protocollo di kyoto e selvicoltura: principi di applicazione e

FOCUS
PROTOCOLLO DI KYOTO E SELVICOLTURA:
PRINCIPI DI APPLICAZIONE
E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE
di Giuseppe Giove *
D
The Corpo forestale dello Stato is in
charge of watching protected natural
areas, monitoring and controlling land
use, providing forest resources
assessment in both qualitative and
quantitative terms. In relation to this
latter function, the Corpo forestale dello
Stato is committed to compile the second
Forest and Carbon Forest Stocks
National Inventory which is useful to
monitor that our country comply with
the Kyoto Protocol requirements. The
primary objective is to consider as a
priority greenhouse gas removal and
emission in relation to those activities
connected to land use. As a consequence
this will lead to a renewed interest in
forests and their management.
opo alcuni decenni di dibattiti, incontri e negoziazioni,
l’approvazione della legge n. 36 del 6 febbraio 2004, come
è noto, ha finalmente conferito al CFS una nuova veste,
__________________
* Primo Dirigente C.F.S.
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Al Corpo forestale dello Stato competono funzioni di sorveglianza delle aree naturali protette, di monitoraggio e controllo
del territorio, di rilevazione qualitativa e
quantitativa delle risorse forestali.
Proprio in relazione a quest’ultima funzione, il Corpo forestale dello Stato è impegnato nella redazione del secondo
Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio, utile per monitorare la situazione del nostro Paese nel
rispetto del protocollo di Kyoto, nella cui
applicazione obiettivo primario è quello di
considerare prioritario l’assorbimento e
l’emissione dei gas serra da parte di tutte
le attività connesse all’uso del suolo. E
questo determinerà un rinnovato interesse
intorno alle foreste e alla loro gestione.
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moderna ed adatta alle mutate esigenze del Paese. In particolare oltre
alle funzioni di Polizia Giudiziaria e pubblica sicurezza, il Corpo forestale dello Stato svolge, tra le altre attività altrettanto importanti, funzioni di rilievo connesse alla sorveglianza delle aree naturali protette, al
concorso nel monitoraggio e nel controllo del territorio ai fini della
prevenzione del dissesto idrogeologico, alle attività di studio connesse
alle proprie competenze con particolare riferimento alla rilevazione
qualitativa e quantitativa delle risorse forestali. Relativamente a quest’ultima funzione il Corpo forestale dello Stato è impegnato fin dal
2003 nella redazione del secondo Inventario nazionale delle foreste e
dei serbatoi forestali di carbonio.
La realizzazione di tale inventario, rispetto al primo realizzato nel 1986,
che pur ha rappresentato un lavoro di grande valore, ha il proprio punto
di forza e di affidabilità nell’enorme ampiezza del campione considerato.
La base statistico-territoriale considerata è infatti 9 volte più grande rispetto a quella del 1986: mentre nel precedente inventario la griglia di analisi
era ampia 9 kmq oggi è di solo 1 kmq con una conseguente base di
301.000 punti esaminati (CFS, 2004). Un’altra importante differenza, oltre
all’ampiezza del campione, è stata da un lato l’adozione di una definizione
di “foresta” certamente più complessa rispetto al passato (UN FAO,
2001) che ha permesso di ascrivere a tale forma di uso del suolo una maggiore superficie e dall’altro la rilevazione anche di quelle aree non propriamente definibili “bosco” ma che mostravano un carattere di elevata naturalità e che quindi potevano essere definite “altre aree forestali”.
La necessità di realizzare un lavoro così accurato e preciso è però derivata dall’esigenza che la redazione di un nuovo Inventario forestale
nazionale fosse direttamente utilizzabile nel contesto degli impegni
presi dal nostro Paese nell’ambito dell’applicazione del Protocollo di
Kyoto. Quest’ultimo, dopo la conferenza di Montreal (Conference of
Parties n. 11 - COP11) del dicembre 2005, prima occasione di incontro
dopo l’entrata in vigore del Protocollo (MOP1), ha visto i 157 Paesi che
lo hanno già ratificato impegnarsi a “iniziare un processo per ulteriori
impegni di riduzione dei gas serra in atmosfera oltre il 2012”.
Il percorso per giungere a questo importantissimo risultato è però
stato lungo e tormentato e, grazie all’impegno di scienziati e uomini di
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governo di tutto il mondo, il Protocollo di Kyoto rappresenta oggi il
più importante strumento messo in campo per ridurre in modo sensibile le emissioni di gas serra in atmosfera.
Nel 1979, in occasione della prima conferenza mondiale sul clima
(World Climate Conference, WCC) fu evidenziato, per la prima volta,
l’influsso dell’attività umana sul sistema climatico globale. Da allora un
sempre più vasto interessamento dell’opinione pubblica verso le problematiche ambientali, unitamente ad una crescente consapevolezza da
parte dei governi di diverse nazioni circa i rischi connessi ai cambiamenti climatici, permisero di muovere i primi passi verso una politica di
protezione del clima a scala globale.
Dopo intense attività diplomatiche di negoziazione a livello internazionale, in occasione della seconda conferenza mondiale sul clima, l’assemblea generale dell’ONU, con la risoluzione n. 45/212, aprì formalmente le negoziazioni su una Convenzione internazionale sui cambiamenti climatici che dovevano essere condotte da un comitato di negoziazione intergovernativo (INC). L’INC si riunì per la prima volta nel
febbraio 1991 e dopo solo 15 mesi di trattative i governi interessati
adottarono la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (United
Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). La
convenzione, detta anche “Earth Summit”, fu aperta alle firme, a Rio
de Janeiro, il 9 maggio 1992. Sottoscritta da 189 nazioni è ormai nota
come “Convenzione di Rio”.
Già nel 1994 però, con l’entrata in vigore della convenzione di Rio,
apparve chiaro che gli impegni presi, non prevedendo stringenti limiti
giuridicamente vincolanti per le nazioni aderenti, non avrebbero permesso di perseguire l’obiettivo prefissato.
Dopo numerose altre attività di negoziazione, l’11 dicembre 1997 a
Kyoto i governi facenti parte dell’UNFCCC adottarono un nuovo protocollo i cui principi ispiratori rimanevano quelli di Rio ma prevedevano, nella adozione, l’assunzione di impegni stringenti e realmente vincolanti per ciascun governo. In sintesi, i Paesi industrializzati si impegnavano a ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra (Green House
Gas: GHG - anidride carbonica, metano, ossido di azoto, idrocarburi,
perfluorocarburi, esafloruro di zolfo) di almeno il 5% rispetto ai livelli
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del 1990. Il protocollo sarebbe entrato in vigore il novantesimo giorno
successivo alla data in cui almeno 55 parti della Convenzione, le cui
emissioni di GHG rappresentavano almeno il 55% della quantità totale
emessa nel 1990, avessero ratificato la convenzione.
Il 16 febbraio 2005, con la ratifica del protocollo da parte della
Federazione russa, si raggiunse la soglia minima prevista e così il
Protocollo entrò definitivamente in vigore.
Oggi i Paesi che hanno già ratificato il Protocollo sulla riduzione dei
gas serra in atmosfera sono 157 compresi l’UE, il Canada, la Russia, il
Brasile ed i Paesi meno sviluppati raccolti nel gruppo G77. Il “fronte
del no”, guidato dagli Stati Uniti, comprende gli altri 22 Paesi firmatari
della Convenzione di Rio ma le loro posizioni, alla luce delle forti e
continue pressioni della comunità internazionale nonché di movimenti
interni agli stessi Paesi, durante l’ultima COP11 di Montreal, si sono
notevolmente ammorbidite; i “22” hanno infatti sottoscritto un documento con cui si impegnano a “mantenere aperto il dialogo internazionale sull’argomento”.
Le modalità per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle
emissioni previste dal Protocollo di Kyoto benché complesse ed estremamente articolate possono però essere suddivise in due grandi categorie: da un lato la riduzione, attraverso un generale miglioramento delle tecnologie utilizzate, delle emissioni da parte di tutte le attività antropiche (industria, energia, trasporti, ecc.) e dall’altro l’aumento dell’assorbimento di anidride carbonica, il più abbondante dei gas serra, da
parte degli ecosistemi presenti sul pianeta.
Il protocollo di Kyoto, che può essere definito come il più importante risultato del fenomeno della globalizzazione, assumeva così il carattere di uno strumento giuridico internazionale i cui obblighi a carico
degli Stati firmatari erano legati ad obiettivi di riduzione dei gas serra e
venivano modulati attraverso un’articolata analisi costi-benefici. Questa
analisi veniva a fondarsi su tre strumenti definiti nel trattato come meccanismi di flessibilità.
Il primo e probabilmente il più importante chiamato Emission
Trading è uno strumento finalizzato a permettere lo scambio di crediti
di emissione tra Paesi o società in relazione ai rispettivi obiettivi. Una
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nazione che riesce a ridurre maggiormente le emissioni di gas serra rispetto a quelli che erano gli obiettivi ad essa assegnati ha la possibilità
di cedere, a titolo oneroso, i diritti di emissione non sfruttati (crediti) a
Paesi e società che, non essendo in grado di abbattere sufficientemente
le proprie emissioni, devono in qualche modo, al fine di evitare la irrogazione di pesanti sanzioni, far fronte agli impegni assunti.
Joint Implementation. Attività di collaborazione tra Paesi industrializzati e Paesi “con economie in via di transizione” (ex economie pianificate
URSS, Paesi dell’Est, ecc.) che permettono la realizzazione di programmi per l’acquisizione di diritti di emissione (crediti) ad esempio il miglioramento della tecnologia per la produzione di energia, che valgono
ai fini dell’abbattimento delle emissioni dell’azienda o del Paese promotore dell’iniziativa.
Clean Development Mechanism. Meccanismo in base al quale Paesi industrializzati possono realizzare progetti nei “Paesi in via di sviluppo”
attraverso i quali sia possibile conseguire una effettiva riduzione di
emissione o un aumento di assorbimento di gas serra i cui crediti vengono trasferiti a beneficio del Paese promotore dell’iniziativa
(Valentini, 2003).
Un altro importante aspetto sul quale andava ad incardinarsi il
Protocollo fu la definizione, da parte dell’UNFCCC, dei Sinks (pozzi o
serbatoi) di carbonio come “qualsiasi processo o attività o meccanismo
che assorbe gas ad effetto serra, aerosol o precursori dell’effetto serra,
dall’atmosfera”. La crescita della politica dei Sinks ha quindi avuto come obiettivo primario quello di considerare come prioritario, nell’applicazione dei principi di Protocollo, l’assorbimento e l’emissione dei gas
serra da parte di tutte le attività connesse all’uso del suolo.
Le attività ad esso collegate - definite Land Use, Land Use Chance
and Forestry (LULUCF) e cioè Uso del suolo, Cambiamento dell’uso
del suolo e Forestazione - sono state così considerate estremamente
importanti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Nel corso di uno dei periodici incontri tra le parti aderenti al
Protocollo di Kyoto (Conference of Parties - COP) ed in particolare la
n. 7 (COP7) tenuta nel 2002 a Marrakech (Marocco) si approfondirono
proprio gli aspetti riguardanti le attività di LULUCF che furono oppor-
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tunamente definite come: 1) gestione forestale; 2) gestione dei terreni
agrari; 3) gestione dei pascoli; 4) rivegetazione.
Fu subito chiaro però che di queste attività quelle che dovevano
avere un maggiore interesse per le potenzialità di assorbimento di
CO2, erano quelle relative alla gestione forestale. Queste a loro volta si
suddividevano in: 1) gestione delle foreste esistenti (definizione di
Foresta FAO); 2) afforestazione: conversione in foresta, direttamente
realizzata dall’uomo, di terreni non interessati da tale forma di coltivazione da almeno 50 anni; 3) riforestazione: conversione in foresta, direttamente realizzata dall’uomo, di terreni oggi non forestali, ma che
sono stati deforestati da non più di 50 anni; 4) deforestazione: trasformazione attraverso interventi diretti dell’uomo di terreni forestati in
terreni non forestati.
L’attenzione rivolta agli ecosistemi forestali nell’ambito delle misure
per l’applicazione del Protocollo di Kyoto fu dettata dal fatto che tali
ecosistemi rappresentano enormi serbatoi che, se difesi e conservati,
possono ulteriormente sequestrare dall’atmosfera ingenti quantità di
carbonio in modo da migliorare progressivamente la situazione climatica del pianeta.
È a tutti noto, grazie alle ricerche condotte in tutto il mondo nell’ultimo decennio, che le foreste, a livello ipogeo ed epigeo, svolgono un
ruolo importante nell’assorbimento dell’anidride carbonica atmosferica
e quindi nel contenimento dell’effetto serra. Ma grande importanza
possono avere anche le biomasse forestali (da piantagioni specializzate,
boschi cedui, ecc.) come fonti rinnovabili di energia. Tutto ciò potrà
determinare un rinnovato interesse intorno alle foreste e alla loro gestione. Tali attività però, previste ed esplicitamente incoraggiate dal
Protocollo di Kyoto, possono essere attuate solo secondo specifiche ed
opportune limitazioni dettate dalle legittime preoccupazioni che interventi male impostati possano minare l’integrità ambientale delle aree
ove vengono attuati, soprattutto sotto il profilo della conservazione
della biodiversità (Borghetti, 2005).
La conservazione degli ambienti naturali e della loro diversità biologica infatti deve essere e rimanere sempre il più importante principio
ispiratore di ogni intervento da attuare per le finalità previste dal proto-
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collo, anche a costo di alcuni sacrifici in termini di bilancio delle emissioni di gas serra. Infatti, se da un lato la realizzazione delle “Kyoto
Forests”, così come definite dall’art. 3.3 del Protocollo, può rivestire un
ruolo fondamentale per il raggiungimento di importanti obiettivi di riduzione dei GHG, tali attività devono essere comunque rispettose degli
ambienti naturali nei quali esse vengono realizzate. Se da un lato sarà
così possibile determinare un rinnovato interesse intorno alle foreste
ed alla loro gestione, dall’altro non bisognerà mai dimenticare il principio della “sostenibilità”. Tale concetto ormai logorato dall’uso e spesso
impropriamente utilizzato, deve tradursi nell’applicazione di linee gestionali realmente attente all’ambiente e soprattutto alla funzionalità
ecofisiologica degli ecosistemi interessati. Qualsiasi ipotesi di utilizzazione forestale per i fini previsti dal Protocollo dovrebbe essere preceduta caso per caso da accurate fasi di studio e da approfonditi processi
di valutazione che riguardino la funzionalità e la conservazione degli
ecosistemi e del territorio nel quale questi si vanno ad attuare.
Ad esempio, lo spietramento di vaste aree della Murgia pugliese o lucana coperta da vegetazione erbacea ed arbustiva per la successiva realizzazione di rimboschimenti di eucalipto o pino d’Aleppo, produrrebbe, nel breve periodo, un incoraggiante bilancio positivo nell’assorbimento del carbonio grazie, è tautologico, alla maggiore capacità di sequestro di anidride carbonica che tali popolamenti posseggono rispetto
ai pascoli o agli arbusteti oggi vegetanti in quelle zone. Tali interventi
però non sarebbero assolutamente ammissibili per quelle che sono le
finalità fondanti del Protocollo di Kyoto. La realizzazione delle opere
di forestazione sopra descritte comporterebbe la distruzione di ambienti naturali di eccezionale valore ambientale e naturalistico. La
Murgia ospita infatti specie vegetali ed animali rarissime come l’Ophris
mateolana, piccola orchidea che vede il proprio areale ristretto a poche
migliaia di ettari, la Peonia maschio (Paeonia mascula Russi) dal fiore rosso di rarissima bellezza, il Fragno (Quercus troiana Webb.), quercia transadriatica, in preoccupante fase regressiva, l’avvoltoio Capovaccaio
(Neophron percnopterus L.) e il Falco Grillaio (Falco naumanni Fleischer),
specie ormai considerate a rischio di estinzione, nonché altre specie vegetali ed animali altrettanto rare la cui sopravvivenza sarebbe compro-
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messa in modo irreversibile da interventi così invasivi.
Pertanto anche se gli ecosistemi che ospitano specie così delicate sono certamente meno efficienti dal punto di vista dei Sinks di carbonio,
essi posseggono un grado di diversità biologica che deve essere assolutamente conservato e valorizzato anche a costo di perdere l’assorbimento di alcune tonnellate di carbonio.
È il messaggio di Zhong Acheng nel suo romanzo “Il re degli alberi”: la sostituzione dei cosiddetti “alberi inutili” con gli “alberi utili” realizzata nella Cina di Mao Tse Tung effettuata su enormi distese di foresta primigenia; ha causato una delle più grandi devastazioni ambientali
della storia, con una perdita definitiva di un numero imprecisato di specie vegetali ed animali nonché di particolari ecosistemi.
La conservazione della biodiversità assume così un’importanza primaria anche rispetto alle politiche ambientali globali come l’applicazione del Protocollo di Kyoto. Le ragioni di questa attenzione risiedono
nel fatto che oggi siamo di fronte alla più grande crisi di estinzione di
specie dall’epoca della scomparsa dei dinosauri avvenuta circa 65 milioni di anni fa. Negli ultimi 50 anni infatti la modifica del clima dovuta ad
un incontrollato sfruttamento delle risorse naturali, ha generato la più
rapida ed intensa modifica degli ecosistemi terrestri mai verificatasi in
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