CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI Classe 60/S - Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali Facoltà di Scienze Politiche Università di Cagliari CASAMANCE: STORIA DI UN CONFLITTO TESI DI LAUREA di Maria Serrenti Relatore Prof.ssa Bianca Maria Carcangiu Anno Accademico 2006-2007 2 Alla mia famiglia 3 4 RINGRAZIAMENTI Questa analisi è frutto di oltre un anno di ricerche, in cui ho riversato molte delle mie energie. Tuttavia, è stato tutt’altro che un lavoro solitario e sono molte le persone che mi hanno in vario modo aiutato in questi mesi. Un ringraziamento particolare dunque a Filmeno Lopes e Daniel, i miei preziosi contatti in Italia, che mi hanno offerto amicizia e indispensabili consigli, ma soprattutto hanno reso possibile una buona organizzazione del mio soggiorno in Casamance. Ancora un profondo grazie a Zé Manel per le sue allegre chiacchierate, e a Jean per aver reso particolarmente piacevole il lungo viaggio verso Ziguinchor: a loro vada la mia profonda riconoscenza per l’ospitalità che mi hanno offerto a Dakar. Grazie a El Hadji Malick N’Diaye, la mia preziosa e insostituibile guida a Ziguinchor; grazie soprattutto alla famiglia Cissé–Diop, la parte senegalese della mia famiglia, e ad Alain, mio fratello ed amico, che hanno accolto la ‘tubaab’ nella loro casa con grande affetto e pazienza. Ancora un grazie a chi a Ziguinchor si è reso disponibile e mi ha generosamente concesso il proprio tempo per aiutarmi a capire la regione e il conflitto che l’ha scossa per anni. Ma soprattutto grazie alla mia relatrice, Bianca Carcangiu, poiché senza il suo prezioso e convinto incoraggiamento, questo viaggio probabilmente non sarebbe stato possibile. Un sentito ringraziamento agli amici che più mi sono stati vicino in questi mesi: a Marco per la sua affettuosa e paziente amicizia, ad Angela per i suoi tentativi di ‘dissuasione’, ad Andrea, per l’affetto ed i suoi mille pazienti consigli, a Giampiera per i suoi infiniti ‘patemi d’animo’ e a Francesco per la sua discreta amicizia. Infine, grazie soprattutto alla mia famiglia che coraggiosamente e silenziosamente sopporta il continuo peregrinare di una figlia troppo ‘vagabonda’: a loro, la mia più profonda riconoscenza. 5 6 INDICE INDICE....................................................................................................................... 7 INTRODUZIONE .................................................................................................. 13 PARTE 1 INTRODUZIONE GEO–ANTROPOLOGICA ................................................ 23 CAPITOLO 1: INTRODUZIONE GEOGRAFICA................................................ 25 CAPITOLO 2: I GRUPPI ETNICI DELLA CASAMANCE ................................... 27 1 I BAGNUN O BAÏNUNK ....................................................................... 27 1.1 Origini ........................................................................................... 27 1.2 Il sistema politico......................................................................... 30 1.3 Il sistema economico ................................................................... 30 1.4 Cultura, religione e società ........................................................ 31 2 I DIOLA ....................................................................................................... 31 2.1 Origini ........................................................................................... 31 2.2 Il sistema politico......................................................................... 33 2.3 Il sistema economico e sociale ................................................... 34 2.4 Cultura e religione ...................................................................... 38 3 I MANDE ..................................................................................................... 41 3.1 Origini ........................................................................................... 41 3.2 Sistema politico ............................................................................ 43 3.3 L’economia e la società ............................................................... 43 4 I FULANI ..................................................................................................... 46 4.1 Le origini....................................................................................... 46 4.2 l’economia e la società ................................................................ 46 PARTE 2 IL PERIODO COLONIALE: DALLA CONQUISTA ALLA PACIFICAZIONE (1800 – 1930) ........................................................................... 49 CAPITOLO 1: LA “SCOPERTA” E LA “CONQUISTA”: PRIMI INSEDIAMENTI FRANCESI IN CASAMANCE ........................... 51 1 LA PRESENZA PORTOGHESE ....................................................................... 51 1.1 Oltre due secoli di intensi rapporti commerciali .................... 51 1.2 Un gioco di rappresentazioni che inizia lontano nel tempo . 53 2 I PRIMI AVAMPOSTI FRANCESI ................................................................... 53 3 LA PRESENZA FRANCESE IN SENEGAL ....................................................... 58 7 4 LE DINAMICHE ECONOMICHE E I PRIMI TENTATIVI DI SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO (FINO AL 1850 CIRCA) ............ 59 CONCLUSIONE ......................................................................................... 64 CAPITOLO 2: LA QUESTIONE DELLA PACIFICAZIONE ............................... 66 1 LA FASE “NEUTRALE” DELLA POLITICA COLONIALE................................. 67 2 LA POLITICA INTERVENTISTA .................................................................... 70 3 L’AZIONE DI PINET-LAPRADE IN CASAMANCE. ......................................... 74 4 RESISTENZA IN CASAMANCE (1860-80) .................................................... 76 4.1 La media casamance: i mande di sunkari ................................ 76 4.2 L’alta casamance: i fulani di alfa moolo ................................... 79 4.3 La bassa casamance: i diola di seleki ........................................ 81 4.4 Il jahad di fodé kaba .................................................................... 81 5 RESISTENZA IN SENEGAL (1860-80)........................................................... 82 CONCLUSIONE ......................................................................................... 83 3: SENEGAL: UNA COLONIA DIVISA TRA COLLABORAZIONE E RESISTENZA ................................................................................. 89 1 LA BASSA CASAMANCE .............................................................................. 89 1.1 la disfatta di Fodé Kaba nel Fooñi ............................................ 89 1.2 una pacificazione difficile .......................................................... 90 2 L’ALTA CASAMANCE ................................................................................. 92 3 LA MEDIA CASAMANCE ............................................................................. 93 4 LA MURIDIYYA: UNA VIA ORIGINALE VERSO LA COLLABORAZIONE ........ 93 CONCLUSIONE ......................................................................................... 96 CAPITOLO PARTE 3 LA CASAMANCE E IL SENEGAL SOTTO L’AMMINISTRAZIONE COLONIALE (1880-1940) .................................................................................... 101 CAPITOLO 1: L’ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA................................ 103 1 2 INTRODUZIONE ........................................................................................ 103 TRA ASSIMILAZIONE E ASSOCIAZIONE: I PRINCIPI DEL GOVERNO COLONIALE .............................................................................................. 104 3 4 ORIGINI DELL’ AMMINISTRAZIONE IN SENEGAL: I QUATTRO COMUNI. .. 105 L’ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA: 1814-1880 ................................. 108 4.1 Dalla restaurazione al II impero (1814-1850) ......................... 108 4.2 Dal II impero alla “scramble for Africa”: 1851–1880. ........... 110 5 DA ASSIMILATI AD ASSOCIATI: LE NUOVE STRUTTURE COLONIALI E L’AMMINISTRAZIONE DELLA CASAMANCE ............................................. 113 5.1 L’aof e il governo coloniale ...................................................... 113 5.2 L’amministrazione locale ......................................................... 116 CONCLUSIONE ....................................................................................... 119 8 CAPITOLO 2: L’ECONOMIA COLONIALE ....................................................... 122 1 LA NASCITA DI UN’ ECONOMIA BASATA SULL’ARACHIDE ...................... 122 1.1 La scelta dell’arachide .............................................................. 122 1.2 La nascita del binomio “marabutto–arachide” nel bacino arachidiero ................................................................................. 123 2 LA CASAMANCE E L’ARACHIDE: UN BINOMIO IMPERFETTO.................... 125 2.1 Gli attori economici ................................................................... 125 2.2 I prodotti ..................................................................................... 126 2.3 l’organizzazione della tratta e la nascita di un’economia monetaria ................................................................................... 129 2.4 L’isolamento della Bassa Casamance ..................................... 133 CONCLUSIONE ....................................................................................... 134 CAPITOLO 3: UNA SOCIETÀ IN MOVIMENTO ............................................. 136 1 LE FRATTURE SOCIALI E L’AMMINISTRAZIONE ........................................ 136 1.1 Le principali componenti della società senegalese: francesi, “habitants” e “sujects”. ............................................................ 136 1.2 Alle origini del ‘contratto’ sociale senegalese: il coinvolgimento dei marabutti nella vita politica ................. 138 1.3 Una piccola crepa nel ‘contratto’ sociale: la Casamance ..... 140 2 LA RELIGIONE .......................................................................................... 143 2.1 La reazione di una società in crisi di identità (I): il kumpo 143 2.2 La reazione di una società in crisi di identità (II): il bukut . 145 2.3 La religione cattolica ................................................................. 146 3 LE TRASFORMAZIONI ECONOMICHE E SOCIALI ....................................... 149 3.1 I Fulani ........................................................................................ 150 3.2 I Mande ....................................................................................... 152 3.3 Le popolazioni guineane .......................................................... 153 3.4 I tukolor ...................................................................................... 154 3.5 Gli wolof ..................................................................................... 154 3.6 L’esclusione dei Diola dalla rete commerciale ...................... 155 4 UNA RISPOSTA DIOLA: MIGRAZIONE ED ISTRUZIONE.............................. 156 4.1 L’introduzione delle scuole europee in senegal ................... 156 4.2 I fenomeni migratori diola ....................................................... 160 CONCLUSIONE ....................................................................................... 162 PARTE 4 IL RISVEGLIO DELLA COLONIA: IL PRIMO MFDC E L’INDIPENDENZA ............................................................................................. 186 CAPITOLO 1: IL RISVEGLIO DELLA POLITICA AFRICANA E L’IMPATTO DELLA GRANDE GUERRA SULLA CASAMANCE .............. 188 1 IL RISVEGLIO DELLA POLITICA AFRICANA .............................. 188 9 1.1 le difficoltà della politica africana ........................................... 188 1.2 il risveglio: dalle prime associazioni alle legislative del 1914. 189 1.3 la casamance e il risveglio politico della colonia .................. 193 2 UNA PRIMA TAPPA: LA CASAMANCE E LA PRIMA GUERRA MONDIALE. ......................................................................................... 195 2.1 la questione del reclutamento.................................................. 195 2.2 Blaise Diagne e la sua ‘strategia di guerra’ ........................... 197 2.3 “Cette guerre à inseigné à la France qu’elle à des colonies!” 200 CONCLUSIONE ....................................................................................... 201 CAPITOLO 2: IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE E L’IMPATTO SULLA COLONIA.......................................................................... 203 1 LA NUOVA GUERRA EUROPEA ................................................................. 203 2 LA RIVOLTA DELLA REGINA DI KABROUSSE: ALIN SITUÉ ........................ 205 1.1 La rivolta di effok ...................................................................... 205 1.2 Aline Sitoé: la regina di Kabrousse ......................................... 207 1.3 La rivolta della regina o la Casamance in rivolta?................ 208 1.4 L’interpretazione dei fatti: l’amministrazione coloniale, il MFDC e il pacifismo della ‘regina’. ........................................ 210 2 LA FINE DELLA GUERRA E IL RITORNO ALLA NORMALITÀ ...................... 212 CONCLUSIONE ....................................................................................... 213 CAPITOLO 3: LA CASAMANCE VERSO L’INDIPENDENZA: ‘CON’ O ‘NEL SENEGAL? ....................................................................................... 215 1 L’EPOCA DELL’ ‘UNIONE’ E DEL PRIMO MFDC (1946–1956) .................... 215 1.1 Lo scenario politico del dopoguerra ....................................... 215 1.2 Il primo mfdc ............................................................................. 217 1.3 Le elezioni del ’45 e la nascita dell’unione francese ............. 218 1.4 La vittoria del BDS di Senghor (1951) e l’alleanza con il MFDC ......................................................................................... 220 2 LA LEGGE–QUADRO DEL 1956: I PARTITI SENEGALESI E L’EFFIMERA ESPERIENZA DELLA ‘AUTONOMIA’. ......................................................... 223 3 LA COMUNITÀ FRANCESE E IL “SI” DEI MARABUTTI. ............................... 225 4 L’ULTIMA TAPPA: LA FEDERAZIONE DEL MALI........................................ 228 CONCLUSIONE ....................................................................................... 229 10 PARTE 5 LA CASAMANCE: IL TASSELLO MANCANTE ALL’UNITÀ NAZIONALE ........................................................................................................ 232 CAPITOLO 1: L’ “OSSESSIONE” DELLA COSTRUZIONE NAZIONALE.... 235 1 LA COSTRUZIONE DELLO STATO INDIPENDENTE .................................... 235 1.1 Le nuove struttute ..................................................................... 236 1.2 Nuove strutture per vecchie strategie .................................... 238 2 REPUBBLICA DEL SENEGAL: “UN PEUPLE, UN BUT, UNE FOI” ................. 239 2.1 “Il modello islamo wolof” e la “pax senegalese”. ................ 239 2.2 L’anomalia: il patto sociale della Casamance ........................ 243 2.3 La crisi del patto sociale: i “casamanqués” e il fallimento degli ‘évolués’ ........................................................................... 246 3 IL PARADOSSO AMMINISTRATIVO: UNA SOCIETÀ IN GRADO DI AUTOGESTIRSI .......................................................................................... 248 3.1 La struttura e il messaggio amministrativo........................... 249 3.2 Le reti di comunicazione amministrativa .............................. 251 3.3 Ricezione ed efficacia del messaggio ...................................... 252 3.4 La risposta della società: rifiuto ed autogestione. l’esperienza delle associazioni. ..................................................................... 255 CONCLUSIONE ....................................................................................... 257 CAPITOLO 2: IL PARADOSSO DI UNA RICCA TERRA POVERA ................ 260 1 INTRODUZIONE........................................................................................ 260 2 IL CONFLITTO COME UNA RISPOSTA AL SOTTOSVILUPPO........................ 261 2.1 Obiettivi e strategie della politica economica post–coloniale 261 2.2 Il movimento cooperativo ........................................................ 262 2.3 La casamance e il movimento cooperativo ............................ 264 3 LE POTENZIALITÀ ECONOMICHE DELLA REGIONE .................................. 265 3.1 L’agricoltura ............................................................................... 265 3.2 Le risorse ittiche ......................................................................... 266 3.3 Il turismo .................................................................................... 267 3.4 Le risorse forestali ..................................................................... 267 3.5 Il petrolio .................................................................................... 268 4 IL CONFLITTO COME UNA RISPOSTA ALLO SVILUPPO.............................. 268 4.1 La questione della lottizzazione delle terre: l’espropriazione 268 4.2 L’immigrazione: invasione e colonizzazione ........................ 270 4.3 La gestione delle risorse: distruzione dell’ambiente naturale 271 CONCLUSIONE ........................................................................................... 272 11 EPILOGO 26 DICEMBRE 1982… IL CONFLITTO ........................................................... 276 CAPITOLO 1: UN CONFLITTO LUNGO 25 ANNI ............................................ 277 APPENDICE .............................................................................................. 280 1 Cronologia (fonte: apran/s.d.p.) ......................................................... 281 2 Aline sitoé diatta ................................................................................... 284 2.1 SECONDO LA TRADIZIONE ............................................................ 284 2.2 SECONDO L’MFDC ......................................................................... 285 3 Le rivendicazioni del mfdc (congresso di banjul, 1999). ................. 287 4 Composizione etnica e segregazione sociale a ziguinchor ............. 290 5 Repulsività regioni senegalesi (popolazione maschile) .................. 291 6 Rinnovo della popolazione nella regione di ziguinchor ................. 292 DOCUMENTI RILASCIATI ALL’AUTRICE DURANTE LA SUA PERMANENZA IN LOCO (ZIGUINCHOR, SETT/OTT 2007)................... 293 1 2 3 4 5 Carta etnica della sub–regione ............................................................ 294 Risposta al rapporto charpy ................................................................ 295 Lettera di dimissioni del mfdc (16/10/1953) ...................................... 296 Il primo volantino indipendentista .................................................... 297 Lettera dell’abbé diamacoune senghor al presidente della repubblica francese ............................................................................... 298 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................ 300 12 INTRODUZIONE Questo lavoro si è posto come obiettivo quello di andare alla ricerca delle cause che hanno dato luogo ad uno fra conflitti più lungo dell’Africa Subsahariana: quello che la Casamance, la regione più meridionale del Senegal, rappresentata dal Movimento delle Forze Democratiche della Casamance (M.F.D.C.) ha intrapreso dal 26 dicembre 1982, contro il proprio governo. Il primo problema è stato quello dell’inquadramento geografico–antropologico della regione di cui, non a caso, si occupa anche la prima parte di questo lavoro. Ciò che salta immediatamente all’occhio è l’importanza del fattore geografico–climatico e antropologico. La Casamance è una regione particolare e differente rispetto alle altre regioni del Senegal: clima decisamente più umido rispetto alle regioni più settentrionali, presenza della foresta, ed esistenza dell’enclave gambiana che la separa fisicamente dal resto del paese; a ciò andava aggiunta la differente composizione etnica della regione, divisa tra diola, mandé e fulani oltre che varie altre minoranze di origine guineana1. La prima necessità quindi è stata quella di disegnare un ritratto della regione, cercando di cogliere tali particolarità e l’eventuale ruolo che esse hanno avuto all’interno della question casamançaise: ecco perché l’Introduzione Geo–Antropologica. Il secondo problema è stato quello della determinazione dell’orizzonte temporale a cui far riferimento: in quale periodo della storia della regione era possibile individuare l’inizio delle dinamiche sfociate nel conflitto iniziato nel 1982? Sin dalle prime letture è stato chiaro che l’origine del conflitto aveva le sue radici già nel passato coloniale, costantemente richiamato in causa dagli ideologi del MFDC per giustificare e comprovare la veridicità delle proprie rivendicazioni. Così, come affermato dal leader storico del MFDC, l’Abbé Augustin Diamacoune Senghor: I principi fondamentali della rivendicazione dell’indipendenza sono tre: a) Fondamenti Giuridici b) Resistenza Plurisecolare 1 Tra le popolazioni guineana vengono ricompresi i diola, i bagnun, i balant e altre popolazioni provenienti dall’attuale Guinea Bissau. 13 c) Fenomeno di rifiuto del Senegalese1 Da ciò, la decisione di scegliere un ampio orizzonte temporale, che dalle prime conquiste coloniali portasse fino alla fatidica data del 26 dicembre 1982, quando le ostilità ebbero inizio. Le parti II – IV si collocano tra gli albori della presenza europea e la vigilia dell’indipendenza (Dalla conquista alla pacificazione – parte II – La Casamance e il Senegal sotto l’amministrazione coloniale – parte III – e infine Il risveglio della Colonia: il primo MFDC e l’indipendenza – parte IV). Ciò che ha caratterizzato la ricerca è stato, da un lato, il tentativo di analizzare, attraverso il percorso temporale, la consistenza storica e giuridica delle argomentazion del MFDC a sostegno delle proprie richieste; dall’altro, quello di individuare alcune dinamiche particolarmente rilevanti nella storia e nella genesi del conflitto. Era evidente infatti che la regione dovesse avere una qualche particolarità che giustificasse il fatto che proprio in Casamance sia nato un conflitto separatista. Perché non in altre regioni del Senegal che, in egual misura, hanno dovuto affrontare problematiche e difficoltà simili nel corso della loro storia? Da ciò anche la necessità, a livello metodologico, di suddividere l’argomentazione su più piani di ricerca (politico/amministrativo, economico e sociale) e di prendere come unità territoriale l’intero territorio dell’attuale Repubblica del Senegal e non di restringere l’analisi alla sola Casamance. Dall’analisi condotta è emersa una costante tendenza della regione ad essere marginalizzata nelle scelte politiche, oltre che una maggiore problematicità del rapporto della popolazione con l’amministrazione. Ciò che sin da subito si è delineato è stato un problema di integrazione all’interno della colonia senegalese; problema che ha accompagnato la regione nel periodo successivo, quello dell’indipendenza. Nell’ultima parte infatti, La Casamance: il tassello manante all’unità nazionale, il problema dell’integrazione emerge in tutta la sua portata. L’ipotesi che verrà avanzata è proprio quella di un problema di integrazione derivante da tre diversi paradossi a livello politico, amministrativo ed economico: quello di una regione madre di numerosi esponenti della politica nazionale ma che non si sente debitamente rappresentata; di una regione che ha difficoltà a comunicare con l’amministrazione ma che nello stesso tempo è maggiormente recettiva al suo impatto modernizzante; una regione, estremamente ricca ma che si ritiene frustrata a causa del ritardo di cui soffre a livello economico, una 1 Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 14 regione insomma, che si sente ‘sfruttata’, ‘colonizzata’, ‘invasa’ ed ‘saccheggiata’ dal nord del paese. L’Epilogo alle contraddizioni qui sinteticamente delineate, è stato il conflitto, ancora oggi formalmente insoluto, e che nel corso degli anni ha gravemente danneggiato la regione con il suo fardello di lutti, profughi e distruzioni. A livello metodologico, la ricerca è stata caratterizzata da due momenti: il lavoro bibliografico e quello sul campo. Il primo è stato particolarmente lungo ed è stato volto alla ricerca e allo studio della letteratura già presente sul Senegal e la Casamance e dei documenti ufficiali pubblicati tanto dagli attori in causa che da organismi diversi quali Organizzazioni Internazionali, Associazioni, ONG. Dopo aver scomposto i vari livelli di analisi in cui la question casamançaise si articolava, si è cercato di svolgere uno studio tematico del materiale a disposizione (geografico–ambientale, antropologico, politico– amministrativo, economico, socio–culturale), mantenendo sempre una logica di lungo periodo in grado di percepire i fattori e le necessarie dinamiche evolutive importanti per la determinazione del contesto in cui il conflitto è nato. Il secondo momento, è stato quello della ricerca sul campo, concretizzatosi in un soggiorno di circa un mese a Ziguinchor1, capoluogo della Regione della Casamance fino al 1984. Durante la permanenza si è cercato di prendere contatto con i principali leader del movimento, le autorità, oltre che con persone a vario titolo informate sui fatti, al fine di ottenere maggiori informazioni e di raccogliere le differenti posizioni degli attori coinvolti. Dal lato del MFDC mi è stato così possibile avere dei colloqui con Daniel Diatta – numero due del MFDC incaricato del ‘territorio’ (segretario delle relazioni con la società civile), e Bertrand Diamacoune Senghor – l’homme de la paix, segretario all’organizzazione, entrambi nominati dallo stesso Abbé Senghor alcuni mesi prima della sua morte; con alcuni giornalisti, tra cui Oumar Diatta – giornalista per Radio Sud – e Soly Dandiang – direttore di Radio Kassumaye; tra le autorità: Nouha Cissé, preside del liceo Djiabo di Ziguinchor, oltre presidente del Casasport e responsabile regionale del partito And–Jeff e Alassane Gassama – segretario del consiglio regionale di Ziguinchor; alcuni esponenti del mondo delle associazioni come Omar Badiane del Centro Culturale di Ziguinchor, Dema Keita – segretario dell’APRAN; infine, vari colloqui hanno coinvolto i responsabili di alcuni servizi regionali (della pesca, dell’urbanizzazione e delle acque e risorse forestali), oltre che alcuni anziani testimoni degli anni di ‘incubazione’ del 1 18 settembre–21 ottobre 2007. 15 conflitto. Infine, ho cercato di risalire a vari documenti presenti in loco, che mi sono stati forniti direttamente dai miei interlocutori o attraverso delle ricerche negli archivi (per esempio quello della stampa presso l’Alliance Franco–Sénégalaise). 16 17 Figura 1: Carta politico–amministrativa del Senegal 18 19 Figura 2: Regione di Ziguinchor Figura 3: Regione di Kolda 20 21 Figura 4: Ziguinchor 22 23 PARTE 1 INTRODUZIONE GEO–ANTROPOLOGICA 24 *** Come già il titolo sottolinea, questa parte vuole assolvere un compito importante, quello di fornire alcuni primi elementi essenziali sull’oggetto e le tematiche che saranno affrontate in questo lavoro. Vuole essere, per l’appunto, un’introduzione. Ma un’introduzione ad un’analisi che cercherà di analizzare un conflitto – in cui necessariamente ci sono degli attori contrapposti, rappresentazioni degli attori stessi oltre che degli eventi recenti discordanti, in cui la stessa storia viene letta in maniera diversa – potrebbe correre il rischio di essere in qualche modo faziosa. Hanno ragione i ribelli, ha ragione il governo?… Sono domande queste che balzano subito alla mente di chi cerca di analizzare o semplicemente di informarsi su un qualunque conflitto, sia esso africano o no. E già dall’introduzione che il lettore cerca di carpire un indizio, una qualunque traccia che gli permetta di rispondere a quella domanda, di soddisfare la propria curiosità. Un’analisi come questa che cerca di tracciare la “storia di un conflitto” non può non distanziarsi da una simile tentazione, cercando di mantenersi fedele sin dall’inizio ai canoni dell’oggettività e della ricerca storica. Ecco perché in questa parte vengono introdotti due elementi, quello geografico e quello antropologico, senza far riferimento alcuno alle posizioni degli attor coinvolti. Come si vedrà nel corso di questa tesi, la geografia, la storia e la cultura dei popoli che abitano la Casamance hanno avuto un ruolo importante nella genesi del conflitto e sono anche state oggetto di numerose interpretazioni tendenti ad avvalorare tesi e posizioni diverse. Queste ‘interpretazioni’ non verranno in alcun modo introdotte in questa prima parte, ma verranno evidenziate solo successivamente, nel corso dell’analisi. L’obiettivo qui è quindi quello di introdurre, presentare, dare uno sguardo d’insieme privo di ogni faziosità della regione oggetto della nostra indagine. A questo fine, nel primo capitolo verranno introdotti alcuni dati relativi alla posizione geografica, al clima, alla vegetazione. Nel secondo capitolo invece verranno presentati i popoli principali presenti nella regione, utilizzando prevalentemente le ricerche più importanti e dettagliate fatte al riguardo: tra tutti, gli studi di Paul Pélissier, Louis Vincent Thomas e Jean Girard. *** 25 CAPITOLO 1 INTRODUZIONE GEOGRAFICA “Tra il Gambia inglese e la Guinea portoghese, esattamente tra il 12,30° e il 13° di latitudine nord e il 19° e il 16° di longitudine ovest, esiste una terra verdeggiante e misteriosa, la più pregevole, ma anche la più inquietante del Senegal. Questa regione, chiamata Casamance, dal nome del fiume che l’attraversa […]”1 In questa maniera così suggestiva Thomas introduceva la Casamance in un saggio dedicato ad una delle popolazioni che la abitano. Con i suoi 28.350 Km2, rappresenta ⅓ del territorio senegalese, in altre parole un territorio grande pressappoco quanto il Belgio o il Rwanda. È la regione più meridionale del Senegal. La Casamance, che oggi ha rilevanza solo da un punto di vista naturale, è delimitata ad ovest ed a est da confini naturali, rispettivamente dall’Oceano Atlantico e dal fiume Kuluntu, un affluente del Gambia. I confini settentrionale e meridionale sono invece frutto di decisioni politiche che risalgono al periodo coloniale; in entrambi i casi la delimitazione è data oggi dai confini internazionali, a nord con il Gambia, bizzarra enclave coloniale sopravvissuta alla decolonizzazione e all’indipendenza, e a sud con la Guinea Bissau. La presenza del Gambia ha notevolmente influenzato la regione: insieme all’assenza per lungo tempo di un’elementare rete di infrastrutture, ha posto la Casamance in una posizione periferica rispetto alle zone poste più a nord e soprattutto rispetto alla capitale Dakar2. La caratteristica principale della regione è l’omonimo fiume che l’attraversa da est ad ovest e la taglia letteralmente a metà; più che fattore di unione il fiume è stato un elemento di divisione tra le popolazioni. Non a caso, tutte le principali classificazioni sui gruppi umani della regione distinguono nettamente tra le popolazioni della “riva destra” da quelle della “riva sinistra”3. Il fiume Casamance nasce poco ad est rispetto all’attuale città capoluogo di Kolda. Il fiume è caratterizzato da una pendenza molto debole e dal fatto che l’acqua salmastra delle maree riesce a risalire l’alveo fino a Seju, primo avamposto francese dell’età coloniale. L’affluente principale si trova sulla riva destra del fiume: è il Soungrougrou. La navigazione lungo il fiume è resa difficoltosa a causa dei numerosi banchi sabbiosi ma diventa più agevole durante hivernage o navet 4. Gli unici rilievi presenti in Casamance sono dei bassopiani argillosi, poco elevati e ricoperti dalla vegetazione, che sono uno una costante dell’intera regione, dalle zone più a ovest fino a quelle lungo la costa. In Casamance convivono due tipi di climi: quello sudanese che caratterizza la zona della Media e Alta Casamance, e quello guineano, che invece distingue la Bassa Casamance. 1 THOMAS, L.V. “Essai d’analyse fonctionnelle sur une population de Basse Casamance”, IFAN, 1958, vol.. 1: p. 9. 2 La Casamance ha una larghezza di circa 100 km; ciò significa che in qualunque punto ci si trovi non si è a più di 50 km da un confine internazionale, fosse quello del Gambia o della Guinea. Se a ciò si aggiunge la presenza della foresta, delle mangrovie e dei marigot, diventa un territorio ideale per le azioni di guerriglia. 3 Si rimanda al capitolo 2 per un approfondimento sulle popolazioni che abitano la regione. 4 La stagione delle piogge che si estende da giugno a ottobre, ma può essere più breve a seconda delle regioni. 26 Il clima sudanese presenta un clima tropicale con una stagione delle piogge concentrata tra giugno e ottobre, temperature molto elevate e da un’umidità opprimente tutto l’anno. Nel clima guineano invece la stagione delle piogge dura da giugno a novembre, e la stagione secca o nor è quindi più breve. Oltre ad avere un navet più lungo di due mesi, anche le precipitazioni sono maggiori, raggiungendo in media i 1.250 mm. Questo fatto ha ovviamente favorito la nascita di una vegetazione spontanea verdeggiante e molto rigogliosa; ma soprattutto ha reso possibile la presenza della foresta, in particolare nella zona del sud ovest. Da ciò il “mito” della ricchezza della Casamance1. Non a caso gli europei parlavano della “bella Casamance”, i guineani la guardano ancora oggi quasi con una punta d’invidia per la sua appartenenza al Senegal, considerato un paese ricco in ambito regionale; ancora, per i senegalesi del nord, il contrasto tra questa terra verdeggiante e la loro realtà arida, faceva si che alla Casamance fosse legato un sentimento di speranza, di ricchezza e prosperità, incoraggiato anche dalle politiche dello stato indipendente. Il sentimento di ricchezza della Casamance, infine, è condiviso dalle popolazioni stesse che la abitano in termini un po' diversi: sanno di avere una terra ricca e temono che venga spogliata delle sue ricchezze dall’avidità delle popolazioni confinanti2. Insomma, questo lembo meridionale dello stato senegalese appare come una terra invidiata e contesa. 1 Nell’immaginario collettivo, e in particolare per le popolazioni della savana arida del nord, la foresta rappresenta una fonte di ricchezza grazie ai numerosi prodotti che offre spontaneamente, primo fra tutti il legno. A ciò si aggiunga che questa regione è la patria della produzione del riso, diventato l’alimento principale della popolazione. Da ciò è nata recentemente l’idea di Casamance come “granaio del Senegal”. 2 MARUT, Jean Claude. “Le mythe. Penser la Casamance” in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance: chronique d’une intégration contrastée”, Karthala, Paris, 1994: pp. 20-24. 27 CAPITOLO 2 I GRUPPI ETNICI DELLA CASAMANCE Ma fermiamoci a considerare i popoli che l’abitano; Ci troveremo spunti di studio e ricerca Tra i più curiosi ed interessanti […]. In una sola contea, che varietà di uomini, di costumi, Di credenze e di lingue! Così sono i wolof, i serere, i mande, i sarakollé, i fulani, i tukolor, i barbara, i laobé, i diola e i mori. Ogni popolo ha la sua fisionomia, La sua costituzione fisica, il suo temperamento, I suoi costumi, la sua lingua E il suo governo. Vivendo insieme, avendo tra loro dei rapporti giornalieri, Le loro lingue differiscono tanto quanto i loro tratti. Che mistero!1 Parlare del conflitto in Casamance significa innanzitutto parlare degli attori in esso coinvolti. Non è possibile capire il conflitto e le sue origini senza conoscere le popolazioni che vivono all’interno di questa regione anche perché tutte presentano dei caratteri originali. Ecco quindi che in questo primo capitolo si darà spazio a tali popoli. Conoscere la loro storia, la loro cultura, il loro tradizionale modo di vita è essenziale per capire come esse abbiano reagito all’ondata coloniale prima e all’indipendenza poi. La letteratura scientifica concorda nel ritenere che il sostegno al movimento indipendentista e il conflitto stesso abbiano coinvolto prevalentemente la Bassa Casamance e la popolazione diola. La spiegazione di questa affermazione passa necessariamente per l’analisi delle persone che vivono nella zona. Nei paragrifi che seguono cercheremo di conoscerle più da vicino, iniziando dai bagnun, da cui deriva il nome della regione, passando per le popolazioni oggi più numerose – i diola, i malinké e i fulani. 1 I BAGNUN o BAÏNUNK 1.1 ORIGINI L’origine di questa popolazione è tra le più incerte. Fatto quasi certo è che i bagnun siano da annoverare tra i primi popoli ad aver abitato la regione. È difficile ricostruire la loro storia più antica, poiché loro stessi non ne hanno quasi conservato memoria. Il loro passato può essere ricostruito, almeno fino ai primi racconti degli esploratori europei, solo attraverso le leggende e i racconti orali che sono stati tramandati fino ad oggi2. 1 2 BOILART, P. D. “Esquisses sénégalaises” (1853), Kraus Reprint, Nendeln, 1973: pp. XII–XIII. Sono soprattutto i diola del Fogny, che occuparono proprio la regione scacciando i bagnun, a tramandare ancora i ricordi sulle origini di questa popolazione e a ricondare che rappresentano la popolazione più antica presente nella zona. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal. Les civilisations agraires du Cayor à la Casamance”, Imprimerie Fabrègue, Saint-Yrieix (Haute-Vienne), 1966: p. 651. 28 Gli anziani raccontano che i bagnun arrivarono da est. La chiave della loro origine sembrerebbe racchiusa nel loro nome, che in lingua mande significa “colui che è stato cacciato”1. Secondo la tradizione, i bagnun furono scacciati dai mande dell’impero del Gabu. Il loro re, Gana Sira Bana Biaye2, probabilmente uno dei più grandi re, li guidò allora verso est. Qui si installarono nell’attuale Balantakunda, cioè tra la riva meridionale del fiume Casamance e l’ultimo tratto del Soungrougrou, suo affluente settentrionale. Qui fondò un regno di tipo feudale, il Kasanké, soggetto all’influenza mande, con capitale Brikama.3 I racconti degli anziani diventano molto precisi e ricchi di particolari quando si concentrano sulla vita di questo sovrano. «Il re sarebbe stato vittima di un complotto ordito da soggetti scontenti dalla sua crudeltà. I congiurati prepararono una trappola coperta di stuoie e sabbia, su cui sistemarono la poltrona reale. Poi organizzarono una grandiosa festa a cui invitarono il sovrano. Gana Sira Bana cadde nella trappola e morì lapidato dai suoi assassini. Prima di morire, egli maledì il suo popolo e gli predisse il suo declino e la sua ineluttabile sparizione. I suoi eredi dispersi in tutta la Casamance, regnarono su dei regni vassalli a quello di Brikama»4 Figura 5: I territori dei diola e dei Bagnun Fonte: Roche (1984), p. 27 Questo racconto ha ancora oggi un ruolo centrale nella storia dei bagnun, poiché la maledizione del re sembra essersi effettivamente realizzata. Le fonti storiche situano la nascita di questo regno nel XV secolo; Nel XVI secolo raggiunse il suo apogeo arrivando a dominare i territori fino alle rive del Gambia e ponendo sotto la sua tutela le 1 “Abaï”: “cacciateli” e “nunko”: chi è stato cacciato via”, ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance. Conquête et résistance : 1850 –1920”, Karthala, Parigi, 1985: p. 22. 2 Manchouti in lingua bagnun 3 Andrè Alvares d’ALMADA, un esploratore portoghese che visitò la regione verso la fine del 1500, nel suo “Tratado Breve dos Rios de Guiné”, parla dei Kasanke o cassangas (gli abitanti del regno del Kasa) come una frazione dei bagnun, strettamente interconnessi. BOULÈGUE, Jean. “L’ancien royame du Kasa (Casamance)”, Bollettino dell’IFAN, 1980, 42 (3): pp. 476–478. 4 Il sovrano in questione dovrebbe essere che visse nel periodo in cui i francesi iniziarono ad interessarsi alla Casamance, quindi nei primi decenni dell’Ottocento. Il re si accorse che la colonizzazione francese sarebbe stata diversa da quella portoghese e avrebbe comportato la fine del regno. Così decise di chiedere protezione agli dei con un sacrificio di 30 ragazzi e 30 ragazze. Il suo popolo non fu d’accordo con tale iniziativa e organizzò la trappola. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance. Conquête et résistance : 1850 –1920”, op. cit., p. 22. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme: Ziguinchor en Casamance”, Orstom, Parigi, 1984: p. 150. 29 popolazioni balant e i diola flup1. Questo sarebbe supportato anche dalle prime notizie documentate sulla regione. Sappiamo per certo che Alvisio da Mosto, uno dei primi esploratori della regione, nel 1456, risalì quello che lui chiamò “fiume di Casamansa”, cioè il fiume di un re nero, Kasa Mansa appunto, che regnava in quella zona e a cui si deve l’attuale nome del fiume e dell’intera regione2. La maledizione del vecchio re però non si fece attendere a lungo. Dalla fine del XVI secolo iniziò il declino e il regno si spezzettò in una serie di piccoli staterelli che progressivamente acquisivano l’indipendenza da Brikama. I bagnun subirono sempre più le pressioni dei popoli vicini. Diventarono le vittime dei mande e dei fulani, che tra l’altro si dedicavano anche alla “caccia agli schiavi”, e in seguito anche dei diola3. Dal XVII secolo furono così soggetti ad un vero e proprio sterminio che ridusse notevolmente la loro consistenza numerica. Il XVIII secolo fu quello che segnò realmente la fine dei regni bagnun: all’epoca subirono le pressioni di numerosi popoli, i diola da ovest, i mande ad est, i balant a sud. Il regno dei bagnun fu definitivamente sconfitto nel 1830 con la caduta della sua capitale, Brikama, dopo uno scontro con i balant. Il successore del re Manchouti, Djifantia, accettò un trattato di alleanza con i francesi, che avrebbero dovuto proteggerli contro gli altri popoli e a ricostruire il regno. Tuttavia le cose andarono diversamente, perché dopo la sua morte non venne più eletto alcun re. Da allora i “Cassas” si dispersero per tutta la regione perdendo molto della loro cultura tradizionale e confondendosi tra le altre etnie. Ecco quindi la realizzazione della maledizione. Da allora i bagnun interiorizzarono questi avvenimenti sviluppando quello che Pélissier chiama “complesso d’inferiorità”: «Il ricordo del suo passato prestigioso e la consapevolezza della sua estinzione conferirono a questa etnia un complesso d’inferiorità molto sentito; ciò rende discreta la sua presenza e sembra destinata ad un totale assorbimento da parte degli altri gruppi che occupano il territorio in cui si è oggi dispersa»4. Oggi questo gruppo conta circa 8000 persone che vivono mescolati con le altre etnie, soprattutto diola, balant e profughi provenienti dalla Guinea-Bissau lungo un’area che comprende gran parte della Casamance all’altezza di Ziguinchor; ancora oggi è presente 1 “[…] il regno del Kasa doveva dominare, altre ai kasanké l’insieme dei bainuk e debordare, su porzioni di territorio dei popoli vicini che è difficile da precisare: flup, balant e mande”. BOULÈGUE, Jean. “L’ancien royame du Kasa (Casamance)”, Bollettino dell’IFAN, 1980, 42 (3): pp. 475–486. 2 “Kasa–mansa” è una denominazione di origine mande: “mansa” significa “re” e “Kasa” era il nome della regione abitata dai bagnun: da ciò “Casamance” significa letteralmente “re del Kasa”. Anche da questo è possibile affermare per certo che i Bañun furono notevolmente influenzati dal vicino regno malinké o mande. KESTELOOT, Lilyan. “Les mandingues de Casamance. Kankourang, castes et kora”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 99. BRIGAUD, Felix. “Histoire du Sénégal. Dès origines aux traités de protectorat”, Edizioni Claireafrique, Dakar, 1964, p. 40. Tuttavia in un suo documento il MFDC sostiene che: “Il nome Casamance ha origine dall’indicazione del paese in lingua diola kasa: ‘kasamu Aku’, che significa ‘il paese dei corsi d’acqua’, e più precisamente ancora: ‘la terra che emerge dalle grandi acque’ (il fiume Casamance si chiamava infatti ‘Kawungha’ che deriva dal nome Hasamu=fiume, che indica il ‘grande fiume’. “Kasamu Aku” è ancora oggi un’espressione molto in uso tra i nostri fratelli diola della Guinea Bissau”. DARBON, Dominique. “La voix de la Casamance ... une parole Diola”, Politique Africaine, 1985 (125–126): p. 127. 3 GIRARD, Jean. “L’or du Bambouk. Une dynamique de civilisation ouest-africaine. Du royame de Gabou à la Casamance”, Georg, Genève, 1992, p. 107. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 23-24. 4 PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 653-654. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme: Ziguinchor en Casamance”, op. cit., p. 150. 30 un “canton” detto “canton Baïnuk”, ma ormai anche qui questa popolazione diminuisce sempre più a causa del processo di inurbamento e della crescita numerica delle altre etnie1. 1.2 IL SISTEMA POLITICO I bagnun vanno annoverati tra quei popoli dotati di un sistema politico strutturato. Come si è già osservato, vivevano all’interno di un regno di tipo monarchico-feudale che avrebbe costituito tra l’altro una delle marche più occidentali dell’impero mande del Mali2. La cultura mande influenzò notevolmente le leggi sulla gestione e l’organizzazione del potere: le modalità di successione al trono per esempio sono state fortemente influenzate dalla tradizione mande3: Quando il trono diventava vacante, il nuovo re veniva scelto dal capitano degli schiavi del re precedente. L’eletto era una persona vicina alla famiglia reale e non era obbligatoriamente il più anziano. Nel XIX secolo, il Kasa mansa risiedeva sempre a Brikama ma il principio di successione si era trasformato. Sei famiglie che risiedevano ciascuna in un villaggio diverso fornivano a turno il re. […]. Un’assemblea di notabili consigliava e spesso imponeva la sua volontà al sovrano. Infatti, i villaggi abbastanza popolosi erano indipendenti gli uni dagli altri e vivevano sotto l’influenza di un capo religioso […].4 1.3 IL SISTEMA ECONOMICO Tradizionalmente i bagnun si dedicavano all’agricoltura, soprattutto al lavoro nelle risaie, e alla raccolta della cera d’api e al miele, che costituirono una merce di scambio pregiata nel commercio con gli europei. Le leggi fondiarie prevedevano la presenza di due tipi di campi: quelli collettivi e quelli individuali. Questi ultimi erano sfruttati da ciascuna famiglia che poteva far proprio il frutto del proprio lavoro, mentre la suddivisione del raccolto del campo collettivo veniva affidata ad un capo. Il lavoro in entrambi in campi era organizzato a partire da tre tipi di associazioni di lavoro: 1 I bagnun hanno subito l’influenza mande, che li ha portati ad abbandonare il riso per il miglio e l’arachide e ad adottare la religione islamica. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme: Ziguinchor en Casamance”, op. cit., p. 150. Negli ultimi decenni solo due cantons avevano una maggioranza di popolazione bagnun: il canton detto “bagnun” e quello di Adéane. Tuttavia oggi sono in via di estinzione: i fenomeni migratori che hanno investito questa regione fa si che non esista ormai più un canton a maggioranza bagnun e la loro stessa lingua non viene quasi più parlata. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 28. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 655. 2 “È in questo contesto che bisogna situare il regno del Kasa: come una pedina nella spinta dei mande verso ovest. Questa spinta assumeva (EMPRUNTER) diverse forme: da una parte gli stati mande, dall’altra quelli non mande ma integrati all’impero del Mali in prossimità dle sue marche più occidentali. Nel XVI secolo, il popolamento mande era approssimativamente limitato da una linea che legava l’imbocco del Bintam, affluente del Gambia al fondo dell’estuario del Rio Geba, linea che tagliava il fiume Casamance a est del territorio del Kasa”. Per un approfondimento sui rapporti tra il Kasa e l’impero del Mali vedere BOULÈGUE, Jean. “L’ancien royame du Kasa (Casamance)”, op. cit., pp. 480–484. 3 Vedere paragrafo sucessivo sui mande e DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”. op. cit., p. 21. 4 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 26. 31 gli uomini sposati, i celibi da 18 a 30 anni, le donne e le ragazze che si dividono in gruppi di 6 o 7 persone. Gli uomini inoltre si suddividono in tre associazioni che corrispondono alle classi d’età1. 1.4 CULTURA, RELIGIONE E SOCIETÀ La società tradizionale era principalmente di patrilineare. In particolare gli uomini si dividevano in due categorie: gli iniziati circoncisi e i non circoncisi. I primi hanno appreso i segreti del Kumbo2 nel bosco sacro. Considerati come degli adulti possono fondare la loro famiglia. I non-iniziati non possono fondare una famiglia e sono sottomessi all’autorità del padre fino alla loro iniziazione.3 I bagnun pre-coloniali erano pagani e credevano nella presenza di due entità superiori, “Bene” e “Male”. Si rivolgevano soprattutto a quest’ultimo chiedendogli attraverso sacrifici di essere risparmiati dalla sua furia malefica. Il culto era in genere amministrato da un capo religioso “che offriva dei sacrifici ai “Jalan” grandi alberi venerati e temuti”. Attualmente sono per la maggior parte convertiti ad una delle religioni rivelate e gli elementi animisti sono ormai marginali. 2 I DIOLA 2.1 ORIGINI I diola rappresentano oggi la maggioranza della popolazione che occupa la BassaCasamance4. Sono stati condotti vari studi sulla loro origine ma per gran parte sono rimasti infruttuosi. I ricercatori, infatti, si sono dovuti scontrare con una delle peculiarità di questo popolo, cioè il fatto di non avere una memoria storica, e di non aver quindi conservato un ricordo preciso sulle proprie origini. Le difficoltà incontrate in questo ambito hanno indotto L.V. Thomas (1967) a condurre degli studi molto interessanti sulla nozione di durata, tempo e storia tra i diola. Dai suoi studi è così emerso che: al di fuori dei testimoni oculari, la verità storica è interpretata in maniera assai larga… quanto agli eroi mitici, essi non suscitano alcuna curiosità tra i diola odierni che si accontentano di affermare la loro lontana origine. Di fatto, gli antenati si perdono sempre nell’anonimato collettivo, ed è sempre in maniera anonima che vengono invocati nel culto. Si può avanzare la seguente ipotesi: i diola hanno, nel corso del tempo, perso i loro miti e l’abitudine a rappresentare i loro eroi culturali 1 «La prima coincide con i circoncisi o piccola iniziazione, la seconda riunisce quelli che vent’anni più tardi partecipano alla grande iniziazione. Il terzo gruppo è quello dei circoncisi che per ragioni particolari non hanno potuto essere iniziati». ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 28. 2 La tradizione del Kumbo viene considerata un’evoluzione dell’animismo: esso si sarebbe evoluto in seguito alla diffusione dell’islam. Sul Kumbo e le sue origini vedere parte III. 3 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit, p. 27–28. 4 Insieme ai Bainuk formano l’80% circa della popolazione. 32 e i loro totem attraverso delle maschere o delle statuette. Non restano più, ai nostri giorni, che delle leggende, delle reminescenze assai sincretiche […]. Il tempo storico resta fluido e incerto. Rimane solo il tempo concreto, quello della vita e dell’azione1. I risultati di questa ricerca sono davvero sorprendenti. Si potrebbe affermare che i diola siano un popolo molto concentrato sul presente e poco interessato alla storia. Il ricercatore viene guardato con diffidenza e non viene capita la sua curiosità circa le loro origini2. Se il Diola rispetto per il passato, se anche egli ammette parzialmente il culto, anonimo è vero, degli antenati, non può parlare propriamente di nozione di ‘storia’e questa si riduce a dei miti o a delle leggende la cui intenzione è maggiormente ludica che scientifica3. Dai pochi particolari che i diola tramandano nelle loro leggende, si possono individuare alcuni elementi che è possibile considerare in maniera abbastanza certa. La più antica zona di insediamento diola dovrebbe essere la regione situata tra la sponda meridionale del fiume Casamance e il rio Cacheu. I diola sostengono inoltre di essere arrivati dall’est, di essere stati i primi ad insediarsi in questa regione e di aver successivamente assorbito la popolazione bagnun a cui avrebbero anche insegnato alcune tecniche di coltivazione del riso. Alcuni studiosi hanno avanzato delle ipotesi circa la loro provenienza; nel 1911, Dr Maclaud indicava il Saloum e il paese dei serere; nel 1933 questa tesi venne confutata da Ahmadu-Mapate Diagne che invece sostenne che i diola emigrarono dal regno del Gaabu. Ancora Thomas e Brigaud hanno sottolineato i tratti in comune tra diola e serere e una loro possibile parentela. Pélissier infine, non supporta questa tesi e sostiene al contrario che sarebbero venuti da sud4. Le divergenze sull’origine di questa popolazione svaniscono e diventano unanime accordo nel considerare la questione semplicemente come avvolta in uno “épais mystère”, così come Pélissier l’ha efficacemente definita. Fatto certo, perché supportato da fonti storiche, è che i diola hanno abitato dall’arrivo dei primi europei fino ad oggi, all’incirca lo stesso territorio: dalla costa, risalendo il fiume fino ad arrivare alle sponde del Soungrougrou a nord e a Ziguinchor a sud5. Concludendo è importante sottolineare che la popolazione diola non è perfettamente omogenea, ma è composta da una serie di sottogruppi localizzati in aree specifiche e che si distinguono dagli altri per alcune peculiarità. Può essere utile, per avere maggiore familiarità con questa popolazione e per iniziare ad avvicinarci alla realtà contemporanea, ricordare i lavori di classificazione dei gruppi diola. I più rilevanti sono 1 THOMAS, Louis–Vincent. “Essai d’analyse fonctionnelle sur une population de Basse Casamance”, IFAN, 1958, vol.. 2: pp. 471–484 . 2 Roche sottolinea come il rapporto verso la storia cambi all’interno delle comunità diola influenzate e convertite all’Islam: “nei villaggi convertiti all’islam, soprattutto quelli della riva nord sottomessi all’influenza Malinké, è nata una tradizione orale dall’arrivo del primo marabutto […].” ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 30. 3 THOMAS, Louis–Vincent. “Essai d’analyse fonctionnelle sur une population de Basse Casamance”, op. cit., p. 493. 4 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 31. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 663-667. 5 Sono gli stessi diola a sostenere che il punto iniziale di installazione dei primi nuclei è spato il paese flup. IBIDEM, pp. 657-660. 33 certamente quelli di esploratori e amministratori francesi quali quelli di Valentim Fernandes (1506–1510), Bérenger-Féraud (1874) e del Dr Maclaud (1907). L’ultimo importante studio in questo senso però è quello di L.V. Thomas, che ha proposto la seguente classificazione: A. B. Sulla riva destra: • I Bliss–Karones • I diola Fogny, che possono essere a loro volta divisi in due sottogruppi “situati da una parte all’altra di una linea dritta immaginaria che unirebbe Ziguinchor al Gambia passando per Bignonia”: ad est ci sarebbero i diola mandizzati sul piano dei costumi e delle tecniche; ad ovest i diola in gran parte musulmani che hanno conservato una loro specificità. Sulla riva sinistra: • I flup nella zona di Oussouye • I diamat a Yutu ed Effoc • I dyiwat a Jembering • I diola Her o Haer nella zona di Kabrousse • I diola della punta San Giorgio a Kagnout e M’Lomp • Infine i diola Brin–Séleky1, 2.2 IL SISTEMA POLITICO Dovendo descrivere sinteticamente il sistema politico diola, la parola più adatta è certamente “anarchia”. I diola sono, infatti, un perfetto esempio di società egualitaria totalmente priva di una forma gerarchizzata o centralizzata di governo. Questa parola ricorre immediatamente, sin dai primi racconti degli esploratori e soprattutto nei rapporti amministratavi inviati dai funzionari europei. Essi, infatti, si trovarono davanti una società senza capi, senza gerarchia sociale. Nessun sistema strutturato di gestione dell’amministrazione o della giustizia poteva essere individuato. Anche coloro che venivano chiamati “re”, erano in realtà sovrani senza alcun tipo di potere politico2. Gli europei si trovarono davanti un territorio costituito semplicemente da una serie di villaggi molto indipendenti tra loro e senza nessun referente particolare. Famiglia, quartiere, villaggio. Sono queste le uniche entità che potevano essere individuate nell’organizzazione dei diola. La famiglia coniugale era alla base della società. Ciascuna di esse è estremamente indipendente l’una dall’altra e gelosa della propria libertà. Tuttavia le famiglie discendenti dallo stesso antenato tendevano a riunirsi in una stessa unità geografica: il quartiere3. Infine, il villaggio (esuk) era costituito dall’insieme 1 2 3 A questo gruppi Thomas aggiunge anche i Bainunk, di cui si è parlato in precedenza e i Bayot, presenti soprattutto a Nyasia, a sud di Ziguinchor e vicino alla frontiera con la Guinea. Questi ultimi furono gli ultimi ad entrare in contatto con i francesi. Da notare che tutti i gruppi della riva sinistra presentano tassi di animismo ben più alti rispetto al nord che invece è stato maggiormente soggetto alle influenze islamiche. THOMAS, L.V. “Essai d’analyse fonctionnelle sur une population de Basse Casamance”, op. cit., pp. 10–13. Per esempio, all’interno di alcuni gruppi come i flup di Oussouye o i diola di Elampor. “La loro autorità limitata all’ambito esoterico, il loro debole influenza e la loro mediocre potenza materiale non permettevano di considerarli come una classe dirigente”. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 680. I diola sono estremamente attaccati al territorio in cui abitano, a causa di quella sorta di patto di convivenza che gli uomini di queste regioni hanno stretto con l’ambiente ostile in cui vivono. L’attaccamento è così forte e quasi intimo che le famiglie si riconoscono più nel nome del quartiere in cui risiedono che con il patronimo, rilevante solo per lo stato civile. Per esempio, 34 dei quartieri1. Tuttavia non bisogna pensare che i villaggi, al loro interno, costituissero degli insiemi uniti e omogenei. Erano, al contrario, sprovvisti di un centro e ciascun quartiere era indipendente da tutti gli altri. Spesso anzi i quartieri erano in lotta tra loro e creavano delle alleanze effimere solo durante guerre. Guerre o altri gravi pericoli costituivano l’unico collante anche per l’unione (anch’essa sempre momentanea) di più villaggi, a volte sotto la direzione di un unico capo dall’indiscussa autorevolezza2. Ciascun quartiere poi, si componeva di uno o più hankə, ovvero la concessione di terra che veniva gestita e lavorata in comune dall’intera comunità3. Così come il concetto di stato, anche quello di autorità non era presente nella mentalità diola. Di fatto ciascun uomo deteneva una sua porzione, quasi personale, di autorità. Ogni uomo sposato esercitava la funzione di capo famiglia. Ogni quartiere poi sottostava all’autorità del capo del lignaggio. L’autorità all’interno del villaggio veniva suddivisa tra i vari capi di quartiere che, qualora le circostanze lo imponessero, si riunivano per prendere delle decisioni. In questi casi la “negoziazione o la legge del più forte” era la regola per raggiungere l’accordo4. Anche tra i diola c’erano persone che più di altre si distinguevano e che erano per questo dotate di maggior prestigio agli occhi della comunità: l’elemento di distinzione principale, oltre all’età, era la ricchezza, misurata in proprietà fondiarie detenute, nella quantità di riserve presenti nel granaio della famiglia o nel numero di capi che componeva la mandria. Significava successo e bravura nel proprio lavoro di contadino, e questo, in una società di contadini, non poteva non esser rilevante anche all’interno di un’organizzazione egualitaria come quella diola5. Tuttavia, né l’età né la ricchezza, potevano costituire motivo per la nascita di divisioni sociali, caste o ceti6. 2.3 IL SISTEMA ECONOMICO E SOCIALE L’attività economica principale dei diola era, ed è in gran parte ancora oggi, l’agricoltura. Tuttavia, un ruolo importante veniva anche ritagliato allo sfruttamento della foresta e all’allevamento. nel villaggio di Diémbering tutti portavano lo stesso cognome: Diatta. JULLIARD, André. “Droit du sol en Guinée–Bissau. Dieu, la terre et le hommes chez les Diola–Ajamat”, in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 133. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 77. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 682. 1 Sul modo in cui il villaggio veniva costruito nelle varie regioni diola vedere in particolare DUJARRIC, Patrick. “L’habitat diola. Famille, ferme et grenier”, in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 155–167. 2 Ciascun quartiere era indipendente anche per ciò che riguardava il possesso della terra, delle risaie o del bosco sacro. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 77. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 35. 3 Il hankə, come si mostrerà nei paragrafi seguenti, ha come suo corrispettivo il korda tra i mande e il gallé tra i fulani. Gli abitanti di uno stesso hankə vivevano in una casa comune, perlomeno nella zona kahat di Oussouye, mentre nella regione bukut, e in particolare nel Fogny islamizzato, le famiglie si ripartiscono in piccole capanne coniugali. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 77. Sul significato di “kahat” e “bukut” vedere i paragrafi successivi. 4 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 35. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 695–699. 5 IBIDEM, p. 680. 6 THOMAS, Louis Vincent. “Les diola D’antan. A propos des diola « traditionnels » de BasseCasamance” in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 72. 35 Per ciò che riguarda l’agricoltura la coltura tradizionale era senza dubbio il riso. I maggiori studiosi a questo proposito sostengono che i diola furono gli artefici di una vera e propria “società del riso autenticamente africana”1, tanta era la cura e l’attaccamento dimostrato nella sua produzione. La Bassa Casamance con i suoi marigots di acqua salmastra, le mangrovie e la foresta, non costituiva un territorio facile da addomesticare per un agricoltore. Infatti i diola si dedicavano tutto l’anno alle loro risaie: finito il tempo della raccolta iniziava quello della manutenzione del terreno che continuava fino alla semina all’inizio dell’hivernage successivo2. Esistono, ancora oggi, essenzialmente tre tipi di risaie: quelle alte poste al margine degli altopiani, quelle medie (lungo i pendii) e quelle di mangrovie, poste proprio sui marigot. Le più facili da gestire erano certamente quelle lungo i versanti dei marigot, maggiormente favorite nella gestione dell’acqua durante la stagione delle piogge; le prime infatti, quelle alte, potevano essere minacciate da un’eventuale siccità, mentre quelle basse richiedevano tecniche particolari e abbastanza complesse per la dissalazione del suolo3. La coltura del riso in una terra così difficile era quindi necessariamente l’attività principale della popolazione: tutti si dedicavano alla sua coltura e tutto ruotava intorno a questo alimento, oltre all’economia anche la religione, i proverbi, le fiabe4. Il riso nella società tradizionale diola rivestiva quindi un ruolo centrale, quasi maniacale. Anche la sua gestione era oggetto di attenzioni particolari. Una volta raccolto veniva custodito all’interno di grandi granai. Ogni famiglia ne possedeva uno ed era considerato un luogo estremamente intimo. Nessuno al di fuori dei parenti più stretti poteva avere il permesso di entrare, e il capo famiglia ne custodiva gelosamente la chiave. Al suo interno il riso si suddivideva in tre parti distinte: Una, nel granaio delle donne, è riservata all’alimentazione; l’altro nel granaio dell’uomo, costituisce la parte che sarà seminata l’anno successivo; infine la terza parte, accumulata durante numerosi anni, a volte anche per 20 anni, resta come simbolo di ricchezza, del coraggio della coppia, della fecondità della terra e permette di difendersi in caso di carestia5. È importante sottolineare però che la ricchezza non veniva mai ostentata pubblicamente. Ovviamente all’interno del villaggio tutti erano a conoscenza delle 1 2 3 4 5 PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 709–716. L’attività continuativa tutto l’anno differenzia gli agricoltori diola dai loro “colleghi” che invece avevano a che fare con terreni più asciutti delle zone sudaniche, dove l’attività agricola infatti si interrompe per tutta la stagione secca per poi riprendere all’inizio di quella umida. Questa alternanza è tipica anche della Media e Alta Casamance, dove il clima è più arido, ma soprattutto del nord del paese. In particolare veniva usato un sistema di dighe per evitare l’allagamento dei campi con acqua salmastra durante l’alta marea. Lo strumento utilizzato per questa durissima attività di manutenzione è il kadyendo, uno strumento tipico della Bassa Casamance, composto da una lunga pala di legno terminante con un vomere in ferro. Per un’analisi approfondita sulle complesse tecniche e gli altri strumenti utilizzati per il lavoro nelle risaie si rimanda all’analisi estremamente approfondita e completa di PÉLISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 716 759. Sulle fiabe e i proverbi vedere THOMAS, Louis Vincent. “Les diola D’antan” in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit. pp. 85–89. “Questa situazione è paradossale per eccellenza: segno di ostentazione, questa accumulazione è qualche volta sterile perché si arriva a dover gettar via i grani divenuti impropri per la consumazione”, IBIDEM, pp. 75-76. 36 maggiori riserve di una famiglia, che per questo veniva rispettata e apprezzata; ma l’ostentazione cercata e voluta non rientrava nelle regole non scritte della società egualitaria diola ed anzi sarebbe stata guardata con sospetto1. La famiglia costituiva l’unità di produzione e di consumo. Ad ogni nuovo nucleo familiare veniva attribuita una porzione di terra sufficiente per il proprio sostentamento. L’attribuzione della terra non presupponeva e non dava diritto alla compravendita o la creazione di una proprietà privata: la terra non poteva essere ceduta, venduta o divisa poiché faceva, infatti, parte del patrimonio collettivo, era una porzione del hankə. Alla morte del suo titolare sarebbe ritornata alla collettività2. In sintesi ogni famiglia aveva a disposizione la propria abitazione, un orto, le proprie risaie e dei capi di bestiame, con cui avrebbe dovuto cercare di essere autosufficiente dal punto di vista alimentare.3 La famiglia costituiva una delle due strutture attraverso le quali avveniva l’organizzazione del lavoro nelle risaie. Moglie e marito partecipavano alle attività agricole dividendosi perfettamente il lavoro, in assoluta complementarietà. Non esistono tra i diola differenze nette tra le attività maschili e quelle femminili: all’uomo spettano in genere le attività maggiormente impegnative sul piano fisico, ma solo per una questione di maggiore efficienza in determinate attività particolarmente pesanti. L’uomo dissoda, ara, innalza le dighe, raccoglie il vino di palma, pesca il filetto, va a caccia, costruisce la capanna. La donna concima le risaie, semina, trapianta e raccoglie il riso, prepara l’olio di palma e il pesce affumicato, pratica la pesca con le nasse e fabbrica i vasi di terracotta. Tuttavia, a parte qualche eccezione […], ciascun sesso è praticamente intercambiabile con l’altro nelle attività quotidiane poiché possiede più o meno le stesse competenze dell’altro4 Il secondo tipo di struttura su cui si basava l’organizzazione del lavoro erano le associazioni di lavoro; sebbene estremamente indipendenti, individualisti e quasi anarchici, i diola compensavano questo isolamento con una forte “solidarietà contadina” che si esprimeva nelle numerose associazioni di lavoro in cui la comunità si articolava. Tali associazioni univano soggetti appartenenti a quartieri e famiglie diverse al fine di massimizzare le energie nello svolgimento di particolari lavori nelle risaie e al loro interno ciascun villaggio sembrava recuperare una parvenza d’unità. C’erano vari tipi di associazioni di lavoro. Innanzitutto quelle basate sulle classi d’età, divise per uomini e donne. Ciascuna di queste celebrava i suoi riti di iniziazione e di passaggio all’età adulta, che comprendevano la circoncisione e l’educazione ai segreti dei boekin nella foresta sacra. Le classi d’età raggruppavano quindi per ogni quartiere, vecchi, adulti, adolescenti e bambini; la loro funzione era essenzialmente religiosa, poiché ad ogni stadio si acquisiva uno stadio spirituale particolare; inoltre le classi lavoravano appositamente alcuni campi in comune per produrre il massimo da offrire collettivamente alle divinità 1 Ibidem, pp. 75-76. Il concetto “occidentale” che più si avvicina a una simile gestione della terra è l’usufrutto. 3 A propositi del diritto fondiario tra i diola vedere in particolare GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 77. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 33. 4 JULLIARD, André. “Droit du sol en Guinée–Bissau. Dieu, la terre et le hommes chez les Diola– Ajamat”, in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 134–135. Sulla divisione del lavoro nelle comunità diola vedere anche GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., pp. 77–78. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 739–759. 2 37 in occasione delle grandi feste1. Tali associazioni erano presiedute dal membro più anziano che era di diritto ammesso alla classe d’età successiva, fungendo così anche da elemento di raccordo tra le generazioni. L’organizzazione di queste associazioni è estremamente democratica Accanto a queste c’erano poi le associazioni di genere, formate da soli uomini o sole donne. Al loro interno si suddividevano ulteriormente raggruppando da un lato uomini o donne e sposati-celibi/nubili. La loro funzione era di aiutare i membri nel lavoro nei propri campi in occasioni particolari, per esempio una malattia, o semplicemente per lavori molto impegnativi; alcune associazioni di uomini o donne funzionavano come cassa di risparmio o come associazione di mutuo soccorso per i propri membri2. Tali associazioni erano in genere presiedute da un capo scelto per le sue particolari doti personali, ma la regola nella loro gestione era sempre la consultazione e la partecipazione democratica di tutti i membri. Spesso il frutto del lavoro collettivo era consumato durante allegre feste3. A tali associazioni, legate al quartiere, si sono aggiunte, più di recente, anche quelle di villaggio, che venivano attivate nel momento in cui c’era la necessità di realizzare delle opere pubbliche per l’intera comunità, come la costruzione di una moschea, una scuola, un dispensario. In genere si attivano all’inizio della stagione umida, in giugno, con il rientro dei navétanes4. Sebbene l’agricoltura, e la risicoltura in modo particolare, occupasse la maggior parte del tempo dei diola, non era l’unica attività produttiva. Anche la foresta era oggetto di sfruttamento e offriva ai diola un’importante fonte di sostentamento e di ricchezza. Uno dei prodotti principali era la palma: durante la stagione secca la raccolta dei cocchi era l’occupazione preferita degli uomini. Dalle palme le donne ricavavano l’olio e soprattutto il vino consumato in grandi quantità durante le cerimonie5. Ma questo non era certamente l’unico prodotto. Oltre a vari tipi di frutti erano sicuramente la cera d’api, il miele e la gomma i prodotti più pregiati per i diola ed, infatti, costituivano anche il principale prodotto d’esportazione della Bassa Casamance. Infine, il legno, considerato molto pregiato dagli europei6. Anche l’allevamento si ritagliava uno spazio tra le attività produttive. I “normali” animali da soma, perlomeno per gli europei, in questa regione ostile non riuscivano a 1 GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 79. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 36. 2 Le associazioni di lavoro che raggruppano uomini o donne sono molteplici e variegate, e tendono ad adattarsi perfettamente alle esigenze materiali; per esempio due ragazze insieme formano un furior, tre un jigoriak che si dota che di un presidente eletto; cinque ragazze formano invece una ebebele e così via. Stessa cosa accadeva nelle associazioni di uomini. Tra le associazioni di mutuo soccorso o di risparmio si segnalano in particolare l’eribane per gli uomini e la fudajaka per le donne. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 80. 3 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 36. 4 I navétanes sono i lavoratori stagionali. 5 In seguito all’islamizzazione che ha toccato in maniera più netta la riva destra, la regione di Bignona per esempio, il consumo del vino di palma è andato scomparendo. Tuttavia è andata scomparendo anche l’attività stessa della raccolta del palmisti, che presupponeva arrampicarsi per cogliere i cocchi. Questa attività è stata così progressivamente delegata ai navétanes provenienti dalle regioni animiste della riva sud (Oussouye) o provenienti dalla Guinea portoghese. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 773–774. 6 IBIDEM, pp. 774–775. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 45. 38 sopravvivere1. Alcune pecore venivano comunque acquistate dai mori o dagli wolof e allevate all’interno dei villaggi. Non avevano un ruolo importante all’interno dell’alimentazione o della vita economica. Anche i bovini non avevano vita facile in Bassa Casamance; tuttavia i diola amavano avere alcuni capi a disposizione: erano simbolo di ricchezza, almeno quanto avere il granaio completamente pieno di riso. Inoltre i buoi avevano un ruolo particolarmente importante nella religione: il sacrificio di un bovino era l’unico modo per riparare una colpa che aveva offeso un boekin. I sacrifici di bovini avvenivano anche in occasione di tutte le principali cerimonie religiose, quali quelle legate ai riti di passaggio. Così come il riso, anche i bovini non potevano essere venduti in cambio di denaro. Piuttosto che la carne quindi, era soprattutto il latte ad esser usato nell’alimentazione. Accanto ai bovini, trovavano spazio anche gli animali di piccola taglia come maiali; tuttavia, la presenza dei suini in particolare, è andata scomparendo con la diffusione dell’islam2. Infine i diola si dedicavano, seppure in maniera limitata alla pesca, attività in cui non eccellevano. La pesca in mare aperto non veniva quasi mai praticata; si preferiva la pesca nei marigot o alcune forme di allevamento3. È importante considerare in conclusione che la società diola non conosceva divisioni di classe: la schiavitù così come le caste (in particolare dei fabbri o degli altri artigiani) erano completamente sconosciute. Anche nei periodi di maggiore tensione tra i villaggi o i quartieri i prigionieri venivano trattati con rispetto e mai obbligati a lavorare per i propri sequestratori. Venivano al contrario liberati non appena la calma ritornava o al limite assimilati dalla popolazione del villaggio. Inoltre tra i diola fabbri calzolai e altri artigiani non formavano una casta separata, ma in teoria tutti all’interno della comunità potevano esercitare le professioni artigianali4 2.4 CULTURA E RELIGIONE I diola sono una popolazione molto isolata e individualista. Il fatto di lavorare per il proprio sostentamento e il cibarsi degli alimenti prodotti esclusivamente con il proprio lavoro, portava spesso i diola ai limiti dell’avarizia. Ancora, erano spesso anche piuttosto inospitali con gli stranieri, segno dell’isolamento in cui hanno vissuto per molto tempo all’interno della foresta. Un valore estremamente importante era l’onestà e il rispetto per le proprietà altrui: il furto veniva considerato un reato estremamente grave, quali al livello dell’assassinio. Il culto per il lavoro, la forza fisica il coraggio erano altri valori essenziali di questo popolo; non a caso la lotta è ancora oggi uno sport estremamente diffuso, lo sport “nazionale” della Bassa Casamance. I Diola erano anche estremamente pacifici, al dì la della fama negativa che deriva loro dalla prolungata resistenza al colonialismo francese e ai fatti che li hanno coinvolti negli ultimi vent’anni; in realtà l’unico modo per evitare la sua ostilità era quello di rispettare lo svolgersi normale della 1 I francesi provarono ad introdurre il cavallo senza alcun successo proprio a causa del clima particolarmente insalubre per questi mammiferi. 2 PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 759–767. 3 Ibidem, pp. 768–772. 4 In moltissime società africane gli artigiani ed in particolare i fabbri costituivano una classe separata: erano estremamente chiuse ed impermeabili, vi si accedeva dalla nascita, il sapere si tramandava di padre in figlio e i matrimoni misti erano vietati. La ragione di questa separazione è da ricercarsi nella particolarità del lavoro dei fabbri, che dovendo lavorare nelle fornaci venivano visti quasi come delle creature soprannaturali o demoniache, dotate di particolari poteri spirituali; per questo venivano spesso particolarmente temuti e rispettati. 39 loro vita quotidiana, qualunque intrusione, volontà di modificazione o di influenza corrispondeva ad una minaccia1. La religione tradizionale dei diola può essere sintetizzata, nella forma più antica, nel termine kahat, anche se per essere precisi questo termine indica il primo rito di iniziazione alla religione e segna l’ingresso ufficiale delle persone nell’età adulta. Questa religione si organizza attorno al culto ai boekin, che possono essere definiti come delle forze soprannaturali concentrate in un determinato luogo o un certo oggetto; sono gli intermediari del dio supremo Ata Emit2. La religione dei diola è strettamente legata al contesto naturale in cui vivono. La necessità di ricercare nuove terre e l’aumento demografico, ha portato alla frammentazione dei clan originari in una serie di lignaggi che si sono dispersi sul territorio formando nuovi quartieri e nuovi villaggi. Questo spostamento sul territorio avrebbe portato alla necessità di una sorta di nuovo contratto tra il clan stesso e la natura. Questo è rilevabile nella scala gerarchica che caratterizza i boekin: • • • • il boekin clanico, chiamato Elenkin3, che rappresenta l’entità superiore; raggruppa un clan, quindi un insieme di villaggi che vive nel luogo che dio ha concesso inizialmente al patriarca originario. Il culto è amministrato da un re. Il boekin di lignaggio, che in genere raggruppava un lignaggio esteso che comprendeva 5 o 6 generazioni. Il suo culto fa riferimento ad un territorio più circoscritto su cui si collocano dei quartieri o qualche villaggio e rimanda alla figura dell’antenato comune. In genere sono i grandi patriarchi che amministrano le funzioni4. Il boekin di quartiere, che come grava su un territorio molto più ristretto su frazioni del lignaggio comprendenti 2 o 3 generazioni. Erano in genere boekin “specializzati”: ogni quartiere ne ha più di uno e ognuno di essi risponde ad una forza particolare della natura o ad un bisogno sociale dei diola; possono essere forze positive da ringraziare o negative da ingraziarsi con sacrifici e cerimonie particolari. Dall’interazione di queste forze, nasce l’equilibrio della società diola. A questo livello il culto è amministrato dal rappresentante del quartiere. Alla base di questa scala gerarchica si collocavano i boekin in un certo senso “personali”della famiglia e dell’individuo5. Il kahat, che come detto all’inizio è una fase iniziatica, coinvolgeva tutti i giovani del villaggio e avveniva con scadenze regolari6. Essenzialmente l’iniziazione si traduceva 1 Da notar che la forma di saluto principalmente usata è “kassumai”, che può essere tradotto con “pace, libertà, bontà”; il fatto che vengano considerati dei sinonimi dai diola è un indizio importante per capire il loro modo di pensare. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 703–705. 2 Il culto di Ata raggruppava tradizionalmente tutti i diola attorno ala figura di un prete massimo che risiedeva in Guinea Bissau, chiamato Sikaz–kusel. THOMAS, L.V. “Les diola d’antan. A propos des diola traditionnelles de Basse Casamance”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 92. 3 Elεnkin rappresenta “l’osso della terra”, ed è maschile. 4 Un esempio è quello del feticcio Hufile della regione di Oussouye. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 21. 5 Al di sotto dei boekin, nella cosmogonia diola erano collocati dei totem (ewm), animali di riferimento a cui un gruppo familiare particolare di riferiva (un coccodrillo, un serpente…). IBIDEM, p. 31. 6 Accanto al kahat, era presente anche l’iniziazione cosiddetta “bukut”; quest’ultimo rappresenta un’evoluzione rispetto al kahat, è una sorta di passo in avanti nel rapporto tra gli uomini e la 40 nella circoncisione degli uomini, ad indicare il loro ingresso nell’età adulata e della procreazione. Tuttavia, essi non venivano ancora istruiti ai misteri del boekin, per il quale il soggetto doveva passare per altri riti successivi di iniziazione1. Erano questi riti di passaggio a scandire il tempo e ad organizzare le classi d’età di cui si è parlato in precedenza. Il re, in particolare quello di Oussouye che raggruppava tutti i diola flup, aveva uno status unicamente religioso. Solo successivamente, anche in seguito all’influenza coloniale, tenderà a politicizzarsi. Originariamente il sovrano era colui che quotidianamente si rivolgeva alle forze spirituali, ai boekin e faceva sì che essi si dimostrassero clementi e benevoli con i villaggi. Al sovrano, spettava in realtà un compito ingrato: essendo l’unico che poteva avere un contatto diretto con le divinità, a lui veniva attribuita la responsabilità di una “punizione” rappresentata da un evento negativo per la comunità. Egli inoltre era soggetto ad una serie di costrizioni, quali quelle di non mangiare o dormire in pubblico, o di prender moglie, che rendevano la posizione del sovrano tutt’altro che invidiabile2. Come si vedrà in seguito la posizione del re subirà un’evoluzione che attenuerà questi caratteri di costrizione e gli conferirà un peso politico oltre a quello religioso all’origine completamente inesistente. Quest’evoluzione avverrà in territorio flup, quindi nei dintorni di Oussouye, già durante il periodo coloniale, intorno alla fine dell’800, con l’apparizione del nuovo feticcio Jənanande accanto a Elεnkin3. I diola sono così soggetti all’interno delle loro comunità a ciò che Pelissier chiama una “doppia pressione”, derivante dagli obblighi della religione e dal controllo sociale. Per questa popolazione animista era indispensabile mantenere un giusto equilibrio con la natura e con le forze spirituali, perché da questo dipendevano un buon raccolto e la sopravvivenza. Per questo era necessario osservare tutta una serie di norme consuetudinarie, che creavano e assicuravano la coesione delle suddivisioni sociali di cui si è parlato in precedenza: la famiglia, il quartiere, il villaggio, le associazioni. Tuttavia, nello stesso momento in cui queste norme tracciavano dei limiti ben precisi, creavano anche uno spazio in cui trovarono posto l’espressione dell’individualismo e dell’autonomia di ciascuna persona. Questo è un elemento particolarmente originale dei diola, anche perché portava come corollario una situazione di sostanziale parità tra uomini e donne anche a livello sociale e politico; tratto che lo distingueva per esempio, dai popoli islamizzati della Media e Alta Casamance4. La famiglia e i rapporti tra uomo e donna sono particolarmente caratteristici tra i diola. Come è già stato sottolineato, la famiglia costituiva l’unità base della società e la prima struttura impegnata nel lavoro nelle risaie, caratterizzata da una forte complementarietà tra uomo e donna. I rapporti tra i due sessi sono effettivamente improntati natura: se il kahat è legato all’umanizzazione dell’ambiente, il bukut vuole essere un tentativo di emancipazione degli uomini dalla natura stessa. L’iniziazione bukut nella regione di Bignona si svolgeva ogni 20 anni. 1 In particolare l’iniziazione ad εban, ovvero il mistero della regalità, che si svolge per gli uomini, presso il boekin Elεnkin. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 26. 2 Non a caso i diola attribuirono ad un gruppo diola immigrato in un secondo momento, quindi per certi versi straniero, il compito di fornire i sovrani, come ringraziamento per l’ospitalità e le terre concesse. 3 Per un approfondimento su questo nuovo feticcio circa la sua rivelazione e i cambiamenti che ha portato nella cosmogonia flup, vedere GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit. 4 PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 680–681. 41 all’uguaglianza: uomo e donna possono ripudiare il marito per esempio, anche se per la donna tale diritto e limitato a certi periodi dell’anno. Inoltre, grande libertà è concessa anche nei confronti delle relazioni extraconiugali, sia all’uomo che alla donna: l’“infedeltà” è permessa, seppure in occasione di particolari momenti di festività e dunque per un periodo limitato; le esigenze delle attività agricole quotidiane imponevano alla coppia di riunirsi per ricreare quella complementarietà nel lavoro descritta in precedenza. Infine, anche dal punto di vista religioso le donne erano particolarmente attive: vigeva, infatti, una sorta di parallelismo tra i riti e le cerimonie iniziatiche maschili con quelle femminili.1 3 I MANDE Figura 6: I territori mande - La Media Casamance Fonte: Roche (1984): p. 52. 3.1 ORIGINI Le popolazioni mande hanno un’origine guerriera e un passato da conquistatori. La tradizione fa risalire le origini di questa popolazione proprio alle conquiste di un grande capo, un certo Tiramaxan Traore, luogotenente di Sunjata Keita. Egli cercò dapprima di conquistare i territori al nord del Gambia abitati da serere e wolof ma invano. Così diresse successivamente i suoi sforzi al sud dove si dovette scontrare contro la resistenza delle popolazioni animiste della Bassa e Media Casamance, per lo più balant e il regno dei bagnun. Riuscì finalmente a conquistare un territorio che si estendeva tra il Medio Gambia, il Rio Grande e i monti del Futa Jalon. In questo territorio i suoi figli crearono 1 In tutto il Fogny per esempio esisteva un festa detta ebounaye, celebrata subito dopo la fine della raccolta in cui alla donna sposata era permesso per qualche tempo di ritornare a casa del padre per una decina di giorni. “questo periodo di feste e licenze da luogo alla consuetudine del bassang. La donna scontenta del proprio marito è autorizzata a ricevere a casa di suo padre un amante, e può partecipare con lui alle feste. Il marito abbandonato in questa occasione non ha alcuna possibilità di ricorrere contro la sua sposa e deve al contrario rispettare la sua libertà così riconquistata. Una tale consuetudine risponde chiaramente al senso diola della libertà in un modo che non ci trova, se non molto difficilmente, nei territori islamizzati o cristianizzati”. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 687. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 79. 42 il regno animista del Gabu intorno al 1600 che cadrà solo in seguito all’abolizione della tratta, l’impatto del colonialismo e la progressiva avanzata dell’islam nel XIX secolo1. Da questo regno sarebbero partite le migrazioni verso la Media Casamance intorno al XVII secolo. Il loro scopo principale era la conquista ed il commercio, ovvero le attività principali di questa popolazione. I mande crearono i primi villaggi nella regione del Pakao, dove si scontrarono ancora con i bagnun che abitavano la regione. Questi riuscirono a resistere all’avanzata mande almeno fino al XVII secolo relegando gli ultimi arrivati al ruolo di vassalli costretti al pagamento di un tributo. Nel XVIII secolo però, secondo i racconti degli anziani, un re bagnun troppo esigente nei richiedere il tributo, portò i mande all’esasperazione e alla rivolta. I bagnun dovettero rifugiarsi lungo le sponde del Soungrougrou dove ancora oggi si trovano raccolti in piccoli villaggi. Da allora, a parte l’enclave balant verso l’attuale confine con la Guinea e quella tukolor in Kabada, al confine con il Gambia, il resto della Media Casamance è dominio della popolazione mande2. Il Gabu prosperò soprattutto grazie al commercio atlantico di schiavi. Al suo nascere era un impero pagano, dedicato al culto di Jalan Saa. Rimarrà tale fino alla sua definitiva dissoluzione durante le grandi guerre di religione del XIX secolo quando l’islam prenderà piede in Media Casamance grazie all’arrivo di molti marabutti mori3. Tuttavia i pagani furono molto numerosi almeno fino all’arrivo dei francesi; venivano chiamati soninké o sarakollé dai mande già convertiti all’islam, ed erano organizzati in stati di tipo monarchico che raggruppavano in genere non più di una dozzina di villaggi4. All’inizio del XIX secolo, quando i francesi iniziarono ad arrivare nella zona, quattordici piccoli stati mande contornavano il basso e medio Gambia, alcuni dei quali si erano già resi indipendenti da un impero del Gabu ormai in ineluttabile decadenza5. Così in Media Casamance, intorno al 1850, poco dopo l’installazione dei francesi a Sedhiou, regnavano dei marabutti che erano riusciti scacciare i vecchi capi pagani e il cui scopo principale era il ğihād e il proselitismo presso i popoli ancora animisti, come i diola, i bagnun e i balant. 1 Per un approfondimento sulle origini del territorio mande e i rapporti di vassallaggio con l’impero del Mali vedere in KESTELOOT, Lilyan. “Les mandingues de Casamance. Kankourang, castes et kora”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 99–104. 2 Da notare che ancora oggi la collocazione dei villaggi e la loro storia è legata a questi episodi; la maggior parte di essi infatti, sono degli antichi villaggi bagnun occupati dai mande dopo averli scacciati intorno al 1700. Pélissier fa notare che questo modo di fare corrisponde perfettamente al carattere commerciale e militare di questa popolazione, che preferiva utilizzare gli spazi già pronti dei villaggi bagnun, piuttosto che impegnarsi al disboscamento e ala preparazione del terreno che avrebbe richiesto la creazione di un villaggio. Non a caso gli unici villaggi di reale origine mande sono più recenti e situati lungo il confine con il Gambia. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 552. 3 Vedere parte II, capitoli 2 e 3. Colloquio personale con Nouha Cissé 4 Soninké significava “bevitore d’alcool” e quindi animista. KESTELOOT, Lilyan. “Les mandingues de Casamance. Kankourang, castes et kora”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 103. 5 Diviso in province rette da un principe, spesso alla ricerca della sua indipendenza dal potere centrale. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 55–56. Il Gabou ha iniziato la propria decadenza nel 1867–68 in seguito alla Battalgia di Kansala. Intervista rilasciata all’autrice da Nouhà Cissé, sett/ott 2007, Ziguinchor. 43 3.2 SISTEMA POLITICO I mande formavano una società completamente diversa da quella dei diola. Pacifici, isolati nelle loro foreste ed estremamente attaccati al loro territorio gli uni; bellicosi, dinamici e in continuo movimento gli altri. Al diverso carattere corrispondeva necessariamente una diversa organizzazione politica; così se tra le popolazioni della Bassa Casamance regnava essenzialmente l’anarchia, l’individualismo e l’uguaglianza, tra i mande vigeva invece un sistema di tipo feudale, estremamente gerarchizzato e con una chiara divisione del potere e dei generi. L’unità principale a livello politico era il villaggio, formato in genere da un grosso agglomerato di capanne, piuttosto centralizzato, che contrasta con il frazionamento visto in precedenza dell’abitato diola. All’interno del villaggio l’autorità era esercitata da un capo detto alkali. Egli era in genere la persona più anziana del lignaggio fondatore della comunità e aveva il dovere di gestirla e rappresentarla. Con l’islamizzazione però, l’alkali venne affiancato da un’autorità morale e religiosa, l’almaami, che spesso proveniva dalla prima famiglia della comunità che si era convertita all’islam. Egli veniva puntualmente consultato ogni qualvolta fosse necessario prendere delle decisioni importanti, e assumeva spesso un ruolo importante all’interno delle palabras. La struttura politica dei mande della Casamance prevedeva anche la presenza di un consiglio di notabili che affiancava il capo del villaggio nelle decisioni e ne limitava il potere. In caso di necessità i notabili venivano invitati dall’alkali a recarsi sotto “l’albero per le palabras”, presente in ogni comunità, sotto il quale avvenivano le discussioni1. La struttura politica si limitava tuttavia al livello di villaggio; a livello provinciale o regionale non esisteva, infatti, nessuna struttura centralizzata. 3.3 L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ L’evoluzione dell’economia e della società mande, hanno subito i cambiamenti dovuti ad una progressiva islamizzazione. In una sorta di sincretismo socioculturale ed economico, l’islam è andato ad inserirsi in una società con una personalità particolarmente forte sin dalle origini, accentuandone ancor più i tratti. Come già osservato in precedenza, i mande erano estremamente gerarchizzati a livello sociale. Una prima divisione distingueva gli uomini liberi dagli schiavi: i liberi si dedicavano essenzialmente ai lavori “nobili” del commercio e della guerra e disprezzavano qualunque tipo di lavoro manuale, che invece venivano delegati agli schiavi e alle donne. Gli schiavi vivevano all’interno del villaggio in capanne separate e potevano anche beneficiare di un campo individuale 2. 1 2 Si tradettava in genere di una ceiba, un grosso albero con un sistema di rami molto possente. Le palabras, avvenivano proprio sotto la sua fronde, ed erano tradizionalmente delle riunioni, caratteristiche della Media e Alta Casamance, che avvenivano sotto grandi alberi e occupavano per ore gli uomini, soprattutto durante la stagione secca, quando non erano impegnati nelle attività agricole. Erano lo strumento maggiormente utilizzato ogni qualvolta ci fosse la necessità di prendere delle decisioni importanti, e tutti (essenzialmente gli uomini) potevano intervenire. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance. Conquête”, op. cit., pp. 56-57 Gli schiavi erano essenzialmente frutto di bottini di guerra: al contrario di ciò che accadeva tra i diola, dove gli schiavi venivano sempre liberati e mai ridotti allo stato servile, per i mande le guerre e le razzie erano un insostituibile mezzo di approvvigionamento di uomini. I primi a farne le conseguenze furono i bagnun, seguiti da i soninké ed infine dai diola. 44 Altra frattura all’interno della società mande era quella per caste: guerrieri, griots, fabbri… queste erano solo alcune delle caste a cui ciascun individuo apparteneva sin dalla nascita. Erano estremamente rigide e perlomeno fino al 1848, anno in cui formalmente venne abolita la schiavitù dai francesi, erano al completo servizio dei loro padroni. Successivamente, la loro emancipazione è cresciuta, ma la suddivisione è rimasta nondimeno rigida e viva: La loro emancipazione si è tradotta nella collocazione lontano dalle famiglie dei loro vecchi padroni e nella loro partecipazione sempre maggiore alla produzione agricola durante l’hivernage. Tuttavia, durante la stagione secca, cortei di griots percorrono il paese da una festa religiosa ad una familiare, intrattenendo ed esaltando il ricordo di antiche epopee, mentre in ogni villaggio importante, fabbri e ciabattini si dedicano al loro artigianato, alimentando il mercato locale con gli strumenti per la caccia e l’agricoltura, il vasellame, le babbucce e i sandali1 Altro cleavages della società mande, e forse il più importante è quello tra uomo e donna. Anche questo è un elemento che differenzia enormemente questa società da quella diola. Tra i mande vige il principio della supremazia assoluta dell’uomo sulla donna, più assimilato con la progressiva islamizzazione del paese. Questa supremazia si concretizzava innanzitutto nella completa separazione delle attività: agli uomini, come già osservato, spettavano le attività nobili, quindi il proselitismo, la guerra, il commercio. Tutte le attività produttive, compresa la preparazione dei cibi e l’educazione dei figli, erano delegate alle donne, un mezzo di sostentamento per tutta la comunità. In breve, all’origine la donna doveva pensare alla sopravvivenza, gli uomini alla cura dell’intelletto. La donna mande è strettamente alle dipendenze dell’uomo, del padre prima, del marito poi; entrambi la trattano come uno strumento di tradizione di cui le tradizioni, l’educazione, le pressioni sociali ed economiche garantiscono la sottomissione assoluta. […] le virtù cardinali sono il rispetto dell’uomo, l’obbedienza e l’ardore nel lavoro2. I cambiamenti del XIX secolo e in particolare la fine delle guerre e la colonizzazione francese hanno portato alla progressiva scomparsa della classe dei guerrieri; questa però si è per così dire “riconvertita” andando a monopolizzare le nuove attività nobili: i ruoli religiosi per esempio, o quella di capi di villaggio; in seguito, anche a causa delle nuove esigenze introdotte dalla monetarizzazione, sono riusciti a superare l’avversione delle attività manuali, dedicandosi anche all’agricoltura. L’economia mande dell’‘800 quindi, si basava essenzialmente sull’agricoltura e il commercio; anche la pastorizia veniva praticata, ma come un’attività secondaria, spesso sinonimo di ricchezza. Tra le colture prevalenti, quelle esclusivamente maschili erano il miglio e il sorgo, coltivato nei bassopiani. Le donne coltivavano invece il riso, il cotone, il mais, il tabacco. Con l’arrivo dei francesi venne introdotto anche l’arachide, soprattutto nei dintorni di Sedhiou, ma anche questo divenne completo monopolio maschile3. 1 2 3 PELISSIER, IBIDEM, p. Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 553. 554. Essenzialmente gli uomini riservarono i loro sforzi nell’agricoltura solo per i prodotti da cui si poteva ricavare un qualche ricavo, al di là della mera sussistenza. l’arachide e i profitti ad esso legati spiegano la riconversione dei mande per questo prodotto. Per ulteriori dettagli sui metodi di coltura vedi ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 59-60. 45 Il lavoro nei campi avveniva all’interno della concessione: al hankə diola corrispondeva il korda o konda mande; quest’ultimo aveva tuttavia una maggiore connotazione economica e commerciale. Il principio era tuttavia lo stesso: la concessione riuniva un gruppo familiare, in genere più fratelli con le rispettive famiglie, e al suo interno gli individui divisi per sesso si applicavano alla produzione delle colture che la tradizione aveva loro affidato. Il più anziano di ciascun gruppo aveva il compito di distribuire ogni giorno la razione degli alimenti necessari al sostentamento di ogni individuo della comunità: il più anziano tra gli uomini attingeva ai granai maschili di miglio e sorgo, mentre la donna più anziana si occupava della distribuzione del riso, attingendo ai granai femminili. Così il konda diveniva al contempo unità base di produzione e consumo1. All’interno della concessione i campi potevano essere individuali o collettivi. Tra i mande i primi avevano una rilevanza maggiore: erano quelli che permettevano alla famiglia il proprio sostentamento e che potevano essere impiegati dagli uomini per le colture destinate al mercato. I campi collettivi invece venivano sfruttati in determinati periodi, e il suo prodotto consumato sempre in momenti precisi dell’anno. I lavori in questi campi venivano svolti da una complessa rete di associazioni di lavoro maschili o femminili, che andavano dal piccolo gruppo di due o tre donne che dividevano uno stesso focolare o sinkiro, passando per i gruppi a livello della concessione, fino ad arrivare e superare l’unità data dal villaggio. Le associazioni di lavoro costituivano quindi un elemento importante all’interno della produzione. In genere avevano carattere volontario; venivano ricreate di anno in anno ma tendevano a rimanere piuttosto stabili nel tempo2. Oltre che dalle associazioni, il lavoro veniva svolto anche da altri gruppi suddivisi a partire dalla classe d’età: bambini, adolescenti, adulti e vecchi. Ogni classe eleggeva un proprio rappresentante che diventava membro di diritto della classe superiore alla sua, fungendo da elemento di raccordo tra le generazioni. Avevano una particolare rilevanza soprattutto nei casi in cui si rendeva necessario effettuare lavori per l’intera comunità3. I cambiamenti portati dalla presenza francese hanno portato il mande a dare un’importanza nuova al lavoro collettivo; la monetarizzazione e le nuove esigenze da essa imposte, hanno richiesto nuovi ritmi di lavoro che potevano esser meglio soddisfatti con l’associazione di più persone nel lavoro in un campo collettivo4. 1 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 56-57. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 74. 2 Per esempio, alcune associazioni femminili affittano i propri servizi ai villaggi vicini verso un corrispettivo in denaro, organizzano anche un servizio di prestito per le famiglie in difficoltà ecc.. IBIDEM, p. 74. 3 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 57-58 4 GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, IFAN, op. cit., p. 76. 46 4 I FULANI 4.1 LE ORIGINI Secondo la tradizione i fulani, inizialmente insediati nel Masina, iniziarono ad emigrare intorno al XV secolo, per arrivare poi in Alta Casamance nel XVIII secolo1. All’epoca questo territorio era di proprietà dell’impero del Gabu e così i primi fulani prima di poter costruire i loro villaggi dovettero ottenere l’autorizzazione del re mande e accettare di pagare dei tributi2. Così, almeno fino alla rivolta e alla vittoria contro il Gabu, i fulani non ebbero un loro sistema politico, ma vissero all’interno dell’organizzazione precostituita dei mande. Figura 7: I territori fulani Fonte: Roche (1984): p. 63 4.2 L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ La società dei fulani era di tipo clanico e una prima distinzione fondamentale era quella tra fula-foro e fula-dion. I primi corrispondevano alla classe degli uomini liberi e formavano una sorta di aristocrazia discendente dai primi fulani arrivati dal Masina. I secondi invece formavano la classe degli schiavi. In genere non erano fulani di origine ma venivano acquistati tra i prigionieri di guerra bambara, diola o altre popolazioni guineane. Alla differenza etnica e sociale corrispondeva ovviamente anche una differenza nei ruoli e nella divisione del lavoro. I fula-foro si dedicavano prevalentemente alla pastorizia, considerata un’occupazione nobile, mente i fula-dion si occupavano dell’agricoltura, in particolare della produzione di miglio e cotone, le colture tradizionali. Avevano a disposizione anche un proprio campo e spesso poteva capitare che essi riuscissero ad accumulare una fortuna maggiore di quella dei loro padroni. In ogni caso, se il fula foro 1 L’Alta Casamance viene anche chiamata “Fuladu”, da “Fula” che in lingua mandé indica i fulani, e “duu”, che invece significa terra; da ciò Fuladu, “terra dei fulani”. Allo stesso modo i fulani che abitano questa regione particolare vengono chiamati “fulacunda”. È un territorio con una densità di popolazione abbastanza bassa: i principali insediamenti si trovano ancora oggi a ridosso dei bassopiani o lungo i marigot, mentre le zone circostanti il Kayanga e il Koulountou sono totalmente prive di popolazione a causa della presenza di condizioni sanitarie non adatte all’uomo. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 524. 2 E’ da notare che i tributi erano particolarmente pesanti: numerosi capi di bestiame venivano prelevati dai mande per nutrire i loro capi; in più i fulani erano obbligati a condividere con più persone uno stesso letto, pena chatié. BALDE, Souleyman. “Les Peul de Casamance. liberté eau et herbe fraiche”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 121. 47 da cui dipendevano cadeva in miseria, i fula-dion erano obbligati ad aiutarlo a risollevarsi economicamente. Infine, altra differenza rispetto agli uomini liberi, i fula-dion potevano sposarsi solo dopo aver ottenuto il benestare del proprio padrone1. Altra struttura centrale della società dei fulani era il gallé, cioè l’unità base sia a livello economico che sociale2. Al suo interno si riunivano più fratelli con le rispettive famiglie e gli schiavi; in genere la sua direzione veniva data al più anziano tra essi3. Infatti, sebbene l’attività tradizionale dei fulani fosse la pastorizia. In Alta Casamance non trovarono condizioni particolarmente favorevoli all’allevamento; così iniziarono a sedentarizzarsi e a dedicarsi anche all’agricoltura. Non avendo una tradizione agricola furono portati ad adottare quelle dei mande o quelle degli schiavi utilizzati nei campi. Il riso, il miglio, successivamente il cotone furono i prodotti maggiormente coltivati. Prima funzione del gallè era di organizzare la produzione per il sostentamento di tutto il gruppo; i suoi componenti coltivavano un campo comune detto maru, prevalentemente il miglio, il sorgo e altri cereali che venivano subito immagazzinati nei granai, anch’essi collettivi, destinati all’alimentazione di tutta la collettività. Solo l’arachide, dopo esser stato introdotto dai francesi, verrà destinato al commercio4. Sempre all’interno del gallé veniva organizzata la ripartizione del consumo degli alimenti: è il capo che quotidianamente ripartisce le porzioni necessarie al sostentamento di ognuno; alle donne è in genere riservato il compito di cuocere i cibi5. La produzione all’interno dei gallé veniva organizzata anche attraverso l’uso di due strutture sociali: le classi d’età o yirde e la differenziazione dei compiti a seconda del genere. In primo luogo, le classi d’età, suddividevano uomini e donne a seconda della loro anzianità e quindi della loro capacità fisica: ecco quindi che avremo i bambini, gli adolescenti, gli uomini adulti e i vecchi, in genere persone oltre i quarant’anni. Ogni classe partecipava con una funzione particolare, la preparazione del terreno o la semina per esempio, e collaborava con le altre classi in maniera complementare6. Ogni classe d’età aveva un suo rappresentante, il più anziano o il più capace, che ogni sera riceveva le istruzioni per il lavoro del giorno dopo dal capo della gallé. Infine, più gallé insieme formavano il villaggio, con a capo l’uomo più anziano del gallé più vecchio. Egli era assistito da un consiglio di notabili e le decisioni che riguardavano il 1 In particolare erano molto difficili i matrimoni tra gli uomini liberi e gli schiavi. Oltre al consenso, il fula–dion doveva accumulare una quantità beni da destinare alla dote maggiore rispetto a quella richiesta ad un uomo libero. Da notare che la maggior parte degli schiavi si sono completamente integrati alla cultura dei fulani tanto da farla propria. Ancora oggi, informalmente, si può notare la presenza di un’aristocrazia erede della classe dei fula–foro e una massa contadina prevalentemente con origini servili. Tuttavia, oggi non c’è alcun vincolo di sudditanza formale e anche i matrimoni sono permessi. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 526. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 62-65. 2 È una struttura che corrisponde al korda mande o al hanke diola 3 Sui cambiamenti introdotti dalla produzione e commercializzazione dell’arachide si ritornerà con maggiore precisione nella terza parte, capitolo ???. Da notare che alla divisione in gallé corrispondeva una certa organizzazione del villaggio e delle abitazioni nello spazio. A proposito vedere in particolare PÉLISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 529. 4 Le donne disponevano di piccoli granai separati dove veniva raccolto il riso. 5 Per cuocere i cibi le donne usano dei foyers detti atende, formati da tre pietre. In genere in ogni villaggio ne vengono costruiti due o tre per ragioni di comodità. Gli uomini poi consumano i pasti insieme e separatamente dalle donne. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 70. 6 La yirde lavora nei campi solo durante l’hivernage. Sono in genere gli uomini adulti a svolgere i lavori più pesanti. Le donne in particolare li assistono nei campi e li rifocillano con acqua e cibo. IBIDEM, p. 71. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 64 48 villaggio venivano prese non d’autorità, ma tenendo presente la volontà popolare, attraverso il consueto uso delle palabras1. È importante sottolineare che la differenza tra uomini e donne, tanto a livello sociale che economico è stata ripresa dai fulani su imitazione dei mande. Come è già stato detto in precedenza, tale differenza veniva innanzitutto rimarcata attraverso la previsione di classi d’età separate per i generi. È da notare che esisteva anche una suddivisione nelle colture tra uomini e donne, così netta tra i mande. Gli uomini si impegnavano maggiormente nelle colture che andavano commercializzate, come l’arachide o il miglio, mentre le donne si occupavano del riso, destinato all’autoconsumo. Così come per le donne mande, le tecniche adoperate nelle risaie erano di gran lunga meno elaborate rispetto a quelle diola. Anche in questo caso la risposta è da ricercarsi nella particolare durezza di certi lavori di manutenzione delle risaie inadatti al fisico femminile. Senza dimenticare che le donne dovevano anche occuparsi del menage della capanna oltre che della preparazione dei pasti e dei figli. Infine, le donne dovevano abitare in capanne– dormitorio comuni, chiamate mbumba, salvo lasciarla la notte per la capanna del marito2. La pastorizia infine rimaneva ancora un’attività importante, perlomeno da un punto di vista sociale e del prestigio. Sebbene i fulani investissero le loro maggiori energie nell’agricoltura, nessuna famiglia rinunciava al possesso di alcuni capi di bestiame da cui veniva prodotto soprattutto il latte, consumato quotidianamente, e più raramente la carne. 1 2 IBIDEM, p. 64. PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., pp. 534–537. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 71. 49 PARTE 2 IL PERIODO COLONIALE: DALLA CONQUISTA ALLA PACIFICAZIONE (1800 – 1930) 50 *** C’era una volta… la Casamance. Iniziamo qui a ripercorrere le tappe principali della storia della regione, che ci porteranno nel corso dell’analisi a capire come è nato l’attuale conflitto. Il tema affrontato nei tre capitoli che seguono sarà la conquista e la pacificazione della Casamance, dai primi avamposti (capitolo 1), alla progressiva presa di possesso del territorio (capitoli 2 e 3). Perché partire da così lontano nel tempo per parlare di un conflitto che è scoppiato solo nel dicembre 1982? La storia ha avuto un ruolo importante all’interno della retorica del conflitto. Certamente le sue cause “contingenti” vanno ricercate negli anni immediatamente precedenti il 1982; tuttavia, lo stesso Movimento delle Forze Democratiche della Casamance (MFDC), che rivendica il proprio diritto all’indipendenza sulla base di dati storici ritenuti “oggettivi”. Ecco quindi che la storia diventa importante per capire le posizioni dei differenti attori, olte che il percorso che ha portato questa bella regione a trovrsi coinvolta in un conflitto che ormai la affligge da 25 anni. Ripercorriamola dunque! Se nella parte precedente l’obiettivo era quello di fornire un quadro il più possibile oggettivo della regione e dei suoi abitanti, qui si tratta invece di indagare le vicende storiche, non solo alla ricerca di cause, ma anche di interpretazioni che gli attori coinvolti hanno dato della storia stessa, ponendola a fondamento delle rispettive rappresentazioni della “question casamançaise”. Sarà questo ora, il nostro obiettivo. *** 51 CAPITOLO 1 LA “SCOPERTA” E LA “CONQUISTA”: PRIMI INSEDIAMENTI FRANCESI IN CASAMANCE “La Casamance lutte depuis 1945 Pour conserver ou recouvrer Son indipendence nationale, avec, Sur un total de 349 ans de lutte, Une résistance passive de 42 ans seulement, Et une lutte armée de 307 ans. L’Histoire est une enseignante par excellence”1. La propaganda del movimento indipendentista della Casamance affonda le proprie radici nella storia della regione. Si parla della storica indipendenza della regione, che tuttavia avrebbe combattuto dal 1645 contro i tentativi di colonizzazione di vari popoli europei ed infine dei senegalesi. La storia è un momento importante nell’ideologia degli indipendentisti. Ma è anche l’unico strumento che permette un' analisi più chiara e lucida della realtà attuale. Ripercorriamola dunque. È quello che questo primo capitolo si propone di fare. Sin dalla creazione dei primi avamposti, verranno sottolineati alcuni elementi che caratterizzeranno e influiranno sull’evoluzione della regione, creando come si vedrà nei successivi capitoli, una sorta di continuum, di filo conduttore che unirà l’approccio dello stato coloniale a quello del Senegal indipendente. 1 LA PRESENZA PORTOGHESE 1.1 OLTRE DUE SECOLI DI INTENSI RAPPORTI COMMERCIALI I primi europei con cui le popolazioni della Casamance entrarono in contatto, furono i portoghesi, che già dalla seconda metà del ‘400 iniziarono ad avventurarsi nella regione2. I primi rapporti con la popolazione furono sereni, ma si guastarono immediatamente 1 2 Documentazione Rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, MFDC, “Casamance, le pays du refus. Reponse à Monsieur Jacques Charpy”, 1995. Tra i primi esploratori i più importanti furono Alvise Cà Da Mosto, un veneziano, (fine del XV secolo), Valentin Fernandes (prima metà del XVI secolo), André Alvares d’Almada (seconda metà del 1500), Francisco de Lemos Coelho (metà del XVII secolo). Già dal 1494, in seguito al Trattato di Tordesillas, al Portogallo veniva riconosciuta la titolarità delle terre poste più a sud dell’arcipelago di Capo Verde. In realtà la “titolarità” non può essere intesa nel senso “coloniale” o meglio imperialista del termine: il Portogallo all’epoca non aveva alcun tipo di potere politico sulla regione e successivamente molti altri stati europei vi costruirono degli scali commerciaali. 52 quando, con lo sviluppo delle piantagioni nelle Americhe, gli europei pensarono bene di procurarsi la manodopera necessaria nel continente africano1. Nella regione della Casamance i portoghesi poterono contare su un alleato autoctono, il Regno dei bagnun o regno del Kasa, almeno fino alla sua dissoluzione, e su altre società più interne, che ammettevano la schiavitù. La presenza politica principale nella regione era costituita dall’impero del Gabu, formatosi già prima dell’arrivo degli europei in seguito all’immigrazione da nord–est di popolazioni mande, provenienti dall’Impero del Mali. Quando gli europei arrivarono, questo regno era ormai divenuto completamente indipendente; aveva il suo centro nelle alture del Futa Jalon, nell’attuale Guinea Bissau, ma si estendeva, attraverso una rete di stati satellite, fino alla valle del Gambia a nord e fino ai confini dell’Alta Casamance ad est2. Le popolazioni diola, indipendenti ed egualitarie invece, rimasero prevalentemente in disparte, nella parte più occidentale, tra la costa e il rio Cacheu, protette dall’intrico di mangrovie del loro territorio per evitare di diventare “prodotto di scambio”. È già stato detto in precedenza, infatti, che la società diola non conoscevano le caste o la schiavitù, e questo, unito alla frammentazione del loro sistema politico, li rendeva facile preda nel commercio degli schiavi3. I commercianti portoghesi arrivarono numerosi attratti dal redditizio commercio degli schiavi4. Nel 1645 la presenza portoghese divenne ancora più stabile con la costruzione di un forte a Ziguinchor, che doveva dar rifugio ai commercianti. Questo fu il periodo di maggior effervescenza della presenza portoghese: la Casamance venne vista come un “nuovo Eldorado”, una terra ricchissima di risorse e di schiavi5. È importante sottolineare che la presenza portoghese nella regione non si trasformò in influenza politica, neppure nell’avamposto di Ziguinchor, ma ebbe sempre 1 Non tutta l’Africa fu coinvolta allo stesso modo dalla tratta negriera. Gli europei infatti cercarono l’alleanza e la collaborazione di entità politiche e sociali che accettavano la schiavitù e che facevano delle razzie una delle loro attività di sussistenza. Le zone maggiormente coinvolte furono quindi l’Africa Occidentale (verso le Americhe) e quella orientale (nella tratta indiana). Altri territori, come per esempio quello corrispondente oggi alla Repubblica sudafricana, non furono quasi toccati dal commercio di esseri umani. Vedi CALCHI NOVATI, Giampaolo. VALSECCHI, Pierluigi. “Africa. La storia ritrovata. Dalle prime forme politiche alle indipendenze nazionali”, Carrocci, Roma, 2005. 2 Per un approfondimento sull’impero del Gabu vedere in particolare GIRARD, Jean. “L’or du Bambouk. Une dynamique de civilisation ouest africaine. Du royaume de Gabou à la Casamance”, Georg Editore, Genève, 1992. 3 Proprio a causa del commercio degli schiavi i diola vennero spinti sempre più verso occidente, dove l’intreccio dei boulon, dei marigot e della foresta, permetteva una maggiore protezione. I diola sarebbero cos’ stati relegati all’interno di una regione difficile, in cui la scarsità della terra era ‘cronica’; al contrario, nelle zone più a est, la disponibilità di terra era enorme. Da ciò anche la nascita di due sistemi di produzione e di rapporto con la terra: sfruttamento intensvo ed estremamente complesso nelle zone diola, estensivo in Media ed Alta Casamance. Da ciò deriva anche il particolare rapporto, quasi d’intimità, che le popolazioni diola hanno con la propria terra. Colloquio personale. Nella regione i Seju i mande usavano l’espressione “il mio diola” come sinonimo de “il mio schiavo”. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance. Une analyse géopolitique”, tesi di dottorato in geografia, Università Parigi 8, Saint-Denis, 1999: p. 223. Sarebbe un errore, tuttavia, credere che i diola non avessero rapporti di scambio con gli altri popoli. I prodotti della foresta, la cera e il riso e gli eventuali prigionieri di guerra venivano prevalentemente scambiati con le altre popolazioni in cambio di bovini, animali indispensabili nelle cerimonie religiose in onore dei boekin. 4 Almeno fino al 1530, la tratta portoghese venne anche protetta dalla concorrenza, grazie alla presenza di un monopolio commerciale esteso su tutta la zona. 5 TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 24. 53 prevalentemente natura commerciale. Sebbene Ziguinchor, fino alla cessione ai francesi nel 1886, fosse governata da un meticcio che si fregiava del titolo di “governatore”, il suo potere reale non giustificava tanta pomposità. I vari gruppi diola del circondario continuavano a condurre la loro vita appartata, adorando i loro feticci, dedicandosi alle risaie e mantenendo la loro indipendenza. Gli anni di schiavitù a cui erano stati sottoposti, e la necessità di rifugiarsi tra le mangrovie, dovevano necessariamente incidere anche sui rapporti con gli europei. Essi quindi, alla vigilia della colonizzazione francese, avevano avuto pochissimi contatti con la cultura politica europea. Questa situazione va tenuta a mente e va evidenziata sin da ora perché, come si dirà, contrasta enormemente con la natura che la presenza francese aveva assunto nei communes nel nord dell’attuale Senegal, sin dalla fine del 1600, ma anche, seppure in misura minore, con le popolazioni della Media e Alta Casamance grazie proprio alla tratta. Quando i francesi iniziarono ad interessarsi veramente alle coste della Casamance nella prima metà dell’Ottocento, la presenza lusofona era in profonda crisi, a causa del declino stesso dello stato portoghese, della progressiva abolizione della tratta degli schiavi e della concorrenza di inglesi e francesi. 1.2 UN GIOCO DI RAPPRESENTAZIONI CHE INIZIA LONTANO NEL TEMPO La retorica dell’attuale conflitto affonda le sue radici in questo lontano passato. Il primo elemento da sottolineare è proprio l’impero del Gabu, a cui padre Diamacoune Senghor, fondatore e leader storico del movimento indipendentista1, si riferisce per argomentare la sua tesi della “Casamance storica”. L’impero del Gabu fornirebbe un primo elemento, quello storico, al concetto di “nazione casamancese”. Gli indipendentisti hanno rivendicato così l’indipendenza sul territorio su cui si è esteso questo impero, inteso come proprio della Casamance. Ci ritorneremo. Secondo il MFDC, inoltre, con la presenza portoghese ebbero inizio i “tre secoli e mezzo” di colonizzazione della Casamance, a cui le popolazioni avrebbero reagito immediatamente con la resistenza passiva ma soprattutto armata. Tuttavia i dati storici sembrano fornire un quadro almeno in parte diverso. Durante la tratta degli schiavi, la resistenza e gli scontri furono certamente più marcati con i diola e più collaborativi con le altre popolazioni, mande e fulani. Gli studiosi concordano nel ritenere che nei primi secoli, la presenza europea fu caratterizzata essenzialmente dalle attività commerciali e non ebbero una natura politica, se non all’interno degli stessi scali creati dagli europei. Ziguinchor o Saint–Louis ne sono un esempio. La tesi degli oltre tre secoli di colonizzazione verrebbe così confutata. Inoltre, come già si intuisce, la prima reazione non fu di certo la resistenza, ma semmai una collaborazione commerciale. 2 I PRIMI AVAMPOSTI FRANCESI I primi contatti tra i francesi e la Casamance risalgono al XVI secolo quando per la prima volta alcune navi francesi si avvicinarono alla costa per esplorarla. Nel secolo successivo alcune compagnie francesi ottennero, dal proprio governo, il monopolio del commercio nella zona; tra queste Cultru ricorda per esempio quella di Pierre de la Haye, 1 Deceduto lo scorso febbraio. 54 che ebbe in concessione per trent’anni il commercio lungo le coste dell’Africa Occidentale, “da Capo Bianco alla costa del Senegal e dal Gambia alla Sierra Leone”1. È del 1686 la prima descrizione della Casamance e del 1778 il primo rapporto presentato al governo francese da Le Brasseur, l’allora amministratore generale dei ‘possedimenti’ francesi. In quel periodo il governo francese non aveva ancora particolari interessi nella regione, tuttavia i suoi mercanti la conoscevano bene, così come il rapporto dimostra. Infatti, in esso venivano spiegate le potenzialità della regione da un punto di vista commerciale e veniva anche richiesta una politica più energica del governo volta alla creazione di una presenza attiva della Francia nella zona. Nel rapporto si fa riferimento anche alla presenza portoghese e a Ziguinchor, descritto come un “luogo miserabile”2. Il governo francese alla fine del XVIII secolo non ebbe certamente l’occasione per prendere in considerazione tali richieste. La Rivoluzione Francese e ciò che seguì distolse per qualche anno la Francia dai suoi interessi coloniali in Africa Occidentale. Dal 1814 in poi, con l’inizio della Restaurazione, la politica coloniale francese si rianimò. Dal 1817 i francesi ritornano ad occuparsi stabilmente degli avamposti senegalesi, in cui potevano vantare una solida presenza già dal secolo precedente. Poiché la tratta degli schiavi era ormai in via di abolizione,3 si cercò di utilizzare la manodopera africana sul posto, attraverso la creazione di piantagioni. Il progetto fu fallimentare, così il governo cercò di indirizzare i propri sforzi verso il commercio costiero4. È in questo contesto che devono esser collocate le nuove iniziative in Casamance5 e in particolare una visita nel maggio 1826 del barone Roger, Governatore del Senegal, per “valutare l’importanza del traffico commerciale e delle possibilità di sviluppo”6. Quali furono le sue impressioni sulla Casamance? Dal suo rapporto si deduce un atteggiamento che si potrebbe definire “moderatamente ottimista”: da un lato, infatti, espresse la sua sorpresa riguardo alla “incredibile dolcezza” delle popolazioni locali e alla complessità delle loro tecniche nella risicoltura; propose anche la creazione, “come prova il primo anno”, di un avamposto a Mbering, villaggio poco distante da Ziguinchor. Dall’altro sottolineava anche l’esistenza di una serie di difficoltà, non ultime proprio la presenza dei portoghesi a Ziguinchor. Ecco quindi che egli concludeva così il suo rapporto: Per iniziare, il governo del Senegal potrebbe inviare sul luogo [Mbering] un agente non ufficiale ma commerciale, destinato a vegliare sugli interessi dei francesi, che ci porteranno i loro affari e a preparare un avamposto che presto potrebbe divenire considerevole […]. Ma non penso sia ancora arrivato il momento per dar seguito a tali progetti. 1 CULTRU, P. “Premier voyage du Sieur de la Courbe fait à la coste d’Afrique en 1685”, cit. da ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 72. 2 IBIDEM, pp. 72-74. 3 Gli inglesi l’abolirono già nel 1807 e da allora iniziarono a controllare le rotte transatlantiche con la loro potente flotta per cercare di contrastarla. 4 FAGE, John D. “Storia dell’Africa”, Società Editrice Internazionale, Torino, 1978 pp. 326-327. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal. Institutions, droit et société”, Karthala– ASC, Parigi, 1985, p. 121. 5 Tali iniziative nascevano soprattutto sotto l’impulso dei commercianti di Gorée che già dal 1820 avevano chiesto la creazione di un avamposto francese che potesse facilitare gli affari in quella zona. SAULNIER, Eugène. “Les Français en Casamance et dans l’archipel des Bissagos. Mission Dangles, 1828”, Revue de l’Histoire des Colonies Françaises, 1914, 102 (1): p. 43. 6 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 74. SAULNIER, Eugène. “Les Français en Casamance et dans l’archipel des Bissagos”, op. cit., p. 44. 55 Non abbiamo ancora abbastanza interessi in Casamance e niente è pronto perché noi possiamo crearne1. Dopo appena due anni, nel 1828, il governatore Jubelin affidò una nuova missione in Casamance a Jean Clément Victor Dangles, primo Residente della costa occidentale. Gli assegnò il compito di scegliere il luogo adatto per la creazione di un avamposto francese. Dangles scelse il luogo indicato due anni prima da Rogers e cercò di raccogliere più informazioni possibili sulla regione circostante, stando bene attento a non infastidire gli inglesi. In una spedizione di poco successiva, il 28 marzo, sbarcò di nuovo a Mbering e stipulò con Cayounou, capo di un villaggio adiacente, il primo trattato francese nella regione per la cessione di una porzione di territorio. Ecco di seguito il testo del trattato: In nome di sua Maestà Carlo X, re di Francia, e in virtù dei poteri che ci sono stati delegati dal Governatore del Senegal e dei territori annessi, e fatta salva la sua approvazione, noi Jean Clément Vinctor Dangles, cavaliere dell’ordine reale della legione d’onore, ex capo del Ministre public presso la corte di Pondichér, assistito dal M. Le Lieur di Ville-sur-Arce, comandante del vascello reale, il Serpent, abbiamo concluso il trattato di cui seguono gli articoli con Cayounou, capo del villaggio di M’Bering sulla riva sinistra della Casamance e dei paesi contigui: 1: Cayounou, visto il consenso del suo popolo e assistito dai suoi capi principali, cede la proprietà per sempre e senza canoni il terreno necessario per stabilire un avamposto e i terreni annessi nel villaggio di M’Bering o nei suoi dintorni. ARTICOLO ARTICOLO 2: La scelta del terreno è lasciata al funzionario di sua Maestà il re di Francia e il prezzo sarà regolato di comune accordo. ARTICOLO 3: I funzionari del re possono immediatamente stabilirsi a M’Bering e, per facilitar l’installazione, Cayounou si impegna a prestar loro soccorso e assistenza in tutte le occasioni. ARTICOLO 4: Cayounou considererà il presente trattato come un atto di benevolenza e con il più grande piacere isserà la bandiera francese sulla casa dei funzionari del re. ARTICOLO 5: Per garantire l’onore della sua bandiera e per proteggere il commercio, a sua Maestà il re di Francia potrà fortificare i suoi possedimenti nel modo che gli sembrerà più conveniente. ARTICOLO 6: Qualunque suddito del re di Francia si potrà stabilire a M’Bering con il permesso del Governatore del Senegal acquistando dagli abitanti il terreno che gli sarà necessario. Nessuno straniero potrà fissarvi la propria residenza senza la stessa autorizzazione. ARTICOLO 7: Cayounou impedirà espressamente a ogni indigeno di turbare i francesi nell’esercizio dei diritti che sono loro concessi con questo trattato; la polizia commerciale, così come i regolamenti al riguardo, saranno di facoltà dei funzionari del re di Francia. 1 SAULNIER, Eugène. “Les Français en Casamance et dans l’archipel des Bissagos”, op. cit., pp. 44-46. 56 8: Con la piena e completa esecuzione degli articoli precedenti, il re di Francia promette a Cayounou e ai suoi sudditi la sua alta protezione e la sua mediazione nei confronti dei nemici che egli potrebbe avere nell’avvenire. ARTICOLO ARTICOLO 9: Il re di Francia si impegna a punire con severità qualunque individuo che si permetta di offendere Cayounou, di fare un torto ai suoi sudditi e di attentare alla loro religione o ai loro costumi. ARTICOLO 10: Come prova dell’amicizia che il re di Francia assicura a Cayounou, egli promette di fare in modo che una gran parte del commercio dei suoi stati si diriga verso le coste della Casamance, al fine di far gioire i suoi abitanti dei benefici della civilizzazione. ARTICOLO 11: […]1. Al fine di dare maggiore sicurezza agli interessi francesi nella regione, firmò un secondo trattato, molto simile al primo, con il capo del villaggio di Itu, posto proprio all’imbocco del fiume lungo la riva nord. Trattati simili ai primi due firmati da Dangles nel 1828 ne seguirono tanti altri; rappresentano la “strategia” usata dalla Francia in questa prima fase dell’epoca coloniale: si negoziavano accordi di compravendita o affitto di territori con i capi locali in cambio di un corrispettivo per la futura creazione di avamposti commerciali. In questo modo vennero creati anche Karabane (trattato firmato il 22 gennaio 1836, “l’isola diventava francese in cambio di un affitto annuale di 39 barres, cioè 196 franchi”) e Seju, allora un villaggio sulla riva destra del medio corso della Casamance (trattato firmato il 24 marzo 1837 e rinegoziato il 3 aprile 1838 in cambio di un affitto annuale di 39 barres )2. Tuttavia, non bisogna pensare ad un andamento lineare delle iniziative francesi. Con i trattati di Mbering e Itu si concludevano, infatti, i primi tentativi d’insediamento in Casamance. Tra essi e la creazione degli avamposti di Karabane e Seju ci fu una fase di stallo nelle iniziative francesi che durò quasi un decennio. Il radicamento della propria presenza nei territori africani era tutt’altro che facile. Inizialmente, non si riuscì a trovare un amministratore disposto a trasferirsi e a risiedere a Mbering o Itu e il governatore delle colonie dovette porre nei due nuovi presidi un residente nero. Poi gli avvenimenti del luglio 1830 in Francia fecero il resto per arrestare le iniziative nella regione. In realtà, fino a questo momento, le ambizioni commerciali francesi rimanevano ampiamente frustrate: nei nuovi presidi c’era solo una bandiera francese, a testimoniare il possesso del territorio, ma nessuna struttura che potesse essere utilizzata a fini commerciali3. Intanto la popolazione locale viveva indisturbata dalla presenza francese. Su pressione anche dei rappresentanti delle compagnie commerciali di Galam e Gorée il governo riprese le proprie iniziative nella seconda metà degli anni ’30 dell’Ottocento. Si apriva la fase che avrebbe finalmente portato alla creazione di Karabane e Seju. Nel 1836, “il commandant particulier di Gorée, il luogotenente di vascello Malavouis”, ricevette 1 SAULNIER, Eugène. “Les Français en Casamance et dans l’archipel des Bissagos”, op. cit., pp. 55-58. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 76-79. 3 “Il commercio della Colonia non aveva guadagnato niente da questo primo tentativo, ma i diritti della Francia erano stati ufficialmente stabiliti… Lo sforzo del 1828 non era stato inutile, perché aveva spianato la strada, ma bisognò attendere ancora qualche anno perché le circostanze permettessero una installazione definitiva”, FOULQUIER, “Les Français en Casamance de 1826 al 1854”, cit. da IBIDEM, pp. 75-76. 2 57 l’ordine di “partire per la Casamance al fine di studiare di nuovo le possibilità di commercio e le condizioni necessarie per la costruzione di un avamposto”1. La scelta di Malavois cadde su Karabane, un’isola proprio sulla foce del fiume; scelta che però venne criticata da molti perché il territorio circostante appariva piuttosto insalubre2. Così l’anno successivo una nuova commissione di esplorazione partì il 14 marzo 1837 da Gorée con l’intento di risalire il fiume. Fu così che la spedizione francese arrivò per la prima volta a Seju. “Le risorse di Seju, […], non potrebbero essere comparabili con quelle di Karabane. Sono considerabili… giardini producono legumi e frutti, e ovunque ci sono fontane di acqua limpida; la selvaggina abbonda sulle colline circostanti; il fiume trabocca di pesci… infine il clima è sopportabile per un europeo”3. Seju sembrava effettivamente il luogo ideale per la creazione di un avamposto commerciale redditizio; oltre al clima favorevole, alle risorse abbondanti anche la popolazione sembrava molto disponibile ed era abituata già da tempo ad avere rapporti anche di natura commerciale con gli europei. “Sarebbe bastato persuadere le popolazioni del circondario a venire a Seju a portarci i loro prodotti”4. Nel maggio del 1837 tutto era pronto per lo sbarco delle prime compagnie commerciali. È importante sottolineare che una caratteristica dei trattati di questo primo periodo è quella di essere, almeno formalmente, trattati tra pari. I capi della Casamance erano liberi di contrattare come meglio credevano. Essi stessi erano ben disposti alla loro stipula perché interessati al commercio con i francesi. Prova ne è l’accoglienza riservata ai francesi in queste occasioni e la generosa collaborazione data dai membri dei villaggi vicini alla creazione di queste prime basi commerciali. In realtà questi trattati avevano valore soprattutto a livello internazionale: di fatto, non stabilivano alcun controllo diretto del territorio e nessuna annessione al regno di Francia, ma a livello internazionale avevano un loro peso perché potevano essere usati come prova degli interessi francesi della regione5. Tuttavia, nel giro di pochi anni, la politica francese e il tenore di questi trattati erano destinati a cambiare radicalmente. 1 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 76. I primi comandanti dell’avamposto militare di Karabane furono: Pierre Baudin, Jean Baudin, Jean Dufour, Emmanuel Bertrand Bocandé. Documentazione Rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, MFDC, “Memento de l’histoire de la Casamance”, documento non pubblicato, p. 2. 3 VILLANON (1862), “La Casamance, dépendence du Sénégal”, cit. da ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 78. 4 IBIDEM, p. 78. 5 Dopo la progressiva sparizione delle compagnie” à la carte”, la presenza europea in Africa andò modificandosi sensibilmente da un punto di vista istituzionale. I diritti acquisiti dalle compagnie (anche grazie ad accordi internazionali) e i loro possedimenti o zone di monopolio vennero rilevati direttamente dagli stati europei. Così lo sviluppo coloniale che si ebbe nella prima metà dell’800 si basò su due tipi di diritti che attribuivano una sovranità esterna o una interna. Il primo tipo di sovranità aveva come fondamento accordi o trattati stipulati tra le varie potenze europee, in cui reciprocamente, venivano stabilite e riconosciute le sfere di influenza sul continente. I più importanti sono il trattato di Versailles (1783) e quello di Parigi (1814). Il secondo tipo di sovranità, quella interna, derivava invece da trattati stipulati direttamente con i sovrani locali che prevedevano l’affitto o la cessione di una porzione di territorio. Per maggiori dettagli vedere SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, Karthala, Parigi, 1989: pp. 93-104. 2 58 3 LA PRESENZA FRANCESE IN SENEGAL Per la prima volta nel 1838, e a dispetto dei portoghesi di Ziguinchor, venne ufficialmente creata una presenza francese in Casamance. Certamente non si poteva già parlare di una colonia, ma era stata posta una pietra miliare per la sua successiva creazione.1 Di questo primo periodo della presenza francese ci sono almeno due punti essenziali che devono essere sottolineati. Uno di carattere temporale che verrà spiegato immediatamente. Il secondo tema ha natura prevalentemente politica e verrà esaminato nel capitolo successivo. Innanzitutto una data, quindi: il 1838. Ma cosa accadeva nello stesso periodo al nord dell’attuale Senegal? Qual era la situazione? C’erano già degli avamposti, i francesi avevano gia degli interessi nella regione? Nel 1838, non solo i francesi si erano stabiliti al nord del Gambia, ma la loro presenza era particolarmente radicata. I primi europei arrivarono già alla fine del 1400 e da questo momento in poi i regni della regione vennero integrati all’interno del grande circuito internazionale del commercio. Se gli schiavi rappresentavano la merce principale non erano di certo l’unica. I portoghesi, i primi a commerciare attivamente con i damel del Kayor e il brak del Walo,2 acquistavano in particolare oro, avorio e gomma. I primi viaggi regolari dei francesi lungo la costa occidentale invece ebbero inizio nel 1520. Nel 1659 un commerciante francese, Louis Caullier riuscì a stabilire un avamposto proprio all’imbocco del fiume Senegal, creando così il nucleo originario della futura città di Saint-Louis. Questa città divenne una delle prime zone della costa occidentale in cui i francesi si radicarono e si mischiarono alla popolazione locale. Nel 1677 e 1679, i francesi conquistarono anche Gorée e Rufisque3. Da questi avamposti le compagnie commerciali francesi4 si dedicarono fino alla fine dell’Ancien Régime, al commercio degli schiavi (soprattutto lungo il corso del fiume), della gomma, dell’avorio e del cuoio, anche nell’immediato entroterra. Sebbene durante tutto il XVII e XVIII secolo i francesi subissero la forte concorrenza di inglesi, olandesi e portoghesi lungo la costa occidentale, essi riuscirono a proteggere i loro scali. Alla fine anche il problema della concorrenza venne risolto nel 1783 con la stipula del trattato di Versailles tra Inghilterra e Francia, “uno dei primi accordi bilaterali conclusi tra due potenze europee sulla ripartizione del continente africano”5, che attribuì attribuì in via definitiva gli avamposti senegalesi alla Francia. A cavallo tra XVIII e XIX secolo i possedimenti francesi in Africa languirono, a causa delle guerre napoleoniche in patria e della progressiva abolizione della schiavitù negli stati europei6. Dalla seconda decade del XIX secolo l’attività francese nelle sue colonie riprese vigore. In questo periodo i diritti francesi della regione erano sanciti tra l’altro da 1 SAULNIER, Eugène. “Les Français en Casamance et dans l’archipel des Bissagos”, op. cit., pp. 76-77. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 76 e 79-80. 2 Damel e Brak avevano il significato di “sovrano” nei due regni indicati. 3 LEGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale: les communes au Sénégal”, Revue Française d’Histoire d’Autre-Mer, 1968, LV (201) : p. 414. 4 Alcune compagnie già nella prima metà del XIX secolo si dedicavano attivamente al commercio nell’Africa occidentale e avevano basi stabili sul territorio. La compagnia di Galam, creata nel 1824) si dedicava principalmente al commercio sul fiume; quella di Gorée, di poco successiva, a quello lungo la costa. 5 HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 115-116. 6 L’abolizione inizia nel 1792 e si protrae per quasi un secolo. L’Inghilterra abolirà la tratta nel 1808, la Francia nel 1848. 59 una serie di accordi stipulati con i sovrani locali: un trattato di protettorato con il Brak del Walo era datato 1819; con altre regioni come il Futa, il Toro, gli stati dell’alto Senegal, il Salum, il Bundu erano stati stabiliti degli accordi “consuetudinari” che prevedevano il pagamento di un pedaggio al passaggio di uomini o merci in un “punto di dogana”. Ma soprattutto all’inizio del secolo la Francia poteva contare sui suoi “communes”, Saint-Louis, Gorée e Rufisque. Queste città, sebbene provate da circa vent’anni di instabilità politica ed economica1, avevano alle spalle due secoli di presenza francese. Non solo. Mentre Nel 1838, tra tante difficoltà, si procedeva alla costruzione di un primo stabile avamposto a Carabane e Seju, che potessero fungere da base commerciale e militare, gli abitanti di Saint-Louis, Gorée e Rufisque, soprattutto meticci e neri di fede musulmana, eleggevano i propri rappresentanti all’interno della municipalità, avevano un sindaco eletto e dimostravano di aver fatto propri i principi di un’amministrazione democratica del governo; e non molto tempo prima, durante la rivoluzione, avevano discusso sulla possibilità di avere un deputato che li rappresentasse a Parigi2. Come è facilmente intuibile da quanto è stato appena detto, tra il nord e il sud dell’attuale Senegal, esisteva una grossa differenza. Il nord del paese aveva alle spalle secoli di contatti, scambi e di influenze con gli europei. Saint-Louis, Gorée, Rufisque, potevano già, all’inizio del XIX secolo, essere chiamate “colonie”, erano, di fatto, territorio francese. In Casamance non c’era niente di tutto ciò. Qui i francesi avevano, per così dire, un “ritardo” politico ed economico di oltre due secoli. E questo ritardo, come si vedrà, non avrebbe tardato a far sentire il suo peso. 4 LE DINAMICHE ECONOMICHE E I PRIMI TENTATIVI DI SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO (fino al 1850 circa) Gli aspetti economici vengono affrontati immediatamente e non a caso. Non è infatti possibile capire la storia coloniale e i meccanismi che ha innescato sul continente nero, senza prendere in seria considerazione le dinamiche economiche. Il colonialismo è stato spesso spiegato come il prodotto di due principali fattori: l' uno, politico, legato alla formazione degli stati nazionali in Europa e alla forte competizione tra essi; e un secondo economico, legato alla rivoluzione industriale e alla nascita di un’economia di tipo capitalista. L’abolizione del commercio degli schiavi portò un certo scompiglio tra le potenze europee e tra i commercianti: le prime rifletterono sulla convenienza a mantenere delle basi costose in Africa, i secondi cercarono di adattarsi alle mutate esigenze del mercato e favorire il commercio di nuovi prodotti su vasta scala, iniziando dall’olio di palma e dalla gomma. Sebbene alcuni scali vennero effettivamente abbandonati, la questione venne progressivamente risolta dai governi nazionali sostenendo le basi commerciali, sulla base però del mutato contesto economico. In questo periodo, infatti, le potenze europee 1 2 Durante la seconda metà del ‘700 i communes passarono per un breve periodo di tempo sotto controllo inglese. Nel 1758, in seguito alla guerra dei sette anni Saint-Louis divenne inglese. Per brevi periodi anche a Gorée toccò la stessa sorte. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine. Aux origines de la vie politique moderne (1900-1920)”, Karthala, 1991, pp. 55-82. 60 cercavano sempre più materie prime a basso costo per alimentare la seconda rivoluzione industriale e nuovi mercati in cui riversare i prodotti finiti. In definitiva, lo scopo era quello di riprodurre e accumulare i capitali, e il mezzo preferito divenne progressivamente quello del controllo politico e sociale diretto. Per queste ragioni lo stato coloniale è stato interpretato sia come un “ente di sfruttamento economico” che come un “ente di dominazione politica”: le ragioni della sua esistenza e i suoi scopi furono in gran parte economici, ma i mezzi utilizzati per raggiungerli furono prevalentemente politici.1 Il Senegal e la Casamance non scapparono di certo a questa regola. Anzi, le dinamiche commerciali vanno tenute sempre costantemente in primo piano perché influiranno in maniera crescente sulle decisioni politiche, sulle linee di espansione coloniale, sullo sviluppo economico e sociale di tutta la futura colonia: le maison de commerce saranno sempre un passo avanti nell’esplorazione e nel dettare le esigenze amministrative della regione; il potere politico seguirà a ruota, per dare sostegno e creare l’impalcatura istituzionale necessaria al consolidamento della tratta commerciale. Anche in Casamance le cose seguirono questa evoluzione. Dopo la creazione dei primi avamposti (commerciali!) in Casamance, si trattava di renderli redditizi e di creare una presenza stabile, sia dal punto di vista organizzativo–amministrativo che commerciale. In realtà non era semplice in questa zona, così come altrove nel continente, trovare delle persone disposte ad assumersi il rischio di missioni simili. Gli europei non erano poi così inclini ad un trasferimento nell’“Africa selvaggia”, dove i casi di epidemie e rischi di ogni genere per la propria salute erano spesso fatali. La fase di stallo tra il 1828 e il 1836, come è già stato sopra mostrato, era dovuto anche a questo. Gli unici a volersi assumere questo tipo di rischio erano gli agenti delle compagnie commerciali, gli unici ad avere reali e cospicui interessi nella regione. Compagnie che i governi di tutta Europa cercarono di attirare sul continente. “L’affitto o l’assegnazione di larghe aree delle colonie a compagnie private sembrò dapprima un mezzo ovvio per attirare capitali in Africa” 2. Così, le compagnie commerciali all’inizio del 1800 vantavano una lunga tradizione in Senegal così come in tutta l’Africa... La compagnia di Capo Verde e del Senegal, creata da Colbert nel 1658 e quindi all’alba dell’espansione commerciale francese nella costa occidentale fu probabilmente la prima. Ovviamente tante altre poi ne seguirono. Durante la Restaurazione, erano essenzialmente due le compagnie che si spartivano i traffici commerciali: la Compagnia di Gorée e quella di Galam. All’indomani della Restaurazione oltre al fallito tentativo a Saint-Louis di impiantare una piantagione, si cercò di ridare slancio alle compagnie. Già da tempo tra Saint-Louis e Gorée c’era una sorta di divisione dei compiti: Saint-Louis e la Compagnia di Galam erano votate al commercio interno, comprendente la valle del Senegal. A Gorée e alla sua compagnia erano invece affidati i traffici lungo le “rivières du sud” che 1 2 In particolare vedere CLAPHAM, C. “Third world politics”, Croom hrlm, Beckenham, 1985-1990, p. 15-18. MAMDANI, M. “Citizen and subject”, Princeton University Press, Princeton, 1996: pp37-39. BERMAN, B. & LONSDALE, J. “Unhappy valley”, James Currey, London, 1992: pp. 141-145. In Africa vennero utilizzati due tipi principali di compagnie: con diritti “speciali” di governo o con semplici concessioni di sfruttamento. Quelle speciali vengono poco usate nell’Africa Occidentale. I francesi del resto preferirono una gestione diretta delle loro colonie, perlomeno da un punto di vista amministrativo. FAGE, John D. “Storia dell’Africa”, op. cit., pp. 387-389. COQUERY-VIDROVITCH, Catherine. "L'impact des interets coloniaux: S.C.O.A. et C.F.A.O. dans l'ouest afrcain, 1910-1965", The Journal of African History, 1975, XVI (4), pp. 595-621 61 comprendevano tutta la costa fino alla Sierra Leone. Tali compagnie godettero ancora per un breve periodo del regime di monopolio nelle loro rispettive aree di influenza, ma poi il commercio venne ovunque liberalizzato. Lungo la valle del Senegal si cercò di ridare slancio al commercio interno degli uomini e della gomma. Tuttavia entrambi erano in lento ma inesorabile declino: la tratta di uomini a causa del movimento abolizionista, la gomma per la caduta della domanda in Europa, per il basso livello delle quotazioni e i problemi causati dai dazi doganali richiesti in particolare dai mori della rive gauche. Anche gli scambi commerciali di Gorée non erano particolarmente elevati, soprattutto se confrontati con quelli delle altre colonie1. Tra gli anni 30 e 40 dell’Ottocento il sistema economico subì una profonda mutazione che si rifletterà pesantemente in ambito politico. Oltre alla definitiva scomparsa delle compagnie commerciali, con la proliferazione di una miriade di commercianti indipendenti, i mercanti cercarono di trovare un prodotto capace di sostituire la gomma e gli schiavi. L’arachide sembrò essere la “soluzione del futuro”: l’olio era sempre più richiesto in Europa e alcune società dell’interno già lo producevano. Si trattava di razionalizzare ed estendere la produzione. Questo però comportava un cambiamento radicale della presenza francese nella regione e delle alleanze. Se il commercio della gomma era poco invasivo politicamente e concentrava l’attenzione sui sovrani della valle, l’arachide esigeva ampi spazi e un controllo diretto del territorio per garantire il suo approvvigionamento regolare; inoltre bisognava ora volgere lo sguardo verso gli stati dell’interno, in particolare il Kayor, il Sine e il Salum, il Djolof2. La Casamance visse, così come il resto del Senegal questi cambiamenti, sebbene ancora nei primi decenni del XIX secolo il suo status fosse ancora ambiguo, divisa tra la presenza portoghese e quella francese.3 Seguendo l’avamposto portoghese di Ziguinchor, la regione si era sviluppata partendo dal commercio degli schiavi, ma anche dei prodotti naturali. Con il lento ed inesorabile declino dei portoghesi, l’arrivo dei francesi nella regione e la fine della tratta degli uomini, anche la Casamance affrontò il cambiamento del contesto e della congiuntura economica4. Tuttavia, Trincaz (1984) citando un puntuale studio di Claude Meillassoux ha giustamente fatto notare che la tratta degli schiavi aveva coinvolto in maniera diversa le popolazioni della Casamance: C’è una grande differenza tra le regioni sottomesse al commercio continentale dei ‘prodotti del lavoro umano’ e quelle dove domina l’esportazione degli ‘agenti umani del lavoro’. Nei primi, le comunità produttrici rappresentano un mercato per lo schiavo, che attraverso la sua produzione, contribuisce ad alimentare gli scambi interni. La sua forza lavoro viene fatta propria dall’insieme economico continentale e contribuisce alla sua prosperità. Nelle zone costiere, i commercianti acquistano prima gli uomini, e questa domanda annulla quella degli altri 1 SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, Karthala, Parigi, 1989: pp. 113– 114. 2 IBIDEM, pp. 151–158. Vedere parte III, capitolo 2 (1). 3 Non bisogna pensare che questa “ambiguità” fosse una prerogativa della Casamance. nei primi decenni dell’ ‘800 la spinta coloniale europea era agli albori e tutto restava ancora da fare e da spartire. Tutte le soluzioni erano aperte. In Casamance, così come anche nel Senegal orientale o nel Sine–Saloum, le potenze giocavano un sottile gioco di strategie per ritagliarsi la fetta più grande possibile di territorio. 4 In Casamance, i traffici commerciali legavano già dall’epoca portoghese i territori posti tra il rio Cacheu fino al Gambia, attraverso il sistema di marigot: un asse commerciale nord–sud che usava il rio San Dominigo, il marigot di Kamobeul, la Casamance, il Soungrougou e il marigot di Vintang. PELISSIER Paul, “Les paysans du Sénégal”, op. cit.. 62 prodotti, frustra la produzione. In ragione della natura delle merci ricevuto in cambio degli schiavi: armi, alcool, stoffe, paccottiglie, la tratta rappresenta una dispersione quasi assoluta delle ricchezze produttive a spese delle società sottomesse a questo traffico.1 In Casamance, gli attori del “commercio continentale”, i ‘commercianti’ di schiavi erano principalmente il regno dei bagnun e le popolazioni mande e fulani, mentre le ‘popolazioni guineane’ – diola, balant, mancagne ecc. – erano i ‘produttori’ della forza lavoro, poiché tradizionalmente erano società che non ammettevano la schiavitù. Questa differenza pose certamente la Bassa Casamance, e la zona a sud di Ziguinchor in una situazione di partenza di sostanziale debolezza rispetto alla Media o Alta Casamance2. Ad ogni modo, dal 1838, subito dopo la creazione degli avamposti di Karabane e Seju, il governo cercò di incentivare il commercio della Casamance. Si pensò allora alla Società commerciale e agricola di Galam, a cui venne affidato il monopolio del commercio nella zona3. “l’amministrazione coloniale fece capire [alla compagnia di Galam] che i privilegi di cui godeva [lungo il fiume Senegal] giustificavano da parte sua, uno sforzo per investire in Casamance. Per calmare le lamentele dei commercianti di Gorée si decise” un aumento del capitale sociale e del numero di titoli emessi dalla società, di cui una porzione sarebbe stata affidata ai commercianti di Gorée4. Alla fine, il 22 aprile 1836, venne approvato per decreto lo statuto di una nuova associazione a partecipazione mista per l’avvio del commercio e lo sfruttamento del territorio della Casamance. Il modo in cui la compagnia di Galam agì in Casamance può darci un’idea del ruolo che si erano ritagliate e del modo in cui operavano. La compagnia non mostrò alcuna fretta nell’adempiere alle sue obbligazioni. Al contrario chiese maggiori garanzie ed incentivi, tra cui il monopolio assoluto del commercio lungo tutto il fiume. Il governatore del Senegal fu assolutamente contrariato da tali richieste, e invece di accordare nuovi privilegi alla compagnia, limitò il suo raggio d’azione agli avamposti a monte di Ziguinchor. Davanti a questa prova di forza, la compagnia di Galam decise di fare un passo indietro anche per non rischiare di perdere il vantaggio sulle altre compagnie; alla 1 MEILLASSOUX, Claude. “L’esclavage en Afrique pré–coloniale”, Maspero, Parigi, 1974, cit. da TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 97. É in questo contesto che i diola si chiusero all’interno del loro territorio, soprattutto nei territori a sud del fiume. Da qui la maggiore impermeabilità delle popolazioni flup alle influenze esterne e la nascita di quella che è stata definita nello stesso periodo coloniale la “tradizione diola”. MARUT, JeanClaude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 217. 2 Come già notato, la tratta guastò sin da subito i rapporti con gli europei. Inoltre, é forse un caso che mande e fulani furono i primi a ritagliarsi uno spazio all’interno dei flussi commerciali francesi? Questa è stata un’eredità pesante; senza voler attribuire alla sola tratta degli schiavi questa infelice premessa, essa è stata certamente uno dei fattori che contribuisce ancora oggi a porre i diola al di fuori della rete commerciale della stessa Ziguinchor. Per un approfondimento sulle altre dinamiche economiche che hanno contribuito a questo risultato vedere parte III, capitolo 2 e parte V, capitolo 2. Sulle popolazioni della casamance e la loro diversa organizzazione sociale vedere parte I, capitolo 2. Vedere anche BOSC, PierreMarie. "A le croisée des pouvoirs. Une organization paysanne face à la gestion des resouces. Basse Casamance, Senegal", IRD Editions, Cirad, 2005: pp. 32–35. 3 Per un approfondimento SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit. 4 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 77. 63 fine predispose un primo sbarco a Seju con l’equipaggiamento per la creazione delle prime infrastrutture. L’avamposto commerciale venne creato e la Compagnia di Galam iniziò a ricavare i primi profitti dal commercio. I prodotti principali che venivano esportati erano innanzitutto il riso – nelle varianti tradizionali della regione, cioè riso rosso e bianco – il miglio, il cotone, la cera, l’avorio, le pelli, le piume, l’oro ma soprattutto la gomma1. Nel 1840 venne introdotto anche l’arachide che dal 1850 divenne il maggiore prodotto d’esportazione. I principali prodotti europei venduti nella regione erano invece i fucili e la polvere da sparo, il tabacco, liquori, il ferro, perizomi. Tuttavia, il suo monopolio non durò a lungo. A causa delle sue pratiche fraudolente e della forte rivalità della compagnia di Gorée, nel 1842 il governatore del Senegal decise di revocare il monopolio e di ristabilire la libertà di commercio in Casamance2. Il volume degli affari non poté essere estremamente elevato, soprattutto rispetto a quelli nel nord del paese. Tabella 1: Volume degli affari commerciali in Senegal e in Casamance (1844-1846) VOLUME DEGLI AFFARI 1844 1845 1846 1847 1848 1849 SENEGAL 14.319.646 23.020.798 23.880.139 CASAMANCE 343.591,95 475.595 395.082 537.266 493.858 268.946 Fonte: Roche (1985), p. 86 e 96. Le cause sono da ricercarsi nel fatto che la rete commerciale era ancora in costruzione; inoltre se al nord i francesi avevano ormai da tempo il riconoscimento della loro sfera di influenza, in Casamance le cose stavano diversamente. I portoghesi erano ancora stabiliti a Ziguinchor e la Casamance faceva gola anche agli inglesi, che avevano forti interessi nel vicino Gambia. Anche al nord ovviamente l’economia aveva le sue difficoltà: tra il 1817 e il 1854 i governatori che si susseguirono cercarono a più riprese di dar slancio alla colonizzazione agricola, senza però ottenere i risultati sperati3. I commercianti iniziarono a gridar a gran voce che era ormai giunto il momento di saldare i conti con i con i sovrani del fleuve: porre fine ai dazi era un’esigenza impellente, così come altrettanto impellente era assicurarsi l’obbedienza o quantomeno l’alleanza dei sovrani dell’interno. Malgrado ciò, come mostra anche la tabella (1), il volume degli affari delle regioni settentrionali era comunque sostanzioso. In definitiva, a livello economico quindi, quel “ritardo” di cui si parlava in precedenza si faceva sentire. Inoltre, come vedremo, proprio questo ritardo sarà una delle cause che renderanno più difficile “condurre alla ragione” i capi della Casamance. Senza dimenticare i problemi causati dall’andamento turbolento della politica interna degli stati 1 La gomma diverrà all’inizio del XX secolo, dopo la cessione di Ziguinchor, il prodotto che permetterà lo sviluppo economico dell’intera regione. 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 78-85 e 86-87. 3 Le cause furono “le lotte che agitavano la regione, la difficoltà a trovare terre e manodopera e l’opposizione delle compagnie di commercio di Saint-Louis”, HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal.”, op. cit., p. 121. 64 africani tradizionali, caratterizzata da numerose guerre intestine. Il ritardo quindi non avrebbe tardato a farsi sentire anche a livello politico. CONCLUSIONE Questa primissima parte della storia coloniale in Senegal offre già vari punti di riflessione. A questo proposito distinguiamo vari piani che non vogliono certamente essere rigidi, ma che possono aiutare a scomporre la complessità delle dinamiche già in moto e mettere in luce alcune tematiche. 1) Il discorso indipendentista: in linea con la prassi dei movimenti nazionalisti, anche quello della Casamance ha cercato di argomentare le sue ragioni sulla base di radici storiche lontane, alla ricerca delle origini ancestrali del popolo e del territorio su cui rivendica l’indipendenza. Tra questi, nel corso del capitolo ne sono stati evidenziati alcuni: • • • il riferimento all’impero del Gabu il tema dei “tre secoli e mezzo” di colonialismo e di resistenza Questi sono solo alcuni degli elementi che nel discorso del MFDC dovrebbero avvalorare la tesi di una Casamance “storica”, unita come popolo e come territorio da tempi immemorabili. In realtà questo è solo uno dei tasselli che vanno a comporre la rappresentazione indipendentista del conflitto, quella cioè di una rivendicazione nazionalista, sulla base del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Questo modo di procedere, come vedremo, non è caratteristico del MFDC: la stessa risolutezza che i ribelli hanno posto nell’argomentare la presenza di una Casamance storica, è stata in egual misura usata dal governo senegalese per spiegare la presenza di una Casamance “naturale” e di un popolo senegalese intimamente unito e compatto1. Le prime argomentazioni fin qui evidenziate sull’esistenza di una Casamance storica, vengono in parte confutate nei fatti: – – 1 l’impero del Gabu non è stato un’entità esclusiva della Casamance ed è stato piuttosto eterogeneo al suo interno. I rapporti con gli europei risalgono effettivamente a tre secoli e mezzo fa, ma non furono certamente caratterizzati dalla resistenza. Se resistenza ci fu, la si può trovare in certa misura tra i diola, che non partecipavano al commercio degli schiavi se non come merce. Con i mande e i fulani i rapporti furono certamente più sereni. Lo stato senegalese al momento dell’indipendenza, così come la maggior parte degli stati africani, si è trovato davanti ad un problema di costruzione dell’identità nazionale. Se l’indipendenza era stata conquistata, creando un unico stato indipendente, si trattava ora di procedere alla costruzione della ‘nazione’ e combattere contro i rischi di involuzioni centrifughe e frammentazione etnica. Il questa luce va letto l’obiettivo di un “popolo senegalese intimamente unito e compatto”. Sull’argomento ritorneremo nella Parte V, capitolo 1. 65 L’esistenza di rapporti pacifici e di collaborazione, anche con le popolazioni diola, è sottolineata anche da due ulteriori elementi: – – I primi trattati conclusi dai francesi Le attività economiche I trattati erano sostanzialmente contratti stipulati tra pari e le attività commerciali coinvolgevano alcuni settori della popolazione negli scambi. Solo per le attività commerciali è stata rilevata una maggiore debolezza delle popolazioni diola, per il fatto di essere società egualitarie che non partecipavano al commercio degli schiavi. Debolezza che si traduceva in una maggiore impermeabilità di queste popolazioni ai contatti con l’esterno. Nell’evolversi dell’economia e con l’arrivo dei francesi, le popolazioni che avevano già da molto tempo intensi rapporti commerciali di tipo schiavistico con gli europei, si mostrarono maggiormente recettivi al cambiamento e alla collaborazione. 2) L’altro piano esula dal discorso indipendentista, ma parte dall’analisi storica per sottolineare alcune dinamiche di fondo particolarmente importanti alla luce dei successivi sviluppi. Ecco quindi gli elementi maggiormente degni di nota: o Elemento temporale: è stata individuata una differenza nell’inizio e nell’intensità dei contatti con gli europei tra il nord e il sud del paese ma anche all’interno della stessa Casamance. Nei capitoli che seguono si vedrà come questo elemento abbia avuto particolare rilevanza. o La strategia della Francia: estremamente altalenante ed incerta, ma comunque sempre improntata alla neutralità. 66 CAPITOLO 2 LA QUESTIONE DELLA PACIFICAZIONE Il popolo della Casamance, Cuore e anima, Spirito ed ideale Vita e azione Autentico e degno erede Delle qualità e virtù dei suoi Valorosi e gloriosi avi Mussa Molo Baldé, Fodé Kaba Doumbouya Alinesiitowé Diatta, Victor Diatta, Ibou Diallo e tanti altri, Proclama la sua ferma volontà d’indipendenza E di sovranità nazionale”1 Si è detto che il secondo tema che andava sottolineato aveva natura politica. Nei prossimi due capitoli verranno in primo luogo analizzate le differenti strategie di conquista seguite dalla Francia dai primi avamposti alla pacificazione del paese; successivamente verranno vagliate le reazioni, sotto forma di resistenza e collaborazione, date dalle popolazioni che le subivano. Così facendo si cercherà di portare alla luce non solo alcune differenze di fondo tra il nord e il sud del paese, ma anche all’interno della stessa Casamance. Capire la diversità di tali reazioni permette di individuare le radici del binomio diolaresistenza che oggi viene usato, a tanti anni di distanza, nella propaganda del MFDC come prova di una presunta alterità della Casamance rispetto al “paese dei colonizzatori nordisti”. Non solo. Permette anche di individuare meccanismi diversi di collaborazione o “sopportazione” che si sono sviluppati nelle aree islamizzate del nord e della Media e Alta Casamance, e che ancora oggi fanno sentire i loro effetti. Quindi, dopo aver brevemente analizzato la politica francese e i suoi cambiamenti a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo, verranno analizzare le reazioni a tale politica mettendo in luce la resistenza delle popolazioni senegalesi. Infine, nel capitolo successivo, si spiegherà attraverso quali percorsi il nord e il sud del paese siano riusciti a creare un modus vivendi con il colonizzatore. 1 http://members.tripod.com/casamance/premiere.htm 67 1 LA FASE “NEUTRALE” DELLA POLITICA COLONIALE. Quando i francesi iniziarono a creare delle strutture stabili in Casamance, questa era la distribuzione etnica della regione: Figura 8: Distribuzione etnica della Casamance intorno al 1850 Fonte: Roche (1984): p. 22. Come già visto in precedenza, ciascun gruppo etnico aveva una particolare struttura sociale e politica. Figura 9: Regni presenti in Senegal all'arrivo dei francesi Fonte: www.insenegal.org I francesi si inserirono quindi in territori che avevano una storia millenaria alle spalle e una loro tradizione politica. Quale fu l’atteggiamento dei francesi rispetto a tali tradizioni? È corretto affermare che, le parole chiave della politica francese almeno fino all’arrivo di Faidherbe al governo del Senegal nel 1854 e di Pinet-Laprade al comando superiore della Casamance nel 1859, sono “neutralità” e “non intervento” negli affari africani. In Casamance questa strategia politica fu attivamente applicata tra gli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento quando venne scossa da una serie di dure lotte intestine. 68 In quegli anni la Media e l’Alta Casamance erano composte da una serie di stati o province che facevano parte del vecchio e decadente regno mande del Gabu1. La capitale era posta in una regione poco più a sud degli attuali confini tra Senegal e Guinea ed era amministrata da Gaabuké (sovrani) pagani2. Quando arrivarono i francesi, questo regno era abitato non solo dalla popolazione mande, ma anche da pastori fulani. I mande, in parte islamizzati, occupavano soprattutto la zona della Media casamance, divisa in “quattordici piccoli stati”. Alcuni erano riusciti a sottrarsi al regno del Gabu, altri invece si trovavano ancora sotto il suo dominio3. I fulani invece occupavano prevalentemente i territori dell’Alta Casamance. Erano arrivati nel regno Gabu dal nord, intorno al XVIII secolo, quando avevano ottenuto dai Gaabuké l’autorizzazione ad insediarsi e di costruire villaggi, in cambio di sostanziosi tributi di vassallaggio4. Con l’andare del tempo si convertirono all’islam e crebbero notevolmente di numero, iniziando a mal tollerare il versare dei tributi ad uno stato pagano5. Quando i francesi arrivarono in Casamance, si stava per aprire il periodo delle guerre tra le popolazioni della regione, guerre essenzialmente di conquista, rese ancora più cruente dalla diffusione dell’islam, che forniva la motivazione ideologica essenziale. I fulani stavano organizzando la loro ribellione contro i dirigenti pagani dell’impero. Ottennero l’alleanza dei fulani del Futa Jalon6, che avevano soprattutto sete di conquista, e dei marabutti mande, desiderosi di annientare i capi pagani. Gli scontri iniziarono nel 1843, con attacchi diretti contro i regni periferici vassalli del Gabu, quelli a cavallo tra la Casamance e l’attuale Gambia. Ovviamente, la via più sicura per l’attacco era passare per le zone fulane dell’Alta Casamance. Iniziava così ciò che Roche efficacemente definisce una guerra “di religione e di conquista” che si sarebbe protratta per gran parte del secolo e sarebbe finita solo nel 1867 con la battaglia di Kansala e la vittoria dei musulmani7. Le notizie degli scontri ovviamente giunsero a Seju che a soli cinque anni dalla sua fondazione vedeva scoppiare intorno a se una vera e propria guerra civile. In un contesto simile, la parola d’ordine era necessariamente “neutralità”. Un chiaro esempio di questa iniziale strategia politica della Francia e della rigidità con cui veniva applicata, lo possiamo trovare proprio a Seju, nel contrasto tra il comportamento tenuto da due capitani del presidio, Pelletier e Roger. 1 Le vicende e gli eroi legate a questo regno si sono tramandate fino ad oggi grazie ai griots mande e hanno costituito una base comune nella retorica populista dei movimenti nazionalisti della regione, tanto dell’MFDC che quello che nel 1980 portò alla separazione tra la Guinea Bissau e Capo Verde. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., pp. 221–222. 2 Mangrado la forte componente musulmana, all’inizio del XIX secolo il regno del Gabu era ancora ufficialmente legato al culto Jalan Saa. 3 “Nel 1850, regni soninké della Media Casamance stavano sparendo. Scacciati dai musulmani, i capi pagani erano stati rimpiazzati da marabutti animati dal desiderio di “guerra santa”. Ogni villaggio o gruppo di villaggi erano diretti da un kanda”. […]. I kanda sognavano la conquista dei territori pagani a spese di diola, Bañun e Balant. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 56. 4 Erano considerati piuttosto ricchi dai mande, vista la consistenza delle loro mandrie. 5 PELISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 515. 6 Il regno del Futa Jalon si era formato circa un secolo prima, durante una importante jihad. FAGE, John D. “Storia dell’Africa”, op. cit., pp. 193-198. 7 KESTELOOT, Lilyan. “Les mandingues de Casamance. Kankourang, castes et kora”, in BARBIER– WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 104. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 63, 91-92. 69 Figura 10: Media e Alta Casamance durante le guerre tra il Futa Jalom e l'impero del Gabu Fonte: Roche (1984) Pellettier era in carica a Seju proprio quando scoppiò la guerra e si trovò evidentemente subito in difficoltà. Secondo le direttive che aveva ricevuto, il suo compito era esclusivamente quello di “agire con prudenza e diplomazia per permettere al commercio il massimo della tranquillità” e soprattutto “gli era espressamente vietato immischiarsi nelle controversie della popolazione”. Tra l’altro egli aveva già un bel da fare a cercar di mantenere un clima sereno tra i commercianti e la popolazione: i primi, infatti, spesso agivano con imprudenza e tendevano alle frodi nella contrattazione con gli abitanti che conseguentemente si vendicavano saccheggiando le merci. Allora Pelletier era costretto a lunghe palabres, “discussioni”, con gli abitanti dei vicini villaggi per ottenere la restituzione delle merci o un indennizzo.1 Roger fu chiamato a sostituire Pelletier nel 1849. Di temperamento probabilmente meno diplomatico del suo predecessore e probabilmente estremamente esausto dal circolo vizioso “frodi – saccheggi – palabras” che si era innescato con i Soninkè di Seju e dei villaggi vicini, decise di cambiar strategia. Fu così che si inserì nella guerra civile in corso, e cercò l’alleanza dei fulani musulmani. I Soninké vennero scacciati e venne firmato un trattato: Roger veniva riconosciuto proprietario di Seju e della regione circostante (il Buje) e ai fulani venne dato il diritto di stabilirsi nei territori Soninké. In forza dei nuovi diritti che aveva acquistato nella regione, Roger nominò il nuovo capo del villaggio soninke di Seju. Questa pratica, che diverrà la normalità nel giro di pochissimi anni, fu estremamente criticata dal governatore del Senegal dell’epoca. Una simile politica di annessione non poteva essere avvallata ed il trattato firmato da Roger non venne ratificato. Venne sostituito con un semplice trattato di protettorato su quella che venne definita la “repubblica del Buje” in cui veniva permesso ai Soninké di ritornare nelle loro terre. La Francia usciva certamente avvantaggiata dal conflitto, tuttavia Roger venne punito per la sua politica azzardata e fu sostituito da Teissier2. Ma questa strategia politica, come detto in precedenza, non sarebbe durata ancora a lungo. 1 Tali pratiche nel commercio erano molto diffuse già dai primi anni della presenza francese nella zona e saranno destinate a rimanere tali anche negli anni successivi. 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 95. 70 2 LA POLITICA INTERVENTISTA Tra il 1854-59 la politica della Francia, infatti, cambiò: in questi anni dal sistema che faceva della neutralità e dei rapporti pacifici con le popolazioni locali il suo punto fermo, si passò ad una politica di intervento, in cui “pacificazione” e “valorizzazione del territorio” diventano i pilastri. È un cambiamento di strategia che rifletteva ciò che stava avvenendo al livello per così dire “globale”. Nello stesso periodo anche le altre potenze coloniali europee diventavano più aggressive e sempre più inclini a politiche di intervento diretto sul territorio. Il bisogno crescente di materie prime per alimentare l’industrializzazione europea, la necessità di nuovi mercati, la rivalità tra gli stati europei spingevano in questa direzione1; a ciò va aggiunto anche la continua pressione delle compagnie commerciali. La corsa alle colonie, quello “scramble for Africa” che sarebbe diventato frenetico nel giro di 20 anni e avrebbe trovato il suo culmine nella spartizione del continente nella Conferenza di Berlino, iniziò in questo periodo. Ripensare la strategia politica nella regione era diventata quindi una necessità. I cambiamenti strutturali dell’economia imperialista esigevano un nuovo rapporto con il territorio e con i suoi abitanti2. Gli artefici di questo cambiamento per il Senegal sono stati Édouard Bouët-Willaumez (governatore provvisorio del Senegal nel 1842-44), Auguste Léopold Protet (1850-54) e Faidherbe (1854-61). Il primo, Bouët-Willaumez, è stato certamente un precursore. Nel breve periodo in cui egli rimase a capo della colonia, stilò un rapporto dettagliato sulla situazione e a partire da questa propose un vero e proprio programma d’azione che tra le altre cose comprendeva: azioni dure contro i saccheggi dei mori della riva sinistra del fiume, l’annessione completa del Walo e intraprendervi politiche di popolamento e colonizzazione agricola, lo smembramento della confederazione musulmana del Futa, la riduzione e possibilmente la cancellazione di tutele regalie o dazi dovuti ai sovrani locali per lo svolgersi delle attività commerciali. Indicava anche la necessità di utilizzare la forza ove fosse ritenuto indispensabile per soddisfar gli interessi francesi3. Egli in realtà non poté fare molto per cambiare la situazione ma intraprese delle iniziative che dovevano dare nuova visibilità alla presenza francese: le marce pacifiche delle truppe all’interno per esempio, o le nuove esplorazioni lungo l’alto corso del Senegal. Ma soprattutto Bouët-Willaumez si dichiarava favorevole al passaggio dalla politica degli scali commerciali a quella delle colonie. Gli anni ’40 furono un periodo fluido della presenza francese in Africa. Il commercio languiva, l’instabilità interna era forte, le potenze europee incalzavano, il capitalismo nascente aveva fame di materie prime e mercati. Bisognava trovare nuove soluzioni. Ma quali? Chiudere alcuni avamposti commerciali ormai improduttivi e ridurre la presenza sul continente, per esempio. Al dipartimento coloniale del ministero della Marina si parlò anche di questo. Altri invece proponevano, la lobby commerciale in primis, una soluzione opposta: passare dagli avamposti commerciali alla colonia intensificando quindi la presenza dello stato. Nel 1850 una commissione d’inchiesta appositamente creata si pronunciava in favore di una sorta di separazione: Saint-Louis e le sue dépendences dovevano iniziare ad esser trattate come colonie da popolare e sfruttare con l’apporto diretto dello stato e la presenza di un governatore; Gorée con le sue dépendences 1 HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 119–120. Vedi parte 1, capitolo 1.4. 3 SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit., pp. 161-164. 2 71 (la Casamance compresa quindi!) doveva continuare a essere amministrata come “scalo” sotto la direzione di un comandante militare1. In questo contesto, Protet venne chiamato al governo della colonia nel giugno 1850. Egli appartiene (suo malgrado!) all’“epoca della neutralità” o perlomeno ad una fase intermedia. Le sue iniziative, che volevano essere incisive vennero spesso scoraggiate da una carenza cronica di risorse finanziarie e di uomini, oltre che dall’atteggiamento un po' distratto di una Francia troppo occupata a risolvere i suoi problemi di instabilità interna2. Arrivò in Senegal con un primo incarico ben preciso: analizzare la situazione della colonia, per capire cosa fosse meglio fare per ridarle vigore. Militare preciso e puntiglioso, inaugurò un periodo di viaggi in tutta la colonia per rendersi conto di persona della realtà nei vari centri francesi. Nel 1851, una delle sue spedizioni ebbe la Casamance come meta. Qui si era verificata una situazione particolare: Bertrand Bocardé residente dell’avamposto di Karabane si era trovato ad avere dei problemi con il vicino villaggio di Kañut. Stanco dei continui saccheggi della popolazione chiese e ottenne la promessa di restituzione dei prodotti rubati. Al momento della riscossione non solo a Bertrand Bocardé non venne restituito il maltolto, ma egli venne minacciato di rappresaglie contro Karabane. A questo punto, venne deciso di tenere un atteggiamento duro e una flotta ben equipaggiata di uomini e mezzi venne inviata a Karabane. Il villaggio dei Kañun venne raso al suolo. Gli abitanti terrorizzati fecero marcia indietro, restituendo il maltolto ma anche concedendo ai francesi un trattato di cessione del loro territorio. Altri capi villaggio, terrorizzati dalla prova di forza fecero altrettanto. Protet qui poté constatare che una politica di forza, soprattutto se favorita anche dall’elemento sorpresa, poteva produrre risultati ben più concreti e soliti delle lunghe palabras a cui si era costretti trattando con i sovrani locali. Egli stesso, che nelle prime settimane del suo mandato aveva ordinato a tutti i résidents “prudenza e moderazione”, iniziò a chiedere in maniera insistente al ministero una politica più attiva. La Casamance aveva per così dire fatto scuola3. Ciò malgrado, egli non ebbe molte occasioni per mettere in pratica la sua linea politica. Il governo francese non gli accordò i mezzi di cui aveva bisogno per intraprendere una politica attiva di espansione soprattutto nella zona del fiume, su vasta scala. Il suo successore, in questo, sarà estremamente più fortunato. Così Protet dovette continuare quella politica fatta il più possibile di neutralità e diplomazia che aveva caratterizzato fino ad allora la politica francese nella colonia. Per il Senegal, e la Casamance in particolare, il vero cambiamento di rotta si ebbe tra il 1854 e il 1859, gli anni in cui Faidherbe venne chiamato a ricoprire la carica di Governatore del Senegal e Pinet-Laprade venne nominato comandant superieur della Casamance. Sarebbe ingiusto però attribuire il cambiamento alle sole personalità in questione o alla maggiore propensione del governo francese ad investire in azioni militari in Senegal. Sarebbe come considerare una tela senza la sua cornice. Nelle dinamiche descritte finora 1 2 3 Da notare il fatto che in questo si vede perfettamente come la logica d’espansione avesse dettata da dinamiche economiche. Si ritornerà su questo punto essenziale nella conclusione al capitolo. Sono gli anni in cui l’esperienza della seconda repubblica finisce improvvisamente e inizia il Secondo Impero (1850). Dopo questa esperienza Protet redasse il suo programma che prevedeva: un impegno militare più consistente, creazione di un grosso presidio militare a Podor, la creazione di nuovi scali commerciali sull’alto fiume e nel Kayor. Vedi in particolare SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit., pp. 186–188. 72 manca, infatti, un attore estremamente importante senza il quale la stessa politica francese risulterebbe incomprensibile. Come già osservato in precedenza la politica coloniale è stata in gran parte strumento per il raggiungimento di fini economici. Ecco quindi l’ultimo attore: la lobby commerciale1. Il mondo del commercio senegalese in questo periodo è strettamente legato ad alcune società commerciali, come la Maurel and Prom. L’azione del commercio in questa fase fu decisiva. La cosiddetta “commissione degli avamposti” che si pronunciò nei primi anni ’50 dell’Ottocento per la separazione tra Saint-Louis e Gorée era composta, non a caso da autorità legate alle società commerciali. Sempre il mondo del commercio ebbe una grossa influenza nella scelta dei governatori e della politica da seguire. Protet, almeno all’inizio aveva avuto il sostegno dei commercianti; sostegno che poi gli era stato prontamente negato nel momento in cui egli, a causa come si è visto della mancanza di mezzi, non accontentò le maisons nelle loro esigenze commerciali lungo la valle del Senegal. La lobby mise in campo tutto il suo potenziale persuasivo per spingere il ministro a revocare il mandato del governatore “inefficiente”2. Lo stesso potenziale venne utilizzato successivamente per sostenere Faidherbe, che dimostrò di essere il perfetto realizzatore della politica di potenza tanto agognata, in particolare lungo la valle del Senegal. Faidherbe rimane comunque colui che iniziò il “nuovo corso” della politica francese in Senegal3. Quando egli arrivò a Saint-Louis poteva contare solo su una serie di avamposti commerciali e militari lungo la costa e le sponde del Senegal. Da queste basi gli intermediari autoctoni dei francesi, i traitants,4 gestivano gli scambi commerciali con le popolazioni locali le cui merci principali erano la gomma (lungo il fiume), e gli arachidi nell’entroterra costiero5. Tutt’intorno regnavano ancora sovrani i vecchi e decadenti regni tradizionali6. Decenni di tratta di schiavi e la salda presenza francese a Saint-Louis e Gorée, insieme alla 1 Vedi anche parte III, capitolo 2 e 3. Tra questi tentativi figurano due petizioni, rispettivamente del 1851 e del 1854. È interessante notare il “programma” che veniva richiesto nella prima di tali petizioni: soppressione degli scali nella riva destra e creazione di nuovi in quella sinistra; concessione di terreni ai commercianti nei nuovi scali; libertà di commercio. La petizione del 1954, indirizzata direttamente al ministro, chiedeva di “mettere fine alla miseria del Senegal e alla dominazione dei mori e neri” che dettavano legge nel commercio lungo il fiume; la dominazione totale del fiume; e soprattutto, la rimozione di Protet dal suo incarico. All’epoca già circolava il nome di Faidherbe come possibile successore. SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit., pp. 190 e 223–224. 3 Faidherbe viene considerato come il “fondatore del senegal moderno”. Da sottolineare la profonda influenza che ebbero sull’ideazione del suo “nuovo corso” gli interessi delle compagnie commerciali. Su questo tema vedere in particolare: BARROWS, Leland Conley, “The merchants and General Faidherbe. Aspects of French expansion in Senegal in the 1850’s”, Revue de l’Histoire des Colonies Françaises, 1974 (XLI), pp. 236-283. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 121. SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit., pp. 244–249. 4 I traitans o intermediari commerciali, erano in genere meticci discendenti dei primi francesi insediatisi nella regione e integratisi con la popolazione locale. Vennero utilizzati enormemente anche all’interno del governo coloniale dove acquisirono dei ruoli importanti, soprattutto a livello locale. 5 In particolare nei regni del Kayor, Bal, Sine e Salum. 6 È da sottolineare che il Senegal pre-coloniale era caratterizzato dalle presenza di società organizzate in stati fortemente gerarchizzati. Nel corso del XIII e XIV secolo altre al regno Wolof del Tekrur venne fondato, verso sud-ovesr il regno del Jolof che nel momento di massimo spendore inglobò tutti gli altri staterelli Wolof della regione: il Walo, il Kayor, il Sine, il Salum e il Baol. Il regno poi si sfaldò intorno al XVI secolo e le varie province ripresero la 2 73 diffusione dell’islam contribuirono a spaccare la società tradizionale e ad incrinare gli equilibri su cui poggiavano gli antichi stati pagani. Nel 1769, i marabutti del Futa Toro, la regione circostante al medio corso del Senegal, avevano colto il momento propizio per una nuova rivolta ed erano riusciti a scacciare i sovrani pagani dell’antico regno del Tekrur, creando il primo stato musulmano della regione retto da un almani1. Più a sud i piccoli regni pagani wolof, anch’essi in crisi, si mantenevano in piedi su un fragile equilibrio. Nel 1830, i marabutti del regno del Walo avevano tentato una ribellione contro i sovrani tradizionali, direttamente ispirati al regno musulmano del Toro. L’esito era stato fallimentare anche grazie all’appoggio che i francesi avevano dato ai re pagani, loro tradizionali alleati nel commercio. In seguito il regno si era sfaldato e nel 1856 era diventato colonia francese2. Favorevole ad una politica d’intervento che ponesse al riparo gli interessi francesi dai capricci della popolazione locale, Faidherbe fu colui che creò le “basi dell’amministrazione coloniale e della divisione amministrativa del Senegal”3. Egli riteneva, infatti, che l’unico modo per rendere effettivamente produttive le colonie fosse quello di annettere e porre sotto diretto controllo francese il maggior numero di terre possibili, destinandole poi alla produzione agricola in piantagioni. Le zone di suo maggiore interesse erano quindi la regione del Cayor, cuore della produzione arachidiera e le zone circostanti alla valle del Senegal. Questa linea politica ovviamente non era possibile senza doversi scontrare con gli stati musulmani della regione. Fu così che nacquero le campagne di Faidherbe, e soprattutto il suo confronto con una delle figure principali della resistenza nel nord del paese: Al Hajj Omar Tall4. Quest’ultimo dai primi decenni dell’‘800 si mise a capo di un jihad contro le popolazioni pagane dell’est. Egli iniziò una forte campagna di reclutamento che inizialmente spostò migliaia di persone dalle regioni del medio e alto corso del Senegal. Successivamente iniziò ad allargare il raggio territoriale del proselitismo, chiamando alle armi anche i numerosi musulmani di Saint-Louis e del Cayor. Ovviamente Faidherbe non poteva permettere che i territori di loro maggiore interesse venissero “svuotati”. Così nacquero le campagne per il controllo del fiume con cui egli mise in pratica il suo programma di annessione dei territori. Per farlo si servì di un nuovo esercito, appositamente creato nel 1857, formato da sole reclute africane5. Nel giro di un lasso di tempo abbastanza breve riuscì a piegare il regno del Futa Toro, che firmò un trattato di protettorato nel 1860 e la maggior parte dei territori che avrebbero fatto successivamente parte della colonia.6 loro indipendenza, che mantennero fino al XIX secolo. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., pp. 19–26. SAINT-MARTIN, Yves–Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit., capitolo IV. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 104-105. 1 BRIGAUD, Félix. “Histoire du Sénégal.”, Editions Claireafrique, Dakar, 1963: pp. 9-10. FAGE, John D. “Storia dell’Africa”, op. cit., p. 198. 2 Per un approfondimento vedere MONTEIL, Vincent, “Esquisses Sénégalaises. (Walo – Kayor – Dyolof – Mourides – Un visionnaire)”, IFAN, 1967. 3 HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 122. 4 Vedere approfondimento in appendice. 5 Fu il primo reparto di “fucilieri”, nucleo base del futuro esercito senegalese, che si distinse tra l’altro negli scontri delle due guerre mondiali. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 122. 6 Per maggiori dettagli vedere anche SAINT-MARTIN, Yves-Jean. "Une source de l'histoire coloniale du Sénégal. Les rapports de situation politique (1874-1891)", Revue de l'Histoire des Colonies Françaises, 1965, LII, pp. 189-224. BRIGAUD, Félix. “Histoire du Sénégal”, op. cit., p. 10-20. MCGOWAN, Winston. "Fula resistance to French expansion into Futa Jalon 1889-1896", The Journal of African History, 1981, 22: pp. 245-261. ROBINSON, David. “French islamic policy and practice in late nineteenth century senegal”, The Journal of African History, 1988 (29): p. 418-421. 74 In campo economico le iniziative di Faidherbe, non diedero i risultati sperati, perlomeno nel breve periodo. Tuttavia avviò una serie di lavori infrastrutturali, base essenziale per lo sviluppo economico, diede slancio alla produzione arachidiera – destinata a diventare la più importante del Senegal coloniale – e fondò la Banca del Senegal1. Contemporaneamente, i vari commandant nominati da Faidherbe, conducevano lo stesso tipo di politica nelle regioni a cui erano stati destinati. Ecco quindi che il Comandante di Gorée, che doveva occuparsi delle zone costiere e della Casamance, Pinet-Laprade, all’incirca nello stesso periodo, riusciva a introdurre dei regimi di protettorato nei regni del Sine, del Salum, e del Baol a nord del Gambia; in Casamance invece, riuscì a pacificare, in maniera anche abbastanza incerta, solo alcune porzioni di territorio2. 3 L’AZIONE DI PINET-LAPRADE IN CASAMANCE. In Casamance, dopo l’allontanamento di Roger, la politica francese di espansione e presa di possesso del territorio continuò ancora per qualche tempo attraverso il solito metodo dei trattati con i capi locali, cercando di evitare scontri e di intrattenere “rapporti cordiali” con la popolazione. Emmanuel Bertrand Bocandé, residente di Karabane dal 1849, si mantenne fedele a questa linea politica riuscendo ad ottenere ottimi risultati. Durante gli anni del suo governo (fino al 1857), riuscì a consolidare i territori francesi già acquisiti della Bassa Casamance, ad estenderli attraverso numerosi altri trattati, ponendoli così al sicuro dagli interessi di altre potenze europee. Anche a Seju, Tessier continuò la politica neutrale. Fu il commandant particulier di Gorée in persona che ribadì la linea da seguire in Media Casamance: “Poiché il nostro insediamento di Seju ha come unico scopo la protezione del commercio, è evidente che dobbiamo utilizzare tutti i mezzi necessari per espanderlo e per renderlo più semplice. Tra tutti i mezzi, il migliore e il più necessario è la pace con tutti gli abitanti dei paesi che frequentiamo. È dunque a conservare la pace che devono tendere tutti i nostri sforzi […]. Restate il più possibile neutrali e intervenite solo quando i villaggi a cui dobbiamo aiuto e protezione in ragione dei trattati che abbiamo firmato verranno a chiedervelo. In queste circostanze agite sempre in vista della conciliazione e allontanate con cura qualunque motivo di discordia o collisione, nei colloqui che voi riuscirete ad avere facendo prova di pazienza e moderazione”3. Nonostante gli sforzi francesi, la situazione in tutta la Casamance era destinata a precipitare. Per tutti gli anni ’50 fu, infatti, scossa da continue agitazioni e dalle prime ribellioni della popolazione locale contro la presenza francese. 1 FAGE, John D. “Storia dell’Africa”, op. cit., pp. 327-328. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 122. 2 HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 122. 3 ARCHIVI DEL SENEGAL, “Lettre du commandant particulier de Gorée à Sedhiou, 28 octobre 1852”, cit. da ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 103-104. 75 I villaggi diola vicini agli insediamenti francesi iniziarono a sentire troppo “invadente” la presenza straniera che con i trattati o le installazioni commerciali lungo il fiume tendevano a porre sempre più limiti alle loro iniziative. Le scaramucce tra i commercianti e gli abitanti si fecero sempre più frequenti, finché i Karones1, con una serie di altri alleati, iniziarono le proprie rappresaglie contro Karabane. A Seju le cose non andarono meglio. Le lotte intestine tra le tribù continuarono e si fecero sempre più feroci. Sia i commercianti che le autorità del governo francese in Casamance moltiplicarono i loro rapporti allarmanti sulla situazione2. È in questo contesto che andò a collocarsi la nuova linea politica di Faidherbe e di Pinet-Laprade. Quest’ultimo già nel 1855 aveva predisposto un rapporto sulla situazione in Casamance in cui si affermava: “Il governo del Senegal, costantemente preoccupato dalle difficoltà che si presentavano sul fiume [il Senegal], non poteva che avere un interesse secondario verso le sue dependences [territori annessi]. Le risorse della colonia insufficienti a far fronte a tutte le necessità, erano concentrate sul Senegal stesso. È così che i nostri connazionali stabiliti lungo le coste vicine a Gorée hanno passato interi anni visitati da un solo vascello a vapore; in 12 anni Sedhiou ha visto un solo battello a vapore mentre il Senegal e i suoi affluenti sono solcati in tutte le direzioni”. Pinet-Laprade, divenuto commandant superieur a Gorée, sensibile alle richieste d’aiuto che arrivavano dalla Casamance, se ne fece portavoce presso Faidherbe e gli propose un’attiva politica di intervento. Figura 11: La politica d'intervento in Casamance Fonte: Roche (1984): p. 108. Fu da queste premesse che nacque la spedizione dello stesso Pinet-Laprade in Casamance nel luglio del 1859, che è possibile considerare come il momento d’avvio della nuova politica francese nella regione. Da allora, fu egli stesso a preoccuparsi personalmente dell’andamento della pacificazione, anche grazie a frequenti soggiorni nella regione. 1 2 Popolazione diola che abitava a nord sull’estuario. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 102-105. 76 I primi interventi di pacificazione avvennero nel 1860 nella Bassa Casamance contro la resistenza dei Karones e di Conk. Nell’aprile dello stesso anno fu lo stesso Faidherbe a recarsi nella zona accompagnato da Pinet-Laprade. Nel rapporto sul viaggio che inviò al suo ritorno al Ministro delle colonie, chiese e ottenne il permesso di procedere a una politica di acquisto o conquista per ottenere finalmente il controllo delle popolazioni locali. Così vennero autorizzate altre due spedizioni, in alta Casamance nel 1861 e nelle zone costiere nel 1865. Il risultato fu la definitiva presa di possesso, perlomeno formale, della costa e un nuovo protettorato su altre ex province del Gabu della Media Casamance1. A questo punto, ottenuto il controllo su porzioni più consistenti di territorio, le autorità coloniali decisero di rallentare l’espansione al fine di consolidare i territori acquisiti. Come vedremo, questo si rivelerà un compito piuttosto arduo. Nel 1861, venne introdotto, su iniziativa di Faidherbe, l’obbligo di pagare un tributo personale e venne stabilita la competenza francese nel redimere le controversie, almeno nelle zone a dominazione diretta. Elementi basilari questi, insieme ad un’amministrazione e alla presenza di un esercito, di ogni stato moderno. Non è difficile immaginare i malumori creati da una simile iniziativa presso le popolazioni locali2. In particolare, era maggiormente difficile far applicare l’obbligo a culture come quella diola in cui non era prevista (ed anzi veniva combattuta) la presenza di un’autorità o di un sistema gerarchico di governo e che aveva una lunga tradizione nella difesa della propria indipendenza anche rispetto alle altre popolazioni della zona. E ovviamente i francesi non facevano differenza. Ai problemi creati dall’introduzione dell’imposta si aggiunsero anche quelli derivanti da rapporti commerciali perennemente tesi tra i commercianti francesi ormai forti dell’appoggio del loro governo e quindi anche più arroganti, e le popolazioni locali che mal tolleravano le inique condizioni di commercio. Si arrivò così allo scontro diretto, ovvero alla ribellione dei soninké nel 1869 che viene considerata da Roche come “la prima manifestazione del risentimento degli africani nei confronti degli europei” in Casamance3. 4 RESISTENZA IN CASAMANCE (1860-80)4 4.1 LA MEDIA CASAMANCE: I MANDE DI SUNKARI La Media Casamance fu probabilmente la prima regione a ribellarsi alla presenza francese, e anche la prima a doversi piegare ad essa. Come si è già sottolineato in precedenza, sin dagli anni ’50 dell’Ottocento quest’area fu il cuore della guerra civile in corso contro il regno del Gabu ma soprattutto fu progressivamente coinvolta anche nella guerra santa dei marabutti musulmani contro i soninké ancora fedeli alle loro tradizioni pagane. Venuta meno ogni forma di centro politico, i villaggi erano completamente allo sbando e alla mercé dei continui scontri tra musulmani e pagani. Così il commandant de poste di Seju scriveva al commandant supérieur di Gorée nel 1867: 1 Pakao, Yasin, Suna. IBIDEM, pp. 109-115. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 121-122. 3 IBIDEM, pp. 123-124. 4 Sugli avvenimenti che hanno caratterizzato la resistenza e gli sforzi di pacificazione della Francia, si farà riferimento al completo e dettagliato resoconto fatto da ROCHE nel suo “Histoire de la Casamance” op. cit. 2 77 È difficile definire la situazione politica delle popolazioni perché nessuna subisce l’impulso di un capo naturale. Ciascun capo villaggio è sovrano a casa sua ma nello stesso tempo lo è solo fino ad un certo punto perché è spesso obbligato a accondiscendere a ciò che fanno o vogliono i giovani o qualche abitante influente; ciò fa si che quella che oggi sembra la verità può essere l’errore di domani. Da qui i furti, l’arresto degli intermediari commerciali, il sequestro dei viaggiatori che sono quasi sempre fatti contro la volontà dei capi; da ciò deriva anche l’impossibilità dei capi stessi a rimediare o far rimediare i torti che le persone hanno fatto1 La confusione che regnava nella regione era anche dovuta alle continue pressioni che venivano dall’esterno. I fulani del Futa Jalon continuavano le loro incursioni nella regione e inflissero alcune sconfitte ai mande. Da ovest essi erano anche pressati dalle popolazioni diola che avanzavano verso i loro territori. Ai problemi politici si aggiunsero poi anche quelli di natura economica: una grave epidemia di peste che decimò tutta la popolazione senegalese a partire dal nord e i continui problemi con i traitans francesi che tendevano costantemente a frodare la popolazione o ad imporre i loro prezzi. I furti erano il modo principale in cui si esprimeva il crescente malcontento. La voglia di rivolta era nell’aria. Nel 1871 arrivò una notizia a soffiare sul fuoco: la sconfitta della Francia in Europa in un conflitto contro la Prussia. Questo ebbe un effetto psicologico molto forte e probabilmente accelerò il degenerare della situazione. L’anno successivo infatti, nel 1872, l’ennesimo furto fece scoppiare la rivolta dei mande. Il centro della rivolta fu proprio il villaggio di Seju e Sunkari divenne il capo indiscusso. Per la prima volta Seju venne messa sotto assedio. Ovviamente l’attacco fallì vista la sproporzione delle forze in campo. Tuttavia la tensione rimase alta. Il commandant de poste ricevette un’offerta di alleanza da parte di Alfa Moolo, il capo delle province Fulane, che intanto era riuscito ad ottenere l’indipendenza dal Gabu ed a costituire un regno nell’Alta Casamance. Si venne così a creare una situazione simile a quella in cui si era trovato Roger nel ’50. In quell’occasione, come già ricordato, la sua alleanza con i fulani gli costò il posto a Seju. Vent’anni dopo le cose erano decisamente diverse e un’alleanza di questo tipo era ormai lo strumento privilegiato per la salvaguardia del commercio e come strategia di allargamento dell’egemonia francese sul territorio. La situazione, infatti, venne risolta, dopo il contrattacco dei francesi, con un trattato di pace, qui riportato integralmente, che se messo a confronto con quello firmato da Cayounou, permette di capire come concretamente la politica francese fosse cambiata; inoltre, permette di avere un’idea più nitida dei fatti legati ai primi tentativi di pacificazione della Casamance. Trattato con il Suna, il Pakao, il Buje, lo Yacine. In nome della Repubblica francese e in virtù dei poteri che ci son stati conferiti dal Governatore del Senegal e dei suoi territori annessi, il sottoscritto, Henri Canard, capo dello squadrone di cavalleria, ufficiale della Legione d’Onore, comandante superiore dell’arrondissement di Gorée, ho concluso il seguente trattato con Fodé Madia, capo superiore di tutti i territori mande dell’Alta Casamance, Fodé Fansaly e Fodé Fassany capi del Suna, Fodé Kadou-Conté, Bourin Sagna e Coulé Conté capi del Pakao, Sounkary e Boukay-Yatécapi del 1 ARCHIVI DEL SENEGAL, Corrispondenza del comandante di Seju al comandante superiore di Gorée, cit. da ROCHE, IBIDEM, p. 156. 78 Buje, Arfen Diané capo del Yacine, i cui capi rappresentano tutti i territori mande dell’Alta Casamance. 1: I capi sopra indicati, designati dal consenso del loro popolo, riconoscono la sovranità della Francia su tutto il territorio del Suna, del Pakao, del Buje e del Yacine. ARTICOLO 2: Qualunque suddito francese potrà stabilirsi nel Suna, Pakao, Buje e Yacine, acquistando dagli abitanti il terreno che sarà loro necessario. Egli potrà tagliare in questi territori e senza dover pagare alcun canone, tutto il legno di cui avranno bisogno per la costruzione dei suoi edifici e delle sue imbarcazioni. Nessuno straniero potrà fissare la propria residenza nei territori del Suna, Pakao, Buje e Yacine senza l’autorizzazione del governo francese. ARTICOLO 3: I francesi che si stabiliranno nel Suna, Pakao, Buje e Yacine, saranno soggetti esclusivamente agli obblighi posti dall’autorità francese. ARTICOLO ARTICOLO 4: Tutte le controversie che potranno sorgere tra i sudditi francesi e le popolazioni del Suna, del Pakao, del Buje e del Yacine, saranno giudicati dal governo francese. 5: I villaggi mande che hanno preso parte all’attacco contro Seju pagheranno un risarcimento di 2.000 franchi. ARTICOLO ARTICOLO 6: Tutte le convenzioni anteriori a questo trattato sono annullate. Il presente trattato redatto in doppia versione araba e francese è stato concluso e firmato a Seju il 19 gennaio 1873. […]1 Con questo trattato si raggiunse una tregua effimera: l’unico motivo per cui i mande lo avevano accettato era dettato dalla paura di un possibile attacco di Alfa Moolo da est; in quel caso la protezione francese sarebbe stata fondamentale per la loro sopravvivenza2. Il commercio non risentì eccessivamente degli avvenimenti del ’71. Nei mesi successivi quindi la tregua venne mantenuta e la calma tornò intorno a Seju. Tuttavia ripresero anche le pratiche fraudolente dei commercianti che avevano tanto esasperato gli animi prima alla vigilia della rivolta. I mande allora cambiarono strategia e puntarono proprio sul disturbo su vasta scala delle attività commerciali; dapprima Sunkari chiese l’intervento di Fodé Kaba, un marabutto che già da tempo stava conducendo una guerra santa tra la Casamance e il Gambia terrorizzando le popolazioni con i suoi saccheggi. Il suo arrivo mise in agitazione le popolazioni della Media Casamance, rendendo difficilissimo il commercio. Nel 1876, Fode Kaba obbedì all’ordine di Seju di cessare il suo brigantaggio nella zona. La sua partenza irritò il marabutto Sunkari. Nello stesso anno Francia e Inghilterra ruppero definitivamente le trattative per la cessione del Gambia alla Francia e i rapporti divennero particolarmente tesi. L’Inghilterra fece allora circolare la voce che i francesi si erano indeboliti dopo la sconfitta con la Germania. Questo ovviamente trovò terreno fertile tra i mande che aspettavano solo il momento opportuno per ribellarsi di nuovo. Il governatore del 1 2 ARCHIVI DEL SENEGAL, 13 G 461 cit. in IBIDEM, annesso n°2. IBIDEM, pp. 157-164. 79 Senegal volle così rafforzare l’influenza francese in Casamance che riteneva essere diminuita. I rapporti del capitano del presidio di Seju confermavano che i mande erano ancora molto ostili, anche se non avevano progettato un attacco. Figura 12:L’avamposto di Seju nel 1888. Fonte: Roche (1985). La resa dei mande ebbe luogo nei primi anni ’80 dell’Ottocento. Le ostilità ripresero nel 1881 quando il comandante di Seju negò a Sunkari un’alleanza contro i balant che si rendevano responsabili di continui furti a loro danno. In seguito ad un attacco fallimentare contro i balant, Sunkari minacciò un nuovo attacco a Seju e si proclamò capo dei territori circostanti. Subito dopo venne organizzata una grande palabras con tutti i capi di villaggio mande per cercare di creare un fronte comune contro le continue frodi commerciali. Era la prima volta che le popolazioni tentavano una simile strategia e l’effetto sugli europei fu notevole. Vennero invitati a partecipare alle discussioni in cui vennero decise le nuove regole. Anche in questo caso però i commercianti ebbero la meglio, riuscendo a frodare gli africani proprio sull’unità di misura utilizzata, uno dei principali oggetti del contendere. Malgrado ciò, le società commerciali moltiplicarono i loro appelli all’amministrazione centrale di Gorée, spesso veri e propri diktat, chiedendo l’eliminazione di Sunkari. Sunkari ritirò le sue minacce verso Seju, ma la tregua non durò a lungo. Nel 1882, dopo l’ennesima scaramuccia, Seju venne posta di nuovo sotto assedio. Dopo alcuni mesi di scontri, estesi a tutto il territorio circostante (Buje, Yasin, Pakao), venne firmato un nuovo trattato di pace, in cui si stabilivano le zone di diretto controllo francese e quelle poste sotto protettorato1. All’inizio degli anni ’80 la resistenza mande era stata quindi domata2. 4.2 L’ALTA CASAMANCE: I FULANI DI ALFA MOOLO Nel 1870 l’Alta Casamance era ancora mal conosciuta e i Francesi, malgrado la loro nuova linea politica, non pensavano fosse il caso di avventurarsi in quelle regioni per estendere i possedimenti francesi. Del resto avevano già abbastanza problemi in media 1 In particolare il Buje rimaneva territorio francese, mentre il Suna e il Balmaadu venivano posti sotto prottettorato. 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 165-179. 80 Casamance. L’alta Casamance era essenzialmente territorio dei fulani, ed era organizzata in province ancora formalmente sottomesse all’antico regno del Gabu, il cui centro si trovava poco più a sud, in una regione che faceva parte della Guinea portoghese. Il Fuladu aveva da tempo stretto un’alleanza con i fulani del Futa Jalon: i primi volevano cercare di liberarsi dalla sovranità del Gabu, i secondi volevano diffondere la religione musulmana oltre che la propria influenza. Figura 13: Il territorio Fula (Fuuladu) – Alta Casamance Fonte: 1 Roche (1985): p. 298. Nel 1869 iniziò una vera e propria rivolta dei fulani contro i mande dell’impero del Gabu, comandata da Alfa Molo. Dopo due anni di combattimenti i fulani riuscirono a occupare le zone mande tra il rio Cacheu e la Casamance a sud-est di Seju. Nel novembre del 1872 Alfa Molo offrì la sua alleanza ai Francesi contro il “comune nemico” mande dopo l’assedio di Seju. Le lotte intestine tra province pagane mande e fulani continuarono finché venne firmato un trattato di pace (effimero) che sanciva la vittoria dei fulani sul regno del Gabu. Nel 1873, Fode Kaba arrivò nella zona di Alfa Molo. I due si odiavano a vicenda e Fode Kaba voleva vendicare la morte di suo padre, ucciso da Alfa Molo. Sconfitto, Alfa Molo si ritirò e lasciò i territori conquistati al figlio Musa Molo, che nel 1882 divenne il nuovo re del Firdu1. Egli, che voleva estendere la propria egemonia verso il Futa Jalon, vecchio alleato che stava diventando sempre più invadente, chiese immediatamente ed ottenne dai francesi la stipula di un trattato di protettorato, firmato nel novembre del 1883; il trattato prevedeva pesanti restrizioni all’autorità del sovrano del Firdu, ma egli le accettò forte dell’alleanza militare che i francesi gli accordavano contro il Futa Jalon e contro Fodé Kaba. In realtà, le speranze di Muusa Moolo andarono ampiamente deluse. I francesi furono estremamente abili nell’utilizzare il sovrano fulano per consolidare ed estendere il territorio sotto protettorato fino ai confini stabiliti in seguito alla Conferenza di Berlino. Di fatto, Muusa Moolo facilitò enormemente l’espansione francese nell’Alta Casamance, e la sua firma al trattato stabilì, di fatto, la definitiva occupazione francese del territorio2. 1 Che comprendeva gran parte dell’alta Casamance e estendeva i propri territori anche al di là dei confini con il Gambia e la Guinea. IBIDEM, pp.125-131. 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 237-244 81 4.3 LA BASSA CASAMANCE: I DIOLA DI SELEKI Dal 1869 Pinet-Laprade decise di separare amministrativamente Karabane da Seju. Quindi la Casamance veniva da quel momento in poi divisa in due cercles con due comandanti che dovevano rispondere direttamene a Gorée. Nel 1870 Karabane era un piccolo presidio, dalle condizioni sanitarie disastrose, molto isolato. Gli indigeni coltivavano riso e legumi. I wolof si mischiavano ai diola e intrecciavano con loro legami di parentela. Erano musulmani e poligami. I diola invece continuavano a venerare i loro boekin o alberi sacri. La situazione politica non era grave come quella di Seju. C’erano comunque dei problemi legati alla riscossione dell’imposta nei villaggi sotto autorità francese e alla rivalità tra due villaggi diola e wolof. Qualche anno più tardi, nel 1877, i rapporti del commandant de cercle dicevano che la situazione sanitaria era soddisfacente e che la vita era abbastanza tranquilla. Al di là dei problemi causati dall’imposta Karabane era molto più tranquilla di Seju nello stesso periodo. Il comandante esercitava un controllo appena efficace sui villaggi vicini a Karabane e non gli era possibile con la sua vecchia baleniera, solcare tutti i corsi d’acqua1. Circa 10 anni dopo, nel 1886 i problemi iniziarono. Per la prima volta venne assassinato dagli abitanti del villaggio Seleki sulla riva sud un’autorità francese di un certo rilievo, il luogotenente Truche. I francesi ci misero due anni ad ottenere la reale sottomissione del villaggio. Bisognò attendere una decisione presa collettivamente dai capi e approvata dagli abitanti. In ogni caso i diola rifiutarono negli anni successivi, in più occasioni di obbedire agli ordini. I Seleki accettarono di issare la bandiera francese e alcuni commercianti poterono installarsi nel villaggio. I francesi potevano essere soddisfatti della missione, perché un importante settore di diola della riva sud era stato sottomesso. Pensavano ora che bastasse semplicemente nominare un capo villaggio per assicurarsi il controllo della zona. Ma dovettero scontrarsi con l’organizzazione politica dei diola, che non prevedeva capi e nessun ordine gerarchico. In più, “Il capo designato da Seleki era un anziano che rappresentava solamente il suo quartiere. I francesi constatarono rapidamente che la sua autorità era nulla”.2 4.4 IL JAHAD DI FODÉ KABA All’instabilità presente in Casamance, si aggiunse un ulteriore elemento, sin alla metà del 1800, che certamente diminuì in maniera esponenziale la sicurezza nella regione. Tale elemento è dato dalla guerra santa capeggiata da Fodé Kaba, che insieme ad Alfa e Muusa Moolo e a Sunkari è un’altra figura centrale della resistenza contro i francesi. All’inizio egli si inserì semplicemente all’interno delle lotte intestine scoppiate con il collasso dell’impero del Gabu e la guerra di conquista lanciata dai fulani del Futa Jalon. Alla morte del padre, si mise a capo di una guerra santa contro i pagani, e le sue 1 2 IBIDEM, p. 183. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 180-187. 82 incursioni si diressero soprattutto verso ovest, a spese dei balante prima e dei diola poi. Più volte assicurò i francesi del fatto che le sue imprese non erano dirette a danneggiarli. Tuttavia, così le autorità si esprimevano nel 1876: “è spiacevole che Fode Kaba abbia ripreso la guerra, ma è ancora più riprovevole che gli indigeni della Casamance, diola e altri, non vogliano decidersi a difendersi, poiché malgrado i nostri buoni propositi, non ci è possibile proteggere efficacemente tutte le popolazioni che abitano le rive della Casamance”1. Nel 1878, Fode Kaba decise di rivolgere il suo jihad verso il Gambia e lasciò la Casamance che finalmente poté ritrovare un po' di tranquillità. La tregua non durò a lungo. Nel 1880 ritornò in Casamance e riprese la sua campagna di proselitismo contro i diola del Fooñi e i fulani di Muusa Moolo, oltre che le sue abituali razzie. Gli Inglesi del Gambia, seccati per le sue continue incursioni e saccheggi, decisero allora di porre una taglia sulla sua testa. 2 Fodé Kaba riuscì ad installarsi nel Fooñi e a creare un piccolo regno che comprendeva una manciata di villaggi diola. Nel 1885, si creò di nuovo il panico nella regione: donne e bambini vennero evacuati in seguito all’annuncio di un nuovo scontro tra Fodé Kaba e Muusa Moolo. Gli scontri cessarono solo nel 1888 quando il marabutto venne sconfitto. A questo punto però Inglesi e Francesi iniziavano a non sopportare più le iniziative di Fodé Kaba, anche perché sebbene assicurasse gli europei del fatto che le sue campagne non erano dirette contro loro e benché si fornisse da loro di armi e polvere da sparo, creava un continuo stato di insicurezza nella regione che danneggiava il commercio. Lo consideravano una “maledizione” e fermarlo era ormai una necessità per entrambi. Ma per raggiungere il loro obiettivo avrebbero dovuto aspettare fino all’inizio del nuovo secolo. Per il momento anche il Fooñi poteva ritenersi tutt’altro che “pacificato”3. 5 RESISTENZA IN SENEGAL (1860-80) Anche al di là del Gambia, tra gli anni ’60 e ’80 dell’ottocento si concluse il processo di annessione di ciò che rimaneva degli antichi stati della regione. Meccanismi simili a quelli già descritti per la Media e l’Alta Casamance si misero in funzione. Anche al nord, infatti, erano presenti le stesse pratiche fraudolente nel commercio che creavano frequenti scontri tra la popolazione e i traitants; in più la creazione della rete amministrativa, la sempre maggiore ingerenza francese nelle questioni interne ai territori sotto protettorato, la creazione di una prima rete infrastrutturale erano ulteriore motivo di ribellione. In questo periodo un’altra figura si distinse nella lotta armata contro il colonizzatore europeo: Lat Dior4. Egli era stato proclamato da Pinet-Laprade5 damel del Kayor nel 1865. La sua opposizione contro la costruzione della rete telegrafica prima e di una linea ferroviaria che doveva passare proprio per il suo paese lo misero costantemente in contrasto con l’amministrazione coloniale. Tra il ’65 e gli anni ’80 egli 1 ARCHIVI DEL SÉNÉGAL, Corrispondenza del comanadante di Gorée, cit. da IBIDEM, p. 137 IBIDEM, pp. 134-138. 3 IBIDEM, pp. 139-143. 4 ROBINSON, David. “The muride: surveillance and collaboration”, The Journal of African History, 1999 (40): pp.196-199. 5 Pinet-Laprade successe a Faidherbe al governo delle colonie senegalesi e territori sotto protettorato. 2 83 fu l’elemento che più di ogni altro raccolse il malcontento della popolazione e la organizzò in frequenti scontri con l’amministrazione. La sua resistenza finì proprio con sua ultima battaglia nel 1886 quando cadde durante l’ennesimo confronto con i francesi1. Lat Dior, insieme a Ma’Ba che organizzò invece la resistenza nei protettorati del Baol e Sine-Salum, furono gli ultimi importanti esponenti dell’opposizione armata contro la presenza europea. La loro scomparsa alla fine degli anni ’80 decretò, di fatto, il compimento del percorso di pacificazione al nord, che verrà ulteriormente consolidato, sul piano internazionale, dalla Conferenza di Berlino del 1885. Concludendo: Progressivamente si costituisce il territorio senegalese propriamente detto, dove l’unità del governo e dell’amministrazione rimpiazza la diversità qualche volta anarchica degli antichi regni. L’essenziale di questa trasformazione ha luogo tra il 1882 e il 1890 a furia di colonne militari in Cayor, nel Djolof, nel Futa Toro, tra i serere, nel Salum, in Casamance. Lat–Dior aveva buone ragioni per opporsi alla linea ferroviaria nei suoi stati. Il Senegal dei damels, dei teignes, dei burs, e degli almami è morto. Largo al Senegal degli amministratori!2 CONCLUSIONE In questo capitolo si è cercato di ripercorrere gli anni, essenzialmente tra il 1850–80, in cui la natura della presenza francese cambiò: dalla neutralità si passò all’interventismo, la presenza commerciale si tramutò anche in dominio territoriale, anche se le dinamiche economiche rimasero dominanti. Sono state tali dinamiche a guidare l’azione di Pinet– Laprade e di Faidherbe e il loro modello di espansione politica. 1) Il padre del movimento separatista, Diamacoune Senghor, ha individuato proprio il passaggio dalla politica neutrale a quella interventista come un momento essenziale per spiegare che la Casamance non ha mai fatto parte del Senegal. Marut sintetizza perfettamente la posizione del “sacerdote ribelle” sulla questione: una prova che la regione non abbia mai fatto parte del Senegal ma costituisse un ‘territorio di Casamance’ autonomo poggerebbe sul fatto che ci fosse un insieme coloniale denominato dalla Francia ‘Senegal e territori annessi’ ed essendo questi ‘territori annessi’ costituiti dai ‘fiumi del sud’ di cui faceva parte anche la Casamance: in 1 2 Per un racconto più dettagliato dell’epopea di Lat Dior vedere anche CHEIKH SY, Tidiane. “La confrérie sénégalaise des Mourides. Un essai sur l’Islam au Sénégal”, Présence Africaine, 1969, pp. 87-103. ROBINSON, David. “Paths of accommodation. Muslim societies and French colonial authorities in Senegal and Mauritania. 1880-1920”, Ohio University Press, 2000: pp. 64-65, HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 118-120. Sono le varie denominazioni per ‘sovrano’ negli stati pre–coloniali del Senegal. SAINT-MARTIN, Yves-Jean. "Une source de l'histoire coloniale du Sénégal” op. cit., pp. 223-224. 84 questo insieme, c’erano quindi due entità distinte, il Senegal e i ‘Fiumi del Sud’, in cui la Casamance era con il Senegal, non nel Senegal1. In realtà, questa tesi potrebbe essere contraddetta dal fatto che, come traspare dall’analisi storica ripercorsa in questo capitolo, la logica di espansione coloniale rispondeva essenzialmente a dinamiche commerciali: in primo luogo, questo significava utilizzare i fiumi come strada principale per spingersi verso l’interno dei territori. La stessa logica veniva poi seguita per l’organizzazione dei territori conquistati: la commissione degli avamposti creata proprio per individuare la maniera migliore di organizzare le nuove terre acquisite, ci dà un’idea del modo in cui le cose funzionarono all’epoca2. Lo stesso Faidherbe affermò di voler fare del Senegal una “bella colonia compatta” che univa la Casamance al Senegal passando per il fiume Gambia. La storia alla fine non gli ha dato ragione, poiché i francesi, malgrado vari ed estenuanti tentativi, non riuscirono a strappare alla corona britannica quella strana e fastidiosa enclave che stava diventando il Gambia. Al proposito, si potrebbe avanzare l’idea che, se da un lato, esisteva una volontà di gestione unitaria del territorio, dall’altro, l’infelice posizione geografica avrebbe contribuito a creare una percezione diversa dell’azione dell’amministrazione, o comunque a renderla più difficoltosa ed apparentemente incoerente. 2) Tuttavia, sempre padre Diamacoune, ha avanzato un altro elemento: il nome. Perché i francesi hanno parlato proprio di “territorio della Casamance” per indicare quel lembo di terra e non di “Senegal”, visto che dovrebbe farne parte? Egli ha argomentato nei suoi scritti che: L’est, a predominanza ‘Malinké’, chiamava le popolazioni dell’ovest ‘Joola’, che significa ‘Quelli (del paese) delle acque’. Nello stesso tempo l’ovest, a predominanza ‘Jamaat’, chiamava l’est con il nome di ‘Gaabu’, che significa ‘Quelli (del paese) lontano)’3. “Terra delle acque, dei fiumi” (Pays des Rivières), è un’espressione molto simile alla denominazione data dai francesi dello stesso territorio, “Fiumi del sud” (Rivières du sud”). Questa curiosa analogia non sarebbe una pura casualità, ma sarebbe al contrario un indizio dell’esistenza di un territorio già stabilito storicamente, una sorta di Territorio fra le acque, una sorta di Mesopotamia dall’Atlantico alla Falamé4 Questa è la nozione di “Casamance storica”, che si estende “dall’Atlantico alla Falamé” a cui fa riferimento l’impalcatura retorica dei ribelli1, su cui si dovrebbe estendere la futura Casamance indipendente. 1 . MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 173. La questione ha una conseguenza sul modo in cui il Senegal ottenne l’indipendenza e sul rapporto tra la regione e il potere centrale. Vedremo proprio la questione avrà un peso importante nelle attuali vicende. Vedere parte 4, capitolo 3; parte 5, capitolo 1. A ciò va aggiunta la questione della cessione di Ziguinchor e dello status giuridico della regione sotto il dominio francese. Vedere parte III, capitolo 1. 2 Per maggiori dettagli vedere, SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, Karthala, Parigi, 1989. 3 Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, punto n° VII, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 4 MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 225. 85 Tuttavia, è anche probabile che il nome del territorio derivi dalle prime logiche di espansione. I portoghesi così come i francesi avevano l’abitudine di indicare i territori particolarmente interessanti per il commercio, usando il nome dei fiumi che li percorrevano, vere “autostrade” verso l’interno. I fiumi finivano poi col dare il nome ai territori adiacenti: è stato così per la Casamance, per il Senegal, il Gambia e tante altre regioni o stati in tutta l’Africa sub–sahariana. Effettivamente, la parola “Casamance” è stata usata ufficialmente dai francesi solo dal 1886, ovvero dopo la cessione di Ziguinchor. 3) Ancora, sempre rimanendo all’interno della retorica separatista, la Casamance storica rivendicata dai ribelli dovrebbe corrispondere essenzialmente al ritaglio coloniale della regione, comprendendo quindi anche gli stati vassalli mande e il regno dei fulani guidati da Alfa e Musa Moolo. Il ritaglio coloniale coinciderebbe quindi esattamente con questo “territorio storico”, come se i francesi lo avessero usato come spunto per costituire la propria organizzazione territoriale. Anche questa rappresentazione della storia viene però smantellata facilmente alla luce della precedente ricostruzione degli eventi. È stato dimostrato come la Casamance fosse divisa in tante realtà statuali che nei decenni successivi all’arrivo dei francesi si ritrovarono coinvolte in una guerra civile e di religione. Fodé Kaba, Sunkari, Musa Moolo non formarono mai un’unica entità politica o socio–economica: Fodé Kaba dirigeva essenzialmente un esercito di mande mentre i due Moolo erano i rappresentanti dei pastori fulani. Ulteriore prova della scorretta lettura storica dell’attuale MFDC è che il movimento del 1947 non fece mai riferimento all’esistenza di una Casamance storica e non usò tale concetto per rivendicare una maggiore autonomia rispetto al potere centrale2. 4) Da sottolineare che quanto è stato detto sulla frammentazione politica della regione e la sua eterogeneità etnica, dà una risposta alla tesi di Makhtar Diouf. In un suo saggio del 1994 intitolato “Senegal. Les ethnies et la nation”, egli cerca di dimostrare il legame di parentela tra tutte le etnie senegalesi, la loro omogeneità di base, per ridurre le differenze ad una semplice crepa all’interno di una monolitica unità nazionale senegalese: le differenti etnie senegalesi non sono altro che spazi culturali diversi su un fondo culturale comune. Unità nella diversità, unità culturale che è semplicemente sinonimo di unità nazionale. […] […] l’unità nazionale del Senegal, fondata sulla parentela delle differenti etnie; […] la nazione senegalese era in gestazione da più di due mila anni: ‘da otto o nove secoli, esiste un solo popolo senegalese, più unito dai legami della biologia e della cultura che certi popoli dell’occidente3. 1 Il termine “ribelli” non troverebbe l’avvallo dell’Abbé Diamacoune, che al proposito amava invece parlare di “figli”, “patrioti” o “nazionalisti”. 2 Vedere parte 4, capitolo 3. 3 In realtà questo modo di procedere è strettamente legato alla strategia usata dal governo per cercare di gestire il ‘problema della Casamance’, ovvero quello di distruggere il concetto stesso di Casamance. Ed è un tentativo di dare una base scientifica alla tesi dell’ “unità” del popolo senegalese: un contributo di “oggettività” nella costruzione della “nazione”. DIOUF, Makhtar. “Senegal. Les ethnies et la nation“, UNRISD/Forum du Tiers Monde, L’Harmattan, Paris, 1994: p. 32. 86 Allo stesso modo l’ideologia separatista ha sostenuto l’idea di un unico popolo della Casamance che, come è già stato sottolineato, non è mai stato unito, anzi, ha creato notevoli esempi di separazione con le guerre civili e di religione e durante la conquista imperialista della Francia. Come efficacemente Marut sintetizza: […] questa storia non dà l’immagine di una grande fratellanza tra i popoli della regione, né all’interno dello stesso popolo, fosse esso un ipotetico ‘popolo diola’. In mancanza di una “Casamance storica” apparirebbero così storie differenti e conflittuali su un territorio a cui i colonizzatori hanno esteso il nome di Casamance: a dispetto del lungo tempo dell’unificazione Gabuké, non si ritrova in questo territorio né lo stesso popolo, né la stessa lingua, né la stessa religione… le entità storiche africane sono variate dalle più grandi alle più piccole: non hanno mai coinciso con la Casamance attuale, foss’anche estesa fino alla Falamé1 5) Lasciamo ora il piano della retorica delle rappresentazioni e concentriamoci maggiormente sulle dinamiche storiche. Cosa stava succedendo in Casamance nel periodo che è stato preso in considerazione in questo capitolo? Abbiamo visto che erano in corso delle guerre civili e di conquista ma anche delle guerre di religione. I jahad avevano già sconvolto il nord del Senegal già dalla fine del ‘700, quando venne anche costituito lo stato teocratico del Walo. Tali guerre continuarono in parte anche nella prima metà del XIX secolo, con le imprese di Ma’Ba e di Lat Dior alcuni anni dopo. In Casamance le guerre di religione erano invece una novità: il proselitismo, sotto la spinta di grandi marabutti–guerrieri, iniziò in questo periodo. Sono però anche guerre etniche: i fulani cercarono di espandersi verso ovest a spese dei mande, così come l’esercito mande di Fodé Kaba cercò di sfondare la barriera diola spingendo le sue truppe in direzione dell’oceano. I francesi ad un certo punto iniziarono ad inserirsi all’interno di queste dinamiche cercando di sfruttarle a proprio vantaggio. Tuttavia, non fu un meccanismo a senso unico. Le popolazioni della regione cercarono spesso l’appoggio francese per perseguire i propri obiettivi di difesa o conquista: se i diola non si fossero appoggiati sui francesi probabilmente avrebbero visto l’intero territorio a nord del fiume completamente colonizzato dalle popolazioni mande. Conclusione: parlare di “tre secoli e mezzo di resistenza”, “di cui solo 42 di resistenza passiva”2 è da ritenersi perlomeno riduttivo. I vari Fodé Kaba o Musa Moolo vengono annoverati tra i primi eroi della resistenza della Casamance, a cui poi se ne aggiungeranno tanti altri. Ma parlare solo degli episodi che li hanno visti contrapposti agli europei è dire solo una parte della verità. 6) L’analisi storica di questo capitolo si è conclusa con un’osservazione: la Bassa Casamance era l’unico territorio alla fine del XIX secolo a rimanere ancora fuori dal pieno controllo europeo. Grazie all’incisività dell’azione di Faidherbe, al di là del Gambia la conquista del territorio era già a buon punto intorno agli anni ’60. Hesserling sottolinea come la fragilità sociale e la debolezza politica delle popolazioni locali rendeva questa parte del Senegal una “facile preda” per la Francia3. Dopo Faidherbe ci fu un periodo di stallo nella spinta coloniale, durante il quale gli amministratori che si susseguirono cercarono di consolidare il possesso dei nuovi territori, organizzando e 1 MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 224. Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 3 HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 118. 2 87 potenziando le reti amministrative, commerciali e infrastrutturali1. Poi la conquista riprese fino alla disfatta dei regni tradizionali intorno agli anni ’80 dell’Ottocento. Nello stesso periodo, come abbiamo visto, la stessa sorte toccò anche alla Media e Alta Casamance. Solo nella Bassa Casamance le difficoltà erano ancora tante e la regione era tutt’altro che pacificata. Anzi la pacificazione, come vedremo, si sarebbe protratta fino al 1920–30. Quali motivazioni dare a questa situazione che potrebbe apparire paradossale soprattutto se si prende in considerazione il solo livello regionale? Innanzitutto, l’elemento culturale giocò un ruolo rilevante: questa zona era abitata da popolazioni guineane egualitarie, molto individualiste che rifiutavano il concetto d’autorità. Erano società rese maggiormente individualiste e timorose dei contatti verso l’esterno a causa del ricordo delle razzie mande durante il lungo periodo della tratta. Inoltre, l’islam ha certamente giocato un ruolo essenziale sia nella fase della conquista che in quella della pacificazione. Nei paragrafi precedenti è stato ampiamente dimostrato come al nord, così come in Media e Alta Casamance, i jahad sono stati usati in maniera abile dai francesi, sostenendoli o schiacciandoli con la loro superiorità a seconda della convenienza: Muusa Moolo e Lat Dior possono esser presi come esempi. L’islam inoltre, con la sua struttura gerarchica, forniva ai francesi dei referenti privilegiati, dei capi, appoggiati dalla popolazione per il loro prestigio religioso, che era possibile utilizzare in funzione di intermediari nell’amministrazione del territorio. Il paese diola invece, ancora alla fine dell’800, manteneva la sua specificità religiosa. Solo le incursioni di Fodé Kaba contro i diola del Fooñi, possono essere considerati come i primi tentativi di proselitismo. A ciò va aggiunta la particolare tradizione culturale e politica della popolazione, che si raccoglieva all’interno di strutture acefale ed estremamente indipendenti l’una dall’altra. Qui i francesi non solo non trovarono referenti idonei da usare in qualità di intermediari, ma si dovettero anche scontrare con l’avversione della popolazione contro l’imposizione di regimi esterni gerarchizzati. Infine, altra ragione della pacificazione tardiva della Casamance è da ricercarsi nella stessa strategia politica seguita dalla Francia nella sua espansione nella regione. Ripercorrendo le tappe della colonizzazione, è stato sottolineato che Karabane e Seju sono stati i primi avamposti nella regione. Da Karabane la Francia si è subito assicurata il controllo della costa contro le mire espansionistiche delle altre potenze europee. Da Seju, ha cercato di perseguire lo stesso obiettivo verso interno del paese, dove la concorrenza con gli scomodi vicini inglesi e portoghesi rimase accanita fino alla conferenza di Berlino. Per questo motivo la Francia diede priorità alla pacificazione nella Media e Alta Casamance, “trascurando” i territori diola. Abbiamo alcuni rapporti degli amministratori della regione che spesso si lamentavano con i loro superiori della negligenza della politica francese nella regione2. Ulteriore prova ne è il fatto che solo nel 1886 venne negoziata con i portoghesi la cessione di Ziguinchor3. Anche 1 2 3 ROBINSON, David. “French Islamic policy and practice in late nineteenth century Senegal”, The Journal of African History, 1988 (29): pp. 427-430. A titolo d’esempio vedere il “Rapporto Roger” (capitolo 1.1); il rapporto di Pinet-Laprade (capitolo 2.3). Oggi capitale regionale, posta proprio nel cuore della Bassa Casamance. Sulla cessione di Ziguinchor vedere in particolare ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance. Conquête et résistance: 1850–1920”, Karthala, Parigi, 1985: pp 205-211 e 306-312. TRINCAZ, PierreXavier. “Colonisation et regionalisme. Ziguinchor en Casamance”, l’ORSTOM, Parigi, 1984, pp.29-37. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal. Institutions, droit et société”, Karthala–ASC, Parigi, 1985, p. 125. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance. Conquête et résistance: 1850–1920”, Karthala, Parigi, 1985: p. 362. 88 successivamente, nelle prime decadi del XX secolo, la Francia continuò a riservare un’attenzione particolare ai territori posti al nord del paese, mostrando un minore interesse per la parte meridionale della colonia, almeno fino al secondo conflitto mondiale1. 1 Questo ritardo nella pacificazione si espresse con un’alternanza di periodi di relativa calma a periodi di disordini (durante le guerre mondiali in particolare!). Come vedremo, è un problema maggiormente imputabile al fattore temporale, di cui si parlava nel precedente capitolo, e ad un problema di “amministrazione”. Vedere parte III, capitolo 1 (1). 89 CAPITOLO 3 SENEGAL: UNA COLONIA DIVISA TRA COLLABORAZIONE E RESISTENZA Avant l’an de grace 1569, jusq’au aujourd’hui, La Casamance a lutté et lutte encore présentement Contre les portugais, les francais, Les anglais et, plus que jamais, Contre les sénégalais, Avec seulement un total de 42 ans de résistence passive (1920–42 e 1962–82) mais en tout 388 ans de lutte armée”.1 L’islam è stato indicato come uno degli elementi che ha facilitato l’occupazione francese in Senegal, ad eccezione della Bassa Casamance, dove non si era ancora diffuso. L’islam ha svolto però anche un ruolo importante nel processo successivo alla pacificazione, ovvero quello della “necessaria collaborazione”. Quando le popolazioni del Senegal hanno iniziato a rassegnarsi al colonialismo hanno sviluppato delle modalità per convivere con esso. Nei paragrafi che seguono, dopo aver spiegato la conclusione del processo di pacificazione nella Bassa Casamance, verranno sottolineate tali modalità, prestando un’attenzione particolare al fenomeno Murid del nord del paese. 1 LA BASSA CASAMANCE Figura 14: I territori diola della riva nord. 1.1 LA DISFATTA DI FODÉ KABA NEL FOOÑI Nell’ultima decade dell’Ottocento Fodé Kaba prese possesso di alcune zone del Fooñi e da li cercò di diffondere la religione islamica tra i diola e i bagnun. Inglesi e francesi non furono però più disposti a continuare Fonte: Roche (1985): p. 274. 1 Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 90 a tollerare lo scompiglio che creava nelle regioni circostanti a cavallo tra il Gambia e la casamance con le sue razzie. Tuttavia, le due potenze però non riuscirono ad accordarsi sulla strategia da usare per fermarlo. Solo dopo una serie di tentativi unilaterali si arrivò alla firma di un trattato con Fodé Kaba il 7 maggio 1893. In esso si stabiliva in definitiva un protettorato francese sulla regione occupata dal marabutto musulmano e gli si proibiva di entrare nei territori diola. La pace però non durò a lungo. Nel 1900, in seguito ad un incidente in cui rimasero uccisi due capitani inglesi proprio nei territori occupati da Fodé Kaba, la tregua si ruppe. Per inglesi e francesi era arrivato il momento di porre fine al piccolo regno musulmano. Fodé Kaba morì l’anno successivo, nel 1901, durante l’ultimo attacco alla sua fortezza. Paradossalmente, con la sua morte si realizzò proprio uno dei suoi obiettivi principali: la diffusione dell’Islam nella regione. Infatti, l’amministrazione francese pose numerosi marabutti a capo di molti villaggi della regione. Grazie alla loro influenza la religione islamica si diffuse, benché i diola continuassero ad avere un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti di qualunque autorità venisse loro imposta dall’esterno. Come sottolinea Roche I diola […] accolsero l’islam come una necessità provocata dal profondo sconvolgimento psicologico ed economico dovuto all’intrusione mande e alla penetrazione francese1. 1.2 UNA PACIFICAZIONE DIFFICILE2 Alla fine del XIX secolo, l’amministrazione coloniale ritenne arrivato il momento per intraprendere la pacificazione definitiva anche delle popolazioni della Bassa Casamance. A questo scopo nel 1891, il governatore del Senegal inviò in Bassa Casamance un suo funzionario, incaricato di valutare la situazione nella regione e di proporre la politica da seguire in quelle zone. Nel suo rapporto il funzionario Martin, dopo aver spiegato che la maggior parte dei villaggi non aveva alcun tipo di autorità, continuava: Gli unici villaggi che sembrano avere qualcosa che assomigli ad un’amministrazione sono quelli comandati da capi che hanno un’origine diversa da quella delle persone che amministrano. In generale sono dei wolof di Saint-Louis o Gorée. Da ciò si conclude che bisognerà porre dei wolof alla testa dei villaggi idolatri […]3. Tale conclusione non solo era completamente errata, o meglio probabilmente descriveva una situazione che era maggiormente probabile nei territori a nord del fiume, dove effettivamente alcuni ex guerrieri musulmani di Fodé Kaba si erano installati diventando capi villaggio diffondendo la religione di Maometto. Tuttavia la realtà era ben diversa ancora in alcune regioni del nord ma soprattutto a sud del fiume, dove le popolazioni non erano state sottoposte ad alcun tipo di influenza musulmana. Qui raccomandazioni che raccomandava il funzionario Martin erano proprio il tipo di iniziativa che era meglio evitare in Casamance. il risultato della messa in opera di quelle raccomandazioni fu così disastroso. Diversi incidenti lo dimostrano, come quello di Mangone Seye, un wolof 1 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 139-153. Nel testo si riprende l’approfondita analisi fatta da Roche, IBIDEM, pp. 267-294. Vedere anche il “Rapporto Charpy”, cit. in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 475-500. 3 ARCHIVI DEL SENEGAL. Rapporto dell’amministratore Martin”, cit. da ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 268 2 91 posto a capo del Kombo1. Ci vollero una serie di palabras, e visite dirette degli amministratori coloniali per ristabilire un po' d’ordine. Anche un po' più ad est, nel Fooñi, le cose non andavano meglio. Qui i francesi cercarono di proseguire con le visite ai villaggi che tra i Karones sembravano aver dato qualche risultato. In realtà si dovettero scontrare soprattutto con le “resistenza passiva” delle popolazioni locali, che sebbene spesso promettessero la loro ubbidienza all’autorità, la negavano non appena il funzionario coloniale lasciava il villaggio. Anche nelle regioni a sud del fiume le cose non andavano meglio. In particolare la zona a sud rispetto a Ziguinchor, abitata dal gruppo Bayot era praticamente impenetrabile. I commercianti iniziarono a reclamare un intervento militare nella zona: il commercio della gomma all’inizio del secolo cresceva vertiginosamente e le zone Bayot ne erano ricchissime. Gli amministratori optarono però per una tattica più pacifica, anche perché la regione, ricca di foreste era praticamente ancora inesplorata. L’unica cosa che l’administrateur particulier di Ziguinchor riuscì solo ad ottenere la promessa di obbedienza da alcuni “re” diola. Ben presto si dovette scontrare con la mancanza di autorità di questi personaggi. I diola avevano un concetto di “re” diverso da quello che gli europei ne davano. Così anche qui la tattica utilizzata fu la stessa: sapendo di non poter competere a livello militare, le popolazioni adottano la resistenza passiva, la non collaborazione. Figura 15: I territori diola della riva sud Fonte: 2Roche (1985): p. 279. L’amministrazione reagì cercando di creare un’amministrazione “mirata”, dividendo le zone al sud della Casamance in due distretti: uno, facente capo a Usuy, avrebbe dovuto occuparsi dei diola flup e l’altro installato a Ziguinchor, a cui spettava la zona dei Bayot. Nel flup i francesi presero un’iniziativa che venne vissuta in maniera estremamente drammatica dalla popolazione: il loro re, Sihalébé, fu arrestato e deportato a Seju. Egli era estremamente venerato ed era l’intermediario tra la popolazione e i boekin; il suo ruolo gli imponeva una serie di regole ferree, tra cui quella di non abbandonare mai il villaggio e quella di non mangiare o bere in pubblico. Per questo motivo, incarcerato 1 La sua condotta verso la popolazione fu considerata dopo alterne vicende, deplorevole. I saccheggi, i maltrattamenti provocarono la reazione da lui amministrata. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 269-272. 92 con altri detenuti, egli si lasciò morire di fame e sete1. La sua cattura e la sua successiva morte furono vissute in maniera estremamente traumatica dalla popolazione. Questo avvenimento, insieme ad altri atti di rappresaglia da parte delle truppe francesi, indusse i flup a far atto di sottomissione, perlomeno formalmente. Tuttavia, per ottenere obbedienza, i francesi erano costretti ad utilizzare la forza: i resident che passavo di villaggio in villaggio per raccogliere il tributo dovevano sempre portar con se dei fucilieri. La popolazione aveva capito sulla propria pelle che combattere i francesi usando la forza sarebbe stato inutile, quindi alcuni soldati erano sempre un grosso incentivo alla collaborazione. Ogni qual volta però questo incentivo veniva a mancare la resistenza passiva, la non collaborazione riemergeva. Anche tra i Bayot, a sud di Ziguinchor, che nel Fooñi i francesi fecero qualche passo avanti, la popolazione rimase ostile. Ancora alla vigilia della Grande Guerra, era necessario usare la forza per ottenere l’obbedienza alle disposizioni dell’autorità coloniale. 2 L’ALTA CASAMANCE Nell’Alta Casamance, Muusa Moolo si rivelò un ottimo intermediario per la causa coloniale. Nel 1896 il protettorato venne rinnovato con condizioni ancora più favorevoli alla Francia, che in cambio del supporto militare a Muusa ottenne, di fatto, il pieno possesso del territorio, lasciandogli solo alcune prerogative nella riscossione delle imposte. Quando, nel 1903, i francesi espressero la volontà di toglierli anche quest’ultima parvenza di sovranità, il sovrano del Firdu, sempre più preoccupato per l’opposizione crescente dei suoi sudditi, scappò in esilio in Gambia, dove ottenne rifugio dal governo inglese. La presa di possesso del territorio da parte dei francesi venne così formalizzata2. I fulani accettarono abbastanza passivamente la partenza di Muusa, non particolarmente amato dai suoi sudditi. Dopo la sua partenza il Fuuladu continuò la sua vita tranquilla e senza particolari scontri con le autorità coloniali. Questo però era probabilmente dovuto al fatto che la presenza europea era piuttosto debole3. Anche il pagamento delle imposte avvenne regolarmente e l’amministrazione coloniale continuò a servirsi dei capi locali delle province, così come nominati dal vecchio sovrano del Firdu. 1 Per un approfondimento, vedere il resoconto che ne dà GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 37. 2 Per un racconto più dettagliato sull’epopea dell’Alfa Moolo vedere ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 245-263. 3 Nel 1904 c’erano solamente tre francesi che abitavano stabilmente nella regione: il residente, un unico commerciane e un colono. IBIDEM, p. 299. 93 3 LA MEDIA CASAMANCE La media Casamance nelle ultime due decadi del XIX secolo ormai iniziava a sopportare la dominazione francese come qualcosa di inevitabile; anche gli ultimi territori ancora non posti sotto il controllo francese, come quelli dei balant o dei tukolor vennero alla fine integrati. Il governatore di Seju riuscì, grazie all’influenza esercitata da Yunus, un prestigioso marabutto, ad imporre la riscossione delle imposte, che avveniva in parte sotto forma di prodotti naturali e in parte in contanti. Inoltre, venne garantito anche un sistema di governo indiretto: all’interno di ogni villaggio, sostanzialmente indipendente dagli altri, un alkati e un almaami si dividevano il potere rispettivamente di tipo temporale e religioso. Tuttavia, in Madia Casamance non si crearono le premesse per l’amministrazione unitaria dei villaggi musulmani, né si posero le basi di un rapporto di collaborazione tra i marabutti e l’amministrazione simile a quello che nello stesso periodo andava nascendo all’interno dei territori wolof nel nord del paese. Come dimostra la seguente lettera dell’amministratore di Seju Adams, non era di certo la volontà francese a mancare: Quest’uomo [il marabutto Yunus] possiede una grande influenza nel paese [malinké] che mette interamente a nostra disposizione. Che strumento utile nelle mani dell’amministratore che lo vorrà! Egli agisce sui malinké attraverso la parola, il ragionamento e i più indifferenti gli ubbidiscono. Eco il capo supremo che servirebbe ad una confederazione dei mande, attraverso la sua intermediazione si potrà facilmente esercitare il protettorato1. Tuttavia, fu proprio la peculiarità del paese malinké in cui ciascun villaggio era estremamente geloso della propria indipendenza, che spinse il marabutto a declinare l’offerta dei francesi. Ad ogni modo alla fine del secolo, la regione, completamente pacificata; si rassegnò alla presenza francese. I malinké pagarono regolarmente i tributi e non opposero alcun tipo di problema all’amministrazione coloniale di Seju2. 4 LA MURIDIYYA: UNA VIA ORIGINALE VERSO LA COLLABORAZIONE Mentre anche il Kayor, l’ultimo regno indipendente del Senegal, crollava sotto i colpi dell’espansione francese, nasceva nel cuore dei territori wolof3 quello che forse un po' impropriamente si potrebbe definire un “movimento” islamico, che era destinato a dar vita alla più importante e potente confraternita musulmana in Senegal: la Muridiyya. Il suo fondatore, lo Cheikh Ahmadou Bamba nacque nel Baol intorno alla metà dell’Ottocento. Figlio di un noto marabutto che aveva collaborato anche con la corte del Cayor, passò i primi anni della sua vita immerso negli studi coranici, ed ebbe un’esperienza diretta della vita di corte e della resistenza contro la dominazione coloniale. Fu proprio da questa esperienza che elaborò la sua posizione critica nei confronti del coinvolgimento dei marabutti negli “affari politici” del tempo e soprattutto 1 SENEGAL, Rapporto dell’amministratore superiore Adam, cit. in ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 231. 2 IBIDEM, pp. 230-236 e 293-298. 3 Il territorio wolof comprende le zone del Cayor, Djolof, Baol,e Sine-Salum. ARCHIVI DEL 94 nella resistenza contro il potere coloniale; posizione a cui rimarrà fedele nel corso di tutta la sua esistenza1. Iniziò la sua missione religiosa nel 1881, subito dopo la morte del padre. Dopo un soggiorno in Mauritania, dove venne nominato rappresentante della confraternita della Quâdiriyya nei territori wolof, ritornò nel Baol. Qui, assistito da alcuni membri della sua famiglia e da alcuni fedeli taalibé2, iniziò a fondare i suoi primi daara, piccole comunità che venivano tradizionalmente usate per l’insegnamento cranico. Ben presto lo raggiunsero molti fedeli e tante persone che cercavano di scappare non solo dalle continue lotte di resistenza (in quegli anni Lat Dior e Ma’Ba combattevano contro i francesi), ma anche dalla misera condizione in cui erano state relegate dai regimi tradizionali. Infatti, la società wolof era estremamente gerarchizzata e organizzata attorno ad un sistema sociale binario: uomini liberi/schiavi e nobili/contadini3. I contadini di fatto non godevano di alcun diritto: la terra che coltivavano era gestita dai nobili per conto del sovrano ed erano continuamente soggetti a saccheggi. Questa fetta della popolazione, sottoposta a pesanti ineguaglianze vide nella fine degli stati tradizionali e nella nascita della confraternita muride un’occasione per liberarsi dello stato di miseria e insicurezza in cui vivevano. Bamba e i suoi daara offrivano uguaglianza e la possibilità di entrare a far parte di una comunità in cui i membri potevano partecipare su un piano di sostanziale parità. Per questo Bamba fu sempre circondato da fedeli che chiedevano il loro ingresso nella tariqa murid.4 Egli riuscì ad inserirsi proprio all’interno del vuoto che si venne a creare tra il collasso degli antichi regni pagani, e la reale presa di possesso del territorio da parte dei francesi. All’interno delle strutture della sua tariqa, egli si accollò anche alcune funzioni “di governo”, quale quella dell’assegnazione e della gestione delle terre5, È a questo punto che anche Ahmadu Bamba iniziò a impensierire i francesi che temevano il carisma di questo nuovo marabutto6. Così, nel 1895 venne arrestato e 1 La tradizione Wolof narra per esempio che prima della sua ultima battaglia Lat Dior si sia recato da Bamba per ottenere il suo sostegno. Bamba però, gli diede solo una “benedizione spirituale” ma non il sostegno politico e cercò di convincerlo a votarsi completamente all’obbedienza a Dio e ad abbandonare il campo di battaglia. ROBINSON, David. “French Islamic policy and practice in late nineteenth century Senegal”, The Journal of African History, 1988 (29): p. 198. ROBINSON, David. “Paths of accommodation. op. cit., pp. 209-214. 2 Discepoli. 3 Il primo gradino sociale era costituito dai gor o uomini liberi che si dividevano in nobili “garmi” e contadini “baadolo”. Tra i nobili, che detenevano il potere politico ed economico, veniva scelto il damel o sovrano. Il sistema politico era di tipo feudale. Anche gli schiavi o dyam si dividevano in due categorie: schiavi della capanna e quelli della corona. Questi ultimi, i tieddo, erano il braccio operativo dei laman, costituivano il suo esercito, e di fatto godevano di uno stato di gran lunga migliore di quello dei contadini. CHEIKH SY, Tidiane. “La confrérie sénégalaise des Mourides”, op. cit., pp.76-87. 4 HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 125. 5 Questa era una prerogativa della classe nobiliare; infatti nell’organizzazione tradizionale era il laman che gestiva le terre. Egli poteva darle in concessione ad un marabutto, che veniva chiamato Serigne, o ad un nobile, che allora diventava Farba. Non a caso Ahmadou Bamba viene anche indicato con l’appellativo Serigne. CHEIKH GUÈYE, “Touba. La capitale des Mourides”, IRD editions & Karthala, Parigi, 2002. 6 È possibile individuare due momenti della politica francese verso l’islam: un primo momento di ‘sospetto’ che arriva fino agli anni della Grande Guerra; e un secondo, che inizia dagli anni ’20, caratterizzato da una sempre più stretta collaborazione. Le difficoltà che Bamba incontrò nel primo periodo della sua missione e almeno fino al 1912 sono un esempio della politica francese del primo periodo. Sull’argomento si ritornerà nella Parte 3, capitolo 3.1. 95 deportato in Gabon per ben sette anni. L’amministrazione coloniale non aveva ancora molte notizie sulle comunità di Bamba. Sapeva solo che anche molti soldati dei vecchi regni si erano uniti a lui e ciò bastava a destare il sospetto che Bamba potesse essere un nuovo “marabutto guerriero”; e questo non poteva essere tollerato, soprattutto all’interno del bacino arachidiero. Nel 1902, Ahmadu Bamba ottenne la grazia e tornò nel Baol dove energicamente riprese a lavorare alla costituzione della sua comunità. È in questo periodo che egli cercò di risolvere il problema dei “profughi”: sapeva che non tutti coloro che chiedevano di entrare a far parte dei suoi daara erano sinceramente spinti da motivi religiosi. Così elaborò quello che viene definito il “manifesto” della confraternita, in cui si diceva che chiunque volesse far parte della confraternita avrebbe dovuto dedicarsi a qualcosa di utile, il lavoro, la preghiera o entrambe le cose1. In questo modo Bamba creava un nuovo tipo di daara: non solo un luogo di insegnamento religioso ma anche e soprattutto luogo di lavoro per il proprio marabutto2. Poiché l’attività principale dei discepoli era la coltura dell’arachide la nuova confraternita andò definitivamente ad inserirsi all’interno dell’economia coloniale. È in questo periodo che i francesi iniziarono a cambiare il loro atteggiamento verso Ahmadu Bamba3. Essi si resero conto che il marabutto del Baol non era interessato alla lotta politica, ma riteneva di avere una missione esclusivamente spirituale. Inoltre, più in generale, cambiò l’attitudine della Francia verso l’Islam4. Se è vero che i vari amministratori che si erano succeduti sin dall’inizio del secolo si erano serviti spesso dei consigli dei marabutti della regione, è anche vero però che essi mantennero sempre un atteggiamento sospettoso, legato probabilmente al ruolo che molti cheikh ebbero nella resistenza alla colonizzazione. Prova ne è il fatto che subito dopo il collasso degli stati pre-coloniali essi cercarono i capi da porre come intermediari nella nuova amministrazione tra le fila della nobiltà pagana e non tra i marabutti. Da questo momento in poi gli amministratori della colonia si resero conto che l’influenza che Bamba aveva sui suoi discepoli poteva essere usata proprio per riorganizzare le società contadine. Tanto più che l’insegnamento che il marabutto del Baol diffondeva e la continua creazione di daara dediti alla cultura dell’arachide sembravano essere conformi agli interessi economici della madrepatria. Così scriveva il Governatore del Senegal nel 1913: I nostri rapporti con Amadu Bamba si sono normalizzati e l’attitudine dei Muridi in generale è stata corretta. Si può quindi sperare che i capi di questa potente organizzazione, che stanno già aspettando la loro parte di eredità alla morte di Bamba, non cerchino di deviare dal sentiero economico che è stato intrapreso e col quale essi sicuramente danno il loro contributo per lo sviluppo del paese5 Da allora, e soprattutto dal 1912 quando Ahmadou Bamba poté ritornare nel Baol, la confraternita muride poté svilupparsi con l’accondiscendenza del governo coloniale. La 1 CHEIKH SY, Tediane. “La confrérie sénégalaise des Mourides. op. cit., p. 116. Il concetto della santificazione del lavoro diventa centrale all’interno della confraternita e diventò da questo momento in poi uno dei suoi tratta distintivi. 3 È soprattutto ROBINSON (1988 e 2000) che sostiene questa tesi. Altri invece, come O’BRIEN (1977) e CHEIKH Sy (1966) ritengono che la collaborazione del marabut con l’amministrazione coloniale inizi successivamente, dal 1912 dopo il suo ritorno nel Baol. 4 Sulla “politica islamica” francese vedere in particolare ROBINSON, David. “French islamic policy and practice in late nineteenth century Senegal”, The Journal of African History, 1988 (29): pp. 415-435. 5 ROBINSON, David. “Paths of accommodation”, op. cit., p. 223. 2 96 Muridiyya divenne così la risposta della società wolof allo shock coloniale. Ahmadu Bamba seppe creare una comunità religiosa che riuscisse però a riorganizzare una società allo sbando, ricreando un tessuto organizzativo che si ispirasse alla cultura tradizionale. I vecchi rapporti sociali, quello tra nobili e contadini per esempio, vennero re-interpretati e adattati alle esigenze della comunità religiosa: da qui lo strettissimo rapporto, quasi simbiotico e di fedeltà assoluta tra il discepolo e la sua guida spirituale, che è uno dei principali tratti distintivi della comunità murid. Anche l’aristocrazia tradizionale riuscì a trovare spazio al suo interno. I garmi degli antichi regni trovarono all’interno della confraternita il modo per continuare a proteggere i loro privilegi: le alleanze matrimoniali tra marabutti e garmi sono una testimonianza di questo processo. Un esempio è la stessa famiglia Bamba, e la famiglia Diop a cui apparteneva Lat Dior. Ancora oggi i lignaggi dei marabutti coincidono spesso con quelli della vecchia nobiltà wolof. In conclusione, la società wolof del Senegal riuscì a sopravvivere attraverso la Muridiyya e a trovare un modo per convivere e collaborare con il regime coloniale. L’amministrazione coloniale si rese conto invece delle potenzialità di un’alleanza con la confraternita e col tempo ne fece il suo principale referente. Questo legame, non tarderà a far sentire tutti i suoi effetti1. CONCLUSIONE Questo capitolo offre una sorta di epilogo del processo di pacificazione, in cui un’attenzione particolare va posta al ruolo dell’islam. È un tema questo che è già stato anticipato nel capitolo precedente e che ritornerà costantemente in tutto il saggio. L’analisi ha mostrato che il processo di pacificazione – processo estremamente complesso in cui si sono intersecate guerre civili, jahad religiosi, imperialismo europeo – si conclude con una generale presa di possesso del territorio da parte dell’islam. L’obiettivo di Fodé Kaba effettivamente si realizzò. Certo, ancora negli anni ’80 dell’Ottocento, i musulmani erano ancora lungi dal costituire la maggioranza della popolazione del paese, così come attualmente accade. Tuttavia, il meccanismo di diffusione venne innescato in questi anni, e successivamente fu particolarmente rapido grazie all’appoggio dato dai francesi a partire dal primo dopoguerra. Tuttavia, alcune importanti differenze devono essere sottolineate, proprio nel tipo di islam che si diffuse. Se al nord i jahad e la pacificazione terminarono con la nascita di una nuova tarika (confraternita) islamica, che offriva una nuova ‘via’ tutta senegalese, al sud la religione musulmana si diffuse in maniera diversa. La Muridiyya nacque e si sviluppò come risposta di una società – quella wolof – alle sfide religiose e politico– 1 I rapporti con la confraternita murid, ed in misura minore con la Tijaniyya e la Qadiriyya, le altre due importanti confraternite musulmane presenti in Senegal, sono particolarmente rilevanti. Con il proseguire dell’esperienza coloniale, si verrà a creare un legame molto forte tra la religione e lo stato, fatto di collaborazione tanto a livello politico che economico. La pacificazione prima, la politica economica coloniale poi, fino ad arrivare alla costruzione della moderna unità nazionale senegalese, si sono basate su quello che Momar–Coumba Diop e Mamadou Diouf hanno definito ‘modello islamo–wolof’. Come dire: lo stato senegalese si è fondato sin dalle origini sulla collaborazione con le confraternite islamiche, quella murud– wolof in particolare. Quale potrebbero essere nel lungo periodo le dinamiche interne ad una regione che per ipotesi rimarrebbe per qualche motivo estranea a questo modello di sviluppo?… Come vedremo nei capitoli successivi, la Casamance offrirà una perfetta illustrazione del funzionamento di questi meccanismi. Vedere parte 3, capitolo 3 (2). 97 sociali che il contesto dell’epoca imponeva. Al sud invece i marabutti fecero principalmente riferimento alle confraternite “straniere”, in particolare la Khadiriyya1. La conseguenza fu che al nord si sviluppò una confraternita molto gerarchizzata, con un capo supremo (Ahmadou Bamba e poi i suoi eredi), composta principalmente da wolof. In Casamance si sviluppò invece un islam molto frammentato: Yunus rifiutò la richiesta francese di creare una sorta di federazione con un capo centrale che permettesse di riunire tutte le comunità islamiche. Rimase fedele alla specificità culturale delle comunità malinké, che erano estremamente gelose della propria indipendenza. Secondo Darbon: L’individualismo economico, ma anche il permanere del potere degli anziani, possono spiegare la debolezza del prestigio dei marabutti mande che non riuscirono a controllare la ricchezza economica e monetaria che costituivano i prestiti e il commercio2 Nei territori wolof invece, si creò proprio su iniziativa di un marabutto, un’unica comunità islamica che iniziò a ruotare intorno al suo padre fondatore. Potrebbe apparire una sottigliezza. In realtà in questa differenza è racchiusa una buona parte di quello che Marut ha chiamato “sentimento casamancese” (il sentimento di una differenza)3, ovvero la consapevolezza sentita attualmente dalla popolazione della regione di avere al di là delle differenze socio–culturali, un comune bagaglio di esperienze, legate per esempio alla situazione geografica o alla marginalizzazione economica e politica rispetto al resto del paese. Se infatti, come vedremo nel proseguo dell’analisi, al nord nacque il cosiddetto “modello islamo–wolof” che tanto ha influito e influenza il sistema–paese, i musulmani della casamance ne sono stati largamente esclusi. Il corollario sarà dato da una differenza sostanziale nel coinvolgimento degli individui all’interno dello stato coloniale prima e di quello indipendente poi4. Maggiormente escluse si troveranno quelle popolazioni, principalmente ‘guineane’, che sono state toccate meno e con maggiore ritardo dalla diffusione dell’islam. Ancora oggi è possibile individuare queste regioni: il Kasa, la zona di Ziguinchor e il Buluf al nord5, che sono anche quelle in cui il conflitto separatista degli anni ’80 ha trovato maggiori sostegni. Una casualità? Decisamente poco probabile. Infine, in questo capitolo, sono state analizzate le modalità che le popolazioni del Senegal hanno adottato per cercare di convivere con la nuova amministrazione coloniale. I cleavages rilevati in precedenza sono riemersi: nella Bassa Casamance si optò per la “resistenza passiva”. Nelle altre zone, islamizzate, si è mostrato come gli 1 Era una confraternita che aveva il suo centro in Mauritania. Anche la Muridiyya vi fece inizialmente riferimento per poi separarsi completamente. 2 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamanceop. cit., p. 48. 3 Da non confondere secondo Marut con l’inesistente “differenza casamancese” rispetto al Senegal, dal punto di vista etnico, storico, economico, ecc., che giustificherebbe le tesi dei ribelli e per questo ritenuta da molti la causa dell’attuale guerra. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit. 4 Sulle differenze tra l’islam dei “nordisti” e quello caratteristico della Casamance vedere il capitolo 3 della parte 3, nei paragrafi dedicati al ruolo della religione durante il periodo coloniale. Vedere anche parte V, capitolo 1. 5 In realtà nel Buluf l’islam si diffuse ma non toccò la sfera sociale: la popolazione mantenne le proprie tradizioni e non venne ‘mandizzata’ come gli altri gruppi diola della regione. 98 amministratori francesi abbiano invece usato i marabutti come referenti privilegiati. È essenziale notare la differenza esistente tra il ruolo assunto dal marabutto Yunus in Madia Casamance e quello che invece Ahmadu Bamba iniziò ad avere all’interno della comunità Murid. Yunus collaborò attivamente con l’amministrazione e, così come Bamba poteva essere annoverato tra gli appartenenti alla nuova generazione di “marabutti pacifici”. Tuttavia, egli non giunse mai a divenire il referente di un’ampia comunità territoriale. Queste due zone del paese seppero così trovare sintesi diverse tra le nuove esigenze imposte dalla dominazione straniera, le basi culturali tradizionali della propria regione e l’islam. L’organizzazione più accentrata della comunità murid, oltre che alla sua coesione interna, diventò un suo punto di forza, che la rese in breve tempo il referente principale delle politiche dell’amministrazione coloniale, tanto più che le zone della sua diffusione coincidevano con quelle del più intenso sfruttamento economico. E come si vedrà nei capitoli successivi, questo ruolo avrebbe avuto conseguenze notevoli non solo nel proseguo dell’esperienza coloniale, ma anche all’interno del nuovo stato indipendente1. 1 Vedere parte IV, capitolo 3 (1). 99 *** La questione della pacificazione del Senegal è un momento importante della storia delle popolazioni locali, ma è anche un elemento essenziale che permette di capire alcune delle dinamiche che si sono messe in funzione da quel momento storico e che si sono successivamente evolute, portando a conseguenze che si percepiscono ancora oggi e di cui il MFDC è per certi versi l’espressione. In questa prima parte si è cercato di mettere in luce alcuni aspetti che hanno caratterizzato la prima fase del periodo coloniale, dai primi avamposti alla pacificazione della colonia, intorno agli anni ‘80–’90 del XIX secolo. Dall’analisi emergono alcuni temi principali: 1) le dinamiche coloniali e quelle legate alla politica interna africana: è stata descritta la situazione socio–politica della regione, la situazione presente al momento dell’arrivo degli europei e la sua evoluzione, caratterizzata in particolare dall’intersecarsi di una serie di guerre (civili, imperialiste, di religione). Allo stesso modo è stato evidenziato come i francesi si siano inseriti in questa realtà instabile, presente in tutto l’attuale stato indipendente. L’analisi ha dimostrato che il nord e il sud del Senegal sono stati soggetti allo stesso tipo di influenze: la tratta degli schiavi, la diffusione dell’islam, la conquista francese. Ciò ha portato risposte abbastanza simili: la decadenza delle strutture politiche e sociali tradizionali, le lotte intestine tra pagani e musulmani, la resistenza alla colonizzazione. Tuttavia, è emerso che da queste risposte simili sono scaturite conseguenze diverse, sia nei tempi della pacificazione che nel ruolo che l’islam si è ritagliato all’interno delle società tradizionali. 2) Le differenze temporali nella pacificazione, tra la Bassa Casamance e il resto del paese. Intorno agli anni ’80 dell’Ottocento la Francia in Bassa Casamance poteva contare solo sul controllo di alcuni avamposti come Karabane, Ziguinchor, Usuy: i territori diola della Bassa Casamance erano ancora in gran parte indipendenti e ostili. Bisognerà attendere i primi decenni del ‘900 perché la Francia possa ottenere il controllo anche di queste regioni. Nello stesso periodo, nel resto del paese, la Francia si poteva già permettere di organizzare uno sfruttamento economico sistematico e una rete amministrazione ordinata. Solo il Cayor, come abbiamo visto, avrebbe resistito poco più a lungo grazie all’azione di Lat Dior. 100 3) l’islam: nel corso dei capitoli si è descritta l’espansione dell’islam, le sintesi che questa religione ha saputo trovare nel contatto con popolazioni diverse (la Muridiyya, i marabutti ‘indipendenti’ della Casamance), il ruolo che ha avuto nel facilitare il processo di pacificazione prima e di collaborazione poi. Sebbene sia al nord, nei regni wolof che al sud, soprattutto nella Media e Alta Casamance, abbia costituito un elemento di aggregazione della resistenza, credo sia corretto affermare che abbia favorito la pacificazione e il suo successivo consolidamento: i jahad del XIX secolo in Senegambia sono stati usati dai francesi per estendere la loro influenza; inoltre la diffusione dell’islam con le sue gerarchie interne permetteva di trovare degli intermediari politici all’interno delle zone coperte dagli antichi regni pre-coloniali. Non a caso, sono stati proprio i territori in cui l’islam era maggiormente diffuso a cadere per primi sotto la protezione della Francia (il Futa e il Walo e la Media Casamance di Sunkari). Ancora, non a caso, sono stati proprio i diola della Bassa Casamance, più isolati e ancora fortemente legati alle loro tradizioni pagane ad essere gli ultimi a sottomettersi al potere coloniale. Ma anche all’interno della Bassa Casamance è possibile vedere le differenze tra le popolazioni a nord del fiume, toccate dall’islam con le incursioni di Fodé Kaba, e quelle a sud che invece erano completamente animiste. Il nord si dimostrò, anche in seguito, maggiormente collaborativo. Il sud si rassegnò alla presenza francese come a qualcosa di inevitabile, vista la loro superiorità tecnica, ma fu sempre pronto a difendere la propria cultura e la propria indipendenza ogni qual volta l’amministrazione intraprese iniziative che comportavano una maggiore intromissione nella vita tradizionale. 4) Il mito della “Casamance storica” è stato introdotto, spiegato e in parte confutato alla luce dell’analisi storica sopra ricordata. È stato mostrato come il movimento indipendentista, (così come attualmente l’attore governativo!) abbia la tendenza ad usare la storia per legittimare la propria richiesta nazionalista. Infine, 5) la dicotomia collaborazione–resistenza: in questa parte è stato messo in luce non solo che i “tre secoli e mezzo di resistenza al colonialismo” sono stati in realtà molto più brevi (si può parlare di colonialismo solo dalla seconda metà del XIX secolo); ma anche che non sono stati dominati da soli moti di resistenza, essendo le strategie ‘collaborative’ ampiamente presenti nei rapporti con gli europei (i trattati, gli scambi commerciali, ecc.). 101 PARTE 3 LA CASAMANCE E IL SENEGAL SOTTO L’AMMINISTRAZIONE COLONIALE (1880-1940) 102 *** In questa parte verrà analizzata nel dettaglio la struttura dell’organizzazione amministrativa e il sistema economico creato dai francesi durante gli anni della colonizzazione. L’analisi si articolerà quindi su tre livelli: amministrativo, economico e socio–culturale. Partendo dal modo di funzionamento del sistema coloniale verrà analizzato se, e in che modo, le popolazioni del Senegal sono state integrate al suo interno. Questo metterà in luce dinamiche nuove e originali, che però affonderanno le loro radici nel passato pre–coloniale di ogni popolazione. Con un’analisi in controluce della Casamance sullo sfondo della colonia francese del Senegal, si mostrerà che la regione durante questi anni ha sviluppato proprie traiettorie in tutti i livelli di analisi; e come questi diversi percorsi abbiano non solo alimentato la retorica separatista dei nostri giorni, ma anche creato alcune delle cause alla base del conflitto stesso. *** 103 CAPITOLO 1 L’ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA Lo storico e il giornalista hanno Questo in comune, il fatto di avere giurato Un amore viscerale ai fatti, Il cui carattere sacro contribuisce certamente Alla manifestazione della storia, alla sua verità […]. Ieri, davanti a Dio e agli uomini Il verdetto della storia è piombato al Centro delle Opere Cattoliche di Ziguinchor1. 1 INTRODUZIONE Gli indipendentisti della Casamance hanno sostenuto di essere stati colonizzati dai francesi prima e dai senegalesi poi. Ci siamo addormentati casamancesi, ci siamo risvegliati senegalesi2 Questa celebre frase di padre Diamacoune Senghor sintetizza la posizione indipendentista. I ribelli della Casamance hanno sostenuto che la loro regione fosse con il Senegal durante il periodo coloniale, ma mai nel Senegal come una qualunque delle regioni che oggi lo compongono3. La Casamance non sarebbe mai stata una parte integrante del Senegal4 Bisogna ricordare senza sosta che le autorità senegalesi, che sostengono ovunque nei media che la Casamance è una regione del Senegal, nascondono sotto il loro cappotto e nei cassetti delle loro scrivanie, il dossier ufficiale e autentico che testimonia la non appartenenza della Casamance al Senegal?5 Il MFDC ha rivendicato il diritto all’indipendenza anche sulla base delle differenze nell’amministrazione coloniale. In sintesi gli indipendentisti sostengono che i francesi si sarebbero accorti delle differenze politico–culturali tra la Casamance e il Senegal e 1 KASSE, Mamadou. “Sans appel”, Le Soleil, 22 dicembre 1993. Le Soleil è uno dei quotidiani principali del Senegal e si pone generalmente su posizioni filo–governative. 2 MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit. 3 Nel discorso del MFDC il fatto di essere con o nel Senegal acquisisce particolare importanza al momento dell’indipendenza: il fatto di essere con il Senegal presuppone un’individualità particolare del ‘Terriotorio della Casamance’. Ciò significa che il popolo che la abita al momento dell’indipendenza avrebbe dovuto essere interpellato su ciò che sarebbe dovuto essere il proprio destino. Ci ritorneremo. Vedere parte IV, capitolo 3. 4 DIÉMÉ Bakina. La voix de la Casamance, n°73 settembre 1997. La voix de la Casamance è l’organo di stampa principale dei ribelli. 5 Questa posizione particolarmente importante, introduce la tesi del ‘documento nascosto’ ovvero il governo senegalese avrebbe nascosto ogni traccia delle prove che la Casaamance avrebbe costituito un territorio autonomo. SANÉ, La voix de la Casamance, n°70, maggio 1997. La questione ritorna anche al momento dell’indipendenza, quando un ‘contratto’ tra l’MFDC dell’epoca e Senghor avrebbe contenuto la promessa dell’alleanza in cambio dell’indipendenza. Vedere parte IV, capitolo 3. 104 avrebbero deciso di amministrarle in maniera differente, dando alla regione uno statuto speciale; anzi, avrebbero pensato di fare della Casamance una colonia separata. L’importanza che queste tesi rivestono ancora oggi è data dal fatto che nel 1993, tra gli accordi del secondo cessate il fuoco, figura anche la richiesta di una ‘testimonianza storica’ sullo status coloniale della regione richiesta alla Francia. L’incombenza venne effettivamente assunta dall’ex madrepatria e sfociò ne cosiddetto “rapporto Charpy”, dal nome dell’archivista francese che svolse le ricerche. In effetti, molti dati sembrerebbero dar sostegno a questa posizione. La Casamance è stata per lungo tempo sottoposta ad un regime che si potrebbe definire “speciale” rispetto a quello ordinario del resto della colonia; alcuni, all’interno dell’amministrazione francese avanzarono l’ipotesi di fare della Casamance una sorta di “Liberia francese”; inoltre per certi periodi, seppur brevi, l’amministrazione della Casamance fu separata da quella del resto del paese. Nei paragrafi che seguono sarà esaminata l’evoluzione dell’amministrazione francese in Senegal e in Casamance. Si prenderanno in considerazione in primo luogo i principi che l’hanno ispirata. Si passerà poi ad esaminare l’esperienza dei primi comuni senegalesi, culla di tutta l’amministrazione, in particolare quella locale. Infine, si cercherà di tracciare le linee evolutive della struttura amministrativa “matura” creata con i decreti dei primi anni del ‘900. 2 TRA ASSIMILAZIONE E ASSOCIAZIONE: I PRINCIPI DEL GOVERNO COLONIALE La politica coloniale francese è stata spesso definita con l’espressione “amministrazione diretta”, contrapposta alla strategia dell’ “indirect rule” utilizzato dagli inglesi nelle loro colonie. Certamente, come tanti studi hanno dimostrato, questa suddivisione ha la sua ragione di esistere, perlomeno a livello teorico: in un primo momento i francesi pensarono di amministrare in maniera diretta le loro colonie, quasi fossero “pezzi di Francia”. Tuttavia, volendo tirare le somme dell’esperienza coloniale, una tale suddivisione appare fuorviante. In realtà, la Francia utilizzò ampiamente forme di governo catalogabili nel “indirect rule”; così come anche nei possedimenti inglesi è possibile trovare esempi di amministrazione diretta. È probabilmente più corretto affermare che a livello pratico, al di là delle differenze dovute alle specificità locali, i due tipi di amministrazione siano stati abbastanza simili. Le differenze sono da ricercarsi a livello teorico, nel sostrato filosofico-culturale, nell’ideale di amministrazione a cui tali potenze tendevano1. Il principio a cui la Francia si è ispirata sin dalla creazione delle prime colonie è quello dell’assimilazione. La teoria dell’assimilazione è stato un prodotto della cultura illuministica e della Rivoluzione Francese; si fondava essenzialmente sul concetto di uguaglianza tra tutte le persone soggette al governo francese. Secondo questa impostazione, all’interno delle colonie le persone dovevano avere gli stessi diritti e doveri di un qualunque francese della madrepatria, dovevano essere soggetti alle stesse leggi e giudicati dagli stessi tribunali. Bisogna far attenzione però: assimilazione significava trasformare gli africani… in francesi: 1 HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 127–129. Per un approfondimento vedere in particolare BERMAN Bruce. LONSDALE J. “Unhappy valley”, James Currey, London, 1992. 105 “Così i francesi, a contatto con popoli che consideravano barbari, pensarono che la loro missione era quella di farne dei francesi. Questo implicava l’accettazione fondamentale della loro uguaglianza potenziale in quanto esseri umani, il rifiuto completo della cultura africana”1 La dottrina dell’assimilazione ebbe tuttavia un’applicazione altalenante: all’indomani dell’esperienza rivoluzionaria che la vide nascere, venne messa da parte per essere poi riportata in auge nell’intermezzo della seconda repubblica prima , tra il 1848 e il 1852, e nella terza repubblica (1870). In questo periodo le dottrina assimilazionista a Parigi fu particolarmente importante; tuttavia, nello stesso periodo un altro principio, quello associazionista, si insinuava nelle sale del potere e negli ambienti culturali. Secondo questa corrente era impossibile assimilare gli africani, perché “naturalmente inferiori”. Li si poteva educare per farne dei subalterni ai francesi, nei ranghi più bassi della società e dell’amministrazione. A livello politico implicava il rispetto delle istituzioni tradizionali, che di fatto vennero inglobate all’interno dell’amministrazione coloniale, perlomeno a livello locale. Come vedremo nei paragrafi che seguono, tra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, la Francia cambiò lentamente rotta. L’assimilazione, progressivamente ritenuta impraticabile a breve termine, lasciò il posto al concetto dell’ “associazione”, soprattutto a partire dai primi anni del ‘900. Anche all’interno dei communes in cui almeno formalmente la politica dell’assimilazione permaneva, i tentativi di allontanare i senegalesi dalla politica si fecero sempre più forti e insistenti. Questo proprio quando, gli assimilati delle 4 municipalità, iniziavano ad affacciarsi con prepotenza all’interno delle nuove strutture coloniali elettive. 3 ORIGINI DELL’ AMMINISTRAZIONE IN SENEGAL: I QUATTRO COMUNI. Durante l’Ancien Régime, Saint-Louis e Gorée erano amministrate da un maire, un sindaco eletto, e da un consiglio di notabili formato da europei e indigeni, a cui si aggiungeva anche un consiglio della colonia. Il consiglio di notabili veniva consultato di tanto in tanto per problemi riguardanti la gestione della città: per esempio per la costruzione di una strada o di un cimitero. La municipalità ha quindi una tradizione antica: probabilmente fu Gorée ad inaugurare l’esperienza, seguita dopo poco da SaintLouis2 Dopo il 1789 anche le due colonie senegalesi parteciparono alle vicende della rivoluzione; vennero persino redatti dei Cahiers des doleances , in cui si domandava tra l’altro, la fine del monopolio della Compagnia commerciale del Senegal e l’istituzione di organi elettivi a livello comunale. Queste richieste caddero in realtà nel vuoto, però dimostrano certamente una certa maturità politica degli abitanti delle colonie francesi, o perlomeno di una sua parte. Con l’inizio dell’era napoleonica Saint-Louis e Gorée 1 2 BETTS (1961), cit. da JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 98. Sebbene non ci siano delle notizie certe, sappiamo che Gorée ebbe il suo primo sindaco intorno al 1863, quando la Compagnia del Senegal affidò l’amministrazione dell’avamposto commerciale e del piccolo villaggio annesso ad un africano, quasi sicuramente un creolo. Probabilmente anche Saint-Louis negli anni ’60 dell’Ottocento fu dotata delle prime embrionali strutture coloniali. IBIDEM, pp. 56–57. LEGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale”, op. cit., pp. 415-417. 106 caddero in mano inglese e i rapporti con la madrepatria si interruppero per qualche anno1. Le fonti del periodo mostrano lo stupore degli inglesi nell’osservare le istituzioni già presenti: trovare in una colonia un sindaco che aveva ampi poteri su tutta la città e che aveva anche alcune prerogative in ambito militare era un fatto curioso ed eccezionale! Anche durante la presenza inglese, le istituzioni comunali impiantate dai francesi continuarono a vivere ad anzi si evolsero autonomamente verso una maggiore democrazia interna. A Saint-Louis in questo periodo iniziarono persino a funzionare dei consigli comunali eletti2. Il periodo rivoluzionario servì ai francesi a dimenticare la natura della loro presenza in Senegal. Quando, nel 1816, i francesi riuscirono a recuperare le loro colonie, il nuovo governatore J.F. Roger fu particolarmente colpito dalla presenza delle strutture comunali, dall’ampiezza dei poteri e dal coinvolgimento dei creoli e dei neri assimilati nell’amministrazione. L’esperienza delle municipalità da quel momento fu comune a quella dei comuni francesi: le cariche comunali cessarono di essere elettive, i consigli vennero aboliti e rimase in piedi la sola carica di sindaco. Così il maire di Saint-Louis iniziò ad esser nominato direttamente dal ministro competente per gli affari coloniali su indicazione dell’amministratore della colonia; la carica era vitalizia e i sindaci avevano prevalentemente delle funzioni delegate e non proprie. “A questi sindaci, presto assistiti da dei vice, la consuetudine e i regolamenti conferivano dei compiti che ricordavano quelli dei sindaci francesi. Essi pubblicavano gli ordini dell’amministratore, controllavano la loro esecuzione, assicuravano la polizia. Responsabili della nettezza urbana, partecipavano all’amministrazione della giustizia come ausiliari o come giudici di pace. Competenza derogatoria rispetto al diritto metropolitano, essi ricevevano qualche volta il compito di negoziare con i capi locali”3. Nei venti anni che seguirono le istituzioni comunali cambiarono ben poco e ci fu una sorta di immobilismo. Alcune novità arrivarono però a modificare lo status generale delle colonie: alcune leggi allargarono per esempio i diritti politici che però paradossalmente erano difficili da esercitare in assenza di strutture locali elettive. Inoltre iniziò ad osservarsi una differenza di trattamento rispetto ai comuni della madrepatria: i sindaci francesi dal 1837 videro aumentare progressivamente le loro funzioni: accanto alle consuete funzioni delegate, venivano loro attribuiti anche dei poteri “propri”, derivanti dall’istituzione comunale. Mentre, almeno fino al 1848, i sindaci di Saint-Louis e Gorée ebbero solo delle competenza delegate. Essi costituivano degli intermediari utili ma subalterni tra il governo locale e la popolazione autoctona. Erano dei funzionari retribuiti, integrati nella gerarchia amministrativa che rendevano conto dei loro minimi atti, senza potere sugli europei4. Questo divario venne accentuato con le riforme della II Repubblica: dal 1848 in poi la carica di sindaco divenne di nuovo elettiva nei comuni della madrepatria, mentre la situazione a Saint-Louis e Gorée rimase invariata. Cambiò qualcosa solo nello status del maire e limitatamente a Saint-Louis: 1 Saint-Louis fu conquistata nel 1809. COQUERY–VIDROVITCH, Catherine, “Nationalité et citoyenneté en Afrique occidentale français: originaires et citoyens dans le Sénégal Colonial”, Journal of African History 2001, 42: pp. 285–305. 3 LEGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale”, op. cit., pp. 414-415 e 418. 4 IBIDEM, pp. 419-420. 2 107 diventato habitant notable chiamato a presiedere il Consiglio d’amministrazione, il sindaco di Saint-Louis dipendeva solamente dal governatore, acquisì delle competenze proprie che egli poteva esercitare attraverso decreti sia sugli europei che sugli autoctoni”1. I sindaci rimanevano quindi ancora dei sottoposti, senza un potere reale e al completo servizio dell’ amministratore superiore della colonia. Inoltre è importante sottolineare che la carica di sindaco nei due comuni senegalesi venne attribuita, fino al 1848 circa, quasi esclusivamente a dei meticci, naturali intermediari tra gli europei e la popolazione autoctona2. Tuttavia, la tendenza fu quella di una maggiore influenza dei commercianti francesi, la cui presenza si faceva di giorno in giorno sempre più marcata. La popolazione nera non riuscì a guadagnarsi il ruolo di sindaco. In breve, fino alla III Repubblica la situazione nei comuni non fu favorevole alle aspirazioni dei suoi abitanti, soprattutto di coloro che avevano vissuto direttamente l’esperienza comunale dei primi anni dell’ ‘800. Tuttavia, quell’esperienza seppur frustrata, rimaneva, ed era importante perché di fatto aveva creato un coscienza politica di tipo moderno in una classe, un’élite autoctona3. Sebbene la gran massa di popolazione nera si disinteressasse completamente delle vicende comunali, viste come “qualcosa dei bianchi”, i creoli di Saint-Louis in particolare e qualche senegalese cristiano, avevano ormai fatto propri i concetti chiave della tradizione politica francese. Non solo. La trasformazione che era avvenuta in quei decenni di presenza europea era stata anche culturale e sociale. Seppure molto precarie e soggette a frequenti incendi, le nuove strutture abitative e urbanistiche iniziano a riprendere schemi europei. La stessa influenza la si ritrova nella religione e nella moda4. A questo punto resta da chiedersi: quanto di tutto questo era già presente in Casamance nello stesso periodo? Poco o nulla. Karabane e Seju erano dei piccoli avamposti militari con alcuni commercianti francesi e traitants5 che gestivano il commercio nella brousse. L’amministrazione era di tipo militare e non c’era alcun tipo di struttura istituzionale che facesse anche lontanamente ricordare il concetto di municipalità. I commandants de poste erano dei militari e come tali gestivano il presidio. Si potrebbe magari pensare di trovare una situazione diversa, più vicina a quella di Saint-Louis o Gorée a Ziguinchor, oggi 1 LEGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale”, op. cit., pp. 422-423. Il ruolo dei meticci nelle municipalità si trasformò nel corso del tempo quasi in un monopolio: la carica di sindaco rimase una loro prerogativa esclusiva almeno fino all’avvento della II Repubblica. Inoltre, sotto la Restaurazione, questa loro funzione venne incoraggiata anche a livello centrale, perché rispondevano alla politica di “fusione e assimilazione” dell’epoca. “Già nel 1818 il Ministro della Marina raccomandava all’Amministratore di rispettare l’antica consuetudine secondo la quale il ruolo di sindaco è costantemente riservato ad un uomo do colore, un creolo del capoluogo; consuetudine, conforme al sistema di fusione degli europei e degli indigeni, che è così importante mantenere ed estendere. IBIDEM, pp. 416, 419420 e 436. 3 GELLAR, Sheldon. “Pluralisme et jacobinisme: quel démocratie pour le Sénégal?”, in DIOP, MomarCoumba. “Le Sénégal Contemporain”, Karthala, Parigi, 2002 4 JOHNSON, G. Wesley Jr. “The emergence of black politics in Senegal. The struggle for power in the four communes, 1900–1920”, Stanford University Press, Staanford, California, 1971. DIOUF, Mamadou. “Assimilation coloniale et identité religieuses de la civilité des originaires des Quatre Communes (Senegal)”, Canadian Journal of Africa Studies, 2000, 34 (3): pp. 565– 587. SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit., pp. 108–113 e 121–125. 5 I traintans erano gli intermediari che nel commercio di tratta garantivano i legami dai piccoli produttori alle società commerciali. Essi compravano dai produttori africani e rivendevano ad altri traitants o direttamente alle compagnie. 2 108 capoluogo regionale. E qui la sorpresa: Ziguinchor non era nemmeno territorio francese! Lo diverrà solo in seguito ad un trattato del 1888 con cui i portoghesi cedevano il forte in cambio di un avamposto francese posto più a sud lungo la costa occidentale. I francesi non pensarono di creare un nuovo commune in Casamance. Ma nemmeno altrove. Dakar nel 1887 fu l’ultimo e non dopo un acceso dibattito, e il parere contrario del ministro e del governatore. Ciò non deve esser considerato un primo esempio di “amministrazione speciale” della Casamance, quanto piuttosto come un segno del cambiamento dei tempi; e della mentalità. Col montare della febbre coloniale e delle dottrine che l’avrebbero di li a poco giustificata, i francesi diventarono sempre più restii a delegare i poteri politici in modo decentrato o democratico. La preferenza era invece verso l’accentramento e il controllo francese, perlomeno nei punti chiave della struttura amministrativa tanto a livello centrale quanto locale. I francesi vivevano con disappunto, come uno “strano errore della storia” le istituzioni comunali già presenti. Non a caso vennero “congelate” fino all’avvento della III Repubblica. Ziguinchor e la Casamance pagavano così anche a livello politico quel “ritardo” che è stato sottolineato sin dall’inizio. Quel ritardo di oltre 200 anni sarebbe stato, come vedremo, un fardello che peserà ancora a lungo sulla sorte di questa regione. 4 L’ORGANIZZAZIONE DELLA COLONIA: 1814-1880 4.1 DALLA RESTAURAZIONE AL II IMPERO (1814-1850) La “specialità” dell’amministrazione a cui ha fatto spesso riferimento la propaganda indipendentista, si riferisce molto probabilmente più all’amministrazione centrale della colonia che a quella locale. Vediamola quindi più da vicino. Con la Restaurazione il governo francese varò alcune riforme amministrative per l’organizzazione delle sue colonie. “Il Senegal e i territori annessi”, secondo la denominazione dell’epoca includeva “la parte di costa africana tra Capo Bianco e il fiume di Sierra Leone comprendendo soprattutto il fiume di Casamance”1. Nel 1833 una legge estendeva i diritti politici a tutti gli uomini liberi. Il che potrebbe anche sembrare liberale se ci si dimentica che l’abolizione (formale!) della schiavitù avvenne solo nel 1848. Inoltre i diritti politici non erano certo utili in un contesto in cui non c’erano istituzioni elettive. Il Senegal, così come le altre colonie, dipendevano dal dipartimento delle Colonie, uno dei cinque previsti al Ministero della Marina e delle Colonie del governo parigino. Un’ordinanza del 1840 prevedeva un governatore del Senegal e delle sue dépendences2 con residenza a Saint-Louis, un capo di marina e del servizio giudiziario, un ispettore coloniale che controllasse il regolare svolgimento della vita amministrativa e l’applicazione delle leggi. L’importante novità era data dalla previsione di un rappresentante della colonia e un consiglio generale, entrambi a 1 2 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, Le Soleil, Dakar, 22/12/1993. Tradizionalmente con “Senegal” si tende ad indicare i territori lungo la valle del fiume e i suoi affluenti, mentre le “dépendences” comprendevano Gorée e tutti gli avamposti collocati lungo la costa meridionale fino al Gabon e alla Costa d’Oro. 109 carattere consultivo, eletti direttamente dai citoyen. Le istituzioni locali vennero dotate di un consiglio d’amministrazione e d’arrondissement rispettivamente a Saint-Louis e a Gorée, anch’essi con funzioni consultive. Finalmente sembrava che la vita municipale riprendesse un po' della vecchia dinamicità1. Con l’avvento della II Repubblica nel 1848 vennero introdotte molte novità sia a livello centrale che locale. Con l’abolizione della schiavitù crebbe numero di uomini liberi, e aumentò di riflesso il numero di coloro che godevano almeno formalmente dei diritti politici. I rivoluzionari del 1848 riorganizzarono le strutture coloniali in modo tale che i diritti politici potessero finalmente essere esercitati. A livello centrale venne soppresso il Consiglio Generale della Colonia. In sostituzione per la prima volta venne data alle colonie senegalesi la possibilità di essere rappresentati al parlamento francese attraverso un deputato eletto direttamente dai cittadini2. Nello stesso anno le prime “legislative” in Senegal, sancirono la vittoria di un francese, M. Valentin. Tale traguardo ebbe vita breve, poiché l’anno successivo Napoleone III destituì Valentin e abrogò la sua carica, così che, ancora una volta i pochissimi citoyens senegalesi si ritrovarono titolari di diritti politici di fatto inutilizzabili3. Tuttavia, fatto non trascurabile, i cittadini di Gorée e Saint-Louis partecipando alle loro prime elezioni legislative avevano fatto un altro importante passo nella socializzazione politica. In quello stesso periodo, la Casamance così come tutti i territori della costa meridionale, era amministrata da un commandant particulier , un militare con residenza a Gorée a cui dal 1826 era stata affidata l’amministrazione delle zone costiere. L’esigenza di una figura particolare per Gorée e la costa era dovuta soprattutto al ruolo di dogana che l’isola aveva assunto da tempo. Ad una diversa funzione economica era quindi correlata una diversa organizzazione dei territori facenti capo alle due municipalità. La colonizzazione lungo le coste meridionali, come già notato in precedenza, avanzava a piccoli passi, in maniera incerta, ostacolata dalla competizione straniera. L’amministrazione si doveva adattare alle mutevoli condizioni del momento. Molte soluzioni vennero così proposte in questo periodo, come quella, nel 1833 di fare della regione una sorta di “Liberia francese”. Ecco perché l’amministrazione della Casamance rimase incerta. Più volte venne richiesta la separazione dell’amministrazione del Senegal da quella di Gorée e nel 1851 la Commissione degli avamposti – composta prevalentemente da esponenti del mondo commerciale – votò a favore. Protet, governatore nello stesso periodo era profondamente contrario. Alla fine, nel 1854, proprio quando Faidherbe diventava il nuovo governatore, Gorée e Saint-Louis vennero effettivamente separate: a Gorée, i possedimenti francesi situati al di sotto di quest’isola sulla costa occidentale dell’Africa [vennero] affidati ad un comandante a Gorée, sottoposto ordini del comandante della divisione navale delle Coste Occidentale dell’Africa4. Prova a favore delle argomentazioni degli indipendentisti moderni? In parte certamente si. Ma anche prova della forza che la lobby economica aveva sul potere politico: furono 1 Per maggiori dettagli sulle istituzioni create con l’ordinanza del 7 settembre 1840, JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., pp. 136–144. 2 Il diritto di vota spettava automaticamente a i francesi e ai meticci. Tutti gli altri che risiedevano a Saint-Louis o Gorée dovevano dimostrare di risiedere nelle città da almeno 5 anni e chiedere l’iscrizione nelle liste elettorali. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 130. 3 IBIDEM, p. 130. 4 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, op. cit. Vedere anche DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 60– 61. 110 soprattutto i commercianti a premere per una divisione, in particolare dopo che una nuova legge aveva posto dei dazi sulle merci in entrata e uscita a Saint-Louis1. Separare le colonie significava realizzare maggiori profitti giocando sulle leggi doganali. Inoltre le stesse perplessità coinvolgevano anche le altre regioni. Ancora negli anni ’50 dell’Ottocento il Senegal era una colonia in costruzione, e appena si percepiva quella “febbre” che vent’anni dopo avrebbe portato alla spartizione dell’Africa. La macchina amministrativa coloniale vera e propria era ancora nella fase della progettazione e tutte le soluzioni erano aperte, tanto più che il Senegal venne utilizzato come “territorio di prova” privilegiato: d’altronde, quale luogo migliore della zona di più antica presenza coloniale? 4.2 DAL II IMPERO ALLA “SCRAMBLE FOR AFRICA”: 1851–1880. Gli anni del II Impero furono quelli che anticiparono e prepararono l’espansione politica degli anni ‘70/’80. Dopo l’allontanamento di Protet, finalmente la lobby commerciale riuscì a porre a capo del Senegal e delle sue dépendances il loro uomo, Faidherbe, colui che avrebbe fedelmente realizzato il loro programma coloniale. Negli anni del suo governo e in quelli del suo successore, Pinet-Laprade, vennero poste le basi per la futura organizzazione della colonia. In questo periodo lo sforzo era anche concentrato verso l’acquisizione di nuovi territori e la conversione dell’economia verso l’arachide. Lo sforzo finanziario e umano furono rilevanti, tenendo presenti soprattutto il carattere estremamente limitato di entrambe le risorse. Si doveva procedere a piccoli passi, ma con determinazione. E Faidherbe dimostrò di essere l’uomo forte di cui si aveva bisogno. Con la III Repubblica (1870) arrivarono finalmente delle importanti novità. La distanza che si era andata a creare col tempo tra i comuni francesi e le municipalità senegalesi venne colmata con una serie di decreti tra il 1871 e il 1884. Saint-Louis e Gorée furono dotati di sindaci, adjoint o assessori, e un consiglio eletti a cui vennero date proprie funzioni e una certa autonomia a livello finanziario2. A questi due communes si aggiunsero poi anche Rufisque nel 1880 e Dakar nel 18873. A livello centrale venne innanzitutto ridata ai citoyens il potere di eleggere un proprio deputato al parlamento francese. Le nuove elezioni si tennero il 4 aprile del 1871, e ancora una volta fu un francese, Lafont de Fongauffier, ad ottenere la maggioranza dei voti4. Le funzioni del deputato non erano molto chiare: doveva certamente rappresentare gli interessi degli abitanti della colonia al parlamento, e aveva la possibilità 1 Secondo il MFDC questa divisione sarebbe stata efficacemente formalizzata con i decreto del 12/10/1882 con cui si riorganizzavano i territori. 2 “Conformemente ai decreti del 1872, Saint-Louis e Gorée furono provviste di un consiglio municipale di rispettivamente 18 e 14 membri, e ogni consiglio aveva alla testa un sindaco e due vice/assessori. I consiglieri municipali venivano eletti per sei anni, e il consiglio era rinnovato per la metà ogni tre anni. Il governatore poteva dissolvere un consiglio municipale e nominare per tre anni un consiglio incaricato degli affari immediati; al termine dei tre anni bisognava procedere a nuove elezioni. Il governatore poteva ugualmente destituire il sindaco e i due vice. Il consiglio teneva quattro volte l’anno delle sessioni di dieci giorni. La sue competenza in materia regolamentare toccava un numero limitato di questioni locali; en più, il consiglio aveva la funzione di organi consultivo presso il governatore”, HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 131. Vedere anche LEGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale: les communes au Sénégal”, op. cit., pp. 424425. 3 Sulle contrastate vicende di questi due nuove municipalità vedere IBIDEM, pp. 425-427. 4 Votarono circa 4000 persone. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 130. 111 di rivolgersi direttamente al ministro competente per gli affari coloniali. Sebbene in Francia questa carica non avesse una particolare rilevanza, in Senegal il deputato iniziò ad essere una delle personalità più importanti ed influenti, soprattutto agli occhi della popolazione. Tuttavia la carica fu praticamente monopolizzata dai francesi e dai meticci fino all’elezione di Blaise Diagne nel 19141. Inoltre, nel 1879, venne ricreato il Consiglio Generale, abolito nel 1848 durante la II Repubblica. Anche il Consiglio, composto da 20 membri2 divenne elettivo; i consiglieri avevano un mandato di sei anni e il consiglio veniva rinnovato per metà ogni 3 anni. Le sue competenze riguardavano i regolamenti, con competenza maggiori rispetto ai consigli municipali, e aveva un ruolo particolarmente importante a livello finanziario perché al suo interno venivano decise le imposte3. Se verso la fine degli anni ’80 dell’Ottocento quindi, la colonia senegalese poteva godere di una rappresentanza, seppur limitata, sia a livello locale che centrale, la Casamance, continuava ad avere un’amministrazione particolare. Nel ’59 Gorée e i suoi territori annessi venne riunita a Saint-Louis a la regione rimase poco dinamica almeno fino agli anni ’60 dell’Ottocento, tanto che Saint-Martin l’ha definita una “colonia addormentata”4. Ancora un decreto del 1882 assegnava alla regione un capo militare che dipendeva direttamente dal governatore e a livello locale l’amministrazione rimaneva incerta e certamente per nulla paragonabile alla maturità presente già nei comuni del nord: mentre a Saint-Louis le campagne elettorali infiammavano gli spiriti, la Casamance non conosceva nemmeno l’esperienza coloniale; e Ziguinchor era ancora portoghese…5. Perché? Altra prova della presunta alterità della Casamance rispetto al nord? Segno di una volontà di separazione? Secondo il MFDC il decreto del 1882 costituirebbe una pietra miliare della storia del “Territorio della Casamance”. Infatti: Il 12 ottobre 1882, per decreto del governatore francese la Francia sopprime il 2° arrondissement della Colonia del Senegal, quello di Gorée. Le colonie francesi a sud del Gambia ottennero la loro autonomia amministrativa relativa. Gorée e una parte del Sine–Saloum sono attaccate a Saint–Louis del Senegal. ma con la stessa legge, lo stesso decreto, al posto di integrarla nel Senegal, […] al contrario la Franciaconferma l’esistenza e la specificità dell’entità casa mancese sotto orbita francese, paese di protettorato. Ne precisò i suoi limiti a nord. Creando il territorio della Casamance, inizialmente chiamato 1 Vedere parte IV, capitolo 1. Inizialmente erano 16 “10 per Saint-Louis, 4 per Gorée-Dakar, 2 per Rufisque. Più tardi quando Gorée e Dakar vennero separati il Consiglio Generale contò 20 membri”, HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 132-133. 3 Il Consiglio Generale della colonia fu particolarmente importante per la maturazione politica dell’élite creola e africana. Al suo interno la vita politica riprendeva finalmente dinamismo. Al suo interno spesso sedevano uomini dalla già indiscussa esperienza politica, soprattutto se paragonati ai molti giovani amministratori francesi che non avevano alcuna conoscenza della realtà sul campo. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 80. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 131. 4 SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit. 5 Documentazione Rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, MFDC, “Memento de l’Histoire de la Casamance”. Abbé Diamacoune Senghor, “Lettera al Presidente della Repubblica Francese”, 2000. Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 61. 2 112 “Distretto di Casamance”, la Francia ne confidò l’amministrazione all’autorità di un luogotenente–governatore, con residenza a Gorée1. Tuttavia, altre ricostruzioni come quella di Charpy, sottolineano al contrario, l’appartenenza della Casamance alla colonia del Senegal malgrado la particolarità della sua amministrazione. Già nei primi anni del II Impero i commercianti e primi fra tutti la società commerciale Maurel et Prom si interessarono alla Casamance. La produzione dell’arachide venne incentivata e la zona sembrava promettente dal punto di vista commerciale. In particolare si cercò di far pressione sul ministero perché anche in Casamance venisse iniziata una politica attiva diretta dal residente di Karabane BertrandBocandé. Si tratta va di seguire la stessa politica seguita da Faidherbe al nord e di fare di Karabane la “Saint-Louis della Casamance”. Tuttavia, le cose andarono in maniera diversa e in seguito a vari motivi: la morte innanzitutto del ministro Ducos che era stato il fautore della nuova politica al nord. Venne rimpiazzato da Hamelin che aveva una maggiore predilezione per i governi militari e una scarsa simpatia per la Maurel e Prom. A ciò va aggiunta anche la situazione incerta della regione, e le difficoltà legate all’assenza di un’autorità centralizzata al di là del Fuladu. Il decollo della regione morì quindi sul nascere e non per un’assenza di politica unitaria del Senegal, quanto piuttosto per la fine della congiuntura “favorevole” della lobby commerciale. Un’occasione mancata senza dubbio, che piuttosto va presa come un primo segno dell’isolamento geografico, economico, politico a cui sarà soggetta la regione negli anni a venire. In più, come già osservato, già dal 1859 Gorée venne riunita al Senegal. Anche in questo caso le pressioni principali vennero da quella sezione della lobby commerciale che non aveva visto di buon occhio la separazione. Le quotazioni dell’arachide rimontavano, i territori del sud erano promettenti. La separazione frustrava le iniziative2. Così con un decreto imperiale del 1859 il Senegal si riappropriava della propria unità e venne divisa in tre arrondissements: Saint-Louis, Bakel e Gorée. Divisione che rimase pressoché invariata fino alla sua partenza nel 1865. A questo punto un nuovo periodo storico si stava aprendo: il ventennio 1870-80. Mentre le riforme, gli assestamenti amministrativi si susseguivano, la conquista coloniale francese, ed europea più in generale, raggiungevano il loro apice. L’Africa veniva spartita. Il Senegal venne progressivamente occupato dalla Francia. In Casamance le riforme amministrative mostravano l’incertezza e le difficoltà della pacificazione: nel 1882 il comandante del II arrondissement, [Dakar–Gorée], venne sostituito da un luogotenente–governatore – di fatto il comandante della Marina a Gorée–Dakar, sotto l’autorità del governatore del Senegal e incaricato del possedimenti francesi situati lungo i fiumi del sud” (Saloum, Casamance, Rio Nunez, Rio Pongo, Mellacorée). Nel 1886 i possedimenti francesi in Casta d’Oro e nel golfo del Benin, […] vengono posti sotto l’autorità del luogotenente–governatore. Nel 1889 infine, sono staccati dal Senegal i territori situati a meridione spetto alla Guinea portoghese per formare le future colonie della Guinea 1 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, Le Soleil, Dakar, 22/12/1993. 2 “[…] la riforma territoriale del ‘54 è abrogata due anni più tardi per soddisfare nello stesso tempo la preoccupazione dell’espanzione militare della Francia, il desiderio delle autorità di stabilire una linea telegrafica e una ferroviaria tra akar e Saint-Louis e le aspirazioni dei commecianti di Gorée desiderosi di essere sostenuti da un potere forte” CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, Le Soleil, Dakar, 22/12/1993. Vedere anche SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, IBIDEM, pp. 400–406. 113 Francese, della Costa d’Avorio e del Dahomey. Il Saloum e la Casamance rimangono parte integrante della colonia del Senegal1. Con il trattato del 12 maggio 1886, finalmente anche Ziguinchor entrò a far parte dei possedimenti francesi. A questo punto, al ministero ci si pose il problema di che tipo di organizzazione amministrativa e politica dotare il Senegal, per far si che diventasse “una bella colonia compatta” così come aveva progettato Faidherbe. Era opportuno estendere le nuove strutture comunali al resto del Senegal? o forse era meglio optare per qualcosa di diverso? È in questo momento che venne deciso un importante cambiamento di rotta. Sono gli anni in cui si passò dalla strategia dell’assimilazione a quella dell’associazione. O meglio: si decise di formalizzare quella sorta di binario parallelo nell’organizzazione coloniale che si era di fatto già creato dall’espansione di Faidherbe in poi: l’assimilazione nei communes e l’associazione nel resto del paese. 5 DA ASSIMILATI AD ASSOCIATI: LE NUOVE STRUTTURE COLONIALI E L’AMMINISTRAZIONE DELLA CASAMANCE 5.1 L’AOF E IL GOVERNO COLONIALE Dalla prima parte di questo saggio è emerso che intorno agli anni ’80 dell’Ottocento gran parte dei territori che compongono l’odierna Repubblica del Senegal erano ormai stati conquistati e posti sotto protettorato. Si trattava ora di organizzarli dal punto di vista amministrativo e politico, bisognava cioè creare una rete burocratica capace di dare effettività e visibilità al dominio francese. La decisione riguardante il come venne presa a partire dai risultati (deludenti per i francesi!) che aveva dato la politica di assimilazione nei communs. Assimilazione per i francesi significava di fatto completa adesione della popolazione locale alla cultura francese. Ovviamente da questo punto di vista i passi fatti erano stati davvero pochi. La popolazione locale rimaneva salda intorno ai valori e pratiche tradizionali considerate però per molti aspetti inferiori o barbare dai francesi. Procedere con l’assimilazione immediata avrebbe significato la creazione di una rete efficiente di infrastrutture e scuole, oltre che l’estensione delle strutture di amministrazione diretta già presenti nei quattro communes a tutto il territorio, al fine di diffondere la cultura francese e rendere “civili” le popolazioni locali. Ciò avrebbe significato estendere anche diritti politici, seppur limitati. Ovviamente, il governo francese non voleva e poteva permettersi un simile dispendio di energie. Essendo queste le premesse, si optò per quella che doveva essere una fase intermadia nel processo di assimilazione: l’associazione2. Con un decreto del 1882 i territori conquistati vennero distinti in “territori d’amministrazione diretta”3 e territori di “protettorato”1. Il crescente contrasto tra il 1 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, op. cit. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 127. 3 I territori di amministrazione diretta comprendevano le quattro municipalità e gli avamposti situati lungo la ferrovia e i corsi dei fiumi Senegal, Salume Casamance. In quest’ultima regione quindi venivano compresi Seju, Karabane e Ziguinchor. 2 114 principio dell’assimilazione con quello dell’associazione venne così sanato: l’assimilazione continuava ad esser perseguita almeno formalmente nei communes; l’associazione riguardava il protettorato. Questa suddivisione permetteva di formalizzare un’importante distinzione nello status delle persone: i citoyen erano quelli dei communes, tutti gli altri erano solo sujects. Essi non avevano diritti politici o civili, e rimanevano soggetti almeno formalmente a ciò che rimaneva delle strutture amministrative degli stati pre-coloniali. Inoltre, dal 1887 in poi essi vennero sottoposti all’ “indigenato”, un sistema che dava agli amministratori coloniali ampia discrezionalità sia nello stabilire le norme all’interno della propria circoscrizione che nel punire le infrazioni. Infine, erano sottoposti a diverse forme di lavoro forzato2. Tra il 1895 e il 1904 vennero gettate le basi per una nuova organizzazione coloniale. Un decreto del 1895 prevedeva la creazione dell’AOF, cioè la federazione dell’Africa Occidentale Francese. In un primo momento venne stabilito che il governatore del Senegal avrebbe dovuto assumere anche il ruolo di governatore generale dell’AOF e la sua sede venne infatti posta a Saint-Louis. Poi però, nel 1902 le due cariche vennero separate e la sede dell’AOF venne di conseguenza spostata a Dakar3. Nel 1904 un apposito decreto, quello del 18 ottobre, stabilì in maniera più precisa l’organizzazione e le competenze dell’AOF e difatti viene considerato il suo atto costitutivo. Questo decreto è molto importante anche perché introdusse una fondamentale divisione: quella tra i “territori amministrati direttamente”, cioè le quattro municipalità della costa nord, e “i territori sotto protettorato”, ovvero il resto del Senegal. Si formalizzava così la distinzione tra assimilazione e associazione, tra cittadini e sudditi, quella tra amministrazione diretta e indirect rule. Il sistema binario di cui si è parlato in precedenza era stato creato. Le colonie facenti parte dell’AOF vennero strutturate in maniera molto gerarchica, attraverso una struttura piramidale dell’ organizzazione territoriale. A livello centrale, si andava dal vertice, costituito dal ministro delle colonie, si passava per il Governatore generale dell’AOF, fino a quelli delle singole colonie. A livello regionale, il territorio era diviso in cercles o regioni, in cantons o province, fino ad arrivare all’unità amministrativa base, il villaggio. Oltre ai capi che rappresentavano ciascuno di questi livelli dell’amministrazione bisogna ricordare il Consiglio generale della colonia e i consigli municipali dei communes, che chiudono il cerchio delle istituzioni preposte all’amministrazione della colonia4. È importante sottolineare che tutte le cariche, ad eccezione dei capi dei cantons e dei villaggi che in genere spettavano alla popolazione autoctona, erano appannaggio dei francesi o dei meticci. La Casamance venne inglobata all’interno di queste riforme. Nel 1885 il governatore Merlin ridisegnò le circoscrizioni amministrative: venivano create 8 circoscrizioni di cui 7 cercles e un distretto, la Casamance, divisa a sua volta in due cercles (con Seju e 1 2 3 4 Fino al 1890 i territori amministrati direttamente comprendevano tutti i territori costieri da SaintLouis al Gambia; l’interno, con la Casamance compresa, era considerato “paese di protettorato”. Dal 1890, i territori amministrati direttamente saranno solo Saint-Louis, Gorée e la fascia di terra su cui nel 1885 era stata costruita la linea ferroviaria che univa Saint-Louis a Dakar. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., pp. 44. Per un approfondimento delle differenze tra la contizione di suject e citoyen vedere il capitolo successivo. Alla fine l’AOF contò otto colonie: Senegal, Guinea, Costa d’Avorio, Dahomey, Mauritania, Niger, Alto Volta e Sudan francese. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 126 e 133. Su un più dettagliato resoconto delle funzioni di tali organi vedere HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 138-141. 115 Karabane come capoluoghi). Il distretto, unico in tutta la colonia, confermato dalle riforme del 1895 e 1904, mantenne la Casamance in una condizione di “diversità amministrativa” fino al 1939 quando venne soppresso1. Tale regime, che metteva tutta la regione sotto l’autorità di un amministratore superiore che dipendeva direttamente dal governatore del Senegal, sembrava agli occhi degli amministratori dell’epoca appropriato a far fronte ai problemi di isolamento della Casamance: il Gambia rendeva le comunicazioni discontinue, i collegamenti via battello erano ancora disagevoli, la linea telegrafica era inesistente2. Autonomia politica quindi, con la presenza di un amministratore superiore residente a Seju prima e a Ziguinchor dal 1909, e autonomia amministrativa. Sembrava mancare solo l’autonomia finanziaria per fare della regione una vera e propria colonia staccata da quella del Senegal. In effetti tale eventualità venne ipotizzata da più parti e ventilata nelle sale ministeriali3. Tuttavia ancora una volta, fu l’economia, la lobby del commercio capitalista metropolitano e “senegalese”4, ad avanzarne l’esigenza. Alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento venne creata la Compagnia commerciale e Agricola della Casamance, con il monopolio dello sfruttamento di una vasta zona forestale in Bassa Casamance. Il dirigente di questa compagnia, il francese Cousin, aveva in programma di Fare della Casamance una sorta di stato indipendente che sarebbe stato governato e sfruttato nello stesso tempo dalla sua compagnia5. E in questo sembrava avere l’appoggio di certa parte del mondo commerciale metropolitano, desideroso di sottrarre la regione dalla giurisdizione del consiglio generale della colonia. All’interno della regione altri due gruppi erano desiderosi di autonomia: i traitants francesi, spesso piccoli commercianti desiderosi di contrastare le 1 A partire dal 1° gennaio 1904, la Casamance formò un unico cercle invece che uno. Fu diviso in otto regioni affidate a dei residenti sotto l’autorità dell’amministratore superiore a Seju (poi Ziguinchor)”: Fuladu, paese Malinké, il Kiang e il Kabada, il Balantakunda, il Fooñi, il paese diola interno a Brin, Seleki e Bayot, il paese dei diola Flup e il Kombo. “Un amministratore aggiunto all’amministratore superiore fu incaricato in particolare del paese Malinké. I residenti di Ziguinchor, Biñona, Usuy erano degli ufficiali, in ragione dell’insicurezza che regnava nei paesi diola. gli altri erano funzionari civili”. “Seju, Ziguinchor e Karabane restarono territori di amministrazione diretta che faceva riferimento all’autorità del Senegal, mentre gli altri territori della Casamance facevano riferimento alla direzione della Senegambia–Niger”. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 308–309. 2 Se anche si vuole ammettere l’ipotesi di una Casamance con il Senegal ma non nel Senegal quindi, si potrebbe essenzialmente far riferimento al periodo precedente alla riforma del 1895. in seguito a quella riforma e nelle riforme che seguirono almeno fino al ’39, la Casamance venne mantenuta sotto un’organizzazione speciale, ma non per motivi ‘politici’, quanto piuttosto per le esigenze imposte dalla posizione geografica e dall’assenza di vie di comunicazione agevoli e veloci (la Transgambiana, la strada che collegò la regione al Senegal passando per il Gambia, ce accorciò notevolmente i tempi di viaggio, fu inaugurata solo nel 1957!). Questa tesi sarebbe condivisa che dalle analisi di DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., e di MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit. 3 Vedere per esempio la lettera del governatore generale Angoulvant del 29 settembre 1916 e il rapporto generale del territorio della casamance del 1935 in DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 62. 4 Era consuetudine all’epoca indicare con il termine “senegalesi” non tanto la popolazione autoctona quanto i commercianti francesi trapiantati nella colonia. 5 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, op. cit. Anche Darbon insiste sulla questione dell’isolamento della regione: “A questo si aggiunga una reale marginalizzazione della regione, che è sempre rimasta in disparte nelle preoccupazioni dell’amministrazione centrale, per divenire una regione come tutte le altre solo a partire dalla seconda guerra mondiale” DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 62. 116 grandi compagnie del nord e i meticci portoghesi che speravano con l’indipendenza di ottenere l’uguaglianze con i citoyen emigrati dei Quattro Comuni1. Molti altri progetti furono quindi presentati nel corso degli anni: quello “Debonne”per esempio proponeva la creazione di una colonia indipendente, oppure quello “Chessé” che invece pensava ad una grande circoscrizione speciale come quella già presente a Dakar. Le autorità principali della colonia furono tuttavia risolute nel negare a più riprese una simile eventualità. Il governatore generale dell’AOF William Ponty rifiutò persino la suddivisione in Alta, Media e Bassa Casamance avanzata dall’amministratore superiore McLaud nel 1912, poiché riteneva Superfluo creare una sorta di amministrazione ibrida, in un territorio che comunque presenta una propria originalità. Il 16 marzo 1914 William Ponty2, sbarcò in Casamance per una visita di qualche giorno nella regione. Al suo arrivo venne accolto con acclamazioni quali “Viva Ponty” o “Viva la Casamance” ma anche “autonomia!”. A gridare questo slogan era ancora una volta un commerciante francese della regione, membro anche del consiglio municipale3. Ancora, nel 1924 il predente della Camera di Commercio di Ziguinchor così scriveva: la riorganizzazione della Casamance resta sempre un tema d’attualità […]; la questione dell’autonomia finanziaria della Casamance non è nuova… Già nel 1909…, nel 1914 in occasione della visita di Ponty, in settembre rinnovata al governatore generale Van Vollenhover. A causa della sua distanza dal capoluogo, la Casamance è restata da lungo tempo ignorata e trascurata […]. Infine, nel 1936, l’amministratore superiore in una lettera indirizzata al governatore del Senegal scriveva: se si vuole scoraggiare il movimento di propaganda in favore dell’autonomia amministrativa e finanziaria della Casamance, bisogna prendere la triplice misura che segue: rapidità e frequenza delle comunicazioni tra Dakar e Ziguinchor, deconcentrazione amministrativa, concessione razionale del credito4 5.2 L’AMMINISTRAZIONE LOCALE Per tutto il periodo d’esistenza del distretto la regione è stata anche caratterizzata da un continuo susseguirsi di divisioni e riunioni di cantons. Ancora nel 1910, il governatore della Casamance scriveva in uno dei suoi rapporti: numerosi tentativi sono stati fatti nel passato e saranno certamente tentati nel futuro per trovare a questo adattamento amministrativo del territorio una formula migliore, ancora più vicina alla realtà etnica del 1 DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, Karthala, Parigi, 2002: pp. 401. Il governatore generale dell’AOF in carica. 3 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 323. 4 Tutte le citazioni proposte sono state riportate da CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, op. cit. 2 117 paese. Bisognerà davvero arrivare ad una suddivisione che faccia di ciascun gruppo o partito , una circoscrizione indipendente1. La tabella nella pagina accanto aiuta certamente a capire le variazioni amministrative a cui la Casamance è stata soggetta fino agli anni ’40 del Novecento. Sarebbe inutile ripercorrere tappa per tappa i cambiamenti amministrativi a cui la regione fu soggetta. Due elementi vanno però sottolineati. Dalla tabella emerge che in quegli anni fu proprio la zona della Bassa Casamance ad essere maggiormente coinvolta nella logica ritagli-unioni-ritagli. Questi cambiamenti hanno innanzitutto un motivo economico: tagliare sui costi di amministrazione era un’esigenza impellente anche all’epoca. Tabella 2: le riforme amministrative in Casamance (adattamento da Darbon (1984): pp. 63-65) DECISIONE 19– 07–1890 DIVISIONE IN DUE CERCLES: ALTA E BASSA CASAMANCE DECISIONE 25–05–1891 UNIONE TERRITORI IN UN UNICO CERCLE CON SEJU COME CAPOLUOGO DECISIONE 25– 04– 1892 DIVISIONE IN DUE CERCLES 11–05– ORDINANZA LA CASAMANCE DIVENTA UN DISTRETTO. MANTIENE LA 1895 SUDDIVISIONI IN DUE CERCLES, E VIENE SUDDIVISA IN TERRITORI AMMINISTRATI DIRETTAMENTE E SOTTO PROTETTORATO DECISIONE 21–09–1899 DEFINIZIONE LIMITI DEI CERCLES E DEL DISTETTO 01–01–1904 RIUNIONE IN UN UNICO CERCLE. DIVISIONE INTERNA IN 8 REGIONI DIRETTE DA DEI RESIDENTI SOTTO L’AUTORITÀ DELL’AMMINISTRATORE SUPERIORE DI SEJU 18–01–1907 ORDINAZA 01–06–1907 mai applicato ORDINANZA ZIGUINCHOR DIVENTA COMUNE “MISTO” DIVISIONE IN DUE CERCLES: BASSA CASAMANCE (FORMATO DA TRE RESIDENZE E DUE SCALI) E ALTA CASAMANCE (CON TRE RESIDENZE E UNO SCALO) ORDINANZA 10–05–1912 DIVISIONE IN 3 CERCLES: BASSA CASAMANCE (CON 3 RESIDENZE), MEDIA CASAMANCE (CON 3 RESIDENZE), BASSA CASAMANCE (CON UNA RESIDENZA) ORDINANZA 20–11–1917 DIVISIONE DELLA BASSA CASAMANCE IN 3 CERCLES DECRETO 04–12–1920 SOPPRESSIONE DELLA DIVISIONE DEL TERRITORIO IN PROTETTORATO E AMMINISTRAZIONE DIRETTA ORDINANZA 06–09–1922 ALLA CASAMANCE VIENE ATTRIBUITA UN’AMMINISTRAZIONE SUPERIORE DIVISA IN 5 CERCLES: ZIGUINCHOR, BIGNONA, SEJU, KAMOBEUL, KOLDA ORDINANZA 13–12–1934 RIORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA DELLA CASAMANCE ORDINANZA 26–11–1939 DIVISIONE IN DUE CERCLES: ZIGUINCHOR (CON 3 CIRCOSCRIZIONI), KOLDA (CON 1 SUDDIVISIONE) ORDINANZA 19–12–1940 NUOVA RIORGANIZZAZIONE DELLE SUDDIVISIONI AMMINISTRATIVE ORDINANZA 13–05–1944 CASAMANCE DIVISA IN UN CERCLE FORMATO DA 6 CIRCOSCRIZIONI Tuttavia, le ragioni sono principalmente di carattere politico. La logica dei ritagli è strettamente legata alla pacificazione che proprio in questa regione terminò negli anni venti, quando popolazioni diola e balant si rassegnarono alla presenza francese con circa 40 anni di ritardo rispetto al resto della colonia e anche rispetto alla Media e Bassa Casamance. La rassegnazione però è ben altra cosa rispetto alla sottomissione. Per questo, nell’apparente anarchia delle modificazioni amministrative, è necessario leggere 1 ARCHIVI DEL SENEGAL, Monografia della Casamance, cit. in DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 63. 118 un tentativo dell’amministrazione di adattarsi alla diversità etnica della zona; non a caso Darbon spiega: le numerose modificazioni dei limiti dei cantons erano dirette il maggior numero di volte a permettere di adeguare meglio la struttura amministrativa alla struttura sociale. Quelle nuove divisioni dovevano corrispondere alle necessità politiche, al raggruppamento delle razze e d’interesse delle popolazioni indigene. Si può constatare l’esistenza di contoni flup Bainunk, balant, tukolor (Kabada), e una certa similitudine tra i la struttura contonale coloniale e la tipologia dei gruppi diola data da L.V. Thomas (1958).1 È interessante notare che la “logica dei ritagli” deve essere vista nel lungo periodo. Nel 1984 il governo senegalese ha deciso di avviare una riforma amministrativa che decretava la “fine” di quella che sino a quel momento era stata la Regione di Casamance, riforma che riportava la regione alla stessa situazione degli anni ’40. Sui motivi, tutti politici, che soggiacevano a questo cambiamento ci si fermerà oltre. Ciò che è interessante notare sin da ora è proprio il fatto che i rimaneggiamenti amministrativi sono stati una costante nella storia della regione. Lo schema proposto da Marut2, sulla base dei già citati studi di Dominique Darbon, su tale argomento nel periodo che va dal 1890 al 1984, offre un’efficace immagine visiva, che permette sicuramente di cogliere appieno e porre in maniera prospettica la questione amministrativa (vedere figura pag. seguente). Alcuni cambiamenti avvennero anche a livello municipale; dal 1891 in poi venne posta la differenza tra i communes de pleine exercice, ovvero le municipalità di Saint-Louis, Gorée, Rufisque e Dakar, che avevano sindaci, assessori e un consiglio eletti, con proprie funzioni e una certa autonomia finanziaria; e i communes mixtes, in cui tutte le cariche rimanevano non elettive3. Nel 1920 un’altra importante riforma introdusse la possibilità di estendere questo regime anche alle città poste nell’interno, nelle zone sotto protettorato. Città importanti come Seju, poterono finalmente beneficiare delle nuove disposizioni. In più lo steso decreto prevedeva tre gradi diversi di municipalità a regime misto: la differenza stava nelle commissioni comunali che da allora poterono essere nominate o elette con suffragio universale o ristretto. Ziguinchor venne innalzata al rango di municipalità mista nel 1907: oltre al sindaco il governatore nomina anche i consiglieri che dovevano comporre la commissione, generalmente formata da tre europei e due africani4 e beneficiò successivene, insieme a Kolda, della possibilità di eleggere direttamente il proprio consiglio di notabili comunali. Seju invece con la riforma del 1920, poté acquisire lo status di commune mixte ordinario5. 1 DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 67. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., pp. 240–241. 3 Un amministratore coloniale-sindaco, un assessore autoctono e la commissione. 4 Era antica consuetudine suddividere le funzioni comunali tra le varie componenti etniche. Questa tradizione, già presente durante l’Ancien regime, venne ripesa nell’800. In genere però, la componente africana otteneva posti secondari ed era comunque accessibile ai pochi “assimilati”. 5 LEGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale”, op. cit., p. 428-429. HESSELING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 146-147. 2 119 Figura: MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., pp. 240–241. CONCLUSIONE La Casamance è stata amministrata diversamente, come una colonia separata? Secondo le conclusioni a cui Jacques Charpy è arrivato sulla base dei documenti d’archivio, sembrerebbe proprio di no. Tali conclusioni sono particolarmente rilevanti, tanto per l’accuratezza della sua ricerca, tanto per il modo in cui è nata, dopo il secondo cessate il fuoco di Ziguinchor, nel 1993, e su proposta del leader storico l’Abbé Augustin Diamacoune Senghor. Proviamo, con l’aiuto delle sue conclusioni a tirare le fila del discorso sull’indipendenza storica della Casamance rispetto al Senegal. Innanzitutto: La Casamance non esisteva come territorio autonomo prima della colonizzazione. I territori situati tra il Gambia e la Guinea Bissau durante la colonizzazione francese, sono sempre stati amministrati dal governatore del Senegal, anche se certe volte, tenuto conto dei problemi militari della ‘pacificazione’ il governatore generale dell’AOF è dovuto intervenire. […]. La resistenza della Bassa Casamance non ha impedito alle autorità di Saint–Louis e di Dakar di proseguire la politica definita da Faidherbe, che desiderava fare del Senegal “una bella colonia compatta”1. Charphy confutava così, sulla base dell’analisi storica le due principali tesi su cui si basava tutta l’impalcatura ideologica del movimento indipendentista: la presenza di una “Casamance storica” e quello dello status giuridico separato della regione durante il colonialismo. 1 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, op. cit. 120 Charpy conclude affermando che, Il problema che si è posto al colonizzatore è stato più un problema di amministrazione che di governo. Lo sviluppo dei servizi e delle istituzioni ha seguito lo stesso ritmo e lo stesso processo in tutto il Senegal1. Un problema di amministrazione, dunque. L’Abbé Diamacoune Senghor ha tuttavia risposto al rapporto Charpy con un documento intitolato “Casamance. Le pays du réfus” in cui ribadisce la sua tesi della Casamance come ‘Terriotorio’ separato dalla colonia del Senegal: Si vuole dimenticare che se alcuni paesi conoscono un problema di economia o di democrazia, la Casamance conosce invece un problema di DECOLONIZZAZIONE… – – – Abbasso la regionalizzazione Abbasso i surrogati dell’autonomia! Viva l’Indipendenza Nazionale della Casamance! […]. È un diritto reale, assoluto, inalienabile, non negoziabile ed imprescrittibile2. Dal 1882, con il decreto che stabiliva un’amministrazione speciale per la Casamance, il MFDC parla dell’esistenza di una colonia separata da quella del Senegal. L’analisi ha mostrato che certamente la Francia ha avuto numerosi momenti di ‘incertezza’ verso lo statuto e l’organizzazione da dare alla regione. Tuttavia, nessun documento sembra dimostrare con certezza lo staus indipendente; tanto più che la stessa Francia centralizzerà l’amministrazione dopo la seconda Guerra Mondiale, omogeneizzandola a quella el nord e che il MFDC lamenta la distruzione di documenti comprovanti lo statuto speciale3. Piuttosto, al proposito ritengo debba essere aggiunta un’altra osservazione particolarmente rilevante sul rapporto che le popolazioni hanno instaurato con il governo francese e che necessariamente influirà con l’amministrazione senegalese dopo l’indipendenza: La Casamance per la sua situazione geopolitica costituisce una zona intermedia. Infatti nella regione sono messi in contatto popolazioni guineane e popolazioni sudaniche. Allo stesso modo,sono messi in contatto modi di organizzazione acefali ed egualitari con dei sistemi più formalizzati e gerarchici. Infine sono messe in relazione popolazioni impiantate sul terreno da molto tempo (diola, balant, mande, fulani) e altre venute più di recente […]. Questi tre tipi di variabile danno le chiavi essenziali per spiegare il rapporto tra ciascuna popolazione e le loro relazioni rispetto all’amministrazione4. 1 CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, op. cit. Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 3 Sul tema dell’amministrazione ritorneremo per analizzarlo con maggiore dettaglio. Vedere parte V, capitolo 1. 4 DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 26. 2 121 È probabilmente dal rapporto che le popolazioni hanno saputo instaurare con l’amministrazione che va ricercata la maggiore differenza con il resto del Senegal e uno delle maggiori cause che ha dato vita ad un “sentimento casamancese”. Si è trattato essenzialmente di un problema di comunicazione e di integrazione politica: come si vedrà, le popolazioni della regione svilupparono modi diversi rispetto al nord del paese per approcciarsi ed inserirsi all’interno potere coloniale. In quegli anni nasceva all’interno della confraternita murid e tijiane quello che sarebbe poi stato chiamato il “modello islamo–wolof”, da cui le popolazioni della regione si troveranno escluse. A ciò va aggiunto il fatto che l’intera impalcatura amministrativa coloniale era di tipo gerarchico e basata sulla necessità di avere come unico anello degli alleati locali, fossero essi i capi di villaggio o i marabutti, per avere una presa affettiva del territorio. Questo modello, che rispecchia essenzialmente la cultura era maggiormente adatta e riproducibile senza particolari problemi all’interno delle società in cui vigeva lo stesso tipo di principio gerarchico e autoritario, come per esempio molte società senegalesi (wolof, fulani, mande ecc). Questa struttura venne tuttavia applicata anche a società, come quella diola, in cui l’autorità e la gerarchia erano sostanzialmente assenti. Di fatto gli europei ebbero molta difficoltà a capire il modo egualitario di organizzazione politica, che essi giudicavano ‘anarchico’ e prova ne sono i tanti tentativi di aggiustamento amministrativo: l’amministratore cercò varie soluzioni nel tentativo di adattarsi alle particolari caratteristiche di quella società. Parallelamente i diola non capivano e tolleravano l’esigenza di autorità dei francesi, tanto più che essi si ponevano come ‘conquistatori’ della regione: da ciò la reticenza della popolazione, la resistenza passiva e le difficoltà amministrative per i francesi1. 1 Vedere capitolo 3. 122 CAPITOLO 2 L’ECONOMIA COLONIALE Dopo aver mostrato le difficoltà amministrative dei dirigenti coloniali in Casamance e come questo si sia tradotto nell’emarginazione delle società giuneane, in questo capitolo si cercherà di analizzare come la Casamance venne integrata all’interno dell’economia della colonia. A questo fine, vedremo il modo in cui il Senegal si è ‘convertito’ all’arachide prestando una particolare attenzione al ruolo svolto dalla confraternita murid nel nord del paese. Successivamente, si analizzerà con maggiore dettaglio la situazione della Casamance, curiosando tra gli attori principali e i prodotti maggiormente coinvolti, per capire se l’emarginazione politica è stata perlomeno in parte colmata dall’integrazione economica. 1 LA NASCITA DI UN’ ECONOMIA BASATA SULL’ARACHIDE 1.1 LA SCELTA DELL’ARACHIDE La fine della tratta degli schiavi pose tutte le potenze coloniali davanti ad un bivio: lasciare gli scali commerciali africani (e non!) oppure cercare di sviluppare prodotti alternativi, altrettanto remunerativi, che rendessero conveniente rimanere sul continente. Come è già stato osservato in Senegal, così come altrove si optò per la seconda soluzione; il prodotto principale scelto per sostituire il mercato degli esseri umani doveva essere l’arachide. Non bisogna pensare che individuare questo prodotto fu semplice: il primo tentativo di usare la manodopera africana sul posto, anche per la produzione di arachidi, fu all’inizio un completo fallimento, che incentivò la ricerca di altri prodotti. La maggiore attenzione dei francesi per la casamance negli anni 1840–50 si spiega in questi termini1. Tuttavia, l’arachide sembrò alla fine il prodotto maggiormente adatto al clima secco del Senegal, all’interno della logica economica seguita all’interno dell’impero coloniale francese in cui ogni colonia doveva fornire principalmente un prodotto (arachide, riso, ecc. ), per le necessità della madrepatria e delle altre colonie; si trattava essenzialmente di una sorta di divisione dei compiti, basato sul metodo della monocoltura2. Si è anche detto, che la scelta dell’arachide determinò la necessità di “ripensare” la presenza sul continente: avere il completo possesso del territorio era indispensabile per realizzare gli obiettivi di sfruttamento economico. Da qui la “scramble for Africa” che ha caratterizzato gli anni ‘60–’90 dell’Ottocento. 1 2 Vedere parte II, capitolo 1 (4). Sull’introduzione dell’arachide nell’Africa occidentale vedere in particolare BROOKS, George E. "Peanuts and colonialism: consequences of the commercialization of the peanuts in west Africa, 1830-70", The Journal of African History, 1975, XVI (I): pp. 29-54. 123 La scelta dell’arachide non fu incentivata solo dal clima sudanese del nord dell’attuale Senegal. Il sistema di tipo “feudale” degli stati africani della regione, che ruotava essenzialmente su un sistema di concessioni e canoni sulla terra che si articolava su vari livelli: dal sovrano (damel, …, a seconda della regione) fino ai contadini, passando per i principi locali (laman). Un sistema, come si può notare del tutto simile al “nostro” sistema feudale. Controllare il sovrano significava sostanzialmente controllare le terre e la produzione agricola; e fu proprio ad ottenere questo controllo a cui i francesi mirarono negli anni della conquista. La presa di possesso del territorio non fu un processo immediato. Durante l’espansione coloniale e la lotta con i vari regni del nord, l’intera impalcatura di potere crollò, creando l’anarchia nelle campagne e nel sistema di gestione delle terre che il potere stesso gestiva ed assicurava. L’obiettivo della Francia era comunque quello di far si che il sistema rimanesse in piedi: prova ne è il sostegno dato ad alcuni sovrani locali, o la loro sostituzione con sovrani “amici” facilmente controllabili e manipolabili, che avrebbero dovuto fungere da intermediari dei francesi presso la popolazione. Tuttavia, mentre gli amministratori militari francesi si affaticavano a perseguire i loro fini, un nuovo movimento, di natura islamica, sembrò dover creare dei problemi alla realizzazione dei loro progetti. La Muridiyya infatti arrivò ad inserirsi all’interno dell’ anarchia creata dalla conquista francese, e sembrò accollarsi la funzione di gestione delle terre su cui i francesi volevano invece avere il controllo1. Ma, nel giro di pochi anni, i francesi si resero conto dell’utilità di un’alleanza strategica con coloro che verranno ribattezzati i “marabutti dell’arachide”2. 1.2 LA NASCITA DEL BINOMIO “MARABUTTO–ARACHIDE” NEL BACINO ARACHIDIERO Uno dei pilastri fondamentali della confraternita murid fu sin dagli esordi, il lavoro. Così Ahmadou Bamba scriveva in quello che viene considerato il ‘manifesto’ della confraternita, il suo atto fondatore: Colui che volesse imparare a leggere e a scrivere in arabo si rivolga a mio fratello Ibra Faty; colui che volesse lavorare, senza nulla apprendere, si rivolga a mio fratello Sidi el Makhtar; colui che volesse fare entrambe le cose (imparare e lavorare) si rivolga ugualmente a Serigne Ibra Faty; colui che non voglia fare né l’una né l’altra cosa, sia cacciato e che vada dove vorrà.3 1 Non a caso i francesi non videro di buon occhio la nascita di questo nuovo movimento, tanto più che all’inizio pensarono che avrebbe dato vita ad un nuovo jahad, portando alla ribalta gli anni dei marabutti–guerrieri. Successivamente la loro “territorializzazione” creò non poche preoccupazioni all’amministrazione coloniale. 2 La muridiyya ha avuto storicamente e riveste ancora oggi un ruolo di primissimo piano all’interno dell’economia, e certamente è uno dei gruppi di pressione più potente. Tuttavia, non bisogna dimenticare il fatto che questa confraternita non è l’unica presente nella zona del bacino arachidiero. Altre due confraternite, ad essa precedenti le contendono i fedeli: la Qadiryya e la Tijaniyya. Anche queste confraternite coprono essenzialmente la popolazione wolof e al loro interno hanno un’organizzazione gerarchica simile a quella murid. 3 Da sottolineare che un sottogruppo dei murid è quello dei Baay Fall che , portando alle estreme conseguenze la dottrina del “lavoro redentore” si dedica completamente al lavoro per il marabutto, tanto da esser esentati dall’osservanza di alcuni importanti obblighi islamici, quali quello della preghiera quotidiana o del digiuno. SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit., p. 117. 124 È il concetto del “lavoro redentore”, ovvero il lavoro viene innalzato al rango di preghiera. A questo concetto vanno aggiunte le logiche delle leggi consuetudinarie sulle terre e la cosiddetta “territorializzazione della confraternita”. Come già detto in precedenza, vigeva in generale un sistema di concessioni per lo sfruttamento della terra, a cui si poteva accedere dietro pagamento di un canone; tuttavia, in genere nessun canone era richiesto a colui che si occupava per primo del dissodamento di una terra incolta per la sua messa a coltura1. La nuova confraternita usò ampiamente queste leggi per diffondersi e radicarsi nel territorio; lo schema era semplice: un marabutto raccoglieva gli individui che chiedevano di entrare a far parte della confraternita (bambini, contadini in fuga, ma anche ex guerrieri) e li inquadrava all’interno del daara, la tradizionale struttura di base dell’islam senegalese2. Egli arrivava quindi con i suoi fedeli in una certa località dove si procedeva al dissodamento della terra o si chiedeva al capo locale l’autorizzazione per poter costruire i villaggi e coltivare la terra. In questo modo ebbe luogo la “colonizzazione murid”, che iniziò proprio quando i francesi si stavano occupando della loro espansione territoriale3. La ‘conversione’ all’arachide non fu immediata, anche perché i talibè dovevano lavorare per il loro marabutto, ma anche per il sostentamento dell’intera collettività. Ben presto però i cheikh si resero conto dei vantaggi che scaturivano dalla produzione dell’arachide e dall’ingresso nell’economia monetaria. Ma anche i contadini sembrarono trovare alcuni vantaggi in questa nuova coltura: l’arachide era una coltura contadina, nata all’inizio come cultura marginale supplementare da agricoltori che praticavano un’attività di sussistenza. i guadagni erano molto più ampiamente distribuiti rispetto a quelli derivanti dal commercio degli schiavi, e poiché i contadini usarono il loro nuovo guadagno per comprare armi dai commercianti di Gorée, il commercio dell’arachide permise loro di difendersi contro le incursioni dei tieddo [i guerrieri, strettamente legati al sovrano], alterando così l’equilibrio tradizionale del potere.4 Fu così che nacque il sodalizio tra i colonizzatori francesi e i murid e il legame wolof– murid–arachide. Gli uni, i francesi, ottenevano senza troppi problemi quantità sempre crescenti di prodotto da commercializzare in Europa con grandi profitti attraverso una rete infinita di piccoli daara estremamente disciplinati e fedeli al loro marabutto. Gli altri, 1 Questo era una regola consuetudinaria presente soprattutto nel Sine–Saloum; nel Baol, Djolof e Cayor vigeva anche il cosiddetto “droit de sabot”, con il quale il sovrano affidava in via definitiva e senza e senza obbligo di un canone di un appezzamento di terra; se la concessione veniva fatta ad un marabutto, questi assumeva il titolo di serigne, altrimenti quello di farba. Non a caso, Ahmadou Bamba viene anche chiamato “Serigne Touba”. 2 All’interno di questa struttura in cui l’individuo riceveva l’istruzione religiosa e si impegnava a lavorare per il suo marabutto, veniva riprodotto il rapporto di obbedienza incondizionata che il discepolo doveva al suo marabutto, sia in campo religioso che materiale. 3 Ahmadou Bamba inizia l’opera di proselitismo dal 1871; nella ‘colonizzazione’ delle terre venne aiutato dagli altri marabutti, spesso suoi parenti, che si occupavano della gestione dei fedeli e del loro inquadramento nei daara. La territorializzazione della confraternita va vista nel lungo periodo, perché continuerà e sarà anche incentivata durante l’indipendenza, quando la nuova frontiera sarà costituita dalle ‘Terre Nuove’. 4 KLEIN, Martin. “Islam and Imperialism in Senegal: Sine Saloum, 1847–1914)”, Standford University Press, Standford, 1968: pp. 44–45. HANSON, John H. "Islam and imperialism: Martin Klein's contributions to an understanding of the history of senegambian muslim communisties", Canadian Journal of African Studies, 2000, 34 (3): p. 537. 125 ottenevano appoggio ma anche risorse monetarie e altri privilegi da distribuire in parte alla collettività1. Il vantaggio era certamente reciproco, anche perché i capi religiosi wolof si occupavano anche della commercializzazione con le società principali: nello stesso tempo essi formarono quindi la base produttiva e il primo anello di intermediari addetti alla commercializzazione. Come vedremo nel prossimo paragrafo, le cose in Casamance andarono diversamente. 2 LA CASAMANCE E L’ARACHIDE: UN BINOMIO IMPERFETTO 2.1 GLI ATTORI ECONOMICI Malgrado le continue resistenze dei diola della Bassa Casamance, dai primi anni del XX secolo lo sfruttamento della regione iniziò ad intensificarsi, anche grazie alla presenza di un’amministrazione coloniale che finalmente si faceva più incisiva. Quali erano gli attori principali che agivano sull’economia della regione? Per dare un’immagine semplificata, si può pensare ad una piramide al cui vertice troviamo poche grandi società commerciali francesi (sono state al massimo sette), seguite dai commerciati indipendenti francesi e libanesi ed infine, alla base della piramide, troviamo gli africani. La piramide si presta bene a descrivere la situazione dal lato degli attori, poiché dà un’immagine immediata e veritiera del rapporto gerarchico e del numero degli attori. Il vertice della piramide è occupato dalle grandi società commerciali a capitale interamente francese. Possono essere distinte in due gruppi principali, a seconda della COMM. FRANCESI provenienza dei fondatori delle compagnie INDIPENDENTI stesse: i ‘bourdelais’ e i ‘marseillais’. Da Bordeaux provengono i fondatori della Maurel & Prom2, COMM. LIBANESI INDIPENDENTI che Camille Camara (1968) definisce come gli “artefici dell’entrata dell’Africa occidentale nell’economia di mercato”, poiché il loro AFRICANI lavoro comportò un impegno anche in altri campi, come quello dello sviluppo delle infrastrutture e la politica3. Sempre da Bordeaux proveniva anche la Peyrissac & Petersen. Le grandi società internazionali erano invece quelle legate agli interessi GRANDI SOCIETÀ 1 Un esempio è dato dalla nascita delle Società Indigene di Previdenza (SIP) che avevano formalmente il compito di affiancare i contadini al fine aumentare la produzione, fornendo loro le sementi. Tutti i capi famiglia, pastori o agricoltori, erano obbligati ad iscriversi nelle SIP. Tuttavia, nella pratica andavano a tutto vantaggio dei marabutti che da esse traevano altre risorse per le loro attività. Vedere capitolo successivo. GELLAR, Sheldon. “Pluralisme ou jacobinisme: quelle démocratie pour le Sénégal?”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 511. SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit., p. 209. 2 Louis Hubert Prom e Hilaire Maurel furono i fondatori del colosso della Maurel et Prom nel 1831. Per un approfondimento sui fondatori e i loro discendenti, le attività della società commerciale, il coinvolgimento nella politica vedere in particolare SAINT-MARTIN, YvesJean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit. 3 CAMARA, Camille. “Saint–Louis du Sénégal”, cit. da TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 99. 126 economici che facevano capo a Marsiglia. Tra queste le più rilevanti furono certamente la Compagnie Française de l’Afrique Occidentale (CFAO), fondata nel 1881 dalle ceneri della precedente Compagnia del Senegal e della Costa d’Africa, la NOSOCO e la SCOA1. Nelle posizioni centrali della piramide troviamo i commercianti indipendenti, principalmente di origine francese e libanese, rispettivamente noti con il soprannome di “mangia–miglio” e “mangia–riso”. In genere si trattava di uomini che guadagnavano i territori coloniali lungo la costa occidentale come ex militari o come ausiliari delle grandi compagnie; alcuni tentarono la sorte mettendosi in proprio e cercando di tirar su un’impresa commerciale. Nei casi di maggiore successo, essi riuscirono a creare imprese di una certa rilevanza, a medio–piccolo raggio, con diramazioni si nel cuore della brousse, fungendo quindi come indispensabile anello di congiunzione tra i piccoli contadini dei villaggi e i traffici delle grandi compagnie commerciali francesi. Si trattava spesso di uomini che vivevano esattamente come le popolazioni della regione: da ciò il loro rispettivo soprannome.2 Infine, alcuni africani in genere originari del ‘nord’ cercarono faticosamente di ritagliarsi uno spazio nella rete commerciale della casamance. Anch’essi arrivarono per la maggior parte come tirailleurs o come ausiliari dei francesi. Il percorso fu quindi esattamente simile a quello dei francesi e dei libanesi indipendenti, così come furono simili i traffici a cui si dedicarono: si installavano con le loro boutiques nei villaggi della campagna e qui acquistavano dalla popolazione locale arachidi, gomma e qualunque altro prodotto potesse essere rivenduto con un certo guadagno alle società commerciali di Bordeaux o Marsiglia. Nello stesso tempo fungevano da punto di distribuzione per la popolazione nella domanda di alimentari e manufatti. Solo pochi di loro riuscirono effettivamente a raggiungere un certo successo nei loro traffici, e spesso questo li portò ad essere utilizzati dall’amministrazione coloniale come intermediari politici privilegiati all’interno dei villaggi della brousse3. 2.2 I PRODOTTI Tutti questi attori si trovarono riuniti a Ziguinchor, vero cuore economico della Casamance. Fu dopo la sua cessione ai francesi, nel 1886, che la regione iniziò 1 HOPKINS, A.G. "Imperial business in Africa. Part 1: sources", The Journal of African History, 1976, XVII (I): pp. 29-48. HOPKINS, A.G. "Imperial business in Africa. Part 2: Interpretations", The Journal of African History, 1976, XVII (2): pp. 267-290. La CFAO insieme alla SCOA (Société Commerciale de l’Ouest Africaine), sono state le due maggiori imprese commerciali dell’Africa Occidentale. COQUERY-VIDROVITCH, Catherine. “L’impact des interets coloniaux: SCOA et CFAO dans l’Ouest Africain, 1910-1964”, The Journal of African History, 1975, XVI (4): pp. 595-612. Nel 1891 venne anche fondata da Cousin la Compagnie Commerciale et Agricole de la Casamance (CCAC), che approfittava di una concessione del ministro dell’epoca per l’estrazione della gomma. Rilevò tutte le proprietà della Maurel&Prom e delle Maurel frères, che ristabilirono di nuovo i loro scali commerciali nel 1899. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 195 e 314–315. 2 Il francese Jean Arcens e il libanese Antoine Assef, furono tra i primi ad arrivare in Casamance. per un approfondimento sulla loro biografia e lo sviluppo delle rispettive comunità vedere in particolare TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 100–103. Da notare che il loro numero sembra crescere nei primi anni del ‘900; Roche riporta il numero di patenti distribuite: nel 1905 circa 100, 150 l’anno successivo e 270 nel 1907! ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 315. 3 Da notare i marubatti “nordisti” arrivarono a gestire anche al sud il commercio degli arachidi come intermediari. La popolazione locale quindi non era coinvolta nel commercio se non marginalmente o in altri settori. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 103–104. 127 finalmente a svilupparsi. Le grandi imprese iniziarono ad aprire le loro filiali nel quartiere europeo dell’Éscale, così come i vari commercianti indipendenti vi aprirono le loro boutique1. Tra i prodotti maggiormente esportati la gomma e l’arachide furono di gran lunga i più rilevanti. La gomma, innanzitutto, fu il prodotto che più di ogni altro mise in moto il motore dell’economia di mercato della Casamance. Soprattutto a cavallo tra i due secoli la produzione della gomma divenne rilevante. Quali furono le cause? Innanzitutto l’Europa era affamata di gomma per alimentare i prodotti industriali. In secondo luogo, alla fine del secolo le quotazioni dell’arachide precipitarono, rendendo assolutamente poco redditizia la sua produzione che già si praticava in media e alta Casamance. Le società commerciali decisero quindi di puntare maggiormente sulla gomma che le foreste della Casamance producevano in abbondanza2. Il caucciù veniva principalmente prodotto nella regione dei diola–bayot a sud est di Ziguinchor, nel Balantacunda, e nel Fogny–Kombo; alla base della filiera produttiva, agivano i raccoglitori autoctoni, all’inizio soprattutto Akous, provenienti dalla Sierra Leone e dai Mandjiak della Guinea portoghese. Successivamente anche i diola e i balant si accorsero dei profitti che era possibile ricavare e si inserirono nella tratta. Così prodotto e dopo aver ripercorso tutta la filiera dai piccoli commercianti della brousse fino alle maison de commerce di Ziguinchor raggiungeva l’Europa3. Tuttavia con l’andare del tempo il commercio della gomma iniziò la sua parabola discendente, soprattutto in concomitanza con la Grande Guerra e si rese necessario un aggiustamento nella struttura economica4. L’arachide si impose in Casamance come sostituto della gomma. Venne impiantato per la prima volta intorno al 1840, nelle regione di Seju. Iniziò a svilupparsi soprattutto in Media Casamance, ma si mantenne almeno fino alla prima guerra mondiale su una scala abbastanza ridotta di produzione, perlomeno se si mettono a confronto i dati della regione con quelli del bacino arachidiero al nord. Negli anni che precedettero la Grande Guerra ci fu quindi una sorta di andamento simmetrico e contrario tra la produzione di gomma e quella di arachide: al lento e inesorabile declino dell’uno corrispose l’altrettanto inesorabile sviluppo dell’altro. Il momento di svolta possiamo convenzionalmente porlo proprio in concomitanza con la guerra, quando l’Europa si trovò sempre più affamata si olio di palma e arachide, 1 La politica economica dell’amministrazione coloniale comprendeva una serie di dazi doganali e sulle merci; a ciò si deve aggiungere che i costi di generali per l’apertura di nuove filiali nella regione erano molto elevati a causa anche delle carenze infrastrutturali. Tutto ciò scoraggiava l’impiantazione di nuove compagnie e rendeva la Casamance dell’inizio del secolo meno competitiva rispetto ai vicini centri commerciali portoghesi o inglesi. 2 Sull’importanza della produzione dla gomma all’interno dell’economia della colonia vedere WEBB, James L.A. jr, “The trade in gum Arabic: prelude to French conquest in Senegal”, Journal of African History, (26) 1995, pp. 149 – 168. 3 Le principali società commerciali che si dedicavano esclusivamente alla gonna erano la Soller (1901), la saligna (1895), la Roy e Laglaize (1897), la Lacoste (1905) ecc. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 315. 4 A livello intermedio, sembra che fossero i diula, io commercianti ambulanti, prevalentemente mande. BOSC, Pierre-Marie. "A le croisée des pouvoirs", op. cit., p. 38. Si pensi che se nel 1907, anno in cui si raggiunse il picco massimo, la Casamance esportò 1188 tonnellate di gomma, per un valore commerciale di oltre 5,5 milioni di franchi, nel 1928 la produzione era caduta a sole 15 tonnellate, per un valore di 134.634 F. (nel 1914, le tonnellate furono 2!). TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 105. 128 utilizzato soprattutto nella produzione del sapone1. La produzione venne incentivata in vario modo, per esempio attraverso la distribuzione gratuita di semenze2. La Bassa Casamance non venne coinvolta subito in questa produzione. La regione di Ziguinchor, ancora intorno al 1910 non produceva arachidi, quando al nord il bacino arachidiero era nel pieno della produzione e sempre in continua espansione. La produzione iniziò soprattutto dopo la Grande Guerra, quando anche per ragioni militari, si procedette all’apertura delle piste tra la foresta e a rendere meno isolata e più controllabile la regione. Tuttavia, la produzione, non fu mai notevole, non raggiunse mai risultati estremamente elevati, soprattutto se si considera i volumi di produzione al nord e le iniziali aspettative sulla Casamance. Qui i francesi incontrarono decisamente maggiori difficoltà ad imporre l’arachide. Quali furono i motivi? Innanzitutto, la Casamance non conosceva un tipo di inquadramento territoriale tipico delle confraternite del nord, quindi era necessario negoziare e convincere una miriade di piccoli produttori e di capi villaggio. Il problema diventava ancora più spinoso se si trattava di convincere popolazioni non musulmane, primi fra tutti i diola del sud, che avevano un sistema sociale e religioso che ruotava interamente intorno al riso. Insomma, in Casamance l’arachide aveva decisamente meno da offrire alla popolazione. Se al nord la struttura centralizzata della confraternita offriva qualche incentivo, soprattutto per i marabutti, al sud la frammentazione dei nuclei socio–religiosi, il ritardo nell’islamizzazione, la forte presenza animista e della chiesa cattolica, rendeva il contesto certamente diverso. In secondo luogo, la regione, favorita anche dal clima più umido, produceva un’enorme varietà di prodotti, tra cui l’arachide non figurava tra i più importanti. La Casamance aveva da sempre una cultura risicola; o meglio: la Bassa Casamance era interamente risicola, la regione intorno a Seju si divideva tra il riso e colture ‘secche’ (miglio, sorgo), mentre il territorio dei fulani era la patria dell’allevamento dei bovini, anche se anche qui c’erano marginali produzioni di riso e miglio. Puntare solo sull’arachide senza cercare di sviluppare i prodotti locali significava in realtà porre un serio limite alle capacità di sviluppo della regione. I francesi applicarono semplicemente lo schema dell’arachide in modo per così dire ‘automatico’, per il fatto che il Senegal aveva il compito di produrre arachide all’interno del complesso coloniale francese. Questa impostazione arrivò al paradosso: la Casamance, dalla grande tradizione risicola, iniziò a dipendere sempre più dalle importazioni di riso dall’Indocina perché i contadini non erano più in grado di soddisfare i bisogni alimentari della regione, così come nel passato3. Per concludere, i prodotti maggiormente importanti e richiesti dalla popolazione erano i tessuti, la polvere da sparo, le armi, il tabacco, lo zucchero, i liquori, la cola e il riso. I pagamenti all’inizio del secolo avvenivano ancora in parte in natura, soprattutto in Bassa 1 Si passò da una produzione di 3 mila tonnellate nel 1900 alle 75 mila del 1939. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 107. 2 BROOKS, George E. "Peanuts and colonialism", op. cit., p. 46. 3 Le cause sono da ricercarsi nell’aumento della popolazione, dall’esodo rurale che rubava braccia nelle risaie e nel fatto che i contadini, divisi tra la produzione dei prodotti per la tratta da cui ricavavano il denaro necessario per l’imposta e per i bisogni della famiglia, davano meno spazio alle colture alimentari. Tuttavia queste ultime, al contrario di quanto avvenne in alcune zone del nord, non vennero mai abbandonate. 129 Casamance. Nelle altre regioni, nella Media e Alta Casamance la moneta iniziava ad esser preferita al baratto, sia per gli scambi commerciali che per il pagamento delle imposte1. 2.3 L’ORGANIZZAZIONE DELLA TRATTA E LA NASCITA DI UN’ECONOMIA MONETARIA Negli anni immediatamente prima della Grande Guerra venne messo su l’intero sistema economico della Casamance, che vivrà il momento di maggiore sviluppo nel periodo tra il secondo dopoguerra e l’indipendenza. Tutto il sistema economico si basava essenzialmente su due flussi distinti ma estremamente interconnessi: quello delle merci e quello del credito. Nel sistema delle merci è necessario fare un’ulteriore distinzione tra i beni destinati alla popolazione (alimenti, beni di consumo) e quelli destinati alla tratta internazionale: com’è ovvio immaginare i primi seguono il percorso ‘società–intermediari indipendenti–contadini’, mentre i secondi quello inverso. Tutto il circuito delle merci come si è detto, si è basato prima sulla produzione di gomma poi sempre più su quella dell’arachide. I rapporti di natura giuridica che intercorrevano tra ‘società–intermediari’ e tra ‘intermediari–contadini’ possono essere così sintetizzati: A. SOCIETÀ (O OLEIFICIO) – INTERMEDIARI: I. II. B. COMPRAVENDITA BENI + COMPRAVENDITA DI ARACHIDI (O GOMMA) + CREDITO D’ ‘HIVERNAGE’ SISTEMA DEGLI ANTICIPI INTERMEDIARI – PRODUTTORI I. II. COMPRAVENDITA BENI COMPRAVENDIA ARACHIDI + IPOTECHE SU RACCOLTO FUTURO 1° FASE: Le società commerciali o l’oleificio stipulavano con gli intermediari indipendenti francesi, libanesi o africani dei contratti d’acquisto sui beni di importazione; a questo contratto, durante la stagione delle piogge, veniva spesso associata l’apertura di un conto corrente, il cosiddetto ‘credito della stagione delle piogge’, che poteva essere utilizzato dagli stessi intermediari per acquistare a credito alimenti, viveri o semplicemente denaro da rivendere sotto forma di prestiti i contadini. 1 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 313–314. 130 131 2° FASE: Gli intermediari concludevano con i produttori delle zone rurali contratti di compravendita sui beni di importazione. Tuttavia accadeva che i contadini, soprattutto durante il periodo dell’hivernage non riuscissero ad acquistare i beni di cui avevano bisogno, a causa dell’assoluta mancanza di denaro contante. Il credito dell’ ‘hivernage’, andava proprio a supplire questa carenza di denaro e faceva si che il commercio europeo d’importazione rimanesse vivace anche altre i periodi di tratta dell’arachide, quando i contadini avevano la maggiore disponibilità di contante. A questo livello, il contratto di compravendita era quindi legato alla nascita di ipoteche sul futuro raccolto, chieste come garanzia in natura per la concessione del credito. 3° FASE: Prima dell’inizio del periodo stabilito dall’amministrazione per la tratta agli arachidi intermediari e società commerciali stipulavano dei contratti di compravendita sugli arachidi. Essi presupponevano il pagamento di anticipi sul raccolto, che venivano usati dagli intermediari per acquistare la produzione pattuita dai produttori. 4° FASE: Al momento dell’apertura del commercio della nuova produzione, gli intermediari andavano a concludere i contratti di compravendita con i produttori; nello stesso tempo essi riscuotevano anche le ipoteche che erano state precedentemente originate. Ecco quindi che i crédits d’hivernage si trasformano in realtà in anticipi sul raccolto. Spesso i crediti venivano restituiti con un tasso d’interesse che poteva arrivare anche al 300%! Infatti i traitants: persuadeva i contadini che vendere tutto il loro raccolto era la cosa migliore, e quando arrivava la stagione della semina essi offrivano di nuovo i loro servigi offrendosi di anticipare le semenze necessarie. Essi prestavano un boisseau imperiale (33 kg)1ed esigevano al momento della raccolta un boisseau di tratta, cioè tre volte di più della quantità prestata. All’inizio dell’hivernage, quando le riserve alimentari iniziavano ad esaurirsi, arrivavano nei villaggi con dei sacchi di riso, zanzariere, zucchero, kola, e le offrivano a credito ai paesani. Essi si facevano rimborsare in arachidi al prezzo unico di 7.50 f ogni 100 kg. Così un sacco di riso di 18 kg (che costava 5 f) era dato a credito per 7.50 f e rimborsato 100 kg d’arachide.2 Le quotazioni dell’arachide, così come la gomma, subivano ovviamente le fluttuazioni del mercato internazionale. Questa era un’arma di vantaggio soprattutto per gli intermediari e le società commerciali che potevano cercare di realizzare delle speculazioni particolarmente redditizie. Le fluttuazioni non aveva influenza alcuna sui produttori che erano costretti a vendere a prezzi praticamente fissi, o comunque non legati alle quotazioni internazionali (un esempio il prezzo unico di 7.50F cui si parlava prima). I contadini della Casamance erano però doppiamente sfruttati poiché nella regione l’arachide veniva pagato a prezzi ancora più bassi rispetto alle altre regioni della colonia: da un lato, avevano il loro peso le pratiche fraudolente dei commercianti e delle società che lucravano sui dazi, sui costi di trasporto e sulla fittizia minore qualità dell’arachide della Casamance; dall’altro, era la stressa struttura del commercio, molto frammentata che contribuiva a mantenere bassi i prezzi d’acquisto. Tra l’altro, gli intermediari sparsi sulla regione arrivarono a costituire quasi una sorta di ‘trust’, con cui si spartirono i settori di propria competenza per evitare di avere 1 Il ‘boisseau’ era l’unità di musura utilizzata. Dal 1906 quello ‘imperiale’ che conteneva circa 33 kg di arachidi, venne sostituito con quello di ‘tratta’, che invece arrivava ai 100 kg. 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 319. 132 concorrenza e di ricavare così un prezzo più basso dal produttore. A questo poi si dovrebbero aggiungere le frodi sulle misure e le bilance utilizzate… Trincaz (1984) rileva un certo ritardo nella stipula dei contratti di compravendita degli arachidi tra intermediari e società, a differenza del resto del Senegal. Questo sembra essere legato al fatto che gli abitanti della Casamance, favoriti anche dal clima, continuarono a ritagliare una parte del loro tempo e della loro terra alla coltura dei prodotti tradizionali, primi fra tutti il riso e il miglio; questo li rendeva autonomi per un periodo di tempo più lungo rispetto alle importazioni di riso in relazione ai contadini del nord, che invece erano spesso obbligati a ipotecare il loro raccolto anche sei mesi prima l’apertura del mercato degli arachidi. Le ipoteche erano un vero e proprio strumento di pressione sui contadini che erano obbligati a cedere la loro produzione quando lo richiedeva il loro creditore, e quindi ai prezzi a lui più vantaggiosi1. In definitiva quindi, rendere i contadini sempre più affamati di denaro contante andava a tutto vantaggio del mondo commerciale europeo, poiché li faceva sprofondare sempre più nel circolo vizioso dei crediti – crollo prezzi – impoverimento – altri crediti… rendendo le popolazioni sempre più asservite ai poteri forti del commercio2. A questo fine, le società commerciali moltiplicarono le loro tradizionali pressioni sull’amministrazione coloniale perché introducesse degli incentivi, l’aumento delle tasse per esempio, che favorisse ancora di più il bisogno di contante e alimentasse questo processo. In definitiva, con l’introduzione di un’economia monetaria, le popolazioni contadine entrarono in un ciclo di impoverimento e asservimento: non potendo coltivare il riso in quantità sufficienti per la propria sussistenza, essi sono costretti ad ingrandire il loro campo d’arachide, non soltanto per pagare l’imposta ma anche per acquistare il riso d’importazione. Il commercio trova così un terreno favorevole all’acquisto e alla vendita […]. Si passa così dal sistema dell’ ‘estorisione forzata’ – con requisizioni, corvée e baratto – a quello delle leggi di mercato con l’imposta in contanti e l’introduzione di una cultura del profitto.3 Questo meccanismo venne ulteriormente alimentato durante la prima Guerra Mondiale, in cui gli scambi commerciali diminuirono, facendo crescere la disoccupazione, i prezzi dei prodotti importati vennero moltiplicati e ridotti quelli d’esportazione. Le continue frodi delle società commerciali o degli indipendenti presso la popolazione contribuì in un clima già surriscaldato a far crescere il malcontento4. I Bayot della Bassa Casamance stanchi delle pratiche speculative dei commercianti che li riducevano in miseria e degli 1 In Casamance i rappresentanti della Camera di commercio stanchi di questa situazione chiesero all’amministrazione un aumento dell’imposta per rendere i contadini più docile e soprattutto veloci nella vendita del loro prodotto. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 321. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 114–115. 2 I contadini arrivavano a vendere tutto il prodotto e spesso dovevano acquistare le semenze a credito dagli europei, che però moltiplicavano le loro frodi sulle unità di misura, aumentavano i prezzi dei loro prodotti e deprezzavano i prodotti locali. 3 IBIDEM, p. 107. 4 Le speculazioni sul riso, l’alimento principale della popolazione, portò anche ad un intervento del governatore che introdusse un’apposita tassa per disincentivare queste pratiche; un commerciante di una società commerciale venne anche punito a titolo d’esempio con otto giorni di prigione. DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 46. 133 esattori delle tasse che incombevano si rivoltarono e li cacciarono dai villaggi. Più in generale furono molti i casi in cui la popolazione si rifiutò di pagare le imposte, anche perché molto spesso era impossibilitata a farlo. Questo tuttavia si tradusse nella repressione della regione, l’apertura di strade tra la foresta per garantire un migliore controllo della popolazione e nella diffusione della coltura dell’arachide in maniera sistematica anche in Bassa Casamance1. Così la Casamance, malgrado le aspettative iniziali, non si rivelò un paradiso commerciale, come i primi rapporti francesi dell’ ‘800 della regione rivelavano. Come Roche puntualmente nota: la Casamance, regione favorita dalla natura, non era così ricca come la si immaginava. I contadini lavoravano faticosamente per dei profitti mediocri, che non permettevano loro di uscire dalla difficile condizione materiale in cui si trovavano. Lo sfruttamento delle risorse andava poco a favore della regione e i benefici delle compagnie di commercio non erano reinvestiti nella regione. Le strade costruite nelle dure corvée delle popolazioni avevano soprattutto il fine di permettere ai commercianti e agli amministratori di penetrare più facilmente in luoghi ancora difficili d’accesso2. 2.4 L’ISOLAMENTO DELLA BASSA CASAMANCE Dall’analisi appena fatta è possibile notare un’importante elemento: Dakar non compare in alcun modo. E questo può suonare strano, visto che nel nord del paese tutta l’economia faceva capo al suo porto: l’intera produzione del bacino arachidiero passava per Dakar e una rete infrastrutturale era stata costruita per collegare i maggiori centri di produzione alla capitale dell’AOF. La Casamance era di fatto completamente isolata dallo sviluppo economico del nord del paese. Il Gambia era ormai diventata stabilmente un’anomalia incastonata all’interno del territorio francese, ma soprattutto l’amministrazione coloniale non pensò di sviluppare le infrastrutture e le vie di comunicazione con il nord del paese. L’amministrazione coloniale, perlomeno in questo periodo, contribuì con la sua politica latitante ad incentivare l’isolamento e ad impedire l’integrazione della regione. Ziguinchor finì col rivestire in Casamance, la stessa funzione, seppure in scala ridotta che Dakar svolgeva al nord. Il problema delle infrastrutture rimaneva comunque piuttosto rilevante, anche all’interno della regione. Ancora negli anni ’20 del secolo scorso l’unica via di comunicazione della regione era costituito dal fiume e dai collegamenti marittimi, entrambi serviti soprattutto dalla flotta delle società commerciali. Ziguinchor, malgrado la sua crescente importanza commerciale non era nemmeno dotata di un porto, (venne costruito solo nel 1955!)3. Le strade che collegavano i vari avamposti dell’interno iniziarono ad esser costruite solo 1 È proprio nel primo dopoguerra, con la diffusione dell’arachide in Bassa Casamance e la costruzione delle strade che i diola iniziarono ad abbandonare i campi e a cercar fortuna a Ziguinchor. Sulle migrazioni vedere capitolo successivo. Sulle agitazioni della Bassa Casamance durante la Grande Guerra vedere Parte IV, capitolo1 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 360. 3 Ciò rendeva particolarmente lente le operazioni di imbarco/sbarco delle merci: a causa della particolare conformazione della costa che non rendeva possibile alle navi avvicinarsi fino alla riva, rendeva necessario usare imbarcazioni più piccole per collegarle alla terraferma. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 75–78. 134 durante il primo dopoguerra, più per esigenze militari e di controllo del territorio che economiche. Tutto questo quando nel nord del paese non solo le strade, ma soprattutto la rete ferroviaria collegava già da tempo Dakar con Saint–Louis e il bacino arachidiero. Anche in Casamance i rappresentanti della Camera di Commercio avanzarono la proposta della costruzione di una ferrovia che collegasse dapprima Kolda a Seju che tuttavia non venne accettata dall’amministrazione. La Casamance quindi, malgrado la sua importanza a livello economico veniva di fatto un po' ‘emarginata’ dalle politiche coloniali di potenziamento del territorio, in particolare nella sua parte più occidentale. La Francia continuava a perseguire anche in Senegal la politica della ‘divisione della produzione’ tra le varie colonie sparse per il pianeta. La possibilità di uno sviluppo consistente della Casamance fu compromesso da queste logiche almeno fino al secondo dopoguerra. Solo allora infatti, la regione venne “désenclavé” con la costruzione di ponti e strade, tra cui la Transgambiana, che collega ancora oggi Ziguinchor a Dakar1. CONCLUSIONE L’analisi dell’economia coloniale permette di individuare alcuni meccanismi che vengono messi in moto già dalla fine del XIX secolo. Abbiamo visto come è avvenuta la nascita dello stretto rapporto a livello economico tra i marabutti e i francesi all’insegna dell’arachide. Ed è stato sottolineato come questo legame diventasse un “binomio imperfetto” in Casamance. Nella regione infatti, l’arachide aveva meno da offrire rispetto al nord in termini di produzione (la popolazione aveva una tradizione risicola); in termini di vantaggi all’ingresso nell’economia monetaria per i contadini (l’organizzazione della filiera agricola e del credito era tale da innescare un circolo vizioso che tende al loro progressivo impoverimento); in termini di costi per i francesi, che non potevano contare su un’organizzazione strutturata e i ‘ndigël2 della Muridyya (in Casamance il sistema religioso e sociale era molto più frammentato). 1 2 Le infrastrutture rientravano all’interno dello scambio marabutto/amministrazione: non a caso la parte nord occidentale è stata quella maggiormente beneficiata dalla costruzione di strade, ferrovie, porti, ecc. lo stesso sviluppo di Touba, la capitale muride, che iniziò in questo periodo, è un esempio di tale disparità di trattamento che continuerà anche in epoca post– coloniale. Cheich Gueye. “Touba. La capitale des Mourides”, op. cit.. ROSS, Eric. “Touba: a spiritual metropolis in the modern world”, Canadian Journal of African Studies, 1995, 29 (2): pp. 222-259 Sono le ‘raccomandazioni’ che il marabutto da tradizionalmente ai suoi discepoli; poiché obbedire alla propria guida era un obbligo per il fedele, ecco che le raccomandazioni diventavano vincolanti. Le raccomandazioni per così classiche avevano ovviamente natura religiosa e avevano lo scopo di portare il discepolo sulla retta via nel suo cammino spirituale. Tuttavia, i marabutti le utilizzarono ampiamente per orientare i fedeli verso determinate scelte, sia in capo economico che politico. Come vedremo, i ndigël verranno ampiamente usati per dare al candidato che aveva più da affaire alle confraternite il sostegno dell’intera comunità dei discepoli. 135 Da quanto detto, si possono individuare due tipi di dinamiche che vanno sottolineate per le evoluzioni e le conseguenze che avranno nel corso dei decenni e che caratterizzeranno gli anni dell’indipendenza. Innanzitutto, la struttura economica basata sull’arachide; secondo, il ruolo egemonico che i marabutti (e gli wolof1!) hanno in questa struttura; terzo, la marginalizzazione della Casamance e il sottosfruttamento delle sue potenzialità. Manca un’ultima variabile: il modo in cui le popolazioni della Casamance si sono adattate al sistema economico coloniale. Sarà una delle tematiche che verranno affrontate nel prossimo capitolo. 1 Da non dimenticare che parlare di murid significa in gran parte parlare di wolof ! 136 CAPITOLO 3 UNA SOCIETà IN MOVIMENTO Fino ad ora si è analizzata l’organizzazione e l’economia coloniale in maniera ‘strutturale’, partendo cioè prevalentemente dalle regole istituzionali poste in essere dal colonizzatore e dalle leggi dell’economia di tratta. Tuttavia, in quegli stessi anni in cui la pacificazione veniva raggiunta, le strutture coloniali create e lo sfruttamento economico della colonia iniziava ad essere ben organizzato, questi fattori insieme all’introduzione delle nuove religioni, agivano sulla società senegalese, modificandola nel profondo. Sono tutti fenomeni strettamente correlati, quindi è particolarmente difficile isolare un aspetto dall’altro. Nel corso del capitolo si cercherà di riprendere alcune delle tematiche già affrontate (l’amministrazione e l’economia coloniale, la religione) per capire come queste strutture si siano adattate all’interno della realtà senegalese. Le differenze tra le varie regioni, daranno nuovi spunti di riflessione che ci permetteranno di capire come la Casamance, ed in particolare la zona ‘guineana’, abbia presentato difficoltà particolari e abbia risposto diversamente al nuovo contesto e alle nuove strutture coloniali. Nella prima parte verrà quindi affrontata la questione dell’adattamento amministrativo; verranno poi sottolineate le modifiche che le società subirono con l’introduzione delle religioni ‘rivelate’; infine, si analizzeranno nel dettaglio le differenti traiettorie economico–sociali che le popolazioni seppero trovare all’interno dell’economia coloniale. 1 LE FRATTURE SOCIALI E L’AMMINISTRAZIONE 1.1 LE PRINCIPALI COMPONENTI DELLA SOCIETÀ SENEGALESE: FRANCESI, “HABITANTS” E “SUJECTS”. Sin dai primi anni della presenza francese in Africa si era venuta a creare una “fascia di confine” della popolazione: quella dei creoli. Gli esploratori, avventurieri ma soprattutto commercianti del colonialismo della prima ora non si dimostrarono restii alle unioni con le donne, wolof in particolare, che vivevano nei dintorni di Saint–Louis. Questa piccola élite afro–europea, i cui uomini venivano indicati con habitants, si ritrovò subito avvantaggiata. La loro duplice appartenenza faceva si che essi avessero le 137 conoscenze e le opportunità maggiori per inserirsi attivamente, in proprio o in associazione con i francesi, nelle attività economiche. Già alla fine dell’ ‘800 essi si spartivano le proprietà e i traffici commerciali con gli europei. Non furono solo gli uomini ad acquisire posizioni privilegiate. Già nei primi anni dell’ ‘800 le cosiddette sigrares iniziarono ad guadagnare un’importanza crescente negli affari economici e sociali della colonia. si trattava essenzialmente di donne africane o mulatte legate a dei francesi spesso anche in matrimonio, che si adattavano a vivere seguendo le mode europee, dallo stile di vita alla moda. Esse potevano spesso vantare di aver persino ricevuto un’istruzione, cosa che ovviamente le rendeva maggiormente influenti all’interno di una società, soprattutto africana, completamente analfabeta. Così all’inizio dell’ ‘800 la società coloniale era già abbastanza stratificata al suo interno. All’apice della scala sociale c’erano ovviamente i francesi, che si occupavano dell’amministrazione o del commercio. Subito dopo i creoli completamente convertiti al cristianesimo e alle mode europee che però conservano forti legami con la cultura senegalese. Oggi gli uomini si vestono completamente alla francese, e tutti parlano francese senza un accento particolare. Nello stesso periodo, le signares iniziano ad aggiungere del lusso nei loro abiti. […] Molte sono completamente vestite alla francese; altre, anche se abbigliate in questo modo, conservano il ‘ndioumbeul’ sulla testa, […]. A Gorée tutte le signares parlano francese. i giovani di entrambi i sessi sono interamente vestiti alla francese e seguono tutte le nuove mode1 Successivamente, al terzo posto della scala sociale, si collocavano i cosiddetti gourmets, gli africani liberi, ovvero i pochissimi senegalesi convertitisi al cattolicesimo. Infine i musulmani neri, in particolare wolof e tukolor a cui era delegata la parte iniziale della catena produttiva, cioè l’acquisto dei prodotti (gomma in particolare) dai capi dei villaggi posti lungo la zona del fiume. Tutti questi gruppi formavano insieme gli habitants, i residenti della città2, contrapposti con la gran massa di popolazione africana che viveva nelle campagne e che ancora all’inizio dell’Ottocento era in gran parte animista, soprattutto nel futuro bacino arachidiero e in Casamance. I rapporti creoli–francesi fecero la storia dei 4 comuni, si dalle loro origini. I creoli in particolare crebbero notevolmente da un punto di vista politico grazie all’esperienza comunale autonoma durante l’era napoleonica. Con il loro ritorno i francesi preferirono cercare di spezzare il controllo che questo gruppo sociale aveva acquisito in campo economico e politico negli anni di isolamento dall’Europa. Questo obiettivo venne effettivamente raggiunto con la II repubblica, quando i francesi, sempre più numerosi nella colonia, iniziarono a far sentire anche il loro peso politico. Negli anni seguenti, quasi per tutta la seconda metà dell’Ottocento, la vita comunale fu così caratterizzata dalle dure lotte di potere all’interno dei comuni prima, e dal 1870 in poi anche all’interno del Consiglio generale, tra le famiglie francesi e creole3. Come si dirà successivamente questo contrasto era destinato a durare almeno fino alla seconda decade del 1900, quando anche all’interno dei comuni inizierà il risveglio della 1 BOILART, P. D. “Esquisses sénégalaises” op. cit., pp. 5–7. Dal 1848 i residenti africani crebbero notevolmente in seguito all’affrancamento degli schiavi, che venivano utilizzati in gran numero anche all’interno di Saint-Louis e Gorée. 3 Per un approfondimento sulle lotte all’interno dei communes vedere in particolare LÉGIER, Henri Jacques. “Institutions municipales et politique coloniale”, op. cit. 2 138 politica africana. I primi politici senegalesi andranno a minare il potere politico dei gruppi di potere tradizionali aprendo una nuova pagina dell’epoca coloniale. Da quel momento in poi alla frattura francesi–creoli/africani, se ne aggiungerà un’altre, sempre più profonda tra citoyen/suject, città/campagna, paysans/évolués. Questi contrasti sono alcune delle più importanti chiavi di lettura per capire le nuove dinamiche che si innescheranno nella prima metà del ‘9001. 1.2 ALLE ORIGINI DEL ‘CONTRATTO’ SOCIALE SENEGALESE: IL COINVOLGIMENTO DEI MARABUTTI NELLA VITA POLITICA Nel risveglio della politica africana, come vedremo, i marabutti ebbero un ruolo particolarmente importante, poiché importante era il ruolo che essi assunsero progressivamente all’interno della politica coloniale. In una prima fase che arriva essenzialmente fino ai primi anni del ‘900, l’islam venne guardato con particolare sospetto dall’amministrazione e la ‘Politica Musulmana’ della Francia aveva il compito principale di tenerlo sotto stretta osservazione2. Successivamente però, tale politica cambiò radicalmente. In verità la colonizzazione francese è stata, strategicamente e in tutte le sue manifestazioni,anti–musulmana. E fu solo quando si accorse che, malgrado i suoi sforzi, l’islam conquistava le popolazioni africane e segnava profondamente le loro istituzioni sociali, che l’amministrazione coloniale cambiò la sua politica poliziesca. Inaugurò allora, una nuova tattica basata sul principio direttore della canalizzazione e dell’utilizzazione delle forze marabutiche. Mettere il potere spirituale dei marabutti a disposizione della volontà del colonizzatore, questa fu la strategia dell’amministrazione all’indomani della guerra mondiale 3. A cosa era dovuto questo cambiamento repentino? Bisogna partire da due elementi su cui ci si è già soffermati: il momento di ‘vuoto’ istituzionale a cavallo tra i due secoli in cui i francesi completavano la pacificazione e ideavano le nuove strutture, vuoto riempito in molti settori dai marabutti; e la nuova impalcatura istituzionale che iniziò a funzionare nei primi anni del ‘9004. I livelli bassi dell’amministrazione erano costituiti gerarchicamente dai cercles, dai cantons e dai villaggi. I capi delle ultime due unità, chiamati rispettivamente ‘sergenti’ e ‘caporali’ erano affidati generalmente ai capi tradizionali locali, mentre dal livello del cercle a salire, l’amministrazione era riservata ai funzionari francesi. Il ruolo di ‘sergente’ ovvero capo del canton era il livello più alto dell’amministrazione riservato ad un africano ed era particolarmente importante poiché doveva garantire il contatto e la comunicazione tra l’amministrazione francese e la base africana. La loro funzione era quella di procedere alla raccolta delle imposte, al reclutamento militare, di organizzare le corvée e il lavoro forzato per la costruzione delle infrastrutture. Erano quindi coloro che dovevano 1 GELLAR, Sheldon. “Pluralisme ou jacobinisme”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 510–512. Vedere parte IV. 2 Sulla politica musulmana della Francia vedere in particolare GRANDHOMME, Hélène. "La politique musulmane de la France au Sénégal (1936-64)", Canadian Journal of African Studies, 2004, 38 (2): pp. 237-278. 3 SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit., p. 207. 4 Vedere parte III, capitolo 1. 139 materialmente eseguire le direttive che venivano decise dal centro1. Del loro operato rispondevano direttamente dai superiori francesi, da cui ricevevano anche uno stipendio annuale e una quota sulle tasse prelevate. La posizione che i capi villaggio ma soprattutto quelli di canton ricoprivano, lasciava loro un certo margine di discrezionalità di cui si potevano servire per raggiungere scopi personali. Ecco quindi che erano visti dalla popolazione come dei tiranni, spesso più di quanto non apparissero i francesi2. L’amministrazione si rese conto, soprattutto negli anni della Grande Guerra, che esisteva nel paese un forza diversa, spirituale e nello stesso tempo anche economica: era quella dei marabutti, che poteva essere utilizzata per raggiungere gli scopi della madrepatria. Interessati dall’arachide, i marabutti, come i contadini, vengono integrati nell’economia di tratta; meno screditati delle antiche famiglie aristocratiche, essi sono maggiormente ascoltati dai paesani. Allo stesso modo essi sono più adatti a fornire un appoggio ideologico al colonizzatore per legittimare la sua dominazione. Il loro potere, nelle comunità contadine è diverso da quello dei capi di canton e di villaggio. Questi ultimi […] sono obbligati a far ricorso alla coercizione, alla violenza al fine di ottenere qualcosa dai loro amministrati. […] Al contrario, il marabutto, con il suo carisma, può ottenere tutto attraverso la persuasione o ndigël (la raccomandazione religiosa). In questo senso egli è più efficace dei capi indigeni.3 Ecco quindi che iniziò la seconda fase della politica francese verso l’islam. Lo scopo era duplice: usare i marabutti per garantire la ‘pace sociale’ e per sviluppare la coltura dell’arachide4. Nel nord del paese quindi, l’incontro tra la colonizzazione francese e il movimento di proselitismo islamico confluì progressivamente nella creazione di uno stretto legame di collaborazione economica e progressivamente anche politica soprattutto tra la confraternita murid e l’amministrazione. I territori coinvolti fin dall’inizio furono il Baol e il Kayor; nei primi decenni del ‘900 anche le regioni del Sine–Saloum, rimaste fino a quel momento leggermente defilate rispetto al movimento, vennero completamente conquistate dalla confraternita di Cheikh Bamba5. Progressivamente, furono tutte le confraternite della regione ad essere inglobate in questo meccanismo, ovvero la Tidaniyya e la Qadiriyya. L’alleanza era basata su un reciproco ‘scambio’ di favori. Il marabutto garantiva il sostegno dei discepoli all’amministrazione (nella produzione, per le elezioni politiche, il reclutamento, il pagamento delle imposte, ecc.); l’amministrazione offriva libertà di 1 A questo fine, perché essi fossero in grado di ricoprire al meglio il loro ruolo, molti di essi furono mandati alla “Scuola dei Capi” aperta da Faidherbe già negli anni ’60 dell’Ottocerto. 2 CRUISE O’BRIEN, Donald. “Chefs, saints et bureaucrates. La construction de l’état colonial”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", Karthala, 2002: pp. 19–22. 3 DIOP, Momar Coumba. DIOUF, Mamadou. “L’administration, les confréries religieuses et les paysans”, in IBIDEM, p. 34. 4 Vedere parte III, capitolo 2. 5 Vedere parte II, capitolo 3 (4). 140 sviluppo delle confraternite, un occhio di riguardo nell’esazione delle imposte, sovvenzioni, ma soprattutto garantiva l’accesso alla terra e la creazione di infrastrutture1 Da quanto detto si può concludere dicendo che nel nord del paese i francesi riuscirono a trovare degli intermediari, capi tradizionali ma soprattutto religiosi, a cui rivolgersi per gestire e sfruttare in via indiretta le masse contadine. In questo modo, l’amministrazione faceva qualcosa di più: l’amministrazione coloniale non cercava in alcun caso di intervenire direttamente nel processo locale di decisione. Il sistema degli intermediari permetteva in effetti alle decisioni dell’amministrazione di essere progressivamente trasformate in atto tradizionale o, più esattamente quasi tradizionale […]. L’interesse per il metodo del relais appare così duplice. Da una parte, assicura all’amministrazione la creazione di un legame di comunicazione tra l’amministrazione e le popolazioni […]. Dall’altra parte, permette all’amministrazione di mediare le sue azioni attraverso delle strutture d’origine o d’ispirazione tradizionali, così permettendo la socializzazione dei messaggi amministrativi e la penetrazione diffusa della modernizzazione2. I marabutti costituivano quindi il principale anello di congiunzione tra l’amministrazione e la base rurale. Attraverso essi, la popolazione poteva trovare un canale attraverso il quale proiettarsi e recepire le istituzioni moderne ed eventualmente presentare le proprie lagnanze; e nello stesso tempo, era un sistema da cui potevano trarre alcuni vantaggi o semplicemente trovare protezione. In breve, era un sistema che riusciva ad inglobarli indirettamente all’interno delle strutture coloniali moderne3. 1.3 UNA PICCOLA CREPA NEL ‘CONTRATTO’ SOCIALE: LA CASAMANCE Tuttavia, al sud della colonia le cose andarono diversamente. In Alta e Media Casamance, dove erano presenti delle società gerarchizzate, fu possibile trovare dei capi tradizionali da porre a capo dei villaggi o dei cantons4. La funzione che esercitarono fu del tutto simile a quella dei loro ‘colleghi’ del nord. In Bassa Casamance, dove invece le società erano acefale, per i francesi si pose un serio problema di amministrazione: a chi far svolgere quella funzione di intermediario assolutamente essenziale per il funzionamento della macchina amministrativa coloniale? I tentativi e le soluzioni furono tanti e altrettanto vani. I ‘ritagli’ amministrativi, la nomina di capi stranieri – prevalentemente mande o wolof – sono stati i principali 1 Grazie a questo rapporto informale con l’amministrazione, il marabutto poteva esercitare anche qualche pressione sui capi tradizionali. Bastava la segnalazione di uno screzio, una nota di demerito o un elogio per mettere in buona o in cattiva luce l’operato del capo di villaggio o di canton. 2 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 122–123. E un esempio del modo in cui il contratto sociale funzionava a livello amministrativo. 3 Questa sarà la base del ‘contratto’ sociale che darà vita subito dopo l’indipendenza, ad un modello particolare di costruzione dello stato nazionale, il modello ‘islamo–wolof’. Vedere Parte V, capitolo 1. L’ideatore del “contratto sociale” fra il governo e le confraternite, fu Paul Marty, un amministratore francese che condusse numerose ricerche sull’islam e le confraternite sufi nella colonia. Cruise O’Brien, “Le contrat social sénégalaise à l’épreuve”, op. cit. pp. 10–11. 4 Sulle società che abitavano queste regioni vedere Parte I, capitolo 2. 141 esempi di questo sforzo1. Nemmeno l’islam qui poteva giocare il ruolo di mediatore e di canalizzazione della comunicazione politica e amministrativa. Infatti, se per il nord del paese si può parlare di una sorta di islamizzazione “dall’alto”, che è partita dalle corti dei vecchi regni pagani, che si è imposta anche a causa delle influenze esterne provenienti dalla Mauritania e dal Mali attuali, che è stata poi usata e in qualche modo anche assecondata dal potere coloniale francese, per la Casamance il movimento islamico ha assunto connotazioni diverse e in alcune zone completamente opposte. L’islamizzazione è stata innanzitutto molto più recente. Le grandi guerre di religione che in Media e Alta Casamance si sono combattute dalla metà dell’800 il nord del paese, o perlomeno una parte si esso le aveva già sperimentate alla fine del ‘700, per esempio nel Walo o nella regione del Fleuve con la nascita di alcuni stati teocratici2. In secondo luogo, è stato anche diverso il tipo di “movimento” islamico che ha investito nel proselitismo e nella lotta contro gli infedeli pagani. Il nord, oltre ad aver avuto forti influenze esterne, in particolare dal Mali con la confraternita Qadiriyya a cui lo stesso Bamba apparteneva, diede vita anche ad una propria “via” all’islam, espressamente senegalese, incarnata dalla nascita della Muridiyya. Il sud del paese è stata soggetta ad influenze diverse, provenienti soprattutto dalla Mauritania. Non a caso, in Media e Alta Casamance non si trovano le confraternite “tipicamente” senegalesi come la Muridiyya, la Tijaniyya o la Qadiriyya. Ciò ha portato con se un importante corollario: se il nord del paese si è ritrovato unito sotto la direzione del Serigne Tuba e dei suoi discendenti, in Casamance le cose andarono diversamente. I marabutti mande per esempio, rifiutavano di rappresentare intere province, ma rimanevano legati al villaggio o a piccoli gruppi di villaggi. Questo rendeva l’islam meno appetibile rispetto al nord: da Seju a Kolda bisognava sempre negoziare di villaggio in villaggio, non c’era una guida unificatrice e l’islam non poteva essere efficacemente usato come intermediario del potere coloniale presso la popolazione. Per questo, tali marabutti non disponevano di alcuna capacità di mobilizzazione delle popolazioni, e non potevano, salvo rare eccezioni, costituire una forza d’opposizione temibile, né una rete permanente di contestazione o di sostegno sul quale l’amministrazione potesse contare. […] Quanto il sistema muride nordista è incaricato di mantenere l’ordine sociale, tanto i marabutti della Casamance esercitavano solamente una funzione intermittente di trasferimento della comunicaizone3. In misura molto più limitata, e al prezzo di continue negoziazioni tra le decine di marabutti sparsi sul territorio, l’amministrazione poteva contare sulla presenza dell’islam in Alta e Media Casamance. In Bassa Casamance, le cose andarono poi in maniera ancor diversa. Se l’islam era arrivato con un certo ritardo nel resto della regione rispetto al nord, nella Bassa Casamance ebbe qualcosa di più di un ritardo. All’inizio del 1900 erano presenti delle 1 Vedere capitolo 1. SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit. SAINT-MARTIN, Yves-Jean. “Le Sénégal sous le second empire”, op. cit. 3 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 130. 2 142 piccole enclave musulmane, formate da alcuni diula1 e da alcuni ausiliari francesi provenienti dai communes. Un forte tentativo di proselitismo venne inaugurato con i jahad della metà del XIX secolo, primo fra tutti quello guidato nel Fogny da Fodé Kaba2. La riva nord del fiume iniziò effettivamente ad abbracciare il monoteismo musulmano, ma in realtà le conversioni furono relativamente poche: il jahad veniva ovviamente visto dai diola come un attacco alla loro indipendenza oltre che ai boekin a cui bisognava reagire difendendosi. Le grandi guerre di religione avevano funzionato in altre zone del paese, come in certe regioni del nord o in media Casamance, non potevano funzionare in Bassa Casamance, in presenza di una popolazione estremamente gelosa della propria individualità ed indipendenza. Qui l’islam si diffuse solo successivamente, attraverso i processi di migrazione e di interazione delle popolazioni. Con la pacificazione della regione molti marabutti mande si sparsero tra i villaggi diola della regione e iniziarono a diffondere pacificamente il messaggio di Maometto.3 Inoltre la pacificazione e introduzione dell’economia di mercato misero in moto il fenomeno dei navétanes, ovvero dei lavoratori stagionali che dalla Guinea portoghese o francese si recavano in Casamance, o dagli stessi diola che iniziarono a spostarsi in tutta la regione, e sempre più spesso verso il nord completamente islamizzato. Furono queste interazioni che causarono la diffusione dell’islam in tutta la regione, con un processo “dal basso”, come lo definisce Foucher (2002)4. In definitiva: in bassa Casamance i francesi non potevano contare né sulla presenza di capi tradizionali con una certa legittimazione popolare, né sulla presenza di capi religiosi carismatici. Qui le popolazioni, furono di fatto prive di un canale di comunicazione forte con l’amministrazione; in più, il fatto di avere a disposizione solo capi ‘imposti’ rendeva particolarmente odioso rapporto con l’amministrazione: […] l’origine militare e le funzioni ‘estrattive’di questo tipo di organizzazione amministrativa ha segnato in profondità i rapporti tra l’amministrazione e la popolazione, imponendo una logica di dominazione e escludendo quasi qualunque ipotesi di concertazione5 Questo processo, che rese particolarmente difficile la pacificazione coloniale, si è inserito all’interno di una società molto forte e strutturata dal punto di vista culturale e religioso, provocando contemporaneamente fenomeni sincretici e di resistenza, particolarmente rilevanti anche per il futuro conflitto indipendentista6. La ‘resistenza’ durata oltre ‘tre secoli e mezzo’ di cui parla l’attuale MFDC sarebbe così maggiormente imputabile ad un problema di comunicazione tra gli amministratori e gli amministrati, piuttosto che ad una pura e semplice opposizione delle popolazioni allo ‘straniero’, fosse esso francese o ‘nordista’. 1 I dyula sono i venditori ambulanti di origine mande che si trovano un po' ovunque nell’intera regione (da non confondere con i diola!). 2 Vedere parte II, capitoli 2 e 3. 3 I marabutti mande o i diola già islamizzati, venivano posti a capo dei villaggi appena pacificati dall’amministrazione coloniale, con risultati non sempre soddisfacenti, soprattutto se si trattava di uno “straniero”. 4 FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolués’, la migration, l’école: pour une nouvelle interprétation de la naissance du nationalisme casamançais”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 381–382. 5 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 125. 6 I problemi di amministrazione spiegano la difficoltà di pacificare la regione, così come le sommosse negli anni del reclutamento durante le due guerre (vedere parte IV, capitoli 1 e 2). 143 Come vedremo, i diola seppero comunque trovare altri modi per inserirsi all’interno della società coloniale (l’istruzione fu uno di questi). Tuttavia, il difetto di comunicazione era destinato a diventare una pesante eredità anche per il futuro stato indipendente. 2 LA RELIGIONE La colonizzazione francese innescò, facilitò o fu una concausa dei cambiamenti nelle pratiche religiose in tutta la colonia1. Ogni società senegalese ha reagito in maniera diversa alle sfide imposte dal colonialismo. I francesi hanno portato un cambiamento del contesto a cui bisognava adattarsi, trovando nuove strategie anche culturali, sociali e religiose con cui convivere. Così, semplificando, se la risposta wolof è stata la muridiyya, quella mande e dei fulani l’islam delle confraternite straniere, la risposta diola è stata il kumpo e il bukut. 2.1 LA REAZIONE DI UNA SOCIETÀ IN CRISI DI IDENTITÀ (I): IL KUMPO Il kumpo2 è stato definito da Girard (1969): come una società segreta maschile d’ispirazione magico–ludica, e nello stesso tempo come una istituzione sociale importata e adattata alle classi d’età maschili del quartiere.3 La pacificazione comportò per i diola, soprattutto della riva nord, l’imposizione di un capo villaggio musulmano, spesso di origine mande. Lo scopo dell’amministrazione era quello di trovare o imporre un referente autoctono che potesse svolgere una funzione di intermediario tra il potere centrale e la popolazione, che riscuotesse le imposte e rendesse effettiva la presenza francese. Questa pratica ebbe l’effetto di contribuire alla diffusione dell’islam, grazie alla presenza di questi marabutti pacifici che approfittavano delle loro nuove funzioni per far proseliti. Così facendo si mise in crisi la struttura della società diola sin dalle fondamenta: la diffusione dell’islam, con la creazione di gruppi uniti da un unico dio ma completamente slegati dalle regole di quartiere o di villaggio, faceva vacillare alcune strutture sociali diola, come quelle delle classi d’età che avevano una funzione alla volta religiosa (nel culto dei boekin e nelle cerimonie tradizionali), sociale (regolavano i rapporti tra generazioni favorendo la coesione e la solidarietà 1 SANNEH, Lamin. "The origin of clericalism in West African Islam", The Journal of African History, 1976, XVII (I): pp. 49-72. Per un’anali delle pratiche religiose nei Quattro Comuni vedere in particolare l’analisi di DIOUF, Mamadou. “Assimilation coloniale et identité religieuses de la civilité des originaires des Quatre Communes (Senegal)”, Canadian Journal of Africa Studies, 2000, 34 (3): pp. 565–587. 2 Secondo alcuni diola il kumpo avrebbe un’origine guineano–portoghese; altri invece ritengono che sia una tradizione bagnun. Per un approfondimento sull’origine e le caratteristiche del kumpo vedere GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., pp.145–182. 3 IBIDEM, p. 82. 144 sociale), e politica (i rappresentanti delle varie classi d’età e l’anziano avevano un’autorità riconosciuta da tutti)1. Quale fu la reazione di queste società che avvertirono immediatamente il pericolo di perdersi, di scomparire? I diola di Balingore islamizzati nel 1933 per esempio, nello stesso anno hanno creato a livello di villaggio un’associazione apparentemente folcloristica, il kumpo, che ha sia tutti i caratteri di una istituzione di conservazione e di protezione della consuetudine, sia di coesione etnica. Molto vivace nel Buluf e nel Fogny, è sconosciuta sulla riva sinistra, dove la popolazione diola è rimasta quasi interamente fedele ai boekin2. Il kumpo poneva una divisione tra il mondo visibile degli uomini e quello segreto delle maschere, a cui solo gli uomini possono essere iniziati3. Le donne partecipano comunque attivamente al kumpo in occasione delle sue “passeggiate” per il villaggio che da luogo ad allegre danze e canti4. A livello sociale questa nuova tradizione si è inserita nel vuoto lasciato dalla religione tradizionale, dando una nuova ragion d’essere allo sviluppo e alla riproduzione delle classi d’età. All’interno di ogni quartiere infatti veniva creata un’associazione del kumpo, in cui gli uomini vi partecipavano volontariamente, anche se in realtà tali associazioni tendevano a rispecchiare le vecchie classi d’età. Al loro interno veniva democraticamente eletto un capo assistito da un vice, anch’esso eletto democraticamente da dal gruppo di donne della classe d’età corrispondente a quella degli uomini. Uomini e donne partecipano alle danze e ai canti attivamente fino al matrimonio quando potevano solo partecipare come spettatori. Tuttavia l’associazione rimaneva attiva e il presidente continuava a mantenere una forte autorità sul gruppo5. Il clima di festa che la passeggiata del kumpo creava all’interno del quartiere o del villaggio coinvolgeva l’intera comunità, che in essa si ritrovava unita. Così attraverso il kumpo i rapporti tra generazioni venivano conservati, così come il rispetto per gli anziani, il rispetto della morale e dei valori tradizionali. La società del kumpo volontariamente introdotta nella vita paesana in epoca recente, sembra nascere dalla comune volontà dell’etnia diola di lottare contro certi elementi di dissoluzione che ne minacciavano la coesione; di salvaguardare l’unione e l’armonia sociale; di mantenere le giovani generazioni nel rispetto della tradizione, che rischia di degradarsi al contatto con le influenze straniere o dei fermenti introdotti nel suo grembo dal mondo moderno. Nel momento in cui organizza le feste, l’associazione del kumpo è animata da tutti gli elementi giovani e dinamici che il villaggio possiede. Ma questi giovani, 1 Da notare che non fu solo la religione islamica ad innescare questo processo; anche la religione cattolica vi partecipò attivamente. Sulla diffusione del cattolicesimo e del ruolo delle congregazioni religiose vedere il paragrafo 3. 2 GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, IFAN op. cit., p. 81. 3 Solo gli uomini per esempio possono conoscere dove il kumpo abita esattamente, all’interno della foresta sacra, la storia della sua origine ecc. IBIDEM, p 82. 4 Normalmente il Kumpo con la sua “famiglia”, Samaj, Ñas, Ñagaras, Faraho, usciva due o tre volte la settimana, in genere il giovedì, sabato e domenica. IBIDEM, p. 81. 5 IBIDEM, p. 82. 145 nello stesso tempo, rimangono sottomessi all’autorità degli anziani che amministrano al vertice la società diola:1 2.2 LA REAZIONE DI UNA SOCIETÀ IN CRISI DI IDENTITÀ (II): IL BUKUT Accanto al kumpo, la religione tradizionale subì un’altra importante evoluzione che doveva servire ad adattarla al monoteismo e al nuovo contesto coloniale: dal kahat si passò ad una nuova forma di iniziazione, il bukut.2 Si è diffuso a macchia d’olio in tutto il territorio diola soggetto ad islamizzazione, quindi i territori lungo la riva nord e una striscia di territorio a cavallo con la frontiera portoghese. Tra le due zone qualche “ponte” bukut in terra kahat assicurava i legami. Ad esser toccate dalle trasformazione furono proprio le zone maggiormente soggette agli influssi stranieri: il nord aveva subito l’influenza mande e musulmana già prima che arrivassero i francesi ad imporre dei marabutti mande come capo villaggio, mentre la regione più a sud era terra di passaggio per gli scambi e contatti dei meticci portoghesi3. Più in generale vennero toccate dal bukut tutte le zone in cui si verificano scambi commerciali importanti, zone che furono necessariamente anche le prime a subire la presenza dell’amministrazione straniera. Solo la zona più interna del Kasa rimase un po' defilata e così fedele al kahat. Anche il bukut si può definire come una reazione di difesa e sopravvivenza della società al cambiamento. È una fase iniziatica, esattamente come il kahat, tuttavia i caratteri sono completamente diversi. Per esempio: se il kahat era pubblico il bukut divenne segreto e aperto ai soli uomini; vennero introdotti nuovi feticci; i riti vennero modificati con l’introduzione di pratiche necrofagiche o prove, l’iniziazione iniziò ad essere circondata da un clima di terrore e venne relegata in luoghi segreti nella foresta sacra4. Le donne non furono messe da parte nelle pratiche religiose: l’individualismo e l’autonomia dei diola era del resto generalizzata ad entrambi i sessi. Le donne furono emarginate nella pratica del bukut, ma crearono loro stesse, autonomamente, delle associazioni religiose via via più grandi, con cui si ponevano in posizione di intermediarie con la divinità. Sembrerebbe quasi che con le novità della colonizzazione e dell’islamizzazione le manifestazioni religiose di uomini e donne si siano completamente separate, prendendo strade diverse sebbene fossero state tradizionalmente sempre molto legate. Questa separazione nei percorsi e riti religiosi rispecchiava in realtà le trasformazioni sociali anche all’interno dei generi. Gli uomini avevano vissuto con un profondo senso di impotenza la conquista francese: l’essere dei valorosi guerrieri e proteggere la comunità e il territorio sacro su cui viveva era una loro prerogativa. Tuttavia avevano fallito. Le donne invece si dimostrarono sempre più intraprendenti, sia nel lavoro come “operaie” a Ziguinchor che come coltivatrici di riso nel villaggio. Anche da sole riuscivano a far bene il loro lavoro, qualità che agli occhi della società diola conferiva particolare autorità alle persone. Le pratiche legate al bukut dovevano quindi creare una sintesi con l’introduzione dell’islam, ma anche ridare agli uomini l’orgoglio perduto e continuamente frustrato 1 GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 83. Sul kahat vedere parte I, capitolo 2.4. 3 Non bisogna dimenticare che Ziguinchor rimase portoghese fino al 1888, 4 Sui riti, i caratteri le cerimonie del bukut vedere l’approfondito studio di op. cit. 2 146 dalle corvée e dalle imposte. Iniziarono a considerare alcune pratiche religiose delle donne quasi come forme di stregoneria, tuttavia vi portavano rispetto. Le donne invece si ritagliarono col tempo una loro spiritualità, ancora legata ai vecchi boekin e alla tradizione. I riti del passato subirono un’evoluzione ed un adattamento al nuovo contesto. Questa sarà la cornice che darà vita al movimento carismatico di Alisintoé1. In sintesi, così come ha efficacemente sintetizzato Girard: il bukut appare quindi come una caratteristica di una società preoccupata della propria sopravvivenza collettiva2 2.3 LA RELIGIONE CATTOLICA L’Islam ha conquistato molto lentamente il mondo diola. Ancora intorno agli anni ’50 del secolo scorso alcune regioni della riva sinistra erano ancora strettamente legate ai vecchi boekin, ed in ogni caso anche nella riva nord abbiamo visto come la conversione sia stata un’ “affare” essenzialmente maschile. In questo contesto, dove l’islam era molto più debole rispetto al nord, la chiesa cattolica investì gli sforzi maggiori3. I missionari, così come altrove nella colonizzazione dell’Africa, seguirono anche in Casamance i militari e commercianti francesi sin dai primi avamposti. Non a caso fu proprio a Seju e a Carabane che i padri della Congregazione del Santo Spirito impiantarono la loro prima missione4. Tuttavia, in Media Casamance si resero conto che le possibilità di conversione erano piuttosto scarse: come è già stato sottolineato in precedenza, sia tra i mande che tra i fulani l’islam era radicato almeno quanto tra i wolof e tukolor del nord. L’unico spiraglio di speranza era la Bassa Casamance dei diola, bagnun e balant, che rifiutavano l’islam e si trinceravano dietro i loro feticci. In Bassa Casamance le possibilità di proselitismo non erano però uguali ovunque. Abbiamo visto come le zone lungo la riva nord – il Fogny, la regione dei Karones sull’estremo occidentale – siano state soggette all’islamizzazione grazie a Fodé Kaba e ai marabutti mande. Qui l’azione dei missionari si rivelò estremamente difficile5. La zona in cui la chiesa è riuscita progressivamente ad installarsi con un certo successo è stata la riva sud, in particolare il territorio Kasa6. 1 Queste evoluzioni potrebbero apparire quasi staccate dal conflitto, semplici evoluzioni di una società in mutazione. In realtà tali traiettorie devono esser considerate con la massima attenzione, perché oltre a fornire un quadro più completo dei meccanismi che hanno portato alla nascita dei conflitto, costituiscono anche un contenuto privilegiato per la retorica delle rivendicazioni e si presta alle manipolazioni degli attori coinvolti. Non è un caso che successivamente all’inizio dell’instabilità ci sia stata una ri–attualizzazione del bukut, dopo un periodo di declino nei primi decenni dell’indipendenza. Vedere in particolare GASSER, Geneviève. “‘Manger ou s’en aller’ : que veulent les opposants armés casamançais ?”, in DIOP, MomarCoumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp.465–466. 2 Girard, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 50. 3 Per un approfondimento sulle missioni cattoliche e la figura dei marabutti musulmani per i missionari vedere in particolare BOILART, P. D. “Esquisses sénégalaises” (1853), op. cit., pp. 479–490. 4 JONES, D.H. "The catholic mission and some aspects of assimilation in Senegal, 1817-1852", The Journal of African History, 1980 (21): pp. 323-340. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit. 5 “L’espressione ‘è diventato mande’ era quindi sinonimo di ‘è diventato musulmano’ ”. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 324. 6 Corrispone all’incirca all’attuale dipartimento di Oussouye. 147 Dai primi anni di evangelizzazione fino al secondo dopoguerra i missionari cattolici non godettero dell’appoggio dell’amministrazione comunale. Non solo all’epoca la Francia repubblicana era pervasa da una forte ondata anti–clericale, ma la chiesa stessa in Casamance operava spesso contro l’amministrazione e a favore della popolazione diola. Roche ricorda, per esempio le vicende relative a Padre Esvan durante la prima guerra mondiale: Padre Evans, curato di Ziguinchor, fu un prezioso testimone circa la modalità del reclutameno. Era profondamente ostile alla partenza dei casamancesi per la guerra. Egli era sorvegliato dall’amministrazione, che gli rimproverava le sue condotte ‘anti–francesi’ e cercava l’occasione favorevole per metterlo in difficoltà1 I missionari impiantarono quindi le loro missioni per tutta la Bassa Casamance, ma Ziguinchor divenne dopo il 1886 il centro delle missioni cattoliche. La strategia della chiesa nel primo periodo fu quella di porsi in completa opposizione rispetto alla cultura locale e alle religioni diola. Marut descrive come i convertiti vivevano la loro nuova condizione di cattolici all’interno della comunità d’origine: I convertiti rinnegavano la loro cultura diola: essi parlavano di ‘diola’ a proposito dei loro fratelli rimasti animisti, contribuendo così ad una rappresentazione negativa del referente etnico. [essi rappresentavano] l’immagine del ‘civilizzato’: vestito all’occidentale, i personaggi hanno perso tutti i tratti esteriori dell’africanità. I cattolici hanno dovuto lasciare i loro quartieri e la loro famiglia, raggrupparsi attorno alla missione, nel terreno fornito dall’amministrazione coloniale 2. La prima metà del ‘900 viene comunque considerata l’età d’oro per la diffusione del cattolicesimo. Furono molti coloro che si fecero battezzare diventando, almeno formalmente, dei cattolici. La sincerità delle conversioni, era una questione a parte. Nel 1939 venne creata per la prima volta un Prefettura Apostolica, come sezione staccata del vicariato di Dakar. La prefettura poi, assunse a sua volta il rango di vicariato prima (1952) e di diocesi poi (1955). Sempre negli anni ’50 la chiesa poteva contare su 35 scuole elementari, vero strumento di conversione, sparse per tutta la Bassa Casamance. La creazione della diocesi coincise con il cambiamento della strategia della chiesa cattolica in Senegal e più in generale in Africa. Negli anni ’50, l’avvio di alcune riforme – come l’estensione della cittadinanza e dei diritti elettorali al mondo rurale – aprivano la strada all’africanizzazione delle istituzioni e alla decolonizzazione. A questo punto la sopravvivenza della chiesa era necessariamente legata ad un nuovo tipo di alleanza con la cultura locale: secondo le direttive del pontefice dell’epoca, Pio XII, bisognava rivalorizzare le culture e le religioni tradizionali, non demonizzarle come pagane o contrapposte al cristianesimo; bisognava invece, inglobarle al suo interno, cercando in essa delle radici solide attraverso cui diffondere la religione di Cristo3. 1 Nel gennaio 1915 padre Evans venne accusato e condannato dall’amministrazione per non aver comunicato un focolare di vaiolo; nel dicembre dello stesso anno rifiutò di consegnare il suo catechista che era stato sorteggiato per l’invio al fronte. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 328–328 e 353. 2 MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., pp. 327–328. 3 IBIDEM, p. 329–332. 148 È in questo contesto che la chiesa è diventata un attore importante nella nascita di quel sentimento casamancese di cui parla Jean–Claude Marut. La presenza dei cattolici divenne progressivamente un tratto distintivo della regione, poiché la Casamance da sola iniziò a raggruppare una porzione di convertiti cospicua in rapporto al resto del Senegal1. È un processo che va visto nel lungo periodo e che ha portato con se due principali implicazioni. Da un lato la chiesa ha condotto, dagli anni dell’indipendenza un processo di continuo avvicinamento e valorizzazione della cultura diola. In questo modo ha contribuito ad alimentare l’immagine del “diola come contadino” che fa parte dell’attuale logica delle rappresentazioni del conflitto. Immagine che è stata usata tanto da parte governativa che da parte indipendentista. Diversa però è stata la connotazione che questi due attori ne hanno data: per l’autorità l’immagine del contadino diola viene utilizzata come sinonimo di arretratezza, ancoraggio alle tradizioni, come sinonimo di esotismo; per gli indipendentisti, il ‘contadino diola’ viene esaltato per il coraggio, l’ardore nel lavoro e l’attaccamento alla terra. Ecco un esempio esaustivo del contributo che la chiesa ha dato in questo senso è dato dall’estratto seguente tratto da una tesi di teologia del 1967 scritta da padre Pierre Diédhiou: Come tipo d’uomo il diola è tradizionalmente l’uomo della terra; è il coraggioso contadino–campagnolo dotato di tutte quelle qualità assolutamente ad hoc per assolvere la sua attività essenzialmente legata alla terra; in generale forte, robusto e coraggioso, abbastanza imbevuto di di indipendenza e fierezza che gli deriva dai suoi antenati e che egli ama dimostrare con la potenza dei suoi muscoli, nello scalcio del suo coraggio e con la ricchezza del suo granaio. Intelligente e dotato di un animo veramente buono e molto ospitale egli, il diola, è l’impersonificazione stessa della fierezza casamancese tra i suoi vicini etnici 2. Questo è un esempio che fa capire un primo frutto della presenza cattolica in Casamance: l’alimentazione del ‘particolarismo’ regionale, della consapevolezza di essere culturalmente ‘diversi’ rispetto al resto del paese. Questa è stata una base culturale importante nella mobilitazione al consenso dell’MFDC. Tanto importante che il governo si è affrettato a cercare di cancellare ogni traccia di questa Casamance culturale e storica dividendola amministrativamente e relegandola ad un mero fattole ‘naturale’ ed esotico. In secondo luogo la presenza della chiesa, oltre ad aver contribuito alla nascita dell’ ‘idea’ di Casamance, ha anche favorito con la sua stessa presenza al mito della Casamance ‘animista e cristiana’ – oltre che diola – che la distinguerebbe totalmente dal resto del paese. Un mito, appunto. Perché i dati dimostrano una realtà diversa: la Casamance è tutt’altro che ‘animista e cristiana’; e soprattutto, se anche si vuole ammettere questa equazione, non ci si può in alcun modo riferire alla totalità della Casamance, ma solo ad alcune zone della Bassa Casamance. Dai dati emerge una Casamance in cui la media di musulmani, per quanto altissima, è inferiore alla media nazionale, mentre i dati sul cattolicesimo e l’animismo sono superiori. Da qui, il mito di una Casamance ‘animista e cattolica’. Inoltre, anche 1 2 Nel 2001 è stato stimato che in Senegal ci fossero oltre 500 mila aderenti alla chiesa cattolica, rappresentando il 5,3% della popolazione totale. Dati tratti da www.europaworld.com. DIEDHIOU, Pierre. “Efficacité sacramentelle et rite magique. Essai de parallélisme théologique” (1967), cit. da FOUCHER, Vincent. “Les évolués, la migration, l’école”, in DIOP, MomarCoumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 403. 149 all’interno della regione, i dati mostrano una grande diversità: la percentuale di musulmani passa da una media dell’ 80% nell’Alta Casamance per precipitare ad un 15% nel dipartimento di Oussouye. I dati relativi al cristianesimo e all’animismo vanno invece nella direzione opposta. Tra i dati spicca il 45% di animisti del dipartimento di Oussouye e il 26% di cristiani nei dipartimenti della riva sinistra. Altro fatto che emerge è quindi il fatto che l’immagine della Casamance – diola, animista e cristiana – sembra derivare in realtà solo da una sua piccola parte che viene presa a rappresentazione dell’intera regione1. A conclusione di questa analisi sulla presenza cattolica in Casamance, è opportuno sottolineare un ultimo elemento. Parlando dell’islam si è detto che il bukut appare quindi come una caratteristica di una società preoccupata della propria sopravvivenza collettiva2 ovvero, il bukut che rappresenta una sorta di sincretismo tra l’animismo e l’islam è stato un modo usato dai diola mandizzati del nord per conservare la propria cultura. La stessa cosa accadde nelle zone in cui fu la religione cattolica ad inserirsi nella religione dei boekin. Ciò che è nato all’interno del panorama religioso della riva sinistra della Casamance è un movimento sincretico e plurale, che paradossalmente si alimenta reciprocamente3 3 LE TRASFORMAZIONI ECONOMICHE E SOCIALI Come hanno risposto le popolazioni locali ai cambiamenti introdotti dal colonizzatore? Certamente in maniera differente, o perlomeno è stato differente il modo in cui esse si sono inserite all’interno dell’economia di mercato e, progressivamente all’interno dei gangli dell’amministrazione. Alcuni degli abitanti della Casamance hanno saputo adattarsi con maggiore facilità, tutte hanno dovuto apportare degli ‘aggiustamenti’ alla struttura stessa della propria società. Secondo Darbon: […] non esiste più una cultura pura, ma come dei sistemi di valori sincretici in formazione, una cultura in costante adattamento. Si produce non solo un processo di selezione–adattamento degli elementi stranieri, ma anche un fenomeno di reazione al loro riguardo. Infatti, tutte le relazioni con il sistema ‘moderno’sono sottomesse al vaglio dell’organizzazione tradizionale modernizzata, che provoca sia un adattamento attraverso la re–interpretazione dei valori moderni, sia un rimaneggiamento dei valori tradizionali fosse anche la loro stessa permanenza attraverso la riattivazione.4 Nel paragrafo precedente, alcuni di questi processi sono stati già sottolineati, sebbene in un’ottica prevalentemente religiosa. Qui si tratta ora di inserire anche un’altra variabile, quella economica. Vediamo quindi come le diverse popolazioni si sono inserite all’interno della struttura economica coloniale e quali dinamiche ha originato. 1 E un discorso del tutto simile a quello di ‘verde Casamance’. Girard, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 50. 3 TRINCAZ, Jacqueline. “Colonisation et religions en Afrique noire: l’exemple de Ziguinchor”, L’Harmattan, 1981. 4 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 50. 2 150 3.1 I FULANI Abbiamo visto come il kumpo diola abbia trasformato in parte il significato delle società di lavoro diola basate sulle classi d’età1. Prima di essere strutture usate nelle attività lavorative, tali associazioni avevano una loro ragion d’essere innanzitutto religiosa e sociale. Con l’introduzione delle religioni rivelate, le fondamenta di questa impalcatura sono state fortemente inclinate, rischiando di travolgere l’intera struttura sociale, i rapporti tra le generazioni, la solidarietà contadina, l’armonia della società. Il tentativo di colmare il vuoto lasciato dall’abbandono della religione dei boekin e di mantenere in piedi le strutture di lavoro e sociali anche davanti ai cambiamenti religiosi e politici è alla base della nascita del kumpo. Il fenomeno non è però esclusivo della società diola. In Media e Alta Casamance, i mande e i fulani furono soggetti a sollecitazioni del tutto simili a quelle dei diola. Se entrambe avevano ormai già da tempo abbracciato la fede islamica, i cambiamenti economici a cui si dovettero adattare furono identici a quelli diola. Anche loro furono chiamati a trovare una nuova sintesi, un nuovo sincretismo che fosse capace di adattare la società tradizionale ai cambiamenti imposti dall’ingresso della modernità2. Già negli anni a cavallo della Grande Guerra iniziavano a comparire le avvisaglie di un’evoluzione che avrebbe avuto il suo apice negli anni ’40 e ’50 del Novecento. Le strutture sociali subirono l’impatto della monetarizzazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli introdotta dagli europei. Il pagamento dell’imposta in forma monetaria, creò un bisogno impellente di denaro. Le società tradizionali si sono trovate nella condizione di dover uscire dal loro isolamento, provocando una profonda mutazione della struttura e della natura dei gruppi di lavoro, ovvero delle classi d’età. La zona di tradizionale impiantazione dei fulani, l’Alta Casamance, insieme alla zona mande poco più a ovest, verso Seju, furono le prime in cui i francesi cercarono di incoraggiare la coltura dell’arachide. Questo, insieme alla necessità di denaro ha fatto nascere all’interno della società tradizionale dei fulani una mentalità individualista, maggiormente basata sul profitto, opposta a quella comunitaria dei gallé. Accanto al maru collettivo apparvero così i kaniaman, i campi individuali3. La trasformazione delle regole nella proprietà fondiaria ha portato con se anche un cambiamento nell’organizzazione del lavoro. Se il campo individuale era una risposta alle nuove esigenze dell’economia, questo non significava che il lavoro agricolo fosse diventato meno gravoso da esser svolto dal solo proprietario. Così si vennero a creare delle nuove unità di lavoro, diverse da quelle tradizionali dei campi collettivi, composte da uomini o donne che si scambiavano reciprocamente l’aiuto per la realizzazione di particolari attività nei rispettivi campi individuali. Tali associazioni, denominate comunemente “sociétés” dai fulani, nome che ne rivela chiaramente l’origine “straniera” di questa istituzione, riguardavano i campi di arachidi se formate da uomini e le risaie se invece formate da donne. La ripartizione tradizionale delle colture venne quindi rispettata. Al contrario delle yirde, le société presupponevano un’adesione volontaria e a 1 Vedere parte III, capitolo 2.2. Vedere la parte I, capitolo 2.3 e 2.4 sulle caratteristiche delle società mande e fulane pre–coloniali. 3 Ovviamente il lavoro collettivo nel maru non scompare, anzi mantiene la sua importanza. Gli uomini lavoravano nel loro campo solo dopo aver prestato il lavoro per la comunità, quindi essenzialmente a tarda sera o nell’unico giorno della settimana che veniva tradizionalmente riservato al riposo. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 72. DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 46–47. 2 151 carattere essenzialmente economico, svuotata di una qualunque valenza religiosa o politica. Inoltre a differenza delle yirde il numero dei partecipanti non era illimitato ma conforme alle esigenze dalla produzione. Un secondo tipo di associazione chiamata ‘wampagne’, riuniva uomini o donne per un’intera giornata di lavoro alla richiesta di una proprietario terriero; in particolare, il lavoro nelle piantagioni di arachide, si trasformava in un vero e proprio lavoro salariato, anche i pagamenti venivano effettuati in natura, soprattutto con capi di bestiame e feste che riunivano tutto il gruppo di lavoro. In genere in ogni villaggio era possibile trovare due o tre associazioni di lavoro che potevano anche offrire le proprie prestazioni oltre che ad altri individui e, come nel caso del wampagne, anche ad altri gallé o villaggi, sempre in cambio di denaro o beni di consumo. Tali associazioni sono sempre temporanee: si formano alla vigilia dell’hivernage per sciogliersi alla fine della stagione umida, alla fine dei lavori agricoli. Le nuove associazioni hanno anche influenzato le classi d’età: infatti quando era necessario procedere a lavori “pubblici”, che riguardavano l’intero villaggio e necessitavano di tante braccia (si pensi ad un pozzo do una moschea) venivano mobilitate le organizzazioni di lavoro tradizionali, basate sulle classi d’età, che però in questo specifico caso lavoravano come delle associazioni di lavoro “moderne”. Anche la funzione dei campi collettivi iniziò a cambiare, e vennero sempre più spesso utilizzati per ricavare il denaro sufficiente da utilizzare per particolari esigenze della comunità1. In conclusione è opportuno sottolineare un aspetto di questo cambiamento: invece che passività queste trasformazioni parlano di società dinamiche, che sanno innovarsi e trovare un nuovo modus vivendi con un contesto diverso, creando sincretismi economico – sociali “[queste associazioni] dimostrano anche una rimarcabile capacità di adattamento di queste società alle nuove condizioni dell’economia: ottenere la maggior quantità possibile di produzione commercializzabile, con i rendimenti migliori nel più breve tempo possibile; scambiare l’insufficiente capacità di lavoro dello sfruttamento individuale quando è ridotta alle sole proprie forze, con il rendimento intensivo di una squadra che lavora sullo steso campo”2. […]la volontà di una società rurale tradizionale […], di integrarsi ad un mondo nuovo, aperto agli scambi monetari e ad ogni sorta di influenza che modifica il vecchio modo di vita3. Tuttavia, l’agricoltura non era l’unica attività importante dei fulani. L’allevamento e il commercio dei prodotti ad esso legati rivestiva un ruolo certamente maggiore, sebbene questa tradizione fosse leggermente sbiadita tra i sedentarizzati dell’Alta Casamance. Già prima della conquista coloniale i Fulani avevano con i diola frequenti rapporti commerciali basati sul baratto: essenzialmente riso in cambio di latte o capi di bestiame. Durante i primi decenni del ‘900, questi rapporti si intensificarono, anche grazie al ruolo economico crescente di Ziguinchor e ai primi meccanismi di migrazione rurale. Così 1 PÉLISSIER, Paul. “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 530. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., pp. 71–73. 2 IBIDEM, pp. 73. 3 IBIDEM, p. 76. 152 alcuni pastori fulani si inserirono all’interno dei villaggi della Bassa Casamance soprattutto dalla prima guerra mondiale. Questo processo fu favorito anche dalla scolarizzazione di alcuni settori della popolazione diola, soprattutto nelle comunità più vicine alle missioni cattoliche. Infatti, tradizionalmente la custodia del bestiame era un’attività marginale che veniva affidata a coloro che per l’età non erano in grado di lavorare nelle risaie: quindi vecchi o bambini. Poiché la scuola cattolica toglieva una buona parte degli ‘addetti al bestiame’, la custodia dei capi venne sempre più affidata ai fulani immigrati, i ‘pastori di professione’. In cambio essi potevano tenere per se il latte prodotto dai bovini che accudivano ed eventualmente rivenderlo. Essi divennero così anche i principali fornitori di latte della città di Ziguinchor, oltre che della popolazione contadina dei dintorni. Ai fulani dell’Alta Casamance, vanno aggiunti anche quelli provenienti dalla Guinea portoghese, dalle alture del Futa Jalon, che si ritagliarono uno spazio all’interno del commercio al dettaglio di Ziguinchor, rifornendosi dai grossisti libanesi o greci1. 3.2 I MANDE Anche i mande2 della Media Casamance subirono delle trasformazioni a livello sociale e dell’organizzazione del lavoro. Al contrario dei fulani però, tra cui si sviluppò l’uso dei campi individuali, essi svilupparono i campi collettivi in cui ognuno univa le proprie forze per cercare di raggiungere il massimo raccolto e quindi il massimo profitto3. La loro struttura sociale gerarchica e lo spirito di ferventi musulmani attivamente impegnati nel proselitismo li rese particolarmente adatti a fungere come intermediari dei francesi: vennero quindi spesso impiegati come capi non solo nei loro villaggi ma anche in quelli diola della Bassa Casamance, tradizionalmente privi di un’autorità capace di garantire un certo controllo della popolazione. In questo fatto si nasconde un paradosso: è già stata analizzata nella prima parte di questo lavoro il tentativo di proselitismo di Fodé Kaba e del suo esercito di guerrieri mande nel Fogny; ed è stata anche sottolineata la vittoria dei francesi sul marabutto. Di fatto essi hanno impedito che i mande prendessero possesso dei territori diola salvandoli dalla conquista definitiva. Quei stessi guerrieri vennero utilizzati dai colonizzatori come capi villaggio e “imprenditori dell’arachide”: fu proprio grazie a loro che l’arachide, seppure con largo ritardo, riuscì a diffondersi anche in Bassa Casamance, perlomeno lungo la riva nord. Malgrado la passata reputazione di schiavisti, conquistatori, guerrieri, i mande vennero accolti bene dalla popolazione del Fogny e iniziarono a godere di un certo prestigio. Ovviamente, la stessa strategia venne utilizzata anche tra le popolazioni della riva sud; tuttavia, qui le cose andarono diversamente: i diola di questa zona non avevano subito il processo di mandizzazione già in corso al nord e rifiutarono tenacemente qualunque capo che volesse imporre la propria autorità nel villaggio, soprattutto se straniero. Non fu un caso che soprattutto le zone più vicine alla costa siano rimaste totalmente 1 Questo ruolo è ancora oggi ben visibile. I mande vengono spesso considerate insieme ai wolof come “popolazioni espansioniste”, per la loro tradizione guerriera. 3 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 47–48. 2 153 impermeabili all’islam e a ciò che esso portava con se: essenzialmente arachide e autorità1. 3.3 LE POPOLAZIONI GUINEANE La Casamance del periodo coloniale non fu abitata solo da quelle che sin dall’inizio di questo saggio sono state indicate come le “popolazioni autoctone”. Tra tali popolazioni, si sono inserite importanti minoranze provenienti soprattutto dal nord o dalla Guinea portoghese. Dalla creazione della colonia, il Senegal inizia a figurare come “colonia ricca” della regione, caratteristica che è stata oggi ereditata dallo stato indipendente2. Questo fatto faceva si che fosse meta di un movimento migratorio, quello dei cosiddetti ‘navetanes’, che affluivano soprattutto durante la stagione delle piogge per contribuire alla produzione degli arachidi. Tra le popolazioni provenienti da sud troviamo principalmente mandjiak, mancagne, papeis, balant. Tutte queste popolazioni hammo molto in comune con i diola: non a caso vengono tutte annoverate tra le ‘popolazioni guineane’, ovvero società agricole, prevalentemente risicole in cui la donna si distingue per la sua indipendenza, perfettamente integrate nel difficile ambiente fatto di mangrovie, foresta e marigot che caratterizza le terre tra la Casamance e il rio Cacheu, con organizzazioni socio–politiche di tipo egualitario e fedeli alle religioni tradizionali. La loro immigrazione si fece sempre più consistente negli anni successivi alla seconda guerra mondiale quando in Senegal venne abolito il sistema dell’indigenato che rimaneva ancora presente in Guinea. I Mandjaik sono stati probabilmente tra i primi a recarsi in numeri consistenti in Bassa Casamance. Si insediarono a Ziguinchor già durante la colonizzazione portoghese; successivamente prestarono la loro forza lavoro ai francesi e spesso riuscirono ad intraprendere anche il percorso di assimilazione, convertendosi alla fede cattolica. A cavallo tra i due secoli si occuparono soprattutto dell’estrazione della gomma, in cui diventarono degli specialisti. Poi, con il declino di questa produzione si dedicarono al suo sostituto nell’economia di tratta, l’arachide, senza dimenticare però la loro tradizione risicola. I mancagne iniziarono ad affluire con una certa consistenza tra le due guerre. Anch’essi si occuparono all’inizio della gomma per poi convertirsi completamente all’arachide. La loro integrazione tra le altre popolazioni fu un po' più problematica ma con l’andare del tempo le relazioni si stabilizzarono. Infine, i balant3 vanno annoverati come un’importante minoranza tra le popolazioni che tradizionalmente occupavano la regione già prima dell’arrivo dei francesi; la loro zona di principale installazione si trova sulla riva sud a cavallo tra la Bassa e Media Casamance, il 1 TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 163–164. Il fatto che prima Saint–Louis e poi Dakar fosse la sede dell’Amministratore dell’Africa Occidentale rendeva il Senegal una colonia privilegiata, poiché godeva di maggiori attenzioni. Inoltre,nel porto di Dakar venivano raccolti tutti i prodotti, fra tutti l’arachide, che erano destinati al commercio esterno. Ziguinchor funzionò allo stesso modo in Casamance, almeno fino all’indipendenza, quando il porto regionale declinò e tutti i flussi commerciali vennero convogliati verso la capitale. 3 Per un approfondimento sui balant bedere in particolare BERENGER–FERAUD. “Les peuplades de la Sénégambie”, Claireafrique, 1973. PELISSIER Paul, “Les paysans du Sénégal”, op. cit. 2 154 cosiddetto Balantacunda (la terra dei balant) e si estende ampiamente in Guinea1. I balant della Casamance al contrario di quelli provenienti dalla Guinea, installatisi prevalentemente a Ziguinchor, sono stati maggiormente influenzati dalla diffusione dell’islam che ha profondamente modificato il loro sistema socio–culturale con processi simili a quelli che caratterizzarono la società diola. I balant del Balantacunda si sono lentamente convertiti all’arachide senza tuttavia mai abbandonare la risicoltura; i balant di Guinea si inserirono anche a Ziguinchor come operai al porto o agricoltori2. 3.4 I TUKOLOR I tukolor sono un’altra delle minoranze presenti in Senegal. È una popolazione che viene incorporata all’interno del grande ceppo Haal–Pulaar, a cui appartengono anche i fulani. Le zone in cui sono maggiormente presenti, già dal periodo coloniale sono la valle del Senegal (il Futa Toro) e la Media Casamance, la zona di Kabada3. È una popolazione con una struttura sociale gerarchica che può essere per questo accomunata alle tradizioni wolof o mande. Tuttavia, al contrario delle precedenti, ha messo la pesca come attività prevalente, lasciando al margine l’agricoltura o l’allevamento. Durante il periodo coloniale, tukolor provenienti dalla valle del Senegal che quelli della Media Casamance si sono spinti fino a Ziguinchor dove si sono specializzati sia nella pesca, in particolare quella al gamberetto, che all’attività ad essa correlata, la costruzione di imbarcazioni. Per quest’ultima attività le foreste della Casamance erano una ricchissima miniera di materia prima: nel giro di pochi anni il legno di questa regione inizierà a galleggiare sotto forma di piccole barche per la pesca nella regione del ‘Fleuve’. Altre attività in cui i Tukolor seppero ritagliarsi un ruolo è il commercio, in primis dei prodotti ittici, ma anche l’artigianato e l’oreficeria, settore questo completamente sconosciuto in Bassa Casamance fino al loro arrivo4. 3.5 GLI WOLOF Gli wolof sono giunti in Casamance principalmente a seguito dei francesi, come interpreti, intermediari, operai a Ziguinchor, marabutti ecc. Si è già descritto in precedenza come gli wolof attraverso la confraternite muride abbiano saputo trovare un modo originale per adattarsi alla presenza francese. Molti inoltre avevano vissuto o erano originari di uno dei Quattro Comuni del nord e avevano certamente una maggiore dimestichezza con la cultura o la lingua francese. Per questo gli amministratori e le società commerciali li utilizzarono ampiamente, soprattutto in Casamance. La prima ondata di immigrati fu così costituita da militari, coloni, operai, traitants e seppe integrarsi abbastanza facilmente al contesto urbano di Ziguinchor e delle campagne adiacenti. 1 La principale differenza tra i due sottogruppi risiede nel tipo di cultura agraria, gli uni ( i balant della Guinea) principalmente risicoli, gli altri preferendo il miglio e relegando la risicoltura alle donne. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 161. 2 IBIDEM, pp. 158–161. 3 La regioni di Kabada si trova a nord di Seju in prossimità del confine col Gambia. I Tukolor provenienti dal Futa Toro vi si stabilirono dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’imperatore mande dell’impero del Gabu. Ancora oggi sono circondati dalle tre principali popolazioni della regione: diola, fulani e mande. DARBON, Dominique. “L’administration et le paysan en Casamance”, op. cit., p. 26. 4 TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 167. 155 Una seconda ondata di immigrati iniziò a cavallo tra le due guerre, quando l’amministrazione coloniale riorganizzò in maniera più razionale l’amministrazione del territorio dopo lo stato d’assedio a cui la regione dovette essere sottoposta negli ultimi anni della Grande Guerra. Così iniziarono ad affluire principalmente funzionari e impiegati presso le società commerciali del nord che vennero inviati nelle filiali di Ziguinchor a causa dell’impossibilità di trovare sul posto persone altrettanto competenti in questioni commerciali o finanziarie. L’integrazione degli wolof arrivati con quest’ultima ondata è stata certamente più difficoltosa e avrà delle ripercussioni anche durante l’indipendenza. Essi infatti acquisirono i posti chiavi dell’amministrazione e degli affari acquisendo agli occhi della popolazione uno status simile a quello dei colonizzatori1. 3.6 L’ESCLUSIONE DEI DIOLA DALLA RETE COMMERCIALE L’introduzione dell’economia di tratta, le imposte, la crescita della domanda di beni alimentari e di manufatti, inserisce anche i diola all’interno della grande rete economica coloniale. L’arachide progressivamente prese piede anche in Bassa Casamance. Tuttavia, devono essere qui sottolineate delle importanti differenze: se nei territori lungo la riva nord, i marabutti mande e la popolazione diola ‘mandizzata’ iniziò a dedicare parte della propria terra e del proprio tempo all’arachide togliendolo alla risicoltura, lungo la riva sinistra questo non accadde se non in misura limitata e nelle regioni più vicine alla Media Casamance. Qui i contadini preferirono scegliere la migrazione stagionale verso il bacino arachidiero, dove si offrivano come braccianti o richiedevano l’autorizzazione di sfruttare una porzione di terra dai capi locali. Le donne invece si ritagliarono, perlomeno all’inizio, un ruolo nell’ambito delle difficili operazioni di imbarco e sbarco delle merci nel porto di Ziguinchor, attività considerata particolarmente umiliante per gli uomini. I diola rimasero quindi essenzialmente contadini e in questo condivisero la sorte delle altre popolazioni giuneane citate in precedenza. Un derivato culturale? In parte, probabilmente si. Tuttavia, per queste popolazioni non tutte le strade erano percorribili: il commercio per esempio costituiva di fatto una via bloccata dal monopolio delle reti islamiche, fossero esse wolof o mande. Stesso discorso potrebbe essere fatto per l’amministrazione, anche ai livelli più bassi. Come già osservato in precedenza, questi due settori furono progressivamente monopolizzate ai livelli medio bassi dalle popolazioni provenienti dal nord o dai mande2. La strada commerciale bloccata, la carriera amministrativa non percorribile a causa della carenza delle conoscenze, la risicoltura improduttiva a livello di entrate monetarie… Quale risposta seppero dare i diola all’interno di questo contesto? Un percorso originale: quello dell’istruzione e della migrazione in ‘Senegal’3. 1 Non è un caso che a Ziguinchor essi si installassero principalmente nell’Èscale (il quartiere europeo in prossimità del porto) o nei quartieri africani ad esso adiacenti, che ancora oggi sono quelli in cui si ritrova una certa concentrazione di wolof e si caratterizzano per essere i quartieri lottizzati in cui la popolazione si pone ad un livello di reddito superiore al resto de quartieri africani. TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 164–168. 2 FOUCHER, Vincent. “Les évlués, la migration, l’école”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 384–385. 3 La popolazione della Casamance esano comunemente l’espressione ‘andare in Senegal’ per indicare uno spostamento verso il nord del paese. 156 4 UNA RISPOSTA DIOLA: MIGRAZIONE ED ISTRUZIONE Il conflitto in Casamance è stato definito, soprattutto in ambito governativo, come un conflitto tra tradizione e modernità: sarebbe nato come conseguenza dell’impatto della cultura e tecniche moderne su una società che si vorrebbe cristallizzata e chiusa verso il mondo esterno. Diventa però difficile spiegare allora perché nei primi anni ’90, quindi a pochi anni dall’inizio del conflitto, la regione più arretrata dal punto di vista dell’istruzione fosse quella di Diourbel, mentre la regione di Ziguinchor, presentasse tassi di scolarizzazione ben più elevati. A rigor di logica dovrebbe essere Diourbel a presentare problemi di “integrazione” nella società moderna e non la Casamance. Invece accade esattamente il contrario: Diourbel, cuore della produzione arachidiera è perfettamente integrata nell’economia e nei meccanismi dello stato moderno; a Ziguinchor invece la polizia è costretta a sparare sui dei manifestanti che chiedono l’indipendenza proprio dallo stato. Ecco quindi che il tema dell’istruzione diventa un tassello importante per capire le attuali cause e dinamiche del conflitto. 4.1 L’INTRODUZIONE DELLE SCUOLE EUROPEE IN SENEGAL I primi maestri arrivarono in Senegal con i primi colonizzatori. Già intorno al 1639 si ha notizia dell’apertura delle prime scuole da parte dei missionari cattolici. Tuttavia furono esperienze molto effimere. È una suora dell’ ordine di San Giuseppe, Suor Javouhey che viene riconosciuta come fondatrice dell’istruzione moderna in Senegal nel 1826: oltre ad aprire le prime scuole elementari a Saint-Louis, propose di mandare gli studenti più promettenti in Francia, a proseguire gli studi nei licei. La sua domanda venne accolta, nonostante le resistenza di una parte dell’amministrazione, tra cui quella del governatore dell’epoca, il barone Roger. Altra tappa importante nella storia dell’istruzione in Senegal fu l’incarico di aprire nuove scuole dato dall’amministrazione nel 1840 ai fratelli di Ploërmel. Essi aprirono varie scuole nei nuovi avamposti, tra cui anche a Seju nel 1860. Per la prima volta i primi giovani della Casamance potevano frequentare dei corsi scolastici europei. A SaintLouis, sempre negli anni ’40 dell’Ottocento venne anche aperto il primo liceo1. Tutte queste esperienze furono in realtà incerte, sebbene i fratelli missionari non si lasciarono scoraggiare dalle difficoltà: era faticoso anche solo mantenere un ritmo scolastico regolare e spesso le scuole venivano chiuse per brevi periodi di tempo. Un apporto importante nello sviluppo dell’istruzione in Senegal fu dato da Faidherbe. Egli era profondamente convinto della necessità di sostenere l’istruzione nelle colonie, anche quella degli africani musulmani: 1 La creazione di una scuola secondaria si deve soprattutto a padre Boilat, un missionario apostolico, che si dimostrò molto sensibile alla questione dell’istruzione; questo gli valse la nomina ad ispettore dell’istruzione pubblica del Senegal e dei territori annessi. Egli spiega la necessità di un liceo in questi termini: “Dolorosamente impressionato alla vista di uno stato così miserabile, e cercando di rendermi utile a questa povera colonia e soprattutto a questa gioventù che non vedeva davanti a se nient’altro se non la miseria, ho deciso, sempre lavorando per la salute delle anime, di occuparmi a dare un’educazione secondaria ai figli di traitants, […]; ma per questo mi occorreva la collaborazione del governatore per avere i locali e la fornitura dei libri necessari”. Padre Boilat divenne il preside del primo liceo di Saint–Louis. Per un approfondimento sulla nascita del liceo e la corrispondenza tra il padre missionario e i governatori vedere il resoconto dato dallo stesso Boilat in BOILART, P. D. “Esquisses sénégalaises”, op. cit., pp. 227–243 e 477–479. 157 guardate cosa succede più in la sulla costa… alcune tribù primitive, salvate dalla schiavitù dagli inglesi, hanno approfittato dell’istruzione impartita dalle organizzazioni abolizioniste… oggi esse sono diventate mercanti, negozianti, dettaglianti, altri occupano delle funzioni importanti all’interno della società coloniale, e alcuni uomini nati selvaggi nel Congo, oggi sono degli amministratori coloniali o degli avvocati al servizio degli inglesi. Qui in Senegal… alcuni giovani cresciuti nelle famiglie cristiane di Saint-Louis, dopo aver studiato nelle scuole religiose, vanno in Francia a terminare gli studi e ritornano dotati delle qualità necessarie ad occupare le funzioni più importanti nell’amministrazione della colonia1. Ecco quindi che Faidherbe si fece promotore di diverse iniziative. Molte di queste furono volte a cercare di superare il problema del rapporto e della convivenza con le scuole coraniche. L’esperienza aveva ormai già ampiamente dimostrato che non era semplice convincere i genitori di fede musulmana a mandare i loro figli nelle scuole missionarie. Il timore di una conversione era ovviamente grande e i musulmani tendevano a diffidare2. La sua idea fu quella di aprire delle scuole laiche che però stentarono a decollare. Nel 1855 fondò la “Scuola dei Capi” in cui Faidherbe tentò di attirare i giovani dell’interno, allo scopo di farne i futuri dirigenti nei ranghi inferiori dell’amministrazione o semplicemente degli ausiliari dei francesi. Tanti furono anche i tentativi di regolare le scuole coraniche: si andò dalla previsione di ispettori alla necessità di patenti o autorizzazioni.3 I missionari cattolici si resero conto ben presto che nelle zone settentrionali le scuole missionarie si sarebbero sempre dovute accontentare degli interstizi lasciati liberi dalla scuola coranica. C’erano però due regioni che sembravano ancora potenzialmente promettenti intorno alla metà dell’Ottocento: il Sine–Saloum e la Casamance. L’islam infatti in queste zone non si era ancora impiantato e la possibilità di conversione e di istruzione delle popolazioni era quindi possibile. La Bassa Casamance era particolarmente interessante. Qui le popolazioni diola e balant erano animiste ed erano appena state lambite dell’islam in seguito ai jihad dei marabutti mande e fulani del XIX secolo4. I missionari cattolici concentrarono qui le loro energie. Nel 1860 la prima scuola venne aperta a Seju; poi nel 1888 e 1890 fu la volta rispettivamente di Ziguinchor e Karabane. Così i missionari scrivevano nell’anno scolastico 1887-88: [in media Casamance] i maomettani sono numerosi, e forse non ci sarebbe stata la possibilità di scuotere la polvere dalle nostre scarpe, se la Provvidenza non vi ci avesse mandato una moltitudine di diola, scacciati dal Fogni, la loro patria, dai marabutti, che hanno saccheggiato e distrutto tutto. Questi diola sono feticisti e nemici dei maomettani. Amano il lavoro e la coltura dei loro campi è la loro 1 Discorso di Faidherbe cit da JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 46. 2 Finché la schiavitù era ancora legale, alcuni schiavi musulmani vennero obbligati a seguire le lezioni all’interno delle scuole cattoliche, senza che ovviamente fosse necessaria l’autorizzazione dei genitori. Ecco quindi che nel 1844, 25 studenti musulmani vennero battezzati; tre anni dopo erano una trentina. Ovviamente le cose cambiarono dal 1848 in poi, e certamente queste vicende non avevano contribuito a rassicurare i musulmani. BOUCHE, Denise. "L'école française et les musulmans au Sénégal de 1850 à 1920", Revue Française d'Outre Mer, 1974, LXI (223): p. 219. 3 HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 135–137. 4 Vedere parte II, capitolo 3 e 4. 158 principale attività. Ricevono volentieri i missionari nei loro villaggi e ascoltano la loro parola con interesse. Amano anche assistere agli uffici1. Tuttavia, fino alla fine del secolo il numero degli africani scolarizzati rimase molto basso ovunque. Al nord si tendeva da un lato ad incentivare l’educazione dei giovani creoli piuttosto che quella dei musulmani africani, e gli stessi africani rimasero ancora diffidenti nei confronti dell’istruzione europea, vista come “un cosa di bianchi”. Probabilmente la scuola rappresentò un punto di incomprensione tra bianchi e neri: per lungo tempo i bianchi faticarono a capire l’insegnamento impartito nelle scuole coraniche dai marabutti locali; ma la stessa incomprensione la si ritrovava nella comunità africana verso l’educazione francese2. Con l’inizio del secolo le cose cambiarono sia per i musulmani che per i francesi. I primi iniziarono a capire i benefici di un’istruzione di tipo europeo: progressivamente vennero trovate delle soluzioni per conciliare l’insegnamento coranico con quello coloniale; i genitori iniziarono con l’impartire prima l’insegnamento coranico per poi passare a quello occidentale; in seguito i bambini iniziarono a frequentare contemporaneamente le due scuole. Anche per i francesi le cose cambiarono. L’anticlericalismo nascente presente in madrepatria, imponeva un atteggiamento duro e sospettoso nei confronti delle scuole cattoliche. L’istruzione laica monopolizzata dallo stato divenne la regola dal 1903, sebbene le scuole cattoliche sopravissero un po' ovunque nella colonia. Tabella 3: numero di allievi e di maestri per tipo di scuole TIPO DI SCUOLE N° ALLIEVI Corsi per adulti Scuola secondaria Insegnamento sup. coranica Scuole professionali Scuole primarie 1357 21 65 91 4497 TOTALE 6053 TIPO INSEGNANTE Maestri francesi Scuola elem. Scuola super. Maestri africani (quasi tutti maestri element.) TOTALE N° MAESTRI 45 4 54 103 Fonte: 3 Wesley Jonhson (1991) Il sistema scolastico all’inizio del ‘900 era composto da un primo livello formato dal gruppo delle scuole primarie, che si distinguevano in scuole urbane, regionali e rurali. La riforma diede certamente nuove opportunità d’istruzione ad una nuova classe di giovani. Al termine degli studi potevano pensare di dedicarsi al commercio o all’artigianato. Ma soprattutto crebbe il numero dei giovani maestri che insegnavano nelle scuole elementari dell’interno3. La Casamance partecipò a questa prima espansione dell’istruzione, tanto più che, come già osservato, oltre alle scuole laiche qui anche la chiesa moltiplicava i propri sforzi. Nel 1 Bollettino della Congregazione dello Spirito Santo, cit. da FOUCHER, Vincent. “Les évolués, la migration, l’école” in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit. 2 Le scuole coraniche non erano tanto dispensatrici di nozioni, neppure di carattere religioso. Più che altro forgiavano un carattere, e inculcavano nelle menti dei giovani certi valori anche attraverso la fatica, la fame, il freddo, il lavoro. A titolo d’esempio si può pensare ai daara murid, tradizionalmente luogo di preghiera e lavoro, dove le giovani reclute servono il proprio marabutto fino all’ingresso nella società come adulti. BOUCHE, Denise. "L'école française et les musulmans au Sénégal de 1850 à 1920", Revue Française d'Outre Mer, 1974, LXI (223): pp. 218-235. CHEIKH GUÈYE, “Touba. La capitale des Mourides”, op. cit. SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit. 3 JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., pp. 177–178. 159 1906, 40 bambini, figli prevalentemente di commercianti, frequentavano la scuola elementare a Ziguinchor. A Seju, nello stesso periodo due maestri africani si dividevano due classi con 111 allievi, mentre a Karabane un maestro insegnava a 56 studenti. Negli anni successivi altre scuole vennero aperte a Kolda e Bignona e nel 1911 in tutta la Casamance si contavano 497 ragazzi e 80 ragazze che avevano ricevuto un’istruzione elementare. Nel 1950 la chiesa cattolica poteva inoltre vantare ben 35 scuole elementari nella sola Bassa Casamance1. Ben pochi si potrebbe osservare. Tuttavia fu un inizio importante che fu incentivato negli anni successivi e soprattutto dopo il primo conflitto mondiale. Infatti, è stato detto che almeno nei primi decenni del secolo sia la strada commerciale che quella amministrativa era preclusa ai diola e alle altra popolazioni guineane. Tuttavia, nel momento in cui l’amministrazione iniziò ad africanizzarsi dagli anni ’40 una barriera venne abbattuta. Per diventare funzionari bastava avere un diploma di scuola elementare, almeno per accedere ai ranghi più bassi, comunque molto ambiti. Il sapere trasmesso dalla scuola divenne una delle chiavi per accedere agli impieghi e al potere moderno. […] ci fu una domanda di scolarizzazione. Questo significa che una parte degli attuali dirigenti, nati tra gli anni ’40 e ’50, sono stati formati dalla chiesa.2 Per i primi giovani che optarono per l’istruzione le cose non furono facili. Gli anziani si opponevano strenuamente alla scuola dei ‘bianchi’ e temevano di perdere per sempre i propri nipoti e quindi il futuro stesso della comunità. Le bibliografie degli scolari dell’epoca sono spesso molto curiose: si va da genitori che nascondevano i figli per non farli andare a scuola a figli che scappavano il città o in villaggi vicini dove potevano proseguire gli studi. Tuttavia, la resistenza degli anziani fu presto vinta, quando iniziarono ad arrivare i primi stipendi dei neo–funzionari, che permettevano di riempire il granaio e assicurare una certa sicurezza all’intera famiglia. Allora furono essi stessi ad incentivare l’istruzione e tutta la comunità iniziò a partecipare all’investimento negli studi dei giovani3. È in quegli anni che nacque quello che Foucher chiama ‘patto implicito’ tra i diola e l’amministrazione coloniale: Dopo la seconda Guerra Mondiale, una sorta di patto implicito si è stabilito tra lo stato e la Bassa Casamance, che ha fatto della funzione pubblica il cammino d’accesso privilegiato dai giovani della Casamance 1 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 311–312. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 330. Da sottolineare che se Saint– Louis e Dakar si dotarono ben presto anche di scuole superiori, queste comparvero in Casamance solo molto più tardi durante gli anni dell’indipendenza. I ragazzi che volevano e soprattutto potevano investire nell’istruzione dovevano recarsi a Dakar, dando vita a fenomeni migratori consistenti. Il fatto di avere prevalentemente accesso all’istruzione elementare rendeva accessibili gli impieghi nelle categorie più basse (C o D), comunque attrattive. L’effetto segregazione rispetto ai ‘nordisti’ iniziava però a farsi sentire. LAMBERT, Michael. “La marginalisation économique des communautés joola à la fin du XXe siécle”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit. 3 Secondo un censimento fatto a Dakar nel 1955 indica che su una media del 12% di residenti maschi africani impiegati nelle industrie, solo il 5% era originario della Bassa Casamance. Le percentuali si capovolgono se si prendono in considerazione gli impiegati nella polizia: su una media del 4% i diola della Bassa Casamance figurano con un 12% di presenze. FOUCHER, Vincent. “Les évlués, la migration, l’école”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 386. 2 160 verso la modernità la dove gli altri senegalesi sfruttavano altre traiettorie – l’espatrio, il commercio, l’artigianato urbano,la religione. Certo, questo ‘patto’ non è mai stato formulato, né senza dubbio veramente inteso in questo modo dagli attori in gioco – risulta largamente dal brulichio delle micro–decisioni dei migranti. 1 Questa classe di “évolués”, saranno coloro che inizieranno a porsi delle domande circa la natura della colonizzazione francese. Molti maestri del nord così come della Casamance si accorsero delle discriminazioni a cui la popolazione nera era sottoposta: le scuole migliori erano per esempio riservate agli studenti francesi o creoli, gli sbocchi lavorativi successivi erano penalizzanti per gli africani sia nel campo dell’amministrazione che in quello dell’insegnamento; c’erano inoltre differenze salariali: alla parità di prestazione non corrispondeva la stessa restituzione. L’istruzione superiore rimase inoltre preclusa agli africani almeno fino agli anni ’202. La prima e la seconda generazione di africani istruiti ebbe certamente il ruolo di avanguardia in un movimento, in gran parte informale, che portò ad una importante rivoluzione nelle mentalità. Qualche giovane particolarmente fortunato della seconda generazione riuscì ad acquisire un’istruzione superiore. Furono queste persone che ormai si destreggiavano bene nei concetti propri della cultura occidentale, che iniziarono a diffondere il loro sapere e l’idea di assimilazione e uguaglianza anche nelle zone rurali. Essi furono certamente i principali artefici del risveglio della società africana. E molti di essi, come si vedrà, saranno tra coloro che negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, daranno vita ai primi partiti politici autoctoni. Tra questi, il partito regionalista noto come Movimento delle Forze Democratiche della Casamance, animerà il dibattito politico dell’immediato dopoguerra3. 4.2 I FENOMENI MIGRATORI DIOLA Strettamente legato al discorso sull’istruzione è quello della migrazione, altra strategia scelta dai diola per cercare di inserirsi nel nuovo contesto coloniale. Se la Casamance non aveva molto da offrire l’alternativa era cercare altrove le risorse necessarie per la propria sopravvivenza e per quella della famiglia. Migrare significava essenzialmente puntare sull’istruzione, ma anche decidere di recarsi al nord durante l’hivernage per la coltura dell’arachide o a Dakar a cercar lavoro come operai nelle industrie4. 1 Questo patto è particolarmente importante perché secondo Foucher non verrà modificato dallo stato senegalese, anzi verrà al contrario incentivato nei primi anni dell’indipendenza quando l’amministrazione doveva essere completamente africanizzata. Le implicazioni saranno fortissime però nel momento in cui negli anni ’70 lo stato entrerà in crisi e l’accesso alla funzione pubblica diverrà particolarmente difficile, una “fortuna per pochi”. FOUCHER, Vincent. “Les évolués, la migration, l’école”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 388. 2 Dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, si aprì un ampio dibattito sullo stato delle colonie dal punto di vista culturale e delle condizioni di vita delle popolazioni colonizzate. Venne considerato particolarmente riprovevole il fatto che la gran parte dei colonizzati fosse soggetta a forme di schiavitù generalizzata, quali l’obbligo di corvée o altri tipi di lavori forzati e venne data rilevanza al problema dell’istruzione del mondo rurale. In quest’ottica va vista l’abolizione dell’indigenato nelle colonie francesi durante il dopoguerra, ma anche lo sviluppo del sistema scolastico. 3 JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., pp. 180–181. 4 L’importanza della migrazione è data anche dalla percentuale di residenti diola a Dakar che è particolarmente elevata (12%) e doppia o tripla rispetto alle zone del bacino arachidiero. 161 All’inizio, almeno fino all’apertura della Transgambiana nel 1957, la migrazione era un affare degli uomini. Alle donne non era formalmente proibito emigrare ma regoli sociali non scritte tendevano fortemente a disincentivarle. Non a caso, le prime associazioni di emigrati a Dakar, ebbero come scopo proprio quello di impedire l’emigrazione femminile dai villaggi1. Successivamente anche le donne parteciparono alla migrazione e spesso accompagnavano i loro fratelli a Ziguinchor o a Dakar. L’analisi delle peculiarità delle migrazioni femminili esula dal tema di questo saggio. Basti qui ricordare che le strategie seguite dalle donne erano diverse da quelle maschili: per loro si trattava di occuparsi dei fratelli e cercare lavoro come domestiche. L’istruzione non era quasi mai contemplata. Il loro fine era piuttosto quello di lavorare per qualche anno al fine di racimolare i soldi per la loro dote e quindi in vista del matrimonio e del ritorno al villaggio2. Sono due gli aspetti importanti ai fini di quest’analisi che vanno sottolineati parlando della migrazione. Da un lato, la migrazione si articolò con la nascita in città di una miriade di associazioni di emigranti3, che avevano lo scopo di raggruppare giovani provenienti da una stessa zona per darsi mutuo soccorso ma anche per fini ricreativi. Al loro interno, paradossalmente, la cultura tradizionale si riproduceva anche grazie ai legami fortissimi che venivano mantenuti con i villaggi d’origine. I giovani studenti che rientravano al villaggio per le vacanze organizzavano spesso attività ricreative o educative che li rendevano particolarmente ammirati e autorevoli agli occhi dei loro compaesani. Queste associazioni di ressortissants ebbero un ruolo fondamentale nella nascita del particolarismo casamancese. Spesso al villaggio venivano infatti organizzati spettacoli teatrali sulla cultura tradizionale, o semplicemente si trovarono a gestire a livello di villaggio associazioni o piccole comunità in cui si riproduceva ogni giorno l’incontro tra il mondo rurale e la modernità. Essi ebbero un vivo interesse per i lavori antropologici e storici già realizzati sulla loro cultura ed essi stessi vi contribuirono. Così facendo, diedero un peso nuovo, un’importanza particolare alle tradizioni, che però fissate nero su bianco nei saggi degli esperti iniziarono a cristallizzarsi. Gran parte della retorica indipendentista pone qui le sue radici. Anche qui ebbe luogo quindi quel fenomeno particolare, caratteristico di molte società africane, noto come ‘invenzione della tradizione’4. Secondo elemento da sottolineare riguarda la nascita di un sentimento di frustrazione e di risentimento che pone le radici nella tradizionale nostalgia dell’emigrato per la propria terra. I diola che emigrano sono pienamente consapevoli delle ricchezze della propria terra; decantano la “verde Casamance”, contribuendo in questo ad alimentare un altro mito, e sono consapevoli che la causa della loro migrazione risiede nel suo sottosfruttamento o dai “colonizzatori” che invadono le loro terre a propri fini. Queste in realtà è una rivendicazione che ugualmente pone radici nelle migrazioni coloniali e per 1 LAMBERT, Michael. “La marginalisation économique des communautés joola à la fin du XXe siécle”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 361. 2 Per un approfondimento sul tema vedere IBIDEM, pp. 363–368. A titolo esempio sul percorso migratorio femminile diola vedere l’esperienza seppure successiva di Adèle D. riportata da ALBERT–BARBIER, Brigitte. “Le Cœur. L’historire de Adèle D.” in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 27–45. 3 Cono quelle che Lambert chiama le ‘comunità multilocali’: “i villaggi sono ora dispersi su più siti, nel nord del Senegal, in Gambia o a Ziguinchor, ma tutti questi siti conservano dei forti legami tra loro e costituiscono ancora delle comunità”. LAMBERT, Michael. “La marginalisation économique”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 388–391. 4 CARCANGIU, Bianca Maria. “Ripensare la storia coloniale” , Atti del convegno, Cagliari 18-19 Aprile 1993. L’attività di tali associazioni è ancora oggi particolarmente rilevante. 162 svilupparsi appieno durante gli anni dell’indipendenza. Lo stesso termine ‘colonizzatori’ si riferisce nei discorsi degli emigrati tanto ai francesi che ai nordisti senegalesi. Si è detto come l’economia coloniale non abbia premiato questa regione; vedremo che lo stato indipendente continuerà lo stesso tipo di strategia economica alimentando questo tipo di discorso oltre che lo stesso flusso migratorio. Per tutti gli anni ‘40–’60, questo tipo di strategia rimase sinonimo di riuscita sociale. La prima generazione di funzionari che riuscirono nel loro percorso ebbero ovviamente un impatto notevole sulla popolazione: la loro autorità, il prestigio, la relativa ricchezza di cui essi godevano erano per i giovani erano un forte incentivo ad abbandonare il duro lavoro nelle risaie. Gli anziani dal canto loro, abbandonarono ogni riserva verso la migrazione e anzi venne incentivata1. La maggioranza dei giovani ella Casamance alla fine dell’epoca coloniale si trasferivano abitualmente per qualche anno a Dakar:: la regina di Kabrousse, Alin Sitoé che viene considerata la Giovanna D’Arco della resistenza diola degli anni della seconda Guerra Mondiale, fu per esempio un’emigrata2. Ecco un altro esempio in un’intervista che François George Barbier–Wiesser fece qualche anno fa ad un attivista del MFDC, tanto nella sua versione del ’48 tanto in quella dell’ ‘82: Mi chiamo realmente Bourama Badji, nome di battesimo Faye è un soprannome; ho fatto i miei studi elementari a Seju dove sono nato nel 1930 e dove sono cresciuto, dopo i miei primi studi primari alla scuola detta all’epoca, scuola regionale di Seju, ho potuto avere accesso al corso normale di Saint–Louis, dove ho fatto i miei studi e da cui sono uscito insegnante e ho avuto la fortuna di ritornare al mio paese a Seju dal 1948 al 1953. Avevo appena 20 anni […]3 Tuttavia, la crisi dello stato senegalese degli anni ’70 andrà a modificare lo scenario e a creare una nuova, forte fonte di risentimento4. CONCLUSIONE Dopo aver analizzato le strutture dell’amministrazione e dell’economia coloniale, in questo capitolo ci si era posti il problema di individuare i caratteri principali che scaturivano dall’incontro di queste strutture con le popolazioni della Casamance. Già nei due precedenti capitoli era stata avanzata l’ipotesi dell’emarginazione della Casamance tanto a livello politico quando economico. Qui il problema è stato affrontato da vicino, precisandone i dettagli su tre livelli differenti. 1 FOUCHER, Vincent. “Les évolués, la migration, l’école” in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 391 2 Vedere parte 4. 3 BARBIER–WIESSER, François George. “Témoignages. Trois témoignages, trois sénégalaises, trois point de vue”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 278–282. 4 LINARES, Olga F. “Going to the city… and coming back? Turnaround migration among the Jola of Senegal”, Africa, 2003, 73 (1): pp. 113-136. Vedere parte V. 163 A livello amministrativo, il dato che è emerso può essere così sintetizzato: mentre al nord nasceva il “contratto sociale” con i marabutti, in Casamance un problema di amministrazione e comunicazione politica tra i dirigenti coloniali e la popolazione si è tramutato in esclusione ed emarginazione di una comunità. Da ciò, il “sentimento casamancese” ha ricavato gran parte della sua legittimità. Oltre a ciò è stata sottolineata anche la netta separazione tra sujects/citoyens, che come vedremo nel prossimo capitolo sarà la tematica principale del ‘risveglio’ della politica africana dagli anni della Grande Guerra. In secondo luogo, ampio spazio è stato dato alla religione. L’islam così come il cattolicesimo si sono diffusi in Casamance durante il periodo coloniale, seppure con un successo differente. Entrambi hanno modificato sin dalle radici le società tradizionali. Gli elementi che vanno maggiormente sottolineati a conclusione di quest’analisi sono i seguenti: – – – la peculiarità della presenza cattolica in Bassa Casamance: questo ha fatto sì che si diffondesse il mito della “Casamance cattolica e dei diola”, mito che è stato completamente confutato. Il cattolicesimo ha instaurato nel tempo un rapporto differente con la cultura locale, passando da una sostanziale avversità alla sua promozione. Così facendo, la chiesa ha fortemente contribuito a creare un altro mito, quello del “territorio della Casamance” e del “contadino diola”, alimentando il “sentimento casamancese” di cui si è già parlato. Infine, oltre alla diversità dell’islam della Casamance da quello del nord, sono stati individuati dei movimenti sincretici che hanno modificato la struttura sociale delle associazioni di lavoro tradizionali e che hanno creato fenomeni carismatici prima inesistenti; il culmine di questo processo sarà l’emergere della “regina di Kabrousse” durante gli anni della seconda guerra mondiale. Tale diversità nelle pratiche religiose sarà anche uno dei motivi che contribuirà a tenere la regione al di fuori del cosiddetto ‘modello islamo–wolof’ che inizierà a nascere alla fine dell’epoca coloniale e sarà poi usato dallo stato indipendente come strumento di unità nazionale; con la conseguenza però di escludere e frustrare qualunque tipo di diversità socio–culturale. Il cattolicesimo si è posto proprio come antagonista a questo tipo di modello e come vedremo costituirà una sacca di resistenza… non è un caso che il leader storico del MFDC sia stato un sacerdote. Infine, l’ultimo livello è quello economico: nel capitolo ci si è soffermati sull’analisi dei vari modi che le popolazioni della regione hanno trovato per integrarsi all’interno 164 dell’economia coloniale. Lo schema proposto qui di seguito riassume brevemente le conclusioni a cui si è giunti. Se mande e fulani hanno trovato il modo attraverso il commercio o l’arachide di integrarsi all’interno dell’economia coloniale, per i diola è stato più difficile, a causa della diversità della loro religione, che tendeva ad escluderli dalle reti clientelari commerciali islamiche, e dal loro tradizionale attaccamento ad una cultura risicola, che non venne incentivata dall’amministrazione. epoca pre–coloniale diola – AGRICOLTORI (RISO) – RACCOGLITORI epoca coloniale – AGRICOLTORI – (DONNE): OPERAIE A ZIGUINCHOR, DOMESTICHE A DAKAR – (UOMINI): NAVETANS O indipendenza ? STUDENTI AL NORD bagnun IDEM IDEM ? balant AGRICOLTORI – RISO (GUINEA) – MAIS (BALANTACOUNDA) – AGRICOLTORI – OPERAI, MANOVALI ? mandjak – AGRICOLTORI – RACCOGLITORI GOMMA – OPERAI A ZIGUINCHOR – ESTRAZIONE GOMMA – AGRICOLTORI (ARACHIDE, RISO) ? mancagne mande IDEM – GUERRIERI – SCHIAVISTI – AGRICOLTORI (MAIS, SORGO) tukolor – PESCATORI fulani – ALLEVATORI wolof – GUERRIERI – SCHIAVISTI – AGRICOLTORI (MAIS, ARACHIDE) siriani, libanesi francesi – – SCHIAVISTI – COMMERCIANTI IDEM – AGRICOLTORI (ARACHIDE) – PROSELITISMO (JIHAD) – CAPI VILLAGGIO – PESCATORI (NORD) – COMMERCIO, ARTIGIANATO, OREFICERIA (DALLA MEDIA CASAM.) ALTA CASAMANCE – ALLEVATORI – COMMERCIANTI AMBULANTI (LATTE) FUTA JALON – DETTAGLIANTI INTERMEDIARI PER: – COMMERCIO – POLITICA – AMMINISTRAZIONE ANCHE: – COMMERCIANTI INDIP. – PROSELITISMO – COMMERCIANTI INDIPENDENTI – AMMINISTRATORI – COMERCIANTI ? ? ? ? ? ? ? 165 Per i diola e la maggior parte delle popolazioni guineane la scelta obbligata fu la migrazione e l’istruzione. Sintetizzando, con le parole di Dominique Darbon: Così, ciò che progressivamente si stabilisce non è una nuova cultura, ma una pluralità di culture, unificate dall’aggressione comune che ricevono dalla cultura occidentale, ma diversificate dai filtri delle caratteristiche storiche, sociali e culturali propri di ciascuna delle società recettrici e rese ancora più complesse dalla messa in contatto di differenti tipi di sistemi di valori.1 Questo processo di adattamento non si arresterà durante il periodo coloniale. Le società, per loro stessa definizione in continuo divenire, dovranno rispondere ad altre, nuove sfide dal 1960. Ma questa volta la posta in gioco sarà diversa: l’unità nazionale nel Senegal indipendente. Rimane da chiedersi come si inseriranno le popolazioni nel nuovo stato indipendente. 1 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 54. 166 *** Con un’analisi in controluce, in questa parte si è cercato di analizzare il modo in cui la Casamance si è collocata ed è stata inserita all’interno del sistema coloniale. La conclusione essenziale a cui si è giunti è quella di una sostanziale esclusione ed emarginazione della regione, tanto dal punto di vista amministrativo che economico. Esclusione che è stata maggiormente sentita dalla comunità diola, che ha dovuto trovare percorsi originali di inclusione nella modernità coloniale. Nel primo capitolo, è stata descritta l’impalcatura amministrativa coloniale. In particolare, è stata confutata l’idea che la “Casamance storica” costituisse un’entità separata dal Senegal, sebbene la Francia abbia dimostrato alcune incertezze nello status da dare alla regione. È stato mostrato quindi, non solo che la regione è stata sottoposta allo stesso regime di Saint–Louis o Dakar, ma anche che il periodico stato di agitazione della regione sia stato dovuto soprattutto ad un problema di “amministrazione” che di volontà di resistenza della popolazione. I francesi non seppero trovare all’interno delle società guineane, molto frammentate, degli interlocutori capaci di creare un “contratto” sociale simile a quello che era stato creato al nord. La mancanza di comunicazione e di intermediari ha costituito un primo importante contributo alla formazione di un sentimento identitario nella regione che oggi è largamente usato dalla retorica indipendentista come base della “nazione” della Casamance. Questa emarginazione è stata individuata anche a livello economico. È stato dimostrato come al binomio “marabutto–arachide” nel bacino arachidi ero corrisponda una relazione imperfetta nel sud della colonia. La tanto decantata “verde Casamance” trova così il limite di una strategia di sviluppo infelice per la regione, che non permetteva di svilupparne le potenzialità. Ancora una volta, sarà la Bassa Casamance dei diola ad essere maggiormente investita da un problema di sostanziale emarginazione. Nell’ultimo capitolo è emerso anche come questa emarginazione abbia trovato un riflesso nelle differenti traiettorie che le popolazioni hanno saputo trovare per inserirsi all’interno del sistema coloniale. Ancora una volta, la Casamance si è trovata defilata rispetto al nord del paese ed in particolare le popolazioni guineane hanno dovuto seguire i percorsi originali dell’istruzione e dell’emigrazione per accedere alla modernità. 167 In tutto questo, è stato anche indicato come la religione abbia fatto da sfondo, da filo conduttore in tutti i processi, tanto politici che economici. L’islam, il cristianesimo e l’animismo si sono trovati a dover convivere all’interno del lembo meridionale della colonia, influenzandosi reciprocamente e contribuendo a creare un clima “originale” che ha influito su tutti gli aspetti della vita delle popolazioni della regione. Ciò che ancora rimane da analizzare è come questa colonia multifaccia abbia intrapreso il cammino verso l’indipendenza e come le dinamiche fin qui delineate abbiano influito sul raggiungimento della totale emancipazione. Sarà la questione della prossima parte. *** 168 169 Figura 16: Scorcio di Dakar Figura 17: Scorcio di Grand Dakar, uno dei quartieri di Ziguinchor 170 171 Figura 18: Daniel Diatta Figura 19: L'Abbé Augustin Diamacoune Senghor e Bertrand Diamacoune Senghor 172 173 Figura 20: Bertrand Diamacoune Senghor Figura 21: Bertrand Diamacoune Senghor, "L'homme de la Paix" 174 175 Figura 22: Ziguinchor, il porto dei pescatori Figura 23: Contadino con Kadjendo in una risaia a Ziguinchor 176 177 Figura 24: Risaie a Ziguinchor Figura 25: Nouhà Cissé, Preside del liceo di Ziguinchor e presidente del Casasport 178 179 Figura 26: Ziguinchor, la preghiera il giorno della Korité Figura 27: Preparazione della cena presso una famiglia mandé 180 181 Figura 28: Abiti tradizionali il giorno della Korité Figura 29: Foto di famiglia il giorno della Korité 182 183 Figura 30: Foresta di mangrovie lungo il fiume Figura 31: Point Saint George 184 185 PARTE 4 IL RISVEGLIO DELLA COLONIA: IL PRIMO MFDC E L’INDIPENDENZA 186 *** Gli anni del secondo dopoguerra sono quelli in cui la politica ‘africana’ riprese finalmente slancio. Il conflitto aveva cambiato completamente il contesto internazionale. Un punto di non ritorno era stato superato. Nel ’45 si aprirono così nuovi scenari a livello internazionale. Iniziò l’epoca della grandi istituzioni internazionali che si ispiravano a nuovi ideali – la pace, l’autodeterminazione dei popoli – della divisione del mondo in due blocchi, della decolonizzazione. Ed è proprio questo momento cruciale, quello del processo verso l’indipendenza del Senegal, pilastro portante dell’AOF, che si intende esaminare in questa parte. Nel discorso separatista, il momento dell’indipendenza è cruciale perché segna il momento della cessione illegale della Casamance allo stato senegalese, del contratto, poi tradito, tra i militanti del primo MFDC e Senghor, dell’inizio della colonizzazione senegalese. Ripercorriamo dunque questo processo. Nei capitoli che seguono verranno ripercorse le tappe che hanno portato il Senegal dal risveglio politico fino all’indipendenza, passando per le vicende relative alle due guerre. Ad ogni tappa, vedremo in che modo la Casamance si è inserita in questi processi, quali sono i contributi che i suoi rappresentanti hanno portato sulla via verso l’indipendenza dal colonizzatore francese, quali i movimenti e partiti autoctoni che hanno variegato il panorama politico dell’epoca . Dopo aver dato spazio alle molteplici sintesi economiche e socio–culturali tra le culture africane ed europea, vedremo ora nascere un sincretismo di tipo politico, tra i tradizionali meccanismi della politica africana e i nuovi canoni occidentali. Tale sincretismo rende ancora oggi la politica degli stati africani originale nei suoi meccanismi interni, sebbene gli schemi giuridici siano chiaramente un’eredità del colonialismo. Così come per la società, la religione, la cultura, anche a livello politico le risposte che le popolazioni del futuro stato senegalese daranno saranno necessariamente legate all’eredità delle loro tradizioni e, soprattutto, all’eredità che riceveranno dai caratteri della loro integrazione all’interno dello stato coloniale. La nascita del modello islamo–wolof sarà quindi un’ennesima chiave di lettura della storia degli ultimi decenni da cui non si può prescindere. 187 CAPITOLO 1 IL RISVEGLIO DELLA POLITICA AFRICANA E L’IMPATTO DELLA GRANDE GUERRA SULLA CASAMANCE Il cammino verso l’indipendenza è passato per il “risveglio” della politica africana dopo gli anni della conquista coloniale. In questo capitolo, faremo quindi un passo indietro. Ripercorrendo brevemente i primi vent’anni del ‘900, vedremo come dal torpore si arriverà ad un vivace dinamismo nella politica africana, che culminerà nell’elezione del primo deputato nero nella storia delle colonie francesi. Tutto il Senegal, seppure in diversa misura, parteciperà a questo “terremoto” politico. Analizzeremo infine, come il nuovo deputato e la colonia sapranno reagire alle sfide e ai problemi imposti dal primo conflitto mondiale. La Casamance vivrà questi anni con il binomio che la contraddistingue: la voglia di integrazione all’interno di una traiettoria alternativa. 1 IL RISVEGLIO DELLA POLITICA AFRICANA 1.1 LE DIFFICOLTÀ DELLA POLITICA AFRICANA Intorno agli anni ’80 dell’Ottocento, i francesi completarono la pacificazione della colonia, fatte salve alcune zone, come la Bassa Casamance, che erano ancora fuori controllo. Tuttavia la colonia venne dotata di un sistema amministrativo il più possibile razionale, efficiente ed economico solo negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo. In effetti non fu facile capire il modo migliore per agire sul territorio, tanto più che il Senegal fu un banco di prova sia a livello amministrativo che economico per tutte le altre colonie dell’AOF. Ci fu quindi quasi un decennio che si potrebbe definire di “aggiustamento”, in cui la presenza francese cambiò natura, divenendo stabile e capillare1. Ma se i francesi ebbero bisogno di circa un decennio per prendere effettivamente possesso del territorio e tradurre in maniera razionale ed effettivo il cambiamento della natura della loro presenza in Senegal, la stessa esigenza investì anche la popolazione locale. I senegalesi del protettorato si trovarono svuotati delle strutture statali precedenti e si ritrovarono a dover avere a che fare con le nuove esigenze imposte dal colonizzatore europeo. Non fu facile adattarsi al repentino cambiamento del contesto e anche la popolazione locale 1 In questo decennio, essenzialmente tra il 1888 e il 1898, ci fu una sorta di vuoto nell’organizzazione politico–sociale dei nuovi territori conquistati. Molti studi hanno rilevato come in alcune zone del paese questo vuoto abbia favorito l’auto–riorganizzazione della società. Soprattutto nelle zone del Senegal centrale, nel Kayor e Djolof, il movimento di Ahmadou Bamba si insediò e si sviluppò in quel vuoto. Vedere parte 3, capitolo 1. 188 ebbe effettivamente bisogno di circa un decennio per riorganizzarsi e rimettere in moto i meccanismi di riproduzione della società. In breve, il nuovo secolo ha rappresentato una sorta di giro di boa sotto molti aspetti: per i francesi che elaborarono gli strumenti normativi e giuridici con cui avrebbero governato le colonie in misura abbastanza stabile fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale1; ma anche per la società senegalese, che cercava di trovare una sorta di conciliazione, di modus vivendi con il nuovo status di “conquistati”2. Con il nuovo secolo, gli africani iniziarono progressivamente ad inserirsi nel gioco politico coloniale. Wesley Jonhson ha parlato a questo proposito di “risveglio africano” che sarebbe iniziato all’incirca negli anni precedenti la Grande Guerra. Non fu certo un processo semplice. Molti fattori contribuirono a rallentarne lo sviluppo e la crescita. Innanzitutto, la maggior parte dei senegalesi del protettorato non aveva praticamente alcuna familiarità con la politica francese e i meccanismi che la regolavano; inserirvisi attivamente necessitava quindi di un periodo di “adattamento”. In secondo luogo, l’istruzione di tipo occidentale ci mise del tempo ad impiantarsi con una certa consistenza a livello rurale. Fino al 1912 circa gli unici africani che avevano avuto un’esperienza diretta della politica francese erano i pochi assimilati dei comuni che avevano assunto il ruolo di adjoint, ovvero assessori, all’interno delle municipalità3. Tuttavia, altri fattori agirono in maniera opposta e spinsero gli africani verso i nuovi movimenti politici del XX secolo. 1.2 IL RISVEGLIO: DALLE PRIME ASSOCIAZIONI ALLE LEGISLATIVE DEL 1914. I fattori che rallentarono l’ascesa di una nuova classe politica africana in grado di contrastare l’alleanza franco–creola, iniziarono a cedere il passo a fattori che invece l’accelerarono intorno alla prima decade del ‘900. Innanzitutto, il momento in cui gli africani iniziavano ad acquisire maggiore familiarità con le regole politiche occidentali, e cercavano di partecipare più attivamente alle competizioni elettorali nei Quattro Comuni, fu anche quello dell’arrivo di un numero crescente di nuovi coloni francesi – come funzionari nelle nuove istituzioni d’inizio secolo o come commercianti in cerca di fortuna4. Nei comuni il loro peso si fece particolarmente sentire, creando nei cittadini africani un senso di oppressione politica crescente. La stessa oppressione era avvertibile anche a livello economico. Inoltre, l’avvio della macchina amministrativa coloniale all’inizio del secolo portò molti francesi, creoli o persino africani assimilati dei comuni all’interno del paese, nella brousse, per svolgere il ruolo di funzionari, ausiliari, traitants. Soprattutto la figura degli africani 1 La colonia veniva dotata in quello stesso periodo di nuove infrastrutture e l’economia coloniale iniziava finalmente ad essere operativa. 2 Vedere parte 3. 3 Nelle municipalità senegalesi era prassi suddividere le cariche comunali tenendo conto delle etnie presenti. In particolare proprio gli assessori, Tendevano a rispecchiare la composizione del comune, prevedendo un francese, un creolo e un africano. Alla base di questa prassi c’era la teoria della “collaborazione” e dell’assimilazione. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 155. 4 Vedere parte 3, capitoli 2 e 3. 189 assimilati doveva avere agli occhi dei contadini delle zone rurali un fascino particolare: le loro conoscenze, gli studi effettuati, il ruolo che ricoprivano dava certamente loro un’aurea di autorità. La loro presenza, così come quella dei maestri delle scuole aperte a livello regionale e dipartimentale portava nuove idee, faceva nascere la voglia di un futuro migliore, uno spirito di emulazione. Tuttavia, questi personaggi contribuirono anche a diffondere un certo spirito critico nei confronti della situazione della popolazione africana, in particolare dei sujets delle zone rurali: il malcontento verso l’assimilazione culturale che strappava via le radici africane, il permanere delle disuguaglianze in ambito lavorativo, l’emarginazione a livello di rappresentanza politica e lo strapotere assoluto delle grandi compagnie commerciali francesi… erano queste alcune delle tematiche che iniziarono a diffondersi anche nelle zone rurali, rendendo maggiormente attente le popolazioni delle campagne a ciò che accadeva nei comuni. Così è piuttosto la nuova ondata di cittadini nel protettorato che educò i rurali alle realtà dell’amministrazione locale all’interno delle municipalità. Questi fondavano delle attività commerciali, parlavano del libero commercio, erano insegnanti o sorveglianti nelle nuove scuole dell’interno ed esaltavano le libertà politiche degli africani: in sintesi, essi iniziarono a politicizzare le campagne 1. Le prime personalità africane di “nuova generazione” iniziarono a farsi strada; primi fra tutti lo scrivano Mody M’Baye2; Galadou Diouf, eletto come rappresentante della comunità Lebu al consiglio generale, che non esitava a criticare apertamente creoli e francesi. Egli era poi particolarmente adulato dalle società commerciali di Bordeaux a causa dei suoi legami con i principali produttori e commercianti dell’interno oltre che per l’amicizia con la famiglia Carpot, una delle più importanti e potenti all’epoca. Ancora nel 1912, nasceva a Saint–Louis la prima associazione politica africana del Senegal e probabilmente in tutta l’africa francofona: i Jeunes Sénégalais, ovvero i ‘Giovani Senegalesi’, che si ispiravano direttamente all’esperienza dei Giovani Turchi, di cui avevano appreso l’esistenza attraverso i giornali. L’associazione nacque all’inizio come sezione politica di un’altra associazione giovanile, l’Aurora, con fini assistenzialistici; successivamente si staccò e divenne indipendente. L’associazione comprendeva prevalentemente: 1 2 A ciò va aggiunto anche il ruolo che i marabutti aveva assunto all’interno delle campagne che li rendeva particolarmente attenti a ciò che accadeva all’interno delle quattro municipalità, i luoghi in cui venivano prese importanti decisioni che influivano sui loro traffici commerciali. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 166. La figura dello scrivano diventò particolarmente importante soprattutto dopo la Grande Guerra e si affermerà dopo il 1945. Se gli amministratori non avevano un vero contatto con la popolazione e non potevano essere utilizzati per esprimere il proprio malcontento, gli scrivani erano invece un modo semplice e diretto per rivolgere direttamente alcune questioni a funzionari più importanti e più ‘attenti’: “[i sujets] iniziarono a cercare un accesso più diretto ai funzionari europei, passando al di sopra dei capi e utilizzando gli scrivani pubblici africani: essi formulavano le lamentele alla loro maniera e le indirizzavano all’interno dei canali appropriati. […]. Questi scrivani pubblici frono un elemento costitutivo importante dell’élite senegalese che doveva affermarsi prima del 1945. tuttavia, i sujects della zona wolof reagirono all’oppressione dei capi rivolgendosi al gruppo dirigente già creato dalla confraternita islamica locale”. CRUISE O’BRIEN, Donald. “Chefs, saints et bureaucrates. La construction de l’état colonial” in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 22. 190 “africani istruiti, impiegati d’ufficio, maestri e interpreti. Si riunivano regolarmente per dibattere, preparare delle rappresentazioni teatrali, praticare gli sport francesi, chiacchierare e cementare i legami della socievolezza africana in un contesto urbano”.1 Cosa prevedeva l’agenda politica di questi giovani? Una migliore istruzione innanzitutto, con più borse di studio, maggiori possibilità di lavoro nell’amministrazione e parità di salari. Sempre nel 1912 questi giovani strinsero un sodalizio con Jean Daramy d’Oxoby che cercava fondi per l’apertura di un giornale. In questo modo i Giovani Senegalesi potevano dotarsi di un’orano di stampa con cui potevano essere maggiormente visibili e pesare di più all’interno della società e della politica. Nacque così “La Démocratie”2, che ospitò nelle sue colonne molti articoli dei giovani appartenenti all’associazione. Questa vivacità politica fu resa ancora più dinamica dalla campagna elettorale per le legislative del 1914. È già stato detto che il Senegal era l’unica colonia dell’AOF a poter avere la possibilità di eleggere un deputato al parlamento francese. La campagna del ’14 introdusse una novità, che fino a qualche mese prima sarebbe apparsa impossibile anche come ipotesi: la candidatura di un africano. Fino ad allora i deputati erano sempre stati dei francesi o dei creoli, legati alle grandi famiglie di Gorée o Saint–Louis con una tradizione commerciale importante alle spalle. Per la prima volta, nel 1913 un senegalese avanzava la propria candidatura: era Blaise Diagne3. La Démocratie e i Giovani Senegalesi si interessarono subito al nuovo candidato. Così nel febbraio 1913, nelle colonne del giornale venne comunicato il prossimo arrivo del candidato in Senegal: si dice che un originario del Senegal abbia intenzione di aspirare al seggio del Senegal alle prossime elezioni legislative che avranno luogo fra 16 mesi circa, allo spirare del mandato di Carpot. Questo candidato 1 Il senegalese Lamine Gueye, futuro deputato del Senegal, in questo periodo discuteva proprio all’interno di questa associazione. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 187. 2 Il primo numero uscì il 5 novembre 1912. In questo periodo il Senegal conobbe un periodo molto fecondo e vivace dal punto di vista intellettuale grazie alla libertà di stampa. La Démocratie stessa ospitava tra le sue colonne vignette satiriche contro il potere coloniale, ed inoltre altri quotidiani come l’AOF e Le Petit Sénégalais circolavano in questo periodo. Questo clima fu possibile grazie soprattutto alla presenza di William Ponty alla carica di governatore del Senegal. Dal temperamento liberale, Ponty rese possibile la libertà di stampa per tutto il periodo che precedette la 1 guerra mondiale. I suoi successori infatti imposero una ferrea censura sulla stampa. IBIDEM, p. 190 e 208. 3 Blaise Diagne nacque a Gorée nel 1872 da padre serere e madre lebu. Divenne il protetto di un ricco cattolico creolo, Adolphe Crespin: era usanza all’epoca tra i creoli accogliere figli di africani come domestici o compagni di giochi per i figli. Crespin notò l’intelligenza del giovane Blaise e gli offrì la migliore istruzione.terminati gli studi Diagne si presentò al concorso per divenire doganiere. All’epoca gli africani che riuscivano a studiare in Francia erano ben poco e ancor meno erano coloro che potevano aspirare ad un posto come funzionario coloniale. E per coloro che vi riuscivano c’erano comunque le discriminazioni salariali. Diagne riuscì a passare l’esame e iniziò la sua carriera come doganiere. Questo lo portò a prendere servizio praticamente ovunque nelle colonie francesi in africa. I frequenti trasferimenti a cui fu soggetto però erano conseguenza delle note di demerito che puntualmente iniziò a collezionare: la causa era dovuta alle sue prese di posizione contro le disuguaglianze e le discriminazioni a cui gli africani erano soggetti. I suoi superiori lo incolpavano di voler diffondere idee sovversive nelle popolazioni locali. La carriera di Diagne non fu completamente compromessa probabilmente grazie alla sua appartenenza alla franco– massoneria, un’associazione segreta che gli garantì certamente protezione. Nei primi anni del ‘900 ebbe l’occasione di trascorrere parecchi mesi in Francia, dove poté sposarsi con una giovane francese e soprattutto osservare la politica della madrepatria. IBIDEM, pp. 194–198 191 sarà Blaize N’Diaye, direttore delle dogane in Martinica, che sarà sostenuto dai fratelli Dèves1. La prima candidatura di un africano venne accolta con curiosità anche dalla comunità franco–creola; tuttavia, nessuno dei componenti di questa élite diede importanza alla candidatura di Diagne, o perlomeno nessuno dei candidati da loro sostenuti pensò nemmeno per un momento che egli avesse una qualche minima possibilità di riuscita. Le cose invece andarono diversamente. Il primo candidato nero, nella sua campagna elettorale si rivolse prevalentemente a quelli che dovevano essere i principali gruppi di pressione africani: la comunità lebu a Dakar, o le confraternite islamiche, per fare alcuni esempi. Si è già parlato del rapporto tra l’amministrazione francese e i marabutti; e si è detto come, proprio in questi anni, quel rapporto stava cambiando verso una proficua alleanza. Diagne non fu indifferente a questo cambiamento: non a caso egli andò a cercar sostegno proprio dai capi delle confraternite, che pur non potendo votare direttamente, avevano i loro discepoli anche nei comuni o semplicemente potevano fornire fondi per la campagna elettorale che poi sarebbero stati ‘ricambiati’ adeguatamente al momento della vittoria. Le loro [dei marabutti] risorse provenivano dal lavoro volontario e dai doni dei loro discepoli. Queste risorse erano particolarmente sostanziose in certi casi, […]. L’abbondanza di questo denaro poteva servire a numerosi fini politici. Poteva essere usato per acquistare il sostegno o la collusione dei capi amministrativi […]. Poteva essere usato per sovvenzionare le campagne elettorali dei politici senegalesi dei Quattro Comuni, che in seguito avrebbero agito per conto dei dirigenti musulmani a Saint–Louis, Dakar o Parigi2. I francesi non furono quindi gli unici ad usare le confraternite come gruppi di pressione e di sostegno per realizzare le loro politiche3. Questa strategia, venne ripresa dai politici senegalesi, sin dal suo primo importante esponente. Veniva inaugurata quella che sarebbe stata una costante anche della vita politica senegalese dell’indipendenza: la collusione dei candidati con le confraternite islamiche e la creazione di reti clientelari estremamente invasive4. Dopo un’aspra battaglia politica che vide contrapporsi Diagne, sostenuto dagli africani e François Carpot, il deputato creolo uscente, il 10 maggio 1914, Blaise Diagne divenne il primo deputato nero della storia del Senegal5. Il “risveglio politico” degli africani era solo all’inizio. 1.3 LA CASAMANCE E IL RISVEGLIO POLITICO DELLA COLONIA Quanto di tutta questa vivacità politica e sociale arrivava in Casamance? Ben poco, soprattutto a causa del suo isolamento. Soprattutto per i francesi, maggiormente 1 JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p.194. CRUISE O’BRIEN, Donald. “Chefs, saints et bereaucrates. La construction de l’état colonial”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 25. 3 Vedere parte III, capitolo 3 (1). 4 Vedere parte V, capitolo 1. Sulle reti clientelari vedere in particolare DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit. 5 Diagne conquistò 2424 voti contro i 2249 del suo diretto avversario. 2 192 coinvolti e interessati soprattutto alla vita politica della colonia e della madrepatria era davvero difficile avere delle notizie ed essere informati sugli avvenimenti1. In Casamance tutto scorreva come sempre: i problemi principali erano dati dai frequenti incendi a Ziguinchor, l’urbanizzazione verso le principali città iniziava a diventare visibile, e ancora negli anni che precedevano la prima guerra mondiale, l’allora amministratore Brunot doveva andare di villaggio in villaggio scortato da un manipolo di soldati, che doveva fungere da ‘incentivo’2 In questo periodo Ziguinchor è ormai divenuta la capitale indiscussa della regione con circa 500 abitanti di cui una cinquantina europei. La vita commerciale e politica era animata dalla competizione tra i notabili europei e quelli di origine portoghese; dal 1909 circa i primi si ritrovarono avvantaggiati grazie all’appoggio dell’amministratore superiore e del commandant de cercle – maire entrambi francesi. Tutti i notabili della municipalità mista vennero così scelti, almeno fino al 1914 tra i commercianti francesi e spesso coloro che sedevano al consiglio di Ziguinchor erano anche gli stessi che sedevano al consiglio della Camera di Commercio. All’inizio del 1914, infatti, la commissione municipale era composta oltre che dal sindaco francese, dai suoi due vice e da un consiglio consultivo nominato dal governatore anch’esso monopolizzato dai francesi (solo qualche volta un portoghese veniva ammesso)3. Tuttavia quel 1914 portò con se alcuni avvenimenti importanti che aiutarono sicuramente la Casamance a sentirsi meno isolata: innanzitutto la visita del governatore generale dell’AOF William Ponty. Durante la sua visita egli ebbe modo di entrare a contatto con le personalità e i gruppi sociali più rilevanti della regione4. Anche la compagna elettorale per le legislative dell’aprile 1914 suscitarono un vivo in interesse in Casamance, anche se la popolazione non aveva il diritto di votare (solo i cittadini dei Quattro Comuni potevano)5. Il fatto che un senegalese si presentasse per la prima volta era un fatto eccezionale e in grado di risvegliare l’attenzione anche dei più distratti. Per la prima volta le elezioni, qualcosa di così lontano soprattutto per la Casamance, dove potevano votare solo i francesi o i citoyens emigrati dai comuni, non erano più un “affare dei bianchi”, ma diventavano qualcosa che li coinvolgeva direttamente. In Casamance, la campagna elettorale si animò come non mai nei giorni prima del ballottaggio: si andò alla disperata ricerca dei francesi che non avevano votato e si cercò di portarli a Ziguinchor il giorno dello scrutinio finale. Venne persino proposto di andare a recuperare il loro voto nella brousse, qualora essi non potessero spostarsi fino al capoluogo. 1 Si pensi a titolo d’esempio che la regione rimase completamente isolata dall’esterno, pena carenza di infrastrutture adeguate e la guerra in corso, tra il 24 luglio e il 14 settembre 1916, causando le vive proteste dei citoyen presenti in Casamance. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 353. 2 IBIDEM, p. 322. 3 Il sindaco all’epoca era De Coppet, futuro governatore generale. I suoi vice invece erano un commerciante europeo, Gontier e Lamine Toure, il capo di Santiaba, uno dei quartieri africani di Ziguinchor (di origine wolof). TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 44–45. 4 I membri della camera di commercio, per esempio, gli chiesero l’apertura di una scuola superiore professionale per cercare di arginare l’emigrazione di giovani disoccupati. Una delegazione della popolazione gli chiese invece una maggiore quantità di acqua potabile e un maggior numero di scuole. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 323. 5 Vedere parte III, capitolo 1. 193 Da notare che l’allontanamento dai centri principali di voto, oltre che la debolezza dell’islam locale non permettevano alla regione di svolgere un ruolo di sostegno candidato senegalese simile a quello delle confraternite del nord1. Tuttavia, anche in Casamance, la vittoria del primo deputato nero venne accolta con grande entusiasmo. Il sindaco di Ziguinchor nel suo rapporto scrisse: In generale, l’elezione del Sign. Blaise Diagne è stata considerata dai nostri amministrati di Santiaba e di Boucotte come una sconfitta del governo locale e come una lezione data all’amministrazione.. Agli occhi degli indigeni, Monsieur Blaise Diagne appare come una sorta di “Madhi politico”, la cui missione sarebbe quella di lottare contro l’amministrazione. Non c’è modo di esagerare la portata di queste tendenze, ma non è inutile annotarle2. Nel 1916, infine, venne creata anche la prima associazione di solidarietà e mutuo soccorso della Casamance, “L’Alliance Sénégalaise de la Casamance”. L’organizzazione di questa società creò un vivo interesse a livello locale. Ricordava molto L’Aurore, poiché aveva essenzialmente scopi solidaristici e culturali. L’amministrazione la guardò comunque con sospetto e iniziò a tenerla d’occhio. In particolare venne notato che i suoi membri spesso ritardavano nel pagamento delle imposte ed si dimostravano attenti verso la politica degli amministratori, non mancando di far sentire le loro critiche. L’associazione ebbe comunque sin dall’inizio una vita travagliata. Rischiò infatti di scomparire già pochi mesi dopo a causa dell’assenza di un’autorità attiva resa difficoltosa durante la guerra. Tuttavia riuscì a sopravvivere e una sua delegazione fu ricevuta in colloquio il 5 agosto 1917 dal governatore generale dell’AOF, Van Vollenhover in visita a Ziguinchor3. Anche la Casamance quindi, seppure con ritardo e più lentamente fu coinvolta nella nuova dinamicità politica dei mesi precedenti la Grande Guerra, che segnerà certamente un’accelerazione di questi meccanismi. 1 Vedere parte III, capitolo 3 (1). ARCHIVI DEL SENEGAL, 2 G 14–40. Amministratore Coppet all’amministratore superiore McLaud, cit. da ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 324. 3 IBIDEM, pp. 353–354. 2 194 2 UNA PRIMA TAPPA: LA CASAMANCE E LA PRIMA GUERRA MONDIALE. 2.1 LA QUESTIONE DEL RECLUTAMENTO1 La Casamance ricevette la notizia dell’inizio delle ostilità in Europa in un clima quindi relativamente sereno. In quelle ultime settimane dell’estate del ’14 stava per iniziare la ‘tratta’ e la preoccupazione maggiore sembrava riguardare la produzione dell’arachide che quell’anno aveva subito un calo. I campi di battaglia erano ancora troppo lontani per destare attenzione. Tuttavia, il primo reclutamento non si fece attendere; i francesi furono i primi a dover rispondere alla chiamata alle armi, ed il 4 agosto partirono da Ziguinchor. Ma fu chiaro fin dall’inizio che gli africani delle colonie sarebbero stati usati come un bacino inesauribile di uomini da mandare al fronte. Già il 5 agosto il governatore dell’AOF ordinò il nuovo arruolamento dei tirailleurs riservisti per tutta la durata della guerra. Dal 19 settembre la chiamata iniziò ad avvenire su basi nominative e non più solo volontarie2. Per tutta l’AOF venne richiesto un reclutamento di 8000 uomini3. In Casamance toccò a Richard Brunot, amministratore superiore ad interim, ad occuparsi anche della gestione di tutte le questioni relative al reclutamento e al conflitto. Tra i primi a partire furono i fucilieri della compagnia di Bignona il 17 agosto. Tuttavia, la Casamance entrò probabilmente ufficialmente in guerra quando nel novembre 1914 giunse la notizia che gli uomini della compagnia di Bignona erano tutti caduti durante uno scontro ad Arras. La notizia fu sconcertante in particolare per i Diola: i loro uomini, e figli, mandati a combattere in una terra straniera, senza una reale consapevolezza di ciò che li aspettava, senza capire i motivi, le logiche della guerra europea, erano morti ed erano stati sepolti in terra straniera. Questa per i Diola è un’eventualità che sfiora quasi il sacrilego, poiché secondo la tradizione in terra straniera i morti non trovano la pace4. Da quel momento i diola inizieranno a porre una forte resistenza contro ogni possibile reclutamento: i giovani si nascondevano tra le mangrovie o nella foresta e villaggi interi decisero di emigrare. Completare il reclutamento divenne particolarmente difficile; furono necessarie parecchie palabras dell’amministratore Brunot. Anche in Media Casamance i capi musulmani optarono per la resistenza passiva e furono necessarie molte ore per convincerli a concedere una decina di giovani all’esercito5. 1 2 3 4 5 A proposito delle vicende relative alla prima guerra mondiale in Casamance, ho fatto riferimento al probabilmente unico dettagliato resoconto sull’argomento, presente nel saggio di ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit. Tutti gli autori successivi riprendono unanimemente tale analisi. Per ogni nuovo reclutamento, effettuato a scadenze regolari, veniva fissato a livello ministeriale il ‘contributo’ che veniva richiesto alle colonie a livello ‘centrale’ (dell’AOF o dell’ AEF); il decreto ministeriale precisava poi come tale ‘contributo andava ripartito in ogni singola colonia; infine, a livello locale, veniva fissato il numero di uomini da reclutare per ogni regione. Per quel primo reclutamento, all’AOF venne richiesto il reclutamento di 8 mila uomini. Per un approfondimento sul coinvolgimento dell’Africa nella Grande Guerra, RATHBONE, Richard. "World war I and Africa: introduction", The journal of African history, 1978, XIX (I), pp. 1-9 THOMAS, Louis Vincent. “Les diola D’antan” in BARBIER-WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 82–85. Tra l’altro i capi mande furono particolarmente furbi, poiché aggirarono il problema fornendo ai francesi non i propri giovani ma persone provenienti da altre etnie. Sebbene la schiavitù fosse fuori legge ormai da decenni alcune sacche ancora permanevano tra queste popolazioni che avevano avuto una forte tradizione in questo senso. 195 Il governatore Brunot si trovò così in una situazione particolarmente difficile, soprattutto quando ricevette l’ordine di reclutare altri 600 fucilieri tra la popolazione per la campagna del 19151. La maggior parte delle reclute della Bassa Casamance disertarono; i diola del Fogny ne approfittarono per rivoltarsi ai capi villaggio mande, wolof, fulani o tukolor imposti dall’amministrazione. La Bassa Casamance iniziò a sfuggire da ogni controllo e il pagamento dell’imposta era di nuovo praticamente impossibile. Tutto il 1916 fu caratterizzato dagli scontri con la popolazione2. Gli amministratori della regione cercarono delle soluzioni alla situazione di agitazione. In questo senso va ricordato il “piano Brunot”, che doveva portare alla pacificazione definitiva della regione. Gli strumenti da utilizzare erano il disarmo completo dei paysan, attraverso il controllo ferreo del commercio di armi, e l’arrivo di numerosi funzionari europei e da prelevarsi dalle zone a nord. Il piano tuttavia non diede i risultati sperati, probabilmente anche a causa delle difficoltà causate dalla prima Guerra Mondiale. Alla fine, si optò per l’occupazione militare dell’intera Bassa Casamance3 . Un nuovo importante reclutamento fu poi annunciato per la fine del 1917. Le più importanti personalità della colonia, dal governatore dell’AOF a quello del Senegal, allo stesso amministratore particolare della Casamance moltiplicarono i loro rapporti al ministro per scongiurare un’altra campagna di reclutamento4. Tuttavia il ministro fu di parere contrario ed escogitò il modo per facilitare le operazioni: inviare Blaise Diagne, che godeva di grande popolarità presso i sujets, per promuovere la nuova campagna. Il modello ‘clientelare’ era ormai generalizzato e perfettamente consolidato. Fu così che egli giunse in Casamance il 5 marzo 1918. Venne accolto con entusiasmo dalla popolazione, e a Ziguinchor la sua campagna per il reclutamento diede anche dei frutti. Tuttavia: 1 L’AOF avrebbe dovuto fornire 51.913 uomini: il Senegal doveva partecipare con 7.500 soldati di cui 4.500 nel protettorato e il resto nei Quattro Comuni. 2 Può essere utile per un approfondimento sulla questione del reclutamento e delle resistenze ad esso vedere l’impatto e le conseguenze che esso ebbe in una popolazione, quella serere, che presenta tratti simili a quella diola, tanto che alcuni studiosi hanno anche avanzato l’ipotesi di una loro lontana parentela. SEARING, James F. "Conversion to Islam: military recruitment and generational conflict in a sereer-safen village (Bandia), 1920-38", The Journal of African History, 2003, 44: pp. 73-94. SEARING, James F. "No kings, no lords, no slaves: ethnicity and religion among the seerer-safen of western Bawol, 1700-1914", The Journal of African History, 2002, 43: pp. 407-429. 3 Gli africani non coinvolti nella guerra vennero ampiamente impiegati in vaste operazioni di corvée e lavori forzati con cui si aprirono dei varchi nella foresta per assicurare collegamenti veloci tra i villaggi dei marigot. In questo modo si procedette per la prima volta ad un tentativo sistematico di presa di possesso del territorio anche in queste zone di mangrovie. Questa strategia rispondeva tra l’altro anche alle necessità di ‘sfruttamento bellico’. Solo nel 1920 la situazione politica nei paesi diola poté esser definita soddisfacente. Da notare la differenza con le zone islamizzate e soprattutto con il nord, dove il reclutamento fu sostenuto dai marabutti e non diede luogo a fenomeni di resistenza della popolazione. ANDREW, C.M.. KANIA-FORSTNEr A.S. “France, Africa and the first world war”, The Journal of African History, 1978, XIX (I), pp. 17–19. ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., pp. 342–354. TRINCAZ, Pierre-Xavier. “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 48. 4 “In AOF, Van Vollenhover, il governatore generale, dichiarò che un nuovo reclutamento, anche di piccola intensità, non avrebbe impedito il prodursi di una ‘rivolta generale’: ‘La colonia è arrivata al limite di ciò che è in grado di fare: forse questo limite è persino già stato superato’”, ANDREW, C.M.. KANIA–FORSTNER A.S. “France, Africa and the first world war”, op. cit., p. 15. 196 numerosi giovani gli domandarono di arruolarsi, ma allo stesso titolo degli originari dei Quattro comuni. Blaise Diagne promise loro di lavorare al raggiungimento della loro richiesta1. Solamente l’Alliance Sénégalaise, non accolse benevolmente il deputato nero. Il club ebbe un atteggiamento piuttosto contraddittorio nei confronti della guerra e del reclutamento: dopo averlo promosso e propagandato i suoi membri al momento opportuno pensarono bene di tirarsi indietro. 2.2 BLAISE DIAGNE E LA SUA ‘STRATEGIA DI GUERRA’ 2 Potrebbe apparire strano che il primo deputato africano nella storia dell’Africa coloniale decidesse di buttarsi a capofitto nelle operazioni di reclutamento, incitando i propri compaesani a rischiare la vita per una guerra che non li apparteneva, per una “guerra dei bianchi”. In realtà, la questione va posta diversamente. Quando Blaise Diagne arrivò al parlamento francese erano essenzialmente due le questioni più spinose, le richieste più forti di cui era stato chiamato dai suoi elettori di farsi portavoce: la questione della cittadinanza degli originaires (gli africani residenti nei Quattro Comuni) e quella dello status inferiore dei soldati africani. La guerra fu proprio la strategia che il neo–deputato scelse per ottenere dei cambiamenti favorevoli agli africani in questi settori. Per quanto riguarda la prima questione, i francesi più “tradizionalisti” ritenevano che i cittadini africani dei Quattro Comuni non potessero essere considerati come dotati della piena cittadinanza francese; venivano riconosciute loro delle prerogative particolari che rientravano all’interno della cittadinanza, ma per esempio, ritenevano che gli africani non avessero il diritto di divenire deputati o di aspirare ad una delle alte cariche dell’amministrazione coloniale. Per lo stesso Diagne fu intentata una causa di invalidazione della sua elezione per mancanza del requisito della cittadinanza. Dall’altro lato, altri che si potrebbero definire maggiormente “progressisti”, primi fra tutti Diagne, erano nettamente a favore della piena cittadinanza; durante tutta la sua campagna elettorale egli aveva cercato di scuotere agli africani delle municipalità al grido “voi siete cittadini”3. La questione dell’esercito può essere considerata un corollario della prima: avere la cittadinanza significava anche potersi regolarmente arruolare nell’esercito francese con gli stessi diritti e doveri dei francesi. Invece per gli africani, anche quelli delle municipalità, la strada era sbarrata e il loro arruolamento era permesso solo all’interno delle truppe coloniali, ovviamente con delle tutele e con salari minori rispetto a quello di un qualunque soldato francese. 1 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 333. Vedere per un approfondimento il resoconto estremamente dettagliato di JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., pp. 227–240. 3 La questione della cittadinanza agli originari era una questione che si trascinava da tempo. Gli africani dei comuni avevano beneficiato dei provvedimenti liberali dei primi anni dell’800. secondo varie disposizioni tutti coloro che erano nati o risiedevano in una delle municipalità aveva diritto alla cittadinanza. Tuttavia, i francesi e i creoli, soprattutto durante la seconda repubblica cercarono con innumerevoli cavilli – documenti accertanti la residenza o la nascita per citare solo un esempio – che di fatto restringevano enormemente la possibilità di accesso degli africani delle municipalità allo status di ‘cittadini’. Anche la questione della ‘piena’ o ‘parziale’ cittadinanza, rientra tra questi ‘cavilli’. 2 197 Con l’inizio della guerra, Diagne capì che le cose potevano andare a favore degli africani: la Francia infatti avrebbe avuto bisogno di parecchi uomini e questa sarebbe potuta essere una leva importante per ottenere maggiori diritti per la popolazione nera, sia nei comuni che nel protettorato. Così si mosse in due direzioni: da un lato organizzò attraverso i suoi fedeli alleati in Senegal, primi fra tutto Galadou Diouf, i Giovani Senegalesi e La Démocratie di d’Oxoby, la propaganda per il reclutamento di giovani volontari. L’impresa non si rivelò difficile poiché i giovani dei comuni si dimostrarono entusiasti; anche nelle campagne, un aiuto formidabile arrivò da Ahmadou Bamba, che dopo aver assicurato il sostegno a Diagne durante la campagna elettorale, ora rinnovava il suo appoggio fornendo oltre 500 uomini1. Dall’altro lato Diagne e lo stesso Diouf, facevano pressione l’uno presso le istituzioni perché riconoscessero agli africani la piena cittadinanza e l’ingresso nell’esercito regolare, l’altro perché gli stessi africani chiedessero l’arruolamento ma solo all’interno delle truppe francesi rifiutando quelle coloniali. Così La démocratie propagava queste idee: noi dobbiamo dimostrare che noi non siamo inferiori ai nostri fratelli delle Antille, della Guyana, di Reunion per il senso di responsabilità che noi porteremo come contributo al nostro patriottismo… . Noi abbiamo ora l’occasione di provare ai numerosi funzionari negrofobi dell’Africa occidentale francese che noi siamo veramente degni della nostra condizione d’elettori e di cittadini francesi 2 E ancora, così Blaise Diagne si rivolse al parlamento francese, dove divenne famoso per l’eloquenza dei suoi interventi e la facilità nella persuasione degli altri deputati: Gli elettori indigeni gioiscono di un privilegio esorbitante contro cui si scagliano loro stessi, quello di poter prendere parte la governo nazionale senza poter dare il proprio contributo di sangue, come tutti i francesi… Essi considerano questa situazione particolare come una vera e propria umiliazione per la fama del loro patriottismo e della loro coscienza di francesi 3 La strategia di Blaise Diagne e dei suoi sostenitori in Senegal sembrò dare buon esito poiché egli riuscì a spuntarla su entrambi i fronti. Dopo un’aspra battaglia in parlamento e contro le principali autorità coloniali, nacquero le cosiddette “leggi Diagne” del 1915 e del ’16: la prima dava agli africani la possibilità di arruolarsi all’interno dell’esercito regolare alle stesse condizioni, anche salariali, dei francesi. La seconda, metteva chiarezza sulla questione della cittadinanza, proclamando Gli indigeni dei communes de pleine exercice del Senegal e i loro discendenti sono e restano cittadini francesi sottomessi alle obbligazioni militari imposte dalla legge del 19 ottobre 1915.4 1 Questo è uno dei tanti esempi di come funzionava il rapporto clientelare tra i politici e i marabutti. Vedere Parte III, capitolo 3. 2 La Démocratie, 9 settembre 1912, cit. in JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 229. 3 JOURNAL OFFICIEL DE LA REPUBBLIQUE FRANÇAISE, “Discorso alla camera dei Deputati”, 19 ottobre 1915, cit. da COQUERY–VIDROVITCH, Catherine, “Nationalité et citoyenneté en Afrique occidentale français”, op. cit., p. 290. 4 CAMERA DEI DEPUTATI, dibattiti di settembre (1916), cit. da JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 235. Vedere anche DIOUF, Mamadou. “Assimilation coloniale et identité religieuses de la civilité des originaires des Quatre Communes (Senegal)”, Canadian Journal of Africa Studies, 2000, 34 (3): p. 582. 198 Veniva così riconosciuta almeno agli africani dei Quattro Comuni la piena cittadinanza. Gli africani del protettorato iniziarono però ad essere sempre più sensibili rispetto a queste differenze di trattamento; un nuovo tipo di consapevolezza iniziava così a farsi strada anche nelle campagne. Anche per gli africani del protettorato sarebbero però arrivate presto delle prime importanti novità. Il 1916 fu un anno di durissime perdite di vite umane per l’armata francese; la terribile guerra di trincea era ormai nel pieno della sua triste evoluzione. Il ministro della guerra, Georges Clemenceau, nei primi mesi del 1917 tenne necessario avviare una nuova campagna speciale di reclutamento nelle colonie. Sapeva tuttavia che l’operazione non sarebbe stata semplice: nei territori africani c’era un certo fermento tra la popolazione che sopportava sempre meno le privazioni e le perdite umane che quella guerra lontana imponevano. Si rese conto di aver bisogno di uno ‘sponsor’, capace di convincere la popolazione. Chi meglio di Blaise Diagne per questo compito? Probabilmente, per il deputato senegalese non fu facile prendere una decisione in merito, poiché la missione che gli venne proposta l’avrebbe portato ad una campagna di reclutamento nei territori coloniale non tanto come deputato, ma come agente del governo francese. Tuttavia, alla fine Diagne si mantenne fedele alla strategia seguita sin dall’inizio e decise di partire per i ‘terriotori’, portando con se una nuova serie di concessioni che questa volta dovevano coinvolgere anche gli africani del protettorato. Tra queste: l’esenzione dall’indigenato e dal pagamento dell’imposta, la possibilità di ottenere la piena cittadinanza alle stesse condizioni degli originaires delle Leggi Diagne, la creazione di case di riposo e ospedali per le reclute, progetti di apertura di nuove scuole e licei, una quota di riserva di posti di lavoro da destinarsi esclusivamente ai reduci1. Fu così che Blaise Diagne arrivò anche in Casamance. Riuscì a convincere i capi mande e fulani dell’Alta e Media Casamance. I Diola continuarono comunque a dimostrarsi ostili al reclutamento: la paura di morire in terra straniera e di non trovare pace per l’eternità era davvero troppo grande. Fortunatamente, la guerra finì pochi mesi dopo. La notizia venne accolta in Casamance con grande gioia; il reclutamento non terminò e durò ancora parecchi anni, tuttavia fu più semplice, perché il terrore di morire in guerra lontani dalla propria terra divenne solo una lontana eventualità2. Le nuove concessioni ottenute da Blaise Diagne durante gli anni della guerra erano invece una reale certezza. Durante gli anni della guerra il Senegal venne per certi versi “svuotato”: gran parte dei francesi erano partiti per il fronte, e molte migliaia di senegalesi erano stati reclutati. Soprattutto l’assenza dei francesi nei gangli dell’amministrazione e del commercio fece sentire il suo peso. I capi di alcune regioni sentirono accresciuto il loro potere e la loro libertà d’azione. Intanto le elezioni vennero sospese fino alla fine del conflitto: lo scontro latente tra africani, francesi e creoli era stato solo rimandato, e i responsabili dell’amministrazione in Senegal ne erano ben consapevoli. Dopo aver ottenuto la conquista del ‘deputato’ si trattava ora di porre propri rappresentanti anche all’interno delle istituzioni comunali. Molti africani del primo dopoguerra però poterono ben presto utilizzare i nuovi diritti di citoyen che si erano guadagnati nei campi di battaglia in Europa. E tra essi anche la 1 ANDREW, C.M.. KANIA-FORSTNER A.S. “France, Africa and the first world war”, op. cit., pp. 17–18. JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit. 2 ROCHE, Christian. “Histoire de la Casamance”, op. cit., p. 355. 199 presenza di un numero maggiore ci citoyen nel protettorato contribuì a cambiare alcune ‘regole del gioco’ della politica africana dell’epoca1. 2.3 “CETTE GUERRE A INSEIGNE A LA FRANCE QU’ELLE A DES COLONIES!” Si è già parlato ampiamente nella parte precedente dell’economia coloniale e dei meccanismi e alleanza politiche che iniziarono a svilupparsi nei primi decenni del ‘900. Giova semplicemente ricordare a questo proposito, due elementi che aiutano a capire le evoluzioni di quegli anni agitati. Dal lato economico gli anni tra le due guerre furono quelli in cui la Francia ha “capito di avere delle colonie”: Questa guerra ha insegnato alla Francia che ha delle colonie. Prima lo ignorava completamente 2 Così, venne descritto alla “Conferenza Coloniale” del giugno 1917, il rapporto della Francia con le sue colonie. Non a caso la conferenza fu l’occasione per fare il punto della situazione e capire come le colonie potessero essere sfruttate al meglio per aiutare la madrepatria nel proseguo della guerra e soprattutto nella ricostruzione del dopoguerra. Nei mesi successivi vennero così predisposti dei ‘piani’ che ponevano gli obiettivi e gli strumenti da utilizzare per un razionale sfruttamento della colonia. Tali piani tuttavia, coinvolsero in maniera maggiore l’Alta e Media Casamance dove l’arachide si diffuse in maniera capillare. Non ebbero un simile effetto in Bassa Casamance, che continuò a rimanere piuttosto isolata. A livello politico, alcuni nodi lasciati in sospeso nell’anteguerra iniziarono ad arrivare al pettine. Subito dopo la fine della guerra, era necessario rimettere in moto la macchina amministrativa, organizzando nuove elezioni. Innanzitutto, furono indette le elezioni parlamentati; Diagne e Carpot furono di nuovo i due candidati a contendersi l’unica carica di deputato dell’AOF. Per l’occasione, il deputato uscente fondò il Partito Repubblicano Socialista del Senegal, il primo vero partito di tutta l’Africa francofona. Era ancora un partito elitario, che si poneva come obiettivo principale l’elettorato dei comuni, tuttavia iniziavano ad esserci delle importanti ramificazioni anche nelle zone rurali: Egli [Diagne] inviò Diouf e Clédor nelle zone di amministrazione diretta e nelle zone occidentali del protettorato per sollecitare degli abbonamenti per il giornale [l’AOF che aveva iniziato a sostenere Diagne al posto de La Démocratie] e dei contributi per la sua campagna. Nello stesso tempo, furono creati dei comitati elettorali nelle città al di fuori dei Communes. I notabili locali, che avevano aiutato Diagne nel corso dell’elezione precedente o durante la guerra, furono 1 Sebbene le due leggi Diagne furono certamente un primo importante passo avanti nel riconoscimento dei diritti degli africani, tra le due guerre furono molti i tentativi di introdurre nuovi cavilli e nuove barriere ce restringessero o scoraggiassero le richieste degli africani per l’acquisizione della cittadinanza francese. Al riguardo vedere in particolare COQUERY–VIDROVITCH, Catherine, “Nationalité et citoyenneté en Afrique occidentale français”, op. cit., pp. 285–305. JOHNSON, G. Wesley Jr. “The emergence of black politics in Senegalì”, op. cit. 2 ANDREW, C.M.. KANIA-FORSTNER A.S. “France, Africa and the first world war”, The Journal of African History, 1978, XIX (I), p. 20. 200 ingaggiati in questi comitati, che formarono l’ossatura del nuovo partito1. Gran parte delle persone che iniziarono a costituire questi comitati2 fecero poi parte delle liste elettorali che vennero presentate dal partito di Diagne nelle successive elezioni municipali. Il dopoguerra portò alla fine con se la consacrazione della politica africana in Senegal: Blaise Diagne venne rieletto a grande maggioranza e con un grosso scarto rispetto all’avversario; inoltre tutte le liste presentate nei comuni vennero elette. Per la prima volta quindi, un’élite senegalese poteva accedere ad alcuni posti chiave nell’amministrazione. Ma la strada verso il completo affrancamento dalla madrepatria era solo all’inizio. CONCLUSIONE In questo capitolo sono stati affrontati i difficili anni del risveglio politico della società senegalese, probabilmente accelerato dalle drammatiche vicende della prima guerra mondiale. Abbiamo visto come gli évolués, soprattutto quelli provenienti dai communes abbiano iniziato a diffondere nelle zone rurali le prime idee moderne, avviandone la socializzazione politica. La Casamance ha partecipato, seppur marginalmente e con ritardo, a questi cambiamenti con le prime associazioni e circoli politici: ancora una volta il senso di “emarginazione” ritorna nella nostra analisi. Ciononostante, la regione ha dimostrato la sua partecipazione durante la campagna elettorale del primo deputato nero. È stato sottolineato come l’elezione di Blaise Diagne abbia coinvolto anche la Casamance. Tuttavia, è stato anche messo in luce il fatto che l’elezione di Diagne sia stata in gran parte sostenuta da potenti gruppi di pressione che si stavano formando proprio nelle zone rurali, ma che iniziavano ad avere ramificazioni anche nei communes: erano le confraternite islamiche, in modo particolare la Muridiyya. Durante la prima guerra mondiale i francesi si convinsero del fatto che i marabutti erano indispensabili per mantenere la pace sociale e perseguire gli scopi della madrepatria. Ma il modello di “sfruttamento” delle confraternite islamiche verrà fatto proprio anche dagli stessi senegalesi, come l’elezione di Diagne dimostra. 1 2 JOHNSON, G. Wesley. “Naissance du Sénégal contemporaine”, op. cit., p. 249. Tra essi c’erano notabili africani, ma anche ex reduci, contadini, piccoli impiegati con qualche esperienza amministrativa, quasi sempre legati alle confraternite musulmane. 201 Quello che sarebbe diventato il “modello islamo–wolof” era qui già presente, seppure in fase embrionale.1 1 Il modello islamo–wolof è stata la strategia politica seguita dallo stato indipendente per cercare di definire la “nazione” senegalese arginando qualunque tipo di spinta centrifuga verso la frammentazione. Ogni tipo di particolarismo veniva così represso nel nome di “una fede, una nazione, un popolo”. Vedere parte 5, capitolo 1. 202 CAPITOLO 2 IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE E L’IMPATTO SULLA COLONIA In questo capitolo, si proseguirà nel percorso che ha portato il Senegal verso l’emancipazione politica, che culminerà nel 1960. In particolare verranno qui di seguito affrontate le dinamiche degli anni della seconda Guerra Mondiale. In questi anni, la Casamance sarà teatro di nuovi scontri in cui la “regiona di Kabrousse” avrà un ruolo fondamentale, tanto da essere innalzata dai separatisti di oggi al rango di “Giovanna d’Arco della Casamance”. 1 LA NUOVA GUERRA EUROPEA Così come era già accaduto per la prima guerra mondiale, anche la seconda iniziò un po' in sordina nelle colonie francesi. Le operazioni di reclutamento che iniziarono il 1 settembre, si svolsero tranquillamente persino in Casamance, tanto da spingere il commandant de cercle di Ziguinchor a parlare di ‘entusiasmo’ in un suo rapporto. Secondo Christian Roche: Si può ammettere l’ipotesi che i sopravvissuti del 1914–1918 a dispetto delle loro sofferenze si erano sentiti protetti dagli antenati per esser riusciti a ritornare vivi nella loro terra. essi traevano dalla loro avventura una reale fierezza che giustificava l’aura e lo status di vecchi combattenti. Il loro coraggio e il loro esempio non poteva lasciare i loro figli indifferenti1. Nel capitolo precedente è stato sottolineato il fatto che la Grande Guerra ebbe degli effetti importanti sui reduci, soprattutto quelli del protettorato, che iniziarono a godere di diritti assolutamente sconosciuti ed inimmaginabili per un semplice subjet. Il fatto poi di esser venuti a contatto direttamente con l’Occidente aveva fornito loro un bagaglio di conoscenze ed esperienze superiori a quelle dei loro conterranei che li copriva di un’aurea di autorevolezza particolare. Tuttavia, un evento ben più grave, per l’ampiezza delle sue conseguenze, rispetto alla strage della compagnia di Bignona, fu il crollo della Francia e la firma dell’armistizio con i tedeschi nel giugno 1940. Ciò segnò di fatto l’inizio della guerra civile: i francesi della madrepatria, quelli residenti nelle colonie, i citoyen e i subjets si trovarono seppure in misura diversa davanti ad una scelta: la fedeltà al maresciallo Pétain salito al potere, o per quella dell’esule De Gaulle a fianco degli Alleati. 1 ROCHE, Christian. "Chronique casamançaise. Le cercle de Ziguinchor au Sénégal pendant la guerre de 1939–1945", Revue Française d’Histoire d’autre mer, 1998, 85 (319): p. 90. 203 Nelle colonie africane francesi la scelta di campo si tradusse in una scissione tra i governatori generali dell’AOF e dell’AEF. Il residente della sede generale di Dakar, il generale Pierre Boisson optò per la fedeltà la regime di Vichy; il suo collega nell’AEF scelse invece l’opzione ancora minoritaria di De Gaulle1. In Senegal, il governatore Georges Parisot si allineò alla scelta del suo superiore La stessa scelta si impose però anche tra l’élite franco–creola e i governati africani, tanto dei communes che del protettorato. Tra gli europei alcuni si distinsero sin d subito per il loro dissenso durante il bombardamento di Dakar e non appena la calma regnò di nuovo vennero messi sotto stretto controllo militare. In generale però, sembrò che l’élite assimilata avesse accettato l’opzione di Vichy. Per gli africani dell’interno la scelta fu probabilmente più difficile. Come spiegare ad un reduce del ‘14–’18, così tanto onorato e ammirato per il coraggio dimostrato nel combattere contro i tedeschi che ora invece essi erano degli alleati e bisognava persino aiutarli nella loro guerra contro gli inglesi, con cui essi avevano combattuto fianco a fianco? Anche in Casamance l’annuncio dell’armistizio ebbe un effetto dirompente in tutta la regione. Tra gli africani, Alla costernazione provocata dalla notizia della cessazione delle ostilità seguì necessariamente nello spirito della popolazione insufficientemente informata della reale situazione dell’esercito francese il desiderio di ricercare il ‘salut final’ della patria, ormai fuori combattimento nella continuazione della lotta oltre mare. Il clima politico della fine del mese di giugno era quindi quello della crisi di coscienza.2 Inoltre il progressivo deteriorarsi della situazione economica e i pesanti razionamenti nei generi di prima necessità non fecero altro che portare la popolazione su posizioni anti– tedesche. Ma anche la popolazione europea Dopo un periodo di titubanza, conseguente all’assenza di direttive ufficiali sulle cause della sconfitta e sulla necessità di concludere un armistizio con i tedeschi, […] sembra essersi completamente ripresa. La maggioranza manifesta dei sentimenti anti–tedeschi e si mostrano piuttosto favorevoli ad una vittoria inglese. Non si constata alcuna tendenza ad un movimento separatista3. La situazione tanto per gli europei che per gli africani venne esacerbata dal fatto che con il regime di Vichy vennero introdotte tutta una serie di misure repressive che erano particolarmente sgradite in Senegal, una delle colonie ad avere da sempre il maggior grado di libertà e diritti rispetto alle altre colonie. L’effervescenza politica che era andata accrescendosi negli anni tra le due guerre venne posta a tacere. Le associazioni vennero 1 Sfruttando questa rottura nelle colonie De Gaulle cercò di impadronirsi anche dell’AOF organizzando, nelle prime settimane di agosto, un attacco a Dakar partendo da Conakry. Tuttavia egli non riuscì nel suo intento e dovette temporaneamente rinunciare all’impresa. 2 ROCHE, Christian. "Chronique casamançaise", op. cit., p. 91. 3 Da sottolineare che per la prima volta in un rapporto ufficiale si accenna all’ipotesi di un movimento secessionista. È il segno che l’amministrazione era attenta a cogliere subito le tracce di una simile eventualità. Era soprattutto tra gli impiegati delle società commerciali che si trovavano le maggiori sacche di simpatizzanti per gli inglesi. ARCHIVI DEL SENEGAL, 13 G 13, “Rapporto dell’ispettore degli affari amministrativi Thérond”, 18 settembre 1940, cit. in IBIDEM, pp. 92–93. 204 proibite, mentre si cercò di mobilizzare la popolazione all’interno di apposite strutture create dal governo. Il dissenso non era tollerato, la stampa subì la censura e gli africani furono sottoposti ad ogni sorta di discriminazione, soprattutto nei communes.1 Le autorità francesi abrogarono le istituzioni rappresentative del Senegal, limitarono le libertà individuali,appesantirono per i sujets le pene previste dal codice penale, rinforzarono i lavori obbligatori e obbligarono i contadini a cedere quasi totalmente il loro raccolto all’esercito. […] Per tutta la guerra, essi continuarono a fornire ugualmente i fucilieri per l’esercito francese.2 Progressivamente la resistenza al reclutamento militare si fece sempre più viva. Nel reclutamento del ’41, solo ’80% dei mande, il 50% dei diola e il 40% dei fulani che ricevettero la chiamata alle armi si presentarono effettivamente. A Oussouye solo il 20% degli uomini si rese disponibile3. L’anno successivo le cose andarono forse anche peggio, anche perché iniziava a farsi sentire anche l’agitazione della ragione per l’arrivo della ‘regina di Kabousse’. 2 LA RIVOLTA DELLA REGINA DI KABROUSSE: ALIN SITUÉ La resistenza casamancese è stata sempre un problema di tutti, uomini, donne e bambini. La rivolta del Kasa durante la seconda guerra mondiale si spiega solo se si sa che noi eravamo allora costretti DE NOUS ACQUITER di cinque imposte: argento, miele, gomma, riso e bestiame senza dimenticare le altre corvée e la caccia alla mosca tze tze che dovevamo portare viva dentro delle bottiglie. Il clima psicologico preparava le popolazioni a ricevere il messaggio della regina Alisiitowé.4 Così il MFDC in nel documento “La voce della Casamance” introduce la questione della “regina Alisiintoé”. Ma qual era il “clima psicologico” dei mesi a cavallo tra il 1942 e 1943 in cui si svolsero i fatti che portarono alla rivolta dei diola e al successivo arresto di Alin Sitoé? 1.1 LA RIVOLTA DI EFFOK Se nei primi mesi la guerra non venne accolta in maniera particolarmente negativa dalle popolazioni della colonia, comprese quelle della Casamance, le cose erano destinate ad evolvere diversamente. La notizia dell’armistizio spaccò in due i senegalesi lungo i cleavages già evidenziati in precedenza: città/campagna e all’interno delle città. Nelle campagne della colonia quella sorta di “scelta di coscienza” tra la fedeltà a De Gaulle o al Marechal Petain non entusiasmava gli animi. 1 ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, Centre des Hautes études sur l’Afrique et l’Asie Moderne, Parigi, 1988: pp. 17–21. 2 HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 153. 3 Da questo episodio nacque “l’affaire Benjamin Diatta”. Per un approfondimento vedere ROCHE, Christian. "Chronique casamançaise", op. cit., pp. 98–100. 4 DARBON, Dominique. “La voix de la Casamance ... une parole Diola”, Politique Africaine, 1985 (125–126): p. 131. 205 Piuttosto le masse contadine all’interno dei villaggi, ma anche gli operai e i commercianti nelle città principali iniziavano e sentire in maniera sempre più pesante gli effetti della guerra. Le campagne di reclutamento iniziarono a farsi difficoltose: se all’inizio combattere di nuovo contro i tedeschi poteva riempire d’orgoglio ora molti stentavano a capire le vicende belliche e i giochi di alleanze. Ma soprattutto l’armistizio della Francia portò ad un rallentamento e in certi periodi persino l’arresto dei contatti con la madrepatria e con la stessa Dakar. Il primo problema che si poneva fu quindi quello dei rifornimenti di cibo. Nel giro di breve tempo la colonia iniziò ad accusare il problema: la politica economica coloniale aveva infatti favorito la produzione delle colture per l’esportazione – prime fra tutte l’arachide – e aveva incoraggiato l’abbandono delle colture tradizionali su cui si basava l’alimentazione giornaliera1. Così colture come il miglio, il sorgo, ma soprattutto il riso, base alimentare dell’intera colonia era relegato ad una posizione marginale nella produzione agricola e la popolazione dipendeva dalle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno, in particolare a Dakar e nelle altre città2. Il blocco nelle comunicazioni e dei rifornimenti impose un piano di emergenza. L’amminstrazione si trovò a dover affrontare improvvisamente una situazionemolto delicata e dovette sforzarsi di procurare nella stessa colonia i prodotti necessari al sostentamento della popolazione, in particolare quella delle città che soffriva gravemente la penuria di cibo. A questo proposito, fece appello alle regioni in cui esisteva una forte cultura VIVRIÈRE e capaci di fornire gli approviggionamenti di cui si necessitava. Ora, la Casamance veniva considerata il granaio di riso del Senegal3. Fu a questo punto che l’amministratore superiore in carica, il luogotenente–colonnello Sajous, venne a sapere dei granai diola tanto piene da “avere riserve per vent’anni”. Le contribuzioni forzate di riso e bestiame furono particolarmente forti quindi proprio in Casamance. Ma che impatto poteva avere una simile pratica tra una popolazione che considerava proprio il riso e i bovini particolarmente sacri? L’impatto fu ovviamente molto forte. Tanto più che le requisizioni non furono ripartite equamente tra i villaggi e il riso comprato a somme di denaro irrisorie. Tutto ciò sconvolse completamente le credenze e le tradizioni diola e fu un avvenimento particolarmente angosciante per l’intera popolazione4. 1 La Francia aveva adottato una sorta di politica economica generale delle colonie : ognuna doveva infatti produrre una coltura in particolare che doveva servire ad alimentare la domanda della madrepatria e delle altre colonie. Così, per esempio, l’Indocina era specializzata nella produzione di riso, mentre il Senegal in quella dell’arachide. THOMAS, Louis–Vincent. “Essai d’analyse fonctionnelle sur une population de Basse Casamance”, IFAN, 1958, vol.. 1: p. 21. 2 Alla vigilia della seconda guerra mondiale il Senegal dipendeva per il 50% dalle importazioni per il rifornimento di alimentari e soprattutto riso. GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 214. 3 IBIDEM, p. 215. 4 Le requisizioni non toccarono in maniera equa i villaggi poiché gli intermediari usati dagli amministratori europei poterono approfittare della situazione e dell’ignoranza dei francesi sulle tradizioni locali per accordare dei favori a dei villaggi “amici”. RAPPORT DE TÉTÉ DIÉDHOU, interprete presso il commandant de cercle di Ziguinchor. (Rappoto sugli avvenimenti del 1942–1943 in Casamance). ABBÉ DIAMACOUNE SENGHOR, Augustin. lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007 206 Nell’autunno del 1942, periodo in cui si apriva la campagna dei prelievi, gli animi della gente della Bassa Casamance erano particolarmente agitati. E l’agitazione crebbe con l’arrivo delle notizie sulla posizione della Francia nella guerra: sconfitta e spaccata a metà tra i gollisti e il marechal, il popolo rurale di questa regione così umiliato iniziava a chiedersi perché fosse ancora necessario obbedire ad un paese soprafatto dal nemico. I primi scontri non si fecero attendere soprattutto nella regioni di Oussouye. Nel mese di ottobre il re Sirandefou di Mlomp si rifiutò di consegnare ai francesi 85 buoi e venne per questo incarcerato a Ziguinchor. Il 7 novembre del 1942 un militare africano durante il reclutamento in un villaggio colpì a morte un diola dopo esser stato circondato da una folla imbestialita. Questi avvenimenti e altri ancora che come vedremo caratterizzeranno i primi mesi del 1943, andarono ad intersecarsi un altro evento che stava agitando la Casamance: l’arrivo di una profetessa, quella che sarà destinata ad esser ricordata come la “regina di Kabrousse”. 1.2 ALINE SITOÉ: LA REGINA DI KABROUSSE Alin Sitoé nacque intorno al 1920 a Kabrousse, nel quartiere di Nialou nel momento in cui avveniva in passaggio dal kahat al bukut. Figlia di Silosia Diatta e di Assameyo Diatta, rimase orfana e così venne affidata allo zio paterno. Sin da bambina venne mandata come navétane prima a Ziguinchor e poi a Dakar, presso una zia. Qui ebbe una figlia chiamata Gnaoulène e venne colpita da una forma di paralisi alla gamba, cosa che la costrinse per tutta la vita ad usare delle stampelle1. A Dakar, secondo la tradizione iniziò ad avere delle visioni. Nella prima, avvenuta nel 1941: […] dei geni la presero per mano, la portarono vicino al mare e le dissero: ‘Noi siamo stati inviati da Dio presso di te. Bisogna far capire agli uomini che bisogna fare la ‘carità’ che noi ti indicheremo. Così avranno la pioggia’2. Da allora le visioni e i sogni continarono, fino a che un giorno: Quando fu abbastanza grande, ricevette la chiamata alla regalità. In piena notte, sentì una voce greve che le disse: ‘Ritorna fino al tuo villaggio; vai a salvarli dalla carestia. Non avere nessun timore; noi ti daremo più forza lungo la strada del ritorno. Quando arriverai a Kabrousse, entrerai nella foresta e ci dormirai per sette giorni’. Un giorno, all’alba, disse a sua zia che sarebbe rientrata nel loro villaggio3. Al ritorno nel suo villaggio venne accolta con grande rispetto dal resto degli abitanti: non solo alcune storie circa le sue visioni e la sua malattia erano già arrivate e la circondavano da un’aureola di sacralità; a ciò si aggiungeva il fatto che Aline faceva parte della primissima ‘ondata’ di navétanes: quando rientravano al villaggio i lavoratori 1 In città sembra che abbai lavorato come domestica e venditrice ambulante, ma non si hanno informazione precise al proposito. Secondo Girard (1969) arrivò a Dakar all’età di 20 anni. La figlia intorno agli anni ’60 viveva ancora come operaia tra ziguinchor e Bathurst. 2 GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 240. 3 Racconto popolare. Vedi Appendice. 207 stagionali erano molto rispettati poiché si attribuiva loro un’esperienza e un’educazione superiori a quella degli altri contadini. Secondo gli anziani: Un giorno […] si risvegliò, riunì il villaggio e annunciò che ogni anno doveva fare la ‘carità’ [il dono] di un bue nero, cioè doveva offrire a dio in sacrificio un bue nero per avere la pioggia , fonte di ricchezza. Iniziò a tenere delle riunioninal fine di rendere i suoi compatrioti testimoni della missione che le era stata conferita. Lei spiegò i suoi sogni e giustificò l’obbligo che lei doveva profetizzare, come un ordine imperativo che proveniva da Dio il quale l’aveva già castigata una prima volta per il suo rifiuto di mettersi in luce colpendola col la zoppia. Lei iniziò a fare dei sacrifici buoi neri e la pioggia cadde. Il suo nome di diffuse ovunque1. Fu a questo punto che i pellegrini iniziarono ad affluire a Kabrousse, da “tutto il Senegal ed anche dal Gambia e dalla Guinea”. Tra essi la maggior parte erano diola, ma arrivarono anche molti mande, fulani e persino wolof. E fu in questo momento che le autorità coloniali iniziarono ad impensierirsi, tanto più che lo spostamento dei pellegrini e l’avvento del culto di Alin Sitoé sembrava corrispondere con l’aumento dell’inquietudine in Bassa Casamance ed in particolare con il rifiuto all’arruolamento e alle nuove requisizioni di cibo che, come si è già detto, arrivarono puntuali con la fine dell’ hivernage. 1.3 LA RIVOLTA DELLA REGINA O LA CASAMANCE IN RIVOLTA? Come reagirono le autorità coloniali all’avvento del nuovo culto e della moltitudine di fedeli che iniziavano ad affluire sempre più numerosi? Già nell’agosto del 1942 il governatore generale dell’AOF ordinava al colonnello Sajous di “seguire la questione da vicino. Se l’influenza di questa donna andava diminuendo [si raccomandava] di lasciarla in pace nel suo villaggio, sempre mostrandole attraverso dei giri frequenti, che l’amministrazione la controllava e la sorvegliava.2 Tuttavia già nell’ottobre dello stesso anno, il governatore del Senegal consigliava al commandant de cercle e administrateur supérieur Sajous un atteggiamento più duro, sintomo dell’aumento dell’instabilità e della preoccupazione dell’amministrazione: Se l’influenza della profetessa si svilupperà, portando una situazione imbarazzante per le autorità, queste ultime avranno il dovere di procedere ad un arresto brutale della donna, al suo trasporto immediato a Ziguinchor, poi a Tambacounda dove sarebbe successivamente condotta fuori dalla colonia.3 1 Racconto di un anziano riportato da GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 240. 2 ARCHIVI DEL SENEGAL (Dakar), Lettera del governatore generale al colonnello Sajous, agosto 1942. 3 ARCHIVI DEL SENEGAL (Dakar), Lettera del governatore del Senegal a Saint–Louis al commandant de cercle di Ziguinchor, 3 ottobre 1942, cit. in GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 219. 208 Da queste lettere si possono trarre due elementi importanti: primo, l’amministrazione pensava di utilizzare il pugno di ferro davanti ad a nuova ‘agitazione dei flup’. Secondo, traspare il fatto che le autorità coloniali avevano presupposto un nesso di causalità tra l’avvento della ‘regina’ e l’agitazione della popolazione. Ciò era dovuto soprattutto al fatto che la stessa Aline Sitoé andava esortando i suoi seguaci ad abbandonare l’arachide per ritornare alla coltura delle tradizionali varietà di riso (proibite dai francesi). Alcune fonti coloniali e lo stesso MFDC, sostengono che Aline esortasse anche alla resistenza contro il reclutamento, consigliasse di non pagare l’imposta ed esortasse perfino alla resistenza armata contro i francesi: Ecco i francesi che arrivano! Attenzione preparatevi. Che ognuno si armi col suo fucile, agiamo anche noi come gli europei. Loro che cosa ci hanno fatto? Perché venire a maltrattarci?12 Tuttavia altre fonti coloniali, quali per esempio l’amministratore Picandet in una sua lettera al governatore del Senegal, affermano che […] era fuori discussione per Alinitué usare la sua influenza per consigliare di non pagare l’imposta o di non fare il servizio militare3 Anche un collaboratore diola nell’amministrazione di Ziguinchor, Tété Diadhiou, consigliò prudenza all’amministrazione e propose di effettuare un giro di ricognizione nella zona di Kabrousse per verificare la natura del movimento di Aline Sitoé. Probabilmente si trattò di un modo dell’interprete di prender tempo e raccogliere prove del carattere pacifico del culto della ‘regina’. Tuttavia, proprio quando egli stava effettuando il suo giro di perlustrazione la situazione precipitò nella zona di Effok, dove era in corso una campagna di vaccinazione. La popolazione esasperata reagì alle molestie di un infermiere di origine mande cacciando via dal villaggio tutta l’equipe medica nei primi giorni del gennaio 1943. La reazione dell’amministrazione non si fece attendere, e inviò alcune truppe che per tre giorni scandagliarono il villaggio per riportarlo alla calma4. Tuttavia, alcuni scontri vittoriosi dei villaggi della zona, portarono all’estensione della rivolta a gran parte della Bassa Casamance. A questo punto l’amministrazione decise di reagire, tanto più che a Effok era presente una sacerdotessa che diceva di essere una discepola di Aline Sitoé. Così si decise per l’arresto della regina di Kabrousse. Una squadra di militari partì il 29 gennaio con direzione Kabrousse. Secondo i racconti: […] la donna radunò il proprio villaggio e spiegò loro; poi disse: ‘So che avete l’intenzione di battervi contro di loro; tuttavia non vale la pena battersi.’ Quando i soldati arrivarono a Kabrousse, circondarono le case. La gente del villaggio uscirono e si radunarono tutti in un unico luogo. Il capo degli uomini bianchi domandò chi fosse una certa Aline 1 Canto del culto di Alin Sitoé Diatta, cit. da GIRARD, Jean. “Gènese du pouvoir carismatique en Basse Casamance”, op. cit, p. 459. 2 ARCHIVI DEL SÉNÉGAL (Dakar), Lettera del governatore del Senegal a Saint–Louis al commandant de cercle di Ziguinchor, 3 ottobre 1942, cit. in GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., p. 219. 3 ARCHIVI DEL SÉNÉGAL (Dakar), Lettera del governatore del Senegal a Saint–Louis al commandant de cercle di Ziguinchor, 3 ottobre 1942, cit. in IBIDEM, p. 219. 4 Per la maggior parte i francesi trovarono il villaggio vuoto, poiché donne, bambini e vecchi si erano allontanati in Guinea portoghese. Solo i guerrieri diola erano rimasti ad attendere le truppe. 209 Sitoé, che aveva un coraggio tale da ordinare al suo viaggio di non coltivare più l’arachide. Una donna si affrettò e disse: ‘Sono io!’. Un’altra rispose: ‘No, lei mente, sono io!’ Quando Aline Sitoé uscì, disse loro: ‘Io me ne vado, ma il mio spirito rimane qui, non dimenticate ciò che vi ho insegnato.’1 Così la ‘regina di Kabrousse’ venne arrestata insieme a altre sessanta persone e portata a Ziguinchor in attesa del processo. Alla fine la sentenza decise per l’esilio forzato a Tambacounda, mentre altri sedici del suo seguito furono condannati ad alcuni anni di carcere2. La cattura della regina portò la fine della rivolta dei diola? Gli eventi delle settimane successive avrebbero effettivamente provato che quel nesso di causalità tra Aline Sitoé e la rivolta presupposto dall’amministrazione era del tutto erroneo. Il 9 febbraio infatti un soldato francese venne assassinato nei pressi di Effok, e la regione avrebbe riacquistato un po' di calma solo alla fine di aprile, con la presenza costante dei militari e il trasferimento di gran parte della popolazione nella Guinea portoghese. 1.4 L’INTERPRETAZIONE DEI FATTI: L’AMMINISTRAZIONE COLONIALE, IL MFDC E IL PACIFISMO DELLA ‘REGINA’. Dall’analisi degli eventi così come appaiono dai documenti coloniali all’epoca e dalla corrispondenza dei protagonisti, emerge una completa separazione tra i fatti legati alla rivolta e quelli legati al culto della ‘regina’. La rivolta dei diola è stata dettata dall’esasperazione della popolazione, dovuta alla carestia prolungata, alle requisizioni di riso e bestiame, al reclutamento militare, alla campagna per la vaccinazione. Il bilancio degli incidenti più importanti indica che gli scontri furono abbastanza limitati, e soprattutto le vittime furono tutte persone che si erano distinte per le loro ‘cattive abitudini’ nei confronti della popolazione3. L’elemento maggiormente degno di nota è semmai il fatto che per la prima volta la tradizionale frammentazione dei diola aveva lasciato spazio all’unità d’azione davanti alla comune esasperazione. Il movimento della ‘regina di Kabrouesse’ non ebbe alcun ruolo nelle vicende legate alla rivolta. Il messaggio d’ Aline Sitoé, così come emerse dallo stesso processo, era totalmente pacifico e non era diretto contro l’amministrazione coloniale. Partecipava piuttosto all’evoluzione delle credenze religiose e socio–culturali introdotte dalla diffusione dell’islam e dell’economia di mercato. Dalla fine della Grande guerra infatti, i diola e le altre popolazioni della Bassa Casamance erano andate sempre più integrandosi all’interno dell’economia coloniale e iniziavano ad apprezzare il principio del profitto: avevano progressivamente abbandonato le colture tradizionali per l’arachide e si erano 1 Racconto popolare. Le condanne furono possibili facendo ricorso al diritto amministrativo; sebbene la regina fosse accusata di sovversione nessuna prova concreta venne trovata a suo carico e nella stessa Kabrousse vennero trovati e sequestrati solo quattro fucili. Le vicende relative al periodo della pena sono particolarmente curiose: di Aline Sitoé si persero successivamente le tracce, mentre la maggior parte degli altri che vennero arrestati o condannati alla reclusione morirono in circostanze misteriose, mettendo in serio imbarazzo l’amministrazione francese. per un approfondimento vedere GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., pp. 234–238. 3 Il soldato francese che venne ucciso nei pressi di Effok per esempio, si era ‘divertito’ a colpire alcuni abitanti diola col il suo fucile. 2 210 arruolati nell’amministrazione o come operai a Ziguinchor. La carestia prolungata li aveva resi ancora più sensibili all’esigenza dell’ ‘accumulazione’. Tuttavia, durante la guerra si videro invece spogliati di ciò che avevano accumulato negli anni precedenti, non protetti ed anzi puniti dall’amministrazione contro i soprusi di alcuni personaggi senza scrupoli e traditi dai loro stessi compatrioti che nelle requisizioni di alimenti pensarono solo all’interesse personale invece che a quello della collettività. In questo contesto, Aline Sitoé era arrivata a predicare amore, pace, carità, rispetto della tradizione, ovvero i bisogni maggiormente sentiti dalla popolazione. Inoltre la sua popolarità era direttamente legata all’ascesa del ruolo delle donne, che le evoluzioni degli ultimi anni avevano reso protagoniste nella produzione agricola. Come già osservato il loro ruolo crebbe progressivamente a livello sociale: le associazioni di lavoro femminili erano sempre più attive e vivaci e l’introduzione del bukut le aveva rese maggiormente indipendenti a livello religioso. Tutto ciò portò negli anni ’40 all’avvento di molte donne ‘carismatiche’: tra queste Aline Sitoé fu quella che riuscì a diventare la vera ‘regina’. Il culto tradizionale venne in parte modificato, adattandolo ancora una volta alle nuove esigenze: ora non si chiedeva più ai boekin coesione sociale e armonia, bensì la pioggia e la fertilità dei campi in vista della produzione e del profitto1. In questo contesto appare parzialmente erronea anche la ricostruzione che il MFDC fa delle vicende legate ad Aline Sitoé: è certamente vero che Il messaggio della regina Alisiitowe era religioso, culturale, sociale, economico e politico2. Tuttavia l’MFDC ha posto, esattamente come ha fatto il governo coloniale, una relazione di causa–effetto tra l’avvento dalla predicazione di Aline Sitoé e la rivolta che è già stato dimostrato essere inesistente. Il messaggio della regina di Kabrousse era assolutamente pacifico e principalmente religioso e culturale. Certo, fu lei la prima a riuscire quasi a riunire, per la prima volta, la popolazione della Bassa Casamance sotto un unico capo; fu ancora lei a dire: Vedo arrivare i tempi non molto lontani in cui il Bianco che ora ci comanda, partirà e rimetterà il potere ai figli di questo paese che ne usufruiranno; allora spariranno le imposte e le corvée che ci affaticano; allora noi non sapremo che farcene di questo arachide che ci resterà tra le mani, perché non lo si venderà più3, chiedendo quindi l’abbandono dell’arachide e preconizzando un vicino ritiro dei francesi (cosa che durante la guerra mentre si aveva l’impressione che la Francia stesse perdendo, aveva indiscutibilmente un certo peso). Tuttavia, la brevità della predicazione non permise di pervenire ad una simile unità, né tanto meno a porla a capo di una rivolta. Tuttavia oggi il MFDC la considera come a sua “Giovanna d’Arco”, simbolo della resistenza della popolazione della Casamance a tutte le forme di oppressione e colonizzazione4. 1 Per un approfondimento sui riti e i nuovi concetti introdotti dal culto di Aline Sitoé vedere in particolare GIRARD, Jean. “Genèse du pouvoir charismatique en Basse Casamance (Sénégal)”, op. cit., pp. 233 e 238–267. 2 DARBON, Dominique. “La voix de la Casamance ... une parole Diola”, Politique Africaine, 1985 (125–126): p. 131. 3 IBIDEM, p. 132. 4 È curioso notare come nella lettura e nell’interpretazione di questa vicenda da parte del MFDC e del potere coloniale dell’epoca si trovino dei tratti in comune con il modo in cui il MFDC e il 211 2 LA FINE DELLA GUERRA E IL RITORNO ALLA NORMALITÀ Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1942 gli anglo–americani sbarcarono nell’Africa settentrionale, infliggendo un colpo mortale al regime di Vichy. Ovviamente questo importante avvenimento non poteva non avere ripercussioni anche in Senegal e nella Casamance. Le prime teste iniziarono a cadere: prime fra tutti quelle dei governatori del Senegal e dell’AOF che vennero immediatamente sostituiti da persone fedeli a De Gaulle. Rapidamente Pétain si trovò accerchiato militarmente e politicamente dalle forze guidate da De Gaulle e Girard. Il mutato clima si fece sentire anche in Senegal, dove le prime manifestazioni a sostegno degli alleati ebbero luogo1. Il 14 marzo il generale Giraud arrivò in Senegal dove annunciò alla popolazione di Saint–Louis la rinascita della Repubblica. Come reagirono i senegalesi? “i francesi del Senegal si divisero in tre tendenze, una maggioranza di giraudisti, una minoranza molto attiva di gollisti e un gruppo di nostalgici del maresciallo […]. Tra i militari, l’attaccamento al maresciallo restava predominante. La maggioranza dei senegalesi non entrava in queste sottigliezze. Era visibilmente rassicurata dal volgere degli eventi, poiché aveva sempre temuto la vittoria della Germania nazista. I politici africani non dissimulavano la loro preferenza per il generale De Gaulle2. La vita politica e amministrativa riprese finalmente la sua normale routine. Tutte le commissioni municipali con i relativi sindaci vennero ristabiliti nei loro legittimi seggi. Così in aprile anche la commissione municipale di Ziguinchor eletta nel 1934 riprese le attività i attesa delle nuove elezioni. Il generale De Gaulle si recò in visita a Dakar nel gennaio 1944 ed una delegazione in rappresentanza dei casamancesi venne inviata per porgere il saluto della regione. La Casamance venne di nuovo riorganizzata: un unico cercle con un commune mixte (Ziguinchor) e sei suddivisioni. Il nuovo amministratore fu Claude Michel che si affrettò a redigere una relazione sulla regione da cui emergono dei dati interessanti: L’individualismo indomito sussiste… anche un certo timore poiché si fugge ancora all’arrivo dei bianchi. Il cercle reclama una politica di contatti molto continua. È difficile per il momento, a causa della mancanza degli effettivi dell’amministrazione… la gioventù evoluta fugge la terra e cerca dei lavori sedentari ben remunerati… 1 2 governo senegalese oggi spiegano il conflitto dal 1982. Nei fatti del ’42 entrambi gli attori partirono pa delle ipotesi sbagliate (Aline Sitoé, capo ella rivolta armata) per darne poi connotazioni diverse: negative tanto da giustificare un arresto per i primi, da eroina per gli indipendentisti. Parallelamente, dal 1982 in poi, il governo senegalese e il movimento indipendentista, hanno privilegiato elementi quali l’appartenenza etnica o la ricchezza della Casamance. Anche in questo caso, è innegabile che essi abbiano giocato un ruolo tra le cause che hanno generato il conflitto; tuttavia entrambi sbagliano a considerarli dei presupposti fondamentali, dimenticando per esempio che l’isolamento economico è stato di gran lunga più incisivo nell’organizzare il malcontento. In più, hanno dato ai due elementi una connotazione completamente opposta: per esempio, per il governo il diola è una persona arretrata e violenta, mentre per il MFDC un contadino laborioso e pacifico. Un esempio furono le manifestazioni di gioia alla notizia che i due capi della resistenza francese avevano incontrato, in una storica riunione, gi alleati anglo–americani al largo di Casablanca. Il gen. Giraud infatti li aveva piuttosto delusi quando, durante la sua visita a Dakar scartò senza degnarla di una minima attenzione una petizione con una serie di richieste e di lagnanze preparata dai giovani di Saint–Louis. ROCHE, Christian. "Chronique casamançaise", op. cit., p. 106. 212 Particolarismo, regionalismo dominano tutti gli ambienti. Si è casamancesi e francesi innanzitutto, senegalesi con reticenza… Regionalismo, regionalismo ombroso! La Casamance vorrebbe restare se stessa, coltivare il suo relativo isolamento. Naturalmente possente e all’occasione generosa, ha il complesso della lagnanza, della recriminazione. […]. È piena di promesse e lo sa. E poiché lo sa è caparbia. È soprattutto vero tra i bianchi che continuano a considerarsi come dei pionieri […]1. La liberazione di Parigi il 23 agosto del ’44 venne accolta con immensa emozione in tutta la colonia. Se la guerra sarebbe durata ancora qualche tempo, l’Europa era ormai stata pacificata ed era pronta alla ricostruzione. CONCLUSIONE In questo capitolo sono stati affrontati gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo visto come la popolazione ha reagito alla dichiarazione di guerra e alla guerra civile poi. In particolare è stato messo in luce il fermento religioso in Casamance che è culminato con l’arresto di Aliin Sitoé. Eroina degli indipendentisti degli anni ’80, la figura della regina di Kabrousse è stata inglobata all’interno della retorica separatista sebbene il suo messaggio fosse prevalentemente religioso e culturale, non direttamente politico. A livello generale, la Seconda Guerra mondiale ebbe forse un impatto ancora più devastante delle colonie rispetto alla prima. Aveva segnato davvero un punto di non ritorno: niente poteva più essere come prima e tutto andava ridiscusso, dallo status stesso delle colonie. Con la fine della guerra si concludeva il periodo più oscuro del colonialismo, oltre che una fase estremamente triste della storia europea. Ed era proprio quell’Europa, quei ‘Bianchi’ che erano arrivati qualche decennio prima per ‘civilizzare’ i ‘popoli barbari’ del continente ad aver generato quel mostro terribile. La loro autorevolezza ne usciva quanto meno sgualcita. Se a ciò si aggiungono i passi avanti, ancora estremamente limitati, ma non per questo meno importanti, fatti dalla stessa società africana nella conquista dei una nuova consapevolezza politica, le nuove idee a livello internazionale (USA e URSS, le maggiori potenze del dopoguerra erano contro ogni forma di colonialismo), le nuove istituzioni internazionali… tutto ciò era un chiaro segno del mondo che era cambiato. 1 ARCHIVI D’OLTRE MARE DI AIX–EN–PROVINCE, 14 MI 2699, 2G 44, cit. in ROCHE, Christian. "Chronique casamançaise", pp. 108–111. 213 All’interno del Senegal, ciò che emerse in maniera preponderante fu la conferma dell’importanza dei marabutti all’interno della vita politica ed economica. Dal dopoguerra in poi, non sanno solo i francesi ad usarli ancora per il buon funzionamento dell’amministrazione; saranno soprattutto i politici africani, Lamine Gueye e Léopold Sedar Senghor in primis, ad utilizzarli come potente gruppo di pressione e bacino insostituibile di voti. Durante le due guerre: I dirigenti musulmani che , all’inizio, aiutarono spesso i loro discepoli a scappare alle campagne di reclutamento, furono in seguito capaci (in modo informale) di negoziare i termini del loro sostegno – accesso alle terre non coltivate, liberazione dopo l’internamento amministrativo, riconoscimento quasi ufficiale dell’islam come religione di stato del Senegal. I discepoli che andavano a battersi per la Francia potevano vedersi offrire un incoraggiamento – un piccolo angolo di terra se ritornavano, un posto garantito in paradiso se non ritornavano affatto. In questo modo i dirigenti musulmani uscirono dalla Seconda Guerra Mondiale non solo con la fiducia dei francesi ma anche con un appoggio popolare accresciuto […]1. In tutto il Senegal, si riaccese ben presto il fermento per le nuove elezioni. La vita politica riprese, le associazioni rifiorirono, la libertà di stampa venne assicurata2. Un nuovo capitolo si stava aprendo nella storia della colonia. 1 CRUISE O’BRIEN, Donald. “Chefs, saints, bureaucrates. La construction de l’état colonial”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 26–27. 2 In Casamance, un marabutto mande, Maky Aidara, che aveva in precedenza sostenuto Pétain per poi dichiararsi gollista convinto con l’evolversi della situazione, creò il primo sindacato africano che aderì alla CGT, la confederazione generale dei lavoratori. In questo ebbe l’appoggio del sindaco di Dakar, Alfred Goux. ROCHE, Christian. "Chronique casamançaise", op. cit., p. 213. 214 CAPITOLO 3 LA CASAMANCE VERSO L’INDIPENDENZA: ‘CON’ O ‘NEL SENEGAL? Sinon, que l’on nous donne le décret, L’acte officiel du gouvernement franòais Qui aurai intégré la Casamance sdans le Sénégal. La Casamance est avec le Sénégal, Mais non pas avec le Sénégal. Force n’est pas droit 1. Il secondo dopoguerra fu un periodo particolarmente animato della storia del Senegal, così come la maggior parte delle colonie africane. La decolonizzazione prese avvio per diventare intorno al 1960, l’anno dell’africa, una corsa frenetica all’indipendenza. In questa fase si colloca un momento particolarmente importante anche per la nascita dell’attuale conflitto. Gli indipendentisti sostengono infatti che l’annessione al Senegal è stata illegale, poiché i senegalesi avrebbero tradito gli accordi presi alla vigilia dell’indipendenza. In questo capitolo ripercorreremo quindi le tappe che hanno portato il Senegal verso l’indipendenza: dalle prime formazioni politiche, passando per la nascita del primo MFDC nel 1947 fino ad arrivare all’esperienza della Federazione del Mali. 1 L’EPOCA DELL’ ‘UNIONE’ E DEL PRIMO MFDC (1946–1956) 1.1 LO SCENARIO POLITICO DEL DOPOGUERRA La fine della Seconda Guerra mondiale segnò un punto di non ritorno e si può considerare come il momento d’inizio di quel movimento che porterà verso la decolonizzazione. Certamente nel 1945 in pochi avrebbero scommesso sul fatto che la maggior parte dei territori africani coloniali e non nel giro di 15 anni si sarebbe affrancato dalla madrepatria. Sebbene le due nuove super–potenze avevano esercitato forti pressioni già durante le grandi conferenze, le potenze coloniali alleate, Francia e Gran Bretagna, riuscirono a scongiurare una liquidazione immediata del loro impero coloniale2. Sapevano però che in realtà non avevano ottenuto una vittoria: avevano solo 1 ABBÉ DIAMACOUNE SENGHOR, Augustin. lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 2 Era stato proposto per esempio di affidare tutte le colonie alla tutela della nuova Organizzazione delle Nazioni Unite, finché i vati territori non fossero in grado di governarsi autonomamente. Si trattava essenzialmente della proposta si un sistema di mandati. In ogni caso, l’indipendenza non sembrava essere una priorità nemmeno per gli africani di quegli anni. HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 154. 215 guadagnato del tempo con cui potevano cercare di salvare il salvabile, trovare un nuovo equilibrio con cui mantenere le proprie posizioni di vantaggio1. Ancora nel 1944, durante la Conferenza di Brazzaville con cui la Francia voleva fare il punto della situazione nei suoi territori coloniali, sin dai discorsi d’apertura venne ribadito il fatto che tutti i partecipanti rifiutavano categoricamente l’idea dell’indipendenza o di qualsiasi forma di autonomia delle colonie2. Nel biennio successivo tutta una serie di nuove riforme venne introdotta, rendendo certamente più semplice la vita per i colonizzati: tra queste le più importanti furono l’abolizione dell’indigenato e dei lavori forzati, venne introdotto il codice penale francese, venne istituito un sistema di ispezione sul lavoro. Inoltre, arrivarono novità anche sul piano dell’organizzazione interna: le libertà civili vennero ristabilite ed ampliate, il consiglio generale fu rinnovato diventando un’assemblea territoriale, completata a livello federale dal Gran Consiglio dell’AOF. Inoltre con una legge del 1946 venne data la cittadinanza a tutti i sujets, sebbene questo non implicasse automaticamente poter usufruire del diritto di voto. In questo settore vennero certamente fatti dei passi aventi con alcune leggi patrocinate da Lamine Gueye che aumentarono progressivamente il numero degli elettori. Importanti cambiamenti stavano avvenendo anche a livello di organizzazioni politiche; le libertà civili ormai non mettevano alcun serio limite al fiorire delle associazioni; inoltre, gli oltre due decenni di esperienza parlamentare e di attiva presenza negli organi amministrativi nella colonia, avevano contribuito a preparare un’élite politica africana pronta a cogliere le nuove opportunità. In quegli anni tuttavia, dal lato africano erano andati maturando dei cambiamenti: se politici del calibro di Blaise Diagne e Galadou Diouf avevano fatto della completa assimilazione culturale il loro lasciapassare per avere l’accesso alla ‘modernità’ politica proposta dall’occidente, i nuovi dirigenti del dopoguerra seguiranno un percorso diverso; il nazionalismo e la negritude iniziarono a farsi largo nelle ultime tendenze assimilazioniste. Ma quali erano le forze politiche principali del dopoguerra? Innanzitutto la SFIO guidata da Lamine Gueye3 dal 1944, che sostituiva la sezione senegalese del Partito Socialista Francese. Tutta una serie di piccoli gruppi politici, spesso effimeri, nacquero in quegli stessi mesi; tra essi il Movimento Nazionalista Africano, il Comitato di Studi Franco– Africano, il Gruppo di Studi Comunisti… Non solo. Ad assi vanno aggiunti anche altre formazioni politiche, a carattere più marcatamente regionalista: l’Unione Generale degli originari della Valle del Fiume, la Federazione degli originari e nativi del Oualo, Associazione dei Tukolor del Futa–Toro per la difesa della Condizione Umana, il Partito dei lavoratori del Sine–Saloum e il Movimento delle Forze Democratiche della Casamance. 1 2 3 CALCHI NOVATI, Giampaolo. VALSECCHI, Pierluigi. “Africa. La storia ritrovata. Dalle prime forme politiche alle indipendenze nazionali”, Carrocci, Roma, 2005. Nelle raccomandazioni si consigliò soprattutto la rappresentazione delle colonie nella futura assemblea costituente, la creazione di un parlamento coloniale e di assemblee locali, una decentralizzazione controllata. ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (19401988)”, op. cit., pp. 28–29. Lamine Gueye nacque a Médine, nel Sudan francese, nel 1891. Citoyen di Saint–Louis egli fu un membro della prima ora del ‘risveglio’ della politica africana poiché partecipò all’Aurora e ai Giovani Senegalesi. Lavorò fianco a fianco dapprima con Blaise Diagne, poi con Galadou Diouf a cui cercò di contendere la carica di rappresentante del Senegal al parlamento francese. Egli fondò il Partito Socialista senegalese negli anni ’30, che divenne già durante gli anni della guerra una sezione della SFIO. MAKEDONSKY, Eric. “Le Sénégal. La Sénégambie”, L’Harmattan, Parigi, 1987, pp. 102–104. 216 C’è un’importante differenza da sottolineare tra questi due gruppi di associazioni; il primo gruppo, che comprende anche la SFIO era essenzialmente formato da partiti ‘urbani’ nel senso che i rappresentanti erano citoyens che rivolgevano il loro raggio d’azione all’interno delle municipalità dove si trovano tradizionalmente gli elettori. Tuttavia, come osservato poco sopra, una serie di leggi ampliò i diritti elettorali, seppure sempre in misura molto limitata, anche ad alcune categorie di sujets. Tra questi: i vecchi militari, i titolari di onoreficienze o di un diploma almeno equivalente a quello degli studi elementari, i capi di cantons, delle province e dei villaggi, i funzionari e i pensionati dello stato.1 Non a caso, per l’elezione dei rappresentanti dell’assemblea costituente il Senegal venne diviso in due circoscrizioni, quella dei cittadini e i sujets. I partiti urbani però non avevano saputo subito riconvertirsi intessendo proprie ramificazioni anche a livello rurale. I partiti regionalisti sopperirono proprio a questo vuoto. 1.2 IL PRIMO MFDC Un mon sens, le vote de la loi Lamine Gueye a un peu libéré les énergies, a donné une opportunité localement aux gens d’exprimer justement leur identité propre, de revendiquer d’une manière ou d’une autre leur appartenance d’abord au terroir, leur appartenance à la colonie, la revendication du traitement à part égale. C’est dans ce contexte que le MFDC est né, à mon avis, dans un contexte de citoyenneté libérée, de citoyenneté plus large maintenant, de possibilité que dans le terroir un leadership se manifeste2 Nel 1947 venne così creato a Seju quello che oggi è indicato come l’ ‘antenato’ dell’attuale movimento indipendentista3. I suoi principali leader e fondatori furono Emile Badiane e Ibou Diallo, Victor Diatta e Pier Edouard Diatta (primo professore per le scuole secondarie di tutta l’AOF e cugino di Alin Sitoé Diatta)4. In linea generale i componenti di queste nuove formazioni politica appartenevano alla classe degli évolués, di giovani istruiti della prima generazione. Tra essi infatti figuravano un gran numero di insegnanti e funzionari che con l’andare del tempo si sostituirono agli intermediari africani provenienti dalle municipalità. Tuttavia, il MFDC del ’47 presentava dei tratti caratteristici rispetto agli altri partiti regionalisti: esso infatti si distinse sin da subito per la sua particolare presa sulla popolazione della Casamance, soprattutto nelle zone più occidentali. Se infatti nel nord del paese, i capi villaggio o canton provenivano sempre dallo stesso gruppo etnico degli 1 ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, Centre des Hautes études sur l’Afrique et l’Asie Moderne, Parigi, 1988: p. 33. 2 Intervista rilasciata all’autrice da Nouhà Cissé, sett/ott 2007, Ziguinchor 3 La data precisa della nascita del primo MFDC non è certa. Alcuni, tra cui Bourama Faye Badji, ha parlato di alcune riunioni già nel ’45 con il ritorno dei ‘tirailleurs’; ancora, l’Abbé Diamacoune cita una data precisa, il 4 marzo 1947. Uno dei fondatori, Sancoung Sané, che si occupava della propaganda, parla del 1948. Infine, i servizi per la sicurezza del Senegal, parla del 20 marzo 1949. FLIPO, Blandine. “Le MFDC. Contribution à l’étude d’une force séparatiste en Afrique de l’Ouest”, Tesi di laurea non pubblicata, Aix–en Province, 2000 4 Mathieu Diamacoune Senghor, padre dell’Abbé Diamacoune e di suo fratello Bertrand, compare come capo delegazione della rappresentanza del Kasa al congresso di Sedhiou. ABBÉ DIAMACOUNE SENGHOR, Augustin. lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. Documentazione Rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, MFDC, “Memento de l’Histoire de la Casamance”, p. 8. 217 amministrati – wolof, tukolor – in Casamance, l’elite politica tradizionale era spesso straniera1. Così se al nord, la nuova classe di istruiti era essenzialmente composta dai figli istruiti dei precedenti funzionari, nel sud della colonia i nuovi politici nascono in completa rottura con la precedente classe politica; per la prima volta la Casamance aveva una sua vera rappresentanza autoctona che si contrapponeva a quella tradizionale fatta di commercianti francesi, creoli portoghesi, ‘nordisti’. E questo era maggiormente vero proprio nella Bassa Casamance, dove una certa strategia politica aveva imposto capi stranieri – wolof o mande – anche a livello di villaggio2. Molto interessante a questo proposito è l’intervista fatta da François George Barbier– Wiesser a colui che egli chiama l’ ‘insegnante resistente’, ovvero Bourama Faye Badji, un militante della prima ora del MFDC del ’47, poi simpatizzante per quello dell’ ‘82: B.W.: In cosa consisteva essere militante del MFDC all’epoca? F.B.: Penso che la creazione del MFDC rispondesse a vari bisogni: il più evidente, è il fatto che esistesse solo il Partito Socialista con Lamine Gueye come leader. Sapete che all’epoca c’erano coloro che venivano chiamati i cittadini dei quattro comuni e ciò che veniva chiamato suddito francese. […]. In un primo tempo, questo movimento è nato per lottare contro questa differenza arbitraria soprattutto per gli intellettuali. C’era una seconda questione, quella di avere una rappresentazione autentica a livello politico, poiché a livello politico, si designavano delle persone che non erano di questa regione per rappresentare la Casamance; dunque, il MFDC voleva mettere fine a questo stato di cose. […]3 Dalla sintesi di questo militante non traspare alcuna traccia di velleità separatiste. Le rivendicazioni si inseriscono all’interno delle logiche politiche della colonia senegalese e puntano ad utilizzare i suoi strumenti per raggiungerli. Questo fatto sembra porsi in netta contraddizione con quanto afferma oggi il MFDC di padre Diamacoune, secondo il quale il movimento indipendentista nacque ponendosi come fine l’autonomia e l’emancipazione della regione sin dal primo momento4. 1.3 LE ELEZIONI DEL ’45 E LA NASCITA DELL’UNIONE FRANCESE L’MFDC così come gli altri partiti si organizzarono in vista delle elezioni dell’assemblea costituente. Venne deciso che ogni colonia doveva contribuire con un certo numero di rappresentanti. Il Senegal, venne perciò diviso in due circoscrizioni, una per le municipalità, l’altra per i sujets che avevano ottenuto il diritto di voto grazie alle nuove leggi. La SFIO decise quindi di allearsi con le piccole associazioni politiche del protettorato, creando il Blocco Africano (BA). In questo modo riuscì a presentare due 1 Vedere parte III, capitolo 3. FOUCHER, Vincent. “Les évolués, la migration, l’école” in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 393. 3 BARBIER–WIESSER, François George. “Témoignages. Trois témoignages, trois sénégalaises, trois point de vue”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 279. 4 Anche un responsabile del MFDC a Ziguinchor in occasione di un Congresso a Bignona, nel 1954, dicharava: “Tutti i servizi generali si trovano nel Senegal settentrionale. Ma noi abbiamo la possibilità e il dovere di mostrar loro che noi abbiamo degli uomini valorosi capaci di apportare grandi energie nella gestione degli interessi del Senegal. “La voix de la Casamance”, n°24, 2 luglio 1954, ANS D1/043. 2 218 candidati, Lamine Gueye per le zone d’amministrazione diretta e un giovane Léopold Sédar Senghor1 per la circoscrizione del protettorato, sostenuto in particolar modo dai capi religiosi. Le elezioni che si svolsero il 21 ottobre 1945, e decretarono la vittoria assoluta del blocco socialista: entrambi i candidati ottennero il seggio parlamentare. I due deputati si diedero da fare nell’elaborazione della nuova costituzione che ovviamente avrebbe dovuto contenere una nuova impalcatura organizzativa delle colonie. Tuttavia, il primo progetto costituzionale venne bocciato al referendum e si dovette iniziare l’iter tutto da capo. Gueye e Senghor vennero riconfermati2. Alla fine la nuova costituzione della Quarta Repubblica vide la luce il 13 ottobre 1946. Il titolo VIII, quello dedicato all’organizzazione coloniale, prevedeva la nascita dell’Unione Francese3. L’analisi della nuova struttura organizzativa esula dai fini di questo saggio, per cui per un approfondimento si rimanda all’approfondita analisi di Gerti Hesserling4. Ciò che è sufficiente dire è che l’Unione fu certamente un ulteriore, sebbene ancora molto limitato, passo avanti per le colonie. Molte cariche, come quella dei consigli generali presenti in ogni colonia avevano un carattere puramente consultivo. Inoltre, l’elettorato era ancora estremamente ristretto5. Tuttavia, il dinamismo a livello politico continuò a crescere. Tra il 1946 e il 1948 altri due eventi dovevano contribuire a rendere più variegato e complesso il quadro politico africano. Nell’ottobre 1946 sotto l’impulso dell’ivoriano Houphouët–Boigny venne creato il Rassemblement Démocratique Africaine (RDA) un gruppo parlamentare che nel progetto del suo fondatore doveva unire tutti i parlamentari africani per condurre una comune lotta di liberazione dei paesi coloniali. Fino ad allora infatti, i deputati africani si erano mossi prevalentemente con iniziative individuali, senza avere un luogo in cui concertare una politica coloniale comune e strutturata. Tra l’altro anche a livello territoriale, i raggruppamenti politici dai pi piccoli fino alla SFIO erano ancora molto elitari e avevano prevalentemente il carattere di comitati elettorali più che di partiti di massa. Anche la SFIO di Gueye e Senghor annunciò la sua partecipazione al congresso che doveva decretare la nascita del nuovo gruppo parlamentare. Tuttavia, soprattutto a causa delle pressioni contrarie dei governatori francesi, alla fine disertarono il congresso. Il Senegal divenne così l’unica colonia a non avere una forte sezione nazionale del RDA6. 1 Léopold Sedar Senghor nacque a Joal nel 1906. Egli riuscì ad ottenere una borsa di studio e andò in Francia a continuare gli studi superiori. Divenne professore e iniziò a scrivere vari articoli e saggi sui giornali dell’epoca che gli valsero una certa notorietà. Dopo la guerra egli venne chiamato dal governatore generale dell’AOF a fornire il suo contributo in qualità di esperto nell’elaborazione della politica coloniale della Francia del dopoguerra. 2 ATLAN, Catherine. "De la gestion à l'arbitrage: l'administration du Sénégal face aux premières elections libres de l'après guerre (1945-1958)", Revue Française d'Autre Mers, 2003, 90 (338-339): pp. 133-152. 3 Hesserling fa notare come i cambiamenti dei nomi per indicare i possedimenti d’oltre mare rivelano una certa ideologia: “Le ‘colonie’ [denominazione fino agli anni ‘40] implicavano l’ineguaglianza, l’ ‘Impero’ [negli anni di Vichy] un’assimilazione tinta di nazionalismo, l’ ‘Unione Francese’ costituiva il primo passo verso una forma di federalismo […]. HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 151–152. 4 IBIDEM. 5 Il suffragio universale venne introdotto solo nel 1956. 6 L’RDA si mantenne essenzialmente su posizioni di estrema sinistra ed al parlamento francese fu particolarmente appoggiato dal Partito comunista. Solo il Groupe d’études Comunistes, divenne la sezione senegalese del RDA, ma aveva una consistenza a dir poco esigua. Inizierà ad avere un certo peso dal 1956, quando dopo esser diventata l’ Union Démocratique 219 Anche all’interno della SFIO l’atmosfera non era tranquilla, soprattutto a causa del crescente contrasto tra i due leader: Gueye e Senghor. Di una generazione più anziana, Lamine Gueye era probabilmente molto più legato alla vecchia dottrina assimilazionista di quanto non lo fosse il giovane Senghor1. Così dopo aver fondato nel 1947 una rivista, Condition Humaine, in cui intensificava sempre più le sue critiche verso la SFIO, l’anno esguente Senghor diede le dimissioni e fondò un nuovo partito, il Blocco Democratico Senegalese (BDS) che al parlamento francese aderì immediatamente al gruppo degli Indipendenti d’Oltre Mare (IOM), che raggruppava tutti gli africani che non erano entrati a far parte dell’RDA di Houphouët–Boigny. 1.4 LA VITTORIA DEL BDS DI SENGHOR (1951) E L’ALLEANZA CON IL MFDC La prima occasione di scontro diretto tra le due formazioni politiche senegalesi ebbe luogo in vista delle elezioni politiche del giugno 1951. Senghor e il suo braccio destro, Mamadou Dia, sconfissero con largo distacco la SFIO di Gueye ottenendo i due seggi parlamentari2. Dai dati dello spoglio è possibile constatare che il BDS aveva avuto l’appoggio incontrastato nelle campagne, mentre il partito di Gueye continuava ad avere una certa importanza solo all’interno delle Quattro Municipalità. Questi dati sono rivelatori della diversa strategia che i due leader seguirono: Gueye rimase ancorato all’élite cittadina disertando il numero sempre crescenti di elettori presenti anche nelle zone rurali. Senghor invece, doveva avere intuito tali potenzialità. Già dall’epoca della SFIO tale suddivisione era stata creata dallo stesso Gueye: infatti, presentando Senghor come candidato al parlamento egli parlò del suo braccio destro come del “deputato dei baadolo” ovvero dei contadini poveri dell’entroterra; lui si riservava invece l’elettorato d’élite dei comuni. Furono proprio quei baadolo ad eleggere Senghor durante gli anni della SFIO e poi a seguirlo nell’esperienza del BDS3. Ma soprattutto, ancora una volta, cercò e ottenne l’alleanza dei marabutti. Sempre più il ruolo dei capi religiosi andava assumendo anche nella politica africana un ruolo fondamentale: Babacar Sy e Falilou Mbaké espressero pubblicamente i loro ‘consigli’ ai fedeli che avevano il diritto di voto, e la chiesa cattolica si espresse nella stessa direzione4. Nel 1951, in occasione della campagna per le elezioni, fu certamente la confraternita muride ad essere determinante per il sostegno che portò al leader del BDS. […]. In effetti, in brousse nei luoghi in cui la presenza muride era molto forte, e daara non dovettero far altro che tramutarsi in vere e proprie ‘cellule’ politiche, controllate dai rappresentanti del Califfo Generale della confraternita. La situazione era la stessa nella confraternita Tidjiane […].5 Sénégalaise, inizierà a riscuotere un certo successo e a diventare una sorta di terzo polo tra la SFIO e il BDS. 1 “Egli infatti aveva l’impressione che il partito ‘nell’Unione Francese e spesso anche nella metropoli, sacrifica i principi ai risultati elettorali, l’etica marxista e socialista alle tattiche”. ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit., p. 38. 2 Questo risultato venne poi confermato anche alle elezioni del 1956. 3 MAKEDONSKY, Eric. “Le Sénégal. La Sénégambie”, op. cit., p. 114 4 Per apprezzare anche questo contributo non bisogna dimenticare che Senghor era cattolico e che la chiesa non aveva beneficiato di molte simpatie da parte del governo coloniale, soprattutto negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale. 5 SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit., p. 211. 220 Tuttavia, anche i capi tradizionali, quelli di canton o di villaggio, giocarono un ruolo simile: Tassazione, reclutamento militare, chiamata al lavoro forzato fino alla fornitura dei dati sulla popolazione, tutto questo procurava delle occasioni di trattare gli amici e i dipendenti con indulgenza e usare i nemici per equilibrare a bilancia. Un capo di canton degli anni ’50, periodo elettorale, forniva delle indicazioni su tali questioni, rivolgendosi ai suoi avversari: “Disgrazia a coloro che voteranno per il Blocco democratico senegalese, la mia imposta sarà implacabile per loro”1 I gruppi regionalisti e non, che come si è detto in precedenza, avevano creato alleanze elettorali con la SFIO, ora trovarono spesso molto più interessanti le proposte si Senghor. Così nella campagna elettorale in vista delle elezioni del 1951 (così come per quelle del ’56) tali gruppi politici si allinearono con il BDS. Tra questi figurava anche il MFDC. Questo momento viene indicato dagli indipendentisti di oggi come il primo degli errori dei dirigenti dell’epoca, che troppo ‘ingenui’ si sono sarebbero fidati delle promesse di indipendenza di Senghor e dei ‘nordisti’2. Infatti, secondo i ribelli, nel 1954, in vista delle elezioni del ’56 il movimento decise di allinearsi al BDS di Senghor; da allora le stesse tessere politiche degli aderenti avrebbero portato la denominazione ‘MFDC–BDS’3. L’alleanza sarebbe stata fatta sulle basi di un “contratto segreto” stipulato tra i dirigenti del MFDC e Senghor; secondo tale contratto: – – – il MFDC dava il sostegno elettorale al BDS in vista dell’indipendenza; Senghor prometteva un cammino comune di sviluppo, che sarebbe dovuto durare vent’anni dal momento in cui sSenghor fosse diventato presidente del nuovo stato indipendente; Infine, al termine del ventennio, la Casamance sarebbe stata libera di chiedere e ottenere l’indipendenza4. Alla sua scadenza, questo ‘contratto’, che rappresenta il “mito fondatore” del movimento, sempre secondo l’attuale MFDC sarebbe stato volutamente ignorato dai nuovi dirigenti. Non solo, Senghor e i suoi collaboratori si sarebbero adoperati al fine di far sparire qualunque traccia del contratto stesso e dei testimoni: la sparizione misteriosa di Victor Diatta o di altri dirigenti dell’epoca sarebbe portata come prova della cattiva fede del governo indipendente. Da notare che, soprattutto negli anni ’80, il mito del contratto era molto popolare e giravano persino molte voci su circa i dettagli dell’accordo o il luogo della sua conservazione. Tuttavia, mai nessun documento ha 1 CRUISE O’BRIEN, Donald. “Chefs, saints et bureaucrates. La construction de l’état colonial”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 21. 2 La tesi di un MFDC non sembra corrispondere ai dati storici e ai racconti dei protagonisti dell’epoca come Bourama Faye Badji. Egli stesso afferma, come indicato nella citazione precedente, che gli scopi del movimento si inseriscono nelle dinamiche delle rivendicazioni che opponevano i citoyens ai sujets. Ma non sembra che i dirigenti dell’epoca abbiamo chiesto l’indipendenza. 3 Ad indicare l’alleanza e non tanto una fusione o una posizione subordinata del MFDC. 4 Nouha Cissé, “Historique et déterminants de la crise casamançaise” in AA. “20 ans de conflict en Casamance”, Congad, Dakar, 2002, pp. 20–23. 221 mostrato l’esistenza di tale contratto, e lo stesso Abbé ha parlato della sua distruzione ad opara dei senegalesi1. Inoltre, all’epoca il contratto non sarebbe stato ‘indolore’: infatti, non tutti gli affiliati al MFDC furono d’accordo per un’alleanza con il BDS. Durante il Congresso che portò alla nascita del Movimento Autonomo della Casamance del professor Assane Seck2. Il MAC ancora alle elezioni del ’56 scelse di rimanere legato alla SFIO di Gueye. Secondo uno degli ‘irriducibili’, Bourouma ‘Faye’ Badji, il principale oggetto del contendere era il fatto che: C’era la tendenza a nominare delle persone che non erano autoctone per rappresentare le nostre popolazioni presso il BDS3 Alla fine, le elezioni si svolsero il 17 giugno 1951. La vittoria del BDS fu inequivocabile: ottenne il 67.7% dei voti espressi. Vittoria che venne largamente riconfermata nel gennaio 1956, quando il partito di Senghor riuscì a far proprio il 76% dei voti di coloro che si recarono alle urne4. Per concludere, va sottolineato il fatto che i leader del MFDC e del MAC appartengono a quella prima generazione di évolué, figli della scolarizzazione degli anni ‘30–’40. Sono spesso insegnanti, intellettuali, che malgrado la loro posizione sociale mantennero un contatto molto forte con la loro comunità d’origine5. Il MFDC venne definitivamente assorbito nel BDS di Senghor dopo le elezioni del 1956. Il MAC invece, dopo il fallimento della coalizione con la SFIO, si alleò con il PRA–Senegal, per poi essere assorbito a sua volta dal BPS. 2 LA LEGGE–QUADRO DEL 1956: I PARTITI SENEGALESI E L’EFFIMERA ESPERIENZA DELLA ‘AUTONOMIA’. Il 1956 fu un anno decisamente denso di eventi significativi., tanto a livello interno che internazionale. 1 Da notare che per l’attuale MFDC anche l’inizio del conflitto avvalorerebbe questa tesi: dall’indipendenza del Senegal, ottenuta nel 1960, al 1982, anno in cui iniziò il conflitto passarono circa 20 anni. Inoltre Marut riporta un dato curioso: sull’affare ‘Diatta’, il dirigente diola del MFDC sparito misteriosamente, riporta la pozione di uno degli attuali dirigenti, Nkrumah Sané afferma di non avere prove del ‘contratto’, ma “conoscendo i senegalesi”, il fatto sarebbe normale. MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 174 e 189. Inoltre queste stesse tesi del ‘complotto’ e dei ‘documenti scomparsi’ sono stati usati anche nella tematica dello status coloniale della Casamance, che portò poi l’MFDC a chiedere un’analisi ad hoc patrocinata dalla Francia; analisi che si tradusse nel Rapporto Charpy. Vedete parte III, capitolo 1. 2 Erano presenti anche altri giovani dissidenti come Bourama ‘Faye’ Badji e Djibril Sarr. 3 FLIPO, Blandine. “Le MFDC. Contribution à l’étude d’une force séparatiste en Afrique de l’Ouest”, Tesi di laurea non pubblicata, Aix–en Province, 2000, p. 17. Questo movimento e lo stesso Assane Seck accetterà a sua volta l’alleanza con Senghor subito dopo la schiacciante vittoria del BDS. Vedere anche la lettera di dimissioni del MFDC in allegato 5. 4 ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit. 5 Le cose sono destinate a cambiare negli anni dell’indipendenza. Dopo questa prima generazione si inizierà a parlare di “casamanqué”, ovvero di dirigenti che hanno fallito nel tentativo di essere dei rappresentanti della regione, anche se collocati in punti nevralgici dell’amministrazione o del governo. FOUCHER, Vincent. “Les évolués, la migration, l’école”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 399–400. 222 In Senegal, le elezioni furono certamente un momento importante che segnarono l’inizio di nuove esperienze politiche. Subito dopo le elezioni Senghor decise di far propria una vecchia proposta dell’UDS: creare un fronte comune senegalese che comprendesse sia la SFIO che il BDS1. A questo fine, nel giugno di quell’anno venne organizzato un Congresso a Dakar in cui furono chiamati a partecipare tutte le principali forze politiche dell’epoca: la SFIO di Lamine Gueye, l’UDS di Abdoulaye Gueye, il BDS di Senghor, e il Movimento Popolare Senegalese (MPS) di Doudou Gueye2. Il tentativo si rivelò alla fine fallimentare, poiché sia la SFIO che il MPS dopo aver dato il loro appoggio all’iniziativa si ritirarono successivamente, durante gli incontri preparatori alla fusione che si tennero nelle settimane successive. Il progetto fu portato avanti, in misura quindi limitata rispetto al progetto iniziale includendo solo l’UDS e il MAC, il Movimento Autonomista della Casamance, oltre che qualche ‘disertore’ del MPS e della SFIO. Con queste forze politiche, nell’agosto seguente venne fondato il nuovo partito unitario che prese il nome di Bloc Populaire Sénégalais (BPS). In questo modo anche il MAC percorreva la via della fusione con i ‘nordisti’, via già intrapresa qualche anno prima dal MFDC. A livello parlamentare invece, il gruppo degli IOM diventava la Convention Africaine (CA)3. La SFIO di Lamine Gueye non rimase a guardare gli sviluppi degli avversari e rispose con un’iniziativa simile; poco dopo la nascita del BPS e della CA infatti, nei primi mesi del ’57, nascevano il Mouvement Socialiste Africani (MSA) e il Parti Sénégalais d’Action Socialiste (PSAS), con cui Gueye rendeva il suo partito indipendente dalla SFIO, creando un nuovo gruppo ad hoc tutto africano anche all’interno del parlamento francese4. La nascita del BPS non fu però l’unico evento importante di quell’anno. Mentre il panorama politico senegalese si organizzava per una maggiore rappresentatività, anche a livello istituzionale ci furono importanti riforme destinate a dare maggior peso decisionale alle strutture territoriali. Infatti, nel giugno 1956 veniva approvata una nuova legge che ridefiniva l’assetto coloniale e i rapporti tra la Francia e i suoi territori d’oltre mare. L’esperienza dell’Unione inaugurata nel ’45 fu in definitiva un mezzo fallimento, o comunque fu un’organizzazione probabilmente ancora troppo legata ad una concezione paternalistica delle colonie che fu ben presto superata dagli eventi. La Francia in quegli anni subì una pesante e simbolica sconfitta in Indocina ed inoltre anche all’interno si viveva un clima di profonda inquietudine, incentivato dalla repressione a cui fu sottoposta la lotta per l’indipendenza in Algeria. Gli africani seguivano ovviamente con attenzione questi cambiamenti e oltre a prendere sempre più consapevolezza della propria condizione si accorgevano anche della profonda debolezza della Francia in 1 Assane Seck, ex dirigente del MFDC poi del MAC, fu tra coloro che si impegnarono nell’organizzazione di questo raggruppamento tutto africano. ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit., p. 50. 2 Il MPS di Doudou Gueye si pose come nuova sezione senegalese dell’RDA; infatti, l’UDS che aveva ricoperto questa funzione fino a qualche mese prima, si era allontanato dalla formazione federale in seguito a screzi con gli altri dirigenti. L’UDS continuò a mantenersi su posizioni radical–marxiste. 3 Da sottolineare che il BPS fu un vero successo politico per Senghor, che venne completato a livello regionale con la nascita della Convention Africaine (CA) che doveva sostituire il gruppo parlamentare degli IOM (gennaio 1957). Inoltre, contemporaneamente ai tentativi di fusione politica si tentava anche di realizzare l’unione sindacale. In questo periodo infatti, le forze sindacali sono particolarmente attive, non solo dal punto di vista delle rivendicazioni per i lavoratori ma anche dal punto di vista politico. Non a caso saranno proprio i sindacati del lavoratori, dopo aver trovato una certa unione nell’Union Générale des Travailleur d’Afrique Noir (UGTAN) saranno tra i primi a chiedere una completa decolonizzazione politica. ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit., pp. 52–55. 4 IBIDEM, pp. 55–56. 223 quegli anni. dall’altro lato, i francesi della madrepatria si dimostrarono sempre più insofferenti all’idea di riversare ancora milioni di franchi verso le colonie proprio nel momento in cui la Francia cercava di riprendersi dai disastri della guerra. In questo contesto nacque la loi–cadre del 1956, nota anche come legge Gaston Déferre1. Questa legge dava in primo luogo la possibilità al governo francese di cambiare l’assetto coloniale per decreto, non rendendo necessario un eventuale lungo iter parlamentare. Inoltre, modificava l’organizzazione dei territori aumentando il decentramento dei poteri e quindi creando un maggior livello di autonomia mai raggiunto prima. Anche in questo caso, per un’analisi più dettagliata delle uove istituzioni si rimanda all’analisi di Gerti Hesserling. Basta qui sottolineare due aspetti. Innanzitutto il fatto che con questa legge veniva finalmente concesso il suffragio universale alle colonie. Inoltre, a livello interno il Consiglio generale e il Commissario coloniale, assunsero il nome di Assemblea Territoriale e Chef du Territorire, che fu affiancato da un Conseil de gouvernement. Com’è facilmente intuibile, i precedenti organismi vennero modificati rendendoli del tutto simili ad un Parlamento e ad un Capo del Governo con il suo Consiglio dei Ministri. Le competenze e l’autonomia vennero inoltre aumentate e anche le assemblee territoriali persero il loro carattere esclusivamente consultivo. Solo i Grands Conseils dell’AOF e dell’AEF furono impoveriti dei loro poteri2. Nel 1957 vennero organizzate le nuove elezioni per rendere finalmente operative le nuove disposizioni. Il BPS di Senghor ottenne 47 dei 60 seggi che componevano l’Assemblea Territoriale senegalese. Fu ovviamente una vittoria molto importante per Senghor, ma soprattutto è da sottolineare che per la prima volta veniva eletto qualcosa di molto simile ad un ‘parlamento senegalese’ e per di più a suffragio universale. L’assemblea territoriale nominò immediatamente i membri del consiglio dei ministri, tra cui compariva il braccio destro di Senghor, Mamadou Dia come vice presidente e numerosi leader dei partiti regionalisti che si erano uniti al BDS nel 19563. Nella nuova squadra di governo, paradossalmente, non figurò Senghor. Egli preferì lasciare ad altri l’incarico del governo per potersi continuare ad occupare dei tentativi di fusione dei partiti senegalesi. Non a caso subito dopo le elezioni, una nuova stagione di convegni e riunioni venne inaugurata con il PSAS e gli altri partiti più piccoli per cercare di raggiungere questo fine. Ancora una volta Gueye si ritirò all’ultimo momento, provocando qualche nuova defezione nel suo partito. 3 LA COMUNITÀ FRANCESE E IL “SI” DEI MARABUTTI. Se il 1956 fu un anno denso di avvenimenti, si può affermare che il 1958 fu invece l’anno in cui gli ‘eventi’ subirono un’improvvisa accelerazione verso l’indipendenza. È utile distinguere tre livelli di analisi: quello territoriale – interno al Senegal – quello federale in seno all’AOF ed infine i cambiamenti a livello centrale. Nei primi mesi del 1958 fu certamente il livello federale ad essere il più ‘movimentato’: si cercò un avvicinamento tra l’RDA di Houphouët–Boigny e gli altri gruppi 1 Il francese Gaston Défererre, Ministro dei Territori d’Oltre Mare fu colui che fu incaricato di prepaare il progetto di legge insieme all’ivoriano Houphouët–Boigny. 2 HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 161–168. 3 Tra cui si ricorda che figurava il MAC. ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (19401988)”, op. cit., pp. 57–58. 224 parlamentari, ovvero l’MSA di Gueye e la CA di Senghor. Invece, proprio in occasione del convegno del RDA la rottura divenne definitiva e insanabile. Dietro alla rottura si nascondeva questione che si trascinava ormai da alcuni anni e che avrebbe avuto delle ripercussioni politiche al momento delle indipendenze: era l’issue federalismo– territorialismo. I federalisti, rappresentati in primis da Léopold Sedar Senghor riteneva indispensabile procedere verso l’autonomia mantenendo come punto di riferimento l’unione federale: in questo modo anche i piccoli stati o quelli più poveri avrebbero avuto un’efficace sostegno e l’intera federazione ne sarebbe uscita maggiormente rafforzata dallo sforzo comune. dall’altro lato, i territorialisti capeggiati dall’ivoriano Houphouët–Boigny sosteneva la tesi esattamente opposta e si batteva per l’indipendenza individuale dei singoli territori1. Senghor decise di non entrare a far parte del governo del suo paese anche per dedicarsi completamente a cercare di evitare ciò che lui definiva la ‘balcanizzazione’ dell’Africa. 1945-47 SFIO + ALTRI 1947 SFIO BDS (IOM) + MAC + MFDC 1951 GRUPPI RDA BDS-MFDC (IOM) SFIO BDS+MFD C+MAC 1956 1958 PSAS (MAS) BPS (CA) UPS (PRA) MPS (RDA) PAI RDSSENEGAL PFA Tuttavia, i tentativi di avvicinamento non andarono a buon fine proprio quando il raggruppamento stava per esser realizzato. Così il 26 marzo del ’58, la rottura divenne definitiva. La fusione avvenne però tra le altre formazioni esterne al RDA: la Convention Africaine di Senghor, il Mouvement Socialiste Africaine di Gueye e altre piccole formazioni territoriali crearono il Parti du Regroupement Africani (PRA). La rottura ebbe immediatamente un riflesso all’interno poiché l’unione a livello federale tra il BPS di Senghor e il PSAS di Gueye si poté finalmente realizzare: era la nascita del Union Progressiste Sénégalaise (UPS). In Senegal, il variegato panorama politico venne così 1 La costa d’Avorio era di gran lunga la colonia maggiormente ricca della federazione soprattutto grazie alle riserve minerarie. Ecco perché molti ivoriani erano contrari ad accollarsi la responsabilità di un’alleanza anche con stati particolarmente poveri. 225 ridotto a tre attori: l’UPS, e altre due piccole formazioni politiche, il Mouvement Populaire Sénégalaise (MPS) di Doudou Gueye – che rimase fedele al RDA – e il Parti Africaine de l’Indépendance (PAI) di Majhmout Diop1. Il raggiungimento dell’unione tanto a livello federale che territoriale tra Senghor e Gueye si svolse mentre la Francia era alle prese con un vero e proprio ‘terremoto’ politico. La lotta per l’indipendenza in Algeria portò ad un colpo di stato militare che fece tremare l’intera nazione. Il fatto comportò la fine della IV repubblica e De Gaulle venne incaricato di riprendere le redini della situazione e accompagnare la Francia fuori dall’empasse algerino in cui era caduta. A distanza di due anni dalla sua approvazione, la legge del ’56 venne rimessa in discussione, da un Comité Consultatif Constitutionel, (CCC) creato dallo stesso De Gaulle con il compito di redigere il testo di una nuova costituzione. Tra i membri figuravano Senghor e Gueye. Il nuovo testo costituzionale introdusse un nuovo tipo di struttura istituzionale chiamato ‘Communauté Française’: tutte le colonie al momento del referendum sul nuovo testo avrebbero potuto scegliere tra lo status di territorio d’oltre mare (TOM), quello di membri della comunità con un’ampia autonomia interna oppure l’ immediata indipendenza. Fu questa la prima importante sfida che le forze politiche del Senegal si ritrovarono a dover gestire. Senghor si pronunciò immediatamente contro l’indipendenza, ma dovette presto far marcia indietro vista l’opposizione che incontrò nel suo stesso partito. Per la prima volta, l’indipendenza era a portata di mano e l’intera colonia era in subbuglio. Lo stesso De Gaulle si impegnò in una lunga visita nelle colonie a favore del ‘si’ al referendum, che avrebbe comportato l’adesione all’unione. Già qualche mese prima tuttavia, aveva avvisato che il ‘no’ avrebbe comportato oltre alla totale indipendenza il ritiro di tutti i funzionari, tecnici, amministratori dal nuovo territorio indipendente, che avrebbe dovuto gestirsi completamente da solo. A Dakar venne accolto da uno dei ministri del governo: Senghor e Dia dovettero stranamente declinare ai loro impegni di ospitalità per motivi ‘inderogabili’. Non mancarono invece gli studenti, i sindacati e le altre forze politiche e sociali favorevoli all’indipendenza che lo accolsero in modo tutt’altro che ospitale, tanto da provocare una celebre reazione di De Gaulle, che esasperato disse: mi rivolgo ai trasportatori di scartafacci, e soprattutto a loro… se, il 28 settembre, vorrete l’indipendenza, prendetevela!2 Da ciò nacque la spinosa questione del ‘referendum’. Tanto il PRA che il RDA furono letteralmente lacerati nella scelta da fare. Il PRA si scisse e il gruppo che votava per l’indipendenza prese il nome di PRA–Senegal3. Ad essi si aggiunse un’altra piccola formazione politica, il Parti de la Solidarité Sénégalais (PSS), che proponeva invece lo status di territorio d’oltre mare. 1 Questo partito era venne fondato da Majhmout Diop nel 1957 ed era l’unico che chiedeva l’immediata indipendenza. Da sottolineare il fatto che questo piccolo partito avrebbe avuto negli anni seguenti un particolare sostegno in Casamance. 2 ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit., p. 67. 3 Questo gruppo comprendeva gli intellettuali e i leader dei piccoli partiti regionalisti e non che si erano progressivamente alleati a Senghor tra il 1951 e il ’56. Tra essi figurava anche Assane Seck, vecchio leader del Movimento Autonomista della Casamance (MAC). 226 Alla fine, il 28 settembre del 1958, i senegalesi iscritti nelle liste elettorali votarono ‘si’ per l’80,4%1 e il Senegal divenne una repubblica all’interno della nuova comunità francese. Tuttavia, secondo il MFDC, il referendum diede luogo ad una terribile ingiustizia che la Casamance subì e che riguarderebbe il suo diritto “assoluto, inalienabile, non negoziabile ed imprescrittibile” all’indipendenza. In occasione del referendum solo due regioni si espressero per il ‘no’: la Casamance e la Guinea francese. quest’ultima, unico caso tra tutte le colonie francesi, raggiunse immediatamente l’indipendenza. Tuttavia, la Francia, ne volle fare un esempio–deterrente per tutti gli altri territori che, pur avendo optato per la comunità, secondo la costituzione conservavano il diritto a chiedere ed ottenere in qualsiasi l’indipendenza totale dalla madrepatria. Così, nel giro di 30 giorni, tutti i francesi presenti nell’ex colonia furono costretti a lasciare il paese che fu abbandonato completamente al loro destino. Per la Casamance le cose andarono diversamente: pur avendo espresso il proprio ‘no’, come parte della Colonia del Senegal, essa ne seguì automaticamente il destino. Queta posizione non viene però condivisa dal MFDC, par cui la Casamance, fino ad allora “Territorio autonomo”2, invece di ottenere l’indipendenza, diritto “legalmente e democraticamente” acquisito col referendum, venne ceduta illegalmente dalla Francia al Senegal. Le conseguenze di questa ingiustizia si ripercuoterebbero nel lungo periodo, poiché secondo il discorso indipendentista: […] la tutela [della Colonia del Senegal] è diventata un’annessione pura e semplice della Casamance nel Senegal; […] tale annessione viola il diritto inalienabile ed imprescrittibile del popolo casa mancese all’autodeterminazione; […] la Casamance è diventata una vera colonia del Senegal, vergognosamente dominata dagli emigrati senegalesi!3 Prova ulteriore di questa posizione sarebbe l’assenza di un documento che preveda l’ammissione del territorio della Casamance alla Colonia del Senegal. Alla luce di quanto detto, il ‘si’ dei senegalesi potrebbe perlomeno apparire ‘sospetto’. Perché dopo tanto manifestare per l’indipendenza, dopo l’esasperazione di De Gaulle a Dakar, i senegalesi decisero di votare ‘si’ in massa? Questo ‘si’ è stato definito il ‘si dei marabutti’4. Infatti, il 5 settembre, quindi poco prima del voto, i capi delle principali confraternite senegalesi dichiarano pubblicamente che col loro voto avrebbero sostenuto la proposta della comunità avanzata da De Gaulle e non l’immediata indipendenza5. L’UPS di Senghor e Gueye si posizionò sulla stessa posizione, emarginando le personalità intransigenti. Lo stesso Mamadou Dia, che visse la lacerazione politica del suo stesso partito in quelle settimane, affermò: 1 Hesserling parla del 94,4%. HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 170. In base ai trattati stipulati con vari capi nella regione agli albori della colonizzazione francese e alla legge del 12 ottobre 1882 che stabiliva un’autonomia relativa della regione, staccandone l’amministrazione da quella di Dakar. Vedere parte II e parte IV capitolo 1. 3 Documentazione Rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, ABBÉ DIAMACOUNE SENGHOR. “Lettera al Presidente della Repubblica Francese”, Ziguinchor, 15 novembre 2000, pp. 2–3. 4 BLANCHET, Le Monde, (4 ottobre 1958), cit. da ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit., p. 68. 5 All’epoca, i capi delle confraternite erano Falilou Mbacké, Khalif Général. della Maridiyya, Cheikh Ahmed Tidjane Sy della Tidjaniyya e Ibrahima Niasse della Quadiriyya. 2 227 “È ridicolo affermare che è il vecchio Senegal che si identifica a questa percentuale (97% di ‘si’)”. È quindi chiaro che i capi delle confraternite religiose possono mobilizzare una percentuale di voti molto alta.1. Era ormai diventato chiaro a tutti che: […] i marabutti erano coloro che controllavano realmente l’elettorato senegalese, soprattutto nelle zone rurali; questo era molto evidente. Il partito “feudo–marabutico” era il vero vincitore di quelle elezioni2 Ma ciò che va rilevato è soprattutto il fatto che nella Casamance, la maggioranza dei voti si espresse per il “no”. Questo fatto viene portato come prova dell’ingiustizia operata ai danni della Casamance: secondo la logica del MFDC la regione, da sempre indipendente e staccata da Dakar, avrebbe dovuto ottenere l’indipendenza. Invece, seguì le orme della colonia del Senegal, accompagnandola nell’avventura effimera della Federazione del Mali prima e dell’indipendenza poi. 4 L’ULTIMA TAPPA: LA FEDERAZIONE DEL MALI Le settimane seguenti tanto l’UPS che l’RDA uscirono abbastanza ‘provati’ dal referendum. L’UPS si era di fatto dovuto piegare alla volontà espressa dai marabutti. Il PRA si era dissolto. Il RDA non era meno diviso: il fatto di avere la possibilità di avere tra le mani l’indipendenza aveva aperto gli occhi ad alcuni leader che si rendevano conto che il proprio paese non sarebbe stato immediatamente in grado di affrontare da solo il grande passo. In questo contesto, l’avvicinamento tra i gruppi tradizionalmente contrapposti dei ‘territorialisti’ del RDA e dei ‘federalisti’ del PRA, fu finalmente possibile. Esattamente tre mesi dopo il referendum, i leader di Senegal, Sudan francese, Alto–Volta e Dahomey, riunitisi in congresso a Bamarko, decisero di avviare un progetto comune di federazione, in vista di una futura indipendenza. Il testo costituzionale prevedeva infatti la possibilità che la partecipazione alla Comunità fosse fatta singolarmente dai paesi o in gruppo attraverso delle federazioni. Tuttavia, presto i dissensi rinacquero sulla forma che la futura federazione avrebbe dovuto adottare. Alla fine, dopo il ritiro della Costa d’Avorio e dell’Alto Volta, solo il Senegal e il Sudan decisero di proseguire insieme il progetto. A tal fine, seguendo ormai uno schema consolidato, di dar vita ad un nuovo partito che comprendesse tutte le forze politiche impegnate nel progetto: nacque il Parti de la Fédération Africaine (PFA) i cui leader erano Senghor per il Senegal e Modibo Keita per il Sudan. Nel gennaio del 1959, nacque così la Federazione del Mali. Venne creata un’assemblea costituente a livello federale che doveva occuparsi di redigere la nuova costituzione federale, mentre all’interno si preparava quella territoriale. Le vicende che caratterizzarono questa effimera esperienza esulano dai fini di questo saggio. Ciò che è necessario ricordare è che il 4 aprile 1960 i territori del Senegal e del Sudan uniti nella federazione, chiesero e ottennero la completa indipendenza dalla Francia. Poco più di 1 2 ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit., p. 68. SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit., p. 214. 228 due mesi dopo, il 20 agosto 1960, l’assemblea parlamentare senegalese decretava la fine della federazione e iniziava il percorso post–coloniale. La Casamance seguì fedelmente la stessa traiettoria come una regione qualsiasi del nuovo stato. Il Senegal così unito iniziava il suo cammino come stato indipendente. Sarebbe stato in grado di raccogliere le sfide di una nazione ancora da plasmare? CONCLUSIONE In questo capitolo è stato analizzato come il Senegal sia giunto nel 1960 alla completa indipendenza, e come la Casamance si sia inserita all’interno di questo processo. Il primo MFDC, partito regionalista ha partecipato appieno ai meccanismi della politica africana dell’epoca. Sebbene il Movimento degli anni ’80 rivendichi l’appartenenza a questa prima esperienza, sostenendo persino a sostenere l’ipotesi che il MFDC del ’47 non si sarebbe mai sciolto, in realtà i due soggetti politici si son posti degli scopi completamente diversi. Il partito del dopoguerra non chiedeva l’indipendenza dalla colonia, ma semmai maggiore decentramento e l’abolizione della separazione tra citoyen e sujets. In particolare, la questione dell’autonomia era una vecchia richiesta che partiva soprattutto dai dirigenti francesi e creoli che negli anni del completo isolamento dell’anteguerra godevano di una certa autonomia amministrativa; con l’intensificarsi dei rapporti dopo il ’45 e l’accentramento dell’organizzazione coloniale gli amministratori persero gran parte della loro discrezionalità. A questo cercarono di reagire con il MFDC e con il MAC, ma non mettendo mai in discussione l’appartenenza alla colonia. Tutto ciò si interseca con un altro processo, quello dell’africanizzazione dell’amministrazione. Tuttavia, Se queste direttive hanno aperto le opportunità ai diola, soprattutto nell’esercito, esse hanno portato in Casamance anche un numero crescente di ‘nordisti’. A mo’ d’esempio, dagli anni ’50, quasi la metà degli immigrati stabilitisi a Ziguinchor era originario del nord Senegal. Le basi che avrebbero permesso agli attori economici del nord del Senegal di appropriarsi di una gran parte delle risorse non sfruttate della Casamance, era così state poste1. Altra questione, è poi quella che riguarda la stipula di un misterioso ‘contratto’ tra i leader del MFDC dell’epoca e Senghor. Questo è un punto particolarmente importante in tutta la retorica indipendentista. I ‘nordisti’ avrebbero fatto sparire ogni traccia di quel 1 LAMBERT, Michael C. “La marginalisation économique des communautés joola à la fin du XXe siècle”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 358. 229 contratto, testimoni compresi. Mancando le prove, l’annessione apparirebbe però illegale, poiché in mancanza di particolari accordi il “Territorio della Casamance” avrebbe dovuto acquistare l’indipendenza separatamente e non nel Senegal. Gli unici documenti a cui si potrebbe far riferimento sarebbero i contratti stipulati dai francesi con i capi locali della regione, che non essendo stati denunciati, sarebbero ancora in vigore, così come vuole la consuetudine internazionale. Ad ogni modo, la Casamance del dopoguerra si accingeva a percorrere secondo gli accordi del ‘contratto’ un percorso ventennale con il Senegal, in cui Senghor si impegnava ad intraprendere un serio sviluppo della regione. Sarebbe stato capace di mantenere la parola data? Sarà questo il filo conduttore dei vent’anni successivi, gli anni di ‘incubazione’ del conflitto. 230 231 PARTE 5 LA CASAMANCE: IL TASSELLO MANCANTE ALL’UNITÀ NAZIONALE 232 *** Nel corso dei capitoli precedenti si è cercato di ripercorrere criticamente la storia della regione, individuando alcuni elementi che potrebbero aver contribuito a provocare la nascita dell’attuale conflitto. Il peso di questo passato ritornerà prepotentemente nel corso di quest’ultima parte che si colloca nel contesto post–indipendenza, quello in cui la nuova classe dirigente dovette affrontare la sfida della creazione di un nuovo stato, il più possibile coeso, unito ed economicamente capace. Ciò che si cercherà di dimostrare è che la Casamance dei primi anni ’80, alla vigilia del conflitto, era una regione emarginata ma anche, paradossalmente, estremamente integrata. È un paradosso che si è sviluppato su più livelli – politico, amministrativo, economico – ma che ha contribuito a fare della regione il “tassello mancante all’unità nazionale”. “L’affaire casamançaise” è nato dunque come un problema di “integrazione” che si è posto in maniera estremamente contraddittoria. Infatti, alla vigilia del conflitto e in parte ancora oggi: – esisteva indubbiamente un problema di integrazione politica: la popolazione non si sentiva debitamente rappresentata nelle istituzioni ed anzi aveva l’impressione di essere “colonizzata” (non solo economicamente) dai “nordisti”; nello stesso tempo però i dirigenti della Casamance erano fin troppo presenti all’interno delle strutture del potere tanto a livello governativo che partitico/sindacale. – Esisteva poi un problema di integrazione amministrativa: l’amministrazione si trova marginalizzata, non trova modalità di comunicazione con la popolazione; da ciò derivano sentimenti di rifiuto e atteggiamenti di “uscita” dalla logica amministrativa con la nascita di associazioni di auto-gestione che si fanno carico proprio di alcune delle sue principali funzioni; contemporaneamente però, proprio la zona principalmente interessata dal conflitto, la Bassa Casamance, è quella in cui l’azione amministrativa è più incisiva e ha il maggiore impatto modernizzante. – Esisteva infine un problema di integrazione economica: le scelte di politica economica hanno marginalizzato e frustrato le potenzialità di sviluppo della regione sebbene il governo e lo stesso MFDC siano d’accordo nel ritenere che la Casamance sia una della più ricche del Senegal. 233 Da queste contraddizioni è nata quella sorta di nazionalismo – incarnato in Casamance dal MFDC – i cui meccanismi di formazione sono stati del tutto simili a quelli mirabilmente decritti da Benedict Anderson e Terence Ranger – Eric Hobsbawm quando parlavano rispettivamente di “Comunità immaginate” e di “Invenzione della tradizione”. In questo capitolo si affronteranno con maggiore cura le contraddizioni politico/amministrative, intimamente legate tra loro. Nel successivo invece si tratterà l’aspetto e i paradossi economici alla base dell’attuale conflitto. *** 234 CAPITOLO 1 L’ “OSSESSIONE” DELLA COSTRUZIONE NAZIONALE Forse un giorno si chiederanno perché mai Tanti esseri umani fossero pronti ad Immolarsi per la propria nazione. Che cosa ci fosse in questa entità che La rendesse degna del sacrificio della propria Unica, irripetibile vita1. 1 LA COSTRUZIONE DELLO STATO INDIPENDENTE Sostenere che l’ “affaire Casamance” sia nato anche in seguito ad un problema di integrazione politica, non deve portare a trascurare il fatto che all’indomani dell’indipendenza tutto il territorio del nuovo stato si trovava a dover far fronte ad un problema di integrazione: la Casamance non costituisce un’eccezione. I nuovi dirigenti erano consapevoli del fatto che gli stati che si trovavano a dover governare erano delle formazioni eterogenee, composte da gruppi di popolazioni spesso assai diversi per tradizioni, lingua o storia e che erano state unite solo dai ritagli coloniali. Una volta ottenuto il controllo su una certa porzione di territorio all’interno di confini cristallizzati, insomma, dopo aver creato uno stato indipendente si trattava ora di mettere in moto dei meccanismi che portassero alla nascita della nazione. È un processo che ha accomunato tutti gli stati che hanno vissuto il momento della decolonizzazione: il Senegal dunque , non restò escluso. La natura dello ‘Stato’ occupò sin da subito un posto centrale nel dibattito politico senegalese all’indomani dell’indipendenza. I problemi erano essenzialmente due: come rendere effettivo il potere dello stato su tutto il territorio; come creare da una molteplicità di entità culturali differenti una nazione coesa. Si trattava quindi di stabilire da un lato l’organigramma istituzionale del nuovo stato, dall’altro il contratto sociale in grado di dar vita ad una nazione unita2. 1 D’ERAMO, Marco. “Chissà se capiranno”, in ANDERSON, Benedict. “Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi”, Manifestolibri, Roma, 1996, p. 7. 2 La questione dello stato nazione è estremamente complicata e spinosa. Per darne un’idea basta sottolineare che non solo era in gioco la stabilità interna ma anche la legittimità internazionale, essenziale per la sopravvivenza delle giovani stati africani. I dirigenti africani, ed in particolare Senghor erano coscienti della specificità africana del problema della costruzione dello stato. Come un’ormai ampia letteratura ha dimostrato, esiste infatti una profonda differenza tra la formazione dello stato nel mondo occidentale – ed in primis in Europa – e in Africa. Nel vecchio continente lo stato nazionale è stato il frutto di una lunga lotta contro le forze centrifughe interne e gli attacchi esterni; le frontiere e le nazioni sono il simbolo del compromesso raggiunto dopo decenni di lotte. In Africa, la formazione dello stato ha seguito ben altri percorsi, come l’esempio senegalese ha mostrato. Se semplificando un po’, si potrebbe affermare che in Europa è nata prima una nazione e poi la “frontiera” in Africa il processo è stato esattamente inverso: prima è nata la frontiera poi si è lavorato affinché ci fosse una nazione. In Europa lo stato si è legittimato attraverso la nazione, il popolo, in Africa attraverso la frontiera. Non è un caso che nel 1963, l’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) stabilisse la rigidità delle frontiere ereditate dal colonialismo. Per un 235 Come lo stato senegalese ha risolto questi due problemi? Perché la strategia usata dai dirigenti della prima ora, ha dato vita alla tanto osannata “success story”1 o alla “senegalese exception”2 nella maggior parte del territorio e ha invece creato una “fissure dans l’unité nationale”3 in Casamance? Sarà l’argomento trattato nei prossimi paragrafi. 1.1 LE NUOVE STRUTTUTE Il punto di partenza ovvio nella costruzione dello stato è stata la predisposizione di una costituzione. La prima costituzione del Senegal venne approvata dall’Assemblea Costituente il 26 agosto 1960, meno di una settimana dopo lo scioglimento della Federazione del Mali. Il nuovo stato indipendente venne così dotato di una struttura parlamentare monocamerale e da un esecutivo bicefalo4. Tuttavia, le vicende che caratterizzarono i primi mesi di vita della repubblica mostrarono che la mera impalcatura istituzionale non poteva bastare a garantire una duratura stabilità politica. La nuova architettura non sopravvisse alla prima grave crisi istituzionale tra Senghor, presidente della Repubblica e Mamadou Dia, capo del governo, che scosse il Senegal verso la fine del 19625. Nei mesi successivi all’indipendenza si venne progressivamente a delineare un divario tra le strategie politiche ed economiche che i due leader del PS ritenevano necessarie per lo sviluppo del Senegal: Dia puntava sul socialismo in senso stretto, con l’introduzione di una riforma agricola basata sulle cooperative e la proprietà collettiva della terra, il progressivo allontanamento delle ingerenze troppo forti dei capitali e interessi stranieri e soprattutto dell’ex madrepatria; in ambito politico, privilegiava i rapporti politici fra partiti a discapito dei processi decisionali istituzionali. L’approccio di Senghor era diametralmente opposto: non intendeva intraprendere riforme troppo radicali in senso socialista, non intendeva soprattutto rompere i rapporti con la Francia ed era essenzialmente un costituzionalista. Posizioni così divergenti non potevano non portare ad una rottura. In un paese come la giovane democrazia senegalese questa rottura portò quasi ad un colpo di stato i cui risvolti sarebbero potuti essere davvero drammatici. Come avrebbe reagito il paese ad approfondimento: DURAND, Bernard. « Histoire comparative des institutions», Nouvelles éditions Africaines, Dakar, 1983. O’BRIEN, D. C. “Le sens de l’état au Sénégal”, in DIOP, M.C. “Le Sénégal comtemporain”, op. cit. BERNAN B., LONSDALE J., “Unhappy valley”, James Currey, Londra, 1992. HELD D., “The development of the modern states”, in HALL S. & GIEBEN B., “Formation of modernity”, Polity Press, Cambridge, 1992. CLAPHAM C., “African and the international system”, CUP, Cambridge, 1996. JACKSON R., “Quasi – States: Sovereignty, international relations and the Third World”, CUP, Cambridge, 1990. MAMDANI M., “Citizen and subject”, Princeton University Press, Princeton, 1996. 1 CRUISE O’BRIEN, Donald. “Senegal”, cit. da CRUISE O’BRIEN, D. DIOUF, Mamadou. “La réussite politique du contrat social sénégalais”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 9. 2 CRUISE O’BRIEN, Donald. “The Senegalese exception”, Africa, 66, 3, 1996, pp. 458–464. 3 DIOUF, Makhtar. “Senegal. Les ethnies et la nation“, UNRISD/Forum du Tiers Monde, L’Harmattan, Paris, 1994. 4 Hesserling nella sua analisi parla di una “manifesta accettazione” del diritto francese con alcune importanti variazioni prese dal diritto tedesco, italiano e marocchino. HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., pp. 189–221. 5 LO, Magatte. “L’heure du choix”, L’Harmattan, Parigi, 1987. DIA, Mamadou. “Memoires d’un militant du Tiers Monde”, Publisud, Parigi, 1985. 236 un’altra eventuale crisi? Il rischio di una spaccatura insanabile o di una guerra civile non era poi così improbabili. Subito dopo l’affaire Dia, Senghor si rese conto innanzitutto della necessità di rimaneggiare immediatamente l’organigramma istituzionale. Il modello parlamentare si era rivelato inadeguato per una nazione così giovane; era necessario un centro più forte e la costituzione venne cambiata in senso presidenziale, abolendo la carica di primo ministro. In questo modo iniziava quello che viene indicato come il periodo “presidenziale” che resisterà fino al 1976 nonostante i vari rimaneggiamenti costituzionali. Come Hesserling osserva: Senghor aveva scoperto con l’esperienza che il potere esecutivo bicefalo istituito con la costituzione del 1960 non funzionale in maniera soddisfacente. “A dire il vero, le strutture del nostro stato, la nostra costituzione sono più responsabili di questa vicenda dolorosa del carattere degli uomini”. Ormai c’era posto per un solo caimano nelle acque senegalesi, e questo occupò tutto lo spazio!1 Iniziò così la “seconda repubblica” senegalese. La strategia di Senghor – almeno fino al ’67 – fu dal punto di vista politico quella di centralizzare il potere, promuovere una formazione politica di “solidarietà nazionale” all’interno della quale confluissero tutte le forze politiche presenti. Gli obiettivi erano molteplici: ridare credibilità alle istituzioni centrali dello stato così duramente scosse dalla crisi Senghor–Dia; creare un “sistema di integrazione politica”2 che riducesse al minimo le opposizioni e promuovesse una sorta di “pax senegalese”, avviare una programma di sviluppo economico. In sintesi, Senghor sapeva che doveva promuovere la costruzione della “nazione senegalese”3. Come fare? Come promuovere l’integrazione politica delle varie componenti della società? Dal punto di vista costituzionale, Senghor si garantì di fatto la supremazia e il controllo su tutto l’organigramma istituzionale4. Ma l’esperienza aveva insegnato che questo non poteva bastare. Era necessario un collante che fornisse una fonte di legittimità duratura all’apparato statale. 1.2 NUOVE STRUTTURE PER VECCHIE STRATEGIE L’ovvia soluzione del problema della legittimità era utilizzare quella che era stata per lungo tempo la strategia coloniale francese e, negli anni precedenti l’indipendenza, anche quella dei politici africani: l’utilizzo delle confraternite, le uniche in grado di garantire 1 HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit., p. 237. DIOP, Momar Coumba – Diouf, Mamadou. “Le Sénégal sous Abdou Diouf. Etat et société”, Karthala, Parigi, 1990. 3 Da notare che è un problema che quasi tutti gli stati africani hanno dovuto affrontare. Le modalità sono state varie così come varie sono stati gli esiti: si va dalla “success story” del Senegal (Fatton, 1975), agli “stati falliti” come la Nigeria. 4 Senghor fu comunque sempre molto attento nel dare un peso importante e sostanziale alla costituzione e alle leggi dello stato: principi come la separazione dei poteri, la garanzia della proprietà privata, la presenza delle opposizioni venne garantita (almeno fino al ’67). Nei fatti è da notare che almeno fino all’apertura democratica il Senegal venne governato da un sistema politico molto centralizzato e a partito unico. L’atteggiamento di Senghor è da ritenersi importante ed ha sicuramente contribuito a creare una cultura politica che ha fatto del Senegal degli ultimi anni la “vetrina democratica” dell’Africa. 2 237 una base stabile su cui creare l’unità nazionale, garantire la pace sociale oltre che il funzionamento delle nuove strutture politico–amministrative. Nei capitoli precedenti si è descritto il modo in cui venne creata una pax francese su gran parte del territorio senegalese basata essenzialmente sull’alleanza stato– confraternite sufi. Sinteticamente possiamo rilevare i seguenti caratteri: 1. lo stato coloniale aveva bisogno di: a. una fonte di legittimità b. pagamento dell’imposta c. produzione di arachidi e altri prodotti per economia di tratta 2. le confraternite potevano offrire: a. una fonte di legittimità: l’islam b. il pagamento dell’imposta o supporto elettorale: grazie al rapporto marabutto–discepolo il fedele obbediva all’ordine (ndigel) del suo cheick anche per le questioni materiali o il rapporto con lo stato. c. manodopera (spesso gratuita): l’attività principale era la produzione di arachidi. 3. lo stato coloniale in cambio: a. non interferiva nelle questioni religiose ed anzi favoriva le confraternite alleate b. concedeva sovvenzioni o altri beni poi ripartiti in parte anche tra i fedeli c. costituiva un canale d’accesso per funzioni di tipo amministrativo: traduttori, insegnanti, soldati, altri funzionari.1 La strategia seguita dai francesi si articolava quindi su più livelli: – Politico: per la legittimità, l’ appoggio elettorale. – Amministrativo: per le imposte, il reclutamento, le reti di comunicazione centro– brousse. – Economico: per l’economia di tratta, la produzione arachidiera Curiosamente, questa stessa strategia, venne utilizzata anche dai primi politici africani: – – – piano politico: si pensi ai finanziamenti a partiti, a quanto è già stato detto sull’elezione di Blaise Diagne, come Senghor sia riuscito a spuntarla su Lamine Gueye nelle elezioni del 1951 grazie sempre all’appoggio delle confraternite ed infine al “si dei marabutti” al referendum del 19582. Piano amministrativo: la “strategia di guerra” di Blaise Diagne non avrebbe certamente avuto successo senza l’avvallo delle confraternite che garantirono un costante afflusso di nuove reclute; non fu un caso che durante la sua visita nella colonia nel 1917, egli cercò nelle varie tappe proprio l’incontro con i rappresentanti musulmani3 Piano economico: per il sostentamento economico e alimentare dell’intera colonia durante le due guerre mondiali. In sintesi, se lo stato coloniale era riuscito a risolvere tanto bene il problema della legittimità attraverso le confraternite, perché lo stato indipendente non poteva usare lo 1 Vedere parte 3, capitoli 2 e 3. Vedere parte 4, capitolo 1.2.2, 3.1 e 3.3. 3 Vedere parte 4, capitolo 1.2. 2 238 stesso metodo? Quanto detto poc’anzi sulla natura dello stato coloniale potrebbe esser ripreso fedelmente per parlare dello stato post–coloniale, su tutti i tre livelli proposti. Su queste basi si venne a creare quel “modello islamo–wolof” proposto da Momar Coumba Diop e Mamadou Diouf, che ha dato vita a quello che Cruise O’Brien ha definito “il contratto sociale senegalese”1. Il modello islamo–wolof, si rivela così un modello onnicomprensivo. Infatti Diop e Diouf lo concepiscono come una modalità centrale nella costruzione dello stato post–coloniale, il prodotto di un groviglio complesso di relazioni politiche, economiche, culturali e sociali tra lo stato e le confraternite. Questa modalità copre quasi totalmente il campo sociale e assicura, per di più, una egemonia wolof nell’ordine ideologico del discorso e nelle pratiche nello spazio pubblico2. Nei paragrafi che seguono ci si soffermerà maggiormente sui livelli politico e amministrativo e le contraddizioni che hanno generato in Casamance, lasciando al prossimo capitolo le implicazioni economiche di questo modello. 2 REPUBBLICA DEL SENEGAL: “UN PEUPLE, UN BUT, UNE FOI” 2.1 “IL MODELLO ISLAMO WOLOF” E LA “PAX SENEGALESE”. Credo sia corretto affermare che a livello politico il “modello islamo–wolof” si sia concretizzato prevalentemente da alleanze elettorali e pratiche clientelari. È evidente che questi due elementi sono intimamente connessi, ma è utile trattarli qui separatamente per cogliere meglio i loro meccanismi e soprattutto per capire perché essi non potevano funzionare in Casamance. Come già osservato la crisi del ’62 aveva dimostrato che nella giovane repubblica non c’era posto per una pluralità di voci: la costruzione nazionale aveva bisogno di una sola voce, quella di Senghor. La revisione costituzionale del ’63 centralizzò il potere intorno alla sua persona, e benché almeno formalmente le strutture democratico–costituzionali rimanessero in piedi, nei fatti il periodo che va dal 1963 al 1974–76 è stato caratterizzato dalla formazione di un partito unico. Il capo della repubblica però non parlava di “partito unico” bensì di “partito unificato”: egli infatti sottolineava che il Senegal di quegli anni aveva bisogno di opposizioni […] che esprimessero delle critiche costruttive e che cercassero di raggiungere lo stesso obiettivo del partito al potere, ovvero impedire che i diversi gruppi sociali si cristallizzassero in classi destinate a combattersi3. Ecco quindi che la lotta delle opposizioni si svolse non solo con tutta una serie di restrizioni alle libertà politiche e civili, ma soprattutto con una continua opera di 1 Sulle origini del “contratto sociale senegalese” e sulla “piccola crepa” costituita dalla Casamance già in epoca coloniale vedere quanto è già stato scritto nella parte 3, capitolo 1.1. 2 CRUISE O’BRIEN, Donald. DIOP, Mamadou. “La réussite politique du contrat social sénégalais”, in l'état au Sénégal", op. cit., p. 9. 3 HESSERLING, Gerti. “Histoire politique du Sénégal”, op. cit, pp. 256–257. 239 ‘cooptazione’ e di alleanza con le opposizioni stesse nel partito al governo. Il PRA1 che aveva molti sostenitori in Casamance e parte del BMS2 erano stati inglobati all’interno del UPS3: in cambio della loro estinzione i loro principali leader avevano ottenuto dei portafogli ministeriali o altre cariche importanti. Gli altri partiti che rifiutavano di “allinearsi” al governo vennero progressivamente messi fuori legge4. La stessa strategia di ‘cooptazione forzata’ venne realizzata anche in altri ambiti: quello sindacale con la creazione di una centrale unica connessa col partito; a livello economico, con l’avvio del “movimento cooperativo” e dell’ ‘animation rurale’. Tutto questo fu possibile anche grazie all’utilizzo del ‘ndigel’ dei capi delle confraternite e delle pratiche clientelari molto diffuse all’interno della società wolof e accresciutesi in particolare con la diffusione della Muridyya. Il ‘ndigel’ è un ‘consiglio’ elettorale che il capo delle confraternite usa dare ai suoi discepoli per guidarli verso un… buon uso del loro voto. Più che un consiglio in realtà si trasforma in un vero e proprio ordine: il taalibé (discepolo) degli anni ‘60/’70 difficilmente avrebbe disatteso il ‘ndigel’ del suo ‘santo’. Uno degli esempi più significativi della forza politica dei ‘ndigel’ credo si possa rilevare durante la crisi che il Senegal attraversò nel ’68. Anche in Senegal, in un contesto di restrizioni delle libertà civili e politiche, di profonda crisi economica aggravata dalla carestia, lo scontento sociale si espresse con scioperi e violenti manifestazioni soprattutto di giovani e sindacati che letteralmente bloccarono e misero in ginocchio il paese. In questo clima: […] la UPS nella persona di Senghor chiede e ottiene la piena solidarietà di tutti i Khalifa. Lo stesso Falilou pronuncia un durissimo discorso in favore di Senghor, ordinando a tutti i propri fedeli di riprendere il lavoro. L’effetto è immediato: come per incanto lo sciopero rientra e la protesta sindacale svanisce5. Il potere delle confraternite a livello politico si rivela indubbiamente importante. Non è un caso che lo stesso Senghor, il ministro dell’interno o gli uomini politici più rilevanti andassero ogni anno a Touba per il Magal6 ad esprimere la propria “gratitudine” all’ordine religioso e sociale che rappresenta il muridismo i cui «principi sono stati esattamente quelli che il governo ha fatto propri, per lo sviluppo armonioso del paese»7. La consuetudine del ‘ndigel’8 era strettamente legata all’uso soprattutto nella società wolof di pratiche clientelari. Tali pratiche, presenti già in epoca pre-islamica, si sono 1 Partie du Regroupement Africaine. Bloc des Masses Sénégalaises. 3 Union Progressiste Sénégalaise. Vedere parte IV, capitolo 3.3. 4 Tra questi il Front National Sénégalais (FNS) di Cheikh Anta Diop. 5 PIGA, Adriana. “L’islam in africa. Sufismo e jihad fra storia e antropologia”, Bollati Beringhieri Editore, 2003, p 265. 6 Ogni anno a Touba la capitale dei Murid si celebra il pellegrinaggio in onore del proprio fondatore. 7 Breve passo di un discorso di Falilou M’Backé, khalifa dal 1945 al 1969, citato da SY, C. Tidiane, “La confrérie sénégalaise des mourides”, op. cit., p. 222. 8 Questa consuetudine politica è venuta meno solo nel 1993 quando il capo della confraternita si è rifiutato di dare il suo ‘consiglio’ ai fedeli, lasciandoli liberi di decidere autonomamente come comportarsi alle urne. Nel 1988 infatti ci furono reazioni violente al ‘ndigel’ preelettorale: i fedeli iniziavano a non tollerare più le ingerenze politiche della confraternita. Venne posta un distinzione tra il ndigel religioso, sempre rigorosamente seguito e quello politico non più accettato. Vedere CRUISE O’BRIEN, “Le sens de l’état au Sénégal ” in DIOP, 2 240 intensificate successivamente. Il njébbel, l’atto di sottomissione del discepolo alla sua guida spirituale, può essere considerato come il risultato di un movimento sincretico, derivante dall’incontro dei costumi sociali pre-islamici e l’islam stesso. Il njébbel ha un ruolo molto importante nell’incentivare le pratiche clientelari: il discepolo infatti promette un’obbedienza totale al proprio marabutto sia “in questo mondo che al di là” come recita la formula di sottomissione. Ecco quindi che In questo contesto, le confraternite senegalesi hanno offerto un legame efficace tra lo stato e la società. All’origine di questo contratto c’è la fiducia del discepolo nella sua guida spirituale. Il taalibé ha molta più fiducia nel suo marabutto che nel governo ed è pronto a lasciare agli uomini di religione la preoccupazione di occuparsi delle relazioni con il governo. In cambio, i marabutti fanno beneficiare il governo della lealtà dei discepoli, promettendogli un minimo di obbedienza, il pagamento dell’imposta, alcune prestazioni lavorative e – sempre più importante dopo l’indipendenza – le schede elettorali alle elezioni nazionali. Il governo ricompensa allora il marabutto con diverse forme di patrocinio ufficiale, concedendo loro delle risorse materiali, di cui una parte viene poi in parte ripartita tra i discepoli (o solo alcuni tra essi)1. Il discepolo sa che può rivolgersi alla sua guida tanto per le questioni spirituali che per quelle più materiali (la terra, il lavoro ecc.). I principali capi delle confraternite del nord – Muridiyya in testa – diventano così una sorta di ‘grandi elettori’ a cui i politici si devono necessariamente rivolgere. Non è un caso che Touba, la città santa dei murid si sia trasformata nel giro di pochi decenni da piccolo villaggio nel cuore di una zona arida a seconda città del Senegal per numero di abitanti: il governo ha finanziato la costruzione della moschea, una della più grandi e belle di tutta l’Africa sub–sahariana, l’ha dotata delle principali infrastrutture e ne ha promosso anche, recentemente, lo status di extraterritorialità. In questo modo, lo stato senghoriano è diventato quello che Momar Coumba Diop ha chiamato “stato provvidenza”: basato essenzialmente sulla negoziazione e l’acquisto di alleanze, che può essere qualificato “mercenario”. È organizzato attorno a pratiche neo– patrimoniali in contraddizione con le esigenze di sviluppo economico e sociale.[…]. Le pratiche politiche introdotte dal neo–patrimonialismo hanno favorito la costituzione, il consolidamento e l’arricchimento di gruppi e reti in grado di mercanteggiare la loro partecipazione all’ordine sociale e politico. Queste reti e i loro amministratori parassitari e clientelisti, hanno tratto largamente profitto dall’estensione e centralità dello stato.2 Sebbene Diop si scagli sugli indubbi aspetti negativi di queste pratiche sullo sviluppo economico del paese, è altrettanto indubbio che la politique politicienne come anche Senghor la chiamava, abbia avuto anche dei risvolti positivi, nel senso che è stata capace, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 504 e CRUISE O’BRIEN , Donald. “Les négociations du contrat social sénégalais” in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, MomarCoumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 92. 1 CRUISE O’BRIEN, Donald. “Les négotiations du contrat social sénégalais”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., pp. 83–84. 2 DIOP, Momar Coumba – DIOUF, Mamadou. “Le Sénégal sous Abdou Diouf. Etat et société”, op. cit., pp. 8–9. 241 col tempo, di far si che il sentimento nazionale si radicasse all’interno della società senegalese. Come Cruise O’Brien sottolinea infatti: il Senegal non è uno stato forte nel senso occidentale del termine ma nemmeno un “quasi–stato”dove la facciata giuridica dello stato nasconde il vuoto delle relazioni tra la società in questione. Grazie all’islam sufi, esiste una cultura religiosa condivisa dalla maggior parte dei cittadini, una cultura popolare che ha accettato lo stato come arbitro […]. Grazie alla cultura wolof, dominante al nord e ad ovest, ma anche in tutte le principali città del paese, con una capacità linguistica in espansione, il Senegal dispone di una lingua parlata popolare, [il wolof] comprensibile dalla maggior parte dei cittadini. […]. Da tali tendenze deriva che una nazione senegalese si sta formando, non solo dall’azione del centro politico, dell’élite nazionale, ma anche da una serie di iniziative popolari […]. E perché uno stato si radichi la costituzione progressiva di una nazione è della più grande importanza. Dal periodo coloniale, lo stato senegalese si radica e la nazione si forma.1 Il modello islamo–wolof sembra quindi aver prodotto o messo in moto i meccanismi della costruzione nazionale, obiettivo principale sei primi dirigenti dell’indipendenza. È il modello che ha permesso il successo dello stato senegalese e ne ha fatto un esempio per tutto il continente. Per concludere la spiegazione di questo modello manca ancora un elemento; si è già parlato di ‘islam’: manca ancora un accenno alla ‘cultura wolof’, elementi anche questi, strettamente connessi. I wolof che risiedono principalmente nel Baol, Djolof, Kayor (nord-ovest) del Senegal sono stati favoriti sin dall’epoca coloniale: è nel loro territorio che si sono sviluppati i primi insediamenti coloniali e i ‘Commumes’; è principalmente con i wolof che i francesi hanno progressivamente organizzato la produzione arachidiero; è all’interno della popolazione wolof che è nata e si è diffusa la Muridyya con le sue reti clientelari. Ancora, sono stati wolof o altre popolazioni del nord ad essi affini che sono stati impiegati dall’amministrazione comunale come funzionari, commercianti ecc. accrescendo progressivamente il loro ruolo sia all’interno delle istituzioni che nell’economia. Tutto ciò ha ovviamente avuto i suo riflessi dopo l’indipendenza. Non è un caso che si parli di “wolofizzazione” ancora largamente in corso, con cui si intende la diffusione tanto della lingua wolof a e l’accrescimento della stessa popolazione, 1 CRUISE O’BRIEN, “Le sens de l’état au Sénégal ” in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 505. Al di la delle differenze, la posizione di O’Brien è supportata anche dalle analisi di autori diversi. Vedere al riguardo FATTON, Robert Jr. "Clientelism and patronage in Senegal", African Studies Review, 1986. 29 (4): pp. 61-78. Fatton, Robert Jr. "The Making of a liberal democracy. Senegal's passive revolution, 1975-1985", Lynne Rienner Publishers, 1987. BECK, Linda. “Le clientélisme au Sénégal: un adieu sans regrets?” in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. "La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 84. Per il concetto di “quasi stato” vedere in particolare JACKSON R., “Quasi – States: Sovereignty, international relations and the Third World”, Cup, Cambridge, 1990. JACKSON R., “Judicial statehood in Sub-Saharan Africa”, Judicial Of International Affairs, 1992. BERMAN B., “Ethnicity, patronage and the African State: the politics of uncivil nationalism”, African Affairs, 1998. JACKSON R. & ROSBERG C. “Sovereignty and Underdevelopment: Judicial Statehood in the African Crisis”, in Journal Of Modern African Affairs, 1986. 242 soprattutto grazie alla migrazione, all’urbanizzazione e ai matrimoni misti. Il wolof è ormai la lingua veicolare, che tutti in Senegal parlano o perlomeno capiscono1. Per concludere, il modello islamo–wolof è quello che è stata la strategia usata per raggiungere la pace sociale e creare un “contratto sociale senegalese” sulla cui base costruire come dice il motto della repubblica: “Un Peuple, un But, une Foi”. Traduce il nostro comune volere una vita in comune, ovvero la nostra volontà (une Foi) di unità (un Peuple) per la Costruzione Nazionale (un But)2. Questo modello ha avuto successo nell’integrare anche altre popolazioni non–wolof, come i tukolor, i serere ecc. Tuttavia, altre regioni più marginali come la Casamance, la regione del ‘Fleuve’ e il Senegal Orientale, avrebbero costituito una ‘crepa’ nel contratto senegalese. 2.2 L’ANOMALIA: IL PATTO SOCIALE DELLA CASAMANCE Il modello d’integrazione islamo–wolof aveva un punto debole: poteva funzionare anche in presenza di un islam diverso da quello della Muridyya o all’interno di altri sistemi culturali che non fossero quello wolof? Tale modello infatti è in definitiva un prodotto sincretico, meglio un “modus vivendi”, risultato di una lunga serie di rapporti non sempre rosei tra una cultura ‘tradizionale’, quella wolof e il mondo esterno ‘modernizzante’, sia che esso si presentasse come islam, come stato o come economia basata sull’arachide. Altre società all’interno dello spazio senegalese hanno trovato il loro durate il periodo coloniale: si ricordi quanto è già stato detto a proposito dei principali popoli della Casamance3. Tuttavia, coloro che non condividevano quello stesso modello sociale, religioso ed economico su cui il contratto senegalese si è fondato, si sono trovati necessariamente emarginati. Così: La logica di dominazione dello stato, privilegiando il controllo delle popolazioni wolof sia attraverso le confraternite, sia attraverso la predisposizione di strumenti di sviluppo facenti leva soprattutto sulla logica dell’economia arachidiero a discapito delle altre logiche economiche, ha volontariamente marginalizzato la Casamance. Questa marginalizzazione non è un incidente storico, ma deriva da una scelta politica4. 1 È da sottolineare il fatto che la costituzione riconosce cinque lingue ufficiali, su un piano di parità: wolof, mande, fula, diola e serere. Sulla “wolofizzazione” vedere in particolare CRUISE O’BRIEN, Donald. “Langue et nationalité au Sénégal. L’enjeu politique de la wolofisation”, Anné Africaine 1979, Pedone, Paris, 1979, pp. 319–335. Sul processo di wolofizzazione in Casamance vedere invece JUILLARD, Caroline. “Demain, Ziguinchor, ville plurielle? Indices de la wolofisation en cours” e Moreau, Marie–Louise. “Demain, la Casamance trilingue? Valeurs associés au diola, au français et au wolof” in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 401–428. 2 www.gouv.sn. Insieme alla bandiera, allo scudo e all’inno nazionale, questo motto rappresenta la Repubblica del Senegal. 3 Vedere parte 3 capitolo 3.3 e 3.4. 4 DIOP, Momar Coumba – DIOUF, Mamadou. “Le Sénégal sous Abdou Diouf. Etat et société”, op. cit., pp. 47. 243 La Casamance ha sempre avuto sin dall’epoca coloniale “meno da offrire” agli amministratori di turno. Dal punto di vista religioso e politico, l’islam era diverso da quello del nord. Nessuna delle confraternite propriamente senegalesi era presente, mentre è principalmente diffusa la Quadiriyya che ha il suo centro in Mauritania. Inoltre, i centri islamici non sono mai stati gestiti in maniera gerarchizzata, con un capo a cui tutti facevano riferimento1. In questa regione quindi, l’islam sufi aveva certamente meno da offrire allo stato rispetto al nord. L’appoggio che essi potevano apportare era certamente più debole: in queste zone, per esempio, i fedeli rifiutarono sempre i ndigel di tipo politico: Salvo eccezioni (ma lì si tratta di marabutti nordisti) i capi religiosi casamancesi non sono delle persone venerate: tutti concordano nel dire che li si rispetta, che li si ascolta, ma che non ci si prostra davanti a loro. In Casamance, il ‘ndigel’ è fuori discussione […]. La religione è percepita come un affare individuale, che non deve influire sulla sfera pubblica.2 A ciò va aggiunto che ancora oggi la Casamance, sebbene islamizzata all’ 86%, presenta le percentuali più alte di animisti e cristiani. Ancora, dal punto di vista economico le confraternite non potevano essere usate come al nord come bacino i manodopera a basso costo se non gratuita da impiegare nella produzione arachidiera. In Casamance, questa coltura non è autoctona ed è stata introdotta solo durante il periodo coloniale: in generale ha riscosso meno successo soprattutto per le popolazioni guineane con tradizioni risicole. Infine, da un punto di vista istituzionale, solo i fulani e, su scala minore, i mande potevano vantare una tradizione statale centralizzata. Diola, Balant, ecc erano società segmentarie in cui i concetti di autorità e stato erano completamente assenti3. I dirigenti dell’indipendenza erano a conoscenza di queste specificità e hanno utilizzato due strumenti per evitare il rischio di un’opposizione regionalista, possibile anche a causa della lontananza geografica della regione: la cooptazione dei principali rappresentanti politici e quello che Lambert chiama “patto sociale” tra la Casamance (ed in particolare la zona più occidentale) e lo stato senegalese. È già stato osservato che i diola hanno risposto alle sfide coloniali con una strategia orinale, basata sull’istruzione e la migrazione. Questo ha fatto si che da un lato si creasse una ristretta classe di ‘évolues’ che ha prodotto i primi dirigenti politici autoctoni; dall’altra ha permesso a molti giovani della Bassa Casamance di puntare soprattutto alle funzioni pubbliche nel loro percorso lavorativo4. Ma andiamo con ordine. Nella parte precedente, si è dato uno spaccato dello scenario politico della Casamance alla vigilia dell’indipendenza5. Ora, l’MFDC di Emile Badiane e Ibou Diallo venne inglobato all’interno del partito di Senghor già nel 1954; il MAC di Assane Seck che continuò l’opposizione nella regione venne a sua volta cooptato nel 1956; nel 1958 lo stesso Assane Seck si dimise dalla carica di ministro e con altri 1 Vedere parte 3, capitolo 3.1. MARUT, Jean–Claude. “Les particularismes au risque de l’Islam dans le conflit casamançais”, L’Afrique Politique, Karthala, 2002, p. 152. 3 Vedere parte 1. 4 Vedere parte 3.4. 5 Vedere parte 4, capitolo 3. 2 244 dirigenti fondò il PRA–Senegal che ottenne proprio in Casamance gran parte del suo sostegno. Resisterà fino al 1966 quando si unirà all’UPS di Senghor, portando con se tutti i suoi alleati. Da allora e fino alla ‘rinascita’ del MFDC, la Casamance non avrà un partito particolare a rappresentarla: del resto i partiti su base etnica o regionalista erano espressamente vietati dalla costituzione. Tuttavia, i dirigenti appartenenti ai partiti disciolti vennero efficacemente integrati all’interno dell’apparato istituzionale, dove iniziarono a ricoprire cariche importanti tanto a livello ministeriale che partitico. Darbon offre dei dati importanti al riguardo: Assane Seck è stato un ministro inamovibile fino al 1983. “La Casamance è sempre stata rappresentata a livello governativo, così come all’interno dell’Assemblea Nazionale ( 19 deputati e 4 presidenze di commessione nel 1983) e a livello delle strutture del Partito socialista”. Ancora, all’interno del PS, “nell’aprile del 1982, erano membri dell’ufficio politico del partito socialista in ordine di importanza: M.A. Badiane (segretario politico aggiunto), A. Seck (segretario amministrativo), J. Mathian (segretario delle relazioni interrazziali), O. Seydi (tesoriere generale). Queste posizioni all’interno del partito sono particolarmente rinforzate da alcuni ruoli con un impatto determinante, come quello di redattore capo del giornale del PS, L’Unità, occupato da J. Mathiam”1. Vincent Foucher e Michael Lambert hanno poi mostrato il ruolo e l’impatto che l’istruzione ha avuto in Bassa Casamance. Qui la scolarizzazione e la migrazione hanno permesso a molti giovani, soprattutto diola, di puntare in ambito lavorativo a funzioni all’interno dell’amministrazione pubblica, sebbene nelle categorie più basse (C, D ed E)2. Ecco quindi che nella stessa Dakar, la percentuale di militari o maestri provenienti dalla Bassa Casamance era, in proporzione, superiore alla media. I dati che riporta Foucher rendono un’idea di tali proporzioni: il censimento di Dakar del 1955, che precisa la distribuzione professionale dei differenti gruppi atnici a Dakar, indica così che se solo il 5% degli originari della Bassa Casamance residenti di sesso maschile erano impiegati come manovali non qualificati (per una media del 12% della popolazione maschile africana residente), 12% di essi erano impiegati come poliziotti (contro una media del 4% […])3. E ancora, questo stato di cose non era cambiato nel 1977: Foucher è riuscito a calcolare che tra tutti coloro che avevano partecipato ai concorsi pubblici interni ed esterni i diola erano almeno 383, cioè il 9,2% del totale. Ricordiamo che, secondo il censimento del 1988, i diola rappresentavano il 5,3% della popolazione – la sovra–rappresentazione è netta4. Insomma, i diola erano riusciti a trovare la loro ‘strada’ all’interno del nuovo ordine politico/sociale. Il ruolo degli évolués divenne importante all’interno dei villaggi e 1 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 131–134. La Bassa Casamance ha sempre avuto tassi di scolarizzazione piuttosto elevati soprattutto a livello elementare. Accedere agli studi superiori, con cui si poteva accedere anche alle categorie più alte dell’amministrazione, era certamente più difficoltoso perché, soprattutto negli anni ’60, era necessario recarsi a Dakar per ottenere un’istruzione superiore, fosse anche solo quella liceale. 3 FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolues’, la migration”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 380. 4 IBIDEM, p.387. 2 245 incentivò comportamenti imitativi: il prestigio e la certa agiatezza che circondava gli évolués di prima generazione fece cadere presto anche le reticenze degli anziani più tradizionalisti e interi villaggi investirono nell’istruzione di almeno una parte dei giovani1. Lo stato senegalese riuscì quindi, perlomeno fino alla fine degli anni ’60 a venire a patti con la Casamance, in particolare con la parte più emarginata e più difficile da gestire vista la diversità delle società presenti: la Bassa Casamance. Tuttavia, il “patto implicito” di cui parla Lambert non poteva sopravvivere alla grave crisi economica che lo stato senegalese ha attraversato a partire dagli anni ’70. 2.3 LA CRISI DEL PATTO SOCIALE: I “CASAMANQUÉS” E IL FALLIMENTO DEGLI ‘ÉVOLUÉS’ Gli anni a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 furono estremamente duri anche per il Senegal. Si è gia fatto riferimento al fatto che il ’68 fu caratterizzato da scioperi e manifestazioni. Quelli in realtà, furono gli anni in cui divenne chiaro che la crescita economica e lo sviluppo tanto decantati dal governo erano lungi dall’essere in atto; per di più il lungo periodo di carestia, le crisi petrolifere ecc. avevano messo il paese quasi in ginocchio anche da un punto di vista finanziario. L’apparato di governo di rese conto che era venuto il momento di iniziare ad ‘economizzare’ a fare dei tagli alle spese: per esempio, iniziando a frenare il continuo aumento dei funzionari pubblici e il fiorire di organi parastatali. Questo significò in realtà, rompere quel patto sociale, largamente implicito, con cui la gioventù della Bassa Casamance era riuscita a trovare un modus vivendi con lo stato. Improvvisamente, le giovani reclute che avevano fatto i loro studi a Dakar e si preparavano a trovare la loro occupazione all’interno dell’amministrazione si trovarono la strada sbarrata. La maggior parte di loro andrà ad alimentare la massa di giovani disoccupati istruiti. La loro frustrazione per un stato che li ha traditi andrà a costituire la base sociale del movimento sociale della fine degli anni ’70, di cui l’MFDC è il risultato finale2. Dall’altro lato, sempre nello stesso periodo avvenne anche un altro meccanismo. I pochi giovani istruiti che riuscivano a trovare un varco nell’amministrazione o nella politica, iniziarono ad avere sempre meno contatti con la popolazione che erano spesso chiamati a rappresentare. Tanto che lo stesso Abbé Diamacoune arrivò a definirli “Casamanqués”, come dire “casamancesi mancati”. 1 2 I ragazzi vennero mandati anche a Dakar per seguire gli studi superiori. Ciò diede vita ad un movimento migratorio importante, che ha modificato profondamente la società della Bassa Casamance. per un approfondimento vedere in particolare la triste storia di ‘Adèle’ riportata da ALBERT –BARBIER, Brigitte. “Le cœur. L’histoire d’Adèle D.” in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance: chronique d’une intégration contrastée”, Karthala, Paris , 1994, pp. 27–45. LAMBERT, Michael. “La marginalisation économique des communautés dioola à la fin du XX siècle”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 355–373. LINARES, Olga F. “Power, Prayer and production: the jola of Casamance, Senegal”, op. cit., pp. 211–222. LINARES, Olga F. “Going to the city… and coming back?”, Africa, 2003, 73 (1): pp. 113-136. È utile e curioso leggere, a proposito dei giovani della Casamance, un’analisi comparativa condotta da Barbier–Wiesser e Preira, sulla base di una serie di interviste fatte nel ’69 e nel ’92 ad un gruppo di giovani che frequentavano un liceo a Ziguinchor. Oggetto dell’intervista era sapere come vedevano il proprio avvenire questi ragazzi. BARBIER–WIESSER, PREIRA, J. “Demani, les jeunes? Comparaison de deux générations d’élèves face à leur avenir”, in BARBIER– WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 321–335. 246 È facile, da quanto detto finora, cogliere il paradosso: com’è possibile che la Casamance (ed in particolare la popolazione diola), che più di tutte ha dimostrato di essersi inserita nello stato come piccoli funzionari ma, soprattutto come politici coprendo le più alte cariche ministeriali, si sia trovata negli anni ’80 a rifiutare questa appartenenza, rinnegando i propri stessi rappresentanti? Com’è possibile che i casamancesi non si sentissero rappresentati se i loro politici erano presenti ad ogni livello istituzionale e partitico1? È ancora Vincent Foucher nella sua approfondita analisi che mostra una delle ragioni di questo scollamento tra i cosiddetti ‘cadres’ (dirigenti) e la popolazione locale: C’è sicuramente un effetto generazione: se i primi ‘cadres’come Emile Badiane, non avevano completamente rotto con il mondo rurale, la generazione seguente, spesso cresciuta a Ziguinchor o a Dakar presso famiglie di “proto–évolues” (piccoli funzionari) o all’interno delle reti della chiesa cattolica, non ha lo stesso contatto con le ‘popolazioni’. Nel corso d’interviste, numerosi interlocutori che avvano familiarità con la vita politica degli anni ‘50/’60 hanno insistito sulla differenza di stile politico tra Emile Badiane, per esempio, e i politici attuali: nessuna convivialità, scarsa conoscenza delle tradizioni2. […] Il fatto che questi dirigenti avessero creato col tempo un distacco con la propria base è emerso in tutta la sua forza a causa della questione del conflitto fondiario per le terre circostanti Ziguinchor, su cui torneremo nel prossimo capitolo. In questa vicenda, che ha particolarmente avvelenato gli animi dei casamancesi, i rappresentanti sono stati particolarmente latitanti. Così riportava Sud Magazine nel 1987: I ‘cadres’ casamancesi? Essi hanno raramente alzato la voce per far sentire le lagnanze dei propri rappresentati. Essi si sono arricchiti, staccandosi progressivamente dalla loro base. Ciò che spiega la mancanza di credibilità e la loro incapacità à contenere l’avanzata separatista3 Ulteriore prova dello scollamento dei dirigenti con la massa è dato da un provvedimento preso dallo stato stesso: la “diolarizzazione” dell’élite politica locale. Come sottolinea Foucher: […] lo stato senegalese, fedele al suo schema etnico d’interpretazione del conflitto, ha avviato una larga “diolarizzazione”dell’élite politica locale, nel disperato tentativo di trovare degli intermediari. Questo metodo a basso costo non ha tuttavia risolto la questione – i ‘dirigenti’ sono sempre troppo lontani dalle loro popolazioni4. 1 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 131–134. FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolues’, la migration, l’école”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 399. 3 Sud Magazine del 4 gennaio 1987, citato da MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, p. 266. Questa situazione potrebbe essersi rafforzata dopo le dimissioni di Senghor e dei suoi ministri (tra vui Seck) e l’avvento dei “tecnocrati” capeggiati da Abdou Diouf. È solo una casualità che il conflitto sia scoppiato dopo l’allontanamento dalla squadra governativa dei rappresentanti della casamance in seguito alla fine dell’epoca di Senghor? 4 Non è un caso che l’MFDC e il suo leader si considerassero la “voix de la Casamance”, la “voce della Casamance”, l’unica in grado di comunicare il malcontento delle popolazioni. FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolues’, la migration, l’école”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 420. 2 247 Quest’ultimo elemento, il tentativo di “diolarizzare” l’élite politica locale ci porta direttamente ad un altro aspetto della “question casamançaise”, ovvero al paradosso amministrativo, di cui si è accennato nell’introduzione. 3 IL PARADOSSO AMMINISTRATIVO: UNA SOCIETÀ IN GRADO DI AUTOGESTIRSI È stato mostrato come a livello politico, la “question casamançaise” sia nata dal paradosso di una società che non si sente rappresentata, pur essendo presente nelle istituzioni e all’interno della funzione pubblica in misura maggiore rispetto alle altre regioni. La causa è in parte da ricercarsi nell’ossessione della “costruzione nazionale” stigmatizzata anche dal motto della repubblica: “Un Peuple, Un But, Une Foi”. Questa ‘ossessione’ ha dato luogo a varie ‘rigidità’: rigidità nelle frontiere, rigidità politiche (divieto di creazione di partiti a base etnica o regionale, lotta contro le opposizioni, ecc), ma anche amministrative. Per questo ho definito il modello islamo– wolof “onnicomprensivo”: è stato usato in maniera pervasiva tanto a livello politico che amministrativo, economico e culturale. Questo modello a livello amministrativo ha portato a riforme, decisioni prese e applicate in maniera monolitica su tutto il territorio, senza tener conto delle specificità locali1. Tenuto conto del fatto che il Senegal era una giovane repubblica con tradizioni socio–culturali differenti, questo approccio doveva necessariamente portare dei problemi, in particolare là dove il modello islamo–wolof era meno applicabile. Il problema amministrativo è stato, e non casualmente, affrontato da diversi studiosi che si sono particolarmente interessati al caso della Casamance e che l’hanno analizzato con studi approfonditi (D. Darbon, J.C. Marut, M.C. Diop, V. Foucher, Cruise O’Brien, ecc.). I loro studi ci saranno utili nei paragrafi che seguono per spiegare quello che è stato definito il “paradosso amministrativo” della Casamance: da un lato abbiamo una società, quella diola soprattutto, più vicina di ogni altra alla modernità, all’istruzione, alle istituzioni e in cui le potenzialità modernizzatici dell’amministrazione sono più forti; dall’altro, quella stessa società produce sentimenti di rifiuto verso l’amministrazione che esprime con atteggiamenti “di uscita”, promuove l’autogestione e dice di sentirsi “colonizzata dai “nordisti”. È un sentimento diffuso in tutta la regione, ma particolarmente forte nella Bassa Casamance, che concorre a creare un sentimento ‘casamancese’. “[…] quasi fino ai nostri giorni, tutti i prefetti sono dei prefetti nordisti; tuttii governatori, sono dei governatori nordisti; tutti i sotto–prefetti, sono dei sotto–prefetti nordisti. Noi abbiamo solo 1 Darbon, partendo da un concetto proposto da G. Langrod (1973), parla di un doppio fenomeno di “mimetismo amministrativo” che la Casamance avrebbe subito, ovvero una tendenza all’imitazione dell’amministrazione francese da un lato, e di Dakar, centro amministrativo della repubblica, dall’altro. Da ciò deriverebbe la rigidità dell’amministrazione senegalese e quindi la sua incapacità di adattarsi alle specificità locali. DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 153–155. 248 i capi villaggio con la sua popolazione. È normale? E noi abbiamo molti intellettuali, più intellettuali di loro”1. Curiosamente, sembrerebbe che, ancora una volta, il problema della Casamance sia… un problema di amministrazione, esattamente come Jacques Charpy ha concluso parlando delle difficoltà della colonizzazione francese nella regione2. Nei paragrafi che seguono cercheremo di capire da cosa nasce questa contraddizione e perché è stata così importante nel creare una base di malcontento che si è poi riversata nel MFDC e nel conflitto. Per farlo è utile andare ad indagare sul funzionamento dell’amministrazione senegalese. Dopo una breve parentesi sulla struttura amministrativa si cercherà di spiegare l’origine e le manifestazioni del sentimento di rifiuto e colonizzazione, attraverso l’analisi delle reti di comunicazione e il grado di efficacia dell’azione amministrativa nelle regione. 3.1 LA STRUTTURA E IL MESSAGGIO AMMINISTRATIVO La struttura amministrativa del Senegal è piuttosto complessa ed articolata, in parte derivante dall’organizzazione coloniale. Dal punto di vista territoriale si suddivide in regioni, dipartimenti e arrondissements. Tutte le strutture tanto nel campo economico, che partitico, sindacale, tecnico, associativistico ecc. tendono a organizzarsi prendendo quale punto di partenza questa strutturazione ternaria. L’organizzazione potrebbe apparire Figura 32: La suddivisione amministrativa proiettata verso il decentramento: ognuna delle 11 regioni è rappresentata da un governatore, i 35 dipartimenti da un prefetto, ed infine i 92 arrondissements da un sotto–prefetto. Ognuna di queste figure è affiancata da un consiglio eletto dalla popolazione. colloquio 3 A livello locale, troviamo i “communes” (le municipalità) e le “comunità locali” che raggruppano un insieme di villaggi che vivono in un territorio contiguo e che sono accomunati da interessi convergenti. L’anello finale di questa struttura sono i singoli 1 Intervista rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, sett/ott 2007, Ziguinchor. Egli sostiene che da queste basi è nata la manifestazione del 26 dicembre 1982, in cui i partecipanti chiesero, pacificamente, la nascita di una tavola rotonda in cui discutere della situazione della regione e trovare una soluzione ai suoi problemi. 2 Vedere parte 3, capitolo 1.5 e conclusione. CHARPY, Jacques. “Casamance et Sénégal au temps de la colonisation française”, Le Soleil, Dakar, 22/12/1993. 3 www.wikipedia.com 249 villaggi, rappresentati da un capo che però non è formalmente un agente dell’amministrazione. In realtà il decentramento è apparente: la scarsità dei mezzi finanziari e i vincoli a cui sono sottoposti i gradi più bassi dell’amministrazione rivelano la volontà politica di concentrare il potere e il processo decisionale a Dakar. La stessa considerazione potrebbe essere fatta anche per l’articolazione dei servizi tecnici: anch’essi seguono la suddivisione ternaria “regione–dipartimento– arrondissement”; in quest’ultimo livello, è stata istituita una struttura originale, i “centri d’espansione rurale polivalente” (C.E.R.–P.) che dovrebbero fornire una certa coordinazione alle strutture tecniche dell’amministrazione che si occupano dello sviluppo economico e sociale. I C.E.R.–P. “costituiscono così una cellula d’inquadramento tecnico delle popolazioni e l’ultima ramificazione dell’apparato statale a livello dell’arrondissement”1. Infine, esiste anche una struttura economica dell’amministrazione, particolarmente complessa, che si articola nel “movimento cooperativo” e nelle “società d’intervento”2. Il movimento cooperativo ha origine già nel periodo coloniale, quando vennero previste delle “société de prévoyance” col compito di fornire supporto alla produzione arachidiera in ambito rurale, in particolare con la fornitura di sementi. Questo sistema venne poi ripreso dal governo indipendente; Mamadou Dia, prima della sua esclusione in seguito alla crisi del ’62 con Senghor, aveva speso molte energie nell’organizzazione della rete cooperativistica su tutto il territorio. Le cooperative, dovevano unire un gruppo di contadini, allevatori ecc., che mettendo insieme la forza lavoro e i mezzi di produzione lavoravano per il proprio sviluppo economico e, in definitiva per quello della stessa repubblica. Il sistema cooperativo, organizzato anch’esso in modo ternario, doveva quindi servire a realizzare il “socialismo africano” nelle campagne, ma anche come strumento di educazione dei contadini alla vita democratica, attraverso un sistema di “animazione rurale”3. Le società d’intervento, infine, sono degli organismi parastatali creati per perseguire un certo progetto di sviluppo in una regione4. Questa stratificazione degli organismi pubblici, peraltro molto complessa, ha costituito in realtà la fonte di molti problemi di funzionamento, tanto per la sua pesantezza organizzativa che per le varie manipolazioni clientelari a cui la struttura si prestava. Ciò che è opportuno notare qui però è il carattere monolitico, rigido di questo organigramma, ispirato in gran parte al modello di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione europea. Altrettanto rigido e monolitico è così anche il “messaggio amministrativo”, ovvero tutta quella serie di decisioni che prese al centro, si presuppone debbano essere applicate su tutto il territorio in modo imparziale e uguale per tutti i cittadini. Come andremo a scoprire nei prossimi paragrafi, la struttura rigida tanto dell’amministrazione che del messaggio amministrativo non danno luogo a un’applicazione altrettanto rigida e omogenea su tutto il territorio. Servendoci dell’approfondita analisi che Darbon ha condotto sull’amministrazione in Casamance, verranno analizzate le reti di comunicazione tra l’amministrazione e i cittadini, e il modo in cui il messaggio (quindi i provvedimenti, le circolari ecc.) vengono recepite alla base. 1 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 82. Le cooperative dovevano essere lo strumento per razionalizzare la produzione (in particolare quella arachidiera) promuovendo la 3 Per un approfondimento vedere il capitolo seguente. 4 Come esempio, si può citare la SOMIVAC della Casamance, la SAED del delta delSenegal, ma anche la SONACOS, la SODEFITEX, ecc. 2 250 Come vedremo, alla rigidità formale dell’amministrazione corrisponde un’estrema varietà nella ‘qualità’ e ‘quantità’ della ricezione e dell’efficacia del messaggio tanto tra il nord e il sud del paese, che all’interno delle stesse popolazioni che abitano la Casamance. 3.2 LE RETI DI COMUNICAZIONE AMMINISTRATIVA Tutte le strutture amministrative di cui si è parlato finora avevano lo scopo di creare un canale diretto tra la popolazione e l’amministrazione, tanto per favorire lo sviluppo economico che l’integrazione del mondo rurale nel circuito della costruzione nazionale. Tuttavia, lo stato indipendente si trovò davanti alla stessa necessità con cui già lo stato coloniale aveva dovuto fare i conti: perché le nuove strutture funzionassero era necessario utilizzare l’intermediazione delle strutture tradizionali già esistenti, che la popolazione considerava fonte reale di autorità. Avvicinare ed integrare queste strutture allo stato, significava aprirsi un efficace canale di comunicazione tra il centro e le periferie rurali. Come già è stato detto per il periodo coloniale, i francesi riuscirono a venire a patti con le società del nord (wolof, tukolor, serere), grazie alla loro struttura sociale gerarchizzata, che permetteva di individuare immediatamente dei capi riconosciuti dalla popolazione su cui fare affidamento; ma soprattutto grazie allo sviluppo delle confraternite ed in particolare della Muridiyya1. Venire a patti con il capo di questa confraternita significava in definitiva assicurarsi l’obbedienza di buona parte della popolazione wolof. Con l’indipendenza, il sistema degli ‘intermediari’ o ‘relais’, sebbene formalmente rifiutato e combattuto, venne largamente utilizzato. Al nord, le strutture più vicine alla popolazione (le comunità rurali, le cooperative, i C.E.R.–P.), sono stati in gran parte occupati da marabutti o persone comunque facenti parte integrante del sistema delle confraternite2. In Casamance, sappiamo che le cose andarono diversamente. In alta e Media Casamance, abitate prevalentemente da fulani e mande, la società era meno gerarchizzata e soprattutto l’islam che si diffuse era differente. Qui i francesi non riuscirono a trovare un marabutto talmente amato da farne un intermediario per l’amministrazione, ed in più la società locale tendeva a differenziare maggiormente ciò che riguardava la sfera spirituale da quella materiale e quindi anche statale. Ciò era ancora valido al momento dell’indipendenza: l’amministrazione ha dovuto fare affidamento sulla miriade di marabutti sparsi nel territorio che ad ogni modo fornivano un importante anello di congiunzione tra il centro e la periferia: assicuravano comunque la presenza di una struttura tradizionale attraverso la quale far passare il messaggio amministrativo. Come Darbon precisa: Tanto il sistema muride nordista è incaricato di mantenere l’ordine sociale, tanto i marabutti della casamance non esercitano che una funzione intermittente di trasferimento della comunicazione3. 1 Vedere parte 2 capitolo 3.4 e parte 3 capitolo 3.2 e 3.3. La presenza delle confraternite che fungono da intemediari permetteva la “naturalizzazione” delle strutture, dei meccanismi, dei messaggi provenienti dall’esterno. Diop (1990) allude a questo processo innescato durante il periodo coloniale e proseguito poi nell’indipendenza: “La gerarchia marabutica, per sua natura, rende comprensibile la struttura amministrativa coloniale ‘naturalizzandola’, poiché essa è estranea alla cultura del paese”, DIOP, Momar Coumba – DIOUF, Mamadou. “Le Sénégal sous Abdou Diouf. Etat et société”, op. cit., p. 62. 3 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance op. cit., p. 130. 2 251 In Bassa Casamance, ed in particolar modo in ambito diola, le cose furono estremamente più complesse per i francesi prima, per i “senegalesi” poi. Così come la madrepatria coloniale si era trovata in difficoltà a trovare degli interlocutori, aveva dovuto creare dei ‘capi’ locali e in parte provvedere con persone di origine ‘nordista’, (wolof o tukolor), anche il governo indipendente ebbe lo stesso tipo di problema: il problema di trovare dei notabili, dei leader locali in grado di fungere da struttura intermedia. Linares, in una approfondita analisi comparativa effettuata su tre diversi villaggi diola, spiega come tra i diola di Sambujat1 si ponga una profonda differenza tra la figura del aì (il re–sacerdote) – a cui vengono affidate le maggiori responsabilità nel rapporto tra gli ‘spiriti’ e la comunità – e la figura del “capo”: […] l’attuale sistema politico dei Sambujat rafforza una reale separazione dei poteri – questioni religiose / affari secolari, politica esterna / lotte interne. […]. Il ruolo di capo villaggio fu creato dalle autorità coloniali francesi più o meno nella metà del diciannovesimo secolo, ogni volta che sentivano la necessità di garantirsi l’autorizzazione per una stazione commerciale, o per ‘firmare’ un trattato che dava loro accesso ad una particolare risorsa. Fino ad oggi, il capo funge da legame tra la comunità residente e i rappresentanti del mondo esterno. L’attuale capo di Sambujat ha a che fare con le autorità civili senegalesi. Egli fornisce informazioni, raccoglie le imposte e coordina i servizi regionali occasionali, forniti dalle agenzie governative2. 3.3 RICEZIONE ED EFFICACIA DEL MESSAGGIO Qual è l’impatto di questa diversità nelle reti di comunicazione sulle modalità di ricezione e l’efficacia del messaggio amministrativo? Darbon, nella sua analisi, si sofferma sulla figura del funzionario. Egli sostiene che il pubblico ufficiale segue una prassi diversa a seconda del livello che occupa all’interno dell’amministrazione: al ‘centro’ i funzionari sarebbero più rigidi nell’applicazione delle direttive; nelle zone rurali invece si conformerebbero alle norme solo in apparenza: l’atto o la norma che secondo le direttive ricevute dall’‘alto’ il funzionario dovrebbe adottare vengono ‘adattate’ alla cultura e ai valori di appartenenza3. Questa osservazione sembrerebbe veritiera e aiuta a comprendere come i messaggi dell’amministrazione vengono recepiti dalla popolazione. 1 2 3 È un villaggio posto nella regione del Kasa, ovvero quella facente capo a Oussouye, a sud ovest rispetto a Ziguinchor. È tradizionalmente la regione a più alta percentuale di animismo e cristianesimo e quella che più di ogni altra ha presentato maggiori problemi di amministrazione, sia a causa dell’emarginazione geografica che per la presenza di una società ‘egualitaria’ e d individualista. È da sottolineare che è necessario fare dei distinguo. I gruppi diola sono piuttosto differenziati tra loro. Quelli per esempio del dipartimento di Bignona o della zona di Ziguinchor oggi hanno comportamenti abbastanza vicini a quelli mande per quando riguarda l’aspetto in questione. La netta distinzione descritta per i diola di Sambujat è valida soprattutto per i diola kasa, ma non è estendibile in maniera generalizzata a tutta la popolazione di origine diola. LINARES, Olga F. “Power, Prayer and production: the jola of Casamance, Senegal”, Cambridge University Press, New York, 1992, p. 42. Secondo Darbon il “funzionario africano sarebbe soggetto a dei valori schizofrenici”: da un lato quelli dell’amministrazione, dall’altro quelli della società che rappresenta e di cui spesso fa parte. Così, “l’atto amministrativo tende a diventare l’atto personale del funzionario, preso secondo dei criteri imposti dalla sua società d’appartenenza e quindi individuali”. DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 160–164. 252 Al nord, si è detto che la rete delle confraternite funge da intermediario. Non solo; varie analisi sottolineano come l’amministrazione dello stato indipendente sia stata quasi costruita “su misura” delle confraternite: […] il discorso prodotto dalla gerarchia amministrativa verso il mondo rurale […] è la replica esatta, se non la riproposta in termini moderni, del discorso marabutico1. A ciò vada aggiunto che attraverso le loro reti clientelari, le confraternite riescono a controllare i principali dirigenti, tanto a livello politico che amministrativo. Soprattutto a livello locale, i rappresentanti dell’amministrazione devono venire a patti con le confraternite: I funzionari […] ricercavano il patrocinio del marabutto locale a discapito dell’applicazione delle direttive amministrative2. Ciò significa che al nord, le direttive dell’amministrazione giungono a livello locale fino alla popolazione attraverso ‘l’autostrada’ delle confraternite; tuttavia, esse vengono deformate e arrivano ‘tradizionalizzate’, nel senso che l’atto amministrativo dello stato viene modificato in modo tale da farlo diventare quasi un ‘atto tradizionale’. Questo processo non è totalmente negativo: risponde sicuramente all’esigenza di pace sociale e di costruzione della nazione, poiché il singolo cittadino quasi non noterà il fatto che la direttiva provenga da un “ente esterno”, lo stato, ma lo sentirà come prodotto dalle proprie istituzioni tradizionali. In questo modo, si viene ad instaurare quasi un rapporto di fiducia, o comunque un sentimento di accettazione e di integrazione delle regole di funzionamento dello stato moderno3. In definitiva si può concludere dicendo che al nord a livello “quantitativo”, il cittadino riesce a ricevere i messaggi del centro amministrativo; tuttavia, ricevendoli attraverso le confraternite, li riceve deformati e ‘adattati’, così che l’efficacia ne risulta spesso in gran parte compromessa. Una situazione simile è presente anche in Alta e Media Casamance, anche se in misura più ridotta a causa del minor potere delle confraternite nella regione. Anche qui la comunicazione avviene ma l’efficacia appare residuale, non perché [l’azione amministrativa] non riesce a toccare le popolazioni, ma perché vi arriva solo usando le reti intermediarie di parte, tradizionali o paramoderne4. Il contesto è completamente diverso in Bassa Casamance. Innanzitutto, a causa dell’assenza di leader tradizionali l’amministrazione indipendente ha dovuto usare 1 DIOP M.C., DIOUF M. “L’administration, les confréries religieuses et les paysanneries”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. “La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 39. 2 IBIDEM, p. 40. 3 Molti studiosi hanno rilevato anche l’aspetto positivo delle pratiche clientelari negli stati della “terza ondata”, proprio per il fatto che favoriscono l’integrazione dei cittadini nei meccanismi statali, stimolano la formazione di una coscienza nazionale e quindi rendono anche meno probabile la produzione di fratture profonde tra differenti gruppi sociali. 4 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 166. 253 largamente funzionari “nordisti”1. Essi avevano un sistema di valori completamente diversi dalle società della zona, non ne facevano parte e quindi non dovevano nemmeno “adattare” i messaggi; ciò significa che l’atto amministrativo veniva di regola applicato abbastanza fedelmente. Non solo, quella sorta di “separazione dei poteri” tra la sfera religiosa e materiale anche là dove l’islam era radicato, unito alla presenza di altre tradizioni religiose, rendeva impossibile una struttura di intermediazione, per cui il messaggio amministrativo arrivava direttamente ai cittadini. Insomma, così come Pelissier e altri studiosi hanno rilevato della Bassa Casamance, nessuna popolazione […] in definitiva, […] è più aperta ai giochi delle competizioni democratiche e si rivela più disponibile sul piano politico2. Tuttavia, è proprio qui che troviamo il nocciolo del “paradosso amministrativo”: è vero che, come appena dimostrato, i cittadini di queste regioni sono potenzialmente più soggette al messaggio amministrativo, poiché esso non viene deformato. Però, vari fattori hanno innanzitutto contribuito a far si che la “quantità” di messaggio arrivasse in misura minore rispetto che altrove; tra essi: l’assenza di un sistema di intermediazione il controllo sociale molto forte della società diola la “separazione dei poteri” tra religione/politica, autorità interna/autorità esterna. – – – In definitiva, lo schema seguente ci può aiutare a sintetizzare l’atteggiamento delle società del nord e della Casamance rispetto alla ‘quantità’ di messaggi amministrativi che ricevono e alla loro ‘qualità’, ovvero l’efficacia: SOCIETÀ STRUTTURA E MESSAGGIO AMM. Monolitico e rigido. Si cerca l’unita Fulani/Mande nazionale e si imita il modello occidentale. Diola Wolof 3.4 RETI DI COMUNICAZIONE ‘QUANTO’ VIENE PERCEPITO Si Molto Si Molto No (limitate) Poco GRADO DI EFFICACIA Poco – messaggio deformato Poco – messaggio deformato Molto LA RISPOSTA DELLA SOCIETÀ: RIFIUTO ED AUTOGESTIONE. L’ESPERIENZA DELLE ASSOCIAZIONI. Dall’analisi appena fatta è emerso un dato: in Bassa Casamance la “quantità” di “messaggio” amministrativo è più limitata che altrove ma potenzialmente molto efficace perché tocca direttamente il cittadino. Rimane ora da stabilire come l’attività 1 Paradossalmente, fino ad oggi, i ranghi più elevati dell’amministrazione non sono mai stati ricoperti da casa mancesi: mai nessun governatore e pochissimi prefetti o sotto–prefetti. Questo viene vissuto con particolare risentimento dalla popolazione. 2 PELISSIER Paul, “Les paysans du Sénégal”, op. cit., p. 679. Questa constatazione è importante alla luce del fatto che l’interpretazione governativa del conflitto in Casamance è stata quella di uno scontro tra tradizione e modernità, ovvero tra una società, quella diola, legata ai propri spiriti e avversa ad ogni relazione con l’esterno e lo stato, con tutto il suo apporto di modernità, tanto a livello politico che economico. Foucher si è chiesto se il conflitto non sia nato proprio da un rapporto troppo stretto con lo stato. 254 amministrativa venga percepita dalla popolazione. Ed è proprio qui che troviamo il nocciolo del “paradosso amministrativo”: infatti, benché l’azione amministrativa arrivi direttamente ai cittadini, essi rispondono con un atteggiamento di rifiuto. Qui l’amministrazione è stata percepita prevalentemente in maniera negativa, essenzialmente poiché non si è saputa adattare come al nord alle specificità culturali e ha espresso appieno il suo carattere rigido e monolitico. A ciò si aggiunga il fatto che spesso i funzionari principali arrivavano dall’esterno e oltre ad applicare in maniera più rigorosa le direttive ministeriali non riuscivano a crearsi una rete clientelare con la popolazione autoctona1. L’azione amministrativa andava così ad imporsi in maniera autoritaria proprio là dove era presente una società in cui il concetto stesso di autorità veniva rinnegato e combattuto soprattutto se imposto da agenti esterni2. Questo può essere supportato a contrario anche da alcune iniziative che, privilegiando la concertazione, sono riuscite ad avvicinare la popolazione all’amministrazione, proprio perché maggiormente sensibile alla struttura socio–culturale presente nella zona: Darbon nel suo saggio cita per esempio l’esperienza della radio rurale “Disso”3 L’amministrazione non è riuscita ad integrarsi anche perché è stata percepita prevalentemente come un ente parassitario, che prende le risorse senza fornire nulla in cambio ai cittadini; le pratiche neo–patrimoliali, care al sistema islamo–wolof, in Casamance hanno sempre funzionato in misura minore e con maggiore fluidità anche perché meno formalizzate e strutturate; ma soprattutto: […] i comportamenti neo–patrimoniali tendono a strutturarsi, […] lungo le solidarietà tradizionali. Ora questi legami esistono solo in modo residuale in Casamance, poiché la composizione etnica dell’amministrazione regionale fa apparire una certa sottorappresentazione dei casamancesi4. Parassitaria, malfunzionante, rigida, autoritaria, l’azione dell’amministrazione in Casamance diventa al contempo “totale e nulla”: Nelle regioni diola dell’antico Kasa e soprattutto nell’attuale dipartimento di Oussouye, la penetrazione amministrativa, al livello del processo d’applicazione delle decisioni, è nello stesso tempo, totale e nullo. Totale, nel limite della struttura del villaggio, perché nessuna struttura gerarchica si oppone alla sua diffusione individuale; ma anche nulla, perché il sistema di coesione sociale genera l’apparizione di nuove forme di gestione sociale, che esclude l’intervento dell’amministrazione e assicura l’autogestione della società5. 1 Poteva accadere però, come dimostra la questione dell’assegnazione delle terre a Ziguinchor, che I funzionari creassero delle reti clientelari, seppure più fluide rispetto al nord, con gli altri “nordisti” presenti nella zona; in questo modo, l’azione amministrativa veniva si deformata, ma non a favore della popolazione autoctona. 2 Vedere parte 1, capitolo 2.2. Un esempio: l’invio di funzionati nordisti, prevalentemente tukolor, per organizzare l’ “animation rurale”, che non conoscevano le specificità locali e quindi incarnavano perfettamente la rigidità del messaggio amministrativo descritto in precedenza, ha generato un forte sentimento di rifiuto della società verso i funzionari stessi e l’“animation”, e ha contribuito a creare un sentimento di colonizzazione2. 3 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 137–139. 4 IBIDEM, p. 164. 5 IBIDEM, p. 166. 255 In forme diverse, questa tendenza al rifiuto e all’emarginazione dell’amministrazione coinvolge tutta la regione, al di là delle differenze socio–culturali delle popolazioni che la abitano1. Ma soprattutto tale tendenza ha generato e rafforzato comportamenti “in uscita”, nel senso che la popolazione, stabilito che l’amministrazione non poteva dare alcun servizio alla comunità, ha cercato di auto–organizzarsi per provvedere da sola alle proprie necessità. In quest’ottica è interessante sottolineare il ruolo delle associazioni e soprattutto quelle dei migranti. Sono già state analizzate le ragioni che hanno portato molti giovani della Casamance, soprattutto diola, a intraprendere la via della migrazione verso Ziguinchor in un primo momento e poi, soprattutto verso Dakar: l’istruzione e la ricerca di un lavoro come funzionario o operaio. La migrazione diola ha raggiunto, dopo l’indipendenza, cifre importanti: Vincent Foucher, sulla basa di molti studi condotti a livello di villaggio, parla di circa 33.500 persone coinvolte agli inizi degli anni ’70, su un totale di 225.000, mentre nei primi anni ’80 stima all’ ‘80% il coinvolgimento delle donne e uomini appartenenti alle classi d’età più giovani2. Questo flusso così importante da dato origine a due fenomeni fortemente interrelati: da un altro la formazione di quelle che Lambert ha chiamato “comunità multilocali”, dall’altro la formazione di molte associazioni. Entrambi i fenomeni sono molto complessi e meriterebbero un esame approfondito, che però esula dalla nostra analisi. Ci limitiamo a definirle brevemente e a indicare come esse possano essere considerate come strumenti attraverso cui una società si auto– organizza Con “comunità multilocali” Lambert indicava che nelle città di destinazione i migranti tendevano a ricostruire la propria comunità: durante il periodo coloniale, quando il numero degli emigrati era limitato (soprattutto a Dakar) la comunità tendeva a raccogliere individui provenienti da un’area molto vasta e che continuava a mantenere rapporti molto forti con il luogo d’origine; con l’aumento nel numero dei migranti, le comunità iniziarono ad assumere un’ampiezza territoriale ridotta, fino ad arrivare al villaggio. Così la migrazione, invece di comportare la scomparsa del villaggio d’origine si traduce in un modo di mantenerlo in vita seppure in forme diverse e per molti versi, molto moderne. Insomma, è come se il villaggio si dislocasse nello spazio pur continuando a costituire un’unità sociale3. Tali comunità raggruppavano ancora negli anni ’60, il gruppo dei giovani “évolués” che erano riusciti a occupare anche dei posti di potere; attraverso i risparmi che inviavano nei villaggi e alle famiglie, essi riuscirono a dotare la Casamance di alcune prime importanti strutture, e soprattutto scuole dove poi il ruolo di insegnanti veniva ricoperto da quella grossa fetta di évolués che erano riusciti a diventare maestri; non è un caso che émile Badiane, divenuto ministro del governo Senghor, abbia fatto costruire il primo asilo delle zone rurali proprio nel suo villaggio natale in Casamance. Non solo: nelle città 1 Sull’aministrazione e i rapporti centro–periferia in Casamance, vedere anche DARBON–LOADA. “Demain de nouvelles institutions? Entre dépendance et enjeu locaux : modèles institutionnels”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 385–399. 2 A Dakar circa il 12% della popolazione proviene dalla Bassa Casamance; il contrasto è molto forte se paragonato alle percentuali di persone provenienti dalle altre regioni. FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolues’, la migration, l’école : pour une nouvelle interpretation de la naissance du nationalisme casamançais”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 389. 3 Lambert analizza a fondo anche le ripercussioni della migraizone sulla rapporto tra i sessi e sul matrimonio. LAMBERT, Michael. “La marginalité économique des communauté joola à la fin du XX siècle”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., pp. 355–373. 256 si organizzò anche un sistema di tutorato per l’accoglienza dei nuovi giovani studenti1. In sintesi, le comunità multi–locali creavano una rete informale di produzione di servizi (dall’accoglienza dei nuovi migranti alla costruzione di scuole ed infermerie) che di fatto si sostituiva alle carenze dello stato. Accanto a tali comunità si vennero a creare anche delle “associazioni”, ovvero gruppi di giovani emigrati che organizzavano all’interno del villaggio di appartenenza varie attività: dal teatro, alle lezioni di grammatica per gli adulti, dalle gare sportive alle questioni riguardanti lo sviluppo economico della propria zona d’origine. Anche le associazioni si pongono così anche come strutture che di fatto offrivano servizi alla popolazione che l’amministrazione non riusciva a garantire: L’associazione spesso si fa carico del corredo scolastico, pedagogico, sanitario e agricolo del villaggio, senza intervento delle autorità amministrative, le quali sono incapaci di rispondere alla domanda di istruttori o di personale capaci di far funzionare simili infrastrutture2 CONCLUSIONE Il ventennio 1960/80 non è stato solo quello dei primi passi del Senegal come stato indipendente sotto la salda di Léopold Sedar Senghor, ma sono stati anche quelli che hanno preceduto il conflitto nell’estremo sud. È in questi anni quindi che si è cercato di individuare le reali cause che hanno portato all’esplosione del malcontento in Casamance. La storia della regione che è stata ripercorsa nei capitoli precedenti, permette di capire il contesto regionale e il peso dell’eredità coloniale negli anni dell’indipendenza; permettono di capire, da un lato, le dinamiche socio–politiche ed economiche della Repubblica, dall’altro la retorica del conflitto e le basi storiche del nazionalismo dell’MFDC. Tuttavia, è da ritenersi che le manifestazioni di malcontento dei primi anni ’80, confluite poi nel conflitto, siano rintracciabili in problemi politico– economici ben più recenti. Il conflitto in Casamance è nato da una problema di integrazione che è insieme “a tuttotondo” e ‘contraddittorio’: a tuttotondo perché investe varie sfere dell’attività umana: politica, amministrativa, economica, socio–culturale; contraddittoria, perché in ognuna di tali sfere le problematiche si pongono in maniera contraddittoria. In questo capitolo, si è cercato di evidenziare tali contraddizioni nell’ambito politico– amministrativo. Così, la logica dell’ossessione per la costruzione della nazione, che ha accomunato complessivamente gli stati africani indipendenti, ha dato vita in Senegal alla 1 2 FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolues’, la migration, l’école : pour une nouvelle interpretation de la naissance du nationalisme casamançais”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 391. DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., pp. 175–176. È da sottolineare che la nascia delle associazioni di giovani, évolués, donne ecc. non è tipico della casamance. Molte altre associazioni, simili negli intenti, tanto a carattere economico che sociale, sono fiorite gli anni ’70 in tutto il Senegal. L’importanza che questo processo viene ad avere in Casamance è legato alla concomitanta degli altri fattori: debolezza della rete delle confraternite, presenza di altre religioni, marginalità geografica, maggiore debolezza delle reti clientelari, ecc. Sulle associazioni in Casamance vedere anche TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., pp. 212–224. BOSC, Pierre-Marie. "A le croisée des pouvoirs", op. cit. 257 nascita di un ‘contratto sociale’ basato sul modello ‘islamo–wolof’; un modello le cui origini sono rintracciabili nel periodo coloniale, ma che poi ha avuto il suo massimo sviluppo proprio nei primi 15 anni d’indipendenza1. Un modello basato sull’alleanza con i marabutti, sul sostegno alla produzione arachidiera, sullo scambio di favori tra politici e confraternite che raggiungeva il risultato della “pace sociale”. Un modello infine, incapace di funzionare bene al di là del bacino arachidiero, del territorio delle confraternite e soprattutto presso etnie diverse da quelle wolof/tukolor. La Casamance ha dato origine ad un contratto diverso con lo stato senegalese, diverso da regine a regione. La Bassa Casamance, cuore del conflitto, ha stretto un tipo di contratto diverso con lo stato, basato sull’istruzione, l’immigrazione, il pubblico impiego. A livello politico è stato dimostrato che la marginalizzazione della regione è passata per la mancanza di rappresentanti sentiti come tali dalla popolazione all’interno delle istituzioni centrali; il paradosso sta proprio nel fatto che tali rappresentanti erano presenti, in misura anche maggiore rispetto alla media. La risposta a questa contraddizione sta proprio nello scollamento tra i “cadres” e gli elettori della regione, che ha fatto dell’MFDC la “voce della Casamance”; Geneviève Gasser, sulla base di un’inchiesta condotta tra Dakar e Ziguinchor nel 1997, ha constatato: Durante l’inchiesta, la debolezza delle reti politiche ci è apparsa come una spiegazione [del conflitto] che gli stessi informatori forniscono: “La colpa è dei nostri dirigenti, sono tutti incapaci”, esclamava spontaneamente un contadino diola mentre discutevamo del conflitto in Casamance. in generale, gli informatori di Ziguinchor si sono mostrati in generale fieri di avere dei ministri di origine diola o casamancese che li rappresentano a Dakar, sottolineando nello stesso tempo che essi assolvono male il loro compito d’intermediari della regione. Il politico locale che non investe negli affari della sua regione, che non è presente o che non mantiene una dimora nel suo villaggio non viene rispettato. Da ciò, la debolezza delle reti politiche casamancesi permette di gettare una luce nuova sulla spiegazione della marginalizzazione periferica2. In contraddizione con i numerosi politici originari della regione aventi posizioni chiave nelle istituzioni, a livello regionale, dipartimentale e dell’ arrondissement3, la regione è stata in larga misura ‘colonizzata’ da amministratori ‘nordisti’. Ciò ha contribuito a creare un rapporto conflittuale tra l’amministrazione e la popolazione. L’analisi ha dimostrato come la comunicazione tra centro e periferia si sia rivelata subito problematica, soprattutto in Bassa Casamance. Tuttavia, la contraddizione di fondo che è stata sottolineata può essere sintetizzata riprendendo quanto affermato anche da Darbon: […] le società apparentemente meno integrate nello sviluppo dell’azione amministrativa sono anche quelle più recettive alla sua logica. Queste società, le meno integrate nelle reti di comunicazione politica ed amministrativa […], sono tuttavia quelle più recettiva alla modernizzazione, quelle che riescono meglio ad integrare nelle loro concezioni culturali, le innovazioni sociali. Per queste società, la 1 E sopravvive ancora oggi: sebbene nel corso del tempo abbia subito delle modifiche dettate dal cambiamento del contesto (declino dell’arachide, crisi economica, aggiustamento strutturale, alternanza – nel 2000 con Me Wade, ecc) è ancora oggi monto forte. 2 GASSER, Geneviève. “ ‘Manger ou s’en aller’: que veulent les opposants armés casamançais?”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, op. cit., p. 468. 3 Si tratta, rispettivamente delle figure del governatore, del prefetto e del sotto–prefetto. 258 marginalità dell’azione amministrativa deriva da essa stessa, ovvero dalla sua incapacità di seguire l’evoluzione di questi gruppi sociali1. L’amministrazione viene quindi emarginata là dove la società è maggiormente recettiva al suo impulso modernizzante, perché più istruita, meno legata alle pratiche clientelari rispetto al nord del paese, perché – in definitiva – presenta una struttura sociale ‘egualitaria’, più vicina alle pratiche democratiche e all’imparzialità a cui l’amministrazione stessa dovrebbe ispirarsi nella sua attività quotidiana. Insomma, la ‘question casamançaise’ inizia così ad assumere dei risvolti maggiormente complessi di chi – governo, stampa, ribelli, ricercatori – hanno provato a spiegare il conflitto in termini etnici, religiosi, storici. A maggior ragione cade anche il tentativo del governo di vedere il conflitto come quello tra uno stato modernizzante e una società tradizionale. Da quanto detto nell’analisi sembrerebbe si possa esser d’accordo con Vincent Foucher quando si chiede: Piuttosto che un segno del vigore della tradizione, il movimento identitario casamancese non rivelerebbe una forte penetrazione della modernità?2 1 2 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance. Essai d’anthropologie administrative", Pedone, Paris, 1988, p. 191. FOUCHER, Vincent. “Les ‘évolues’, la migration, l’école : pour une nouvelle interpretation de la naissance du nationalisme casamançais”, in DIOP, Momar-Coumba. “Le Sénégal Contemporain”, Karthala, Parigi, 2002, p. 378. 259 CAPITOLO 2 IL PARADOSSO DI UNA RICCA TERRA POVERA Oh Casamance Mon beau pays lieu de mon enfance Du bonheur, des chansons et des rires. Ta souvenance Laisse à ma dolence Un peu d'espérance. Hélas! sur cette terre où je suis exilé, Mon âme est solitaire et mon cœur désolé: J'attends chaque jour Le moment du retour. […]1. 1 INTRODUZIONE In quest’ultimo capitolo si cercherà di dimostrare che il conflitto in casamance è nato anche da una profonda contraddizione presente nella sfera economica. Da un lato, la regione viene presentata come verdeggiante e ricca di risorse, un’immagine che contrasta enormemente rispetto alle terre secche e polverose della gran parte delle terre al di là del Gambia. Dall’altro, è da ritenersi che il conflitto sia nato tanto da un forte sentimento di frustrazione dei suoi abitanti alla vigilia del conflitto per il sottosviluppo e l’emarginazione economica della loro terra rispetto alle zone più centrali del paese; tanto da un senso di ‘invasione’, ‘spoliazione’ e distruzione delle proprie risorse connesso proprio ai primi energici tentativi di sviluppo economico della regione che lo stato ha intrapreso intorno alla metà degli anni ’70. Insomma, si tratterebbe di un doppio paradosso: da un lato una terra “ricca”, dall’altro una popolazione che mal sopporta il degrado economico ma che reagisce ancor peggio ai tentativi di sviluppo. Questi problemi non sono certo esclusivi della Casamance: molte altre regioni del Senegal hanno vissuto i problemi connessi ad un’economia che stenta a decollare. Probabilmente in Casamance, le problematiche economiche hanno pesato maggiormente proprio a causa dell’emarginazione geografica, delle contraddizioni politiche–amministrative che sono state analizzate in precedenza, ma anche a causa di scelte di politica economica che hanno contribuito a marginalizzare ulteriormente la regione. Ecco quindi che nei paragrafi che seguono cercheremo di ripercorrere le tappe principali, gli obiettivi, le strategie della politica economica della repubblica senegalese, prestando particolare attenzione alle conseguenze che tali politiche hanno avuto nella regione. Senza voler ridurre tutto ad un problema di sviluppo economico, si cercherà di dimostrare che il paradosso di una “ricca terra povera”, ha certamente avuto il suo peso nella nasciata di un sentimento critico e di protesta tra la popolazione della regione, confluito poi nelle rivendicazioni del MFDC e nel conflitto. 1 Tratto dall’inno della Casamance. 260 2 IL CONFLITTO COME UNA RISPOSTA AL SOTTOSVILUPPO 2.1 OBIETTIVI E STRATEGIE DELLA POLITICA ECONOMICA POST–COLONIALE Nei capitoli precedenti è stato mostrato come l’economia coloniale si sia largamente basata sulla monocultura dell’arachide, anche in quelle regioni, come la Casamance, in cui erano presenti ben altre tradizioni1. Al momento dell’indipendenza Senghor, Dia (perlomeno fino al ’62) e i principali dirigenti si trovarono a dover gestire un paese prevalentemente agricolo (al 90%) in cui il settore imprenditoriale privato autoctono era quasi assente; l’industrializzazione era appena accennata con la presenza di alcuni oleifici; il settore commerciale infine era praticamente inesistente, perlomeno a livello internazionale, poiché fino a quel momento era stato gestito dalle grandi compagnie commerciali francesi. Senghor e Dia si resero conto che era necessario un forte impegno dello stato dell’economia: era necessario accompagnare il paese nella difficile fase dello sviluppo post–coloniale, fonendo gli stimoli che incentivassero l’iniziativa privata e la diversificazione produttiva che nel lungo termine ponessero le basi di una rapida crescita economica e del disimpegno dello stato stesso. In gioco però non c’era solo il futuro economico dello stato: la posta era anche politica poiché la questione economica risultava in definitiva estremamente legata all’obiettivo della costruzione nazionale, alla credibilità delle istituzioni, all’educazione politica delle masse; ma soprattutto, che ruolo dare alle confraternite in questo nuovo organigramma economico? Si è detto in precedenza che il modello islamo–wolof si articola su diversi livelli, di cui quello economico è particolarmente importante: grazie alla manodopera a costo zero che i marabutti potevano garantire, il bacino arachidiero si era sviluppato notevolmente contribuendo a creare quella “pax senegalese” sin dalla fine del XIX secolo. I dirigenti dell’indipendenza non ruppero con questa ‘collaborazione’ e nei primi 3 Piani di Sviluppo Economico e Sociale, che coprirono gli anni ’60, puntarono prevalentemente sull’agricoltura e l’arachide, lasciando poco spazio alla diversificazione colturale e allo sviluppo industriale. Lo stato doveva sostituirsi ai francesi nella gestione della filiera arachidiera e i marabutti avrebbero dovuto fornire la loro preziosa collaborazione all’interno di una struttura organizzativa rinnovata: quella del movimento cooperativo. 2.2 IL MOVIMENTO COOPERATIVO È già stato detto che il movimento cooperativo doveva essere lo strumento principale per realizzare il “socialismo africano” l’ideologia principale del Senegal dell’indipendenza, di cui Senghor fu il principale artefice. In una circolare del 1960, la 32 firmata da Mamadou Dia, venivano esposti i fondamenti degli obiettivi e dell’organizzazione cooperativistica: la cooperativa è l’istituzione di base del socialismo africano e le cooperative di villaggio, unità economica di base, devono combinare le tradizioni africane e valori democratici2. 1 2 Vedere parte 3 capitoli 2 e 3. DIOP M.C., DIOUF M. “L’administration, les confréries religieuses et les paysanneries”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. “La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 41. 261 Atraverso il sistema cooperativistico lo stato poteva nazionalizzare la filiera produttiva dell’arachide, cercare di modernizzare e diversificare il settore agricolo, aggiudicandosi nello stesso tempo il sostegno indispensabile delle masse contadine. Non solo: il movimento venne pensato, perlomeno all’inizio, come lo strumento per cancellare il lamanato, quel sistema di tipo feudale che ancora regnava nelle campagne e forniva potere a pochi attori (marabutti, traitans) e relegava nella povertà e nell’insicurezza i semplici contadini. Venne creata una serie complessa di strutture (i CER–P, l’animazione rurale, l’OCA1, banche rurali per la gestione del credito, ecc.) che dovevano mettere in moto l’intero movimento, fornendo assistenza tecnica, strumenti e sementi, gestendo la raccolta e la compravendita dei prodotti. Tuttavia, sin da subito, l’applicazione della riforma agricola mostrò subito una forte deviazione dagli obiettivi originari. L’allontanamento di Mamadou Dia, fece si che molti degli aspetti modernizzanti del sistema cooperativistico venissero modificati nella prassi: Diop molto criticamente, ha mostrato come il sistema delle cooperative sia stato non solo ‘piegato’ alla logica delle confraternite: La prova di questo cambiamento è il discorso prodotto dall’insieme della gerarchia amministrativa in direzione del mondo rurale. È la replica esatta se non la ripresa in termini moderni del discorso marabutico. Esso si fonda su una ideologia “développementalist” che si vorrebbe identica a ciò che è considerato il centro dell’ideologia delle confraternite: l’esaltazione del lavoro2 ma anche da esse ‘colonizzato’: i dirigenti del CRAD per esempio, che dovevano essere la principale struttura di raccordo a livello regionale, costruirono una fitta rete di scambi clientelari tra il partito al potere e i notabili del mondo rurale (i marabutti): Gli agenti del CRADacquisirono presta la reputazione di corrotti e di sottomissione ai desideri dei politici potenti, dei notabili rurali, ai capi religiosi che cercano di appropiasi dei crediti e di altre risorse […]. In effitti, sin dall’inizio, la coincidenza notabilità locali/direzione delle cooperative è chiara. Un esempio: Cheick Mbacké è presidente della cooperativa di Mbacké, Bassirou Mbacké di quella di Diourbel, Ibrahima Nasse di quella di una delle zone di Kaolak3 In questo modo, le autorità religiose, soprattutto quelle del bacino arachidiero si seppero adattare’ al nuovo contesto: l’autorità e il ruolo che avevano rivestito durante il periodo coloniale non vennero in alcun modo scalfitte, lasciando intatto quello che è stato definito il “binomio marabutto–arachide”. Questa è l’essenza della dimensione economica del modello islamo–wolof. Così, una prima conseguenza della deriva del movimento cooperativo è certamente la creazione di un “potere parallelo” tanto a livello politico he economico: Si assiste alla coesistenza di due sistemi che si spalleggiano a vicenda che son legati dal sistema clientelare. Il primo costituisce dall’apparato 1 Office de commercialisation agricole. DIOP, Momar Coumba – DIOUF, Mamadou. “Le Sénégal sous Abdou Diouf. Etat et société”, op. cit., p. 63. 3 DIOP M.C., DIOUF M. “L’administration, les confréries religieuses et les paysanneries”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. “La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 42. 2 262 statale, e grava sulle città e i capoluoghi di dipartimento, il secondo riposa sui marabutti e sul controllo che essi esercitano sui contadini. Due sistemi di dominazione a livello e secondo modalità differenti. L’uno è controllato dalla classe dirigente a livello nazionale e ‘altro dalle classi subalterne a livello regionale1 Se questo sistema ha risposto perfettamente all’esigenza della “costruzione nazionale” non è stato altrettanto efficiente a livello economico. Non a caso la prima grave crisi fu inevitabile già alla fine degli anni ’60: alcuni anni di avverse condizioni climatiche, unite al crollo delle quotazioni internazionali dell’arachide portarono il mondo contadino alla paralisi: fu il cosiddetto “malayse paysan”2. L’esame di quegli anni movimentati e difficili esula dalle esigenze di questa analisi: basti qui ricordare che gli scioperi, le manifestazioni di studenti, operai, insegnanti scossero dalle fondamenta la giovane repubblica e determinarono un punto di non ritorno. Senghor, si rese contoc che era necessario apportare delle modifiche tanto al sistema politico–amministrativo che alle strategie di politica economica. Secondo Daffé e M.C. Diop: Gli scontri sociali del 1968 e 1969 sono stati il primo segno annunciatore della fine di un sistema economico basato sulle rendite derivanti dall’arachide. Essi hanno anche rivelato le insufficienze di un modo di gestione dell’economia e del potere politico al servizio di una coalizione eterogenea di politici, burocrati e capi religiosi.3 2.3 LA CASAMANCE E IL MOVIMENTO COOPERATIVO Nei paragrafi precedenti è stato sottolineato che non tutte le regioni del Senegal sono state inglobate all’interno del sistema islamo–wolof. Nelle regioni periferiche a questo sistema le reti clientelari e i vantaggi ad esso connessi in termini di risorse politiche ed materiali erano necessariamente maggiori. Il modo in cui il moviemento cooperativo ha funzionato in queste regioni è un esempio di queste differenze. Darbon (1988) e Bosch (2005) nei loro studi sulla Casamance hanno spiegato come in questa regione le cooperative abbiano stentato a decollare, proprio perché mancava quel collante ideologico oltre che gli interessi economici di cui le principali confraternite del nord si erano fatte portatrici sin dal periodo coloniale. Tuttavia, le peripezie del movimento cooperativo in Casamance hanno seguito traiettorie diverse a seconda del dipartimento: sono riscontrabili diverse caratteristiche nell’applicazione e negli effetti a seconda della società e del sistema di produzione su cui gravano. Ecco quindi che in 1 DIOP M.C., DIOUF M. “L’administration, les confréries religieuses et les paysanneries”, in CRUISE O'BRIEN, Donald. DIOP, Momar-Coumba. DIOUF, Mamadou. “La construction de l'état au Sénégal", op. cit., p. 40. 2 Il crollo del prezzo dell’arachide ha provocato ovviamente minori entrate nelle tasche degli agricoltori; è stato accompagnato anche da un aumento dei prezzi dei materiali agricoli, che ha screditato ancor più le strutture del movimento cooperativo. Così, il “malessere contadino” si è espresso attraverso una particolare forma di protesta degli agricoltori: non essendo più conveniente coltivare l’arachide, decisero di dedicarsi maggiormente alle colture alimentari che perlomeno permettevano il sostentamento del nucleo familiare. 3 È un processo che raggiunge il suo apice con le dimissioni di Senghor nel dicembre dell’80. DAFFÉ, Gaye. DIOP, M.C. “Réformes économiques et environnement nstitutionel. La politique industrielle et commerciale”, in DIOP, Momar-Coumba. "Gouverner le Sénégal. Entre ajustement structurel et developpement durable", Karthala, 2004, p. 107. Sulle vicende che caratterizzarono quegli anni vedere FATTON, Robert Jr. "The Making of a liberal democracy. Senegal's passive revolution, 1975-1985", Lynne Rienner Publishers, 1987. ZUCCARELLI, François. “La vie politique sénégalaise (1940-1988)”, op. cit. 263 Alta e Media Casamance, dove l’islam è ben presente, il sistema clientelare gestito a livello rurale dai marabutti è presente, seppure in termini più limitati rispetto al nord. Darbon comunque rileva che nelle zone a prevalenza mande e peul la cooperativa ebbe paradossalmente come effetto proprio il ritorno del lamanato, una delle pratiche tradizionali che si proponeva di contrastare. La Bassa Casamance, sebbene più recettiva all’aspetto modernizzante della riforma, se ne trovò comunque sostanzialmente esclusa a causa della carenza dei fondi, del fallimento dell’animazione rurale che non ha preparato la popolazione ad una corretta partecipazione alle cooperative1, della persistenza a capo delle cooperative degli anziani/notabili, sebbene in misura minore rispetto al nord2. In definitiva, i risultati furono deludenti e il coinvolgimento della popolazione limitato: Solamente il 12–13% della popolazione ha aderito al sistema cooperativo, una parte molto limitata, mentre ogni cooperativa raggruppa in media meno di duecento aderenti e produce spesso meno di quattrocento tonnellate di arachidi (soprattutto a Kolda e Seju), al di sotto della soglia di rendimento. A Bignona, la commercializzazione media non supera le 136 tonnellate per cooperativa. Queste cifre […] sono i trattiprincipali del sistema cooperativo […]3. Il fallimento del sistema cooperativo e la sua scarsa diffusione hanno certamente creato un ostacolo allo sviluppo agro–pastorale della regione. Tuttavia, il dato forse maggiormente rilevante del movimento stesso è che esso, sebbene avesse come obiettivo la diversificazione dei prodotti agricoli, in realtà si sia concentrata a livello nazionale quasi esclusivamente sull’arachide. Il sistema delle cooperative ha dato sostegno alla monocoltura dell’arachide e ne ha permesso la diffusione anche là dove non era particolarmente diffuso, come in Casamance. Paradossalmente, in questa regione patria di miglio, sorgo, e riso oltre che dei prodotti ortofrutticoli, conosce per lo più cooperative arachidiere. Segno questo di un privilegio accordato all’arachide in nome di una “pace sociale” tanto ricercata che però nell’estremo sud non restituiva alla popolazione tanti benefici materiali che al nord4. Occuparsi dell’arachide, unico prodotto in grado di generare una discreta rendita monetaria, significava almeno in parte abbandonare le colture tradizionali, che comunque fornivano una fonte importante di sostentamento per le famiglie. In un certo senso, la Casamance sempre secondo Darbon si sarebbe “senegalizzata” nel senso che ha trasformato in parte le proprie strutture socio–produttive per aderire alle logiche della monocoltura arachidiero5. Questo processo acquista una sua particolare drammaticità se lo si colloca all’interno della crisi economica dello stato senegalese del 1968/72, causata in buona parte proprio dall’abbassamento delle rendite derivanti dall’arachide. La risposta qui fu l’intensificazione del flusso migratorio verso le città che però privò ancor più di braccia 1 Tra l’altro la maggior parte delgi ‘anamatori’ erano di origine ‘nordista’, cosa che sreò numerosi problemi con la popolazione. 2 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance op. cit., p. 167. 3 IBIDEM, p. 106. 4 LINARES, Olga F. “Power, Prayer and production: the jola of Casamance, Senegal”, Cambridge University Press, New York, 1992. 5 DARBON, Dominique. "L’administration et le paysan en Casamance", op. cit., p. 203. 264 le attività produttive tradizionali, rendendo maggiormente dipendente la regione dai redditi prodotti all’esterno e dall’arachide1. 3 LE POTENZIALITÀ ECONOMICHE DELLA REGIONE Quanto detto dimostra un fatto inequivocabile: la Casamance è stata certamente penalizzata rispetto alle sue potenzialità dalle scelte di politica economica dei governo Senghor dei primi anni dell’indipendenza. Gli attori principali coinvolti nel conflitto – governo, ribelli, popolazione – sono quasi unanimemente d’accordo nel ritenere che la regione è ricca e verdeggiante2. La Casamance, per la sua posizione geografica è certamente favorita in termini climatici rispetto al nord del paese, decisamente più secco. Le sue potenzialità di crescita sono molteplici e differenziate nella tipologia. Vediamo in breve i prodotti disponibili nella regione, che sono stati largamente trascurati (o comunque non sufficientemente valorizzati) dallo stato i durante i primi 15 anni di indipendenza. 3.1 L’AGRICOLTURA Darbon valuta a 750.000 ettari la quantità di terreno disponibile per la produzione agricola; tuttavia solo la metà sarebbero effettivamente utilizzati. L’arachide è ormai piuttosto diffuso, ma le fluttuazioni nel mercato internazionale e il suo scarso rentimento in termini monatari non fa si che si cerchi di incentivare altre risorse. Tra queste, le colture ortofrutticole potrebbero essere una risorsa importante almeno per il fabbisogno interno: è paradossale infatti che il nord del paese importi ogni anni questi prodotti dal nord Africa senza praticamente utilizzare quelli provenienti dalla Casamance. In questo, è possibile notare ancora i termini dell’emarginazione economica a cui la regione è stata sottoposta e il significato della sua scarsa integrazione all’interno dell’economia nazionale in funzione complementare rispetto alla produzione delle altre regioni. Un discorse simile può essere fatto anche per le colture cerealicole: riso, sorgo e miglio. Il Senegal ogni anno deve importare grandi quantità di questi prodotti dall’estero,pur avendo al proprio interno società che hanno importanti tradizioni produttive alle spalle: si pensi proprio ai diola e alle loro complesse tecniche di coltura del riso. Già negli anni ’70 anche attraverso varie società d’intervento statali, sono stati promossi dei progetti per l’aumento della produzione. Progetti però che non hanno dato i risultati sperati: le risaie continuano a diminuire anche a causa dell’esodo dei giovani e la produzione 1 2 È un circolo vizioso a cui in parte si è già accennato nel capitolo procedente: la migrazione e la scolarizzazione trovano all’interno della crisi produttiva della regione una loro spiegazione; tuttavia, è stato detto che dagli anni ’70 trovare un impiego anche nei ranghi più bassi dell’amministrazione era difficoltoso. Da qui lo sviluppo di un numero sempre maggiore di ‘évolués’ senza lavoro e la frustrazione in termini sociali che questo ha generato. Vedere parte 5, capitolo 1. Da notare la similitudine con il periodo coloniale: parte 3 capitolo 2 e 3. Sulle diverse visioni che gl attori hanno della regione vedere in particolare MARUT, J.C. “Le mythe. Penser la Casamance”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 20–26. 265 risicola non è sufficiente nemmeno per la popolazione locale1. Il mito della Casamance come “granaio del Senegal” nemmeno oggi, così come in epoca coloniale, risponde al vero: il governo, soprattutto con gli interventi degli ultimi anni ha cercato di perseguire sto obiettivo, che però sembra poco realizzabile. Del resto, sebbene la regione sià più favorita dal punto di vista climatico rispetto al nord, non bisogna dimenticare che i cambiamenti climatici hanno colpito anche queste zone: è in questo senso proprio un ‘mito’. Tuttavia, esso rimane ancora particolarmente importante dal punto di vista ideologico e certamente ha contribuito a creare una nuova fonte di malcontento della popolazione verso il governo e le sue politiche2. Altra risorsa particolarmente importante è il cotone, la cui produzione negli ultimi anni è aumentata soprattutto nella Media e alta Casamance. Il governo negli ultimi anni ha puntato sulla sua produzione anche per alimentare l’industria tessile interna. Secondo il Wal Fadjri la zona di Kolda avrebbe dovuto diventare quella di maggior produzione3. Un ultimo paradosso: sebbene la Casamance nel suo complesso è la regione che produce il maggior quantitativo di prodotto nessuna fabbrica tessile è presente e il cotone deve essere quindi trasportato fino a Dakar4. 3.2 LE RISORSE ITTICHE Marut citando i dati forniti dalla stampa senegalese, valuta a 160 miliardi di franchi i redditi prodotti dall’esportazione dei prodotti ittici, il che equivarrebbe a circa un quarto delle esportazioni totali. Questo dato dimostra l’importanza del settore nell’economia del paese. La Casamance ufficialmente sembrerebbe porsi al terzo posto nella produzione, ma molto probabilmente il suo apporto è stato sottostimato dal fatto che spesso il pesce pescato industrialmente nella zona viene dirottato direttamente a Dakar. La popolazione è così impegnata essenzialmente in un tipo di pesca artigianale dai rendimenti ben più limitati rispetto a quelle delle compagnie internazionali che gravitano intorno a Dakar. Più in generale: è la maggior parte della produzione e della trasformazione che, e quasi totalmente la commercializzazione (l’attività più rimuneratrice) che scappano al controllo della popolazione autoctona. Se l’apporto di moneta è importante per l’economia segalese, i casamancesi non possono che ricere una piccola parte della ricchezza prodotta sul loro territorio5 1 Vedere in proposito BOSC, Pierre-Marie. "A le croisée des pouvoirs", IRD Editions, Cirad, 2005. LINARES, Olga F. “Cultivating biological and cultural diversity: urban farming in Casamance, Senegal”, Africa, 1996, 66 (1): pp. 104-121. LINARES, Olga F. “Power, Prayer and production”, op. cit. 2 MARUT, J.C. “Le mythe. Penser la Casamance”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., pp. 20–26. CHENEAU–LOQUAY, Annie. “La raison. Géographie ‘des’ Casamance”, in BARBIER–WIESSER, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit., p. 47–68. CHENEAU–LOQUAY, Annie. “Demain, encore riz? Fin d’une civilisation ?” in Barbier–Wiesser, François George. “Comprendre la Casamance”, op. cit. 3 Wal Fadjri, 20 settembre 1997. 4 Sull’industrializzazione della regione vedere TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit. 5 MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 301. 266 3.3 IL TURISMO Il turismo è tra le risorse più importanti della regione. I complessi principali sono presenti soprattutto del litorale della Bassa Casamance (quindi Cap Skirring, Kabrousse), ma anche sulla Punta Saint–George e a Ziguinchor. Già negli anni ’70, c’è stato un primo sviluppo dell’industria turistica con l’apertura di alcune importanti alberghi destinati ad un turismo di lusso per una clientela occidentale: tra tutti il Club Meditérranée e il Savannah. In seguito alla crisi finanziario dello stato senegalese e il suo ingresso nei programmi di aggiustamento strutturale dal 1979, hanno fatto si che il governo puntasse ancor più sul turismo, tanto per diversificare la propria produzione, che per garantirsi una fonte importante di valuta straniera. La stessa Dakar, negli ultimi anni sotto il governo Wade è stata trasformata in un importante centro congressuale di livello internazionale, attirando così anche un turismo di tipo “politico” ed “intellettuale”. Tuttavia, quanto detto per le risorse ittiche, vale anche per il turismo: i casamancesi hanno beneficiato ben poco dei suoi benefici, anzi hanno dovuto anche subire degli espropri per permettere la costruzione dei complessi alberghieri. Così: attualmente, dall’analisi del turismo emerge, nel mod stesso in cui è pensato – controllato da organismi europei – non ha che pochi rapporti con la popolazione locale. È nelle agenzie d’Europa che ituristi acquistano la loro vacanza, viaggio e soggiorno tutto compreso. Sbarcando direttamente a Cap Skirring o a Ziguinchor, nei complessi alberghieri forniti direttamente dalle industrie europee, non hanno praticamente altre spese da affrontare, a parte qualche souvenir. Il solo beneficio per la regione è la creazione di un certo numero di occupazioni a livello inferiore per un personale con basso salario: guardie, servitori…1 3.4 LE RISORSE FORESTALI La foresta presente solo in questa regione è particolarmente preziosa tanto per la produzione di legno, anche pregiato, che per quella di carbon legno. Sono soprattutto i fulani provenienti dalla Guinea Bissau e dall’Alta Casamance che si occupano della produzione. Esiste però un problema di sovrastruttamento, dovuto al mancato rispetto delle norme riguardanti le concessioni. Inoltre, anche in questo caso, gran parte della produzione non viene trasformata sul posto, ma viene incanalata verso le imprese della capitale. 3.5 IL PETROLIO Negli anni ’60 è stato scoperto un giacimento di idrocarburi al largo delle coste senegalesi, che secondo le stime potrebbe soddisfare i bisogni del Senegal per parecchi anni. Il governo ha preso accordi con alcune compagnie petrolifere straniere (francesi e 1 TRINCAZ, Pierre Xavier, “Colonisation et régionalisme”, op. cit., p. 145. 267 canadesi) per il suo sfruttamento. Tuttavia, ancora oggi il Senegal è ancora costretto a cercare all’estero le risorse energetiche1. I motivi di questo stato di cose sono molteplici. Innanzitutto, c’è un ostacolo economico, ovvero l’assenza di infrastrutture. Lo sfruttamento implica la castruzione di un oleificio e delle strutture ad esso connesse; tuttavia, non disponendo di dati certi circa la convenienza di un simile instimento, le compagnie petrolifere frenano sulla immediata messa in opera. In secondo luogo, ci sono stati importanti ostacoli a livello politico: in primis una disputa, risolta nel 1995, con la Guinea Bissau che rivendicava la propria sovranità sullo spazio marino in cui il giacimento sarebbe collocato. Anche il conflitto, con la situazione di profonda insicurezza che ha creato nella zona, ha notevolmente contributi dopo il 1995 a bloccare lo sfruttamento di questa risorsa. 4 IL CONFLITTO COME UNA RISPOSTA ALLO SVILUPPO Si può affermare, paradossalmente che il conflitto sia nato anche a causa di alcuni tentativi di sviluppo della regione. Gli esempi di seguito riportati, sono delle questioni spinose che hanno avuto un ruolo, per alcuni attori, determinante nella genesi del movimento e del conflitto del 1982 4.1 LA QUESTIONE DELLA LOTTIZZAZIONE DELLE TERRE: L’ESPROPRIAZIONE La lottizzazone delle terre è stata, ed è ancora, un argomento molto dibattuto che ha acceso gli animi della popolazione della Bassa Casamance e di Ziguinchor soprattutto dalla fine degli anni ’70. Nelle interviste raccolte, tanto a livello di autorità politiche che di semplici cittadini, il ricorco delle espropriazioni e delle ingiustizie subite è ancora molto forte e viene portato ad esempio del ‘malgoverno’ a cui la regione è soggetta. Ma facciamo un passo indietro. All’origine della questione delle lottizzazioni, ci sono alcune leggi nazionali che intendevano dare un regime nuovo della gestione terra, un regime che fosse maggiormente razionale e conforme alle esigenze dello sviluppo economico. Le leggi in questione sono: la legge sul demanio nazionale (del 1964) e la riforma amministrativa del 1972. Con la legge sul demanio nazionale, il parlamento senegalese rivoluzionava, almeno sulla carta, le modalità di gestione della terra. se fino ad allora, la terra apparteneva ai villaggi che la gestivano secondo la consuetudine e le esigenze di sussistenza della collettività, con la nuova legge lo stato rivendicava a se la proprietà di tutte le terre non “immatricolate” e non sfruttate. Poiché solo una stretta minoranza aveva fatto formalizzare il proprio diritto al possesso della terra su cui viveva e che coltivava, va da se che la maggior parte delle terre ricadde sotto la giurisdizione statale che venne così a sostituire le autorità tradizionali nella sua gestione. Il demanio pubblico, sempre secondo la legge del 1964, veniva suddiviso in: 1) zone urbane, 2) zone demaniali, 3) terre 1 È di poche settimane fa la notizia che il governo senegalese ha stretto un accordo con quello iraniano per la fornitura di greggio nel 2008. 268 coltivabili, 4) zone pioniere1. La legge era uno strumento utile per lo stato per assicurarsi il controllo della terra al fine di fornire una maggiore certezza giuridica soprattutto agli investitori stranieri. Secondo lo spirito della legge lo stato era così libero di sfruttare il demanio pubblico nell’interesse della collettività, anche attraverso l’esercizio del diritto all’espropriazione o alla concessione di autorizzazioni e concessioni per lo sviluppo di una certa zona o risorsa presente sul territorio. La legge sul demanio era, insieme una riforma fondiaria ed agraria, poiché da un lato unifica il regime delle terre e ne regolarizzava i titoli di proprietà, dall’altro abbozzava l’architettura di un nuovo insieme di strutture amministrative, su cui sarebbe dovuta gravare l’incombenza della gestione territoriale delle risorse2. La riforma amministrativa del 1972 va dunque a completare la legge del 1962, prevedendo, tra l’altro, la costituzione delle “comunità rurali”, ovvero: “un’entità composta da un certo numero di villaggi che appartengono alla stessa unità territoriale, uniti da una solidarietà derivante dalla vicinanza, che comporta interessi comuni e in grado di trovare le risorse necessarie per il loro sviluppo”3. Dal ’79 in poi, quando anche in Casamance, con un po' ri ritardo rispetto alle altre zone del Senegal, vennero organizzate le prime elezioni, le comunità rurali e i loro consigli divennero competenti in materia di gestione e assegnazione delle terre4. Spettava a queste nuove strutture decidere sulle espropriazioni, sulla concessione di autorizzazioni per lo sfruttamento delle risorse, l’assegnazione dei lotti nelle zone urbane, ecc. È proprio la gestione della terra, con i titoli di autorizzazione o di espropriazione, che sono state l’oggetto di una grave crisi tra gli organi preposti alla gestione (e quindi l’amministrazione in senso lato) e i cittadini. Nel corso di vari colloqui mi è stata sottolineata la natura clientelare e spesso ingiusta della gestione della terra, tanto a livello urbano che rurale5. Molti sono i casi citati di persone che si sono viste espropriate della terra dove sorgeva da anni la loro casa, che si son visti assegnare delle terre altrove, spesso in periferia e che infine hanno visto la loro precedente terra assegnata ad uno straniero6. Lo stesso Abbé Diamacoune Senghor è stato protagonista di un caso di espropriazione, vissuto in maniera particolarmente ingiusta. 1 LOI no. 64-46 du 17 juin 1964 relative au Domaine national, art. 1, J.O. no. 3690 du 11 juillet 1964, pp. 905. 2 Sulla riforma agraria e sull’impatto in Casamance, vedere in particolare HESSERLING, Gerti. “Réforme foncier au Sénégal. L’imact de la reforme forcière en Basse Casamance”, Rapport de Recherche, African Studies Centre, Leiden. 3 LOI no. 72-02 du 1er février 1972 relative à l'organisation de l'administration territoriale, J.O. no 4209 du 19 février 1972, pp. 252. 4 Prima del ’79 erano le strutture a livelo del’arrondissement che si occupavano della gestione delle terre. Colloquio personale. 5 Ziguinchor e i territori circostanti sono evidentemente quelli in cui si sono concentrate le maggiori dispute, anche perché sono i terreni maggiormente contesi visto l’alto numero di abitanti. 6 Vedere a proposito l’illuminante articolo di DIALLO, Mamadou. “Litige foncier à Ziguinchor. Des déguerpis réfusent de partir”, Le Matin, 11/12/2000. La querelle, in questo caso, riguarda i quartieri di Boucotte e Peyrissac. 269 Nella brousse i problemi sono stati soprattutto legati allo sfruttamento della terra; le espropriazioni sono state fatte per consentire la creazione di strutture alberghiere o permettere lo sfruttamento di particolari risorse naturali, come quelle forestali e ittiche1. L’aggressione che la popolazione ha percepito alla propria terra, ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita del movimento del 1982. Tanto più che, come già sottolineato altrove, la terra, soprattutto per i diola, riveste un ruolo centrale ed è considerata come un bene da custodire gelosamente all’interno di un ambiente in cui la terra stessa è scarsa e necessita di costanti cure. Il fatto di essere espropriati a favore di popolazioni non autoctone ha fatto si da che un lato si radicasse a livello popolare la percezione dell’ ‘invasione’ e della ‘colonizzazione’ da parte dello ‘straniero’, che venne necessariamente accompagnato da un sentimento di “rifiuto”. Non è un caso che il MFDC indichi tra i principi fondamentali della sua rivendicazione indipendentista: c. Il fenomeno del rifiuto del senegalese colonialista e neocolonialista. 4.2 L’IMMIGRAZIONE: INVASIONE E COLONIZZAZIONE La Casamance, e soprattutto la regione di Ziguinchor è stata teatro da secoli, di varie ondate migratorie2. L’ultima in ordine di tempo è stata quella iniziata verso la fine degli anni ’60, a causa della carestia abbattutasi in tutta la regione e che, come già sottolineato in precedenza ha dato vita al fenomeno del ‘malayse paysan’ nel bacino arachidiero (il triangolo Dakar, Saint–Louis, Kaolak) e all’esodo dalle campagne. I flussi migratori sono stati in gran parte il risultato di migliaia di scelte individuali; tuttavia è da rilevare il fatto che lo stato stesso, nel tentativo di frenare la crisi economico–sociale degli anni ’70 e la pressione sulle città (soprattutto Dakar) ha incoraggiato la migrazione verso la regione più meridionale del paese. Nel documento “L’esquisse de Plan national d’aménagement du territorire” del 1979 si sottolinea il cambiamento demografico in corso della società senegalese, la sua crescita imponente accompagnato da una popolazione sempre più giovane e da un disequilibrio a livello territoriale. Così, nello stesso documento vengono proposti dei correttivi, volti a ripartire meglio la popolazione sul territorio e allo sfruttamento più razionale del territorio3. Così un nuovo flusso migratorio ha finito con investire in maniera forte la Casamance, tanto a livello qualitativo che quantitativo. A livello quantitativo, come è facilmente immaginabile, il numero di persone provenienti dal nord del paese crebbe notevolmente: molti pescatori, contadini e soprattutto commercianti, vennero ad insediarsi nella regione di Ziguinchor. Ma è soprattutto a livello qualitativo che le cose cambiarono: prima la presenza di pescatori wolof o tukouleur era, per esempio, solo temporanea e limitata, ora essi sono ben presenti, iniziano a radicarsi sul territorio e a sfruttarlo in maniera intensiva e industriale. Si insediarono così con un’economia di mercato e dallo spirito fortemente 1 Hesserling nel suo studio parla di 32 concessioni date nelle 3 comunità rurali che circondano Ziguinchor a dei stranieri e rileva anhce alcuni casi di dubbia legittimità delle stesse autorizzazioni. HESSERLING, Gerti. “Réforme foncier au Sénégal”, op. cit. 2 Quella delle popolazioni guineane, sudanesi, europee, ‘nordiste’. Vedere le parti I – III. 3 Esquisse du Plan National d’Aménagement du Territorire, Ministero dell’interno, Direzione della gestione del territorio, Dakar, novembre 1989, cit. da MARUT, Jean-Claude. “La question de Casamance”, op. cit., p. 292. 270 industriale, all’interno di un contesto, quello della società diola, caratterizzato da attività di sussistenza e da una tradizionale avversione per le attività commerciali considerate parassitarie. Così i nuovi venuti, approfittando delle ricchezze della regione e degli strumenti dell’economia di mercato sono diventati i nuovi ‘ricchi’ all’interno di una società essenzialmente povera1. Inoltre: Essi non vogliano l’integrazione. Essi volevano il loro quartiere, la loro moschea. Essi crearono una barriera religiosa e culturale con gli autoctoni. Sembrò disprezzo verso gli autoctoni, e questo non è stato gradito2. La nuova ‘ricchezza’ ha dato spesso agli originari nordisti nuove possibilità tanto a livello politico che economico, contribuento ad alimentare la sensazione di ‘colonizzazione’ e ‘invasione’ del proprio territorio. 4.3 LA GESTIONE DELLE RISORSE: DISTRUZIONE DELL’AMBIENTE NATURALE Tale sensazione è stata acor più aggravata dal fatto che la maggiore pressione sul territorio ha iniziato a creare anche problemi si sovrastruttamento e di distruzione di alcune risorse non soggette ad regole di gestione che ne preservassero anche la conservazione. Lo sfruttamento della foresta, ad esempio, fino ad oggi formalmente chiuso, è stato particolarmente caotico. I disboscamenti a fini agricoli o urbani, la ricerca del carbone del legno3 hanno portato ad una diminuzione dello spazio forestale, soprattutto nei dintorni di Ziguinchor. È ovvio che lo sfruttamento della foresta non è opera escusivamente degli stranieri, tuttavia, a livello locale, si tende spesso allo sfruttamento per l’autoconsumo, a livello di sussistenza. Ciò che è stato contestato invece è la cattiva gestione delle licenze di sfruttamento delle risorse forestali, che avevano un carattere ‘industriale’ e tendevano a favorire i non– autoctoni. Inoltre esisteva anche un problema che si potrebbe definire di ‘bracconaggio’ legato al mancato rispetto delle leggi: lo sfruttamento ha coinvolto anche persone prive di formale licenza e anche nel caso del possesso regolare delle autorizzazioni, lo sfruttamento di tipo industriale si è rivelato troppo forte per consentire il rinnovo delle risorse naturali. Ecco quindi che alla sensazione di esser ‘colonizzati’ e ‘invasi’ si è aggiunta quella di essere ‘saccheggati’: la popolazione autoctona e soprattutto quella diola, per cui la foresta è anche un luogo sacro, ha vissuto in maniera particolarmente forte la distruzione delle risorse forestali. Non a caso la preservazione della foresta rientra tra i punti programmatici del MFDC4 1 Intervista rilasciata all’autrice da Nouhà Cissé, sett/ott 2007, Ziguinchor. Intervista rilasciata all’autrice da Nouhà Cissé, sett/ott 2007, Ziguinchor. 3 Sono soprattutto i fulani che si dedicano a questa attività in cooerazione con I ‘nordisti’ che si occupano del trasporto verso le città del nord affamata di carbone per le attività domestiche: esso infatti viene molto usato come compustibile nella preparazione dei pasti. 4 Documentazione Rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor. Abbé Augustin Diamacoune Senghor, lettera a Blndin Flipo. MFDC, “Casamance, le pays du refus. Reponse à Monsieur Jacques Charpy”, 1995. 2 271 Le stesse osservazioni riguardano anche lo sfruttamento delle risorse ittiche, soggette allo stesso meccanismo delle concessioni e alla dicotomia produzione industriale/produzione artigianale in cui si ripropone la contrapposizione ‘nordisti’/autoctoni. Ma anche in questo caso, la distruzione delle risorse, non è imputabile escusivamente alla pesca industriale: la salinizzazione crescente delle acque dovuta alla diminuzione delle piogge e lo sfruttamento artigianale hanno contribuito alla diminuzione di alcune specie, sopratutto quella dei gamberi, particolarmente importante e redditizia. CONCLUSIONE Ma per nutrire bisogna produrre. Tuttavia, per fare ciò, è necessario riabilitare le terre raggiunte dal Sale, dalla Carestia, dalla deforestazione anarchica, dal deserto. Bisogna migliorare, rafforzare la copertura vegetale delle nostre terre, delle nostre foreste, ordinarie, demaniali o sacre. Bisogna diversificare le colture tradizionali o importate. Accrescere la Flora e la Fauna del nostro Patrimonio. Vegliare ad una giusta ripartizione delle Terre, perché i proprietari tradizionali non siano lasciati senza alcun risarcimento1 L’analisi condotta in questo capitolo ha messo in evidenza le criticità della questione casamancese legate alle strategie economiche dello stato indipendente. Le cause della rinascita del MFDC nel 1982, il successivo conflit e soprattutto il sostegno popolare di cui godeva e gote tutt’oggi il movimento è da ricercarsi nel profondo malcontento che viveva la popolazione alla fine degli ani ’70. Non è un caso che ancora oggi, una delle prime frasi che ricorre tra le strade di Ziguinchor è: I Casamancesi sono stanchi e frustrati2. E sono una stanchezza ed una frustrazione percepibili immediatamente, anche per uno straniero. La questione economica è dunque una variabile importante, sebbene non sia l’unica e non si debba ridurre tutto ad un problema di sottosviluppo. In questo capitolo, si è cercato di mostrare la particolarità del paradosso economico presente in una ragione ricca ma insieme sottosviluppata rispetto al resto del paese; una regione che, nello stesso tempo, mal reagisce ai tentativi di sviluppo economico, rivelando il particolare intreccio economia–malgoverno; altro elemento questo che ricorre spesso nei discorsi riguardanti la questione casamancese. Questo capitolo mostra però come in realtà, la politica dello stato senegalese si sia tenuta in linea nel tempo con il modello di sviluppo coloniale, così come tracciato nei capitoli precedenti. Un modello, basato essenzialmente sulla produzione dell’arachide e sull’appoggio delle grandi confraternite, che ha marginalizzato però le regioni più periferiche. La Casamance, vista la particolarità climatica e la grande varietà di risorse, ha particolarmente sofferto di questa scelta monoculturale, tanto più che a ciò andava ad aggiungersi un isolamento geografico che l’ha posta, paradossalmente, quasi in una 1 Abbé A. Diamacpoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 2 Testimonianze raccolte dall’autrice durante la sua permanenza in loco. 272 situazione di insularità rispetto al resto del paese1. Tutto ciò ha creato la sensazione di essere discriminati dalle decisioni economiche e soprattutto di non beneficiare dello sfruttamento delle risorse della regione2. Figura 33: Limiti e potenzialità della Casamance 1 La situazione geografica e l’assenza di infrastrutture idonee a collegare facilmente la regione con il resto del paese è particolarmente sentito dalla popolazione. Il ripristino del collegamento marittimo Dakar–Ziguinchor dal 9 ottobre 2007 (dopo ben cinque anni dalla tragedia del Joola il 26 settembre 2002!) sicuramente aiuterà a rompere l’insularità. Tuttavia, la situazione viaria all’interno della stessa Casamance e persino a Ziguinchor, rimane grave e non permette spostamenti agevoli da un punto all’altro della regione. 2 Intervista rilasciata all’autrice da Daniel Diatta, sett/ott 2007, Ziguinchor. 273 *** Nel 1960, secondo quanto riportato degli ideologi del MFDC, la Casamance ha deciso di compiere un percorso con il Senegal, al fine di contribuire al reciproco sviluppo economico, sociale e politico. Il Senegal è stato capace di mantenere la parola data all’epoca ai ‘padri’ della Casamance e sottoscritta dalla stesso Senghor nel famoso ‘contratto segreto’? È la domanda a cui questa parte ha cercato di dare una risposta. L’analisi, muovendosi su tre differenti piani – politico, amministrativo ed economico – ha mostrato l’esistenza di tre paradossi che hanno caratterizzato il primo ventennio dell’indipendenza. Ma soprattutto, al di là della veridicità o meno di tale accordo, è innegabile che lo stato senegalese abbia marginalizzato questa regione, impiegando meno energie e risorse per il suo sviluppo economico. Sebbene la storia sia importante per capire le ‘premesse’ da cui deriva la situazione attuale, è nelle vicende del Senegal indipendente che vanno cercate le cause ‘determinanti’ del conflitto, quei paradossi analizzati nei capitoli precedenti, che hanno portato alla nasciata del MFDC. Al di là della fondatezza giuridica e storica della rivendicazione indipendentista, è innegabile che il movimento si sia fatto portavoce, anzi sia divenuto la ‘Voce’ della Casamance, nella denuncia di una situazione di isolamento e frustrazione particolarmente sentite dalla popolazione. Così: Dal 1827 ad oggi, la Casamance ha lealmente percorso con il Senegal un lungo cammino caratterizzato dal comune desiderio di convivenza. Il risultato di questa esperienza è stata piuttosto negativa, sicuramente a discapito della Casamance, soprattutto dal punto di vista politico, economico, sociale, culturale e morale… Nessuno ti può impedire di rivendicare il diritto all’indipendenza addicendo come pretesto che non hai il diritto di pretendere un tuo diritto.1 *** 1 MFDC leaflet, cit. da WOOCHER, Lawrence S. “The Casamance question: an examination of the legitimacy of self-determination in southern Senegal", International journal on minority and group rights, 2000 (7), p. 345. 274 275 EPILOGO 26 DICEMBRE 1982… IL CONFLITTO 276 CAPITOLO 1 UN CONFLITTO LUNGO 25 ANNI Oui, après avoir rendu les Casamançais Plus français des français eux–memes, La France veut aujourd’hui, à tout prix, Faire des Casamançais, mangré eux, Des Sénégalais. Bref ! […] Jamais, après quattre siècles et demi de lutte, Augustin DIAMACOUNE SENGHOR Ne terminera sa memoire renonçant honteusement à L’indipendence Nationale de la Casamance Belle mais pas rebelle, défendue par ses Fils non pas des Rebelles, mais Nationalistes, Patriotes et Résistants1. Il 26 dicembre 1982 ebbe luogo a Ziguinchor una manifestazione pacifica: uomini, donne, bambini, “toutes les ethnies confondues”2 marciarono verso la sede del governo regionale, portando con se dell’acqua, simbolo di pace. La bandiera senegalese venne sostituita, dopo averla piegata con cura, da un drappo bianco, ugualmente segno di pace. I manifestanti chiedevano un tavolo di negoziato in cui presentare al governo le proprie frustrazioni. La risposta fu l’esercito che sparò sui manifestanti, inseguendoli fino al confine con la Guinea Bissau, e l’arresto di numerosi rappresentanti del movimento tra cui Mamadou Diémé e Bassirou Badji (19 dicembre a Dakar), Mamadou ‘Nkrumah’ Sané, Mamadou Sadio, Ablaye Coly, Elias Diémé (20 dicembre), l’Abbé Augustin Diamacoune Senghor3 e Sanoune Bodian (23 dicembre a Ziguinchor)4. Da questo episodio è nata la “guerra imposta” così come viene definita dai separatisti della Casamance. Da allora la storia del conflitto ha attraversato varie fasi, che possono essere sintetizzate come segue: – – 1980/83: prime manifestazioni indipendentiste 1984/90: anni di stand–by e di preparazione dell’offensiva ribelle 1 Abbé A. Diamacoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 2 Intervista rilasciata all’autrice da Bertrand Diamacoune Senghor, sett/ott 2007, Ziguinchor. 3 L’Abbé Senghor nega di aver mai partecipato alle riunioni che prepararono la manifestazione del 1982. Tuttavia, afferma di aver scritto al presidente Senghor e a Abdou Diouf per renderli partecipi dei ‘cattivi presagi’ che incombevano sulla Casamance. Non ebbe mai risposta e venne arrestato alla vigilia della manifestazione. Abbé A. Diamacoune, lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 4 Testimonianze raccolte dall’autrice durante la sua permanenza in loco. 277 – – – – 1990/91: offensiva ribelle e 1°cessate il fuoco 1991/98: controffensiva governativa. Vari cessate il fuoco e tentativi di negoziato 1998/2000: regionalizazione del conflitto con coinvolgimento di Guinea Bissau e Gambia 2000/….: Avvento di Wade e dell’epoca della riconciliazione La regione ha così conosciuto, soprattutto negli anni ’90, momenti molto duri e d’insicurezza, caratterizzati dagli scontri tra i maquis e l’esercito senegalese, gli arresti, le ‘sparizioni’, le torture, oltre che dalla diffusione nel territorio delle mine anti–uomo. Tutto questo, oltre che provocare numerosi lutti, ha evidentemente inciso sulle attività economiche, contribuendo a rallentarle e persino a bloccarle (chiusura delle strutture turistiche in alcuni periodi particolarmente cruenti o abbandono delle risaie minate)1. I giovani della Casamance fino ai 25–30 anni hanno visto gran parte della loro infanzia e adolescenza influenzata dal conflitto. Se si pensa che essi rappresentano oltre il 60% della popolazione della Casamance, si può immaginare quale impatto negativo la guerra abbia avuto a livello sociale. Sono questi giovani che oggi si dichiarano particolarmente fatigués dalla guerra e dal conflitto che chiedono la riconciliazione e la pace nella regione2. I ribelli sono ancora presenti nella brousse e ancora si registrano incidenti, sebbene siano molto più rari rispetto al recente passato. Ziguinchor è ridiventata solo da pochi anni una città tranquilla e al sicuro dagli scontri. La ‘stanchezza’ della popolazione è stata certamente recepita dal MFDC tanto nella sua ala politica che militare. I principali leader politici del movimento, dall’Abbé Diamacoune a Jean–Marie Baji, (l’attuale Segretario Generale del MFDC dopo la morte dell’Abbé nel gennaio 2007), Daniel Diatta, Bertrand Daimacoune Senghor, si prodigano ormai da alcuni anni nella ricerca della pace; la stessa ala militare oggi sarebbe ben disposta a sedersi al tavolo del negoziato con il governo del Senegal. L’indipendenza per il MFDC oggi è solo l’ultima delle tante possibilità che la Casamance può auspicare per risolvere i propri problemi: l’obiettivo principale rimane la ricerca dell’unità interna al fine di arrivare uniti e compatti al tavolo del negoziato, avendo come obiettivo la pace e lo sviluppo della regione. 1 Al proposito, vedere le testimonianze raccolte in AA. “20 ans de conflict en Casamance”, Congad, Dakar, 2002, pp. 29–32. 2 Non è un caso che negli ultimi anni si siano moltiplicate le associazioni spontanee di donne, giovani ecc., oltre che do ONG, che si pongono come obiettivo la risoluzione pacifica del conflitto. 278 È da rilevarsi la nuova fiducia che i leader, oltre che un’alta percentuale della popolazione, hanno verso il presidente della repubblica, Abdoulaye Wade1. La sua volontà di risolvere pacificamente la situazione della Casamance, la disponibilità al dialogo e la volontà di sviluppo della regione non vengono messi in discussione dai leader del movimento, contribuendo a creare una situazione di maggiore distensione2. La situazione oggi rimane quindi ancora fluida, soprattutto dopo la creazione del senato che raggruppa al suo interno tutte le opposizioni presenti nel paese, e quindi anche le istanze della Casamance3. Tuttavia nella bella e verde Casamance, le pays de la Teranga4, tutte le premesse sono ormai poste per la risoluzione pacifica di uno dei conflitti più lunghi del Continente Nero. 1 Abdoulaye Wade viene comunemente chiamato, in segno di rispetto, le gorgi, ovvero ‘il vecchio’ in lingua wolof, e in Casamance è molto popolare. 2 Testimonianze raccolte dall’autrice durante la sua permanenza in loco.. 3 Sebbene nessuno dei principali leader abbia ottenuto un seggio. 4 “Il paese dell’opitalità”: è uno dei tratticaratteristici della regione, quasi uno stile di vita di cui gli abitanti vanno molto fieri. 279 APPENDICE 1 CRONOLOGIA (Fonte: Apran/S.D.P.) 280 281 282 2 ALINE SITOÉ DIATTA 2.1 SECONDO LA TRADIZIONE1 Aline Sitoé Diatta est une femme, c’est à Kabrousse qu’elle habite. Son père et sa mère moururent et l’abandonnèrent alors qu’elle était une enfant et une de ses tantes qui est à Dakar la prit et l’éleva. Elle l’aima beaucoup comme les enfants qu’elle a enfantés. Lorsqu’elle fit assez grande pour une jeune fille, la royauté se mit à la choisir. En pleine nuit, elle entend une voix grave lui dire : ‘Retourne jusque dans ton village ; va les sauver de la famine. Ne crains rien ma chère ; nous allons te donner plus de force sur ton chemin du retour. Quand tu arriveras à Kabrousse, tu entres dans la brousse et tu y dors sept jours. Un jour, à l’aube, elle dit à sa tante qu’elle va rentrer dans leur village. Elle lui dit : ‘Quoi, rentrer ?’ Elle lui dit : ‘Oui !’ Sa tante lui dit : ‘Tu vas m’attendre jusqu’à la fin du mois, je t’achète quelque chose que tu vas emmener pour y passer l’hivernage. Aline Sitoé lui dit : ‘Ne te fatigue pas, donne-moi seulement de quoi payer une voiture pour m’emmener. Quand elle arriva à Ziguinchor, elle passa chez sa soeur Sitoé et lui raconta tout ce qu’elle a entendu la nuit. Sa soeur l’écouta puis lui dit : ‘C’est toi qui es une femme qui va porter ce fardeau ? S’il m’était destiné, c’aurait été mieux.’ La femme reprit son chemin en direction de Kabrousse. Sa démarche fit bien rapide car c’étaient ceux de la terre qui l’accompagnaient vers la brousse de Kabrousse. Effectivement, elle y fit ses sept jours. A sa sortie, son nom se répandit aussitôt dans tout Kabrousse. Lorsqu’ils la virent mettre des pagnes noirs, se mettre des colliers, porter sur la tête une calebasse avec des perles, et avoir à la main un bâton, ils la respectèrent, l’écoutèrent et firent tout ce qu’elle leur disait. La pluie se remit à pleuvoir à grande eau au point de réjouir tout le monde. Aline Sitoé dit aux siens de cesser de cultiver l’arachide et de continuer la culture du riz, tel que leurs pères l’ont indiqué. Elle leur dit aussi de cesser d’écouter la parole de l’homme blanc, de s’aimer également et d’être des travailleurs. Le village de Kabrousse devint un grand village de croyants. Beaucoup de villages y allaient prier pour que la pluie tombe. C’est pourquoi, les hommes blancs qui étaient à la tête de la région de Ziguinchor, se firent du soucis, car à la longue, beaucoup de villages feront comme Kabourousse. Alors, ils envoyèrent des soldats aller arrêter Aline Sitoé, mais la femme sut aussitôt, rassembla son village et leur expliqua; puis elle leur dit: ‘A vous voir debout, je sais que vous avez l’intention de vous battre contre eux ; ça ne vaut la peine de se battre. Quand les soldats arrivèrent à Kabrousse, ils encerclèrent les maisons. Les villageois sortirent se rassembler tous en un endroit. Le chef des hommes blancs leur demanda celle qu’on appelle Aline Sitoé, qui a un courage tel, jusqu’à dire à son village de cesser de cultiver l’arachide. Une femme s’empressa et lui : ‘C’est moi son ami’. Une autre lui dit : ‘Elle ment, c’est moi.’ Quand Aline Sitoé sortit, elle leur dit : ‘Je m’en vais, mais mon esprit est ici, n’oubliez pas ce que je vous ai dit.’ Elle alla se tenir debout devant le chef des hommes blancs. Quelqu’un apporta une corde pour attacher ses mains par derrière. Son chef ne voulut pas, il prit 1 Bassene, Alain Christian. “Description du Joola Banjal (Sénégal)” 283 ses deux mains, enleva la calebasse et lui montra du doigt le chemin. Les femmes chantèrent tout en pleurant, et ils l’emmenèrent. 2.2 SECONDO L’MFDC La résistance casamançaise a toujours été l’affaire de tous, hommes, femmes et enfants. Le soulèvement du Kasa durant la seconde guerre mondiale s’explique si l’on sait que nous étions alors contraints de nous acquitter de cinq impôts : argent, miel, caoutchouc, riz, bétail, sans oublier les autres corvées et la chasse à la mouche tsé-tsé que nous devions rapporter vivante dans des bouteilles. Le climat psychologique préparait les populations à recevoir le message de la reine Alinsiitowe. Rappelons qui était notre héroïne. Alinsiitowe Diatta, de Cabrousse, était domestique à Dakar lorsqu’elle entendit des voix qui lui confiaient la mission de dire à ses frères de résister à toutes les formes d’oppression du colonisateur. Elle tenta en vain de se dérober, mais finit par revenir à Cabrousse et ,à obéir à ses voix. Recherchée par les Français, elle se livra pour éviter la destruction de son village, fut déportée à Saint-Louis, puis à Tombouctou. Le message de la reine Alinsiitowe était religieux, culturel, social, économique et politique : a) le message religieux préconisait le maintien du dogme, de la morale, de la liturgie que nous ont légués nos ancêtres dans la religion traditionnelle, dite animiste. I1 préconisait également la remise en vigueur de la semaine traditionnelle de six jours et le respect scrupuleux du repos du sixième jour, appelé Huyiuy, ou u Jour royal n. Ce rappel contribua au maintien et à l’enrichissement de l’antiphonaire de la liturgie animiste. La reine Alinsiitowe exigea le maintien et le respect scrupuleux de la hiérarchie religieuse traditionnelle. b) Le message culturel demandait le maintien ou la remise en honneur de toutes les valeurs, de tout l’héritage positif que nous ont légués nos ancêtres : littérature orale (proverbes, fables, chants), arts (sculpture, vannerie, poterie), habillement, nourriture, loisirs, toutes les moeurs, les us et coutumes. Cette fidélité n’excluait pas l’accueil de tout apport positif de l’extérieur. c) Le message social prônait l’égalité entre tous les êtres humains, hommes,. femmes, enfants, sans distinction de race, de religion, d’ethnie, d‘âge, de sexe. I1 prêchait l’amour du prochain, l’entraide, la solidarité, la charité. Cela se traduisait par. des repas communautaires lors des sacrifices pour demander la pluie. L‘hospitalité aussi était à l’honneur. Le message d’Alinsiitowe prônait l’unité dans la diversité, le respect de l’autre dans son altérité. d) Le message économique prônait l’abandon progressif de la culture de l’arachide, cause de la destruction des forêts et des bois sacrés et de l’avancée du désert. I1 préconisait le retour aux cultures traditionnelles diversifiées : riz, manioc, patate, haricot, fonio, mil, etc. La reine Alinsiitowe demanda de ménager le riz pour les moments difficiles : ((Je vois venir un temps où le ciel sera fermé et où nous n’aurons plus assez d’eau pour refaire nos réserves comme aux temps anciens. )) Elle proposa la culture du riz hâtif à cause du déficit pluviométrique qui s’accentuerait. Elle déconseilla la culture de l’arachide qui prenait beaucoup de temps aux populations et serait bientôt mal payée. 284 avec l’administration coloniale française. Alors que la France, coupée de l’Indochine et de Madagascar, réquisitionnait le riz de Casamance pour nourrir les populations de la presqu’île du CapVert et surtout le Point d’Appui de Dakar (qui comptait plus de 35 O00 hommes), Alinsiitowe disait à ses compatriotes d’économiser leur riz pour les temps de la sécheresse qui s’annonçaient. Alors que le colon imposait la culture de l’arachide à coups de cravache et d’emprisonnement, Alinsiitowe qualifiait l’arachide de nourriture d‘esclaves, cultivée par des esclaves pour des esclaves, et cause de déforestation. Quoique vaincue, la France n’avait pas l’intention d’abandonner ses colonies. Mais Alinsiitowe annonçait : ((Je vois venir un temps qui n’est pas lointain, où le Blanc qui nous commande va partir et remettra le pouvoir aux fils du pays qui en disposeront; alors disparaîtront les impôts et les corvées qui nous fatiguent ; alors nous ne saurons que faire de cette arachide qui nous restera entre les mains, parce qu’elle ne se vendra plus. e) Le message politique mettait la reine Alinsiitowe en conflit direct Alinsiitowe fut exilée le 29 janvier 1943. Depuis, ses compatriotes demandent son retour au pays natal. Cette demande fut présentée à Senghor au cours d’un meeting mémorable : il fit la sourde oreille. A la suite d’une conférence prononcée le 23 août 1980 à la Chambre de commerce de Dakar par l’abbé Augustin Diamacoune Senghor sur le message de la reine . Alinsiitowe, des bonnes volontés obtinrent que la Croix-Rouge internationale s’intéresse à la question. Mais, en août 1981, une délégation de la CRI venue de Genève fut refoulée à son arrivée à Dakar. 285 3 LE RIVENDICAZIONI DEL MFDC (Congresso di Banjul, 1999)1. TERRITOIRE DE CASAMANCE M. F. D. C. PLATE-FORME REVENDICATIVE Le Mouvement des Forces Démocratiques de la Casamance (MFDC), réuni en Congrès à BANJUL, en République de Gambie, du 21 au 25 juin 1999, a adopté la Plate-forme Revendicative suivante: I)- A court et moyen terme (c'est à dire de 1 à 2 ans) A l'occasion des prochaines négociations sénégalo-casamançaise, nous avons l'intention de demander au Gouvernement Sénégalais de reconnaître officiellement: 1)- L'existence du Peuple Casamançais, distinct du Peuple Sénégalaîs; 2)- L'existence de la Culture Casamançaise, distincte de la Culture Sénégalaise; 3)- L'existence du Territoire de la Casamance, distinct du Territoire du Sénégal, et s'étendant depuis l’Atlantique jusqu'à la Falémé. Dans ce sens, nous avons également l'intention de demander au Gouvernement du Sénégal: 4)- Que les éléments relatifs aux points 1 à 3 de la présente plate-forme revendicative soient clairement inscrits dans la Constitution Sénégalaise; 5)- Que la Constitution Sénégalaise ainsi que l'ensemble des dispositions législatives concernées admettent expressément: a)- Le principe que la Casamance s'auto-gouverne au moyen d'au moins les institutions suivantes: o o o o Un Gouvernement Casamançais ; Un Parlement Casamançais; Un Système Judiciaire Casamançais; Toutes autres institutions nécessaires au gouvernement de la Casamance; b)- Le principe que la Casamance se développe selon des politiques économique, financière, sociale et culturelle qui lui sont propres. La Casamance disposerait alors du pouvoir d'établir son propre budget annuel; c)- Le principe que la Casamance dispose du pouvoir discrétionnaire d'établir ses propres politiques de coopération économique, financière, sociale et culturelle, avec tout autre pays et tout organisme ou organisation internationaux qui en éprouveraient le besoin ou la nécessité, sans en référer au Gouvernement du Sénégal; 1 http//casamance.ifrance.com. 286 d)- Le principe que la Casamance dispose de Délégations qui lui sont propres auprès de toutes les Chancelleries du Sénégal; ces Délégations devant représenter directement tous les intérêts économiques, financiers, sociaux et culturels de la Casamance; e)- Le droit, pour la Casamance, de prétendre à la protection du Sénégal ou de solliciter celle de tout autre pays ami, si elle s'estimait menacée par un pays tiers ou par toute autre puissance extérieure, alors qu'elle ne disposerait pas suffisamment de moyens pour se défendre. La présence militaire sénégalaise ne serait alors tolérée en Casamance qu'à cette fin. 6)- Le MFDC, pour sa part, s'engage à mettre immédiatement en place toutes les institutions nécessaires au gouvernement de la Casamance, dès lors que la présente plate-forme revendicative est adoptée par les différentes parties. Il)- A long terme (c'est à dire, de 5 à 10 ans) 7)- Le MFDC s'engage par ailleurs à organiser une consultation nationale sur l'avenir de la Casamance. Cette consultation nationale, qui ne s'adresserait qu'aux Casamançais, se déroulerait comme suit: 8)- Le Peuple Casamançais élit démocratiquement ses Représentants. Indépendantistes ou non, ces derniers peuvent se réclamer de tel ou tel courant idéologique, à condition toutefois qu'ils ne soient pas des relais ou satellites sous quelle que forme que ce soit pour les partis ou pour le Gouvernement sénégalais; 9)- A la suite d'une telle consultation, l'Assemblée ainsi constituée serait alors considérée comme étant un collège de grands électeurs, dont le mandat est de décider, au nom du Peuple Casamançais et dans son intérêt absolu, de l'avenir de la Casamance; 10)- Ainsi, conformément à un calendrier qu'il. se serait établi, et selon des règles démocratiques qu'il se serait préalablement imposées, le collège des grands électeurs devra décider de l'avenir de la Casamance à la majorité simple; 11)- Dans l'hypothèse où le choix du collège des grands électeurs serait que la Casamance poursuive son aventure sénégalaise, la Casamance resterait un Territoire Autonome sous tutelle sénégalaise, tel que cela est prévu dans les points 1 à 5-afinéa « e » de la présente plate-forme revendicative; 12)- En revanche, dans l'hypothèse du choix en faveur de l'Indépendance de la Casamance, alors ce collège de grands électeurs constituerait de fait une Assemblée Constituante, chargé , e d'élaborer un projet de Constitution Casamançaise et d'établir les règles de son adoption par le Peuple Casamançais; 13)- Le choix d'une Casamance Indépendante doit immédiatement entraîner la reconnaissance, par le Sénégal ainsi que par la Communauté Internationale, de l'État Souverain de la Casamance, membre de fait de tous les organismes ou organisations internationaux dont le Sénégal est un pays membre à la date de la proclamation de l'Indépendance de la Casamance; 14)- Cependant, avant l'adoption de la Constitution Casamançaise, toutes les lois en vigueur à la date de la proclamation de l'indépendance de la Casamance, demeureront 287 applicables jusqu'à ce qu'elles soient abrogées et remplacées par le Parlement, conformément à la Constitution Casamançaise; 15)- Au nom de la Casamance Indépendante, le MFDC s'engage d'ores et déjà à conclure avec le Gouvernement Sénégalais un ou plusieurs accords relatifs au partage des richesses et des dettes du Sénégal respectivement acquises et exigibles à la date de la proclamation de l'Indépendance Nationale de la Casamance-, 16)- Le MFDC s'engage par ailleurs à garantir la sécurité et la libre circulation des personnes, des capitaux et des biens sur toute l'étendue du Territoire de la Casamance, qu'ils soient d'origine casamançaise, sénégalaise ou de tout autre pays. BANJUL, le 25 juin 1999 Le Congrès 288 4 COMPOSIZIONE ETNICA E SEGREGAZIONE SOCIALE A ZIGUINCHOR Fonte: J.C. Bruneau "Ziguinchor en Casamance", CEGET, Bordeaux, marzo 1979, n° 36. 289 5 REPULSIVITà REGIONI SENEGALESI (popolazione maschile) Fonte: J.C. Marut, "La question de la Casamance", op. cit., p. 311. 290 6 RINNOVO DELLA POPOLAZIONE NELLA REGIONE DI ZIGUINCHOR Fonte: 4 J.C. Marut, "la question de la Casamance", op. cit., p. 313. 291 DOCUMENTI RILASCIATI ALL’AUTRICE DURANTE LA SUA PERMANENZA IN LOCO (ZIGUINCHOR, SETT/OTT 2007) 292 1 CARTA ETNICA DELLA SUB–REGIONE 293 2 RISPOSTA AL RAPPORTO CHARPY 294 3 LETTERA DI DIMISSIONI DEL MFDC (16/10/1953) 295 4 IL PRIMO VOLANTINO INDIPENDENTISTA 296 5 LETTERA DELL’ABBÉ DIAMACOUNE SENGHOR PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE AL […] 297 298 BIBLIOGRAFIA ABBÉ DIAMACOUNE SENGHOR, Augustin. lettera inviata a Blandin Flipo, s.d., consegnata all’autrice, Ziguinchor, sett/ott. 2007. 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