Torri di S. Pancrazio e dell`Elefante | 1906 Dionigi

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
FACOLTA’ DI ARCHITETTURA
Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura_L17
Corso di Teoria e Storia del Restauro
Il restauro nel XIX secolo
La parabola del restauro stilistico in Italia
prof. arch. Caterina Giannattasio
Il restauro in Italia nel XIX secolo
Soprattutto nel secondo Ottocento, così come avviene in
tutta Europa, si diffonde la pratica del restauro stilistico.
La prassi
 Restituire alle fabbriche la loro integrità originaria
 Ma è anche lecito “interpretare” e “migliorare” l’opera del passato
 Il restauratore segue le “regole” accademiche, pur applicandole con
eccezioni, anche vistose
 Molto spesso, per ragioni economiche e modeste possibilità
imprenditoriali, si impiegano materiali più umili e si semplificano le forme
Si effettuano numerosi ‘completamenti’, ‘integrazioni’ e ‘aggiustamenti’ 
operazioni di ‘restituzione’ alla maniera francese, anche se con minor
rigore e intensità
Il restauro in Italia nel XIX secolo
NODO CRITICO:
produzione architettonica nuova e autentico restauro
Difficilmente distinguibili, spesso si tende a confondere edifici neo-romanici
e neo-gotici - espressione dell’architettura dell’eclettismo - ed esempi di
restauro stilistico vero e proprio.
architetto
eclettico:
definendo
una
nuova
opera,
un’interpretazione personale in uno stile liberamente scelto.

fornisce
restauratore: restituisce un’interpretazione appartenente al tempo
dell’opera oggetto dell’intervento. Non ha possibilità di scegliere tra i diversi
stili, a differenza dell’architetto eclettico, poiché lo stile è intrinseco al
monumento su cui interviene.

Il restauro in Italia nel XIX secolo
Pietro Selvatico Estense
Paolo Cesa-Bianchi
Cesare Nava
Federico Berchet
Alfredo D’Andrade
Alfonso Rubbiani
Emilio De Fabris
G. Sacconi
Giovanni Battista Giovenale
Federico Travaglini
Errico Alvino
G. Raimondi
Dionogi Scano
Emmanuele Palazzotto
Giuseppe Patricolo
Il restauro in Italia nel XIX secolo
La prassi
1. Adesione alle regole analogiche
 S. Croce e S. Maria del Fiore a Firenze
 S. Petronio a Bologna
2. Progetti stilistici
 interventi di F. Travaglini
 interventi di A. Rubbiani
3. Orientamento stilistico nel rispetto del documento
 interventi di A. D’Andrade, da una parte aspirando a soddisfare il
gusto del momento, dall’altra ad intervenire in maniera attenta e
scrupolosa
Alla fine dell’Ottocento stile, filologia e storia sono ormai compresenti in
tutta l’attività di restauro, componendosi nelle maniere più disparate
CAMPANIA
FEDERICO TRAVAGLINI
Santa Trofimena - Minori (SA)
San Domenico Maggiore - Napoli
ERRICO ALVINO e GUGLIELMO RAIMONDI
Duomo di Amalfi
Federico Travaglini | 1814-1893
1. Subisce fortemente l’influenza francese
2. Ricompone il nuovo in maniera personale, ma
sempre in nome dell’unità di stile
3. Nel suo operato predomina l’istanza dell’artista: la
componente progettuale non rispetta l’autenticità
4. Più che il desiderio di ricondurre il monumento ad
un unico stile, predomina quello di operare negli
edifici le “modificazioni possibili e necessarie per
lo scopo dell’arte, vale a dire un migliore accordo
del tutto”
Il concetto di restauro
Il restauro a suo avviso è riconducibile ad alcuni criteri-base, che consistono
nell’operare sul monumento nel modo seguente:
“restituirlo cioè qual’era o quale poteva essere; purgarlo
di quelle forme viziose che il deforme Seicento vi
apponeva; creare novellamente quegli ornati che la mano
del tempo, o il vandalismo di artefici ignoranti ha
innovato o distrutto, farlo in guisa che le minime parti
siano conformi al carattere e allo stile dell’intero edificio,
secondo i modelli che i numerosi e grandi architetti
italiani del Trecento lasciarono”.
In definitiva, si preoccupa di abbellire, piuttosto che di conservare.
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini
Sorge su un’antica preesisenza (VII-VIII sec.), posizionata ortogonalmente rispetto ad essa.
La configurazione attuale risale al XVIII secolo, quando, a causa delle precarie condizioni
statiche, l’antica struttura fu ricostruita ex-novo, con asse nord sud, per assecondare il nuovo
assetto della città.
Vista della chiesa e della città ripresa da est.
Prospetto principale della basilica.
1747-63: lavori di costruzione della nuova cattedrale.
Rimangono incompiuti la finitura del prospetto e
l’apparato decorativo interno.
1796-1808: lavori nella cripta e stuccatura degli interni
della basilica
1818: interventi di piccola entità
1830: progetto di un campanile e completameno della
facciata
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente - Travaglini
L'attuale edificio, con la maestosa facciata rivolta verso il mare, è a croce latina, con l'interno
articolato su tre navate. L’imponente facciata è enfatizzata dal sagrato, sopraelevato rispetto
alla quota stradale, a cui tuttora si accede attraverso una scala centrale.
Vista esterna della zona absidale.
Pianta della basilica (rilievo a cura
dell’ ing. G. Del Pizzo).
Alla sinistra della facciata si staglia l’imponente campanile,
anch’esso in stile neoclassico, a pianta quadrangolare e
diviso in quattro ordini.
Prospetto principale della basilica.
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente
- Travaglini
Il sistema di coperture interno della chiesa.
Navata principale:
volta a botte lunettata, decorata con stucchi bicromi.
Navate laterali:
volte a scodella che in corrispondenza delle cappelle
accennano ad un ovale per adattarsi ad esse.
Bracci del transetto: volta a botte.
Presbiterio: volta a botte e catino emisferico.
Incrocio dei bracci: cupola su tamburo.
Nella navata centrale
spiccano gli stucchi
settecenteschi, che si
distinguono da quelli
ottocenteschi della zona
presbiteriale.
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente
Pianta della cripta (rilievo a cura dell’ing. G.
Del Pizzo).
- Travaglini
Cripta della Basilica.
L'antica cappella di S. Trofimena fu ampliata, decorata e trasformata
nell'attuale cripta.
Ripropone lo schema di una basilica a tre navi, anche se con
dimensioni molto ridotte, soprattutto in altezza.
Rivestita con lastre marmoree datate al 1808, conserva ancora
alcune lapidi.
Particolare del
balcone del primo piano
di un edificio di Minori,
nel quale le colonnine a
sostegno degli archetti
sono state recuperate,
con ogni probabilità,
dalla struttura
medievale di Santa
Trofimena.
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente
- Travaglini
La perizia per stabilire il costo dei nuovi lavori, previsti nel 1818 dal Decurionato, fu affidata
a Giuseppe Lista, il quale produsse un dettagliato elenco dei lavori approvato nell’agosto
dello stesso anno.
La relazione è molto esplicativa, sia per quanto riguarda lo stato di fatto, sia per l’idea
progettuale, che riguardava due aspetti: il prospetto della chiesa e il presbiterio.
Tralasciando il progetto inerente la facciata, che il Decurionato decise di rimandare, si diede
priorità ai lavori del presbiterio.
In generale, l’assenza di un piano di lavoro globale ed unitario, in base al quale affrontare
tutte le problematiche della fabbrica fece procedere il cantiere in maniera disorganica con
tempi esecutivi molto lunghi e seguendo criteri incoerenti, basati sulla quantità di denaro di
volta in volta disponibili.
Nel 1830 poiché «la campana grande sistente sul campanile di questa chiesa stava prossima
per crollare a motivo di essersi infraciditi i travi che la sostengono» si pensò di realizzare un
vero e proprio campanile, la cui mancanza era reclamata dal 1818. In tale occasione si
decise di riprendere anche il completamento della facciata.
Questa fu oggetto di lunghe discussioni, che videro il coinvolgimento anche di Pietro
Valente e Federico Travaglini, tanto che fu necessario aggiornare più volte il progetto
iniziale, redatto dal Lista.
Insieme al grafico egli stilò anche la perizia nella quale spiegava le motivazioni su cui si
fondava la sua scelta caratterizzata da un incerto linguaggio formale estremamente sobrio
nell’ornamentazione, adattandosi, per ragioni economiche, al rustico esistente secondo un
disegno di ispirazione classica.
Santa Trofimena - Minori (SA) | Lista - Valente - Travaglini (1818-44)
Due progetti redatti dall’ingegnere provinciale di seconda classe Giuseppe Lista,
rispettivamente del 1818 e del 1832.
Santa Trofimena - Minori (SA) | Lista - Valente - Travaglini (1818-44)
La soluzione progettuale proposta da Pietro Valente nel 1837 in pianta e prospetto.
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente
- Travaglini
Stato di conservazione
della facciata in un disegno
firmato da Federico Travaglini,
del 1844.
Soluzione progettuale proposta da Travaglini.
Santa Trofimena - Minori (SA) | Lista - Valente - Travaglini (1818-44)
Il prospetto del campanile in due soluzioni proposte da F. Travaglini (1844) e allo
stato attuale.
S. Trofimena - Minori (SA) | 1818-44 Lista - Valente
- Travaglini
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Chiesa angioina, consacrata nel 1255, dopo qualche
decennio fu ampliata inglobando la preesistenza,
concludendo i lavori nel 1324.
Fu restaurata nel XV sec., in seguito ai danni arrecati da un
terremoto, con il rifacimento quasi totale dell’apparato
decorativo, fu ricoperta con stucco bianco e adornata con
capitelli dorici.
Napoli, Piazza San Domenico Maggiore, Oswald Achenbach (1874)
Vista dell’abside e dell’antistante piazza
Nel XVII sec. Cosimo Fanzago progettò l’altare
maggiore. Successivamente intervennero il
Nauclerio e Lorenzo Vaccaro, sempre nel
Seicento, e nel XVIII sec. Domenico Antonio
Vaccaro, che eseguì, tra l’altro, il campanile e
il pavimento, conservato nel restauro
ottocentesco.
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Non si può parlare di restauro, ma di innovazione.
Asseconda i desideri della committenza, i
domenicani, che volevano vedere la propria chiesa
con un nuovo aspetto.
L’intervento interessò essenzialmente l’interno,
lasciando nelle forme barocche sia l’esterno che
la sacrestia.

Investì principalmente l’apparato decorativo,
seguendo un gusto che si rifà alla moda
neogotica, in cui lo slancio verticale prevale
sull’orizzontalità dell’apparato più antico.

Le più vistose modifiche interessarono le
aperture della navata maggiore e delle cappelle
laterali.

San Domenica Maggiore, planimetria
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
L’intervento è riassumibile in 4 operazioni:
1) la riduzione alla maniera gotica dei finestroni
che dal Seicento avevano assunto la forma
rettangolare;
2) l’adozione di ornati di stucco, di dorature di
coloriture e di trattamenti superficiali a stucco
lucido “corrispondenti allo stile del tempo”;
3) lo spostamento e l’eliminazione di molti
monumenti;
4) le creazione di vetrate colorate per le nuove
aperture “gotiche”.
Vista della navata maggiore
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Disegno della sezione della chiesa prima
dell’intervento di Travaglini e secondo il suo
progetto.
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Vista della
navata
centrale.
Le pareti della navata centrale mostrano i finestroni gotici della chiesa angioina, riproposti dal
Travaglini, collocati al di sopra degli archi acuti della navata.
Inserisce, inoltre, medaglioni dipinti in asse con i pilastri, raffiguranti dodici santi dell’ordine
dei domenicani.
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Vista della navata
centrale e particolare
del cassettonato
seicentesco a riquadri
con fregi e stucchi, che
presenta al centro il
simbolo dei
domenicani e nei
quattro angoli le armi
della monarchia
spagnola e degli
Aragona.
Travaglini conserva
l’antico cassettonato
‘raccordandolo’ però
all’insieme con una
fascia di colore chiaro
e con stucchi.
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Particolari di capitelli.
In alto a sinistra: capitelli posti in corrispondenza dei
piloni della nave centrale.
In basso a sinistra capitelli creati per l’arco maggiore
che divide la navata dal transetto.
A destra: vedute d’insieme.
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Stato attuale
Progetto di restauro del Travaglini a destra.
San Domenico Maggiore - Napoli | (1850-53)
Errico Alvino
Architetto (Napoli 1809-72). Gli si devono numerose opere di stile neogotico o
neorinascimentale, nonché, con altri, il tracciato del Corso Vittorio Emanuele a Napoli, dove
progettò anche la colonna della piazza dei Martiri.
Guglielmo Raimondi
Architetto, allievo di Errico Alvino.
Duomo di Amalfi | 1872-91
Nell’ anno 987 la diocesi amalfitana fu elevata a
sede arcivescovile e metropolitana, e, in virtù di
questo riconoscimento, Mansone, duca di Amalfi,
fece edificare una nuova cattedrale, a tre navate,
accanto alla preesistente basilica dell’ Assunta.
I lavori di ampliamento furono effettuati nei primi
anni del XIII secolo per iniziativa dell’arcivescovo
Matteo di Capua e del cardinale amalfitano Pietro
Capuano, e consistettero nella realizzazione
della Cripta e dell'Atrio della Cattedrale.
Giacinto Gigante - Il duomo di Amalfi
A seguito della costruzione della cattedrale
mansonea, la basilica dell’Assunta cominciò a
perdere gradualmente importanza, e, già nel 1176, era
diventata una semplice navata (Nave dei Ss. Cosma e
Damiano). Sin dal 1180 , inoltre, davanti al suo
ingresso si cominciò ad elevare il campanile.
Leo von Klenze - Der Dom von Amalfi (1859)
Duomo di Amalfi | 1872-91
Veduta della piazza di Amalfi (A. Senape, 1835 ca.)
Amalifi, la cattedrale (P. Benoist,
1850 ca.)
L’arcivescovo Filippo Augustariccio, fece completare il campanile nel 1276, facendovi aggiungere
la cella campanaria. Lo stesso arcivescovo, tra il 1266 ed il 1268, aveva fatto edificare il Chiostro
Paradiso.
Ulteriori ampliamenti e ricostruzioni avvennero tra il XVI secolo e il XVIII secolo che gli hanno
conferito la veste attuale.
Duomo di Amalfi | 1872-91
L’intervento si configura in un periodo in cui si nutrivano pregiudizi per il barocco
 È espressione dell’eclettismo architettonico, raggiungendo un risultato molto
lontano dal primitivo.
 Ad avviare il processo di ricerca della facciata medievale fu un crollo avvenuto
nel 1861 causato da forte vento, che fu l’input per effettuare drastiche demolizioni
di parti ritenute pericolanti, ma che in realtà, una volta eliminate, avrebbero
consentito una più chiara lettura delle parti sottostanti, al punto che si giunse a
demolire completamente il pronao.
 I lavori ebbero inizio nel 1872, ad opera di Enrico Alvino, a cui subentrò, nel
1880, Guglielmo Raimondi, che portò a compimento l’idea del suo predecessore.
 In facciata, nel 1862, sotto la crosta barocca si individuarono frammenti della
fascia decorativa in mosaico e di alcuni archi, che Alvino riprese accuratamente,
purtroppo rifacendoli ex-novo, unitamente ad estesi tratti di facciata e delle
strutture sottostanti al piano di calpestio del portico, rifacendosi alla cultura della
conservazione del suo tempo.
 Scelse come materiali di progetto la pietra da taglio, calcare e trachitica, e
mosaici, in luogo dell’originario e più economico intonaco colorato e affrescato.
Duomo di Amalfi | 1872-91
Il duomo in una cartolina del 1862-71.
Tali documenti mostrano la facciata subito
dopo la demolizione degli stucchi barocchi e
dell’atrio, perpetrati, nel 1862, dall’arch.
Lorenzo Casalbore.
Nell’immagine in alto a destra emerge
l’originario motivo delle due fasce sovrapposte
di archi intrecciati, poi ripreso da Alvino nel suo
progetto.
Frammento dell’antico mosaico distaccato, nel 1872
dalla sommità della facciata originaria del duomo
Il duomo in una foto del 1872.
Duomo di Amalfi | 1872-91
L’intervento sostituì alle forme barocche un’architettura in “stile amalfitano”
Restauro della facciata nei disegni firmati da Alvino, del 1871.
Duomo di Amalfi | 1872-91
La cattedrale in una foto Alinari di inizio
Novecento, dove spicca il campanile con le
stratificazioni barocche, poi rimosse.
La cattedrale nello stato attuale.
Duomo di Amalfi | 1872-91
Atrio del duomo, scorcio interno ripreso da meridione,
successivamente all’intervento di restauro.
A sinistra
In alto: Vorhalle der Cathedrale zu Amalfi, (H.W. Schulz,
1860).
In basso: Atrio del duomo di Amalfi (G. Gigante. 1861).
Duomo di Amalfi | 1872-91
Particolare della facciata con le figure
dei dodici apostoli e l’Apocalisse di S.
Giovanni, Domenico Morelli.
I mosaici, confezionati dal maestro
veneziano Antonio Salviati tra il 1884
e il 1885 e dai suoi figli nel 1890,
furono messi in opera dai maestri
veneziani Antonio Gobbo e Antonio
Foscato nel 1891.
Particolare della facciata con i
medaglioni di terracotta, le
borchie smaltate rosse e verdi,
le riggiole di rivetsimento degli
archi intrecciati sorretti da
binati di colonnine .
Particolare della facciata con
il rivestimento di calcare e
trachite messoin opera tra
1885 e il 1887 da Raimondi
Duomo di Amalfi | 1872-91
EMILIA ROMAGNA
ALFONSO RUBBIANI
Bologna
Chiesa di San Francesco
Palazzo di re Enzo e Palazzo del Podestà
Alfonso Rubbiani | 1848-1913

Passione per l’architettura medievale
Unità stilistica attraverso l’arbitrio e il falso
architettonico


Interpretazione stilistica che non esclude l’invenzione
Nel 1900 scrive: “al restauratore” occorrono
“percezione divinatrice, raziocinio ordinatore, finezza
tattile della fantasia”


“Pochi avanzi bastano a provocare cento idee”
La sua posizione è certamente arretrata rispetto a quella
dei suoi contemporanei

Influenza di VLD  restauro consistente in 2 operazioni:
a) completamento delle parti incompiute
b) ripristino di quelle alterate
Influenza di Ruskin  estetica e filosofia morale sono inscindibili; l’arte è una delle più
alte forme di profezia sociale
Influenza di Boito  “l’antico vince il nuovo, ma il bello vince l’antico” (1893)
Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89
Nel 1236 i Frati Minori iniziarono la costruzione della basilica. Nel 1251, papa Innocenzo IV
consacrò l’altare maggiore, ma il tempio fu ultimato solo nel 1263.
Sul lato meridionale della chiesa, che è orientata ad
est, fu poi realizzato il complesso conventuale,
mentre dietro il coro sorse il cimitero, che accolse le
tombe di molti giuristi e dottori dello Studio di
Bologna.
Nel 1796 l’edificio subì il saccheggio delle
truppe francesi che lo ridussero a caserma.
Il convento fu soppresso e la chiesa,
sconsacrata ed ulteriormente spogliata di
opere d’arte, fu adibita a caserma.
Fu riaperta al culto nel 1842 per divenire
pochi decenni dopo un magazzino militare.
Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89
L’intervento di Alfonso Rubbiani fece
riacquistare il primitivo aspetto alla fabbrica
francescana
La basilica in una foto del 1920-30 ca.
Nel luglio del 1943, però fu ridotta a rovina a causa di un bombardamento. La basilica tornò
all’antico splendore grazie ai restauri, conclusi nel 1949, del Genio Civile e della
Sovrintendenza ai Monumenti, sotto la direzione di Alfredo Barbacci.
La chiesa dopo i bombardamenti del 1943,
prospetto principale e interni.
Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89
La chiesa presenta una facciata monocuspidata e tripartita,
ornata lungo gli spioventi da archetti e bacini in ceramica.
La costruzione, a sviluppo basilicale, è caratterizzata da possenti
archi rampanti e da un’abside costituita da nove cappelle radiali.
L’interno è diviso in tre navate da possenti pilastri ottagoni in
laterizio e presenta un transetto che non sporge dai muri
perimetrali.
L’edificio, pur rimanendo legato all’architettura romanico-padana
nella tipologia della facciata, nella decorazione e nelle
proporzioni delle campate, mostra chiari richiami all’architettura
gotica e ai modelli delle costruzioni cistercensi d’Oltralpe
nell’articolazione absidale, negli archi rampanti, nei pilastroni a
lesene all’inizio del coro e nello straordinario slancio
ascensionale.
Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89
Il primo impianto gotico fu
successivamente trasformato
con l’aggiunta di cappelle
inserite lungo le navi e l’abside.
Durante il restauro fineottocentesco si decide di
demolirle per riportare in vista le
tombe dei Glossatori. Tale
intervento, secondo Rubbiani, è
indispensabile per “risalire alla
purità e sincerità del
documento”, in connessione col
pensiero di Viollet-le-Duc e con
le regole della reintegrazione
stilistica.
L’interno della basilica prima
dell’intervento di Rubbiani
L’interno della basilica
dopo l’intervento di Rubbiani
Sempre secondo questa logica fu eliminata anche la “discordante” decorazione interna
aggiunta a metà dell’Ottocento.
Non trovando sufficienti tracce dell’apparato originario, aggiunge alle pareti e alle cappelle
del peribolo un’arbitraria decorazione, in parte imitata da monumenti coevi con la
convinzione che l’apparato decorativo si possa sottrarre al rigore dell’archeologia.
S. Francesco (1886-89) Bologna
Chiesa di San Francesco - Bologna | 1886-89
S. Francesco prima e dopo i
lavori di liberazione e
reintegrazione.
Palazzo re Enzo e Palazzo del Podestà - Bologna | 1887-1913
Fu costruito a metà del XIII sec. come ampliamento degli edifici comunali. Appena tre anni
più tardi diviene la 'residenza' del re prigioniero della battaglia di Fossalta: re Enzo di
Sardegna, figlio di Federico II. Nell'ultimo dei tre piani originari era riservato al re un ampio
vano dove trascorse i successivi ventitré anni fino alla morte (1279).
Al piano terreno erano conservate le macchine da guerra dell'esercito e il Carroccio. Con
una scala coperta si accedeva al loggiato del primo piano dove si tenevano le sedute dei
consigli popolari. La Sala del Trecento, realizzata da Antonio di Vincenzo nel 1386, viene
successivamente adibita ad archivio comunale, mentre l'ultimo piano subisce una vasta
opera di ristrutturazione nel 1771.
Palazzo re Enzo e Palazzo del Podestà - Bologna | 1887-1913
Alfonso Rubbiani, con il suo intervento mira a ripristinare l'aspetto gotico dell'edificio a
discapito degli interventi successivi. Sulla base delle tracce trovate e delle fonti rinnova la
facciata, ricostruisce le merlature, le arcate del pianterreno e la scala quattrocentesca.
Il palazzo prima dei lavori di restauro ed il complesso costituito dal palazzo stesso e da quello del Podestà
secondo il progetto di restauro di A. Rubbiani, ben rispondente ai criteri ‘stilistici’ d’origine francese.
Nel palazzo del Podestà (1887) ripristina le decorazioni in cotto, nel palazzo di Re Enzo (190513), “dopo tante dimostrazioni storiche e artistiche”, sostituisce le finestre architravate con
trifore, che poi si dimostreranno diverse da quelle originarie (bifore e non trifore).
LIGURIA
PIEMONTE
VALLE D’AOSTA
ALFREDO D’ANDRADE
Sacra di S. Michele – S.Ambrogio di Susa
Borgo medievale del Valentino - Torino
Porta Soprana - Genova
Castello di Fénis - Aosta
Alfredo D’Andrade | 1839-1915
Conoscenza del monumento nelle sue valenze
architettoniche, formali e strutturali
1. Educazione delle maestranze per il concreto
rispetto delle tradizioni antiche
2. Ricostruzione filologica basata sullo studio delle
tracce, dei monumenti analoghi
3. Rilievo delle decorazioni ed imitazione perfetta
4. Forte influenza di Viollet-le-Duc
5. Vicino al pensiero di Boito
Sacra di San Michele - Sant’Ambrogio di Susa | 1889
La Sacra di San Michele nasce in seguito al
diffondersi del culto di San Michele che si
sviluppa a partire dal V sec. La sua
ubicazione in altura e in uno scenario
altamente suggestivo, richiama i due
preesistenti insediamenti micaelici del
Gargano (V sec.) e della Normandia (VIII sec.).
Fondata tra il 983 e il 987 sullo sperone
roccioso del monte Pirchiriano si trova al
centro di una via di pellegrinaggio che
unisce quasi tutta l’Europa occidentale da
Mont-Saint-Michel a Monte Sant’Angelo.
Sul finire del X secolo San Giovanni Vincenzo, un discepolo di San Romualdo, iniziò in questo
luogo la vita eremitica. Alle soglie dell'anno mille (983-987 ) il conte Ugo (Ugone) di
Montboissier, ricco e nobile signore dell'Alvernia, inizia l'edificazione del monastero, affidato
poi a cinque monaci benedettini. Fino alla prima metà del ‘300 il monastero visse la sua
stagione più favorevole sotto la guida degli abati benedettini, alla quale seguì mezzo secolo di
decadenza e che culminerà, nel 1622, con la soppressione del monastero.
La Sacra resta quasi abbandonata per oltre due secoli, finché, nel 1836, Re Carlo Alberto di
Savoia, desideroso di far risorgere il monumento che era stato l’onore della Chiesa
piemontese e del suo casato, pensò di collocare, stabile, una congregazione religiosa,
Offrendo l’opera ad Antonio Rosmini.
Sacra di San Michele - Sant’Ambrogio di Susa | 1889
Il complesso è composto da tre edifici, la cui complessa articolazione comporta
un’elaborata preparazione del progetto di restauro, che d’Andrade distingue in due fasi, una
di consolidamento, l’altra motivata da esigenze statiche e compositive.
Vuole ricostruire le parti distrutte e concludere la fabbrica rimasta incompiuta.
Fonda il progetto su uno studio preliminare molto approfondito, soffermandosi sull’analisi
dei materiali, della loro lavorazione ed esecuzione, volta a raggiungere una perfetta fedeltà
ai modelli di riferimento.
Borgo medievale del Valentino - Torino | 1884
Viste dell’esterno.
Costruito ex novo in occasione
dell’esposizione di Torino del 1884,
costituisce un modello erudito in
stile medievale.
Particolare.
Porta Soprana - Genova | fine XIX sec.
L’intervento è consistito nel restauro
delle bucature e nella realizzazione di
feritoie e merlature, dimostrando
scrupolosità filologica.
Sull’esempio del restauro di VLD per
Carcassonne, la struttura viene
restituita integralmente alla sua
dignità di monumento medievale.
Disegno restitutivo firmato da A. d’Andrade.
Castello di Fénis - Aosta | 1897-1920
Planimetria, pianta del pianterreno.
Il primo corpo di fabbrica, probabilmente una “torre castellata” del XII
secolo, viene integrato dalle strutture trecentesche che ne
definiscono il nucleo centrale pentagonale e le due cinte murarie
concentriche.
Nel XV secolo viene adeguato ad una funzione più residenziale, con
l’inserimento di elementi decorativi.
D’Andrade interviene con un cauto restauro, sostanzialmente
consistente in opere di consolidamento, in modo da arrestare
l’avanzato stato di degrado. La sua proposta è documentata da una
serie di rilievi eseguiti con grande scrupolosità.
Lo stato dei luoghi al 1909
Stato attuale, ovvero dopo un ulteriore
intervento, piuttosto arbitrario.
Castello di Fénis - Aosta | 1897-1920
MILANO
PAOLO CESA-BIANCHI
CESARE NAVA
Chiesa di S. Babila
Chiesa di S. Babila - Milano | 1883-1905 Paolo Cesa-Bianchi + Cesare Nava
La costruzione della basilica risale agli
ultimi decenni dell’XI sec., ma nel corso dei
secoli, fu oggetto di svariate trasformazioni.
Nel 1826 a causa delle pessime condizioni si
propose di demolirla, ma, tra il 1881 e il
1890, l'architetto Paolo Cesa Bianchi ne
progettò e attuò il restauro, riportandola alle
forme originarie.
La facciata seicentesca opera di Aurelio Trezzi .
In particolare, fu demolita la facciata barocca,
ricomposta in stile neoromanico, completata, solo
nel 1905, dall'architetto Cesare Nava.
Facciata in stile romanico-lombardo, frutto
dell’intervento ottocentesco.
Cesare Nava
VENEZIA
FEDERICO BERCHET
Fondaco dei Turchi
Federico Berchet | 1830-1909
La sua linea di pensiero è
vicina a quella di Alvino e
Travaglini.
A differenza di costoro,
però, il suo operato non fu
ben accolto, poiché
prevalse nell’opinione
pubblica l’influenza del
pensiero di Ruskin.
Fondaco dei Turchi - Venezia | 1858-60
L’edificio è stato costruito nel XIII sec., come residenza della famiglia Pesaro, poi venduto
nel secolo successivo alla Repubblica di Venezia e, in seguito, a privati.
Nel 1621, la Repubblica lo affittò ai
mercanti turchi che lo destinarono a
emporio. All’interno venivano
depositate le merci ed effettuate le
contrattazioni; inoltre furono
costruiti un bazar e, secondo le
tradizioni turche, una piccola
moschea e dei bagni turchi.
In questo fondaco, con un porticato
al piano terra di derivazione tardo
romana e con una ripetizione di
archi allungati di tradizione bizantina
sulla facciata, il piano abitabile era
soltanto uno.
A partire dal 1858 diventa di proprietà del comune, che lo restaura, su progetto di Federico
Berchet, per poi adibirlo a museo.
Dal 1923 ospita il Museo civico di storia naturale di Venezia.
Fondaco dei Turchi - Venezia | 1858-60
Il Fondaco dei Turchi prima del restauro, in un disegno
firmato da F. Berchet
Il piano terra è segnato da dieci archi a tutto sesto e da
una loggia con diciotto arcate di dimensioni minori.
Ai lati sono state aggiunte due torrette, articolate su tre
livelli. Tutta la facciata è sovrastata da un sistema di
merlature, assente prima della ricostruzione.
Il restauro della facciata non ancora esteso alle finestre
del lato a sinistra.
FIRENZE
NICCOLÒ MATAS
Santa Croce
EMILIO DE FABRIS
Santa Maria del Fiore
Chiesa di Santa Croce - Firenze | 1847-54 Niccolò Matas
Il fronte della facciata prima della costruzione.
La facciato allo stato attuale.
La basilica, edificata a partire dal 1294 su progetto di Arnolfo di Cambio, fu consacrata nel
1443, anche se ancora incompiuta nel prospetto.
Nel 1476 viene effettuata una prima fascia di paramento marmoreo, poi smantellato nel 1854
per realizzare il nuovo disegno.
Nel 1837 l’architetto Matas e lo scultore Lorenzo Bartolini progettano varie soluzioni, tra cui
fu scelta quella del modello, replicante forme e stilemi gotici, con elementi scultorei ridotti al
minimo e linearità ravvivata dalla policromia dei marmi.
Il progetto conclusivo fu approvato nel 1854.
Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris
Nel 1472, quando la fabbrica si conclude
con la cupola brunelleschiana, la facciata,
realizzata solo per metà della sua altezza,
presenta un portale centrale a forma di
tabernacolo e due parti laterali.
Nel 1490 viene bandito un concorso e nel
1587 Lorenzo de’ Medici fa demolire quel
che era stato realizzato dell’antica facciata.
Disegno di Bernardino Poccetti che
rappresenta la facciata del Duomo prima della
demolizione del 1587.
Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris
Solo nell’Ottocento si affronta seriamente il problema.
Alle prime proposte progettuali, si susseguono ben 3 concorsi internazionali (1861, 1864, 1865)
Il progetto conclusivo fu approvato nel 1867, ad opera di Emilio De Fabris.
La facciata incompiuta in una foto
del 1860 ca.
Foto con le tracce della facciata seicentesca dipinta (1864 ca.)
Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris
COME INTERVENIRE?
→ Alla maniera di Arnolfo o di Brunelleschi?
→ Con facciata tricuspidale o monocuspidata?
Emilio De Fabris
Proposta progettuale:
facciata tricuspidata.
Proposta progettuale:
coronamento basilicale
Le due versioni di
coronamento affiancate.
Chiesa di S. Maria del Fiore - Firenze | 1867 Emilio De Fabris
Alla fine si sceglierà la facciata
monocuspidata, perché più
adeguata agli elementi
prevalenti nella fabbrica,
seguendo i modi arnolfiani.
ORVIETO
GIUSEPPE SACCONI
Palazzo del Popolo
GIUSEPPE SACCONI | 1854-1905
Fu sovrintendente ai Monumenti del
Piceno e dell’Umbria, noto peraltro per
essere l’autore del monumento nazionale a
Vittorio Emanuele II in Roma.
Palazzo del Popolo - Orvieto | 1880 ca.
Il palazzo fu costruito alla fine del XIII
secolo, sulle preesistenze di un
precedente palazzo papale del 1157.
La struttura fu ampliata già dal decennio
successivo e la torre campanaria vi fu
aggiunta nel 1315.
Il palazzo in un’immagine del 1880 ca.
L’intervento mirò sostazialmente al ripristino
dello stile originario del palazzo, che fu coronato
da merli ghibellini e liberato dalle superfetazioni
successive all’impianto originario.
Stato attuale dopo i lavori di restauro.
ROMA
GIOVANNI BATTISTA GIOVENALE
S. Maria in Cosmedin
Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale
La prima piccola chiesa fu fatta costruire
da papa Gregorio I all'inizio del VII sec.
Papa Adriano I la fece ricostruire già alla fine
dell'VIII secolo dentro la struttura dell'antica
sede dell'Annona, di cui la chiesa incorporò la
struttura e il colonnato, dividendola in tre navate
e abbellendola di splendide decorazioni.
La facciata nella sua sistemazione settecentesca,
firmata dall’arch. G. Sardi (1718)
In seguito, alla chiesa furono aggiunti una
sagrestia l'oratorio e una residenza diaconale
(858-867) e, infini, il portico (1120 ca.).
Nel 1718, fu restaurata su disegni
di Giuseppe Sardi che ne trasformò lo stile
da romanico a rococò.
La Chiesa di Santa Maria in Cosmedin in un
disegno di Giuseppe Vasi (1761)
Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale
La facciata come si presentava prima che l’intervento
del Giovenale rimuovesse la facciata realizzata su
progetto di Sardi nel 1718.
Stato attuale
Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale
Nel 1899 fu oggetto di un nuovo intervento a firma di G.B. Giovenale che eliminò questi elementi
per riportare la chiesa all’originario aspetto romanico, che ancora oggi conserva.
L’intervento di Giovenale è stato eseguito in applicazione dei criteri ‘storico-stilistici’, attraverso
un intervento di liberazione e reintegrazione.
La navata centrale nel 1891
Lo stato attuale, che ripropone il
presunto stato dei luoghi all’anno 1123.
Chiesa di S. Maria in Cosmedin - Roma | 1892-99 G.B. Giovenale
CAGLIARI
Chiesa di S. Francesco di Stampace
DIONIGI SCANO
Cattedrale di Santa Maria
Torre di S. Pancrazio
Torre dell’Elefante
Basilica di S. Saturnino
Restauro in stile
Demolizione
Torre di San Pancrazio
Cattedrale
Torre dell’Elefante
Chiesa di S.Francesco
Basilica di S.Saturnino
Chiesa di N.S. di Bonaria
Chiesa di San Giacomo | 1838 - G. Cima
Un documento ne attesta l’esistenza già nel 1346,
probabilmente con lo schema tipico delle architetture
religiose catalane.
Due epigrafi ricordano la costruzione del campanile,
a canna quadrata, ad opera del maestro Thomas
Marini, tra il 1438 e il 1442. Nel 1640 fu aggiunta una
cuspide sorretta da quattro pilastrini, eliminata nel
1990.
Vista attuale della chiesa.
Vista del campanile prima dell'eliminazione della cuspide.
Chiesa di San Giacomo | 1838 - G. Cima
L’interno è costituito da una navata coperta con volta a botte
rinforzata da archi trasversi, che poggiano su lesene legate da
doppia cornice. Ai lati si aprono le cappelle con archi a tutto
sesto o acuto, ricoperte con volte a crociera o a botte.
Nel 1838, l’architetto Gaetano Cima disegna la nuova facciata,
ritenuta troppo modesta per il gusto del momento, in stile
neoclassico.
Non esiste alcuna documentazione dell’originaria facciata, oggi, in seguito al restauro del
Cima, essa presenta due coppie di capitelli corinzi che sorreggono un timpano triangolare
ed un lunettone semicircolare sovrasta il portale d’ingresso.
La Chiesa di San Giacomo, affiancata dai due Oratori tardo-secenteschi.
Chiesa di San Francesco | 1875
Il complesso monumentale di San Francesco, menzionato per la prima volta nel 1275, era
costituito da una chiesa e da un convento prospicienti un ampio chiostro.
Attualmente si conserva solo il chiostro, che versa in un avanzato stato di degrado,
conservandosi solo il piano terra dei bracci e l’ambiente che accoglieva il refettorio.
Foto della chiesa di San Francesco, ripresa dall’attuale piazza Yenne e incisione del secolo scorso (da
Almanacco di Cagliari-1985, Roberto Porrà).
L’imponente edificio della chiesa fu realizzato in forme gotiche con il coronamento
superiore ornato di archetti pensili che seguivano la linea inclinata del timpano, la cui
sagoma era interrotta dal piccolo campanile a vela.
Chiesa di San Francesco | 1875
L’ingresso si apriva sul fronte laterale, l’interno presentava una navata unica coperta con
tetto in legno e ritmata da archi di scarico. Le cappelle furono realizzate in fasi successive e
si aprivano negli intervalli determinati dagli archi di scarico.
Immagine di fine Ottocento
raffigurantela chiesa nel
Corso Vittorio Emanuel, e
foto attuale nellaquale è
evidenziata l’area un tempo
occupata dalla chiesa.
Pianta della chiesa e del chiostro. Sezione con ricostruzione della facciata laterale della chiesa.
Attraverso l’ampia sagrestia si raggiungeva il chiostro a pianta quadrata con il pozzo
centrale. Il complesso religioso ebbe per molti secoli grande importanza sia sociale che
economica per lo sviluppo del quartiere.
Chiesa di San Francesco | 1875
Cagliari, il chiostro di S. Francesco, braccio ovest con i
Carabinieri, attorno al 1940.
1861: inizia la totale decadenza, in seguito
all’incameramento demaniale dei beni ecclesiastici.
1862: il convento fu adibito a caserma dei Carabinieri.
1870: un fulmine danneggiò il campanile.
1875: avviene il crollo definitivo della chiesa.
DIONIGI SCANO | 1867- 1949
Frequentato il liceo a Cagliari, si laureò in ingegneria civile nella
Scuola di applicazione di Torino.
Fu richiamato in Sardegna da Filippo Vivanet che lo volle come suo
collaboratore nell'ufficio regionale per la conservazione dei
monumenti, di cui divenne in seguito capo.
Ebbe l’incarico, prima presso l’Ufficio regionale dei monumenti e
poi per incarico diretto dal Ministero della Pubblica Istruzione, di
censire gli edifici della Sardegna.
Poté, pertanto, percorrere tutta la Sardegna e, in 15 anni di lavoro,
ricercare i beni monumentali disseminati nel vastoambito regionale,
studiandone le forme costruttive e la storia.
Si occupò di storia della Sardegna ed eseguì numerosi rilievi e
restauri.
Cattedrale di Santa Maria | 1902 Dionigi Scano
Cominciata dai Pisani nei primi decenni del XIII sec., la prima menzione che ne attesta
l’esistenza risale al 1254, in forme romaniche, presentava pianta rettangolare, divisa in tre
navate da colonne, con volta a crociera nelle navate laterali e copertura in legno in quella
centrale. Nel 1258, dopo la distruzione da parte dei pisani della capitale giudicale Santa Igia
e della cattedrale di Santa Cecilia, la chiesa di Santa Maria di Castello fu elevata al rango di
cattedrale. Ha subito numerosi rimaneggiamenti con sostituzioni e trasformazioni. L’ultima
nel 1930 con l’eliminazione della facciata Barocca, disegnata da Piero Fossari, nel 1702.
1702
Fine ‘800
1930
Cattedrale di Santa Maria |1902 Dionigi Scano
Agli inizi del XIV secolo venne realizzato il transetto, che rese la pianta della chiesa a croce latina,
e le relative due porte laterali. Sulla facciata venne inoltre aperta una bifora gotica e vennero
eseguiti interventi sul campanile a sezione quadrata, facente parte della primitiva chiesa. L’interno
è a tre navate con transetto e ampio presbiterio che sovrasta la cripta-santuario voluta
dall’arcivescovo Desquivel nel 1618, costituita da un ampio vano con volta a botte ribassata e due
cappelle laterali voltate a crociera.
Vista della cripta.
Ai lati del presbiterio in simmetria vi sono le cappelle del
transetto, una delle quali realizzata nel 1326 in stile goticocatalano con pianta ottagonale e volta di copertura ad ombrello
segnata da esili costoloni in rilievo.
Cappella aragonese.
Cattedrale di Santa Maria|1902 Dionigi Scano
Tra il 1664 ed il 1674
l’architetto genovese
Domenico Spotorno rifece
completamente l’interno.
Viste interne della cattedrale.
Nel 1702 Piero Fossati fece la facciata barocca
che rimase fino agli inizi del XX secolo quando fu
abbattuto il rivestimento barocco per sostituirlo
con l’attuale.
Facciata barocca del Fossari.
Cattedrale di Santa Maria| 1902 Dionigi Scano
Nel 1902, sotto la direzione dell'ingegner Dionigi Scano, la facciata barocca fu smantellata nella
vana speranza di trovarvi al di sotto quella medioevale; solo nel 1930 ne venne ricostruita una
nuova facciata in stile romanico pisano su disegno dell'architetto Francesco Giarrizzo.
Disegno dal titolo Alabanças
de los santos de Sardena,
redatto, nel 1631, da Juan
Francisco Carmona.
Facciata demolita nel 1902
La facciata attuale.
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
Torre di San Pancrazio
Torre dell’Elefante
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
Nei primi anni del Trecento, paventando l'imminente attacco catalano a seguito della
concessione del "Regnum Sardiniae" a Giacomo II re d'Aragona, i Pisani rafforzarono la
cinta muraria sotto la direzione dell'architetto Giovanni Capula. Le possenti mura furono
costruite in cantoni provenienti dal colle di Bonaria e dotate di torri con pianta a L o
circolare. Sopravvivono integre la torre di San Pancrazio a NE, con epigrafe che la dice
edificata nel 1305, e la torre dell'Elefante a SO, datata epigraficamente 1307.
Sviluppo delle mura di Castello nel medioevo.
Sigismondo Arquer, 1500.
«Il complesso delle mura urbiche del Castello (…). Era difeso, oltre che dalle tre torri maggiori, in
corrispondenza degli ingressi (Leone, Elefante; S. Pancrazio), anche da una ventina di torri secondarie,
poste ad intervalli irregolari ogni 70-80 metri, pari alla gittata utile di un arco» .
(M. RASSU, Baluardi di pietra: storia delle fortificazioni di Cagliari, Aipsa, Cagliari 2003, pp. 236 P.17).
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
Erette sotto richiesta da parte dei Pisani, dall’architetto sardo Giovanni Capula, rispettivamente nel 1305 e
1307, <<(…), avevano il lato interno (verso il Castello) aperto e con i soppalchi lignei in vista, secondo
modelli della Toscana e dell’Italia centrale (…).>> (M. RASSU, Baluardi di pietra: storia delle fortificazioni di Cagliari,
Aipsa, Cagliari 2003, pp. 236 P.17).
Pensate e realizzate come strumento di difesa e
controllo del territorio, perdono la funzione originaria
nel giro di qualche secolo.
Nel 1326, durante il dominio aragonese, Felipe De Boyl
ordinò che il lato aperto delle torri venisse chiuso
mediante un muro per impedire lo sguardo di occhi
indiscreti.
Castello di Cagliari nel 1358. (Da copia conservaantesi
nell’Archio di Stato in Cagliari -- Originale nell’Archivio di
Barcellona. (D. SCANO, Forma Karalis, Gianni Trois,
Cagliari 1989, pp. 203)
Foto antecedenti agli interventi dello Scano.
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
La torre di S. Pancrazio prima dell'intervento di Scano e in un'immagine attuale.
Nel XVII secolo, con l'apertura del passaggio nell'attiguo Palazzo delle Seziate,
la torre di S. Pancrazio perde la funzione d'ingresso alla città ed è adibita a
carcere sino alla fine del XIX secolo. Nel tempo le si addossa un’edilizia
disordinata, formata prevalentemente di casupole.
Nel 1906, ad opera dell'ingegnere Dionigi Scano, vi fu un restauro mirato a
riportare la torre all'aspetto originario, abbattendo le costruzioni addossate e
soprattutto attraverso la liberazione del lato murato nel periodo aragonese e
rafforzando i ballatoi in legno, ripristinati recuperando in piccola parte quelli
originari ed inserendo parti nuove ricostruite fedelmente sulla base degli
elementi rinvenuti durante l’opera di restauro.
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
Torre di San Pancrazio prima dell’intervento di Dionigi Scano, dopo e oggi.
Particolare degli impalcati lignei ripristinati dallo Scano.
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
Torre dell’Elefante prima dell’intervento di Dionigi Scano, dopo e oggi.
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
All’interno, la struttura in
quercia è stata
ripristinata secondo i
disegni originari. Le travi
principali e i solai sono
sostenute da mensole in
pietra forte. I
collegamenti verticali
sono realizzati con un
sistema di scalinate
molto ripide.
Torri di S. Pancrazio e dell’Elefante | 1906 Dionigi Scano
Porta Cristina fotografata da Édouard Delessert nel 1854 e in un’immagine attuale.
Porta S'Avanzada fotografata da Édouard Delessert nel 1854 e in un’immagine attuale.
Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano
Nel sito dove sorge l’attuale chiesa esisteva, già in età romana, un sepolcreto databile tra il
II e il V sec.d.C. Nel VI secolo, Fulgenzio, vescovo di Ruspe esiliato in Sardegna, realizzò un
edificio, per ospitare le reliquie di Sant’Agostino.
La chiesa di San Saturnino oggi.
Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano
Il martyrium bizantino, consisteva di un corpo centrale a pianta quadrata e di quattro bracci
sporgenti. Dell’impianto bizantino persistono il nucleo a dado sormontato da cupola su
tamburo quadrato, le quattro colonne alveolate, le pareti laterali in conci di calcare, più volte
rimaneggiate.
Preesistenze bizantine.
Nel 1089 il complesso monumentale fu donato dal giudice cagliaritano ai Vittorini di
Marsiglia, che la rifecero con modi protoromanici, conservando il corpo centrale cupolato
corredandolo con quattro bracci a tre navate ciascuno e costruendo una nuova abside
semicircolare di più ampia luce.
Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano
Dell’impianto vittorino persistono il braccio orientale, l’abside e i muri perimetrali del
braccio occidentale.
Preesistenze medievali.
Nel 1324, l’area viene inclusa nella cittadella aragonese d’assedio di Bonaria e subisce gravi
danni da parte dei pisani durante il conflitto: furono quasi completamente demoliti i due
bracci laterali e quello frontale.
Nel 1484, viene effettuato un parziale restauro.
Nel XVII secolo, vengono condotti dei restauri e dell’espoliazioni per la ristrutturazione
barocca della Cattedrale.
Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano
Nel 1714, i resti della chiesa passano alla Corporazione dei Medici e Speziali che la
intitolarono ai loro santi protettori Cosma e Damiano. A questo periodo risalgono il
tamponamento dei tre arconi, la chiusura dell’abside, su cui appoggiava il grande altare
settecentesco dedicato ai SS. Cosma e Damiano, il tamponamento delle archeggiature tra la
navata principale e le navatelle laterali, l’aggiunta di una sacrestia, costruita in aderenza al
lato sud ed il rivestimento della cupola a squame di cotto maiolicato.
Foto di V. Alinari, prima dei restauri (1915).
S. Saturnino in una veduta, s.d. (da Piloni).
Chiesa di San Saturnino | 1898-1923 Dionigi Scano
Dionigi Scano (1898-1905: Collaboratore all’Ufficio Regionale per la conservazione dei
monumenti della Sardegna; 1905-08: Direttore del medesimo servizio; 1909-1923:
Soprintendente ai Monumenti) condusse una fase preparatoria ai restauri, ed effettuò
qualche piccolo intervento.
Nel 1898, effettua studi filologici e ricerche sistematiche sul monumento e individua le fasi
costruttive, ipotizza, infine, la ricostruzione dell’edificio originario.
Nel 1911, demolisce le arcate che avevano riempito lateralmente la navata centrale e
inglobato le colonne e ripristina parte delle quote dell’antico piano.
Nel 1920-23, avvia gli scavi della circostante necropoli pagano-cristiana, delle tombe della
navata sinistra e delle fondazioni perimetrali della basilica, che misero in evidenza i segni
dei bracci laterali.
I rilievi condotti da Dionigi Scano.
Chiesa di San Bardilio | 1929
Chiamata anche S. Maria de Portu Gruttis è già menzionata nell’XI e XII secolo tra i
possedimenti dei frati Vittorini. Nel 1229, è ceduta ai Francescani, che la modificano in
forme gotiche e l’abbandonano nel 1508. Fra il 1558 ed il 1803 passa ai Trinitari. Da questo
momento in poi inizia la decadenza della chiesa e del convento che vengono usati di volta in
volta come caserma e scuderia, luogo di approvvigionamento di foraggi, ospedale per i
forzati e deposito di tabacchi.
La chiesa di S. Bardilio, demolita a fine Ottocento.
Chiesa di San Bardilio | 1902-04
Nel 1902-04 Dionigi Scano progetta il restauro della chiesa che non ebbe, però, seguito,
tanto che alla parziale demolizione del 1909 seguì quella definitiva nel 1929, in concomitanza
con la sistemazione del piazzale del cimitero di bonaria che aveva, già dalla fine
dell’Ottocento, iniziato ad occupare l’area di pertinenza della chiesa.
La chiesa di S. Bardilio, demolita a fine Ottocento.
Progetto di ripristino di Scano, non realizzato.
Aveva un’aula rettangolare con abside semicircolare e copertura lignea. Originariamente il
portale era a pieno centro con architrave e piedritti, mentre una cornice ad archi su mensole
correva lungo la facciata ed i fianchi. I Francescani aggiunsero una bifora archiacuta ed un
frontone timpanato con archetti trilobati ascendenti, ormai illeggibili nella fase finale
dell’esistenza della chiesa.