marmi. Il progetto conclusivo fu approvato nel 1854. Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris Nel 1472, quando la fabbrica si conclude con la cupola brunelleschiana, la facciata, realizzata solo per metà della sua altezza, presenta un portale centrale a forma di tabernacolo e due parti laterali. Nel 1490 viene bandito un concorso e nel 1587 Lorenzo de’ Medici fa demolire quel che era stato realizzato dell’antica facciata. Disegno di Bernardino Poccetti che rappresenta la facciata del Duomo prima della demolizione del 1587. Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris Solo nell’Ottocento si affronta seriamente il problema. Alle prime proposte progettuali, si susseguono ben 3 concorsi internazionali (1861, 1864, 1865) Il progetto conclusivo fu approvato nel 1867, ad opera di Emilio De Fabris. La facciata incompiuta in una foto del 1860 ca. Foto con le tracce della facciata seicentesca dipinta (1864 ca.) Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris COME INTERVENIRE? → Alla maniera di Arnolfo o di Brunelleschi? → Con facciata tricuspidale o monocuspidata? Emilio De Fabris Proposta progettuale: facciata tricuspidata. Proposta progettuale: coronamento basilicale Le due versioni di coronamento affiancate. Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris Alla fine si sceglierà la facciata monocuspidata, perché più adeguata agli elementi prevalenti nella fabbrica, seguendo i modi arnolfiani. ORVIETO GIUSEPPE SACCONI Palazzo del Popolo GIUSEPPE SACCONI | 1854-1905 Fu sovrintendente ai Monumenti del Piceno e dell’Umbria, noto peraltro per essere l’autore del monumento nazionale a Vittorio Emanuele II in Roma. Palazzo del Popolo - Orvieto | 1880 ca. Il palazzo fu costruito alla fine del XIII secolo, sulle preesistenze di un precedente palazzo papale del 1157. La struttura fu ampliata già dal decennio successivo e la torre campanaria vi fu aggiunta nel 1315. Il palazzo in un’immagine del 1880 ca. L’intervento mirò sostazialmente al ripristino dello stile originario del palazzo, che fu coronato da merli ghibellini e liberato dalle superfetazioni successive all’impianto originario. Stato attuale dopo i lavori di restauro. ROMA GIOVANNI BATTISTA GIOVENALE S. Maria in Cosmedin Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale La prima piccola chiesa fu fatta costruire da papa Gregorio I all'inizio del VII sec. Papa Adriano I la fece ricostruire già alla fine dell'VIII secolo dentro la struttura dell'antica sede dell'Annona, di cui la chiesa incorporò la struttura e il colonnato, dividendola in tre navate e abbellendola di splendide decorazioni. La facciata nella sua sistemazione settecentesca, firmata dall’arch. G. Sardi (1718) In seguito, alla chiesa furono aggiunti una sagrestia l'oratorio e una residenza diaconale (858-867) e, infini, il portico (1120 ca.). Nel 1718, fu restaurata su disegni di Giuseppe Sardi che ne trasformò lo stile da romanico a rococò. La Chiesa di Santa Maria in Cosmedin in un disegno di Giuseppe Vasi (1761) Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale La facciata come si presentava prima che l’intervento del Giovenale rimuovesse la facciata realizzata su progetto di Sardi nel 1718. Stato attuale Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale Nel 1899 fu oggetto di un nuovo intervento a firma di G.B. Giovenale che eliminò questi elementi per riportare la chiesa all’originario aspetto romanico, che ancora oggi conserva. L’intervento di Giovenale è stato eseguito in applicazione dei criteri ‘storico-stilistici’, attraverso un intervento di liberazione e reintegrazione. La navata centrale nel 1891 Lo stato attuale, che ripropone il presunto stato dei luoghi all’anno 1123. Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale CAGLIARI Chiesa di S. Francesco di Stampace DIONIGI SCANO Cattedrale di Santa Maria Torre di S. Pancrazio Torre dell’Elefante Basilica di S. Saturnino Restauro in stile Demolizione Torre di San Pancrazio Cattedrale Torre dell’Elefante Chiesa di S.Francesco Basilica di S.Saturnino Chiesa di N.S. di Bonaria Chiesa di San Giacomo | 1838 - G. Cima Un documento ne attesta l’esistenza già nel 1346, probabilmente con lo schema tipico delle architetture religiose catalane. Due epigrafi ricordano la costruzione del campanile, a canna quadrata, ad opera del maestro Thomas Marini, tra il 1438 e il 1442. Nel 1640 fu aggiunta una cuspide sorretta da quattro pilastrini, eliminata nel 1990. Vista attuale della chiesa. Vista del campanile prima dell'eliminazione della cuspide. Chiesa di San Giacomo | 1838 - G. Cima L’interno è costituito da una navata coperta con volta a botte rinforzata da archi trasversi, che poggiano su lesene legate da doppia cornice. Ai lati si aprono le cappelle con archi a tutto sesto o acuto, ricoperte con volte a crociera o a botte. Nel 1838, l’architetto Gaetano Cima disegna la nuova facciata, ritenuta troppo modesta per il gusto del momento, in stile neoclassico. Non esiste alcuna documentazione dell’originaria facciata, oggi, in seguito al restauro del Cima, essa presenta due coppie di capitelli corinzi che sorreggono un timpano triangolare ed un lunettone semicircolare sovrasta il portale d’ingresso. La Chiesa di San Giacomo, affiancata dai due Oratori tardo-secenteschi. Chiesa di San Francesco | 1875 Il complesso monumentale di San Francesco, menzionato per la prima volta nel 1275, era costituito da una chiesa e da un convento prospicienti un ampio chiostro. Attualmente si conserva solo il chiostro, che versa in un avanzato stato di degrado, conservandosi solo il piano terra dei bracci e l’ambiente che accoglieva il refettorio. Foto della chiesa di San Francesco, ripresa dall’attuale piazza Yenne e incisione del secolo scorso (da Almanacco di Cagliari-1985, Roberto Porrà). L’imponente edificio della chiesa fu realizzato in forme gotiche con il coronamento superiore ornato di archetti pensili che seguivano la linea inclinata del timpano, la cui sagoma era interrotta dal piccolo campanile a vela. Chiesa di San Francesco | 1875 L’ingresso si apriva sul fronte laterale, l’interno presentava una navata unica coperta con tetto in legno e ritmata da archi di scarico. Le cappelle furono realizzate in fasi successive e si aprivano negli intervalli determinati dagli archi di scarico. Immagine di fine Ottocento raffigurantela chiesa nel Corso Vittorio Emanuel, e foto attuale nellaquale è evidenziata l’area un tempo occupata dalla chiesa. Pianta della chiesa e del chiostro. Sezione con ricostruzione della facciata laterale della chiesa. Attraverso l’ampia sagrestia si raggiungeva il chiostro a pianta quadrata con il pozzo centrale. Il complesso religioso ebbe per molti secoli grande importanza sia sociale che economica per lo sviluppo del quartiere. Chiesa di San Francesco | 1875 Cagliari, il chiostro di S. Francesco, braccio ovest con i Carabinieri, attorno al 1940. 1861: inizia la totale decadenza, in seguito all’incameramento demaniale dei beni ecclesiastici. 1862: il convento fu adibito a caserma dei Carabinieri. 1870: un fulmine danneggiò il campanile. 1875: avviene il crollo definitivo della chiesa. DIONIGI SCANO | 1867- 1949 Frequentato il liceo a Cagliari, si laureò in ingegneria civile nella Scuola di applicazione di Torino. Fu richiamato in Sardegna da Filippo Vivanet che lo volle come suo collaboratore nell'ufficio regionale per la conservazione dei monumenti, di cui divenne in seguito capo. Ebbe l’incarico, prima presso l’Ufficio regionale dei monumenti e poi per incarico diretto dal Ministero della Pubblica Istruzione, di censire gli edifici della Sardegna. Poté, pertanto, percorrere tutta la Sardegna e, in 15 anni di lavoro, ricercare i beni monumentali disseminati nel vastoambito regionale, studiandone le forme costruttive e la storia. Si occupò di storia della Sardegna ed eseguì numerosi rilievi e restauri. Cattedrale di Santa Maria | 1902 Dionigi Scano Cominciata dai Pisani nei primi decenni del XIII sec., la prima menzione che ne attesta l’esistenza risale al 1254, in forme romaniche, presentava pianta rettangolare, divisa in tre navate da colonne, con volta a crociera nelle navate laterali e copertura in legno in quella centrale. Nel 1258, dopo la distruzione da parte dei pisani della capitale giudicale Santa Igia e della cattedrale di Santa Cecilia, la chiesa di Santa Maria di Castello fu elevata al rango di cattedrale. Ha subito numerosi rimaneggiamenti con sostituzioni e trasformazioni. L’ultima nel 1930 con l’eliminazione della facciata Barocca, disegnata da Piero Fossari, nel 1702. 1702 Fine ‘800 1930 Cattedrale di Santa Maria |1902 Dionigi Scano Agli inizi del XIV secolo venne realizzato il transetto, che rese la pianta della chiesa a croce latina, e le relative due porte laterali. Sulla facciata venne inoltre aperta una bifora gotica e vennero eseguiti interventi sul campanile a sezione quadrata, facente parte della primitiva chiesa. L’interno è a tre navate con transetto e ampio presbiterio che sovrasta la cripta-santuario voluta dall’arcivescovo Desquivel nel 1618, costituita da un ampio vano con volta a botte ribassata e due cappelle laterali voltate a crociera. Vista della cripta. Ai lati del presbiterio in simmetria vi sono le cappelle del transetto, una delle quali realizzata nel 1326 in stile goticocatalano con pianta ottagonale e volta di copertura ad ombrello segnata da esili costoloni in rilievo. Cappella aragonese. Cattedrale di Santa Maria|1902 Dionigi Scano Tra il 1664 ed il 1674 l’architetto genovese Domenico Spotorno rifece completamente l’interno. Viste interne della cattedrale. Nel 1702 Piero Fossati fece la facciata barocca che rimase fino agli inizi del XX secolo quando fu abbattuto il rivestimento barocco per sostituirlo con l’attuale. Facciata barocca del Fossari. Cattedrale di Santa Maria| 1902 Dionigi Scano Nel 1902, sotto la direzione dell'ingegner Dionigi Scano, la facciata barocca fu smantellata nella vana speranza di trovarvi al di sotto quella medioevale; solo nel 1930 ne venne ricostruita una nuova facciata in stile romanico pisano su disegno dell'architetto Francesco Giarrizzo. Disegno dal titolo Alabanças de los santos de Sardena, redatto, nel 1631, da Juan Francisco Carmona. Facciata demolita nel 1902 La facciata attuale. Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano Torre di San Pancrazio Torre dell’Elefante Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano Nei primi anni del Trecento, paventando l'imminente attacco catalano a seguito della concessione del "Regnum Sardiniae" a Giacomo II re d'Aragona, i Pisani rafforzarono la cinta muraria sotto la direzione dell'architetto Giovanni Capula. Le possenti mura furono costruite in cantoni provenienti dal colle di Bonaria e dotate di torri con pianta a L o circolare. Sopravvivono integre la torre di San Pancrazio a NE, con epigrafe che la dice edificata nel 1305, e la torre dell'Elefante a SO, datata epigraficamente 1307. Sviluppo delle mura di Castello nel medioevo. Sigismondo Arquer, 1500. «Il complesso delle mura urbiche del Castello (…). Era difeso, oltre che dalle tre torri maggiori, in corrispondenza degli ingressi (Leone, Elefante; S. Pancrazio), anche da una ventina di torri secondarie, poste ad intervalli irregolari ogni 70-80 metri, pari alla gittata utile di un arco» . (M. RASSU, Baluardi di pietra: storia delle fortificazioni di Cagliari, Aipsa, Cagliari 2003, pp. 236 P.17). Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano Erette sotto richiesta da parte dei Pisani, dall’architetto sardo Giovanni Capula, rispettivamente nel 1305 e 1307, <<(…), avevano il lato interno (verso il Castello) aperto e con i soppalchi lignei in vista, secondo modelli della Toscana e dell’Italia centrale (…).>> (M. RASSU, Baluardi di pietra: storia delle fortificazioni di Cagliari, Aipsa, Cagliari 2003, pp. 236 P.17). Pensate e realizzate come strumento di difesa e controllo del territorio, perdono la funzione originaria nel giro di qualche secolo. Nel 1326, durante il dominio aragonese, Felipe De Boyl ordinò che il lato aperto delle torri venisse chiuso mediante un muro per impedire lo sguardo di occhi indiscreti. Castello di Cagliari nel 1358. (Da copia conservaantesi nell’Archio di Stato in Cagliari -- Originale nell’Archivio di Barcellona. (D. SCANO, Forma Karalis, Gianni Trois, Cagliari 1989, pp. 203) Foto antecedenti agli interventi dello Scano. Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano La torre di S. Pancrazio prima dell'intervento di Scano e in un'immagine attuale. Nel XVII secolo, con l'apertura del passaggio nell'attiguo Palazzo delle Seziate, la torre di S. Pancrazio perde la funzione d'ingresso alla città ed è adibita a carcere sino alla fine del XIX secolo. Nel tempo le si addossa un’edilizia disordinata, formata prevalentemente di casupole. Nel 1906, ad opera dell'ingegnere Dionigi Scano, vi fu un restauro mirato a riportare la torre all'aspetto originario, abbattendo le costruzioni addossate e soprattutto attraverso la liberazione del lato murato nel periodo aragonese e rafforzando i ballatoi in legno, ripristinati recuperando in piccola parte quelli originari ed inserendo parti nuove ricostruite fedelmente sulla base degli elementi rinvenuti durante l’opera di restauro. Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano Torre di San Pancrazio prima dell’intervento di Dionigi Scano, dopo e oggi. Particolare degli impalcati lignei ripristinati dallo Scano. Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano Torre dell’Elefante prima dell’intervento di Dionigi Scano, dopo e oggi. Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano All’interno, la struttura in quercia è stata ripristinata secondo i disegni originari. Le travi principali e i solai sono sostenute da mensole in pietra forte. I collegamenti verticali sono realizzati con un sistema di scalinate molto ripide. Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano Porta Cristina fotografata da Édouard Delessert nel 1854 e in un’immagine attuale. Porta S'Avanzada fotografata da Édouard Delessert nel 1854 e in un’immagine attuale. Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano Nel sito dove sorge l’attuale chiesa esisteva, già in età romana, un sepolcreto databile tra il II e il V sec.d.C. Nel VI secolo, Fulgenzio, vescovo di Ruspe esiliato in Sardegna, realizzò un edificio, per ospitare le reliquie di Sant’Agostino. La chiesa di San Saturnino oggi. Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano Il martyrium bizantino, consisteva di un corpo centrale a pianta quadrata e di quattro bracci sporgenti. Dell’impianto bizantino persistono il nucleo a dado sormontato da cupola su tamburo quadrato, le quattro colonne alveolate, le pareti laterali in conci di calcare, più volte rimaneggiate. Preesistenze bizantine. Nel 1089 il complesso monumentale fu donato dal giudice cagliaritano ai Vittorini di Marsiglia, che la rifecero con modi protoromanici, conservando il corpo centrale cupolato corredandolo con quattro bracci a tre navate ciascuno e costruendo una nuova abside semicircolare di più ampia luce. Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano Dell’impianto vittorino persistono il braccio orientale, l’abside e i muri perimetrali del braccio occidentale. Preesistenze medievali. Nel 1324, l’area viene inclusa nella cittadella aragonese d’assedio di Bonaria e subisce gravi danni da parte dei pisani durante il conflitto: furono quasi completamente demoliti i due bracci laterali e quello frontale. Nel 1484, viene effettuato un parziale restauro. Nel XVII secolo, vengono condotti dei restauri e dell’espoliazioni per la ristrutturazione barocca della Cattedrale. Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano Nel 1714, i resti della chiesa passano alla Corporazione dei Medici e Speziali che la intitolarono ai loro santi protettori Cosma e Damiano. A questo periodo risalgono il tamponamento dei tre arconi, la chiusura dell’abside, su cui appoggiava il grande altare settecentesco dedicato ai SS. Cosma e Damiano, il tamponamento delle archeggiature tra la navata principale e le navatelle laterali, l’aggiunta di una sacrestia, costruita in aderenza al lato sud ed il rivestimento della cupola a squame di cotto maiolicato. Foto di V. Alinari, prima dei restauri (1915). S. Saturnino in una veduta, s.d. (da Piloni). Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano Dionigi Scano (1898-1905: Collaboratore all’Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti della Sardegna; 1905-08: Direttore del medesimo servizio; 1909-1923: Soprintendente ai Monumenti) condusse una fase preparatoria ai restauri, ed effettuò qualche piccolo intervento. Nel 1898, effettua studi filologici e ricerche sistematiche sul monumento e individua le fasi costruttive, ipotizza, infine, la ricostruzione dell’edificio originario. Nel 1911, demolisce le arcate che avevano riempito lateralmente la navata centrale e inglobato le colonne e ripristina parte delle quote dell’antico piano. Nel 1920-23, avvia gli scavi della circostante necropoli pagano-cristiana, delle tombe della navata sinistra e delle fondazioni perimetrali della basilica, che misero in evidenza i segni dei bracci laterali. I rilievi condotti da Dionigi Scano. Chiesa di San Bardilio | 1929 Chiamata anche S. Maria de Portu Gruttis è già menzionata nell’XI e XII secolo tra i possedimenti dei frati Vittorini. Nel 1229, è ceduta ai Francescani, che la modificano in forme gotiche e l’abbandonano nel 1508. Fra il 1558 ed il 1803 passa ai Trinitari. Da questo momento in poi inizia la decadenza della chiesa e del convento che vengono usati di volta in volta come caserma e scuderia, luogo di approvvigionamento di foraggi, ospedale per i forzati e deposito di tabacchi. La chiesa di S. Bardilio, demolita a fine Ottocento. Chiesa di San Bardilio | 1902-04 Nel 1902-04 Dionigi Scano progetta il restauro della chiesa che non ebbe, però, seguito, tanto che alla parziale demolizione del 1909 seguì quella definitiva nel 1929, in concomitanza con la sistemazione del piazzale del cimitero di bonaria che aveva, già dalla fine dell’Ottocento, iniziato ad occupare l’area di pertinenza della chiesa. La chiesa di S. Bardilio, demolita a fine Ottocento. Progetto di ripristino di Scano, non realizzato. Aveva un’aula rettangolare con abside semicircolare e copertura lignea. Originariamente il portale era a pieno centro con architrave e piedritti, mentre una cornice ad archi su mensole correva lungo la facciata ed i fianchi. I Francescani aggiunsero una bifora archiacuta ed un frontone timpanato con archetti trilobati ascendenti, ormai illeggibili nella fase finale dell’esistenza della chiesa.