Esami preliminari in chirurgia refrattiva
Un aspetto, spesso poco considerato, della chirurgia refrattiva è quello che riguarda la scelta del paziente ed
il giudizio sulla sua idoneità o, meglio, sull’idoneità di ciascuno dei suoi occhi, ad essere sottoposto ad una
procedura chirurgica a scopo refrattivo.
Sembra superfluo dirlo, ma un bravo chirurgo refrattivo si distingue anche per la sua capacità di rifiutarsi di
operare il paziente che non presenta i caratteri di idoneità all’intervento, oltre che per la sua abilità nello
spiegargliene le motivazioni.
Dobbiamo sempre tenere a mente che, nella maggior parte dei casi, siamo di fronte a pazienti che non
devono essere curati perché malati, ma che desiderano correggere il proprio difetto refrattivo con una
metodica certo più complessa (per il chirurgo) che deve avere il risultato (per il paziente) di consentire il
miglior visus (che per il paziente coincide con quello corretto preoperatorio) senza l'uso di presidi (occhiali a
stanghetta, lente corneale) utilizzati precedentemente all’intervento; inoltre, per il paziente, un buon visus
significa non solo poter leggere i caratteri più piccoli dell'ottotipo, ma anche poter vedere bene durante la
guida, in condizioni di luce artificiale, durante l'attività di lavoro, alla scrivania o al computer o davanti alla
televisione. Tutto ciò senza disturbi soggettivi (bruciore, lacrimazione, senso di corpo estraneo, aloni,
fluttuazione).
Si comprende bene, allora, che un’accurata selezione del paziente può quasi essere considerato un tempo
dell'intervento e che è bene avere un protocollo diagnostico cui sottoporre tutti i pazienti potenziali oggetto di
trattamento chirurgico a scopo refrattivo; tale protocollo, da applicare in tutti ì casi, deve essere integrato da
opportune e mirate indagini ogni qualvolta lo si ritenga necessario per dirimere un dubbio diagnostico.
Abbiamo voluto di seguito esporre in dettaglio la procedura diagnostica da noi seguita, in alcuni casi
sottolineando in modo mirato alla chirurgia refrattiva alcuni aspetti di esami che ognuno di noi effettua
giornalmente nel corso della propria attività professionale, in altri casi dilungandoci sulle basi teoriche e sui
risvolti pratici di metodiche che, pur conosciute, richiedono una maggiore esperienza nella loro esecuzione ed
interpretazione.
Lo schema degli esami da effettuare routinariamente nei pazienti da sottoporre ad interventi di chirurgia
refrattiva sono i seguenti:
Anamnesi
*
patologica
*
oculare
Esame oculistico completo che comprenda:
*
Esame della refrazione soggettiva
*
Esame della refrazione in cicloplegia
*
Cheratometria
*
Tonometria
*
Esame del Segmento anteriore
*
Esame del Film lacrimale
*
Esame del Segmento posteriore in midriasi
*
Esame ortottico
Esami particolari:
Test della sensibilità al contrasto
Esame della refrazione con Autorefrattometro
Topografia corneale
Esame qualitativo e quantitativo dell'endotelio
Pachimetria
Ecobiometria
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Anamnesi patologica
E' noto che alcune patologie sistemiche rappresentano una controindicazione all'intervento.Tra queste, le
patologie metaboliche (Diabete, Gotta, Amiloidosi), patologie del sistema immunitario (Lupus Eritematoides
Sìstemicus, Artrite Reumatoide, Sclerodermia, Sindrome da Immunodeficienza Acquisita), patologie del
sistema endocrino (distiroidismo), emopoietico.
Tra le condizioni da indagare nella raccolta dell'anamnesi, una menzione particolare all'eventuale
assunzione di farmaci (estroprogestinici, corticosteroidi) e sulla sua motivazione, nonché alla presenza di
allergie note verso di loro; alla presenza di una cardiopatia aritmica che richieda l’applicazione di un Pacemaker (che può subire sostanziali alterazioni nelle modalità di stimolazione durante il funzionamento del
Laser); alla presenza dì una gravidanza.
Anamnesi oculare
E' importante essere a conoscenza di patologie pregresse quali processi infettivi o infiammatori degli
annessi, strabismo patologie bulbari di superficie, cheratocono, distrofie corneali, uveite, glaucoma,
cataratta, retinopatia su base metabolica (diabetica), vascolare (occlusioni venose o arteriose, ipertensiva)
o regmatogena, periferica (rotture, distacchi) o aculare (maculopatia miopica). E’ necessario essere
adeguatamente informati dal paziente circa eventuali trattamenti terapeutici (farmacologici sistemici o topici,
parachirurgici, chirurgici) subiti in precedenza.
In modo più finalizzato alla procedura chirurgica, occorre chiedere al paziente quando ha iniziato a portare
la correzione, se ha portato lenti a contatto, da quanto tempo, quale tipo, con quali modalità, se ha avuto
complicanze e quali.
A nostro parere è di grande aiuto per il chirurgo conoscere le motivazioni che spingono il paziente a
richiedere l'intervento a scopo retroattivo; infatti queste informazioni potranno evitare incomprensioni
reciproche, pericolosi malintesi e profonde insoddisfazioni e frustrazioni sia al chirurgo sia al paziente.
Esame della refrazione soggettiva
La misurazione dell'entità del difetto refrattivo rappresenta, ovviamente, una tappa fondamentale
dell'approccio ad una procedura chirurgica di tipo refrattìvo, sia nel caso in cui si voglia eliminarlo
interamente, sia nel caso che, per diversi motivi, ci si voglia limitare a ridurlo.
Ci sembra, a questo punto, utile una premessa a riguardo dei portatori di lenti a contatto, che
rappresentano una cospicua parte della popolazione di pazienti che, giunti presso i centri di chirurgia
refrattiva, chiedono di essere sottoposti ad un intervento a scopo refrattivo.
E' noto che la lente corneale, sia essa rigida, semirigida o morbida, determina una serie di effetti deleteri
sulla cornea, che vanno dall’alterazione della superficie epiteliale, alla cheratopatia puntata superficiale, ad
infezioni micotiche di difficile risoluzione, fino a vere proprie abrasioni corneali; in molti pazienti che portano
lenti corneali morbide da anni è possibile verificare la presenza, oltre che di un’iperemia congiuntivale reattiva
e ad un’ipertrofia papillare, anche di un vero e proprio panno corneale accompagnato da grossolani neovasi a
decorso circonferenziale perilimbare e da una sottile trama di vasi di minor calibro nell'anello più esterno della
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cornea. Molte volte è possibile riconoscere, all'esame con lampada a fessura, opacità più o meno superficiali
in forma di nubecole o veri e propri leucomi conseguenza di un uso improprio della lente o di eventi acuti
verificatisi nel corso della vita di un portatore di lenti a contatto. In più di un’occasione abbiamo effettuato
trattamenti fotoablativi in consumati portatori di lenti corneali nei quali, a causa delle condizioni del tessuto
corneale (opacità epiteliali e stromali superficiali, edema epiteliale microcistico, assottigliamenti corneali per
difetti di sostanza nel parenchima), l'intervento finiva con l'avere più un significato terapeutico che refrattivo.
Nel caso in cui venga alla nostra osservazione un paziente portatore di lenti a contatto per un esame
preliminare alla chirurgia refrattìva, è assolutamente indispensabile che sia esaminato dopo averle rimosse.
Un quesito che spesso ci è rivolto è: "quanto tempo dovrò rimanere senza lenti a contatto prima
dell'intervento ?". La stessa domanda ci viene posta da colleghi che per la prima volta si accostano alla
chirurgia refrattiva.
La risposta mutuata dall'esperienza è che le lenti a contatto sicuramente lasciano una sorta di 'impronta' sulla
superficie corneale la cui intensità e durata dipende da fattori quali il tipo, lo stato di conservazione, le
modalità ed il tempo di applicazione delle lenti contatto; eventuali patologie sopraggiunte durante il periodo di
applicazione e per sua causa; le caratteristiche anatomiche, istologiche, reattive individuali, del tessuto
corneale e dell'intero segmento anteriore.
L'esame del visus, l’oftalmometria e, soprattutto, la topografia corneale ci dimostrano la presenza, l'effetto,
l'entità e la morfologia di tale 'impronta'.
Ad esempio: un’applicazione troppo stretta può appiattire eccessivamente la cornea portando a sottovalutare
l'entità della miopia; un’applicazione troppo larga può essere causa di un’ipossia dell’epitelio corneale che dà
luogo ad un edema epiteliale che può indurre a soprastimare l'entità della miopia.
I parametri forniti dall'oftalmometro possono essere completamente falsati dall'applicazione della lente a
contatto e, subito dopo averle rimosse è possibile non riconoscere la presenza di astigmatismi corneali anche
di un certo rilievo perché parzialmente eliminati dalla applicazione della lente sulla cornea. L’esame che più di
ogni altro svela i particolari effetti della lente a contatto sulla superficie corneale e ci illumina sulle possibili
conseguenze che questa ha sulla refrazione è rappresentato dalla topografia corneale , esame questo che ci
permette di evidenziare in modo spettacolare il fenomeno definito "warpage" corneale, termine con il quale si
indicano le deformazioni indotte sulla superficie corneale dalla lente a contatto visibili in topografia.
Il warpage corneale si può manifestare o con zone di appiattimento (di minore curvatura rispetto alla cornea
circostante) o con zone di incurvamento (di maggiore curvatura rispetto alla cornea circostante) localizzate.
Solitamente le zone di appiattimento sono ampie, mentre le zone di incurvamento sono localizzate ad un
settore, solitamente il superiore, della cornea. Eseguendo topografie a distanza di tempo, è possibile
osservare le modificazioni della curvatura della cornea nelle aree deformate dalla presenza della lente a
contatto. Visualizzando le topografie seriali in modo differenziale, è possibile valutare i cambiamenti relativi
nel tempo. Ed ecco la risposta alla domanda iniziale: quando due mappe consecutive risulteranno simili e la
mappa differenziale tra le due non mostrerà differenze di rilievo, potremo considerare annullato l'effetto
determinato sulla cornea dalla presenza della lente a contatto e gli esami da noi eseguiti potranno essere
considerati, almeno per quanto riguarda questo aspetto, attendibili.
La misurazione dell'acuità visiva consiste nel porre il paziente davanti ad un ottotipo per misurarne l'acuità
visiva naturale e corretta.
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La misurazione del visus naturale (UCVA - Un Corrected Visual Acuity) è un fondamentale parametro nel
follow-up del paziente ed ha su di esso uno straordinario effetto psicologico, nel caso di difetti refrattivi simili
nei due occhi) quando effettuato nell'intervallo tra l'intervento sul primo e sul secondo occhio, poiché il
paziente ha la possibilità di verificare quanto straordinario sia stato l'effetto del trattamento refrattivo sulla
sua acuità visiva.
La misurazione dell'acuità visiva corretta con lenti (BCVA - Best Corrected Visual Acuity) può essere
effettuato o mediante l'ausilio di un foroptero o con una più tradizionale montatura di prova nella quale
vengono poste le lenti di prova.
Particolare attenzione in entrambi i casi deve essere posta alla distanza tra la lente ed il vertice corneale
(poiché, come è noto, il potere delle lenti negative varia inversamente alla predetta distanza, mentre il
contrario si verifica per le lenti di potere positivo) ed al corretto allineamento e centratura (per evitare
distorsioni e conseguente alterazione del visus in caso di correzione astigmatica o di elevate correzioni
sferiche).
Preliminarmente è possibile utilizzare le informazioni fornite da un autorefrattometro, di cui siano noti
eventuali errori nella determinazione e valutazione del tono accomodativo residuo.
Inoltre è importante conoscere ed annotare i valori numerici di potere diottrico e di asse forniti
dall'oftalmometro, nonché la forma delle mire e le modalità di appaiamento delle stesse.
L'esame viene effettuato in visione monoculare; l'occhio non esaminato può venire escluso o con occlusore
o con una forte lente negativa allo scopo di ridurre al minimo l'influenza di stimoli accomodativi su entrambi
gli occhi.
Tenendo conto dei valori forniti dalla oftalmometria, dall'autorefrattometro e dalla schìascopia basale, si
pongono nella montatura di prova le lenti ritenute più idonee ad ottenere la BCVA. L'osservazione del
riflesso schiascopico ci guiderà a modificare la lente se non ritenuta la più idonea.
Il paziente ci sarà di aiuto, se collaborante, durante l'esame con test dicromatico e con cilindri crociati.
Per effettuare il primo test, si presenta al paziente un test dicromatico e lo si invita a riferirci se vede meglio
i caratteri o i tratti presentati sul rosso o sul verde. Nel primo caso si aggiunge una correzione negativa, nel
secondo caso la si riduce. Per effettuare il secondo test, è bene che il paziente abbia davanti all'occhio una
ipocorrezione negativa (che veda meglio, al test dicromatico, i caratteri presentati sul rosso); si presenta
quindi al pazìente un quadrante per astigmatismo e lo si invìta ad individuare l'asse più sfuocato che
coincide con l'asse dì maggior confusione. Su questo asse si può aumentare il potere del cilindro di segno
negativo fino a che il paziente riferisce di vedere in eguale modo le linee su tutti i meridiani. A questo punto
sì effettua la precisa determinazione dell'asse utilizzando l'apposito cilindro crociato e mostrando al
paziente il test più adeguato a questo scopo. Si annota la BCAV e la lente che la consente e ci si appresta
ad esaminare l'occhio controlaterale. Al termine dell'esame dei due occhi in visione binoculare, è possibile
effettuare un controllo ulteriore anteponendo ad entrambi gli occhi una lente polarizzata e mostrando al
paziente un test polarizzato; egli vedrà contemporaneamente con entrambi gli occhi, pur essendo in
condizioni di distinguere ì caratteri che raggiungono ciascun occhio singolarmente e potendo, dunque,
paragonarli per localizzazione.
A questo punto avremo effettuato un esame soggettivo della refrazione ed avremo a disposizione i valori di
correzione necessari al paziente per ottenere la migliore acuità visiva monoculare e binoculare.
Esame della refrazione in cicloplegia
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E' un esame da ritenersi indispensabile nella valutazione preoperatoria alla chirurgia refrattiva.
Non sembri superfluo ricordare a tutti gli oftalmologi che esiste un tono accomodativo, la cui entità non è
conosciuta durante l'esecuzione dell'esame della refrazione con metodi soggettivi. La sua entità può essere
ridotta con opportuni accorgimenti, ma in tutti i casi è consigliabile effettuare una cicloplegia ed una
determinazione obbiettiva dell'entità del difetto refrattivo con una retinoscopia o schiascopia in cicloplegia.
Scopo di tale metodica è di eliminare una possibile causa di errore nella valutazione dell'entità del difetto
refrattivo, cioè l'influenza che su di esso esercita l'accomodazione. Si pensi, ad esempio, ad un intervento di
cheratectomia fotorefrattiva con laser ad eccimeri che corregga la sola componente assoluta della
ipermetropia manifesta, lasciando intatta la componente facoltativa; esso verrebbe vanificato dalla
trasformazione della ipermetropia manifesta facoltativa in assoluta, con grande insoddisfazione del paziente
che realizzerebbe di avere subito un intervento che non gli ha eliminato la necessità di portare una correzione
per lontano ed in più gli ha eliminato la possibilità di sfruttare la componente facoltativa per la visione da
vicino: oltre ai disagi subiti per l'intervento, ai costi sopportati, egli si vede insoddisfatto e penalizzato più del
precedente. Il chirurgo, d'altra parte, non saprebbe rendersi conto di ciò che è avvenuto e sarebbe più
facilmente indotto a pensare o ad una cattivo funzionamento del laser e, quindi, ad una ipocorrezione oppure
ad una inspiegabile fenomeno di regressione.
Inoltre, grazie alla midriasi prodotta come effetto collaterale dai cicloplegici, è possibile effettuare un esame
del fundus con una fine valutazione della regione maculare e della periferia retinica.
I farmaci cicloplegici più usati sono l’Atropina, alle concentrazioni dello 0,5 ed 1 %, in pomata e collirio, il
Ciclopentolato coll. 1 %, e la Tropicamide in collirio 1 %. Raramente è necessario ricorrere, per il nostro
scopo, all'uso dell'Atropina, più usato nella determinazione obbiettiva della refrazione in cicloplegia nei
bambini. Di uso più comune gli altri due.
Il Ciclopentolato 1% coll. può essere somministrato con due installazioni ripetute ad un intervallo di 5',
ottenendosi una ciclplegia che inizia dopo circa 30 minuti. L'effetto ciclpoplegico dura tra le 12 e le 24 ore.
La Tropicamide 1 % coll. può essere somministrato con due o tre installazioni ripetute ad intervalli di 5'. La
cicloplegia inizia dopo circa 20' e dura per 15-20 minuti dopo l’ultima installazione. Vale la pena di ricordare
che le somministrazioni ripetute prolungano la durata della cicloplegia più che influenzarne la profondità.
A nostro parere, la somministrazione di Tropicamide collirio all’ l% per tre volte con intervalli di cinque minuti
è sufficiente nella maggior parte dei casi, e può essere utilizzato routinariamente purché l'esame della
refrazione venga completato entro 15 minuti dall'ultima somministrazione.
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Cheratometria
Viene effettuata con un oftalmometro o cheratometro, allo scopo di misurare la curvatura della superficie
anteriore della cornea.
L'oftalmometro di Javal-Schiotz proietta sulla superficie della cornea, paragonabile ad uno specchio
convesso, due mire luminose, una rettangolare di colore rosso e l'altra a gradini di colore verde; il paziente
viene invitato a fissare, in visione monoculare, una mira di riferimento, e l'operatore controlla attraverso un
cannocchiale, la messa a fuoco ed il corretto allineamento ed appaiamento delle mire. L'immagine delle
mire, che si forma sulla zona centrale della cornea, e, dunque, la loro reciproca distanza, sarà tanto più
rímpicciolita quanto maggiore è la curvatura della superficie anteriore corneale. Conoscendo la distanza tra
le mire proiettate, la distanza tra l’occhio e le mire riflesse, fissata da una corretta messa a fuoco, e la
distanza tra le mire riflesse sulla cornea, è possibile ottenere il raggio di curvatura corneale di due punti,
equidistanti 1,25 mm. dal centro, situati su due emimeridiani opposti, secondo la formula:
Raggio di curvatura (in millimetri)
(distanza cornea - mira) x (grandezza immagine corneale)
---------------------------------------------------------------------------------grandezza della mira
Da qui si risale al potere diottrico:
337,5
Potere refrattivo corneale ( in diottrie) ……………………
Raggio di curvatura
Ove 337,5 rappresenta l'indice di refrazione medio della cornea. Questo calcolo, razionale per l’impiego di
tale metodica, ne rappresenta anche il limite.
L'oftalmometro determina il valore dell'astigmatismo di superficie del diottro oculare, quello cioè imputabile
alla sola superficie corneale; perciò il valore effettivo totale dell'astigmatismo, può essere considerevolmente
differente rispetto a quello misurato all'oftalmometro, per la presenza, ad esempio, di curvature anomale della
superficie lenticolare o per dislocazioni del cristallino.
Tradizionalmente, l'astigmatismo intraoculare viene considerato pari a -0,50 Diottrie ad asse 90. Ciò significa
che tale valore deve essere algebricamente addizionato al valore di astigmatismo dì superficie nel calcolo
dell'astigmatismo totale. Inoltre, va ricordato che, se si usano cilindri negativi, il loro potere assoluto va
aumentato (rispetto al valore fornito dalla cheratometria) quando si faccia riferimento alla lente da inserire nel
portalenti. Viceversa deve accadere qualora si utilizzi un cilindro positivo.
L'utilità di effettuare una cheratometria e di registrarne i valori forniti sta nel fatto che tale metodica viene
eseguita con uno strumento che, a differenza dei più moderni videocheratografi, si trova in tuttì gli studi
professionali degli oftalmologi, essendo una apparecchiatura tradizionalmente utilizzata e poco costosa; essa
fornisce parametri qualitativi (forma, contorni, allineamento, appaiamento delle mire) che possono consentire
di porre il sospetto diagnostico per la presenza di patologia quali il cheratocono, la degenerazione pellucida o
di alterazioni morfologiche localizzate a carico della superficie corneale che rappresentano una
controindicazione relativa o assoluta alla esecuzione di una procedura chirurgica a scopo refrattivo; essa
fornisce parametri numerici in valore assoluto, paragonabilí nel tempo nello stesso paziente e confrontabíli
con range di 'normalità' al di fuori dei quali è consigliabile astenersi dall'effettuare una correzione chirurgica
del difetto refrattìvo; il confronto dei valori assoluti dì curvatura della superficie corneale pre- e postoperatori,
infine, possono fornire un'attendibile indicazione sul buon esito della procedura refrattiva, e sulla stabilità dei
risultati ottenuti.
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In conclusione, possiamo considerare l'oftalmometria come una metodica utile, sebbene non indispensabile:
il basso costo della strumentazione necessaria per eseguirla, la facilità di esecuzione, l'immediatezza e
ripetibilità dei risultati ne fanno uno strumento ancora prezioso nelle mani sia dell'oftalmologo generale che
del chirurgo refrattìvo. La sua utilità non deve, però, far dimenticare i limiti di tale metodica, essenzialmente
costituiti dalla possibilità di fornire dati basati sul rilievo di soli quattro punti centrali della superficie corneale.
L’oftalmometria misura solo il 6% dell’intera superficie corneale.
Poiché il paziente fissa la mira luminosa centrale e su questo allineamento lo strumento lavora, in certi occhi
la vera zona refrattiva corneale non viene misurata e si posssono quindi avere marcate discordanze tra valori
refrattivi e valori oftalmometrici.
I moderni videocheratografì prevedono la possibilità di simulare l'oftalmometria a 3 mm. dal centro corneale,
ma il valore di tale simulazione viene di gran lunga sopravanzata dalla possibilità che essi hanno dì effettuare
una precisa misurazione della curvatura di singoli punti su una ben più ampia superficie corneale. Ciò
rappresenta un indiscutibile vantaggio per chi effettua interventi di chirurgia refrattiva.
Tonometria
Consiste nel misurare la pressione oculare. Può essere effettuata in modo grossolano mediante
compressione, attraverso la palpebra chiusa, digitale del bulbo. Una misurazione precisa con un valore
numerico di riferìmento espresso in mmhg. può essere effettutao con appositi strumenti chiamati tonometri.
Esistono tonometri ad indentazione (tipo Schiotz), ad applanazione (tipo Goldmann) e a soffio. Senza
dilungarci su tali metodiche, vogliamo qui ricordare l'utilità che la tonometria riveste nella preparazione del
paziente, al fine, soprattutto, di escludere la presenza di una patologia glaucomatosa, controindicazione
all'esecuzione di un intervento a scopo refrattivo; infatti le variazioni dei rapporti anatomici durante l'ipertono
indotto prima dell'azione del microcheratomo nella LASIK, lo stato irritativo del segmento anteriore che segue
una fotoablazione superficiale o intrastromale, la eventuale necessità di eseguire una terapia topica protratta
o ripetuta con coricosteroidi rappresentano provati stimoli in grado di innalzare, soprattutto in bulbi
predisposti, il tono oculare e quindi sono forieri di un potenziale danno anatomico e funzionale. Pertanto, ìl
riscontro di ipertono oculare, oltre ad indurre ad attivare la sorveglianza per la diagnosi di glaucoma, deve
indurci a sospendere ogni procedura a scopo refrattivo.
Infine, ricordiamo che la tonometria ad applanazione, con una variante appositamente studiata e modificata
del tonometro secondo Goldmann, rappresenta un tempo chirurgico nella procedura LASIK .
Esame del segmento anteriore
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Ricordiamo qui che l'ispezione delle caratteristiche dei contorni orbitari, della regione zigomatìca,
dell'apertura delle palpebre e delle caratteristiche di qust'ultime, nonchè dei rapporti che le strutture
menzionate contraggono con il bulbo oculare vanno opportunamente valutate nel caso in cui si ritenga di
dovere effettuare un intervento di LASIK .
L'esame del Segmento Anteriore si effettua con l’aiuto di una normale lampada a fessura, utilizzando le
varie possibilità di osservazione consentita da questo strumento (ingrandimentì differentí, illuminazione a
differenti sezioni e a diversa inclinazione rispetto alla osservazione, eventuale colorazione con fluoresceina
ed osservazione con filtro a luce cobalto, ecc,). Lo scopo è quello di rilevare la presenza di alterazioni del
film lacrimale (vedi di seguito), di anomalie della congiuntiva (chemosi, plicature, iperemia, papille, follicoli
... ), della cornea (panno corneale, neovasi, alterazioni dell'epitelio, opacità localizzate diffuse con
valutazione della loro profondità nello stroma), dell'endotelio (esame delle cellule, presenza di depositi,
pigmento, infiltrati ... ), della camera anteriore (sua profondità e caratteristiche), dell'iride (sinechie anteriori
e posteriori, neovascolarizzazione, disinserzioni della lente (sede e trasparenza) e del vitreo anteriore.
Esame del film lacrimale
Valutazione del menisco lacrimale.
Consiste nell'effettuare una valutazione quntitativa dello spessore di lacrima che sì accumula tra il margine
posteriore delle palpebre, superiore ed inferiore, ed il bulbo oculare. Il suo spessore è solitamente
compreso tra-0,5 ed 1 mm. Valori inferiori sono frequenti ìn occhi affetti da deficit della componente
acquosa del film lacrimale.
Breack-up time.
o tempo di rottura del film lacrimale precorneale; viene effettuata dopo colorazione con fluoresceina del film
lacrimale precorneale e mediante l'osservazione alla lampada a fessura con luce con filtro blu-cobalto;
consiste nel misurare l'intervallo di tempo in secondi che intercorre tra l'ultimo ammicamento e la comparsa
di una lacuna nel fìlm lacrimale. Valori normali sono superiori a 10 secondi. La sua riduzione é segno di un
difetto di componente mucosa nelle lacrime, piuttosto che della componente acquosa.
Test di Schirmer.
Consente di effettuare una valutazione quantitativa del volume del film lacrimale. Consiste nell'introdurre
tra la palpebra inferiore ed il bulbo oculare una strisciolina di carta bibula delle dimensioni di 35 mm. x 5
mm. e nel misurarne l'imbibizione in mm. dopo un tempo determinato. Valori inferiori a 5,5 mm. dopo 5
minuti sono significativamente suggestivi per una iposecrezione lacrimale. Il test è meno attendibile per
valori superiori. Può essere effettuato dopo instillazìone di un collirio anestetico per misurare la
lacrimazione basale, ovvero quella quantità di lacrimazione non influenzata dell'effetto stimolante prodotto
dalla presenza della strisciolina di carta bibula.
Dosaggio del lisozima.
Il suo dosaggio nelle lacrime viene effettuato mediante una analisi spettrofotometrica su dì un campione di
lacrime prelevato a livello del fornice mediante una micropipetta in grado di assorbire per capillarità una
quantità predeterminata di lacrime.
Dosaggio della lactoferrina.
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E' la proteina principale contenuta nelle lacrime. Viene secreta dalla ghiandola lacrimale principale ed ha
azione antibatterica mediante una duplice azione battericida e batteriostatica. Sembra dotata di azione di
inbizione della cascata del complemento. Il suo dosaggio nelle lacrime rappresenta un indice indiretto del
funzionamento della ghiandola lacrimale, ed una diminuzione della sua concentrazione è caratteristica nella
cheratocongiuntivite secca. Può essere dosata mediante una spettrofotometria con una procedura analoga
a quanto sopra descritto per il lisozima.
Esame del segmento posteriore
E' una procedura diagnostica da ritenere indispensabile e deve essere effettuata dopo instillazione di collirio
midriatico.
Può essere effettuato alla lampada a fessura con l'impiego di una lente di Volk, o di una lente di Goldmann
oppure con un oftalmoscopia indiretta. Ognuna delle metodiche offre vantaggi e svantaggi; il fine è quello
dì rilevare alterazioni del corpo vitreo, dei suoi rapporti con la retina (trazioni vitreo-retiniche), della retina
centrale (maculopatia miopica, distrofie tapeto-retiniche, ... ) equatoriale e periferica (degenerazioni tapetoretiniche, degenerazioni regmatogene, distacchi di retina, ... ) suscettibili di trattamento profilattico prima
della procedura a scopo refrattivo o che potenzialmente rappresentino un indicazione assoluta o relativa
all'intervento e che quindi mettano il chirurgo in condizione di anticipare al paziente il limìte dell'obbiettivo
prefissato.
Esame ortottico
E' volto ad identificare ed, eventualmente, a quantificare le alterazioni della motilità oculare estrinseca,
della visione binoculare e della stereopsi. I risultatí di tale esame devono evidenziare quelle alterazioni
che possono in qualche modo influire sull'esito funzionale della procedura chirurgica. Ad esempio nel
caso di una miopia elevata in anisometropia, una exotropia potrà non rappresentare una
controindicazione assoluta, data la inesistenza del rischio di sviluppare una diplopia, mentre si dovrà
chiarire al paziente che l'intervento non avrà alcun effetto al fine di riportare l'occhio deviato nella
posizione corretta e di consentirgli una visione binoculare.
Una ipermetropìa di grado elevato che si accompagni ad una esoforia su base accomodativa avrà in ogni
caso un beneficio anche dal punto di vista ortottico, ma esso potrà essere limitato alla sola visione a
distanza, mentre il disordine motorio potrà essere fastidiosamente presente nella visione a distanza
ravvicinata.
Maggiori sono le conoscenze sulla globalità della funzione visiva, maggiori saranno le possibilità di
prevedere effetti collaterali non desiderati e di prevenirli o modificando la procedura o, nella peggiore delle
ipotesi, astenendosi dal praticarla per evitare un esito funzionale peggiore dì quanto previsto.
E s a m i p a r t i c o l a r i:
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Test della sensibilità al contrasto
Si tratta di un test nato per discriminare la presenza dì un danno selettivo a carico di una popolazione di fibre
nervose che compongono la via ottica. Trascurando in questa sede la morfologia della risposta in caso di
otticopatia, l'esame della sensibilità al contrasto offre l'indubbio vantaggio di una maggior precisione nella
valutazione del visus che, con i comuni ottotipi, avviene mediante caratteri di grandezza angolare
progressivamente decrescente, ma presentati con contrasto costante. La presentazione di stimoli formali
che variano per grandezza angolare e contrasto, consente di effettuare una valutazione soggettiva che più sì
avvicina alle modalità reali con le quali il paziente vede nella vita quotidiana, in condizioni fotopiche (luce
diurna, luce artificiale) e scotopiche (visione notturna).
Esame della refrazione con autorefrattometro
Topografia corneale
In chirurgia refrattiva, rappresenta un esame non solo fondamentale, ma anche assolutamente
indispensabile. Consente di valutare dal punto di vista refrattivo la cornea nella sua globalità.
Inoltre è allo studio una configurazione che renda possibile interfacciare i dati forniti dal topografo con quelli
del software di ablazione del Lasr ad Eccimerì (Topo-link) e questa rappresenta una realtà nascente,
sebbene limitata ad alcune procedure e ad alcune macchine.
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L' assoluta importanza della topografia in sede preoperatoria e nel corso del follow-up, sia nelle procedure a
scopo refrattìvo, che in quelle a scopo terapeutico. ci ha spinti a dedicare a tale metodica diagnostica un
Capitolo a parte.
Esame qualitativo e quantitativo dell'endotelio
L'esame quantitativo e qualitativo dell'endotelio richiede l'uso di un microscopio endoteliale.
A differenza del più noto microscopio biologico, che, per la formazione dell'immagine, utilizza la luce
trasmessa attraverso il campione in esame, questo strumento utilizza la luce riflessa da una interfacie
ottica.
E' noto che, quando un raggio di luce incontra una superficie, può essere trasmessa, riflessa od assorbita.
Nel caso di un fenomeno di riflessione, esso può avvenire in modo speculare (caratteristico delle superfici
regolari, lisce, in cui l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione) o diffuso (caratteristico delle
superfici irregolari in cui la luce viene riflessa secondo diversi angoli).
Nel caso della cornea normale, la luce generalmente viene pressochè totalmente trasmessa attraversa
l'epitelio e lo stroma, mentre minimi sono i fenomeni di riflessione, assorbimento e dispersione.
In caso di edema stromale aumentano sensibilmente i fenomeni di dispersione e ciò può condizionare
l'esito della microscopio.
Quando la luce raggiunge la superficie corneale posteriore, viene perlopíù trasmessa nell'umor acqueo,
mentre in minima parte subisce un fenomeno di riflessione (nell'ordíne dello 0,022 %) che, in cornee
normali sarà speculare, in cornee irregolari diffusa. Cosi, quando una sottile fessura di luce viene proiettata
sulla cornea con un determinato angolo di incidenza, osserveremo fenomení di riflessione la cui entità
dipende dalle caratteristiche fisiche degli strati (film lacrimale, epitelio, m. di Bowmann, stroma, m. di
Descemet, endotelio) e delle intefacie (aria-fìlm lacrimale; film lacrimale-epitelio corneale; endotelio-umor
acqueo) attraversati e dalle modificazioni eventualmente presenti. La quantità di luce riflessa potrà dare
luogo alla formazíone di una immagine che sarà tanto più chiara quanto maggiore è la quantità di luce
riflessa e, viceversa più scura quanto minore sarà la quantità di luce riflessa. Inoltre, il raggio incidente su
margini di cellule endoteliali adiacenti, nel punto in cui delimitano la camera anteriore, subisce una
riflessione secondo un angolo che non può venire raccolto dal sistema di rilevazione.
Per questo motivo i limiti cellulari non risultano esposti sulla fotografia ed appaiono scuri.
Riassumendo, nel caso di una cornea trasparente e che non presenti irregolarità od anomalie
dell'endotelio, la totalità dei fenomeni di riflessione sarà di tipo speculare e, perciò, le cellule appariranno
uniformemente chiare e delimitate da contorni scuri. Nel caso di irregolarità od anomalie dell'endotelio
compariranno delle aree scure dovute a diminuzione o assenza di riflessione o a riflessione anomala.
Nel caso di irregolarità od anomalie di trasparenza o di conformazione del tessuto corneale sovrastante
l'endotelio, il risultato della microscopia sarà compromesso dalla riduzione della quantità di luce che va
verso l'endotelio e che da esso viene riflessa e dalle qualità ottiche dei fenomeni di riflessione che qui
hanno origine.
Dal punto di vista clinico, i vantaggi di una microscopia endoteliale sono rappresentati dalla possibilità di
eseguire una valutazione numerica della densità (conta) delle cellule endoteliali (numero di cellule per
MM2), delle loro dimensioni (in pM2), della loro forma (numero degli apici e analisi dei limiti e delle
intersezioni cellulari), presenza di aree con riflesso anomalo (punti o aree luminose, punti o aree scure,
intra-o intercellulari).
E' noto che la cheratotomia radiale può dare luogo ad una perdita di cellule endoteliali che, nelle
procedure più spinte, si può spingere fino ad una percentuale del 13 %.
La fotoablazione di superficie o, ancor più quella intrastromale, potrebe dar luogo ad una perdita di cellule
endoteliali con differenti meccanismi: lo schok acustico, l'effetto dell'innalzamento della temperatura, la
fluorescenza originata dall'azione del laser sulle componenti tissutali, la reazione infiammatoria nel
decorso postoperatorio, il sovvertimento dello strato epiteliale, la terapia farmacologica topica prolungata.
Mentre i primi dati evidenziavano la possibilità di una riduzione del numero di cellule endoteliali centrali
associata ad un aumento del diametro delle cellule periferiche nel postoperatorio dopo fotoablazione di
superficie, dati più recenti ottenuti con microscopia endoteliale non a contatto non hanno evidenziato
alcuna variazione significativa, aggiungendo un altro mattone alla realizzazione di una tecnica di chirurgia
refrattiva più affìdabile e priva di potenziali effetti nocivi sul paziente.
Pachimetria
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Si tratta di una metodica diagnostica che consente di valutare quantitativamente lo spessore della cornea
nel punto esaminato.
Può esser effettuato secondo tre metodiche: pachimetria ottica, ad ultrasuoni e con Scanning Laser.
Pachimetria ad ultrasuoni.
E' una particolare applicazioni della diagnostica ad ultrasuoni, basata sulla proprietà delle superfici
anteriore e posteriore della cornea di generare echi riflessi provenienti da una sorgente di ultrasuoni
(sonda). Quest'ultima è in grado di inviare ultrasuoni a frequenza molto elevata (20 Hz), di ricevere gli
echi riflessi e di trasmetterli ad una unità centrale che fornisce all'operatore i dati pachimetrici .
La sonda è in plastica, può avere una forma a stilo o angolata, ha una punta a cono di diametro pari ad
1,5 mm. ed emette un fascio di ultrasuoni a velocità compresa tra i 1600 ed i 1640 m/sec. Il fascio ad
ultrasuoni raggiunge la faccia posteriore della cornea ove viene generata una eco riflessa che ritorna in
direzione della sonda che funge anche da ricevente. Dalla relazione che lega lo spazio, il tempo e la
velocità, viene automaticamente calcolato lo spessore del tessuto corneale nel punto esaminato. La
pachimetria viene generalmente effettuata previa instillazìone di un collirio anestetico. Le misurazioni
vengono effettuate sui punti nei quali si vuole conoscere lo spessore corneale. Generalmente vengono
raccolte le misurazioni in corrispondenza del centro corneale (punto che si immagina di minore spessore)
e, sui quattro emimeridiani principali a distanze prefissate dal centro.
(ad es. ad 1 - 2 - 3 mm.).
Lo scopo è quello di ricostruire idealmente lo spessore corneale sui meridiani principali, mettendo a
disposizione del chirurgo questi parametri durante la messa a punto della procedura refrattiva scelta
(cheratotomia radiale, PRK, PTK, LASIK) e di calcolare il coeffíciente di incremento di spessore,
parametro richiesto dai programmi di preparazione alla cheratotomia radiale.
Di fondamentale importanza nella procedura chirurgica ora menzionata, la pachimetria si rivela procedura
dìagnostica indispensabile anche prima di effettuare una LASIK, potendo influenzare le scelte del chirurgo
in materia di scelta dello spessore del flap, dello spessore della fotoablazione e, dunque del diametro della
zona ottica o dell'entità del valore da correggere o, infine controindicando la possibilità di effettuare una
procedura refrattíva secondo tale metodica.
Nella interpretazione dei dati, va tenuto in debito conto che l'instillazione dell'anestetico topico e la
marcatura dell'epitelio possono aumentare lo spessore della cornea, mentre un eccessivo essicamento, ad
esempio per una esposizione all'ambiente ed alla luce del microscopio dopo avere applicato il blefarostato,
può sottostimare il reale spessore corneale rendendo cosi poco attendibile la pachimetria intraoperatoria.
Pachimetria ottica.
Utilizza le basi della microscopio endoteliale speculare per ottenere una misurazione attendibile dello
spessore corneale.
In passato molto usato, è stato in seguito sostituito dal pachimetro ad ultrasuoni, più affidabile e versatile.
Solo di recente è stata messa a disposizione degli oftalmologi una metodìca innovatìva che in un'unica
apparecchiatura non a contatto consente di racchiudere le funzioni di microscopio endotelíale e pachimetro.
Il grande pregio di tale strumento è quello di abbattere i costi della strumentazìone necessaria, di essere
molto più confortevole per il paziente, di non richiedere l'instillazione di anestetici (consentendo di effettuare
l'esame anche ìmmediatamente prima dell'atto chirurgico) e di non essere
a contatto, offrendo la straordinaria possibilità dì effettuare una pachimetria nell'immediato post-operatorio
anche dopo un intervento di cheratotomia radiale o dì LASIK.
Pachimetria con Scanníng Laser.
Si tratta di una sofisticata metodica diagnostica ancora non diffusamente disponibile per l'applicazione
clinica e,soprattutto,
non economica.
Ecobiometria
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Si tratta di una indagine diagnostíca frequentemente utilizzata in oftalmologia nella preparazione
all'intervento di cataratta, poichè fornisce uno dei parametri essenziali per il calcolo predittivo della lente
intraoculare (lunghezza assíale).
Nella pratica della chirurgia refrattiva, diversi possono essere i motivi che ci spingono ad eseguire una
ecobiometria o, più brevemente biometria, preoperatoria: documentazione della lunghezza assile di
partenza, ad esempio per interpretare una miopizzazione che intervenga nel postoperatorio, o per calcolare
la lente intraoculare negli anni successivi all'íntervento qualora si sviluppi una cataratta senile; misurazione
della profondità della camera anteriore, poichè questa può influenzare la scelta del diametro della zona
ottica, o perchè é un parametro utilizzato per il calcolo predittivo della lente intraoculare da camera
posteriore da impiantare in soggetti fachici portatori di una miopia molto elevata.
Raramente viene eseguita come esame preliminare alla chirurgia ma, ragioni di tipo clinico, quali quelle
sopra menzionate, accanto a motivazione di tipo medico-legale ci spingono a consigliare questo esame
che, per la tipologia delle informazioni che ci fornisce, può venire effetuato anche alcuni giorni prima
dell’intervento, senza che ciò influenzi il significato dei suoi risultati.
Viene eseguito in anestesia topica con una apposita sonda collegata ad un ecografo completo che
consenta di eseguire anche la ecografia A-scan e B-scan, oppure ad ecografi più semplici che svolgono la
mera funzione di ecobiometri.
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