“Self Empowerment – Problem solving”
Episodio numero 18: Problem solving circolare
Testo dell’episodio del podcast audio “Problem solving circolare”
Introduzione
Episodio numero 18: “Problem solving circolare”.
Contenuto
A. : Buongiorno a tutti e come sempre un benvenuto ai mie due angeli custodi!
Allora ragazzi siamo in dirittura d’arrivo e oggi la puntata è di quelle piene di argomenti e di
teoria giusto?
D. : Diciamo di sì, parleremo di problem solving circolare.
A. : In che senso si parla di problem solving circolare?
D. : Il problem solving è circolare nel senso che termina con una verifica del piano e quindi con
un confronto tra obiettivi e risultati.
A. : Cioè, con un confronto della testa e della coda del problem solving?
D. : Esatto, ma ciò che è veramente interessante è che la circolarità del problem solving
comporta non solo la verifica dei risultati raggiunti, ma, eventualmente, anche la possibilità di
modificare gli obiettivi e quindi di trovare nuove soluzioni e nuovi confronti con gli obiettivi
stessi, in un processo di affinamento progressivo.
A. : Mi chiedo se sia una pratica usuale, o sempre utile? Più che altro mi chiedo a cosa serva.
G. : Ti rispondo io, Arianna; difatti è una metodologia che si utilizza quando si stabiliscono degli
obiettivi poco validi. In questi casi la circolarità del problem solving contribuisce ad una nuova
valutazione degli obiettivi e a trovarne di più funzionali. Ma la circolarità non investe soltanto la
testa e la coda del problem solving, in quanto ogni fase può costituire un obbligo ed una
opportunità di rivalutare la fase precedente. Le quattro fasi fondamentali del problem solving,
cioè il complesso processo che va dalla identificazione degli obiettivi alla ricerca delle soluzioni
e quindi al loro metterle in pratica, possono, e a volte devono, essere rimesse in discussione in
qualsiasi momento
D. : Ad esempio può essere necessario tornare indietro e ripercorrerle, compiendo in tal modo
dei piccoli circuiti di affinamento progressivo.
A. : Ma è come si iniziasse sempre da zero?
D. : No perdonami, Arianna, qui stai sbagliando. Non si tratta ogni volta di ricominciare da zero.
Quando andiamo avanti nel problem solving, mentre stiamo lavorando ad esempio alle
soluzioni, può accadere di accorgerci di aver definito male il nostro obiettivo. In questo caso, la
ricerca delle soluzioni ci ha fatto capire qualcosa riguardo alla fase precedente.
A. : Ma secondo te è un processo che applichiamo anche inconsciamente?
D. : Alcune persone adottano spontaneamente questo tipo di strategia. Chi è molto orientato
all’azione, ad esempio, tende ad agire “in prima persona” e “prima di pensare”. Questo
comportamento è spesso sconsigliabile, ma non è una strategia del tutto irrazionale. Chi si
comporta in questo modo sa di essere capace di modificare il corso delle azioni con molta
rapidità, ovviamente verificando di continuo l’effetto delle proprie azioni, correggendo
costantemente il tiro e migliorando sempre di più la localizzazione dei bersagli, ovvero
l’obiettivo; vi sono contesti in cui questi comportamenti sono l’unica strategia possibile
(immaginate ad esempio un blitz della polizia in un covo di terroristi).
A. : Quindi man mano che si procede nel problem solving, l’esplorazione di un passo successivo
ci fa comprendere meglio un passo precedente.
G. : Il problem solving ha a che fare non solo con l’intelligenza astratta e con l’intelligenza
pratica, ma anche con la cosiddetta intelligenza emotiva, cioè la capacità di capire e gestire le
proprie e altrui emozioni. A volte, alcune fasi del problem solving possono essere affrontate
solo dopo aver compreso e superato delle emozioni che sembrano bloccare il percorso. E può
accadere che l’occasione di sblocco venga proprio dalla esplorazione di una fase successiva.
D. : Aspettate, provo a fare un esempio. Durante un corso di problem solving che stavo tenendo
come consulente di una cooperativa, affrontammo un problema specifico. L’obiettivo era di
reperire una cifra di alcune migliaia di euro per affittare un ufficio in cui iniziare l’attività della
cooperativa. Andando avanti nel problem solving ci accorgemmo, tuttavia, che al momento di
analizzare le soluzioni, tutte sembravano impraticabili. Apparentemente non erano state ideate
soluzioni soddisfacenti e quindi si propose di tornare al passo precedente della generazione di
idee. Ma anche adottando questo sistema, non si procedeva. Le idee erano asfittiche e poco
convinte. Mancava ogni entusiasmo. In effetti ci rendemmo conto che, nonostante le
dichiarazioni iniziali, solo poche persone erano veramente convinte dell’opportunità
dell’investimento. Decidemmo così di tornare al primo passo: la definizione dell’obiettivo. A
questo punto, finalmente liberi di poter dire le cose che pensavano, i membri della cooperativa
ridefinirono il loro obiettivo in termini completamente diversi: iniziare un’attività redditizia con
le risorse già utilizzabili, ad esempio una piccola sede provvisoria messa a loro disposizione da
un’associazione locale. Le idee vennero fuori rigogliose, e si decise di iniziare un’attività di
trasporto per familiari di anziani ricoverati in una residenza piuttosto isolata. Questo progetto
fu poi realmente messo in pratica e grazie al ricavato fu possibile acquistare un piccolo terreno
dove i membri della cooperativa svilupparono un’attività di sosta per camper.
A. : Ho capito, però così sembra che il problem solving sia sempre una pratica scientifica, una
serie di calcoli su calcoli..
G. : No, tutt’altro… è necessario tenere acceso il nostro canale creativo e saperlo utilizzare al
momento opportuno. Non sempre la creatività si realizza “a comando”.
A. : Ci sarà sicuramente un metodo per utilizzare al meglio questo canale creativo?
D. : Il brainstorming è il mezzo più efficace oggi conosciuto per stimolare l’atteggiamento
creativo. A volte, le intuizioni vengono nei momenti più inattesi, grazie a collegamenti misteriosi
tra la nostra vita quotidiana e le cose a cui stiamo pensando. Sembra che i nostri due emisferi
cerebrali lavorino in modo diverso. L’emisfero sinistro è particolarmente adatto al
ragionamento logico, all’analisi e all’uso del linguaggio. L’emisfero destro è invece
particolarmente abile nelle attività creative. Che questa ipotesi sia una metafora o una realtà
neurologica, la possibilità di integrare le diverse funzionalità dei due emisferi cerebrali
rimanda, in ogni caso, alla sorprendente capacità di essere nello stesso tempo analisti rigorosi
e liberi creatori.
G. : Così, mentre stiamo lavorando in modo logico ad un problema, possiamo lasciare che una
parte della nostra mente rimanga libera di intuire sinteticamente il significato di quello che
stiamo facendo. “Pensiero laterale”, che si riferisce alla capacità di guardare agli aspetti logici
di un problema e contemporaneamente di affrontarli in modo creativo e dinamico, è una bella
espressione che rende bene questa idea.
A. : Ora però mi dovete spiegare che cos’è questo benedetto pensiero laterale..
D. : Parliamo piuttosto di creative problem solving… Che ne dice, prof?
G. : Parti Diego, io ti seguo.
D. : Il creative problem solving è un processo che estende il metodo scientifico di soluzione dei
problemi coinvolgendo una delle facoltà più interessanti e inesplicabili dell’intelletto umano: la
creatività. Secondo T.S. Khun, la creatività è una “scienza normale basata su utili contributi
evolutivi che raffinano e applicano i paradigmi esistenti“. Il problem solving tradizionale è
strettamente legato al metodo scientifico e al pensiero deduttivo: si persegue l’ipotesi che ha la
più alta probabilità di rappresentare una soluzione, viene seguita l’idea dominante;
l’elaborazione è quindi lenta e guidata dalla logica. Il creative problem solving, al contrario,
trova un terreno fertile nel metodo che Edward De Bono definisce pensiero laterale.
A. : Eccoci, insomma, cos’è questo pensiero laterale?
G. : Il pensiero laterale è indipendente da un modello di riferimento e segue ipotesi a bassa
probabilità. L’elaborazione della soluzione è spesso veloce e intuitiva, anche se, al contrario di
quanto possa apparire, richiede un percorso complesso che prima diverge e poi converge sulle
soluzioni. La fase di divergenza consiste nella ricerca e raccolta di casi similari, di informazioni
e di idee, nell’elaborazione di schemi mentali e grafici; una fase, questa, assai dispersiva, che
stimola però il passo successivo, ossia la convergenza verso un’intuizione che spesso è
improvvisa e non è legata a quanto si è ricercato fino a quel momento. Le fasi che favoriscono
l’intuizione sono dettate dai principi operativi del pensiero laterale. Puoi leggere questa scheda
Arianna?
A. : Ok…. “I principi operativi del pensiero laterale sono: dominante;
- ricerca di nuovi modelli di indagine della realtà;
- evasione dal controllo del pensiero logico/deduttivo;
identificazione dell’idea
-
utilizzo di dati e circostanze fortuite e apparentemente slegate dal problema. Le
soluzioni laterali che scaturiscono da questo processo:
capitano di rado;
richiedono lavoro intenso e continuo;
aver lavorato molto sul problema, una volta avuta l’intuizione, appare inutile, ma è
in realtà fondamentale;
richiedono la disponibilità ad abbandonare il percorso fatto e cambiare totalmente
strategia;
compaiono all’improvviso, senza preavviso;
non sono collegate a quanto si pensava prima che comparissero;
presentano un punto di vista nuovo sul problema;
sono accompagnate da una sensazione di sicurezza sulla loro validità.
G. : Ok, grazie Arianna; ricorda che fondamentale, in questo processo, è esporsi a una grande
quantità di stimoli intellettivi, anche di diverso tipo: testi, documenti, conversazioni ma anche
giochi, stimoli artistici e provocazioni. Tutti questi stimoli esterni, se recepiti ed elaborati
mantenendo il focus sul problema da risolvere, aiutano a distruggere l’idea dominante e a
costruire nuovi percorsi in cui la creatività ha un peso decisivo.
Conclusione
Nel prossimo episodio il prof G., Diego ed Arianna parleranno di quando il problema è nel
rapporto con gli altri.