Il ragazzodi Santa Chiara vive tra i giganti della città

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Lunedì 4 Gennaio 2016
www.corrieredelmezzogiorno.it
Pino Daniele
DINO BORELLI
UN ANNO SENZA IL MASCALZONE LATINO
di Maurizio de Giovanni
I
Sul web
È possibile
consultare lo
speciale
dedicato a Pino
Daniele sul sito
internet
www.corrierede
lmezzogiorno.it
l più strano e ondivago tra i fenomeni
sociali è la formazione dell’identità di
un popolo. Man mano che la storia va
avanti essa si costituisce, si perde, diminuisce e si trasforma continuamente. Eppure, a pensarci, una volta acquisita
dovrebbe rimanere così com’è: invece è labile e cambia di generazione in generazione.
Prendete noi napoletani, per esempio.
Dominati, conquistati, invasi senza mai
una guerra d’assedio, senza che mai abbiamo pensato a difenderci e ad alzare barricate. Nati dal mare, accogliamo chiunque
nella spesso fallace convinzione che chi arriva sia meglio di chi c’è; per cui quando si
tratta di cacciare via siamo bravissimi, le
quattro giornate sono un esempio, ma
quando dobbiamo decidere chi siamo,
quali siano gli elementi costitutivi di noi
stessi, siamo molto meno abili.
Qualche volta però capita che arrivi, anzi
che nasca qui, qualcuno in grado di sintetizzare con una parola, un disegno, una nota la nostra identità. Che arrivi, o nasca qui,
qualcuno in grado di arrivare senza sforzo a
chi siamo, e come pensiamo, e quali sentimenti proviamo. Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani; Libero Bovio, Salvatore Di
Giacomo e De Sica e Marotta, e prima di loro Basile, Micco Spadaro hanno alzato i veli
e hanno visto quello che c’era da vedere negli occhi neri di un bambino per strada o
nel canto di un pescatore. E lo hanno raccontato.
L’ultimo di questa fila di giganti è stato il
ragazzo di Santa Chiara. Ha preso in mano
la chitarra, ha alzato gli occhi e ha sentito e
visto il nuovo suono del respiro della città;
ci ha messo il mormorio dei pensieri,
l’amore e la rabbia mescolati alla voglia di
futuro, alla memoria del passato e all’insof-
Il ragazzo di Santa Chiara
vive tra i giganti della città
Ha preso in mano la chitarra e ha sentito il suono, il respiro nuovo di Napoli
Ci chiedevamo: è cambiato? Poi scoprivamo che cambiavamo anche noi
ferenza del presente.
Ha aperto porte e finestre ed è entrato
senza scavalcare davanzali, graffiando e accarezzando come facciamo noi, da queste
parti, quando amiamo e odiamo, spesso
contemporaneamente. Da allora, e quasi
subito, ci siamo sentiti napoletani ogni volta che il ragazzo di Santa Chiara prendeva
in mano quella chitarra. È cambiato lui, un
po’ alla volta, e noi storcevamo il muso e ci
dicevamo: è cambiato. Poi però scoprivamo
che era cambiato nella stessa direzione e
nella stessa misura in cui eravamo cambiati
noi, e ci ritrovavamo a sorridere e canticchiare il suo rumore, che era sempre il nostro. Perché il ragazzo di Santa Chiara, co-
me i giganti che l’hanno preceduto, eravamo semplicemente noi che lo sentiamo ancora cantare nel nostro cuore.
E perché la sua canzone più bella è stata il
silenzio dei centomila che, sotto una pioggia
leggera a piazza Plebiscito, lo hanno guardato andar via senza andarsene mai più.
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Pino
dixit
Spero che le mie canzoni
coltivino il fiore dell’emozione
Da lì nasce la vera coscienza
Il percussionista ricorda il “fratello in blues”
«Una volta mi confidò: io mi ritengo molto fortunato,
dopo l’operazione al cuore dovevo campare dieci anni
e invece ne sono trascorsi ben ventiquattro»
Chi è
 Tullio De
Piscopo è nato
a Napoli il 24
febbraio 1946.
E’ considerato
uno dei più
bravi batteristi
europei
 E’ stato in
particolare
grande amico e
collaboratore
del bluesman
Pino Daniele
di Tullio De Piscopo
«O
gnuno di noi ha un destino e ha
cose da fare - quelli più fortunati
riescono a farle. Tullio, la mia vita
è legata ad un filo. Dopo l’operazione dovevo campare 10 anni, ne sono passati 24.
Personalmente mi ritengo molto fortunato…».
Con la schiettezza e la tranquillità un po’ ironica che lo contraddistinguevano, Pino mi disse
queste parole a Conegliano durante una delle
pause dell’allestimento del tour Nero a metà di
dicembre 2014. È l’immagine, la prima di tante,
che con naturalezza scorrono pensando alla
scomparsa, un anno fa, del nostro “fratello in
blues”. Più rifletto, più mi rendo conto di quanti
punti di contatto esistevano nei nostri modi di
esplorare la vita oltre le vicende professionali e di
quanto riuscivamo ad intenderci nelle vicissitudini quotidiane e nel rapporto col nostro mondo e
con Napoli, la nostra città.
Rivivo con amore e nostalgia i momenti passati
assieme, rivedo Ciro ‘o barbiere, che veniva in albergo e ci radeva mentre discutevamo della scaletta per i concerti di Tutta n’ata storia a Napoli. Indosso ancora quella maglietta che mi regalò nel
2013 pecché nun si chiatto e non hai bisogno di indossare la camicia.’A maglietta è cchiù bella.
Ripenso ai momenti in cui non ci siamo sentiti e
mi rendo conto che non siamo mai stati separati:
la presenza di Pino mi ha sempre accompagnato
mentre componevo una canzone, mentre valutavo
uno strumento, mentre semplicemente acquistavo
un nuovo indumento.
Pino Daniele ha firmato magiche poesie, ha interpretato sentimenti e scritto tanto, fino a porsi
come inevitabile termine di confronto per chiunque di noi abbia intenzione di cimentarsi con la
«Porto sempre
la coroncina
che mi regalò»
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«Ti proteggerà»
Quand’ero ricoverato
se la sfilò e delicatamente
la appoggiò attorno
al mio collo e sul petto
produzione di liriche legate a Napoli. Il suo blues,
la sua musica dal respiro ampio e globale, dal jazz
alle contaminazioni etniche, fino alle sperimentazioni coi madrigali e Gesualdo da Venosa, la sua
voce particolare e unica, il suo legame a doppio filo
con la realtà partenopea, lo hanno portato in tutto
il mondo, hanno dato lustro a Napoli e all’Italia allo stesso modo in cui il soul di Ray Charles ha fatto
per gli States. La filosofia di vita di Pino era intrisa
di volontà e fatalismo e di amore per i suoi figli e la
sua chitarra. Vai mo’, ca si nun vai mo’, nun vai
cchiu era solito affermare, celebrando con forza la
sua voglia di andare sempre avanti.
Sin dal suo primo lavoro, Terra mia, ho cominciato a capire ed apprezzare la sua Musica, che era
anche la mia Musica. Emergeva immediatamente
un grandissimo gusto negli arrangiamenti e la capacità innata di valorizzare le qualità dei musicisti;
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Pino era solito cercare la circolarità nei brani, tollerava l’”errore singolo” ed il groove che poteva andare più veloce o più lento, ma mai “statico” e “parallelo”: è una impostazione particolare che ha aggiunto grande spettacolarità a tutti i tour che abbiamo fatto assieme.
La vita in tour era concitata, il feeling fra di noi
molto alto ed il rapporto coi fans intenso e pieno di
entusiasmo. In uno dei primi concerti ad Alghero,
un fan in mezzo al pubblico riuscì ad impossessarsi e far sparire la famosa sciarpa di Pino (che gli
avevo regalato, sottraendola a mia moglie). In quegli anni la indossava a ‘mo di capotribù indiano,
caratterizzando così quell’icona che ancora oggi
tutto il suo pubblico ricorda. Inaspettatamente il
giorno dopo ad Olbia in mezzo a tantissima gente
individuai lo stesso fan che si era impossessato
della sciarpa, riuscendo a farmela restituire. Pino
Sul palco
Nella foto grande Tullio De Piscopo con Pino Daniele
e nelle altre il percussionista in alcune foto d’epoca
Sono lunatico da morire,
un momento sono felice
e l’attimo dopo depresso
sapeva dare conforto e mi ha dato conforto in uno
dei miei momenti più bui. Ero reduce dalla lotta
col male oscuro, che si era impossessato di me.
Venne a trovarmi in ospedale. Era visibilmente affranto, ma, mentre mi parlava, infondeva serenità
e amore. Ad un certo punto, dopo un istante di riflessione, spostò lo sguardo sulla coroncina che
indossava da sempre sotto la maglietta. Una coroncina di cotone nero, finemente intrecciato, terminata con una piccola croce. Se la sfilò e delicatamente la appoggiò attorno al mio collo e sul petto.
«Ecco Tullio, voglio lasciarti questo pensiero,
mi ha protetto in tutte le situazioni avverse, ma
credo che ora tu ne abbia più bisogno».
È stato un momento che non potrò mai più dimenticare: da allora, tutti i giorni, quando indosso
la coroncina per uscire, la figura di Pino e le sue
parole mi sorreggono come un viatico.
Penso che ad un anno dalla sua scomparsa i valori che Pino Daniele comunicava attraverso la sua
poesia e la sua musica siano più che mai vivi in tutti noi; Pino credeva con forza nei progetti che portava avanti sopportando serenamente le “cose del
mondo”, alimentava la fede in sé stessi e nei grandi
uomini, sosteneva la ribellione contro i soprusi, le
ingiustizie ed i ‘furbi’, «quelli che ti hanno imbrogliato, ma che poi alla fine si sono imbrogliati da
soli».
Caro Pino, solo dopo che sei passato a nuova vita, in tanti si sono accorti di quanto ti amavano. Il
miglior modo per ricordarti, in questo anniversario, è attraverso il silenzio, senza fare rumore, perché il rumore e chi grida troppo non ti piacevano.
Ti ferivano le orecchie.
Con te per sempre. Tullio
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Non sopporto le persone che
appaiono troppo sicure di sé
Un po’ di umiltà ci vuole
«Era goffo ma simpatico, voleva suonare»
James Senese e il primo incontro con Pinotto: «Mi telefonò e disse: sono Giuseppe Daniele
e vorrei conoscerti. Mi fece ascoltare i pezzi che aveva scritto, mi piacquero immediatamente»
Chi è
 Gaetano, per
tutti James, è
nato a Napoli il
6 gennaio
1945 nel rione
Miano, figlio di
James Smith,
soldato
afroamericano,
e di Anna
Senese. Ha
iniziato
giovanissimo la
carriera di
sassofonista
 Fondatore
del gruppo
Napoli
Centrale, ha
collaborato ai
dischi d’esordio
di Pino Daniele
«L
a nostra amicizia
risale agli inizi
degli anni ’70. Un
giorno ero a casa
mia a Miano – ricorda James
Senese – stavo ascoltando musica, stavo suonando, quando
squillò il telefono. Dall’altra
parte della cornetta un giovane mi chiedeva se potevo incontrarlo; voleva conoscermi e
suonare nei Napoli Centrale.
Si presentò: ‘mi chiamo Giuseppe Daniele’».
Mister Sax James Senese così ricorda il primo incontro
con quello che sarebbe diventato uno dei suoi fratelli di
musica, proprio come accaduto qualche anno prima con
Mario Musella e Franco Del
Prete.
«Qualche giorno dopo la telefonata – continua James venne da me. Era grande, un
po’ goffo ma molto simpatico.
La cosa che mi colpì subito fu
il suo entusiasmo, il suo amore per la musica, per la chitarra
e per la sua città. Non stava
nella pelle. Mi fece ascoltare
una manciata di canzoni che
aveva scritto e mi piacquero
immediatamente. In quei suoi
primi pezzi, per niente acerbi,
già c’era dentro tutta la sua napoletanità verace, mai eccessi-
Napoli Centrale
James Senese
ha tenuto
a battesimo
Pino Daniele in
Napoli Centrale
e poi con lui
ha stretto
un prolifico
sodalizio
va, mai sguaiata che si sposava
con il blues, il jazz, mediterraneo».
«Mi chiese subito dopo aver
suonato cosa ne pensassi,
guardandomi negli occhi quasi a voler capire prima delle
mie parole il mio giudizio. Gli
dissi ‘ok Pino però a me serve
un bassista non un chitarrista,
a chitarra già ci sta’. Lui mi rispose ‘ma io suono la chitarra’.
‘Nun fa niente’ gli dissi ‘prendi
questo basso e suona’, lui sorrise e iniziò. Con i Napoli Centrale ci accompagnò qualche
volta solo dal vivo. Negli anni
non ci perdemmo mai di vista
fin quando non mi volle accanto a se a partire dal suo di-
sco omonimo del 1979».
Da allora nacque un sodalizio artistico tra i più prolifici e
importanti del panorama musicale nazionale. «Proprio così. Pinotto è stato uno dei più
grandi artisti non solo di Napoli e neanche solo del nostro
paese – continua Senese - ed
io col mio sax ho ricamato al-
cune delle sue più belle composizioni, quelle contenute in
album cult come Pino Daniele,
‘Nero a metà, Vai mo’. Da gennaio scorso ho perso un altro
fratello, com’era accaduto anni
orsono con Mario Musella. Se
ne sono andati via entrambi
molto presto. Il dolore per la
loro perdita è insanabile. Io
provo a ricordarli entrambi
ogni sera soffiando nel mio
sax, suonando. Alcune volte
l’emozione è talmente forte
che mi si strozza il fiato ma poi
penso a loro che mi dicono Jè
ca stai cumbinann … sona per
nuje ca stamm ‘ccà cu ttè.
«La notte che Pino è volato
via – conclude Senese – mi
sentivo strano, non riuscivo ad
addormentarmi. Mi svegliai di
soprassalto impaurito, sudato,
avevo addosso una strana e
brutta sensazione. Poi uno
squillo, il telefono, la notizia
assurda… non ci credevo, pensavo fosse solo uno scherzo di
cattivo gusto. Poi vidi su internet lo scritto di Eros Ramazzotti che salutava il mio amico.
Pino e la sua musica sono stati
un dono per tutto il mondo:
un altro come lui non nascerà
più».
Carmine Aymone
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Ho dei sogni irrealizzabili: uno è
Sting, l’altro è Howard Jones, un
altro, parrà strano, Boy George
L’intervista /1 Il chitarrista britannico
L’intervista /2 Il sax dei King Crimson
Phil Palmer
«Le nostre giornate
passate a suonare»
Mel Collins
«Un vero privilegio
lavorare con Pino»
«Io e lui eravamo soul mates, anime gemelle»
«Creava la stessa magia in studio e sul palco»
«P
P
ino ed io eravamo soul
mates, anime gemelle. Ci
univa l’amore per la musica e soprattutto per la chitarra. È stato un grande artista e per me
un grande amico. Nel mio animo oggi c’è
una ferita profonda. Trascorrevamo
giornate insieme a casa sua a suonare,
comporre; il tempo volava via in fretta,
senza accorgercene». A parlare è Phil
Palmer, ex Dire Straits, leggendario chitarrista britannico, negli ultimi anni al
fianco del mascalzone latino con cui ha
co-prodotto Tutta n’ata storia– Vai mo’
– live in Naples, il cd/dvd del concerto
del 2008.
«Grazie a Pino – continua il musicista
- ho conosciuto dai suoi racconti la sua
città, Napoli. L’ho visitata quest’estate in
occasione della mostra Rock! al Palazzo
delle Arti di Napoli e passeggiando tra le
sua strade, i suoi vicoli, le sue piazze, osservando il mare, ho compreso perché
lui l’amava così tanto pur vivendo fisicamente lontano. Napoli è proprio vero – e
lui me lo diceva - prende l’anima, grazie a
quella sua energia così densa, forte, che
sembra alimentare anche la sua gente.
Ricordo con affetto il nostro concerto
nello stadio di Cava de’ Tirreni al fianco
dell’amico Eric Clapton, fu un live-progetto benefico “Concert For Open Onlus
- In Aid Of Children”. In quello stesso stadio avevo già suonato nel luglio del 1992
con Mark Knopfler e i Dire Straits in occasione dell’ “On Every Street World
Tour”. Pino quella sera era molto emozionato ma felice come un bambino. La
sera prima dell’evento facemmo tutto il
concerto a porte chiuse come prova generale. Ricordo che durante un suo assolo Eric Clapton scese dal palco, si sedette
su una sedia, e dopo averselo gustato lo
applaudì sorridendo, Pino si commosse». Phil Palmer, che ha scritto anche la
prefazione del volume edito da Rogiosi
«Napule è. I Luoghi di Pino Daniele», attualmente è impegnato con il progetto
musicale «Promised Land» realizzato
con sua moglie, nonché produttrice e artista Numa. Un progetto in supporto dei
popoli che fuggono dalla miseria e dalle
guerre. Il brano «Promised Land» scritto
da lui con Paul Bliss ed interpretato da
Numa, che vede la partecipazione di al-
cuni tra i più grandi musicisti del mondo, come Steve Ferrone, John Giblin e
Danny Cummings, è un inno alla pace e
all’unione tra i popoli. «”Promised
Land” – spiega Palmer - è la terra promessa che tutti cerchiamo e che risiede
prima di tutto nei nostri cuori. Tratta il
tema tanto attuale dei profughi. Di chi è
costretto ad abbandonare la propria casa
per cercare un futuro altrove. Famiglie
che scappano dalla propria terra, schiacciate dal dolore, dalla fame». Palmer è
uno dei più grandi chitarristi del mondo,
nipote d’arte (i suoi zii sono i fratelli Ray
e Dave Davies dei Kinks), ha suonato con
artisti come Bob Dylan, Frank Zappa, Pete Townshend, Eric Clapton, Roger Daltrey, Elton John, Tina Turner, George Michael, Bryan Adams, Robbie Williams e
Celine Dion. Nel 1991 ha partecipato alla
registrazione dell’album «On Every Street» dei Dire Straits, partendo con loro
per il tour mondiale. In Italia è noto per il
suo assolo entrato nella storia nel brano
di Lucio Battisti «Con il nastro rosa» e
per aver lavorato con Baglioni, Ramazzotti e per molti anni con Renato Zero.
Ca. Ay.
Ex Dire Straits
Phil Palmer ha
coprodotto il
cd/dvd del
concerto del
2008 «Tutta
n’ata storia Live in Naples»
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ino Daniele è stato il più internazionali dei cantautori italiani, per aver collaborato in tempi
non sospetti con numerosi artisti stranieri e di diverse estrazioni musicali. Nell’orbita sonora del mascalzone latino è entrato anche il sassofonista e flautista britannico Mel Collins.
Collins è una vera leggenda; è stato
membro dei King Crimson di Re Cremisi Robert Fripp (dal 1970 al 1972),
della progressive rock band dei Camel,
dei Caravan, dei Dire Straits. Ha suonato con icone della musica popolare
contemporanea come Bryan Ferry, Rolling Stones, Eric Clapton, David Sylvian, Tears for fears, Tina Turner, Tom
Waits, Joe Cocker, Pete Townshend, Terence Trent D’Arby, Phil Manzanera solo per citarne alcuni. Nel 1984 inizia la
sua collaborazione con Pino Daniele
lavorando alla registrazione dell’album
Musicante il sesto in studio dell’artista
di Santa Chiara, contenente brani ormai entrati nell’immaginario collettivo
di più generazioni come Lazzari felici,
Keep on movin, Stella nera, Santa Teresa. Da allora Collins parteciperà anche ai dischi Bonne Soirèe (1987) e Boogie Boogie Man (2010) del mascalzone
latino. Racconta: «Pino è stato un grande musicista. Un chitarrista sensibile,
dotato e dal suono unico, amato e stimato da tutti i suoi colleghi. Un musicista in grado di creare canzoni che racchiudessero le melodie delle sue origini mediterranee col blues americano e
il rock di matrice britannica. Tutto in
lui avveniva in maniera naturale, fluida. Suonava sempre col sorriso e con la
gioia di farlo. Era instancabile, viveva
per la musica. Iniziammo la nostra collaborazione verso la fine del 1983. Radunò attorno a sé grandi musicisti come Alphonso Johnson al basso, il percussionista brasiliano Nanà Vasconcelos che andarono ad aggiungersi ai
suoi cari amici e fidati compagni di
viaggio musicale Rino Zurzolo al basso, Joe Amoruso alle tastiere e Agostino Marangolo alla batteria. In studio si
respirava tra noi un bel clima, tutto era
musica. Cosa questa che ho riscontrato
anche negli anni successivi lavorando
con lui ad altri dischi. In Bonne Soirèe
ad esempio cambiò la formazione,
c’erano Pino Palladino al basso, Jerry
Marotta alla batteria, Mino Cinelu alle
percussioni e Larry Nocella (che suona
il sax nel brano Boys in the night). Stessa cosa nel 2010 con il disco ‘Boogie Boogie Man’ in cui c’erano altri musicisti
straordinari come Rachel Z al piano,
Matthew Garrison al basso e Omar
Akim alla batteria. Nonostante le diverse formazioni, Pino era capace di creare sempre la stessa magia, in studio e
sul palco, con chi gli era al fianco. Con
la sua scomparsa non è solo Napoli e
l’Italia che hanno perso e pianto un
grande artista, un loro amico, ma tutto
il mondo». Conclude: «Ovunque andasse Pino era stimatissimo e rispettato da colleghi, pubblico e addetti ai lavori. E’ stato un vero privilegio aver potuto condividere un po’ della mia storia
musicale con la sua». Mel Collins ora è
di nuovo in tour con i King Crimson di
Robert Fripp con Tony Levin al basso,
Jakko Jakszyk alla chitarra, e i tre batteristi Gavin Harrison, Bill Rieflin e Pat
Mastelotto.
Carmine Aymone
Le altre collaborazioni e contaminazioni internazionali
Da Pat Metheny a Chick Corea «A me me piace ‘o jazz»
«A me me piace ‘o blues», sì ma pure ‘o jazz,
potremmo dire parafrasando uno dei titoli più
fortunati di Pino Daniele. Ed è grazie a questa
passione se tanti ragazzi degli anni ’80 hanno
scoperto grandi musicisti americani. E Pino
appariva in fondo come uno di loro,
desideroso di incontrare i propri idoli ma con
un jolly in più, quello di coinvolgere queste
grandi star all’interno di progetti musicali. Una
vera e propria vocazione iniziata nel 1982 con
la collaborazione «live» con Gato Barbieri in
Fiesta e poi con Bella ‘Mbriana, il quinto album
di Pino, in cui schiera niente meno che due
Weather Report: il sassofonista Wayne
Shorter e il bassista Alphonso Johnson. Il
1984 è un altro anno di intensi incontri come
quello con Bob Berg che incide uno
struggente assolo di sax tenore in Io vivo
come te registrato dal vivo e inserito
nell’album live Sciò. E ancora l’incontro con il
guru del «nu jazz», il trombettista Don Cherry
invitato a suonare in Stop Bajon, il brano
scritto da Daniele per l’album Acqua e viento
di Tullio de Piscopo, registrato nel 1983. E
un’altra partecipazione a un suo album,
Musicante del 1984, è quella del fantasioso
percussionista brasiliano Naná Vasconcelos..
Dischi, quindi, ma anche indimenticabili
partecipazioni a concerti, come quello del 17
luglio del 1988, con Pino ospite a Perugia di
«Umbria Jazz», per suonare la chitarra con la
prestigiosa band del batterista Steve Gadd e
del contrabbassista Eddie Gomez,
comprendente anche Ronnie Cuber al sax
baritono, Richard Tee al piano e Cornell
Dupree alla chitarra. Nel 1991 altre due
importanti incontri, con i Yellow Jackets, con
cui suona dal vivo, e con Mick Goodrick, lo
storico chitarrista post bop a cui affida un
assolo in Che soddisfazione, compreso in «Un
uomo in blues». Il 1993 è l’anno di Chick
Corea, chiamato ad accompagnare la sua
voce nell’album Che dio ti benedica, per
cantare Sicily; poi si va a Ralph Towner, la
mitica chitarra degli Oregon a cui affida lo
strumentale Two pisces in alto mare, per finire
con Randy Crawford che traduce in inglese e
fa sua in tournée la celebre Quanno chiove,
King Crimson
Mel Collins ha
collaborato con
Pino negli album
«Musicante»,
«Bonne Soirée»
e «Boogie
Boogie Man»
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ovvero It’s raining, mentre si lascia
accompagnare dalla chitarra di Pino nel suo
cavallo di battaglia Street life. Solo due anni
più tardi il tour di Non calpestare i fiori nel
deserto con un altro gigante del jazz come Pat
Metheny. Ancora un chitarrista, Al di Meola, le
cui atmosfere latine hanno sempre
affascinato il cantautore napoletano. Ormai
Pino si è trasformato in una grande stella pop,
ma non rinnega le radici blues e i suoi amici
jazzisti, anzi. In Medina, del 2001, convoca dei
mostri di tecnica come il vibrafonista Mike
Mainieri, il bassista Victor Bailey e il batterista
Peter Erskine, lo stesso che registrerà con lui
anche Passi d’Autore del 2004 e Il mio nome è
Pino Daniele e vivo qui del 2007. Infine grande
tris di percussionisti per il suo ultimo album in
studio, La grande madre del 2012, con Mino
Cinelu, Steve Gadd e Omar Hakim. Infine con
Eric Clapton (foto) suonò a Cava de’ Tirreni in
un memorabile concerto il 24 giugno 2011.
Stefano de Stefano
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Quel «niente»
che è tutto
Viento e quella Notte che se ne va Lecce-Napoli Je so’ pazzo
Il manifesto
I know my way il rito liberatorio
di Napoli onesta nostalgia ribelle I miei anni beati
di Enzo d’Errico
di Gianluca Abate
di Angelo Agrippa
di Mirella Armiero
di Salvatore Avitabile
di Titti Beneduce
Ci sono piccole
frasi che si rincorrono in una vita e che
il passare degli anni
rende diverse. Una è
certamente: Senza
‘e te nun so’ niente.
Ma sussurrarla nell’incendio di un
amore giovanile, quando il tempo
non ha perimetro e le parole sono
sempre pronte a un altro viaggio,
non ha lo stesso gusto del pronunciarla oltre la metà del cammino, di
fronte alla linea dell’orizzonte. Perché sai che quel «niente» è autentico,
carnale. Come i versi di Pino. Che oggi canto con lo sguardo affondato negli occhi della donna che per me è
tutto. E senza la quale «nun so’ niente». Davvero, finalmente.
Rinchiudere
la storia di Pino
in una canzone è
un po’ come
suonare la chitarra costretti a
utilizzare un solo accordo. Ma, se proprio devo scegliere, dico Chi tene ’o
mare (ascoltatela nella versione cantata con Franco Battiato). È un manifesto della napoletanità onesta. Quella di chi
ama la sua città, ma vede ogni
giorno questa città lasciarlo
con la bocca secca. «Fesso e
contento», insomma. E consapevole che non sarà solo la
bellezza a salvarci. Ché chi tene
’o mare non tene niente.
Ho scelto
Viento, benché
sia complicato
staccare un solo
petalo da una
rosa fitta di canzoni che ha animato il sottofondo musicale
della mia gioventù. Viento, in
età matura, mi restituisce la
forza di una nostalgia rivoluzionaria e il rimpianto di un
orizzonte ideale di cui avverto
(e spero con me tanti altri miei
coetanei) una terribile mancanza. Del resto, la opaca e disorientante caducità del nostro tempo si rende spesso più
umiliante di qualunque fugace
illusione adolescenziale.
Melodia lenta
su uno struggente ritmo
blues, Notte che
se ne va aprì uno
squarcio nella
mia ingenua visione del mondo, nei beati anni dell’adolescenza. Pierluigi
era un mio compagno di classe un po’ più addentro alle cose della vita e mi rispose con
una certa ruvidezza quando gli
chiesi cosa significasse «fare
‘e cartune». Prima di allora
ignoravo che qualcuno per vivere potesse girare la sera per
le strade a raccogliere cartoni
buttati via da altri. Me lo ha insegnato Pino Daniele.
Era il 1981
quando a Discoring ascoltai per
la prima volta
Yes I know my
way di Pino Daniele. Rabbia,
energia, calore: divenne la colonna sonora della mia adolescenza. Sono passati tanti anni
e oggi lo è ancora, soprattutto
per me che, per circa vent’anni, ho lavorato tra Roma e Lecce. Ogni volta che in auto tornavo a Napoli ascoltavo subito
il «mio» pezzo, un vulcano di
energia e allegria che mi rendeva orgoglioso di essere nato
a Napoli. Accade ancora così
quando viaggio.
Erano gli anni
dell’adolescenza: mi rispecchiavo in quella
canzone graffiante e innovativa con finale
catartico, che le prime radio libere trasmettevano di continuo. Assieme a «Gianna» di
Rino Gaetano, Je so’ pazzo fu
la colonna sonora del mio
1978. Ma le canzoni scandivano momenti di allegria in un
contesto già percepito come
cupo: l’incubo del terrorismo,
la crisi economica, le tensioni
sociali pesavano. Ero una ragazzina ma già lo sentivo, quel
peso.
Il nostro
Pino
Napule è, brano Anna verrà
Ricco e povero Furtunato, vince Je sto vicino a te Appocundria
senza stereotipi Un giorno di sole in una canzone ogni stanchezza Il mondo è sporco L’apatia buona
di Antonio De Rose
di Michela Esposito
di Vincenzo Esposito
di Carmine Festa
di Natascia Festa
di Vanni Fondi
Non ho dubbi, è Napule è:
poesia dissacrante, dirompente, penetrante, che mi è entrata dentro è c’è
restata nel tempo. Prima di Pino Daniele la canzone napoletana era ferma ai vecchi stereotipi di amore, pizza e mandolino. In Napule è, la città non è
più ‘o paese d’ ‘o sole e d’ ‘o
mare, ma quella dei contrasti e
della varietà di umori, colori,
atmosfere. In questo brano Pino Daniele «fotografa» un’altra Napoli, quella che, immutabile, abbiamo ancora sotto
gli occhi.
Anna verrà.
Era il 1989 quando Pino Daniele
pubblicò questa
canzone e io mi
ero da poco sposata. Iniziavo una
nuova vita entusiasta ma anche
timorosa. Sono legata a questa
canzone perché Anna verrà è
un inno alla speranza di un futuro migliore, esprime la voglia
di cambiare il mondo. Anna
verrà e sarà un giorno pieno di
sole e allora sì ti cercherei forse
per sognare ancora, sì, ancora… e io speravo che la mia vita
fosse proprio così un giorno
pieno di sole. Anna è stata di
buon auspicio.
Canzone di
speranza e di disperazione, una
foto di Napoli in
melodia e delle
mille contraddizioni di una città
ricca e povera allo stesso tempo. Ho sempre pensato che
una canzone è bella quando ti
fa provare i brividi sulla pelle.
E questa lo fa, sempre. Almeno a me. Chi tene ‘o mare ‘o sai
nun tene niente, ma detto da
chi pensa l’esatto contrario.
Abbiamo molto ma non sappiamo sfruttarlo. Napoli è povera dalla spiaggia verso l’interno. È la città più ricca d’Italia dalla spiaggia verso il mare.
Ho sempre
pensato di essere uno come lui.
Furtunato. Sì
perché lui è uno
che va avanti.
Nonostante tutto e tutti. Conosce la fatica anche fisica del lavoro duro, ogni
mattina spinge un carretto di
taralli, ma lo fa con leggerezza
e ironia. Saluta, scherza. Sa
leggere l’anima vera delle persone. Capita che la vita ogni
tanto mi presenti, come fa con
tutti, qualche difficoltà, una
stanchezza. E quello è il momento in cui nella mia mente
ripeto: furtunato tene ‘a rrobba bella. E vado avanti.
Quando uscì
q u e s to b r a n o
(1979), non riuscivo a capire
perché Pino dicesse «je sto vicino a te, pecché
‘o munno è spuorco». Bambina, mi chiedevo: sporco di
che? Poi ‘ncoppa ‘a sagliuta
degli anni, vivendo con e ciento strilla attuorno, consapevole di fatti visti e scritti, per i
quali jesce pazzo tutt’e juorne
pe’ capì, finalmente m’è stato
tutto chiaro: ‘o munno è proprio spuorco. Per questo ci
vuole chi sta vicino a te «pe’
nun piglià cadute» e «fin’a
che nun duorme».
I brani brevi
di Pino Daniele
sono un mondo
a parte che celebra e chiude
compiutamente
i suoi dischi.
Ma, più che l’alleria, a definire meglio l’uomo e l’artista è
l’appocundria. Quella narrata
da Pino non è l’ipocondria,
ma un’apatia tutta napoletana, un’indolenza buona. Di
chi ha sempre voglia anche
quando è sazio, ma che ti fa
dire di essere a dijunu. Un’appocundria che scoppia ogne
minuto ‘mpietto, ma che è
niente, non fa niente: è di tutti
e di nisciuno.
I miei legami
Quando salpò Amarcord felice Io, lui e mio figlio Un antidoto
quel Ferry boat dei luoghi di Pino È amore puro chiamato alleria con Terra mia
Contaminazioni
da Gay Cavalier
di Chiara Marasca
di Luca Marconi
di Silvia Marotta
di Antonio Matarese
di Imma Meoli
di Anna Paola Merone
Una sola canzone? E come si
fa? Ok, allora pesco un pezzo tra i
primissimi che
ho ascoltato, perché ho la fortuna
di ricordare quel pomeriggio in
cui infilai una cassetta nel registratore. Era di mio fratello, gliel’aveva registrata un amico, di cui
ero cotta. Un “amore” passeggero mi traghettò verso una passione inesauribile. A bordo di un
Ferry boat. Mi stregò il ritmo, irresistibile, il mix linguistico, mai
sentito, il sapore del viaggio. In
un attimo ero su quella nave ca
luntano ce porta e nun ce fa penzà. Non sono più scesa.
È bello ricordare Pino sereno e in viaggio.
C i s o n o t a n te
canzoni che anche solo per un
istante hanno finito per accompagnare molte
delle nostre giornate dal risveglio, dint ‘e viche ‘miezz’ all’ate, non a caso due colleghi
che Pino lo hanno conosciuto
da vicino ci hanno scritto un
libro su “Napule è..i luoghi di
Pino Daniele”, diventato poi
una docufiction e presto anche un’app per turisti, anche e
soprattutto perché quelle note
capitali sono Viento e Appocundria tutti partenopei.
«Mamma come si chiama
quella canzone
di Pino Daniele
che dice pecché
senz’ e te nun so’
niente?» Amo
questa canzone, perché mio figlio me la canta e la cantiamo
insieme e ce la dedichiamo
senza dire una parola, la mattina nel lettone. Io, lui e suo padre, tutti e tre a cantare guardandoci negli occhi, sorridendo. Avete sentito le parole? È
amore puro: io ti sento come il
sangue nelle vene…. Un amore
senza se e senza ma, che non si
può spiegare, accade e basta,
come è accaduto a noi.
Non sono un
fan sfegatato di
Pino Daniele, sono cresciuto
ascoltando le canzoni di Edoardo
Bennato, però se
dovessi scegliere un brano preferito in testa alla mia playlist metterei Alleria. Amo particolarmente questa canzone anche perché è
un tema tanto caro a noi napoletani, il bisogno di allegria come
antidoto alle angustie dell’esistenza pratica ed emotiva; la voce
e la sua esplosione fluttuano nell’aria attraverso docili passaggi di
piano e contrabbasso, suggellando lo stato d’animo principe dell’essenza partenopea.
Non sono cresciuta con le
canzoni di Pino
Daniele, ma
quella che mi lega a lui è Terra
mia perché mi
riporta alla mia terra... Sono
nata in un piccolo paesino a ridosso della catena del Partenio
e con quella terra ho un forte
legame e come dice lo stesso
Pino: comm’ è bello a la penzà,
comm’ è bello a la guardà. I
miei ricordi e i miei affetti più
grandi sono in quella terra... la
Terra mia... dove scappo appena posso per «sentire» e «vedere» le persone che hanno
riempito la mia vita.
Sonorità inedite, ricche di
contaminazioni,
e di suoni non
s co n t a t i . G a y
Cavalier mi piace per questo: è
un brano diverso da tutti, non
allineato, che mette insieme
universi solo apparentemente
lontani. Un artista afroamericano e un napoletano, il falsetto di Pino Daniele e le profondità di Richie Havens, il folk
singer che aveva aperto Woodstock con Freedom. Un grande
duetto per una grande canzone. E per due artisti da scoprire. E riscoprire oltre i luoghi
comuni.
9
Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016
NA
Nella tazzulella Cuntento‘e sta’ A passi lenti
Nel film di Troisi ‘Nu guaglione
la vera musica Ricordi romani in città non mia il mio leit-motiv rivoluzionario
Tutta n’ata storia
è nel mio cuore
di Gabriele Bojano
di Simona Brandolini
di Valeria Catalano
di Alessandro Chetta
di Gimmo Cuomo
di Paolo Cuozzo
Erano gli anni
pionieristici delle radio private
quando per la
prima volta
ascoltai Na tazzulella ’e café.
Mi piacque subito il tono anticonformista e antioleografico
di quel brano tant’è che io stesso volli rilanciarlo nei programmi di musica e dediche
che conducevo a Radio Stella.
Era il 1977, Amanda Lear il
massimo della trasgressione,
e tutt’intorno Collage, Santo
California e Giardino dei Semplici con la rima cuore-amore.
Pino Daniele mi insegnò che la
musica poteva essere altro.
Quanto è vero
che capisci che
un luogo fa parte di te solo
quando sei lontana. Ecco, il
mio Pino Daniele è made in Rome. Un amico
mi registra una cassetta (l’età
c’è cari miei e allora si cantava
su nastro) con una sorta di
personale best of. La porto con
me quando mi trasferisco nella Capitale, a far finta di studiare. L’ho consumata. Una su
tutte (devo scegliere per forza): E so’ cuntento ‘e sta’. Perché, a dispetto del caratteraccio, ma j’ sulo j’ sulo j’ sulo
nun pozzo stà.
Chi tene ‘o
mare ‘o sape ca
è fesso e cuntento chi tene ‘o
m a re ‘ o s s a j e
nun tene niente.
Ho scelto Chi tene o’ mare perché questa canzone di Pino Daniele è dolce e
crudele. È un abbraccio e pure
uno schiaffo che ha il potere di
risvegliarti dal sogno. È un
brano che sento molto personale. Mi rivedo entrare a passi
lenti in una città, Napoli, che
non è la mia e che piano piano
mi ammalia fino a conquistarmi. E diventa occhi, cuore,
sangue. Infine una rete. Difficile da squarciare.
Qualcosa arriverà è la canzone di chi come
me a Pino Daniele ci è arrivato tardi. È la colonna sonora di
un bel film. Il pezzo fa così: c’è
Troisi nei panni azzimati di
Camillo, a Parigi, che confessa
alla dolce Vittoria: il topo morto l’ho mandato io al tuo vecchio fidanzato. E dopo si baciano, finalmente. Sul bacio
parte subito la voce di Pino,
che ricorda a Massimo e a noi
che le vie del Signore a ben vedere sono infinite: voglio ‘o
mare/‘e quatto ‘a notte miezzo
‘o pane.
Sospinta dal
micidiale contrabbasso di Rin o Z u r zo l o l a
c a n zo n e è u n
Frecciarossa
lanciato alla
massima velocità. E poi il testo, il tema del percorso drammatico di chi non si ritrova nel
proprio corpo e individua nell’operazione la «sola azione
decisiva». Esemplare messaggio di comprensione per chi è
costretto a passare la «notte
sotto a nu lampione» sognando un futuro «normale». Dopo
36 anni la carica rivoluzionaria
di Chillo è nu buono guaglione
non si è ancora attenuata.
Tutta n’ata
storia ha segnato il momento di
crescita internazionale per Pino
Daniele, accompagnato nell’album Bella ‘mbriana da artisti
di livello mondiale come Wayne Shorter, lo storico sassofonista dei Weather Report. Il
padre del jazz con il «re» del
blues. Quei suoni non li ho più
dimenticati, erano e sono ancora oggi il simbolo di un’artista desideroso di «cambiare»
e di una Napoli ambiziosa. Sono passati tanti anni ma quella
canzone resta sempre nel mio
cuore.
I say ‘i sto ccà
e i miei sogni
Teniamo ‘o mare Quanno chiove Quanno chiove,
Fessi e contenti Triste o allegra? melodia galeotta
Viento ‘e terra Negli sguardi
Direzione blues oltre le parole
di Dario Gaipa
di Magi Gava
di Paolo Grassi
di Ketty Iaccarino
di Angelo Lomonaco
di Patrizio Mannu
’A vita è ‘nu
muorzo ca nisciuno te fà dà’
‘ncoppa a chello
ca tene è un mantra per me. La
musica di Pino ci
ha sempre dato una direzione,
Viento ‘e terra è la mia direzione. Se non perdo troppo tempo
a guardarmi inutilmente lo devo
a questo pezzo. Quest’estate sono andato a Valencia con Mauro
per partecipare al tributo organizzato da Max un amico musicista che vive lì e la coincidenza
ha voluto che questo brano fosse il tema di tutta l’esperienza.
Tradotto: amici ritrovati, melodie blues e un vento caldo.
Il mio ricordo
di Pino Daniele è
legato alle vacanze. Ogni
estate partivamo
con le nostre tre
figlie per un giro
dei musei della Costa Azzurra.
Erano 15 giorni solo per noi e
nel lungo viaggio in auto la colonna sonora era il cd di Pino e
cantavamo insieme tutti i brani. Quando arrivava questa
canzone, Occhi che sanno parlare, io e mio marito Pino ci
guardavamo negli occhi e ci
sfioravamo le mani, non c’era
bisogno di parlare, i nostri occhi trasmettevano l’intensità
dei nostri sentimenti.
L a s u a vo ce
roca, dolce e
rabbiosa nello
stesso tempo,
m a i p ot rò d i menticarla. E le
emozioni che
Pino Daniele mi ha trasmesso
in tutti questi anni sono racchiuse in I say i’ sto ccà, una
delle canzoni più belle di Nero
a metà. Era il 1980 ed erano gli
anni dei grandi sogni, anche i
miei. Grandi sogni e grandi
speranze. I’ me imbriaco pe
nun vedè ma so che sbaglierò
me sento ‘a guerra il resto non
lo so cantava Pino. Riascoltarla
è sempre un piacere ed emozionante.
C’è un motivo
preciso per cui
preferisco Chi
tene ‘o mare a
tutte le altre
scritte da Pino
Daniele che pur
fanno parte ormai del patromonio genetico specialmente
di noi meridionali. Penso che
Pino Daniele in questi versi abbia saputo dipingere un perfetto ritratto di noi napoletani
e forse solo chi è nato e vive vicino al mare può capire fino in
fondo il gusto dolce e amaro di
queste parole. Perché in fondo
è proprio vero che chi tene ‘o
mare ‘o sape ca è fesso e cuntento.
Quanno chiove è una canzone triste o allegra? L’una e l’altra. Se cercate il
testo su internet,
ne troverete anche una spiegazione fornita da
Pino Daniele. Parla di una prostituta che abitava nel suo palazzo, aveva un’esistenza difficile e tuttavia aveva fede che
prima o poi sarebbe migliorata. Io tutto questo non l’avevo
capito. Né mi ero posto il problema, come per i pezzi inglesi
e americani. Quello che mi affascina è l’atmosfera della canzone, le storie che evoca, vere o
immaginarie. Di Pino. E mie.
Ci sono canzoni
che ti restano cucite addosso; meglio: dentro. Accade a ognuno, anche a me quindi: è
Quanno chiove.
Perché? Già: ogni qualvolta ascolto
o il Re-7 dell’arpeggio iniziale o
una strofa nel mezzo, il pensiero è
a quella sera di 33 anni fa: una festa, un “lento” e un invito a quella
ragazzina di 17 anni: Milena; giacché avevo deciso di smettere di far
tappezzeria (fino a quel momento
magnificamente intonato con gli
arredi). L’abbraccio, il ballo e me
ne innamorai. È del primo amore
che parliamo. A lei, ancor oggi –
per l’allora – devo più di qualcosa.
Essere “allero”? Avevo 14 anni, Nella pioggia
Keep on moving Mondi invisibili Com’è strano
Basta poco
amavo «Libertà» i ritmi della vita È il mio mantra tutti da scoprire Pino a Milano
di Felice Naddeo
di Roberto Russo
di Ciro Scognamiglio
di Antonio Scolamiero
di Monica Scozzafava
di Laura Valente
Trascorriamo
la nostra esistenza alla ricerca della felicità e
d e l l ’a l l e g r i a .
Pensando chissà
quali cervellotiche cose riusciranno a donarci
qualche momento di sano piacere. E pensare che basta davvero poco: putesse essere allero cu’ mia figlia ‘mbraccia ca
me tocca ‘a faccia e nun me fa
guarda’. La semplicità è l’essenza della felicità, lo diceva
anche Trilussa. E questa canzone di Pino Daniele lo conferma anzi ne è l’emblema. Gesti
di vita quotidiana trasformati
in gioia.
Libertà tratto
da «Terra mia».
Perché come
tantissimi anch’io a 14 anni
ero un adolescente di provincia, arrabbiato contro la società borghese e la Dc, il partito
che ai nostri occhi di «sinistri»
incarnava tutti i mali del mondo. Perciò quando sentivamo
intonare da Pino ce cammine
‘mmiezo ‘a via parlanno ‘e libertà ma anche ‘o padrone
nun và duje sorde dice sempe
‘e faticà. Sognavamo la rivoluzione, poi siamo cresciuti e
con la nostra rabbia se n’è andato anche Pino.
In Quanno
chiove ecco Il
basolato lustro e
punteggiato da
mille scintillanti
pozzanghere, le
voci ammutolite
dal tambureggiare della pioggia, il silenzio che lascia parlare i pensieri. Si può obiettare
che non c’è nulla di tutto ciò
nel testo. E’ vero. Resto obbligato a concludere che è proprio questa una delle virtù dei
grandi poeti, la capacità di restituire a ciascuno la memoria
di stati d’animo già vissuti, riportare in vita memorie sopite, lasciarci naufragare (in)felici tra le onde dei ricordi.
Keep on movin’ non lasciarti
andare giù se
vuoi crescere
davvero non ti
lamentare più
Keep on movin’.
Ecco in questa strofa della canzone è sintetizzata una filosofia di vita. Va ripetuto a mo’ di
mantra e funziona, ve lo assicuro. In diverse occasioni,
quando lo sconforto stava per
prendere il sopravvento, ascoltare le note di questo pezzo mi
ha aiutato davvero a risalire la
china. A pensare che non è tutto nero. E che bisogna muoversi, sempre. E dunque: Keep
on movin’.
Notte che se ne
va è il racconto di
un mondo invisibile ma incredibilmente affascinante per chi decide di osservarlo. Pino, ero poco più che
ragazzina, sollecitò la mia curiosità. Mi aprì lo spaccato più vero
di una parte di giornata, regno
del possibile, che nun da’ turmiento a chi se vo’ ‘mbriacà.
Notte che vene notte che va esce
stu’ juorno a chi amma aspettà.
Nel rumore interminabile di una
città viva. Eppure chi invece dorme ha la sensazione che la notte
trascorra velocissima.... Una
contraddizione straordinaria.
Napule è nu
sole amaro. Ricordo ancora la
prima volta che
ho ascoltato la
voce di Pino nella cuffietta cantare questi versi, a Milano, seduta sul tram. Il mitico 30 della circonvallazione che conduce da porta Ticinese a porta
Romana. Erano gli anni Settanta, quelli del liceo, dei cantautori, dei collettivi e delle
passioni. Milano così lontana
da Napoli. Allora non sapevo
ancora che questa «carta
sporca» l’avrei scelta. Per mestiere. Per amore. Con la voce
di Pino, sempre.
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Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno
NA
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Alla new wave napoletana ho
dato il mio contributo. Altri sono
stati i precursori e i capiscuola
Rino Zurzolo «Napule è
la provavamo a casa mia»
«Negli ultimi tempi Pino era affascinato dal flamenco
So che aveva già pronto il materiale per un album»
Chi è
Rino Zurzolo
nasce nel 1958
in una famiglia
in cui la musica
è di casa. Il
fratello Marco
suona il sax.
Con Pino
Daniele, che
conobbe a 13
anni, creò un
trio dal nome
difficile,
Batrocomioma
chia
F
ra quelli che «Scennevano
‘a Santa Teresa», come
cantava Pino nel 1984 nell’album Musicante, c’era
anche Rino Zurzolo, il contrabbassista che ha accompagnato
tutta la vita artistica del cantautore napoletano, sin dal primo
trio creato nel 1971 insieme a
Gianni Battelli, che all’epoca suonava il violino, e fino a quello che
sarebbe stato il prossimo progetto, quello stroncato dalla morte,
dedicato al flamenco. Si conobbero quando Pino aveva 16 anni e
Rino solo 13, un ragazzino, ma
con un talento da enfant prodige
che colpì subito la fantasia musicale del collega chitarrista. «È vero – ricorda Zurzolo – io avevo
iniziato a imparare il basso togliendo le corde più sottili a una
chitarra che mi avevano regalato
da bambino e con la quale accompagnavo il chitarrista di casa
che era mio fratello maggiore,
anche perché mi interessava soprattutto il ritmo. Così suonando
in giro, finì che incontrai Pino
che volle subito creare un trio, al
quale qualche anno dopo si aggiunsero anche Rosario Iermano
alla batteria, Paolo Raffone al
piano ed Enzo Ciervo alla voce.
Scegliemmo un nome difficile e
letterario, ma allora si usava così,
ovvero Batrocomiomachia, un
poemetto greco sulla guerra fra
topi e rane, e musicalmente ci
orientammo su un rock progressivo e un po’ cervellotico vagamente ispirato ai King Crimson».
E cosa c’entrava Santa Teresa?
«C’entrava e come, perché dopo un primo periodo di prove a
Pianura, e poi nel garage di Iermano alla Sanità, ci trasferimmo
nella famosa grotta di Ciervo a vico Fontanelle, dove oltre a noi venivano tanti altri amici musicisti,
da Enzo Avitabile a Lino Vairetti,
con la creazione di continue session. E così a tarda sera risalivamo i vicoli che ci portavano su
Santa Teresa degli Scalzi e da lì
camminavamo fino alla zona
della posta centrale, dove, abitava Pino».
Un’esperienza destinata però a esaurirsi alla fine degli anni ’70.
«Diciamo che nel frattempo io
avevo partecipato alla formazione di Città frontale con gli ex
Osanna Vairetti e Guarino, ma
Tutta la vita
Rino Zurzolo
è stato il
contrabbassista che ha
accompagnato
tutta la vita
artistica di Pino
Daniele
soprattutto che Pino stava tirando fuori quello stile personalissimo fatto di un misto acustico fra
blues e melos partenopeo che lo
avrebbe portato poi al successo».
Quale fu la scintilla scatenante?
«Pino aveva sempre scritto
brani suoi, tenendoli però spesso per sé, e a un certo punto decise di proporli alla Emi cantandoli
in un provino e ripromettendosi
poi di affidarli a un cantante vero. E invece proprio alla casa discografica gli dissero che quel
timbro di voce un po’ rauco era
perfetto per quella musica e così
con Terra mia nasceva la sua storia di cantautore, dopo aver fatto
una breve esperienza di bassista
con Napoli Centrale».
Che ruolo avesti in quel disco?
«Ovviamente suonai il basso,
ma i ricordi più belli sono quelli
legati a un brano in particolare,
Napule è, che sarebbe diventato
poi la bandiera di Pino e in qualche modo della città. Lo provavamo a casa mia a via Caravaggio,
solo voce, chitarra e contrabbasso, in un una modalità che piaceva moltissimo a Pino e che sarebbe poi ritornata tante volte dal vi-
vo e anche in altri brani. Ma soprattutto il ricordo più bello è
che Pino chiese a me di farne la
trascrizione musicale con cui depositarla alla Siae. Io studiavo al
Conservatorio e non mi fu difficile realizzarla, ma la cosa più incredibile è che mai avrei pensato
a quale successo avevo fra le mani, una canzone davvero predestinata, alla quale sono contento
di aver dato il mio piccolo contributo».
Ma è vero che ogni volta che
componeva, anche negli anni
successivi, Pino ci teneva sempre molto al tuo giudizio?
«Pino era una persona tenacissima, che andava diritto per la
sua strada, ma che sapeva anche
ascoltare le idee e i pareri di chi
stimava. D’altra parte dalla fine
degli anni ’70 e fino al 2015 io ho
quasi sempre preso parte ai sui
progetti musicali, solo con una
breve interruzione all’inizio degli
anni ’90, quando ebbe una svolta
un po’ più orecchiabile e rivolta a
un pubblico italiano più vasto.
Ma per il resto gli sono stato
sempre vicino, anche nei viaggi
come a Cuba nei primi anni ’80 e
più di recente in Marocco, nella
fase legata alle modularità arabeggianti. Peccato solo non aver
intrapreso l’ultimo, quello dedicato al flamenco spagnolo, che
amava moltissimo grazie all’ascolto di maestri come il compianto Paco de Lucia o il più giovane Tomatito, che avrebbe dovuto essere suo ospite nel nuovo
disco. So che aveva già pronto
tutto il materiale per l’album. Ma
a questo punto chissà se verrà
mai pubblicato».
Stefano de Stefano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016
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Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno
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Io sono per la canzone
di speranza e non di denuncia
È il momento di dare stimoli
«Da ragazzo non lo seguivo
ma oggi devo tutto a lui»
Antonio Onorato: «Pino era molto generoso,
una volta durante il tour mi regalò una chitarra»
Chi è
 Antonio
Onorato è nato
ad Aquilonia il
13 gennaio
1964. Studia la
fusione della
melodia
napoletana,
con la musica
africana,
americana ed
orientale
di Antonio Onorato
H
o conosciuto Pino tanti
anni fa. Io ero un ragazzino innamorato della
chitarra. A dire il vero,
quando ero adolescente non lo
seguivo molto, perché lo ritenevo erroneamente parte di quella
schiera di cantautori, bravi con i
testi ma poco musicisti. E io invece ascoltavo e seguivo prevalentemente i grandi chitarristi
del jazz , del blues e della fusion
.Non avevo prestato molta attenzione a quello che faceva finché dovetti farlo quasi per forza,
perché i miei amici di Pesaro,
dove mi recavo per trascorrere
le vacanze estive da mia nonna
materna che abitava lì, impazziti per le sue canzoni, mi chiedevano continuamente di tradurle
dal napoletano in italiano. Allora cominciai a rendermi conto
della sua grandezza, del suo genio e mi innamorai della sua
Musica e della sua incredibile
vena poetica.
Ricordo ancora un suo concerto strepitoso a Misano Adriatico ,con una band stellare:
quelli che poi sono diventati
miei amici-colleghi: James, Tullio, Rino, Joe, Tony e poi Gato
Barbieri...che grandi musicisti e
che grande musica napoletana.
Quel giorno mi sentii fiero di essere napoletano e dissi tra me e
me «un giorno sarò anche io
con loro su quel palco» a rappresentare la mia cultura e la
mia città. E poi si è avverato.
Da quel giorno Pino aveva
preso un posto speciale nel mio
cuore. Cominciai ad ascoltare e
a studiare tutti i suoi dischi, cercando di capire dove volesse andare. Pino era un ricercatore, un
innovatore e io aspettavo con
ansia ogni sua uscita discografica, perché sapevo che ci sarebbe
stata sempre una nuova interessante innovazione musicale. E
poi la sua musica commuoveva
la mia anima. Avevo una ventina
d’anni quando mi arriva una telefonata. Era un collaboratore di
Pino che mi annunciava: «Pino
ha sentito parlare in giro di te
che sei bravo con la chitarra e
vuole conoscerti. Mi diede il numero del suo studio a Formia.
Ero al settimo cielo. Provai a
chiamarlo varie volte, ma non
Il suono
Suona la
Yamaha G 10,
un modello di
chitarra synth
ribattezzata
chitarra a fiato,
caratterizzata
dal fatto che la
forza,
l’intensità e le
dinamiche
sono gestite
attraverso
l’emissione del
fiato del
musicista
grazie ad un
breath
controller e
non dalla
pennata
me lo passavano mai. Mi ero ormai quasi rassegnato quando
poi lui, con la sua voce inconfondibile, mi risponde...e io gli
dico «è più facile parlare con il
presidente della Repubblica che
con te» e lui...grande risata. Insomma il nostro rapporto iniziò
subito con un certo feeling. Dopo qualche anno, nel 1997, mi
chiamò ad aprire come solista
un suo tour trionfale negli stadi
di tutta Italia. Non finirò mai di
ringraziarlo. Quante risate,
scherzi...abbracci. Pino era
molto generoso...una volta durante il tour mi regalò una chitarra, una bellissima Martin da
viaggio che ancora uso per esercitarmi quando sono in giro.
Quando mio figlio Gabriel era
piccolo, lo andai a trovare e sen-
za dirgli niente, gli avevo portato un regalino per sua figlia Sara
che ha più o meno la stessa età
di mio figlio e lui aveva fatto la
stessa cosa. Aveva preso un regalo per mio figlio. Potrei
raccontare tantissimi aneddoti.
Un’altra volta mi voleva regalare
la sua chitarra battente elettrica.
Io per pudore non me la presi.
Pino era fatto così. Se ti voleva
bene, ti voleva bene veramente.

Stima e affetto
Se ti voleva bene,
ti voleva bene veramente
Po i , c o m e t u t t i i g r a n d i ,
riconosceva il talento e non era
invidioso. Una volta, quando da
giovane chitarrista suonavo
nella band di Gragnaniello, mi
disse che mi dovevo far mettere
sui manifesti come special
guest, perché io non ero un
«musicista normale» e infatti
lui successivamente mi ha
sempre invitato come ospite nei
suoi concerti. Il patrimonio
artistico che Pino ci ha lasciato
è incommensurabile. La sua
musica e la sua poesia sono tra
le cose più belle che ho ascoltato in tutta la mia vita. Poi il Pino,
amico sincero e innamorato
perdutamente della chitarra come me, sarà per sempre nel mio
cuore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016
NA
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Ho dei colleghi, non dei rivali
C’è emulazione, rispetto,
stima. Ci scambiamo idee
Tony Esposito «Nella reunion del 2008
come se non ci fossimo mai separati»
Il percussionista: «Bastava accendere gli amplificatori
e subito si capiva che la magia tra noi non era mai svanita
Quando lo sentii l’ultima volta mi confidò che era stanco
e mi lasciò dicendo”ti voglio bene”. Ora c’è un vuoto in me»
Chi è
 Tony
Esposito ha
intrecciato la
carriera con
quella di Pino
Daniele: ha
fatto parte del
supergruppo
degli storici
concerti del
1981 e 2008
«P
ino amava suonare, desiderava
suonare. Negli
ultimi tempi era
felice di salire su un palco come non lo avevo mai visto». A
parlare è Tony Esposito classe
1950, le percussioni della all
star band del lazzaro felice,
quelle dello storico concerto
del 19 settembre del 1981 in
Piazza del Plebiscito e della
reunion nella stessa location
del 2008. «Pino ha lasciato in
tutti noi un vuoto – continua il
musicista - una ferita personale ma anche culturale, come
accaduto con altri nobili figli
di Napoli, Eduardo De Filippo,
Totò, Massimo Troisi e in ultimo Luca De Filippo. Uomini
che hanno fatto la storia culturale del Novecento». Dopo
aver pubblicato album cult del
nostro canzoniere precursori
della world music come Rosso
napoletano (1975), Processione sul mare (1976), super hit
come Kalimba de luna (1984) e
Papa Chico (1985) e aver collaborato con artisti come Alan
Sorrenti, Edoardo Bennato,
Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Perigeo, Roberto Vecchioni, nel
1981 inizia la sua collaborazione con Pino.
Racconta: «Sì, per volere
dell’allora nostro manager comune, nell’album Vai mo’ con
James Senese, Rino Zurzolo,
Joe Amoruso, Tullio De Piscopo. Un disco questo contenente perle sonore come Notte che
se ne va, Yes I know my way,
Ma che ho, Puorteme a casa
mia. Con Pino ho registrato
anche Sciò live nel 1984, Il mio
nome è Pino Daniele e vivo qui’
nel 2007 e l’anno dopo Ricomincio da 30. Suonare noi tutti insieme è stato un sogno, la
nostra grande avventura, il no-
stro sound era contaminato da
culture differenti, storie, colori. Catturammo le energie creative di questo luogo meraviglioso, esotico, cosmopolita
da sempre che è Napoli, la
Campania. Una Regione da
sempre laboratorio di creatività, dove confluiscono le tante
energie vitali dei suoi luoghi
che aspettano solo di esser
raccolte. Dopo Sciò live ognuno di noi ha percorso il proprio sentiero artistico ed umano fino al ritorno “a casa”, alla
reunion del 2008, al Tutta
n’ata storia live. Nonostante
gli anni trascorsi dal primo
momento in sala capimmo
immediatamente che la magia
tra noi non era svanita; bastò
accendere gli amplificatori,
imbracciare ciascuno il proprio strumento e tutto fu naturale, il piacere di stare insieme, di suonare, di creare era
immutato».
Tony, musicista e pittore, ricorda commosso l’ultimo concerto con il mascalzone latino:
«Il 15 dicembre del 2014 suonammo insieme per l’ultima
volta al Palasport di Roma. Nei
giorni di Natale ci sentimmo al
telefono. Mi disse che si sentiva stanco e che si sarebbe esibito a Capodanno a Courmayeur per il consueto concerto di Raiuno. Aveva un nuovo progetto in cantiere: voleva
dedicarsi a una nuova musica
totalmente acustica fatta di
percussioni e chitarre, un
sound che unisse tutte le culture del nostro mediterraneo.
Chiudemmo la telefonata con
un suo “ti voglio bene”. Queste
parole da quel giorno non mi
hanno più abbandonato e riecheggiano sempre nel mio
cuore».
Carmine Aymone
Gli artisti
Sopra il percussionista napoletano Tony
Esposito, per anni musicista di Pino Daniele
A destra il cantautore partenopeo con il
rapper Rocco Hunt prima di un concerto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Mi disse: guagliò, non ti perdere»
Il rapper: «Mi invitò a casa sua, non ho fatto in tempo»
di Rocco Hunt
U
na della soddisfazioni
più grandi che la musica mi abbia regalato è
s t a t a s i c u r a m e n te
quella di incontrare il Maestro
Pino Daniele. Lo conobbi a Radio Deejay e rimasi incredulo
dal fatto che già conoscesse al-
I posti del nero a metà nella «città dei mille culure»
Nel libro di Aymone e Iossa testi e foto di un itinerario del cuore
«I
l libro nasce come
un nostro bisogno
di narrare per ricordare un’assenza.
Un’idea realizzata in occasione
del Maggio dei Monumenti
2015 in collaborazione con
l’assessorato al turismo e alla
cultura del Comune di Napoli
e con la mostra internazionale
Rock! da cui è stata girata anche una docu-fiction prodotta
dal Centro Produzione Rai di
Napoli con la regia di Gino
Aveta». Sono le parole dei
giornalisti e critici musicali
Carmine Aymone e Michelangelo Iossa che con il fotografo
Dino Borelli hanno pubblicato
«Napule è… i luoghi di Pino
Daniele» (Rogiosi Editore). Il
volume è impreziosito dalla
prefazione di Phil Palmer (già
al fianco di Eric Clapton, Dire
Straits, Tina Turner, Elton
John e moltissimi altri), uno
dei più grandi chitarristi del
mondo, negli ultimi anni amico e collaboratore di Pino Daniele.
«Napule è… I luoghi di Pino
Daniele» è un viaggio alla scoperta della Napoli musicale
che ha forgiato e ispirato l’arte
di Pino Daniele. Un percorso,
diviso in quattro capitoli, nella
«città dei mille culure»: da
Santa Chiara a Santa Maria La
Nova, da via San Sebastiano
(«la strada della musica») al
Castel dell’Ovo, passando per
via Toledo–via Roma e Piazza
del Plebiscito, fino a giungere
al mare, proprio come un ruscello che dalla collina sfocia
tra le onde di acqua salmastra
del Golfo. La genesi delle prime canzoni del mascalzone latino, le passeggiate lungo le
strade di Napoli, il legame con
la città, l’amicizia con l’altro
«cuore ribelle» Massimo Troisi e la loro Quando: il mercato
e i vicoli di Furtunato, i ragazzini intraprendenti di Ué Man,
l’incanto di Jesce Juorno e il risveglio con il profumo di Na
tazzulella ‘e cafè aspettando ‘a
bella ‘mbriana “appisa a’nu
filo d’oro”.
«A parlare, a raccontare –
spiegano gli autori - sono le
pietre, i monumenti, le mera-
viglie architettoniche e naturali di questo straordinario
lembo di terra che prende il
nome dalla Sirena del canto,
Partenope, immortalate dagli
scatti di Dino Borelli: il luogo
dove l’azzurro del cielo bacia
quello del mare».
Dal libro e dalle foto è nata
anche una mostra «I Luoghi di
Pino Daniele» visibile gratuitamente presso la Galleria Auchan di Napoli (Via Argine) dal
14 al 31 gennaio 2016 (il 14 e il
24 gennaio, vi sarà anche il live
set, il primo acustico il secondo elettrico, dei «Quanno Good Good» che eseguiranno dal
vivo i brani del lazzaro felice.
Antonio Cayafa
© RIPRODUZIONE RISERVATA
cuni miei brani. Non potrò
mai dimenticare le sue parole:
«Guaglio’ non ti perdere, sei
bravissimo a scrivere». Io saltellavo dalla gioia, Pino mi aveva fatto i complimenti! Qualche mese dopo ci ho suonato
insieme all’interno del suo ultimo concerto a Napoli, e vi assicuro che è stata un’emozione
incredibile, unica. Vive in me
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purtroppo un grande rimpianto, quello di non avere mai potuto accettare il suo invito di
andarlo a trovare a casa sua e
quindi magari di poter comporre qualcosa insieme… Ma
allo stesso tempo sono felice,
onorato e orgoglioso di averlo
semplicemente conosciuto.
Zio Pino Rest in Peace!
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14
Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno
NA

Non so mai se un disco venderà
Non faccio canzoni per vendere
ma per esprimere qualcosa
L’incontro con Vairetti
«Lo conobbi nel 1975
Subito lo feci suonare»
discografico con la Emi.
Ma la stima reciproca era intatta al punto che durante le
registrazione di Terra Mia conoscendo la mia passione per
la fotografia, mi chiese di realizzare un servizio fotografico
per l’uscita del suo primo 45
giri Ca Calore. Venne così nel
mio studio con la sua compagna Dorina (diventata poi sua
moglie), e in due giorni realizzammo centinaia di scatti,
molti dei quali lo riprendono
mentre suona con la mia chitarra 12 corde «Eko Ranger»:
foto che ho presentato al Palazzo delle Arti di Napoli l’esta-
«Rimasi colpito dalla voce e dalla sua chitarra
Si esibiva con me nei concerti di Città Frontale»
Chi è
di Lino Vairetti
Dopo oltre 30 anni
«Nel dicembre 2013
ci siamo ritrovati
a suonare insieme
al Palapartenope»
S
 Lino Vairetti
è uno dei
pilastri del rock
progressivo
italiano degli
anni ‘70 . Ha
tenuto a
battesimo Pino
Daniele e nel
1977 gli scattò
le foto per
«Terra mia»
ettembre 1975. Andai in
un locale alla Mostra
d’Oltremare a sentire il
gruppo dei Batracomiomachia. Ad invitarmi furono Enzo Avitabile, Rino Zurzolo e Paolo Raffone, che ne facevano parte e che stavano anche
collaborando nel mio nuovo
progetto discografico «El-Tor»
di Città Frontale. Quella sera
mi si avvicinò un ragazzo che
sorridendo mi disse «Ciao Lino, io sono Pino Daniele. Era
da tempo che volevo incontrarti». Mi chiese di ascoltare
alcune sue canzoni. Lo invitai a
casa mia. Si presentò giorni
dopo puntuale, chitarra acustica in spalla accompagnato
dal suo amico Rosario Iermano. Rimasi folgorato dalla sua
voce, dal suo modo di suonare
la chitarra così diverso dai chitarristi cittadini dell’epoca, dal
suo essere artista. Chiamai ad-
dirittura mia madre per farle
ascoltare quel piccolo miracolo in musica. A casa avevo un
piccolo home studio analogico
così decisi di fare delle registrazioni dei suoi brani per
una possibile produzione discografica. Ci lavorammo circa
sei mesi realizzando diversi
provini, molti dei quali rimasti
ancora inediti e conservati ge-
losamente nei miei archivi. Parallelamente alle registrazioni
in corso, portavo con me Pino
Daniele, in duo con Rosario
Iermano, quale opening act
nei concerti di Città Frontale.
Ma tra Pino e me ci fu un diverbio intorno alle mie strategie
di produzione. Così decise di
fare un percorso diverso che lo
portò al suo primo contratto
Le immagini
Alcune foto di Pino Daniele scattate a Napoli da Lino
Vairetti negli anni ‘70
te scorsa in occasione della
mostra internazionale Rock!6
ad ingresso gratuito dedicata a
Pino. La foto scelta per la copertina lo ritraeva seduto in
terra con le spalle poggiate su
un muro di tufo e con un fazzoletto bianco in testa. Da quel
momento le nostre strade si
divisero e per oltre 30 anni
non ci siamo più incontrati, fino a quando, nel dicembre
2013, mi chiamò chiedendomi
di partecipare con gli Osanna,
nel suo progetto musicale Napul’è tutta n’ata storia al Palapartenope. Suonammo insieme il suo brano Il Mare e L’Uomo degli Osanna.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016
NA

Nella musica dei cantanti
napoletani non c’è più poesia
Oggi c’è poco rispetto per l’arte
«’Sta pizza senza ‘e te
che sapore tene?»
Peppe Lanzetta ha scritto nella notte tra
Natale e Santo Stefano Cumpagno mio, la
poesia dedicata a Pino Daniele, nel primo
anniversario della prematura scomparsa,
che pubblichiamo in esclusiva a lato, nella versione originale battuta a macchina.
È un testo intriso dal rimpianto di aver
perso un amico, ‘o Comandante nuosto
che c’ha lassato ‘nterra, e allo stesso tempo dalla consapevolezza che senza di lui
Chi è
Peppe Lanzetta
è nato a Napoli
nel 1956. Dopo
gli esordi nel
cabaret si
distingue per
l’attenzione
ai temi sociali
come autore
e attore. Nel
cinema ha di
recente preso
parte all’ultimo
film di 007
«Spectre».
niente sarà più come prima. Da qui l’efficace similitudine: sta pizza senza ‘e te che
sapore tene? Già nell’immediatezza della
perdita Lanzetta regalò un intenso ricordo personale di Pino: «Il padrone stavolta
s’è portato un ragazzone timido, comico e
malinconico, che non sapeva di Mississippi quando per Santa Chiara col suo registratore Geloso (di marca) provava a dire: no, perché io suono».
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NA
Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno
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