Lunedì 4 Gennaio 2016 www.corrieredelmezzogiorno.it Pino Daniele DINO BORELLI UN ANNO SENZA IL MASCALZONE LATINO di Maurizio de Giovanni I Sul web È possibile consultare lo speciale dedicato a Pino Daniele sul sito internet www.corrierede lmezzogiorno.it l più strano e ondivago tra i fenomeni sociali è la formazione dell’identità di un popolo. Man mano che la storia va avanti essa si costituisce, si perde, diminuisce e si trasforma continuamente. Eppure, a pensarci, una volta acquisita dovrebbe rimanere così com’è: invece è labile e cambia di generazione in generazione. Prendete noi napoletani, per esempio. Dominati, conquistati, invasi senza mai una guerra d’assedio, senza che mai abbiamo pensato a difenderci e ad alzare barricate. Nati dal mare, accogliamo chiunque nella spesso fallace convinzione che chi arriva sia meglio di chi c’è; per cui quando si tratta di cacciare via siamo bravissimi, le quattro giornate sono un esempio, ma quando dobbiamo decidere chi siamo, quali siano gli elementi costitutivi di noi stessi, siamo molto meno abili. Qualche volta però capita che arrivi, anzi che nasca qui, qualcuno in grado di sintetizzare con una parola, un disegno, una nota la nostra identità. Che arrivi, o nasca qui, qualcuno in grado di arrivare senza sforzo a chi siamo, e come pensiamo, e quali sentimenti proviamo. Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani; Libero Bovio, Salvatore Di Giacomo e De Sica e Marotta, e prima di loro Basile, Micco Spadaro hanno alzato i veli e hanno visto quello che c’era da vedere negli occhi neri di un bambino per strada o nel canto di un pescatore. E lo hanno raccontato. L’ultimo di questa fila di giganti è stato il ragazzo di Santa Chiara. Ha preso in mano la chitarra, ha alzato gli occhi e ha sentito e visto il nuovo suono del respiro della città; ci ha messo il mormorio dei pensieri, l’amore e la rabbia mescolati alla voglia di futuro, alla memoria del passato e all’insof- Il ragazzo di Santa Chiara vive tra i giganti della città Ha preso in mano la chitarra e ha sentito il suono, il respiro nuovo di Napoli Ci chiedevamo: è cambiato? Poi scoprivamo che cambiavamo anche noi ferenza del presente. Ha aperto porte e finestre ed è entrato senza scavalcare davanzali, graffiando e accarezzando come facciamo noi, da queste parti, quando amiamo e odiamo, spesso contemporaneamente. Da allora, e quasi subito, ci siamo sentiti napoletani ogni volta che il ragazzo di Santa Chiara prendeva in mano quella chitarra. È cambiato lui, un po’ alla volta, e noi storcevamo il muso e ci dicevamo: è cambiato. Poi però scoprivamo che era cambiato nella stessa direzione e nella stessa misura in cui eravamo cambiati noi, e ci ritrovavamo a sorridere e canticchiare il suo rumore, che era sempre il nostro. Perché il ragazzo di Santa Chiara, co- me i giganti che l’hanno preceduto, eravamo semplicemente noi che lo sentiamo ancora cantare nel nostro cuore. E perché la sua canzone più bella è stata il silenzio dei centomila che, sotto una pioggia leggera a piazza Plebiscito, lo hanno guardato andar via senza andarsene mai più. © RIPRODUZIONE RISERVATA 2 Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno NA Pino dixit Spero che le mie canzoni coltivino il fiore dell’emozione Da lì nasce la vera coscienza Il percussionista ricorda il “fratello in blues” «Una volta mi confidò: io mi ritengo molto fortunato, dopo l’operazione al cuore dovevo campare dieci anni e invece ne sono trascorsi ben ventiquattro» Chi è Tullio De Piscopo è nato a Napoli il 24 febbraio 1946. E’ considerato uno dei più bravi batteristi europei E’ stato in particolare grande amico e collaboratore del bluesman Pino Daniele di Tullio De Piscopo «O gnuno di noi ha un destino e ha cose da fare - quelli più fortunati riescono a farle. Tullio, la mia vita è legata ad un filo. Dopo l’operazione dovevo campare 10 anni, ne sono passati 24. Personalmente mi ritengo molto fortunato…». Con la schiettezza e la tranquillità un po’ ironica che lo contraddistinguevano, Pino mi disse queste parole a Conegliano durante una delle pause dell’allestimento del tour Nero a metà di dicembre 2014. È l’immagine, la prima di tante, che con naturalezza scorrono pensando alla scomparsa, un anno fa, del nostro “fratello in blues”. Più rifletto, più mi rendo conto di quanti punti di contatto esistevano nei nostri modi di esplorare la vita oltre le vicende professionali e di quanto riuscivamo ad intenderci nelle vicissitudini quotidiane e nel rapporto col nostro mondo e con Napoli, la nostra città. Rivivo con amore e nostalgia i momenti passati assieme, rivedo Ciro ‘o barbiere, che veniva in albergo e ci radeva mentre discutevamo della scaletta per i concerti di Tutta n’ata storia a Napoli. Indosso ancora quella maglietta che mi regalò nel 2013 pecché nun si chiatto e non hai bisogno di indossare la camicia.’A maglietta è cchiù bella. Ripenso ai momenti in cui non ci siamo sentiti e mi rendo conto che non siamo mai stati separati: la presenza di Pino mi ha sempre accompagnato mentre componevo una canzone, mentre valutavo uno strumento, mentre semplicemente acquistavo un nuovo indumento. Pino Daniele ha firmato magiche poesie, ha interpretato sentimenti e scritto tanto, fino a porsi come inevitabile termine di confronto per chiunque di noi abbia intenzione di cimentarsi con la «Porto sempre la coroncina che mi regalò» «Ti proteggerà» Quand’ero ricoverato se la sfilò e delicatamente la appoggiò attorno al mio collo e sul petto produzione di liriche legate a Napoli. Il suo blues, la sua musica dal respiro ampio e globale, dal jazz alle contaminazioni etniche, fino alle sperimentazioni coi madrigali e Gesualdo da Venosa, la sua voce particolare e unica, il suo legame a doppio filo con la realtà partenopea, lo hanno portato in tutto il mondo, hanno dato lustro a Napoli e all’Italia allo stesso modo in cui il soul di Ray Charles ha fatto per gli States. La filosofia di vita di Pino era intrisa di volontà e fatalismo e di amore per i suoi figli e la sua chitarra. Vai mo’, ca si nun vai mo’, nun vai cchiu era solito affermare, celebrando con forza la sua voglia di andare sempre avanti. Sin dal suo primo lavoro, Terra mia, ho cominciato a capire ed apprezzare la sua Musica, che era anche la mia Musica. Emergeva immediatamente un grandissimo gusto negli arrangiamenti e la capacità innata di valorizzare le qualità dei musicisti; 3 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 NA Pino era solito cercare la circolarità nei brani, tollerava l’”errore singolo” ed il groove che poteva andare più veloce o più lento, ma mai “statico” e “parallelo”: è una impostazione particolare che ha aggiunto grande spettacolarità a tutti i tour che abbiamo fatto assieme. La vita in tour era concitata, il feeling fra di noi molto alto ed il rapporto coi fans intenso e pieno di entusiasmo. In uno dei primi concerti ad Alghero, un fan in mezzo al pubblico riuscì ad impossessarsi e far sparire la famosa sciarpa di Pino (che gli avevo regalato, sottraendola a mia moglie). In quegli anni la indossava a ‘mo di capotribù indiano, caratterizzando così quell’icona che ancora oggi tutto il suo pubblico ricorda. Inaspettatamente il giorno dopo ad Olbia in mezzo a tantissima gente individuai lo stesso fan che si era impossessato della sciarpa, riuscendo a farmela restituire. Pino Sul palco Nella foto grande Tullio De Piscopo con Pino Daniele e nelle altre il percussionista in alcune foto d’epoca Sono lunatico da morire, un momento sono felice e l’attimo dopo depresso sapeva dare conforto e mi ha dato conforto in uno dei miei momenti più bui. Ero reduce dalla lotta col male oscuro, che si era impossessato di me. Venne a trovarmi in ospedale. Era visibilmente affranto, ma, mentre mi parlava, infondeva serenità e amore. Ad un certo punto, dopo un istante di riflessione, spostò lo sguardo sulla coroncina che indossava da sempre sotto la maglietta. Una coroncina di cotone nero, finemente intrecciato, terminata con una piccola croce. Se la sfilò e delicatamente la appoggiò attorno al mio collo e sul petto. «Ecco Tullio, voglio lasciarti questo pensiero, mi ha protetto in tutte le situazioni avverse, ma credo che ora tu ne abbia più bisogno». È stato un momento che non potrò mai più dimenticare: da allora, tutti i giorni, quando indosso la coroncina per uscire, la figura di Pino e le sue parole mi sorreggono come un viatico. Penso che ad un anno dalla sua scomparsa i valori che Pino Daniele comunicava attraverso la sua poesia e la sua musica siano più che mai vivi in tutti noi; Pino credeva con forza nei progetti che portava avanti sopportando serenamente le “cose del mondo”, alimentava la fede in sé stessi e nei grandi uomini, sosteneva la ribellione contro i soprusi, le ingiustizie ed i ‘furbi’, «quelli che ti hanno imbrogliato, ma che poi alla fine si sono imbrogliati da soli». Caro Pino, solo dopo che sei passato a nuova vita, in tanti si sono accorti di quanto ti amavano. Il miglior modo per ricordarti, in questo anniversario, è attraverso il silenzio, senza fare rumore, perché il rumore e chi grida troppo non ti piacevano. Ti ferivano le orecchie. Con te per sempre. Tullio © RIPRODUZIONE RISERVATA 4 Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno NA Non sopporto le persone che appaiono troppo sicure di sé Un po’ di umiltà ci vuole «Era goffo ma simpatico, voleva suonare» James Senese e il primo incontro con Pinotto: «Mi telefonò e disse: sono Giuseppe Daniele e vorrei conoscerti. Mi fece ascoltare i pezzi che aveva scritto, mi piacquero immediatamente» Chi è Gaetano, per tutti James, è nato a Napoli il 6 gennaio 1945 nel rione Miano, figlio di James Smith, soldato afroamericano, e di Anna Senese. Ha iniziato giovanissimo la carriera di sassofonista Fondatore del gruppo Napoli Centrale, ha collaborato ai dischi d’esordio di Pino Daniele «L a nostra amicizia risale agli inizi degli anni ’70. Un giorno ero a casa mia a Miano – ricorda James Senese – stavo ascoltando musica, stavo suonando, quando squillò il telefono. Dall’altra parte della cornetta un giovane mi chiedeva se potevo incontrarlo; voleva conoscermi e suonare nei Napoli Centrale. Si presentò: ‘mi chiamo Giuseppe Daniele’». Mister Sax James Senese così ricorda il primo incontro con quello che sarebbe diventato uno dei suoi fratelli di musica, proprio come accaduto qualche anno prima con Mario Musella e Franco Del Prete. «Qualche giorno dopo la telefonata – continua James venne da me. Era grande, un po’ goffo ma molto simpatico. La cosa che mi colpì subito fu il suo entusiasmo, il suo amore per la musica, per la chitarra e per la sua città. Non stava nella pelle. Mi fece ascoltare una manciata di canzoni che aveva scritto e mi piacquero immediatamente. In quei suoi primi pezzi, per niente acerbi, già c’era dentro tutta la sua napoletanità verace, mai eccessi- Napoli Centrale James Senese ha tenuto a battesimo Pino Daniele in Napoli Centrale e poi con lui ha stretto un prolifico sodalizio va, mai sguaiata che si sposava con il blues, il jazz, mediterraneo». «Mi chiese subito dopo aver suonato cosa ne pensassi, guardandomi negli occhi quasi a voler capire prima delle mie parole il mio giudizio. Gli dissi ‘ok Pino però a me serve un bassista non un chitarrista, a chitarra già ci sta’. Lui mi rispose ‘ma io suono la chitarra’. ‘Nun fa niente’ gli dissi ‘prendi questo basso e suona’, lui sorrise e iniziò. Con i Napoli Centrale ci accompagnò qualche volta solo dal vivo. Negli anni non ci perdemmo mai di vista fin quando non mi volle accanto a se a partire dal suo di- sco omonimo del 1979». Da allora nacque un sodalizio artistico tra i più prolifici e importanti del panorama musicale nazionale. «Proprio così. Pinotto è stato uno dei più grandi artisti non solo di Napoli e neanche solo del nostro paese – continua Senese - ed io col mio sax ho ricamato al- cune delle sue più belle composizioni, quelle contenute in album cult come Pino Daniele, ‘Nero a metà, Vai mo’. Da gennaio scorso ho perso un altro fratello, com’era accaduto anni orsono con Mario Musella. Se ne sono andati via entrambi molto presto. Il dolore per la loro perdita è insanabile. Io provo a ricordarli entrambi ogni sera soffiando nel mio sax, suonando. Alcune volte l’emozione è talmente forte che mi si strozza il fiato ma poi penso a loro che mi dicono Jè ca stai cumbinann … sona per nuje ca stamm ‘ccà cu ttè. «La notte che Pino è volato via – conclude Senese – mi sentivo strano, non riuscivo ad addormentarmi. Mi svegliai di soprassalto impaurito, sudato, avevo addosso una strana e brutta sensazione. Poi uno squillo, il telefono, la notizia assurda… non ci credevo, pensavo fosse solo uno scherzo di cattivo gusto. Poi vidi su internet lo scritto di Eros Ramazzotti che salutava il mio amico. Pino e la sua musica sono stati un dono per tutto il mondo: un altro come lui non nascerà più». Carmine Aymone © RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 5 NA 6 NA Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno 7 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 NA Ho dei sogni irrealizzabili: uno è Sting, l’altro è Howard Jones, un altro, parrà strano, Boy George L’intervista /1 Il chitarrista britannico L’intervista /2 Il sax dei King Crimson Phil Palmer «Le nostre giornate passate a suonare» Mel Collins «Un vero privilegio lavorare con Pino» «Io e lui eravamo soul mates, anime gemelle» «Creava la stessa magia in studio e sul palco» «P P ino ed io eravamo soul mates, anime gemelle. Ci univa l’amore per la musica e soprattutto per la chitarra. È stato un grande artista e per me un grande amico. Nel mio animo oggi c’è una ferita profonda. Trascorrevamo giornate insieme a casa sua a suonare, comporre; il tempo volava via in fretta, senza accorgercene». A parlare è Phil Palmer, ex Dire Straits, leggendario chitarrista britannico, negli ultimi anni al fianco del mascalzone latino con cui ha co-prodotto Tutta n’ata storia– Vai mo’ – live in Naples, il cd/dvd del concerto del 2008. «Grazie a Pino – continua il musicista - ho conosciuto dai suoi racconti la sua città, Napoli. L’ho visitata quest’estate in occasione della mostra Rock! al Palazzo delle Arti di Napoli e passeggiando tra le sua strade, i suoi vicoli, le sue piazze, osservando il mare, ho compreso perché lui l’amava così tanto pur vivendo fisicamente lontano. Napoli è proprio vero – e lui me lo diceva - prende l’anima, grazie a quella sua energia così densa, forte, che sembra alimentare anche la sua gente. Ricordo con affetto il nostro concerto nello stadio di Cava de’ Tirreni al fianco dell’amico Eric Clapton, fu un live-progetto benefico “Concert For Open Onlus - In Aid Of Children”. In quello stesso stadio avevo già suonato nel luglio del 1992 con Mark Knopfler e i Dire Straits in occasione dell’ “On Every Street World Tour”. Pino quella sera era molto emozionato ma felice come un bambino. La sera prima dell’evento facemmo tutto il concerto a porte chiuse come prova generale. Ricordo che durante un suo assolo Eric Clapton scese dal palco, si sedette su una sedia, e dopo averselo gustato lo applaudì sorridendo, Pino si commosse». Phil Palmer, che ha scritto anche la prefazione del volume edito da Rogiosi «Napule è. I Luoghi di Pino Daniele», attualmente è impegnato con il progetto musicale «Promised Land» realizzato con sua moglie, nonché produttrice e artista Numa. Un progetto in supporto dei popoli che fuggono dalla miseria e dalle guerre. Il brano «Promised Land» scritto da lui con Paul Bliss ed interpretato da Numa, che vede la partecipazione di al- cuni tra i più grandi musicisti del mondo, come Steve Ferrone, John Giblin e Danny Cummings, è un inno alla pace e all’unione tra i popoli. «”Promised Land” – spiega Palmer - è la terra promessa che tutti cerchiamo e che risiede prima di tutto nei nostri cuori. Tratta il tema tanto attuale dei profughi. Di chi è costretto ad abbandonare la propria casa per cercare un futuro altrove. Famiglie che scappano dalla propria terra, schiacciate dal dolore, dalla fame». Palmer è uno dei più grandi chitarristi del mondo, nipote d’arte (i suoi zii sono i fratelli Ray e Dave Davies dei Kinks), ha suonato con artisti come Bob Dylan, Frank Zappa, Pete Townshend, Eric Clapton, Roger Daltrey, Elton John, Tina Turner, George Michael, Bryan Adams, Robbie Williams e Celine Dion. Nel 1991 ha partecipato alla registrazione dell’album «On Every Street» dei Dire Straits, partendo con loro per il tour mondiale. In Italia è noto per il suo assolo entrato nella storia nel brano di Lucio Battisti «Con il nastro rosa» e per aver lavorato con Baglioni, Ramazzotti e per molti anni con Renato Zero. Ca. Ay. Ex Dire Straits Phil Palmer ha coprodotto il cd/dvd del concerto del 2008 «Tutta n’ata storia Live in Naples» © RIPRODUZIONE RISERVATA ino Daniele è stato il più internazionali dei cantautori italiani, per aver collaborato in tempi non sospetti con numerosi artisti stranieri e di diverse estrazioni musicali. Nell’orbita sonora del mascalzone latino è entrato anche il sassofonista e flautista britannico Mel Collins. Collins è una vera leggenda; è stato membro dei King Crimson di Re Cremisi Robert Fripp (dal 1970 al 1972), della progressive rock band dei Camel, dei Caravan, dei Dire Straits. Ha suonato con icone della musica popolare contemporanea come Bryan Ferry, Rolling Stones, Eric Clapton, David Sylvian, Tears for fears, Tina Turner, Tom Waits, Joe Cocker, Pete Townshend, Terence Trent D’Arby, Phil Manzanera solo per citarne alcuni. Nel 1984 inizia la sua collaborazione con Pino Daniele lavorando alla registrazione dell’album Musicante il sesto in studio dell’artista di Santa Chiara, contenente brani ormai entrati nell’immaginario collettivo di più generazioni come Lazzari felici, Keep on movin, Stella nera, Santa Teresa. Da allora Collins parteciperà anche ai dischi Bonne Soirèe (1987) e Boogie Boogie Man (2010) del mascalzone latino. Racconta: «Pino è stato un grande musicista. Un chitarrista sensibile, dotato e dal suono unico, amato e stimato da tutti i suoi colleghi. Un musicista in grado di creare canzoni che racchiudessero le melodie delle sue origini mediterranee col blues americano e il rock di matrice britannica. Tutto in lui avveniva in maniera naturale, fluida. Suonava sempre col sorriso e con la gioia di farlo. Era instancabile, viveva per la musica. Iniziammo la nostra collaborazione verso la fine del 1983. Radunò attorno a sé grandi musicisti come Alphonso Johnson al basso, il percussionista brasiliano Nanà Vasconcelos che andarono ad aggiungersi ai suoi cari amici e fidati compagni di viaggio musicale Rino Zurzolo al basso, Joe Amoruso alle tastiere e Agostino Marangolo alla batteria. In studio si respirava tra noi un bel clima, tutto era musica. Cosa questa che ho riscontrato anche negli anni successivi lavorando con lui ad altri dischi. In Bonne Soirèe ad esempio cambiò la formazione, c’erano Pino Palladino al basso, Jerry Marotta alla batteria, Mino Cinelu alle percussioni e Larry Nocella (che suona il sax nel brano Boys in the night). Stessa cosa nel 2010 con il disco ‘Boogie Boogie Man’ in cui c’erano altri musicisti straordinari come Rachel Z al piano, Matthew Garrison al basso e Omar Akim alla batteria. Nonostante le diverse formazioni, Pino era capace di creare sempre la stessa magia, in studio e sul palco, con chi gli era al fianco. Con la sua scomparsa non è solo Napoli e l’Italia che hanno perso e pianto un grande artista, un loro amico, ma tutto il mondo». Conclude: «Ovunque andasse Pino era stimatissimo e rispettato da colleghi, pubblico e addetti ai lavori. E’ stato un vero privilegio aver potuto condividere un po’ della mia storia musicale con la sua». Mel Collins ora è di nuovo in tour con i King Crimson di Robert Fripp con Tony Levin al basso, Jakko Jakszyk alla chitarra, e i tre batteristi Gavin Harrison, Bill Rieflin e Pat Mastelotto. Carmine Aymone Le altre collaborazioni e contaminazioni internazionali Da Pat Metheny a Chick Corea «A me me piace ‘o jazz» «A me me piace ‘o blues», sì ma pure ‘o jazz, potremmo dire parafrasando uno dei titoli più fortunati di Pino Daniele. Ed è grazie a questa passione se tanti ragazzi degli anni ’80 hanno scoperto grandi musicisti americani. E Pino appariva in fondo come uno di loro, desideroso di incontrare i propri idoli ma con un jolly in più, quello di coinvolgere queste grandi star all’interno di progetti musicali. Una vera e propria vocazione iniziata nel 1982 con la collaborazione «live» con Gato Barbieri in Fiesta e poi con Bella ‘Mbriana, il quinto album di Pino, in cui schiera niente meno che due Weather Report: il sassofonista Wayne Shorter e il bassista Alphonso Johnson. Il 1984 è un altro anno di intensi incontri come quello con Bob Berg che incide uno struggente assolo di sax tenore in Io vivo come te registrato dal vivo e inserito nell’album live Sciò. E ancora l’incontro con il guru del «nu jazz», il trombettista Don Cherry invitato a suonare in Stop Bajon, il brano scritto da Daniele per l’album Acqua e viento di Tullio de Piscopo, registrato nel 1983. E un’altra partecipazione a un suo album, Musicante del 1984, è quella del fantasioso percussionista brasiliano Naná Vasconcelos.. Dischi, quindi, ma anche indimenticabili partecipazioni a concerti, come quello del 17 luglio del 1988, con Pino ospite a Perugia di «Umbria Jazz», per suonare la chitarra con la prestigiosa band del batterista Steve Gadd e del contrabbassista Eddie Gomez, comprendente anche Ronnie Cuber al sax baritono, Richard Tee al piano e Cornell Dupree alla chitarra. Nel 1991 altre due importanti incontri, con i Yellow Jackets, con cui suona dal vivo, e con Mick Goodrick, lo storico chitarrista post bop a cui affida un assolo in Che soddisfazione, compreso in «Un uomo in blues». Il 1993 è l’anno di Chick Corea, chiamato ad accompagnare la sua voce nell’album Che dio ti benedica, per cantare Sicily; poi si va a Ralph Towner, la mitica chitarra degli Oregon a cui affida lo strumentale Two pisces in alto mare, per finire con Randy Crawford che traduce in inglese e fa sua in tournée la celebre Quanno chiove, King Crimson Mel Collins ha collaborato con Pino negli album «Musicante», «Bonne Soirée» e «Boogie Boogie Man» © RIPRODUZIONE RISERVATA ovvero It’s raining, mentre si lascia accompagnare dalla chitarra di Pino nel suo cavallo di battaglia Street life. Solo due anni più tardi il tour di Non calpestare i fiori nel deserto con un altro gigante del jazz come Pat Metheny. Ancora un chitarrista, Al di Meola, le cui atmosfere latine hanno sempre affascinato il cantautore napoletano. Ormai Pino si è trasformato in una grande stella pop, ma non rinnega le radici blues e i suoi amici jazzisti, anzi. In Medina, del 2001, convoca dei mostri di tecnica come il vibrafonista Mike Mainieri, il bassista Victor Bailey e il batterista Peter Erskine, lo stesso che registrerà con lui anche Passi d’Autore del 2004 e Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui del 2007. Infine grande tris di percussionisti per il suo ultimo album in studio, La grande madre del 2012, con Mino Cinelu, Steve Gadd e Omar Hakim. Infine con Eric Clapton (foto) suonò a Cava de’ Tirreni in un memorabile concerto il 24 giugno 2011. Stefano de Stefano © RIPRODUZIONE RISERVATA 8 Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno NA Quel «niente» che è tutto Viento e quella Notte che se ne va Lecce-Napoli Je so’ pazzo Il manifesto I know my way il rito liberatorio di Napoli onesta nostalgia ribelle I miei anni beati di Enzo d’Errico di Gianluca Abate di Angelo Agrippa di Mirella Armiero di Salvatore Avitabile di Titti Beneduce Ci sono piccole frasi che si rincorrono in una vita e che il passare degli anni rende diverse. Una è certamente: Senza ‘e te nun so’ niente. Ma sussurrarla nell’incendio di un amore giovanile, quando il tempo non ha perimetro e le parole sono sempre pronte a un altro viaggio, non ha lo stesso gusto del pronunciarla oltre la metà del cammino, di fronte alla linea dell’orizzonte. Perché sai che quel «niente» è autentico, carnale. Come i versi di Pino. Che oggi canto con lo sguardo affondato negli occhi della donna che per me è tutto. E senza la quale «nun so’ niente». Davvero, finalmente. Rinchiudere la storia di Pino in una canzone è un po’ come suonare la chitarra costretti a utilizzare un solo accordo. Ma, se proprio devo scegliere, dico Chi tene ’o mare (ascoltatela nella versione cantata con Franco Battiato). È un manifesto della napoletanità onesta. Quella di chi ama la sua città, ma vede ogni giorno questa città lasciarlo con la bocca secca. «Fesso e contento», insomma. E consapevole che non sarà solo la bellezza a salvarci. Ché chi tene ’o mare non tene niente. Ho scelto Viento, benché sia complicato staccare un solo petalo da una rosa fitta di canzoni che ha animato il sottofondo musicale della mia gioventù. Viento, in età matura, mi restituisce la forza di una nostalgia rivoluzionaria e il rimpianto di un orizzonte ideale di cui avverto (e spero con me tanti altri miei coetanei) una terribile mancanza. Del resto, la opaca e disorientante caducità del nostro tempo si rende spesso più umiliante di qualunque fugace illusione adolescenziale. Melodia lenta su uno struggente ritmo blues, Notte che se ne va aprì uno squarcio nella mia ingenua visione del mondo, nei beati anni dell’adolescenza. Pierluigi era un mio compagno di classe un po’ più addentro alle cose della vita e mi rispose con una certa ruvidezza quando gli chiesi cosa significasse «fare ‘e cartune». Prima di allora ignoravo che qualcuno per vivere potesse girare la sera per le strade a raccogliere cartoni buttati via da altri. Me lo ha insegnato Pino Daniele. Era il 1981 quando a Discoring ascoltai per la prima volta Yes I know my way di Pino Daniele. Rabbia, energia, calore: divenne la colonna sonora della mia adolescenza. Sono passati tanti anni e oggi lo è ancora, soprattutto per me che, per circa vent’anni, ho lavorato tra Roma e Lecce. Ogni volta che in auto tornavo a Napoli ascoltavo subito il «mio» pezzo, un vulcano di energia e allegria che mi rendeva orgoglioso di essere nato a Napoli. Accade ancora così quando viaggio. Erano gli anni dell’adolescenza: mi rispecchiavo in quella canzone graffiante e innovativa con finale catartico, che le prime radio libere trasmettevano di continuo. Assieme a «Gianna» di Rino Gaetano, Je so’ pazzo fu la colonna sonora del mio 1978. Ma le canzoni scandivano momenti di allegria in un contesto già percepito come cupo: l’incubo del terrorismo, la crisi economica, le tensioni sociali pesavano. Ero una ragazzina ma già lo sentivo, quel peso. Il nostro Pino Napule è, brano Anna verrà Ricco e povero Furtunato, vince Je sto vicino a te Appocundria senza stereotipi Un giorno di sole in una canzone ogni stanchezza Il mondo è sporco L’apatia buona di Antonio De Rose di Michela Esposito di Vincenzo Esposito di Carmine Festa di Natascia Festa di Vanni Fondi Non ho dubbi, è Napule è: poesia dissacrante, dirompente, penetrante, che mi è entrata dentro è c’è restata nel tempo. Prima di Pino Daniele la canzone napoletana era ferma ai vecchi stereotipi di amore, pizza e mandolino. In Napule è, la città non è più ‘o paese d’ ‘o sole e d’ ‘o mare, ma quella dei contrasti e della varietà di umori, colori, atmosfere. In questo brano Pino Daniele «fotografa» un’altra Napoli, quella che, immutabile, abbiamo ancora sotto gli occhi. Anna verrà. Era il 1989 quando Pino Daniele pubblicò questa canzone e io mi ero da poco sposata. Iniziavo una nuova vita entusiasta ma anche timorosa. Sono legata a questa canzone perché Anna verrà è un inno alla speranza di un futuro migliore, esprime la voglia di cambiare il mondo. Anna verrà e sarà un giorno pieno di sole e allora sì ti cercherei forse per sognare ancora, sì, ancora… e io speravo che la mia vita fosse proprio così un giorno pieno di sole. Anna è stata di buon auspicio. Canzone di speranza e di disperazione, una foto di Napoli in melodia e delle mille contraddizioni di una città ricca e povera allo stesso tempo. Ho sempre pensato che una canzone è bella quando ti fa provare i brividi sulla pelle. E questa lo fa, sempre. Almeno a me. Chi tene ‘o mare ‘o sai nun tene niente, ma detto da chi pensa l’esatto contrario. Abbiamo molto ma non sappiamo sfruttarlo. Napoli è povera dalla spiaggia verso l’interno. È la città più ricca d’Italia dalla spiaggia verso il mare. Ho sempre pensato di essere uno come lui. Furtunato. Sì perché lui è uno che va avanti. Nonostante tutto e tutti. Conosce la fatica anche fisica del lavoro duro, ogni mattina spinge un carretto di taralli, ma lo fa con leggerezza e ironia. Saluta, scherza. Sa leggere l’anima vera delle persone. Capita che la vita ogni tanto mi presenti, come fa con tutti, qualche difficoltà, una stanchezza. E quello è il momento in cui nella mia mente ripeto: furtunato tene ‘a rrobba bella. E vado avanti. Quando uscì q u e s to b r a n o (1979), non riuscivo a capire perché Pino dicesse «je sto vicino a te, pecché ‘o munno è spuorco». Bambina, mi chiedevo: sporco di che? Poi ‘ncoppa ‘a sagliuta degli anni, vivendo con e ciento strilla attuorno, consapevole di fatti visti e scritti, per i quali jesce pazzo tutt’e juorne pe’ capì, finalmente m’è stato tutto chiaro: ‘o munno è proprio spuorco. Per questo ci vuole chi sta vicino a te «pe’ nun piglià cadute» e «fin’a che nun duorme». I brani brevi di Pino Daniele sono un mondo a parte che celebra e chiude compiutamente i suoi dischi. Ma, più che l’alleria, a definire meglio l’uomo e l’artista è l’appocundria. Quella narrata da Pino non è l’ipocondria, ma un’apatia tutta napoletana, un’indolenza buona. Di chi ha sempre voglia anche quando è sazio, ma che ti fa dire di essere a dijunu. Un’appocundria che scoppia ogne minuto ‘mpietto, ma che è niente, non fa niente: è di tutti e di nisciuno. I miei legami Quando salpò Amarcord felice Io, lui e mio figlio Un antidoto quel Ferry boat dei luoghi di Pino È amore puro chiamato alleria con Terra mia Contaminazioni da Gay Cavalier di Chiara Marasca di Luca Marconi di Silvia Marotta di Antonio Matarese di Imma Meoli di Anna Paola Merone Una sola canzone? E come si fa? Ok, allora pesco un pezzo tra i primissimi che ho ascoltato, perché ho la fortuna di ricordare quel pomeriggio in cui infilai una cassetta nel registratore. Era di mio fratello, gliel’aveva registrata un amico, di cui ero cotta. Un “amore” passeggero mi traghettò verso una passione inesauribile. A bordo di un Ferry boat. Mi stregò il ritmo, irresistibile, il mix linguistico, mai sentito, il sapore del viaggio. In un attimo ero su quella nave ca luntano ce porta e nun ce fa penzà. Non sono più scesa. È bello ricordare Pino sereno e in viaggio. C i s o n o t a n te canzoni che anche solo per un istante hanno finito per accompagnare molte delle nostre giornate dal risveglio, dint ‘e viche ‘miezz’ all’ate, non a caso due colleghi che Pino lo hanno conosciuto da vicino ci hanno scritto un libro su “Napule è..i luoghi di Pino Daniele”, diventato poi una docufiction e presto anche un’app per turisti, anche e soprattutto perché quelle note capitali sono Viento e Appocundria tutti partenopei. «Mamma come si chiama quella canzone di Pino Daniele che dice pecché senz’ e te nun so’ niente?» Amo questa canzone, perché mio figlio me la canta e la cantiamo insieme e ce la dedichiamo senza dire una parola, la mattina nel lettone. Io, lui e suo padre, tutti e tre a cantare guardandoci negli occhi, sorridendo. Avete sentito le parole? È amore puro: io ti sento come il sangue nelle vene…. Un amore senza se e senza ma, che non si può spiegare, accade e basta, come è accaduto a noi. Non sono un fan sfegatato di Pino Daniele, sono cresciuto ascoltando le canzoni di Edoardo Bennato, però se dovessi scegliere un brano preferito in testa alla mia playlist metterei Alleria. Amo particolarmente questa canzone anche perché è un tema tanto caro a noi napoletani, il bisogno di allegria come antidoto alle angustie dell’esistenza pratica ed emotiva; la voce e la sua esplosione fluttuano nell’aria attraverso docili passaggi di piano e contrabbasso, suggellando lo stato d’animo principe dell’essenza partenopea. Non sono cresciuta con le canzoni di Pino Daniele, ma quella che mi lega a lui è Terra mia perché mi riporta alla mia terra... Sono nata in un piccolo paesino a ridosso della catena del Partenio e con quella terra ho un forte legame e come dice lo stesso Pino: comm’ è bello a la penzà, comm’ è bello a la guardà. I miei ricordi e i miei affetti più grandi sono in quella terra... la Terra mia... dove scappo appena posso per «sentire» e «vedere» le persone che hanno riempito la mia vita. Sonorità inedite, ricche di contaminazioni, e di suoni non s co n t a t i . G a y Cavalier mi piace per questo: è un brano diverso da tutti, non allineato, che mette insieme universi solo apparentemente lontani. Un artista afroamericano e un napoletano, il falsetto di Pino Daniele e le profondità di Richie Havens, il folk singer che aveva aperto Woodstock con Freedom. Un grande duetto per una grande canzone. E per due artisti da scoprire. E riscoprire oltre i luoghi comuni. 9 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 NA Nella tazzulella Cuntento‘e sta’ A passi lenti Nel film di Troisi ‘Nu guaglione la vera musica Ricordi romani in città non mia il mio leit-motiv rivoluzionario Tutta n’ata storia è nel mio cuore di Gabriele Bojano di Simona Brandolini di Valeria Catalano di Alessandro Chetta di Gimmo Cuomo di Paolo Cuozzo Erano gli anni pionieristici delle radio private quando per la prima volta ascoltai Na tazzulella ’e café. Mi piacque subito il tono anticonformista e antioleografico di quel brano tant’è che io stesso volli rilanciarlo nei programmi di musica e dediche che conducevo a Radio Stella. Era il 1977, Amanda Lear il massimo della trasgressione, e tutt’intorno Collage, Santo California e Giardino dei Semplici con la rima cuore-amore. Pino Daniele mi insegnò che la musica poteva essere altro. Quanto è vero che capisci che un luogo fa parte di te solo quando sei lontana. Ecco, il mio Pino Daniele è made in Rome. Un amico mi registra una cassetta (l’età c’è cari miei e allora si cantava su nastro) con una sorta di personale best of. La porto con me quando mi trasferisco nella Capitale, a far finta di studiare. L’ho consumata. Una su tutte (devo scegliere per forza): E so’ cuntento ‘e sta’. Perché, a dispetto del caratteraccio, ma j’ sulo j’ sulo j’ sulo nun pozzo stà. Chi tene ‘o mare ‘o sape ca è fesso e cuntento chi tene ‘o m a re ‘ o s s a j e nun tene niente. Ho scelto Chi tene o’ mare perché questa canzone di Pino Daniele è dolce e crudele. È un abbraccio e pure uno schiaffo che ha il potere di risvegliarti dal sogno. È un brano che sento molto personale. Mi rivedo entrare a passi lenti in una città, Napoli, che non è la mia e che piano piano mi ammalia fino a conquistarmi. E diventa occhi, cuore, sangue. Infine una rete. Difficile da squarciare. Qualcosa arriverà è la canzone di chi come me a Pino Daniele ci è arrivato tardi. È la colonna sonora di un bel film. Il pezzo fa così: c’è Troisi nei panni azzimati di Camillo, a Parigi, che confessa alla dolce Vittoria: il topo morto l’ho mandato io al tuo vecchio fidanzato. E dopo si baciano, finalmente. Sul bacio parte subito la voce di Pino, che ricorda a Massimo e a noi che le vie del Signore a ben vedere sono infinite: voglio ‘o mare/‘e quatto ‘a notte miezzo ‘o pane. Sospinta dal micidiale contrabbasso di Rin o Z u r zo l o l a c a n zo n e è u n Frecciarossa lanciato alla massima velocità. E poi il testo, il tema del percorso drammatico di chi non si ritrova nel proprio corpo e individua nell’operazione la «sola azione decisiva». Esemplare messaggio di comprensione per chi è costretto a passare la «notte sotto a nu lampione» sognando un futuro «normale». Dopo 36 anni la carica rivoluzionaria di Chillo è nu buono guaglione non si è ancora attenuata. Tutta n’ata storia ha segnato il momento di crescita internazionale per Pino Daniele, accompagnato nell’album Bella ‘mbriana da artisti di livello mondiale come Wayne Shorter, lo storico sassofonista dei Weather Report. Il padre del jazz con il «re» del blues. Quei suoni non li ho più dimenticati, erano e sono ancora oggi il simbolo di un’artista desideroso di «cambiare» e di una Napoli ambiziosa. Sono passati tanti anni ma quella canzone resta sempre nel mio cuore. I say ‘i sto ccà e i miei sogni Teniamo ‘o mare Quanno chiove Quanno chiove, Fessi e contenti Triste o allegra? melodia galeotta Viento ‘e terra Negli sguardi Direzione blues oltre le parole di Dario Gaipa di Magi Gava di Paolo Grassi di Ketty Iaccarino di Angelo Lomonaco di Patrizio Mannu ’A vita è ‘nu muorzo ca nisciuno te fà dà’ ‘ncoppa a chello ca tene è un mantra per me. La musica di Pino ci ha sempre dato una direzione, Viento ‘e terra è la mia direzione. Se non perdo troppo tempo a guardarmi inutilmente lo devo a questo pezzo. Quest’estate sono andato a Valencia con Mauro per partecipare al tributo organizzato da Max un amico musicista che vive lì e la coincidenza ha voluto che questo brano fosse il tema di tutta l’esperienza. Tradotto: amici ritrovati, melodie blues e un vento caldo. Il mio ricordo di Pino Daniele è legato alle vacanze. Ogni estate partivamo con le nostre tre figlie per un giro dei musei della Costa Azzurra. Erano 15 giorni solo per noi e nel lungo viaggio in auto la colonna sonora era il cd di Pino e cantavamo insieme tutti i brani. Quando arrivava questa canzone, Occhi che sanno parlare, io e mio marito Pino ci guardavamo negli occhi e ci sfioravamo le mani, non c’era bisogno di parlare, i nostri occhi trasmettevano l’intensità dei nostri sentimenti. L a s u a vo ce roca, dolce e rabbiosa nello stesso tempo, m a i p ot rò d i menticarla. E le emozioni che Pino Daniele mi ha trasmesso in tutti questi anni sono racchiuse in I say i’ sto ccà, una delle canzoni più belle di Nero a metà. Era il 1980 ed erano gli anni dei grandi sogni, anche i miei. Grandi sogni e grandi speranze. I’ me imbriaco pe nun vedè ma so che sbaglierò me sento ‘a guerra il resto non lo so cantava Pino. Riascoltarla è sempre un piacere ed emozionante. C’è un motivo preciso per cui preferisco Chi tene ‘o mare a tutte le altre scritte da Pino Daniele che pur fanno parte ormai del patromonio genetico specialmente di noi meridionali. Penso che Pino Daniele in questi versi abbia saputo dipingere un perfetto ritratto di noi napoletani e forse solo chi è nato e vive vicino al mare può capire fino in fondo il gusto dolce e amaro di queste parole. Perché in fondo è proprio vero che chi tene ‘o mare ‘o sape ca è fesso e cuntento. Quanno chiove è una canzone triste o allegra? L’una e l’altra. Se cercate il testo su internet, ne troverete anche una spiegazione fornita da Pino Daniele. Parla di una prostituta che abitava nel suo palazzo, aveva un’esistenza difficile e tuttavia aveva fede che prima o poi sarebbe migliorata. Io tutto questo non l’avevo capito. Né mi ero posto il problema, come per i pezzi inglesi e americani. Quello che mi affascina è l’atmosfera della canzone, le storie che evoca, vere o immaginarie. Di Pino. E mie. Ci sono canzoni che ti restano cucite addosso; meglio: dentro. Accade a ognuno, anche a me quindi: è Quanno chiove. Perché? Già: ogni qualvolta ascolto o il Re-7 dell’arpeggio iniziale o una strofa nel mezzo, il pensiero è a quella sera di 33 anni fa: una festa, un “lento” e un invito a quella ragazzina di 17 anni: Milena; giacché avevo deciso di smettere di far tappezzeria (fino a quel momento magnificamente intonato con gli arredi). L’abbraccio, il ballo e me ne innamorai. È del primo amore che parliamo. A lei, ancor oggi – per l’allora – devo più di qualcosa. Essere “allero”? Avevo 14 anni, Nella pioggia Keep on moving Mondi invisibili Com’è strano Basta poco amavo «Libertà» i ritmi della vita È il mio mantra tutti da scoprire Pino a Milano di Felice Naddeo di Roberto Russo di Ciro Scognamiglio di Antonio Scolamiero di Monica Scozzafava di Laura Valente Trascorriamo la nostra esistenza alla ricerca della felicità e d e l l ’a l l e g r i a . Pensando chissà quali cervellotiche cose riusciranno a donarci qualche momento di sano piacere. E pensare che basta davvero poco: putesse essere allero cu’ mia figlia ‘mbraccia ca me tocca ‘a faccia e nun me fa guarda’. La semplicità è l’essenza della felicità, lo diceva anche Trilussa. E questa canzone di Pino Daniele lo conferma anzi ne è l’emblema. Gesti di vita quotidiana trasformati in gioia. Libertà tratto da «Terra mia». Perché come tantissimi anch’io a 14 anni ero un adolescente di provincia, arrabbiato contro la società borghese e la Dc, il partito che ai nostri occhi di «sinistri» incarnava tutti i mali del mondo. Perciò quando sentivamo intonare da Pino ce cammine ‘mmiezo ‘a via parlanno ‘e libertà ma anche ‘o padrone nun và duje sorde dice sempe ‘e faticà. Sognavamo la rivoluzione, poi siamo cresciuti e con la nostra rabbia se n’è andato anche Pino. In Quanno chiove ecco Il basolato lustro e punteggiato da mille scintillanti pozzanghere, le voci ammutolite dal tambureggiare della pioggia, il silenzio che lascia parlare i pensieri. Si può obiettare che non c’è nulla di tutto ciò nel testo. E’ vero. Resto obbligato a concludere che è proprio questa una delle virtù dei grandi poeti, la capacità di restituire a ciascuno la memoria di stati d’animo già vissuti, riportare in vita memorie sopite, lasciarci naufragare (in)felici tra le onde dei ricordi. Keep on movin’ non lasciarti andare giù se vuoi crescere davvero non ti lamentare più Keep on movin’. Ecco in questa strofa della canzone è sintetizzata una filosofia di vita. Va ripetuto a mo’ di mantra e funziona, ve lo assicuro. In diverse occasioni, quando lo sconforto stava per prendere il sopravvento, ascoltare le note di questo pezzo mi ha aiutato davvero a risalire la china. A pensare che non è tutto nero. E che bisogna muoversi, sempre. E dunque: Keep on movin’. Notte che se ne va è il racconto di un mondo invisibile ma incredibilmente affascinante per chi decide di osservarlo. Pino, ero poco più che ragazzina, sollecitò la mia curiosità. Mi aprì lo spaccato più vero di una parte di giornata, regno del possibile, che nun da’ turmiento a chi se vo’ ‘mbriacà. Notte che vene notte che va esce stu’ juorno a chi amma aspettà. Nel rumore interminabile di una città viva. Eppure chi invece dorme ha la sensazione che la notte trascorra velocissima.... Una contraddizione straordinaria. Napule è nu sole amaro. Ricordo ancora la prima volta che ho ascoltato la voce di Pino nella cuffietta cantare questi versi, a Milano, seduta sul tram. Il mitico 30 della circonvallazione che conduce da porta Ticinese a porta Romana. Erano gli anni Settanta, quelli del liceo, dei cantautori, dei collettivi e delle passioni. Milano così lontana da Napoli. Allora non sapevo ancora che questa «carta sporca» l’avrei scelta. Per mestiere. Per amore. Con la voce di Pino, sempre. 10 Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno NA Alla new wave napoletana ho dato il mio contributo. Altri sono stati i precursori e i capiscuola Rino Zurzolo «Napule è la provavamo a casa mia» «Negli ultimi tempi Pino era affascinato dal flamenco So che aveva già pronto il materiale per un album» Chi è Rino Zurzolo nasce nel 1958 in una famiglia in cui la musica è di casa. Il fratello Marco suona il sax. Con Pino Daniele, che conobbe a 13 anni, creò un trio dal nome difficile, Batrocomioma chia F ra quelli che «Scennevano ‘a Santa Teresa», come cantava Pino nel 1984 nell’album Musicante, c’era anche Rino Zurzolo, il contrabbassista che ha accompagnato tutta la vita artistica del cantautore napoletano, sin dal primo trio creato nel 1971 insieme a Gianni Battelli, che all’epoca suonava il violino, e fino a quello che sarebbe stato il prossimo progetto, quello stroncato dalla morte, dedicato al flamenco. Si conobbero quando Pino aveva 16 anni e Rino solo 13, un ragazzino, ma con un talento da enfant prodige che colpì subito la fantasia musicale del collega chitarrista. «È vero – ricorda Zurzolo – io avevo iniziato a imparare il basso togliendo le corde più sottili a una chitarra che mi avevano regalato da bambino e con la quale accompagnavo il chitarrista di casa che era mio fratello maggiore, anche perché mi interessava soprattutto il ritmo. Così suonando in giro, finì che incontrai Pino che volle subito creare un trio, al quale qualche anno dopo si aggiunsero anche Rosario Iermano alla batteria, Paolo Raffone al piano ed Enzo Ciervo alla voce. Scegliemmo un nome difficile e letterario, ma allora si usava così, ovvero Batrocomiomachia, un poemetto greco sulla guerra fra topi e rane, e musicalmente ci orientammo su un rock progressivo e un po’ cervellotico vagamente ispirato ai King Crimson». E cosa c’entrava Santa Teresa? «C’entrava e come, perché dopo un primo periodo di prove a Pianura, e poi nel garage di Iermano alla Sanità, ci trasferimmo nella famosa grotta di Ciervo a vico Fontanelle, dove oltre a noi venivano tanti altri amici musicisti, da Enzo Avitabile a Lino Vairetti, con la creazione di continue session. E così a tarda sera risalivamo i vicoli che ci portavano su Santa Teresa degli Scalzi e da lì camminavamo fino alla zona della posta centrale, dove, abitava Pino». Un’esperienza destinata però a esaurirsi alla fine degli anni ’70. «Diciamo che nel frattempo io avevo partecipato alla formazione di Città frontale con gli ex Osanna Vairetti e Guarino, ma Tutta la vita Rino Zurzolo è stato il contrabbassista che ha accompagnato tutta la vita artistica di Pino Daniele soprattutto che Pino stava tirando fuori quello stile personalissimo fatto di un misto acustico fra blues e melos partenopeo che lo avrebbe portato poi al successo». Quale fu la scintilla scatenante? «Pino aveva sempre scritto brani suoi, tenendoli però spesso per sé, e a un certo punto decise di proporli alla Emi cantandoli in un provino e ripromettendosi poi di affidarli a un cantante vero. E invece proprio alla casa discografica gli dissero che quel timbro di voce un po’ rauco era perfetto per quella musica e così con Terra mia nasceva la sua storia di cantautore, dopo aver fatto una breve esperienza di bassista con Napoli Centrale». Che ruolo avesti in quel disco? «Ovviamente suonai il basso, ma i ricordi più belli sono quelli legati a un brano in particolare, Napule è, che sarebbe diventato poi la bandiera di Pino e in qualche modo della città. Lo provavamo a casa mia a via Caravaggio, solo voce, chitarra e contrabbasso, in un una modalità che piaceva moltissimo a Pino e che sarebbe poi ritornata tante volte dal vi- vo e anche in altri brani. Ma soprattutto il ricordo più bello è che Pino chiese a me di farne la trascrizione musicale con cui depositarla alla Siae. Io studiavo al Conservatorio e non mi fu difficile realizzarla, ma la cosa più incredibile è che mai avrei pensato a quale successo avevo fra le mani, una canzone davvero predestinata, alla quale sono contento di aver dato il mio piccolo contributo». Ma è vero che ogni volta che componeva, anche negli anni successivi, Pino ci teneva sempre molto al tuo giudizio? «Pino era una persona tenacissima, che andava diritto per la sua strada, ma che sapeva anche ascoltare le idee e i pareri di chi stimava. D’altra parte dalla fine degli anni ’70 e fino al 2015 io ho quasi sempre preso parte ai sui progetti musicali, solo con una breve interruzione all’inizio degli anni ’90, quando ebbe una svolta un po’ più orecchiabile e rivolta a un pubblico italiano più vasto. Ma per il resto gli sono stato sempre vicino, anche nei viaggi come a Cuba nei primi anni ’80 e più di recente in Marocco, nella fase legata alle modularità arabeggianti. Peccato solo non aver intrapreso l’ultimo, quello dedicato al flamenco spagnolo, che amava moltissimo grazie all’ascolto di maestri come il compianto Paco de Lucia o il più giovane Tomatito, che avrebbe dovuto essere suo ospite nel nuovo disco. So che aveva già pronto tutto il materiale per l’album. Ma a questo punto chissà se verrà mai pubblicato». Stefano de Stefano © RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 11 NA 12 Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno NA Io sono per la canzone di speranza e non di denuncia È il momento di dare stimoli «Da ragazzo non lo seguivo ma oggi devo tutto a lui» Antonio Onorato: «Pino era molto generoso, una volta durante il tour mi regalò una chitarra» Chi è Antonio Onorato è nato ad Aquilonia il 13 gennaio 1964. Studia la fusione della melodia napoletana, con la musica africana, americana ed orientale di Antonio Onorato H o conosciuto Pino tanti anni fa. Io ero un ragazzino innamorato della chitarra. A dire il vero, quando ero adolescente non lo seguivo molto, perché lo ritenevo erroneamente parte di quella schiera di cantautori, bravi con i testi ma poco musicisti. E io invece ascoltavo e seguivo prevalentemente i grandi chitarristi del jazz , del blues e della fusion .Non avevo prestato molta attenzione a quello che faceva finché dovetti farlo quasi per forza, perché i miei amici di Pesaro, dove mi recavo per trascorrere le vacanze estive da mia nonna materna che abitava lì, impazziti per le sue canzoni, mi chiedevano continuamente di tradurle dal napoletano in italiano. Allora cominciai a rendermi conto della sua grandezza, del suo genio e mi innamorai della sua Musica e della sua incredibile vena poetica. Ricordo ancora un suo concerto strepitoso a Misano Adriatico ,con una band stellare: quelli che poi sono diventati miei amici-colleghi: James, Tullio, Rino, Joe, Tony e poi Gato Barbieri...che grandi musicisti e che grande musica napoletana. Quel giorno mi sentii fiero di essere napoletano e dissi tra me e me «un giorno sarò anche io con loro su quel palco» a rappresentare la mia cultura e la mia città. E poi si è avverato. Da quel giorno Pino aveva preso un posto speciale nel mio cuore. Cominciai ad ascoltare e a studiare tutti i suoi dischi, cercando di capire dove volesse andare. Pino era un ricercatore, un innovatore e io aspettavo con ansia ogni sua uscita discografica, perché sapevo che ci sarebbe stata sempre una nuova interessante innovazione musicale. E poi la sua musica commuoveva la mia anima. Avevo una ventina d’anni quando mi arriva una telefonata. Era un collaboratore di Pino che mi annunciava: «Pino ha sentito parlare in giro di te che sei bravo con la chitarra e vuole conoscerti. Mi diede il numero del suo studio a Formia. Ero al settimo cielo. Provai a chiamarlo varie volte, ma non Il suono Suona la Yamaha G 10, un modello di chitarra synth ribattezzata chitarra a fiato, caratterizzata dal fatto che la forza, l’intensità e le dinamiche sono gestite attraverso l’emissione del fiato del musicista grazie ad un breath controller e non dalla pennata me lo passavano mai. Mi ero ormai quasi rassegnato quando poi lui, con la sua voce inconfondibile, mi risponde...e io gli dico «è più facile parlare con il presidente della Repubblica che con te» e lui...grande risata. Insomma il nostro rapporto iniziò subito con un certo feeling. Dopo qualche anno, nel 1997, mi chiamò ad aprire come solista un suo tour trionfale negli stadi di tutta Italia. Non finirò mai di ringraziarlo. Quante risate, scherzi...abbracci. Pino era molto generoso...una volta durante il tour mi regalò una chitarra, una bellissima Martin da viaggio che ancora uso per esercitarmi quando sono in giro. Quando mio figlio Gabriel era piccolo, lo andai a trovare e sen- za dirgli niente, gli avevo portato un regalino per sua figlia Sara che ha più o meno la stessa età di mio figlio e lui aveva fatto la stessa cosa. Aveva preso un regalo per mio figlio. Potrei raccontare tantissimi aneddoti. Un’altra volta mi voleva regalare la sua chitarra battente elettrica. Io per pudore non me la presi. Pino era fatto così. Se ti voleva bene, ti voleva bene veramente. Stima e affetto Se ti voleva bene, ti voleva bene veramente Po i , c o m e t u t t i i g r a n d i , riconosceva il talento e non era invidioso. Una volta, quando da giovane chitarrista suonavo nella band di Gragnaniello, mi disse che mi dovevo far mettere sui manifesti come special guest, perché io non ero un «musicista normale» e infatti lui successivamente mi ha sempre invitato come ospite nei suoi concerti. Il patrimonio artistico che Pino ci ha lasciato è incommensurabile. La sua musica e la sua poesia sono tra le cose più belle che ho ascoltato in tutta la mia vita. Poi il Pino, amico sincero e innamorato perdutamente della chitarra come me, sarà per sempre nel mio cuore. © RIPRODUZIONE RISERVATA 13 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 NA Ho dei colleghi, non dei rivali C’è emulazione, rispetto, stima. Ci scambiamo idee Tony Esposito «Nella reunion del 2008 come se non ci fossimo mai separati» Il percussionista: «Bastava accendere gli amplificatori e subito si capiva che la magia tra noi non era mai svanita Quando lo sentii l’ultima volta mi confidò che era stanco e mi lasciò dicendo”ti voglio bene”. Ora c’è un vuoto in me» Chi è Tony Esposito ha intrecciato la carriera con quella di Pino Daniele: ha fatto parte del supergruppo degli storici concerti del 1981 e 2008 «P ino amava suonare, desiderava suonare. Negli ultimi tempi era felice di salire su un palco come non lo avevo mai visto». A parlare è Tony Esposito classe 1950, le percussioni della all star band del lazzaro felice, quelle dello storico concerto del 19 settembre del 1981 in Piazza del Plebiscito e della reunion nella stessa location del 2008. «Pino ha lasciato in tutti noi un vuoto – continua il musicista - una ferita personale ma anche culturale, come accaduto con altri nobili figli di Napoli, Eduardo De Filippo, Totò, Massimo Troisi e in ultimo Luca De Filippo. Uomini che hanno fatto la storia culturale del Novecento». Dopo aver pubblicato album cult del nostro canzoniere precursori della world music come Rosso napoletano (1975), Processione sul mare (1976), super hit come Kalimba de luna (1984) e Papa Chico (1985) e aver collaborato con artisti come Alan Sorrenti, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Perigeo, Roberto Vecchioni, nel 1981 inizia la sua collaborazione con Pino. Racconta: «Sì, per volere dell’allora nostro manager comune, nell’album Vai mo’ con James Senese, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, Tullio De Piscopo. Un disco questo contenente perle sonore come Notte che se ne va, Yes I know my way, Ma che ho, Puorteme a casa mia. Con Pino ho registrato anche Sciò live nel 1984, Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui’ nel 2007 e l’anno dopo Ricomincio da 30. Suonare noi tutti insieme è stato un sogno, la nostra grande avventura, il no- stro sound era contaminato da culture differenti, storie, colori. Catturammo le energie creative di questo luogo meraviglioso, esotico, cosmopolita da sempre che è Napoli, la Campania. Una Regione da sempre laboratorio di creatività, dove confluiscono le tante energie vitali dei suoi luoghi che aspettano solo di esser raccolte. Dopo Sciò live ognuno di noi ha percorso il proprio sentiero artistico ed umano fino al ritorno “a casa”, alla reunion del 2008, al Tutta n’ata storia live. Nonostante gli anni trascorsi dal primo momento in sala capimmo immediatamente che la magia tra noi non era svanita; bastò accendere gli amplificatori, imbracciare ciascuno il proprio strumento e tutto fu naturale, il piacere di stare insieme, di suonare, di creare era immutato». Tony, musicista e pittore, ricorda commosso l’ultimo concerto con il mascalzone latino: «Il 15 dicembre del 2014 suonammo insieme per l’ultima volta al Palasport di Roma. Nei giorni di Natale ci sentimmo al telefono. Mi disse che si sentiva stanco e che si sarebbe esibito a Capodanno a Courmayeur per il consueto concerto di Raiuno. Aveva un nuovo progetto in cantiere: voleva dedicarsi a una nuova musica totalmente acustica fatta di percussioni e chitarre, un sound che unisse tutte le culture del nostro mediterraneo. Chiudemmo la telefonata con un suo “ti voglio bene”. Queste parole da quel giorno non mi hanno più abbandonato e riecheggiano sempre nel mio cuore». Carmine Aymone Gli artisti Sopra il percussionista napoletano Tony Esposito, per anni musicista di Pino Daniele A destra il cantautore partenopeo con il rapper Rocco Hunt prima di un concerto © RIPRODUZIONE RISERVATA «Mi disse: guagliò, non ti perdere» Il rapper: «Mi invitò a casa sua, non ho fatto in tempo» di Rocco Hunt U na della soddisfazioni più grandi che la musica mi abbia regalato è s t a t a s i c u r a m e n te quella di incontrare il Maestro Pino Daniele. Lo conobbi a Radio Deejay e rimasi incredulo dal fatto che già conoscesse al- I posti del nero a metà nella «città dei mille culure» Nel libro di Aymone e Iossa testi e foto di un itinerario del cuore «I l libro nasce come un nostro bisogno di narrare per ricordare un’assenza. Un’idea realizzata in occasione del Maggio dei Monumenti 2015 in collaborazione con l’assessorato al turismo e alla cultura del Comune di Napoli e con la mostra internazionale Rock! da cui è stata girata anche una docu-fiction prodotta dal Centro Produzione Rai di Napoli con la regia di Gino Aveta». Sono le parole dei giornalisti e critici musicali Carmine Aymone e Michelangelo Iossa che con il fotografo Dino Borelli hanno pubblicato «Napule è… i luoghi di Pino Daniele» (Rogiosi Editore). Il volume è impreziosito dalla prefazione di Phil Palmer (già al fianco di Eric Clapton, Dire Straits, Tina Turner, Elton John e moltissimi altri), uno dei più grandi chitarristi del mondo, negli ultimi anni amico e collaboratore di Pino Daniele. «Napule è… I luoghi di Pino Daniele» è un viaggio alla scoperta della Napoli musicale che ha forgiato e ispirato l’arte di Pino Daniele. Un percorso, diviso in quattro capitoli, nella «città dei mille culure»: da Santa Chiara a Santa Maria La Nova, da via San Sebastiano («la strada della musica») al Castel dell’Ovo, passando per via Toledo–via Roma e Piazza del Plebiscito, fino a giungere al mare, proprio come un ruscello che dalla collina sfocia tra le onde di acqua salmastra del Golfo. La genesi delle prime canzoni del mascalzone latino, le passeggiate lungo le strade di Napoli, il legame con la città, l’amicizia con l’altro «cuore ribelle» Massimo Troisi e la loro Quando: il mercato e i vicoli di Furtunato, i ragazzini intraprendenti di Ué Man, l’incanto di Jesce Juorno e il risveglio con il profumo di Na tazzulella ‘e cafè aspettando ‘a bella ‘mbriana “appisa a’nu filo d’oro”. «A parlare, a raccontare – spiegano gli autori - sono le pietre, i monumenti, le mera- viglie architettoniche e naturali di questo straordinario lembo di terra che prende il nome dalla Sirena del canto, Partenope, immortalate dagli scatti di Dino Borelli: il luogo dove l’azzurro del cielo bacia quello del mare». Dal libro e dalle foto è nata anche una mostra «I Luoghi di Pino Daniele» visibile gratuitamente presso la Galleria Auchan di Napoli (Via Argine) dal 14 al 31 gennaio 2016 (il 14 e il 24 gennaio, vi sarà anche il live set, il primo acustico il secondo elettrico, dei «Quanno Good Good» che eseguiranno dal vivo i brani del lazzaro felice. Antonio Cayafa © RIPRODUZIONE RISERVATA cuni miei brani. Non potrò mai dimenticare le sue parole: «Guaglio’ non ti perdere, sei bravissimo a scrivere». Io saltellavo dalla gioia, Pino mi aveva fatto i complimenti! Qualche mese dopo ci ho suonato insieme all’interno del suo ultimo concerto a Napoli, e vi assicuro che è stata un’emozione incredibile, unica. Vive in me Supplemento della testata Distribuito con il Corriere della Sera non vendibile separatamente Enzo d’Errico direttore responsabile Carmine Festa redattore capo centrale Paolo Grassi redattore capo centrale Editoriale del Mezzogiorno s.r.l. con socio unico, soggetta a direzione e coordinamento da parte della società RCS Mediagroup S.p.A. Alessandro Bompieri presidente Domenico Errico amministratore delegato Redazione, produzione, amministrazione e sede legale: Vico II S. Nicola alla Dogana, 9 - 80133 Napoli - Tel: 081.760.20.01 Fax: 081.58.02.779 Reg. Trib. Napoli n. 4881 del 17/6/1997 © Copyright Editoriale del Mezzogiorno s.r.l. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo quotidiano può essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge. purtroppo un grande rimpianto, quello di non avere mai potuto accettare il suo invito di andarlo a trovare a casa sua e quindi magari di poter comporre qualcosa insieme… Ma allo stesso tempo sono felice, onorato e orgoglioso di averlo semplicemente conosciuto. Zio Pino Rest in Peace! © RIPRODUZIONE RISERVATA Stampa: Sedit Servizi Editoriali srl Via delle Orchidee, 1 - 70026 Z. I. Modugno Bari - Tel. 080.585.74.39 Sped. in A.P. - 45% - Art.2 comma 20/B Legge 662/96 - Filiale di Napoli Diffusione: m-dis Distribuzione Media Spa Via Cazzaniga, 19 - 20132 Milano Tel. 02.25821 Pubblicità: Rcs MediaGroup S.p.A. Dir. Communication Solutions Vico II San Nicola alla Dogana, 9 80133 Napoli - Tel. 081.497.77.11 Fax 081. 497.77.12 www.rcscommunicationsolutions.it Pubblicità Locale Piemme S.p.A. Via G. Arcoleo, snc - 80121 Napoli. Tel. 081.247.31.11 - Fax 01.247.32.20 www.piemmeonline.it Proprietà del Marchio: RCS MediaGroup S.p.A. Divisione Quotidiani Distribuito con il Direttore responsabile: Luciano Fontana 14 Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno NA Non so mai se un disco venderà Non faccio canzoni per vendere ma per esprimere qualcosa L’incontro con Vairetti «Lo conobbi nel 1975 Subito lo feci suonare» discografico con la Emi. Ma la stima reciproca era intatta al punto che durante le registrazione di Terra Mia conoscendo la mia passione per la fotografia, mi chiese di realizzare un servizio fotografico per l’uscita del suo primo 45 giri Ca Calore. Venne così nel mio studio con la sua compagna Dorina (diventata poi sua moglie), e in due giorni realizzammo centinaia di scatti, molti dei quali lo riprendono mentre suona con la mia chitarra 12 corde «Eko Ranger»: foto che ho presentato al Palazzo delle Arti di Napoli l’esta- «Rimasi colpito dalla voce e dalla sua chitarra Si esibiva con me nei concerti di Città Frontale» Chi è di Lino Vairetti Dopo oltre 30 anni «Nel dicembre 2013 ci siamo ritrovati a suonare insieme al Palapartenope» S Lino Vairetti è uno dei pilastri del rock progressivo italiano degli anni ‘70 . Ha tenuto a battesimo Pino Daniele e nel 1977 gli scattò le foto per «Terra mia» ettembre 1975. Andai in un locale alla Mostra d’Oltremare a sentire il gruppo dei Batracomiomachia. Ad invitarmi furono Enzo Avitabile, Rino Zurzolo e Paolo Raffone, che ne facevano parte e che stavano anche collaborando nel mio nuovo progetto discografico «El-Tor» di Città Frontale. Quella sera mi si avvicinò un ragazzo che sorridendo mi disse «Ciao Lino, io sono Pino Daniele. Era da tempo che volevo incontrarti». Mi chiese di ascoltare alcune sue canzoni. Lo invitai a casa mia. Si presentò giorni dopo puntuale, chitarra acustica in spalla accompagnato dal suo amico Rosario Iermano. Rimasi folgorato dalla sua voce, dal suo modo di suonare la chitarra così diverso dai chitarristi cittadini dell’epoca, dal suo essere artista. Chiamai ad- dirittura mia madre per farle ascoltare quel piccolo miracolo in musica. A casa avevo un piccolo home studio analogico così decisi di fare delle registrazioni dei suoi brani per una possibile produzione discografica. Ci lavorammo circa sei mesi realizzando diversi provini, molti dei quali rimasti ancora inediti e conservati ge- losamente nei miei archivi. Parallelamente alle registrazioni in corso, portavo con me Pino Daniele, in duo con Rosario Iermano, quale opening act nei concerti di Città Frontale. Ma tra Pino e me ci fu un diverbio intorno alle mie strategie di produzione. Così decise di fare un percorso diverso che lo portò al suo primo contratto Le immagini Alcune foto di Pino Daniele scattate a Napoli da Lino Vairetti negli anni ‘70 te scorsa in occasione della mostra internazionale Rock!6 ad ingresso gratuito dedicata a Pino. La foto scelta per la copertina lo ritraeva seduto in terra con le spalle poggiate su un muro di tufo e con un fazzoletto bianco in testa. Da quel momento le nostre strade si divisero e per oltre 30 anni non ci siamo più incontrati, fino a quando, nel dicembre 2013, mi chiamò chiedendomi di partecipare con gli Osanna, nel suo progetto musicale Napul’è tutta n’ata storia al Palapartenope. Suonammo insieme il suo brano Il Mare e L’Uomo degli Osanna. © RIPRODUZIONE RISERVATA 15 Corriere del Mezzogiorno Lunedì 4 Gennaio 2016 NA Nella musica dei cantanti napoletani non c’è più poesia Oggi c’è poco rispetto per l’arte «’Sta pizza senza ‘e te che sapore tene?» Peppe Lanzetta ha scritto nella notte tra Natale e Santo Stefano Cumpagno mio, la poesia dedicata a Pino Daniele, nel primo anniversario della prematura scomparsa, che pubblichiamo in esclusiva a lato, nella versione originale battuta a macchina. È un testo intriso dal rimpianto di aver perso un amico, ‘o Comandante nuosto che c’ha lassato ‘nterra, e allo stesso tempo dalla consapevolezza che senza di lui Chi è Peppe Lanzetta è nato a Napoli nel 1956. Dopo gli esordi nel cabaret si distingue per l’attenzione ai temi sociali come autore e attore. Nel cinema ha di recente preso parte all’ultimo film di 007 «Spectre». niente sarà più come prima. Da qui l’efficace similitudine: sta pizza senza ‘e te che sapore tene? Già nell’immediatezza della perdita Lanzetta regalò un intenso ricordo personale di Pino: «Il padrone stavolta s’è portato un ragazzone timido, comico e malinconico, che non sapeva di Mississippi quando per Santa Chiara col suo registratore Geloso (di marca) provava a dire: no, perché io suono». 16 NA Lunedì 4 Gennaio 2016 Corriere del Mezzogiorno