Andrea Palladio (1508-1580) Nasce a Padova il 30 novembre 1508, figlio di Pietro della Gondola, un artigiano, e di Marta la “zoppa”. Da qui prende il nome di Andrea di Pietro o Andrea della Gondola. Il nome “Andrea Palladio” gli verrà dato circa trent’anni più tardi dall’Accademia Trissiniana di Cricoli, ed è in questa Accademia che Andrea riceverà una educazione che, al tempo, era offerta solo raramente ad una persona di umili origini. Il nome Palladio gli viene dato probabilmente dallo stesso Trissino, il suo mentore, che in questo modo sottolineava le abilità e le capacità di apprendimento che riconosceva in lui. Il nome Palladio Il nome “Palladio” compare la prima volta in un poema epico che Trissino pubblicò nel 1547, dal titolo : “L’Italia liberata dai Gotthi”. Nel poema Palladio è la figura chiave di tutto l’intreccio, è una specie di angelo custode in quanto è colui che, grazie all’appoggio fornito dalle truppe dell’Imperatore Giustiniano, sarà un prezioso aiuto nell’espellere i Goti dall’Italia. Egli, infatti, guida il suo protetto Belisario, il comandante delle forze di Giustiniano, attraverso un palazzo occupato dal nemico, e con questo atto salva Belisario e i suoi uomini dalla sconfitta. Inoltre egli è un esperto di architettura del palazzo e quindi dedica molto tempo per descrivere in modo dettagliato i materiali, le misure e le proporzioni. La saggezza di quest’angelo suggerì a Trissino di trovargli un nome adeguato e la scelta può essere stata influenzata dalle virtù analoghe possedute da Pallade Atena, oppure potrebbe aver voluto alludere ad un talismano noto come il Palladium, raffigurante l’immagine della dea, portato da Enea in Italia e dove più tardi avrebbe protetto Roma. Gian Giorgio Trissino Palladio arriva a Vicenza ancora bambino e il suo padrino, Vincenzo de’ Grandi, uno scultore locale, lo aiutò ad iscriversi alla Corporazione dei muratori e degli scalpellini di Vicenza, nel 1524. Dimostrando fin da giovane un talento innato ed un grande carisma, fu notato dal Trissino che incoraggiò la sua formazione L’umanista vicentino Trissino era uno dei maggiori eruditi dal tempo e formò il giovane Andrea con i precetti di Vitruvio con una educazione che ebbe inizio a Cricoli, dove Trissino si era fatto costruire una villa “all’antica”, che aveva adibito ad Accademia e dove venivano formati i giovani nobili vicentini. In essa i giovani affrontavano lo Studio, le Arti e le Virtù. La musica era l’arte principale, ma si studiava anche l’astronomia, la geografia e la filosofia. I testi usati erano greci e latini il che, per esempio, favorì la consapevolezza dell’individuo competo come membro vitale della società. Cioè il vero significato della virtù invocata da tutti gli umanisti. Questo concetto era di grande importanza per un aspirante architetto. Come l’Alberti aveva scritto nel suo trattato di architettura :” Non c’è nulla a cui un uomo dovrebbe dedicare maggiore cura, impegno ed attenzione che alla virtù” perché per produrre degli edifici notevoli che rispecchino la perfezione della Natura, l’architetto doveva essere un individuo di notevole levatura morale e culturale. La cultura era la chiave di tutto. Non ci sono pervenute notizie sul curriculum di studi di Palladio all’Accademia di Cricoli ma è possibile ipotizzare che conoscesse il latino e che si fosse formato sui principi di Vitruvio. Lo stesso Trissino era un profondo conoscitore dell’Architetto romano del 1° secolo a.C. Ritratto di Trissino - 1525 S. Serlio – Prospetto del giardino di Villa Madama di Raffaello – 1540-1584 G. G. Trissino – Entrata della Villa Trissino a Cricoli – 1537/1538 Si notano le piccole differenze nell’articolazione delle finestre e delle nicchie rispetto al disegno del Serlio. Dal 1538 al 1540 Palladio è a Padova, dove è presente anche Trissino, e viene presentato al circolo di Alvise Cornaro (1484-1566). Cornaro era un erudito ed un grande sostenitore della comunità letteraria ed artistica di Padova. Egli propugnava un umanesimo realistico e pragmatico così come la sua visione dell’architettura che, non solo agisce per “offrire delle comodità all’uomo”, ma “è anche bella”. Questa bellezza, secondo lui, doveva essere utilizzata perla gioia ed il conforto di tutti, e non solo per le “fabbriche d’Imperatori et Principi”. Nel circolo di Cornaro Palladio ebbe occasione di conoscere alcuni grandi architetti del tempo, tra cui Sebastiano Serlio che, nel 1537 aveva pubblicato la prima delle sue opere : il Libro IV sugli ordini dell’architettura. Realizzato con un livello grafico delle illustrazioni molto alto, il testo fu un importante punto di riferimento per palladio che ebbe occasione di copiare i disegni direttamente. Inoltre Cornaro si era fatto costruire nel giardino di casa sua una loggia in pietra ad un solo piano che si apriva su una corte e che doveva fungere da sede permanente degli spettacoli teatrali eseguiti per i suoi amici intellettuali. La Loggia, con le sue cinque aperture ad arco separate da semicolonne sui piedestalli, era stata progettata da pittore architetto veronese Giovanni Maria Falconetto ((1468-1535). Cornaro e Falconetto erano molto amici ed erano andati assieme a Roma a studiare le rovine dell’architettura classica. La Loggia fu il risultato della loro unione intellettuale ed artistica. La Loggia venne costruita nel 1524 e fu il primo edificio in Veneto realizzato rigorosamente all’antica. G. M. Falconetto – Loggia Cornaro, Padova - 1524 S. Serlio – Prospetto del giardino di Villa Madama di Raffaello – 1540-1584 Piazza San Marco - Venezia Venezia e il Classicismo Verso la fine del XV secolo Firenze, fino ad allora il principale centro italiano nel campo artistico, vede crescere il potere e l’autorità di Roma. La città eterna era stata sotto l’influenza di diversi papi umanisti fin dal 1446 con Nicola V che si era prefisso di ricostruire la città per ridarle l’antico splendore. Per fare ciò il Papa si servì dei consigli dell’Alberti e di Bernardo Rossellino. Dopo di lui il programma di rinnovamento urbano di Roma proseguì con Pio II, fino a Giulio II che, alla fine del secolo XV, aveva dato il via alla progettazione di San Pietro con l’incarico a Bramante, ed all’opera di trasformazione del vaticano. Roma diventò così il nuovo punto di riferimento artistico dell’Italia e attirò gli artisti e gli architetti più brillanti, che vi si recavano per studiare i monumenti antichi e i nuovi indirizzi stilistici del Rinascimento. Il resto dell’Italia rimaneva parzialmente ai margini e così anche il Veneto. A Venezia il nuovo classicismo di Firenze e di Roma si amalgamò con le preferenze locali per i Gotico e le forme bizantine. Dopo il sacco di Roma del 1527 molti artisti ed intellettuali decisero di andarsene verso le principali città stato e i domini veneziani nella pianura padana. Tra di loro figurava Lo scultore ed architetto fiorentino Jacopo Sansovino (1486-1570). Affascinato da Venezia vi rimarrà per quarantatre anni. Qui otterrà un grande successo come architetto e realizzerà la Zecca (1536), la Libreria Marciana (1537), costruita per conservare il nucleo di manoscritti donati alla città dal Cardinale Bessarione e la Loggetta (1538) alla base del campanile. J. Sansovino – Libreria Marciana (1537) - Venezia Sansovino viene nominato architetto della Repubblica e dal 1537 ha l’incarico di sistemar Piazza San Marco. Il suo ruolo a Venezia può essere paragonato solo a quello del Bramante a Roma. La Loggetta incunea prospetticamente il lungo fronte della biblioteca e viene realizzata tra il 1537 e il 1542. Essa, con il campanile, diventano così la cerniera, l’elemento di raccordo tra la piazzetta e la piazza vera e propria, definendo la complementarietà e l’autonomia dei due spazi comunicanti. La facciata si ispira agli archi di trionfo ed alle architetture effimere. J. Sansovino – Zecca e Libreria Marciana (1537) - Venezia Sansovino conferì una nuova magnificenza anche alla Piazzetta San Marco. La Libreria dà un senso di unità e di equilibrio con il Palazzo dei Dogi, situato di fronte. L’edificio è il risultato della fusione degli antichi ideali romani (corretto uso proporzionale e gerarchico degli ordini classici secondo Vitruvio) con l’amore veneziano per i ricchi ornamenti. La facciata a due piani consiste in un sistema principale a trabeazione e di uno secondario ad archi che si inserisce in quello principale. Gli ordini rispettano la tradizione : dorico sotto e ionico sopra. J. Sansovino – Palazzo Corner (1533-56) L’ordine principale, quello ionico, poggia su piedestalli uniti tra loro dalle balaustrate, ed entrambi gli ordini sono arricchiti da teste e figure come chiave di volta nei pennacchi degli archi. Il coronamento in alto è realizzato con una trabeazione che comprende delle ghirlande e delle finestre ovali nei fregi. Il tetto è racchiusa da una balaustrata sulla quale si stagliano contro il cielo statue di eroi e obelischi. In questo modo Sansovino propone una versione molto decorata del Classicismo romano che è tipica di Venezia, e nettamente in contrasto con l’apparente semplicità dei palazzi Capitolini romani di Michelangelo, la cui costruzione viene iniziata circa negli stessi anni. J. Sansovino – Palazzo Corner (1533-56) Piazza del Campidoglio (dal 1537) e il Palazzo dei Conservatori – (dal 1563) Nel 1540 Palladio ritorna a Vicenza, all’età di 32 anni, e qui inizia ad avere numerosi incarichi. Il primo è la continuazione di Villa Godi a Lonedo. Contemporaneamente realizza anche il suo primo edificio di città, a Vicenza, Palazzo Civena. Da quest’opera si nota come Palladio sia chiaramente influenzato, nelle proporzioni e nei dettagli, dall’esperienza padovana ed in particolare dalla Loggia Cornaro, nonché dall’illustrazione della facciata del Palazzo presente nel libro VII del Serlio. Altri riferimenti, però, sono desumibili dal Palazzo Caprini a Roma del Bramante. In questa prima fase della sua attività Palladio si basa su fonti di seconda mano, in particolare da quegli architetti che si erano esiliati da Roma. Per poter competere con loro doveva fare studi diretti sull’antichità, come gli aveva suggerito il Cornaro, per poter scoprire i segreti di quelle architetture. Con questo fine nel 1541 Palladio si mette in viaggio con Trissino per Roma, e questo sarà il primo di cinque viaggi che condurrà nella città eterna. Qui oltre alla classicità studiò i grandi monumenti del Rinascimento tra cui il Bramante (Tempietto in San Pietro in Montorio e San Biagio) e di Raffaello (Villa Madama). Oltre a questi sicuramente ebbe occasione di vedere l’opera di un allievo di Raffaello, Giulio Romano, a Mantova,. Palladio e la bottega di Pedemuro – Villa Godi, Lonedo – dopo il 1537 Palladio – progetto di Palazzo Bramante – Pal. Caprini - Roma Sanmicheli – Palazzo Pompei, Verona –1530 Villa Adriana - Tivoli E’ la grandiosa residenza che l’imperatore Adriano si fece costruire su un’area di quasi 300 ettari sulle colline che da Tivoli digradano verso Roma. Più che un edificio singolo la villa e’ un complesso di edifici di varia tipologia inseriti all’interno di un parco. In esso di trovano cortili porticati, ninfei, piscine, terme, padiglioni, fontane, in una sequenza praticamente infinita di architettura. San Pietro in Montorio (1502-1508) Pianta del chiostro di S. Pietro in Montorio secondo il progetto originario del Bramante – dal 3° libro di S. Serlio – 1540 Si noti il cortile che avrebbe dovuto avere una forma circolare con muri dotati di nicchie e preceduti da un portico su colonne di numero uguale a quelle del Tempietto. L’opera ebbe un successo enorme e fu interpretata come il ritorno in vita dell’arte classica, diventando, così, un esempio da imitare. Sia S. Serlio nel 1540 che il Palladio nel 1570 lo inseriranno nei loro trattati di architettura. D. Bramante – Tempietto di S. Pietro in Montorio - Roma D. Bramante – Pianta del primo progetto - Roma Il Tempietto di S. Pietro in Montorio è il risultato degli studi e dei rilievi condotti da Donato Bramante (1444-514) sulle “cose antiche”. Modello di riferimento di tutte le chiese a pianta centrale del ‘500 è il Pantheon, che era stato trasformato in chiesa cristiana – Santa Maria ad Marrtyres – fin dal VII secolo. Nella tradizione cristiana le chiese più antiche erano di due tipi : il martyrium e la basilica. I martyria erano quasi sempre piccoli e a pianta centrale, e venivano eretti in luoghi che avessero qualche particolare significato religioso come, ad esempio, il luogo di un martirio. Non erano, quindi, adibiti a chiese parrocchiali ma volevano essere dei monumenti commemorativi. Per le esigenze spirituali della comunità veniva eretta la basilica, Nel caso del Tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante è evidente, quindi, che non ci poteva essere altra soluzione alla pianta centrale quando si decise di costruire una chiesa nel luogo della presunta crocifissione di San Pietro. Commissionato nel 1502 dal Re di Spagna per ricordare il luogo del martirio dell’apostolo Pietro, fu terminato, probabilmente nel 1508-09. Il tempietto è sollevato da terra da un basamento gradinato che ricalca la forma degli antichi templi peripteri circolari. Attorno ad un corpo centrale cilindrico scavato da nicchie conchigliate e sormontato da una cupola, corre un peristilio formato da 16 colonne tuscaniche trabeate. L’idea è quella di due cilindri (peristilio e cella), il primo basso e largo e la seconda alta e stretta. La larghezza del peristilio è uguale all’altezza della cella, con l’esclusione della cupola, e questi semplici rapporti proporzionali si possono trovare in tutto l’edificio. La cupola è emisferica internamente ed esternamente ed è, pertanto, proporzionata all’altezza della cella. Vitruvio diceva che che i templi dovevano conformarsi nella loro struttura architettonica al carattere di coloro cui venivano dedicati. Questo stava a significare che un tempio dedicato ad una dea vergine avrebbe dovuto essere di ordine corinzio, mentre l’ordine dorico era più consono a Ercole o a Marte. Leon Battista Alberti e, più tardi, il Palladio ribadiscono questo concetto, che doveva quindi essere noto agli architetti del Rinascimento, ma il Bramante fu il primo architetto ad applicarlo e a collegarlo al tema del martyrium. Bramante adoperò l’ordine tuscanico – che è una versione dell’ordine dorico romano – perché lo ritenne adatto al carattere di San Pietro, ma si spinse anche oltre nell’elaborazione del fregio. Dato che l’ordine tuscanico è una versione dell’ordine dorico, il fregio è decorato con metope e triglifi a ritmo alterno. Le metope del fregio (uno dei primi esempi rinascimentali di fregio dorico con metope e triglifi) recano decorazioni a tema liturgico che richiamano San Pietro e la Chiesa. Sopra la cornice corre una balconata. Villa Madama (dal 1517) A. da Sangallo il Giovane (da Raffaello) – progetto per villa Madama – 1519-1521 Raffaello Sanzio (1483-1520), come il Bramante, è assolutamente convinto della grandezza degli antichi, ed il progetto interpreta il tema della villa partendo dagli esempi dei classici quali Plinio il Giovane il quale, nel 1° secolo dell’Impero, descriveva le ville di sua proprietà nelle lettere agli amici. Progettata per il Papa Leone X° e il Cardinale Giulio dè Medici, e realizzata con i suoi collaboratore Antonio da Sangallo il Giovane e Giulio Roano, la la villa rielabora l’idea della villa rinascimentale alla luce delle tipologie spaziali dell’antichità classica, in una continua ricerca di integrazione tra edificio e ambiente naturale. Intorno al nucleo del cortile centrale circolare – in una grande varietà di assi di percorso e visivi – vari corpi di fabbrica con logge e saloni, ambienti per ospiti e di servizio e locali termali, si articolano tra i giardini sulle pendici del Monte Mario. Un ambiente fatto per le aspirazioni all’agio, al riposo, al divertimento colto e raffinato degli uomini della corte papale. Nelle intenzioni di Raffaello la villa doveva comprendere ambienti a destinazione e livelli diversi, seguendo l’andamento del terreno con lavori di terrazzamento, disposti attorno a cortili, giardini e porticati. La costruzione sarebbe stata completata da un ippodromo, stalle per 400 cavalli, le terme e un teatro. Villa Madama - Pianta della parte costruita 1. loggia; 2. pescheria; 3. giardino chiuso Villa Madama – veduta della facciata Del progetto di Raffaello solo una piccola porzione è stata realizzata. Fulcro della composizione attuale è la grande loggia che dà sul giardino. Realizzata in tre campate – le due laterali coperte a crociera, quella centrale a cupola – la loggia si conclude con due esedre ornate da nicchie, con le pareti ornate da paraste doriche. La Loggia, che contiene la più stupenda decorazione tra quelle pervenuteci, eseguita da Raffaello e dai suoi discepoli su diretta imitazione della Domus Aurea di Nerone. E’ decorata a grottesche e a stucchi e nell’equilibrata e rara unità di architettura, pittura e scultura rappresenta quanto di più prossimo alla spazialità degli antichi edifici romani si sia mai saputo realizzare. Serlio – Prospetto di Villa Madama di Raffaello – 1540-1584 Villa Madama a Roma – La Loggia Villa Madama - Pianta della parte costruita 1. loggia; 2. pescheria; 3. giardino chiuso Palazzo Tè 1525-1534 Dal 1536 Giulio Pippi, detto Giulio Romano (1500-1546), allievo e continuatore dell’opera di Raffaello, inizia a lavorare al Palazzo Tè, costruito poco fuori Mantova su un’isola chiamata Tejeto (da cui il nome Tè)collegata da ponti alla città. L’idea originaria era di costruire una villa suburbana destinata ad ospitare gli amori e lo svago del Marchese Federico Gonzaga, ma poi il progetto diventa sempre più grandioso. Tutto l’edificio si sviluppa solo al piano terra sovrastato da un mezzanino, con pianta di forma quadrata, con annesso un cortile con esedra scandito su tutti quattro i lati da un poderoso colonnato dorico. L’articolazione dell’edificio attorno al giardino riprende il modello della domus romana. La facciata posteriore è caratterizzata da un loggiato a serliane. Giulio Romano – Palazzo Tè – Facciata sul giardino (facciata orientale) Pur rifacendosi alla maniera antica ed in particolare a Villa Madama di Raffaello e al complesso del Belvedere del Bramante, Romano interpreta liberamente le regole della classicità con l’introduzione di alcune scelte arbitrarie e destabilizzanti. Innanzitutto le quattro facciate esterne dell’edificio sono tutte diverse l’una dall’altra (quella a sud non venne mai realizzata), con motivi a paraste, lesene e semicolonne, con trabeazione finale con metope e triglifi. La facciata settentrionale ha un portale a tre aperture affiancate da lesene doriche giganti che innalzandosi fino al mezzanino sottolineano la volontà di Romano di dare l’idea di un solo piano. La facciata occidentale ha un unico accesso inquadrato da lesene binate intercalate da nicchie. La facciata orientale si apre sul giardino ed è quella più monumentale. E’ divisa da arcate, lesene e colonne trabeate, con finestre “serliane”. La loggia centrale è sormontata da un timpano (che è stato aggiunto alla fine del XVIII° secolo) e i due sostegni centrali che lo sostengono sono formati da gruppi di quattro colonne. La libertà e l’inventiva di Roano si manifestano soprattutto nelle quattro facciate del Cortile d’Onore, dove i timpani delle grandi nicchie e delle finestre risultano “spezzati”, mentre parti di trabeazione, comprendenti i triglifi, vengono fatti scivolare in basso, come se fossero avvenuti degli assestamenti strutturali e poi l’edificio si fosse stabilizzato. Palazzo Tè – Facciata settentrionale Palazzo Tè – angolo tra la facciata settentrionale e quella occidentale. Palazzo Tè - Facciata sul cortile Palazzo Tè – La Loggia In contrasto con la forma massiccia delle facciate esterne, il loggiato dona alla facciata sul giardino grande ariosità. La Loggia si affaccia su uno specchio d’acqua (indicato in azzurro nella piantina) Palazzo Tè – il giardino visto dalla Loggia L’altro aspetto della straordinaria inventiva di Giulio Romano è l’apparato decorativo della villa. Da una iniziale decorazione incentrata su simbologie mitologiche, come quella di Apollo e Psiche, si passa ad una decorazione più complessa e di significato politico, tesa ad esaltare al potenza dell’imperatore Carlo V°. Questi, durante il soggiorno mantovano del 1530, visita il palazzo e concede a Federico II° l’ambito titolo di duca. Da punto di vista compositivo gli affreschi di Romano nel Palazzo Tè segnano il definitivo superamento della razionale “misura” rinascimentale ed aprono la strada a quelle esplorazioni pittoriche alla ricerca di nuove espressività e, a volte, bizzarrie. Nella sala dei Giganti è raffigurato l’episodio di Giove che punisce i Giganti che gli si erano ribellati (è il tema classico della Gigantomachia dei Greci). I Giganti, figli di Urano, diedero l’assalto all’Olimpo e Giove li colpì con i fulmini facendoli precipitare e profondare nelle viscere dell’Etna. In questo modo Giulio Romano celebra anche il trionfo di Carlo V° sui suoi nemici , annientati e schiacciati da un poderoso turbine che sembra sconvolgere tutto l’ambiente, coinvolgendo anche gli spettatori con effetti di alta drammaticità. Nella costruzione dell’immagine viene determinato l’annientamento dei limiti fisici dello spazio architettonico che perde le sue caratteristiche di tridimensionalità per affondare completamente nella narrazione del dramma raffigurato. Romano in fatti riesce a fondere l’affresco con l’architettura mimetizzando le aperture con pietre dipinte. Palazzo Tè – Caduta dei Giganti – Sala dei GIganti Armonia e proporzione nel rinascimento Francesco di Giorgio Studi di proporzioni Gli artisti del Rinascimento credevano che la perfezione derivasse dall’imitazione della natura. Questo, in architettura, faceva sì che la forma venisse controllata da alcune geometrie e che alcuni moduli regolassero le dimensioni dell’intero progetto. In tal modo, come aveva insegnato Vitruvio, si poteva raggiungere l’armonia fra tutte le parti, in modo che sia le misure che le forme fossero in proporzione. Vitruvio chiamò questo approccio DISPOSITIO. Inoltre gli edifici dovrebbero essere governati dalla SYMMETRIA, termine che indica non solo il bilanciamento di due forme rispetto ad un asse di simmetria, ma anche che ogni elemento è retto dalle stesse proporzioni che regolano la totalità dell’opera. I concetti di DISPOSITIO e di SYMMETRIA (che determinano gli elementi e i numeri all’interno di un edificio) vennero riassunti dall’Alberti in un unico termina : la CONCINNITAS, un insieme di numeri, misure, proporzioni e disposizioni, che avevano alla base una concezione interamente classica. Gli architetti del Rinascimento, quindi, definivano ogni forma moltiplicandola per alcuni numeri preferenziali, che avevano le loro radici nella teoria classica, in particolare nelle sequenze delle cifre pitagorico - platoniche che rapportavano i numeri all’armonia universale. VITRUVIO Per Vitruvio l’architettura deve soddisfare tre categorie : FIRMITAS (stabilità) - UTILITAS (utilità) - VENUSTAS (bellezza). A sua volta queste categorie sono suddivise in ulteriori concetti base. Vitruvio descrive i numeri perfetti in relazione alla misura ideale. Così egli spiega che sono progettati seguendo una misura che riflette le proporzioni umane. Inoltre una tradizionale convinzione secondo la quale la simmetria in architettura evoca i principi alla base della simmetria del corpo umano, e questo fatto, per Vitruvio, aveva una enorme importanza. I numeri “perfetti” si trovano nelle proporzioni umane “ideali”, e così le antiche misure quali il dito (digitus), il palmo (palmus), il piede (pes) e il cubito (cubitus : la lunghezza dell’avambraccio) sono dominati da due numeri perfetti : il 6 e il 10. Vitruvio ci dice che il 10 è perfetto per le nostre 10 dita, 4 delle quali formano il palmo, mentre 4 palmi formano il piede. Il 6 è perfetto perché è la somma dei suoi fattori e perché il piede è un sesto della statura dell’uomo. Queste due cifre, unite assieme, formano il più perfetto dei numeri, cioè il 16. A lato : Francesco di Giorgio esempi di chiese a pianta composita LEON BATTISTA ALBERTI Alberti deriva da Vitruvio le categorie di base (firmitas, utilitas, e venustas) e inoltre studia i ragionamenti di Vitruvio sui numeri nell’appendice del suo “De Statua”, e alla fine ripete sostanzialmente lo schema proporzionale vitruviano (un piede è un sesto della statura di un uomo), seppure passasse dall’uomo ideale di Vitruvio il cui ombelico è il punto centrale di un quadrato e di un cerchio ad un uomo il cui centro è alla base del bacino (la vera metà dell’altezza umana). Ma sebbene l’ombelico non è al centro Alberti gli attribuisce una proporzione importante in relazione all’altezza generale di una persona usando i numeri “perfetti” :la distanza dal piede all’ombelico e quella dal piede alla testa sono in rapporto di 6:10, e inoltre dimostra nei suoi disegni che questo rapporto è presente in molte altre parti del corpo. Francesco di Giorgio – Studi di proporzioni Nel suo trattato l’Alberti definisce bene le proporzioni degli ordini classici collegandole alle regole vitruviane : “Gli antichi eressero le colonne ad immagine del corpo umano. Prendendo le misure di un uomo scoprirono che la larghezza da un lato all’altro era 1/6 dell’altezza, mentre la profondità (dall’ombelico ai reni) era 1/10 dell’altezza. Così le colonne avevano una altezza 6 volte (dorico) o 10 volte la base (ionico). Queste misure di “6” e “10” le troviamo nel Sant’Andrea a Mantova dell’Alberti e nel Tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante. L’Alberti nota, però, che gli antichi trovarono le colonne alte 6 e 10 o troppo massicce o troppo snelle, e quindi studiarono una colonna che fosse in mezzo a quei due estremi. Per determinarne la dimensione, rispettando i numeri “perfetti” 6 e 10, li sommarono e poi divisero il risultato per due, ottenendo 8 (altezza colonna pari 8 volte diametro di base della stessa), che era situato ad eguale distanza tra 6 e 10. Alberti applica lo stesso sistema per determinare il modello ionico, alto 7 moduli (6+8=14/2=7) e quello corinzio alto 9 moduli (8+10=18/2=9). Cesare Cesariano – Figura vitruviana PALLADIO Anche Palladio riprende i suoi concetti estetici da Vitruvio e dall’Alberti, così come la definizione del bello che è la “corrispondenza del tutto alle parti, delle parti fra loro, e di quelle al tutto”. I numeri perfetti si trovano anche nei progetti del Palladio nei Quattro Libri dell’Architettura. Per realizzare questi sistemi proporzionali, espressi in numeri interi, Palladio addotta di solito il sistema metrico del luogo dove lavora. Ciò perché le misure locali di ogni città definivano la dimensioni dei materiali da costruzione come i mattoni. Palladio elabora i suoi progetti con i numeri che sono i multipli del piede locale conosciuti dai muratori. Così si determinano, ad esempio, sia le misure dei mattoni che dei fusti delle colonne. Le dimensioni delle stanze sono multipli di 6, 10 e 16 : ad es. 6x10; 10x16; 16x16; ecc. L’esterno di un edificio deve sembrare “un corpo ben rifinito” ed esprimere la gerarchia degli spazi che impone che quelli più belli devono essere accessibili alla vista e quelli meno belli nascosti. Così le cucine vanno nel sotterraneo con le cantine, oppure in edifici separati con le stalle, le stanze abitate al piano terra o al primo piano. Quindi per Palladio gli spazi vanno disposti gerarchicamente attraverso la geometria e le proporzioni. Quindi con il concetto di CONCINNITAS dell’Alberti, il numero, la misura e la proporzione sono i mezzi per rendere lo spazio architettonico conforme ai principi naturali. E anche il Palladio era convinto di ciò, e si rammaricava di quegli edifici che allontanandosi da ciò che la Natura ci insegna, si staccano dal vero e dal buono. Inoltre per Palladio gli edifici “dovrebbero sembrare un corpo intero, ben rifinito”. Leonardo – figura vitruviana SPAZI INTERNI Per la gerarchia degli spazi interni Palladio fa ancora riferimento al corpo umano : “Come il Signore ha progettato le parti del nostro corpo, così le cose più belle devono essere esposte alla vista e le cose meno decenti devono essere in luoghi nascosti. Così le cucine, le cantine sono poste o al piano terreno o in edifici separati assieme alle stalle e alle dispense. Mentre le stanze principali, sia nelle ville ceh nei palazzi, sono situate al piano terra ed al primo piano. Nelle ville il sottotetto viene usato spesso come granaio. Per l’interno Palladio descrive sette tipi di stanze, come le più belle : esse saranno rotonde, ma piuttosto raramente, o quadrate, o con la lunghezza pari alla lunghezza della diagonale del quadrato fatto sulla larghezza, o di un quadrato e un terzo, o di un quadrato e mezzo, o di un quadrato e due terzi e due quadrati. Le stanze sono multipli di 6, 10 e 16 : ad es. 6x10; 10x16; 16x16; ecc. L’altezza ideale di una stanza deve essere data da una sequenza armonica. Palladio rimase profondamente colpito dalla “classicità romana, tanto che nei suoi successivi “Quattro Libri” scriverà che aveva trovato gli antichi edifici “molto più degni d’osservazione di quanto non avesse immaginato”, e che le “rovine” lo commossero enormemente. Palladio rilevò i monumenti e fece tutte le indagini che poteva per scoprire i segreti di tanta bellezza. Al ritorno a Vicenza arrivano anche gli incarichi importanti nei quali potè applicare le nuove conoscenze. Villa Valmarana (dopo il 1541) a VIgardolo mostra come avesse fatto proprie le indicazioni ricevute da Trissino e Cornaro, ma anche delle prime impressioni ricevute a Roma. La villa si presenta estremamente semplice tanto da sembrare quasi un fienile, mentre le decorazioni interessano solo le porte e le finestre. Alla semplicità decorativa si contrappone, però, una sensibilità classica per gli spazi che, all’interno, si configurano con soffitti a volta, memori dei rilievi delle antiche Terme Romane. La porta di ingresso con il motivo ad arco, deriva da progetti del Bramante e di Raffaello ma viene ripreso anche dal Serlio. Infatti questo tipo di apertura rimarrà conosciuto come “seroiliana” (anche se in Inghilterra ed in America sarà conosciuta come “Palladiana”. Con questo ed altri progetti Palladio inizia ad allontanarsi dalle formule degli altri architetti e tende autonomamente alla progressiva semplificazione dell’immagine e all’interazione di elementi classici. Villa Valmarana – Vigardolo - 1541 Nella villa Pisani a Bagnolo (15421545) si nota la presenza di un vocabolario ormai personale che si caratterizza per alcune audaci manipolazioni spaziali. La grande entrata ad emiciclo si ispira alle terme romane o ai Mercati traianei o a villa Madama di Raffaello. Stessi riferimenti, anche se soggetti a variazioni, si trovano nella villa Moenigo a Dolo (metà anni ’50). La stanza principale è cruciforme con la volta a botte, ed è illuminata da finestre termali, che sono aperture semicircolari tripartite che erano presenti nelle terme romane. Villa Pisani – Bagnolo - 1542 - 1545 Villa Mocenigo – Dolo – metà anni ‘50 Calidarium Pianta 1. Natatio; 2. Frigidarium; 3. Tepidarium; 4. Calidarium; 5.Palestra; Terme di Traiano (104-109 d.C.) Terme di Caracalla (212-217 d.C.) Palladio – Ricostruzione delle Terme di Agrippa e del Pantheon a Roma – metà anni ‘50 Pianta : 1. Ingresso; 2. Peristilio; 3. Calidarium; 4. Tepidarium; 5. Sala centrale; 6. Tepidarium La Villa Palladio realizza tre tipologie di edifici : la VILLA, che è tradizionalmente ubicata negli spazi aperti della campagna; il PALAZZO, che è inserito negli spazi urbani densi e si presenta all’osservatore con la facciata sulla strada. In questi edifici i locali interni sono organizzati attorno a cortili che garantiscono una ottimale illuminazione. La CHIESA. L’elemento caratterizzante le innovazioni del Palladio nelle ville della sua maturità è la presenza di un colonnato con frontone classici, posto sulla facciata di ingresso. In questo tipo di ville possiamo individuare due tipologie diverse : •Villa con un unico corpo centrale compatto; •Villa con ali che si estendono lateralmente all’edificio centrale. In entrambi i casi Palladio definisce il fronte del corpo centrale come un pronao di un tempio classico, rimarcando la volontà di ricercare la “forma ideale”. Palladio, pur variando le case in relazione alle esigenze del committente, le realizza tutte con delle “regole universali”, delle norme precise, dalle quali non si allontanò mai. Villa Chiericati – Vancimuglio (1548 inizio) Villa Pisani – Montagnana (1552-1555) Esse sono : 1 - una sala posta sull’asse centrale dell’edificio, 2 - una assoluta simmetria tra gli ambienti minori ai suoi lati Nel rinascimento gli architetti hanno sempre guardato la simmetria come un requisito fondamentale, ma raramente nella pratica questa teoria veniva applicata. Mentre Palladio applicò sistematicamente questi principi. A Cricoli Trissino aveva anticipato le Ville del Palladio, e ogni realizzazione successiva non è che uno sviluppo di questo archetipo. Un’altra suddivisione dei modelli di villa si riferisce al tipo con corpo unico, compatto, che prevede due soluzioni : •la villa con il portico aggettante, similmente al pronao di un tempio classico; • la villa con due colonnati sovrapposti, inseriti nel piano della facciata; A questi tipi va aggiunta la villa Capra (detta la Rotonda) che, caso unico, si presenta nella sua doppia simmetria in pianta con quattro facciate identiche tra loro, realizzando un perfetto edificio a pianta centrale. Villa Barbaro – Maser (1550-1558) Diversamente dall’architettura francese e inglese l’architettura monumentale italiana è concepita in termini di un solido blocco tridimensionale, cercando di rendere percepibile il rapporto tra lunghezza, altezza e profondità. Tali caratteristiche sono presenti negli edifici palladiani in modo molto chiaro. Al blocco bisognava anteporre una facciata e Palladio scelse il tempio a portico, che rappresenta una innovazione assoluta per gli edifici privati. Le facciate degli antichi erano sconosciute ma applicandovi il fronte del Tempio Palladio era convinto di averle ricreate nelle forme e nello spirito. Ciò lo si vede bene nella ricostruzione della facciata della “ Casa degli Antichi” fatta nell’edizione del Vitruvius del Barbaro : essa aveva un ampio portico con otto colonne. Questa soluzione deriva da Vitruvio il quale descrivendo l’origine della casa, quando ancora era una capanna di rami e fango, dimostra come i tetti che inizialmente erano di canne e foglie vennero successivamente realizzati con punte di legno ricoperte di fango, scoscesi e obliqui, per sopportare la pioggia durante le tempeste invernali. Ricostruzione della “Casa degli Antichi” tratta dal “Vitruvius” del Barbaro, 1556. Successivamente Palladio, nei Quattro Libri (il suo trattato di architettura) sostiene una teoria evolutiva della società nella quale dimostra che gli edifici pubblici derivano dalle case private, in quanto le città si sono formate per sommatoria prima di edifici residenziali, poi di borghi e, solo allora, nelle città l’uomo edificò gli edifici pubblici che avevano dei grandi frontoni. Va detto che l’Alberti aveva, a suo tempo, affrontato il problema negando la possibilità che il frontone del tempio potesse essere usato per gli edifici privati perché solo il tempio doveva vere quella particolare solennità che gli viene data dal pronao. Palladio smonta questa affermazione con la sua teoria evolutiva degli edifici antichi. Con essa il Palladio afferma che il tempio riflette l’aspetto esteriore dell’antica casa, esso è una casa di particolare magnificenza, e quindi l’uso del fronte del tempio classico in edifici privati gli pareva legittimo come ritorno ad una pratica antica. Ciò è profondamente anticlassico, ma permise all’edificio di acquisire una vitalità ed una monumentalità nuova. Villa Barbaro, Maser (1550-1558) Daniele e Marcantonio Barbaro, figure di spicco del panorama culturale e politico del tempo, furono due figure di riferimento molto importanti per Palladio. Daniele, eminente studioso di Aristotele e famoso diplomatico (rappresentò anche Venezia in Inghilterra e Scozia); il fratello Marcantonio statista di spicco. Appassionati entrambi di architettura instaureranno un proficuo rapporto con il Palladio che sfocerà in un viaggio a Trento ed uno a Roma con Daniele Barbaro e con la progettazione di una villa già dal 1549. Villa Barbaro a Maser è situata su una collina e in parte segue la orma di un preesistente castello. Palladio amplia il primo piano sul retro, verso la collina, dove crea un’area aperta a terrazzo ed un Nymphaeum semicircolare per raccogliere l’acqua da una fonte naturale. Alla villa collaborano direttamente sia Marcantonio Barbaro (che sembra abbia eseguito il progetto e l’esecuzione scultorea degli ornamenti) che lo scultore Vittoria e il pittore Paolo Veronese. L’idea originale di questa soluzione può essere derivata dalla conoscenza di villa Madama di Raffello a Roma dove vi era una piscina e una fontana, che lo stesso Raffello aveva descritte come “incise a semicircolo nella collina”. Villa Barbaro – Maser (TV) –Pianta e facciata di ingresso. Raffaello – Villa Madama, Roma – dal 1517 Villa Barbaro – Maser (TV) – Ninfeo La villa, su un unico piano, presenta un corpo centrale più elevato, a due piani, coronato come il prospetto di un tempio, da un timpano su colonne di ordine gigante, affiancato da due ali laterali porticate. Questi portici, detti “barchesse” testimoniano la vocazione agricola dell’edificio, mentre il richiamo al fronte del tempio classico esplicita la matrice culturale classica del Palladio. La pianta è compatta ma articolata. Nell’avancorpo centrale si sviluppa un salone a crociera, in cui i rapporti tra i diversi vani sono regolati secondo precise proporzioni armoniche. Villa Barbaro, Maser - (1550-1558) gli interni Paolo Veronese giunge a Venezia nel 1553. Nel i fratelli Barbaro, sulla scia della fama acquisita dal pittore, lo chiamano ad affrescare gli interni della villa, uno dei cicli più celebri di tutta la pittura rinascimentale. Gli affreschi si sviluppano in una serie di stanze al piano nobile, comprendenti il salone centrale e l’ampio vestibolo che lo precede. Il tema degli affreschi, probabilmente concepito dallo stesso Barbaro, illustra il tema dell’Armonia Universale del cosmo, espressa dalla sapienza divina ed espressa attraverso Amore, Pace e Sapienza. I dipinti sono realizzati all’interno di una intelaiatura architettonica classicheggiante, punto di incontro e perfettamente sintonizzata tra le figure del Veronese e l’architettura del Palladio. Architravi, trabeazioni, colonne corinzie, statue si alternano a logge aperte verso le valli della campagna veneta. Il soffitto della Sala dell’olimpo vede la presenza di maestose divinità mitologiche inserite in un complesso sistema di riquadri architettonici che si concludo con una balconata. Negli affreschi sono presenti anche i committenti e le loro famiglie. Nella sala dell’Olimpo si affacciano Giustiniana Giustiniani, moglie di Marcantonio Barbaro, i suoi figli e la nutrice. Giustiniana, è appoggiata con la mano alla balaustra, e con lo sguardo assorto nei suoi pensieri. Alla sua sinistra la nutrice che si distingue per gli abiti semplici da lavoro, che tendono a confondersi con lo sfondo, in contrasto con la luminosità della veste azzurra ella padrona. Dopo la sala dell’Olimpo si susseguono varie stanze al cui interno la fuga prospettica termina con la raffigurazione di una nobildonna, mentre sul lato opposto è dipinto un gentiluomo che sta rincasando dopo la caccia. L’insieme di questi affreschi rappresentano un mondo incantato, in cui gli dei antichi e gli uomini del presente convivono in una dimensione di felicità Soffitto della Sala dell’Olimpo (1560-61) N.B. – per i testi relativi agli affreschi : vedi libro di testo (pagg. 533-535) Sala dell’Olimpo (1560-6) - particolare Sala a crociera (1560-62) - particolare Soffitto della Sala dell’Olimpo (1560-61) - particolare Villa Capra detta “la Rotonda”, Villa Almerico-Capra detta “la Rotonda” (inizio 1565) Vicenza (1566-1569) Villa Trissino – Meledo (inizio 1556) La Rotonda è il risultato degli studi del Palladio sull’idea di villa secondo una forma di tempio a pianta centralizzata. La rotonda deriva dai precedenti studi su villa Trissino, la quale aveva, però, l’edificio centrale fiancheggiato da due grandi ali ricurve. La pianta dell’edificio ha una simmetria biassiale, ma di essa furono erette solo alcune fondamenta e parte di un’ala. L’impianto centrale, il salone di ingresso posto alla convergenza degli assi principali e i quattro pronai sulle facciate mostrano come il Palladio si dedicasse già da anni alla ricerca della “villa ideale”. La Rotonda è realizzata quasi completamente secondo il progetto del Palladio. Posta sulla cima di una collina è stata concepita non come una villa ma come una casa di campagna per feste o “svago”. Le abitazioni dei nobili si distinguevano come urbane o rurali. Villa “la Rotonda” – pianta e prospetto Il Pantheon, Roma – 118-128 d.C Il Palazzo (urbano) serviva al proprietario per avere una presenza accanto agli affari ed alle personalità della città. La villa (rurale) era considerata un rifugio dalle fatiche e dagli impegni della città, oltre che ad essere anche il centro della ricchezza familiare, derivata dalla terra e dalla produzione agricola. All’interno la villa rispetta i principi, le misure e le proporzioni che Palladio adottava per i suoi edifici. L’impianto è a croce greca con il nucleo costituito da un salone coperto a cupola Colen Campbell – Mereworth Castle – 1722-1725 Lord Burlington – Villa Chiswich - 1725 La fortuna della Rotonda come modello di “casa ideale” è ben testimoniato dalle innumerevoli copie o adattamenti che nei secoli successivi. Sono state portate a compimento da artisti europei e, persino, americani. Campbell e Burlington in Inghilterra e il presidente Jefferson negli U.S.A., si rifaranno esplicitamente ad essa in alcune loro opere, come ideale recupero dei valori della classicità filtrata dalle raffinatezze intellettuali del Rinascimento. Thomas Jefferson – Villa di Monticello –1793-1809 Immagini del salone circolare di ingresso Le chiese de Palladio Evoluzione della facciata Il principale ornamento delle chiese del Palladio è il porticato a frontone (elemento che lui diceva si era sviluppato dall’abitazione primitiva). Per cui il simbolo del rifugio, della casa dell’uomo, doveva diventare l’emblema della nuova chiesa : la “casa di Dio”. Inoltre sembra che queste chiese rispecchino le direttive della Controriforma (alla quale, peraltro, Daniele Barbaro prese parte partecipando al Concilio di Trento). Palladio usa il doppio frontone, forse come simbolo della riconciliazione tra la casa dell’uomo e quella di Dio. Precedenti illustri : il Tempio della Pace (Basilica di Massenzio), Pantheon. Tutte tre le facciate si basano su un unico schema di base : riprendono il fronte colossale di un tempio classico, che chiude la navata centrale, mentre un ordine minore chiude la navate laterali. Nel Rinascimento il problema era complesso in quanto coloro che, tra gli architetti, pensavano in termini classici, guardavano la chiesa come l’erede diretta del tempio, e quindi ne volevano applicare la facciata alle chiese. Però le chiese venivano realizzate a pianta basilicale, con navate laterali più basse, e quindi sorgeva un problema di relazione tra interno – esterno : come adattare la facciata del tempio ad una costruzione a basilica? ALBERTI All’inizio la soluzione è drastica : Alberti, come altri, copriva con la facciata classica sia la navata centrale che quelle laterali. (S. Andrea a Mantova - 1470). Poi, accostando al suo sistema anche un arco trionfale, con ampia campata centrale e due più basse ai lati, richiama in facciata le tre navate interne. Con questa soluzione però, oltre ad esser troppo complicata, risultava difficile coprire con una unica facciata tutte tre le navate. Bramante – Santa Maria presso S. Satiro, Milano - 1480 BRAMANTE Bramante compie il passo successivo nel 1480, nella facciata di Santa Maria presso San Satiro a Milano. Qui usa per la prima volta le ali di un frontone in corrispondenza delle navate laterali, come fosse un timpano rotto in mezzo, mentre la parte centrale, più alta, si concludeva con un frontone, come un tempio normale. Quattro grandi lesene del piano principale sorreggono la trabeazione che di fatto divide in due parti la facciata : la prima parte copre l’intera estensione orizzontale della stessa, e al di sopra di essa una parte minore che copre solo la navata centrale. Le quattro lesene, tutte sullo stesso piano, sono anche della stessa dimensione. Palladio però non avrebbe trovato organica la soluzione, e quindi non la trovava “antica”. PERUZZI Si avvicina sempre più alla soluzione Baldassarre Peruzzi nella facciata della Cattedrale di Carpi, del 1515. La base di partenza è Bramante ma Peruzzi fa un salto oltre usando un ordine gigante per la navata centrale ed uno minore per le ali, che anticipa di fatto lo schema palladiano. Però anche lui non concluse il discorso in senso logico e come l’Alberti fuse il frontone del tempio con l’arco trionfale. Inoltre ciò comporta che le mezze lesene all’interno non corrispondono alle lesene corinzie dell’esterno. PALLADIO Egli voleva preservare, da perfetto classicista, il puro frontone del tempio davanti alla navata : infatti San Francesco della Vigna e San Giorgio sono prostili, mentre il Redentore è un tempio in antis. A questo sistema, più aggettante, si rapporta l’altro sistema delle navate laterali, in un’ordine minore, che penetra nell’ordine maggiore sia con la cornice che con la trabeazione, che dà un senso di continuità a tutta la facciata. Anche questo classicismo palladiano, in fondo, è molto manierista e lontano dalla regola classica. Ma mentre il manierismo di Michelangelo è sconvolgente, quello del Palladio è sobrio e accademico, e soprattutto non tocca i dettagli costruttivi, che rimangono intatti come nell’antichità : capitelli, fregi, ecc., e mantengono quindi tutto il loro significato originale. Quindi Palladio realizza una facciata con due frontoni, uno sovrapposto all’altro, e ciò è giustificato anche dal Pantheon, che ha il secondo frontone più arretrato. Però nonostante l’uso di un sistema simile nelle tre chiese del Palladio, esse differiscono notevolmente tra di loro. Baldassarre Peruzzi – Cattedrale di Carpi - 1515 Chiesa di San Francesco della Vigna (terminata nel 1562-1570) L’incarico al Palladio per il progetto di completamento della facciata della chiesa fu dato dal Doge Andrea Gritti e fu portato a termine nel 1534. I lavori però iniziarono appena nel 1560. Il primo progetto della facciata era stato ideato dal Sansovino ma quando Palladio subentrò, lo ignorò del tutto. Va detto che i committenti espressero con dovizia di particolari le loro esigenze stilistico - formali, in particolare nel richiedere al Palladio che la facciata fosse a forma di quadrato, in corrispondenza dell’interno dell’edificio; grazie ad essa chiunque sarebbe stato in grado di cogliere la forma dell’edificio e tutte le sue proporzioni”. La facciata presenta due pilastri, sei semicolnne piccole e quattro grandi ed è la prima espressione realizzata del pensiero rivoluzionario del Palladio sull’idea della chiesa contemporanea. VITRUVIO E LA MODULARITÀ Pur ammettendo che i frontoni intersecati sono una interpretazione manierista (del tardo ‘500) della classicità, adottando il motivo del tempio sia per la navata centrale che per quelle laterali, e svolgendo il tema con assoluta coerenza, Palladio ottenne la congruità fra tutte le parti, cioè la DISPOSITIO di Vitruvio. Inoltre gli edifici Palladiani obbediscono all’altro fondamentale principio vitruviano della SIMMETRYA, cioè di un rapporto matematico fisso delle parti fra loro e fra le parti e il tutto. Nella facciata di San Francesco della Vigna Palladio applica una unità di misura, il MODULUS, a tutte le dimensioni della facciata, il quale corrisponde al diametro delle piccole colonne, di due piedi. L’ordine maggiore è di due moduli, cioè 4 piedi. L’altezza delle colonne piccole è 10 moduli, quelle grandi di 20 moduli. Inoltre il rapporto tra il diametro e l’altezza di entrambe le colonne è di 1:10, e il rapporto tra l’ordine maggiore e quello minore è di 1:2. L’intercolunnio della campata centrale è di 10 moduli. Tutta la facciata, quindi, è fondata su semplici ma rigorosi rapporti fondati sullo stesso modulo. Inoltre tutta la facciata è larga 27 moduli. SAN GIORGIO E IL REDENTORE Le caratteristiche particolare della chiesa del Redentore, ma anche della precedente di San Giorgio Maggiore, sono : La pianta è fatta da tre pari nettamente distinte : la croce latina con la grandiosa cupola; il presbiterio rettangolare con colonne isolate negli angoli rientranti, il coro, separato dal presbiterio da un diaframma, fatto come un imponente colonnato. Queste tre parti sono differenziate anche in altezza, con i pavimenti a tre quote diverse. Le articolazioni delle strutture interne diventano più possenti man mano che ci si avvicina all’altare. Gli spazi sono identificati da una differenziazione cromatica : semicolonne in pietra grigia contrapposte ai candidi pilastri. Nel coro Palladio cambia il sistema architettonico : non continua l’ordine maggiore ma crea una sequenza di nicchiette e di edicole alternate (tipica articolazione di matrice classica). Le finestre della volta, a lunetta tripartita, le cappelle e il presbiterio danno luce a tutta la chiesa, salvo il coro. Questi caratteri sono lontanissimi, e innovativi, rispetto a qualunque altra chiesa del tempo. Inoltre Palladio in queste chiese tende a fondere la pianta basilicale con la pianta centralizzata a cupola. Ma mentre gli architetti rinascimentali tentano di risolvere il problema con artifici proporzionali e antropomorfici, Palladio segue la strada opposta e separa di fatto la navata longitudinale dall’area centrale con le tre absidi a semicerchio. REDENTORE Come nel S. Andrea a Mantova, Palladio nel Redentore ricrea la sala delle terme romane. Un altro particolare originalissimo e rivoluzionario è l’esedra di colonne libere, derivata dalle terme romane, e anticipata in San Giorgio. Queste colonne hanno una triplice funzione : creano uno sfondo potente, mantengono l’uniformità della parte centrale della chiesa, l’occhio prolunga il suo canale ottico nello spazio oltre alle colonne stesse Chiesa di San Giorgio Maggiore (terminata nel 1576) Chiesa del Redentore (1576-1577) Chiesa di San Giorgio Maggiore (terminata nel 1576) Chiesa del Redentore (1576-1577)