4. RESPONSABILITA’ SOCIALE E CREAZIONE DI VALORE PER L’AZIONISTA 4.1 La responsabilità sociale crea valore, ma per chi? 4.1.1 Il punto di partenza Ho scelto di partire da qui, da una domanda che sottintende che la responsabilità sociale, di per se, crea valore. Questo è assodato poiché ogni azione di qualunque soggetto, sia esso un’impresa o un individuo, crea valore. Il problema reale è individuare come le azioni di responsabilità sociale creino valore e, soprattutto, per chi. Ciò è rilevante poiché, essendo gli azionisti i portatori del capitale con il vincolo di pieno rischio dell’impresa, un’azione di responsabilità sociale compiuta da parte della stessa nei confronti di qualunque altro soggetto ha una sua ragion d’essere soltanto nel caso in cui crei valore, in un modo o nell’altro, per gli azionisti stessi. Il problema suddetto non è di semplice risoluzione poiché il valore creato da parte di azioni di responsabilità sociale nei confronti di soggetti terzi, i portatori d’interesse “legittimo” o stakeholders 1 , 1 L’utilizzo diffuso dei termini anglofoni shareholders e stakeholders fino a questo punto e nel prosieguo del lavoro è dovuto al fatto che gli studi in materia si sono inizialmente sviluppati negli USA: la successiva dottrina mondiale ha spesso utilizzato i termini anglosassoni per maggior chiarezza e confrontabilità delle innovazioni concettuali ulteriori. Così l’autore. 153 non si riflette, spesso, in modo diretto, in un maggior valore creato per gli shareholders che, quindi, da tale azione di responsabilità sociale, che in quanto tale ha un costo, o per lo meno un costo – opportunità, non ricevono altro segnale se non il sostenimento di un costo facilmente monetizzabile a fronte di un beneficio spesso solamente intuibile e percepibile, al più, per via diretta tramite indicatori, e per via indiretta con un miglioramento delle performance aziendali. In realtà, però, l’impresa non può fare a meno di prendere in considerazione le istanze degli stakeholders più rilevanti per l’influenza determinante che hanno nel consentire la sopravvivenza e lo sviluppo della stessa. Tali stakeholders, definiti da Freeman 2 “primari”, sono solitamente gli azionisti, i dipendenti, i clienti e, soprattutto nel modello capitalistico europeo continentale, (Italia, Francia e Germania) e giapponese, il sistema creditizio. Abbiamo così tratteggiato i confini del problema e stabilito che non può essere evitato o accantonato, ma deve essere affrontato poiché di elevata rilevanza strategica. Bisogna guardare all’impresa come ad un attore che deve rispondere ad una pluralità di soggetti, gli stakeholders, aventi spesso interessi in conflitto tra loro, mantenendo il necessario equilibrio tra gli stessi. L’impresa, dovendo necessariamente mediare tra le richieste dei vari stakeholders, deve agire mantenendo una legittimazione ad operare, sia nei confronti di quelli interni che nei confronti di quelli 2 Freeman: “Strategic management. A stakeholder approach”, Pitman, Boston, 1984. 154 esterni, onde evitare: nel rapporto con gli stakeholders interni, per esempio, una minor motivazione delle proprie risorse umane; in quello con i portatori d’interessi esterni, sempre come esempio, d’incorrere in un grave danno dell’immagine aziendale o, addirittura, in un aperto conflitto con gli stakeholders stessi che, in reazione alle scelte dell’impresa, potrebbero adottare azioni che ne compromettano la profittabilità e ne minino, dunque, le basi di sopravvivenza, o la condannino, in un ipotetico caso limite, addirittura a morte. 4.2 Effetti delle scelte di responsabilità sociale sulle performance economico competitive Le scelte di responsabilità sociale hanno diversi effetti sulle performance economico – competitive d’impresa sia in quanto perseguibili solamente tramite tutta una serie di costi certi, sia in quanto possibile fonte di vantaggio competitivo e correlata profittabilità. 4.2.1 Valore per stakeholder o shareholder: conflitto d’interesse o coincidenza degli stessi? Da quanto detto sopra, e da quanto emerge da diversi studi effettuati empiricamente sulle società che adottano un comportamento configurabile come di responsabilità sociale, sembra emergere una 155 crescente coincidenza d’interessi tra stakeholder e shareholder in merito alle azioni di responsabilità sociale. Ciò avviene poiché queste pare permettano, all’impresa che le adotta, di avere performance superiori alle sue concorrenti proprio per effetto dei positivi ritorni in termini d’immagine, forza contrattuale, facilità di accesso al credito, minor rischiosità, migliori rapporti coni propri fornitori e clienti, maggiore motivazione del personale, miglior rapporto con la pubblica amministrazione, maggiore attrattività verso i migliori elementi presenti sul mercato del lavoro, ecc. In realtà, come non è affatto scontato che un'elevata performance competitiva misurata, per esempio, in termini di quote di mercato, si traduca necessariamente ed automaticamente in un'elevata performance economica, lo stesso vale per il rapporto fra strategie sociali e performance aziendali, anche se, nella pratica, è stato spesso rilevato come le imprese maggiormente competitive e di successo siano anche quelle di adottano le strategie sociali più efficaci. Il problema sta nell’individuare il nesso di causalità tra profittabilità e RSI: è la RSI a costituire la fonte di vantaggio competitivo su cui si fonda una maggiore profittabilità, oppure le imprese aventi elevata profittabilità la utilizzano impropriamente per azioni di RSI a scapito dell’interesse dei propri azionisti? La risposta a tale interrogativo non è semplice poiché, anche se sembra che si tratti di un circolo virtuoso, è difficile dire da dove cominci, anche se il sospetto è che si tratti: o di una necessità che nasce allorquando l’impresa è un’impresa di successo ed, in conseguenza di ciò, anche gli stakeholder non azionisti vogliono un fetta 156 maggiore del valore creato; o di una capacità dei manager di sfruttare la responsabilità sociale per differenziare i propri prodotti; o, infine, di un azione esercitata per uno spirito meramente filantropico da parte dei manager nei confronti di soggetti, o tematiche, che stanno loro a cuore. Se ci si ritrovasse in quest’ultimo caso si avrebbero manager che tradiscono il rapporto di agenzia instaurato, per definizione, tra loro e la proprietà, con la conseguenza che le azioni da essi compiute sarebbero, in quanto meramente filantropiche, al di fuori di ogni giustificazione economica. Da questo punto in poi parleremo di “strategie” di responsabilità sociale dando per scontato che i managers non violino il rapporto di agenzia ed agiscano, quindi, in modo socialmente responsabile o per rispondere passivamente ad istanze pressanti ed impossibili da ignorare mosse da parte degli stakeholders o, meglio ancora, per anticipare tali richieste con comportamenti, orientati da una strategia sociale efficace ed efficiente, che permettano all’impresa di avere un miglior posizionamento sociale rispetto ai concorrenti. Nonostante le difficoltà ad evidenziare e misurare una relazione, diretta o indiretta, tra strategie sociali e performance aziendali, è comunque possibile individuare, in letteratura, due visioni di tale relazione: La prima visione, che individua un trade-off tra strategie di responsabilità sociale e performance economico competitiva, parte dal presupposto che le imprese, nell'intraprendere azioni socialmente responsabili, incorrono in costi che le 157 pongono in svantaggio competitivo rispetto ad altre imprese meno responsabili che tali costi non devono, invece, sostenere 3 . Questi extra - costi derivano, per esempio, da piani volti a promuovere lo sviluppo della comunità locale, dal mantenimento della produzione in aree economicamente depresse, da procedure volte alla salvaguardia ambientale, dall'osservanza di procedure, ulteriori rispetto alle norme di legge, per la sicurezza sul posto di lavoro, dalla scelta di applicare un trattamento comparabile nei diversi ambiti territoriali in cui l'impresa opera, ecc. Secondo tale visione, azioni di responsabilità sociale come quelle illustrate poc’anzi, sono da considerarsi come un semplice costo che non sarà mai ripagato da eventuali specifici vantaggi competitivi derivanti da tale comportamento socialmente responsabile. Una visione di questo tipo trae origine dalla considerazione che, mentre i costi sostenuti, sia in termini di azioni dirette di responsabilità salvaguardia sociale, come ambientale, che per di esempio azioni azioni di indirette di responsabilità sociale, e cioè, per esempio, la scelta di una strategia economicamente meno allettante sulla base di considerazioni di tipo sociale, sono certi sia nella loro entità, 3 Aupperle, Carroll, Hatfield: “An empirical examination of the relationship between corporate social responsibility and profitability”, Academy of Management Journal, vol. 28, n°2, 1985. Ullmann: “Data in search of a theory: a critical examination of the relationship among social performance, social disclosure and economic performance”, Academy of Management Review; n°10, 1985. 158 che nel tempo dell'esborso o del mancato guadagno, i proventi di un comportamento di responsabilità sociale sono in primo luogo incerti nel loro manifestarsi, ed in secondo luogo difficilmente misurabili sia con riguardo alla loro entità che con riguardo al tempo in cui potrebbero manifestarsi. Un esempio in questo senso può essere il problema della concorrenza da parte di imprese con stabilimenti in Paesi a bassa sensibilità socio - ambientale: a parità di prodotto immesso sul mercato, infatti, le imprese operanti in contesti meno regolamentati possono produrre, e quindi vendere, a parità di margine di profitto, a prezzi nettamente inferiori per diversi motivi: un minor costo del lavoro, derivante dallo sfruttamento di manodopera sottopagata cui sono negate le garanzie in termini di sicurezza sul posto di lavoro, di certezza nella durata del rapporto di lavoro, di numero di ore lavorative giornaliere e settimanali, ecc.; minori costi derivanti da carenze legislative in materia di esternalità negative sia con riferimento alla tutela ambientale che con riferimento a tutta una serie di costi derivanti da obblighi sociali imposti; minore incidenza dell'imposizione fiscale poiché, nei paesi in via di sviluppo o sottosviluppati, vi è un sistema di protezione sociale nettamente inferiore a quello dei paesi industrializzati e che richiede, quindi, decisamente meno fondi che in questi ultimi anche da parte del sistema delle imprese; minori costi derivanti dal non sostenimento d’investimenti sociali, su base volontaria, che sono spesso 159 necessari per competere, e per mantenere buoni rapporti con i propri stakeholder, nei paesi industrializzati; ecc. A questo punto la scelta resta ai clienti, cioè a coloro i quali, tramite le scelte di acquisto, possono far pendere l'ago della bilancia dalla parte di chi produce al minor costo possibile, e vende con un'operazione che potremmo definire di “dumping sociale”, oppure verso quei produttori che maggiormente si sono distinti nell'ambito di azioni di responsabilità sociale. Secondo tale visione, ovviamente, la responsabilità sociale degli attori economici, con particolare riguardo alle imprese operanti nella produzione e distribuzione di beni e servizi, ha senso soltanto nei limiti in cui è riconosciuta come un plus valore, che permette un maggior prezzo al consumo, da parte dei consumatori stessi. Secondo tale visione, quindi, il valore creato per gli stakeholders si riflette in un valore creato per gli shareholders solamente quando tale valore è rappresentato integralmente in un maggior valore riconosciuto ai beni da parte dei consumatori ed in un conseguente ritorno, in termini di differenziale di prezzo, dei costi sostenuti in campo di responsabilità sociale. Sempre all’interno di tale visione esiste un’altra possibile motivazione atta a spingere un’impresa ad azioni di RSI che parte da un presupposto opposto a quello della motivazione precedente: infatti l’impresa, in tale visione, deve agire soltanto laddove abbia un vantaggio diretto, immediato ed evidente oppure, ed è questa la seconda motivazione che 160 giustificherebbe un’azione di responsabilità sociale, allorquando una particolare categoria di stakeholders, molto rilevante se non decisiva per la sopravvivenza e la profittabilità dell’impresa, decida che un determinato comportamento sia non socialmente responsabile e faccia pressioni, con tutta la propria influenza, sull’impresa, affinché adotti comportamenti più responsabili. In questo secondo caso l’impresa sarebbe legittimata ad agire non per la concreta possibilità di differenziare socialmente il proprio prodotto/servizio traendone un premium price, ma per evitare le sanzioni che lo stakeholder potrebbe mettere in atto in caso la stessa continuasse ad ignorare le sue istanze. La seconda visione, cui si rifà, ovviamente, gran parte della dottrina che si occupa della tematica sociale, individua, invece, delle sinergie tra strategie sociali e risultati competitivi ed economici 4 sulla base della considerazione che si debba parlare non di costi sociali, ma d’investimenti sociali che contribuiscono, in quanto tali, a migliorare il posizionamento strategico dell'intera impresa rispetto ai suoi concorrenti differenziandola in termini sociali dagli stessi e garantendole, in questo modo, una migliore reputazione, una maggior visibilità ed un’immagine migliore. Tutto ciò fa sì che l'impresa si trovi in una situazione di vantaggio competitivo rispetto ai propri concorrenti con effetti positivi 4 Galeotti: “La valutazione strategica nell’ipotesi di cessione dell’azienda”, Giuffrè, Milano, 1995, pagg. 274 ss., identifica , nell’ambito delle sinergie, l’esistenza d’interrelazioni tangibili ed intangibili; Donna: “La valutazione economica delle strategie d’impresa”, Giuffrè, Milano, 1992, pagg. 275 ss. 161 sia diretti che indiretti sulle proprie performance: secondo tale approccio il soddisfacimento delle attese legittime degli stakeholders dovrebbe avere riflessi più che proporzionali, nel lungo periodo, nei confronti degli shareholders. Sempre secondo questa seconda impostazione, quindi, anche se i costi delle azioni socialmente responsabili sono subito evidenti e significativi, vengono comunque più che compensati da un aumento dei ricavi e da altri benefici non monetari che si protrarranno nel tempo. Questa seconda visione è talmente importante e ricca di spunti da necessitare, per la sua trattazione, di un capitolo a sé stante, quello riguardante i possibili vantaggi delle azioni di responsabilità sociale, che seguirà a breve. Ciò che preme qui sottolineare è il diverso punto di partenza e le differenze esistenti fra le due visioni prese in esame: tali differenze possono riassumersi in una visione della responsabilità sociale come un limite, nel primo caso, e come un'opportunità strategica, nel secondo. Possiamo perciò affermare che, comunque, in entrambe le impostazioni date al tema, la creazione di valore per gli stakeholders mediante azioni di responsabilità sociale implica una correlata creazione di valore, in termini di vantaggio competitivo strategico dell'impresa, piuttosto che di risposta alle attese di una stakeholder primario dell'impresa qual è il cliente (con conseguente premium price conseguito dall'impresa), per gli shareholders. La differenza più rilevante è nell’approccio dell’impresa al problema 162 che passa da essere adattivo nel primo caso ad essere proattivo nel secondo, e da quanto l’impresa punti ad utilizzare la tematica sociale per i suoi fini di sopravvivenza, crescita e redditività. 4.3 Possibili vantaggi delle politiche di responsabilità sociale Come abbiamo appena visto vi sono due diverse teorie sull'influenza di azioni di responsabilità sociale sull'attività dell'impresa. Ci occupiamo qui più in particolare della seconda visione, quella enunciata alla fine del capitolo precedente. Secondo tale visione, come già evidenziato in precedenza, la responsabilità sociale dovrebbe essere vista in un'ottica strategica, e quindi gestita non soltanto in risposta alle sollecitazioni provenienti dai consumatori o da altri stakeholders rilevanti, ma anche in collaborazione con le richieste presentate dai vari stakeholders dell’impresa, ed in teoria anticipando tali richieste secondo una logica proattiva: ciò al fine di ottenere un posizionamento strategico di tipo sociale migliore di quello dei propri concorrenti, cui segua un correlato vantaggio competitivo nei confronti degli stessi ed una maggiore creazione di valore. 163 4.3.1 Effetti delle strategie sociali sul mercato dei capitali Un aspetto delle sinergie esistenti tra strategie sociali e performance competitive ed economiche dell'impresa è legato al problema del reperimento del capitale di credito e del capitale con il vincolo del pieno rischio: a tal proposito è necessario considerare se, ed in quale misura, il comportamento del singolo investitore e del sistema creditizio siano influenzati, oltre che dalle aspettative reddituali, anche da considerazioni di tipo sociale. L'esistenza di un qualche legame di questo tipo è testimoniato dal recente sviluppo dei fondi etici ed in generale della finanza etica. Quando si parla di finanza etica non ci si riferisce soltanto alla destinazione di una parte del rendimento dell'attività finanziaria ad una finalità etica o filantropica, ma anche, e soprattutto, ad una diversificazione dell'obbiettivo dell'attività finanziaria che passa dalla massimizzazione del profitto alla massimizzazione dei benefici ottenibili sia in termini di profitto che in termini sociali ed ambientali 5 . Attraverso comportamenti socialmente responsabili le imprese possono ottenere, quindi, sia capitale di credito che capitale con il vincolo del pieno rischio da parte di soggetti cui altrimenti non potrebbero accedere, e cioè i vari soggetti della finanza etica. La finanza etica offre sostanzialmente tre tipi di prodotti 6 : 5 In questo senso Perrini, Calcaterra e Giorgieri: “Strumenti e servizi innovativi per la finanza etica:il rating” in Economia e Management, n°2, 2002, pag. 105. 6 Cecilia Chirieleison: “Le strategie sociali nel governo dell’azienda”, Giuffrè, Milano, 2002, pagg. 156 – 157. 164 1. I conti correnti etici, che possono essere aperti presso una banca etica, che s'impegna, per statuto, a finanziare, con i fondi raccolti, unicamente aziende e di iniziative socialmente responsabili, oppure presso una comune banca: in questo caso l'eticità del conto corrente si manifesta soltanto laddove il risparmiatore rinuncia ad una parte dei propri interessi devolvendoli ad organizzazioni generalmente non-profit. 2. I fondi comuni etici di beneficenza, in cui il gestore opera puntando al massimo rendimento, ma una parte degli interessi maturati viene destinata, sulla base di una scelta del cliente, ad associazioni non-profit. 3. I fondi comuni etici, in cui il gestore del fondo sceglie alcuni criteri sociali che le imprese in cui andrà ad investire dovranno soddisfare, in tal caso i proventi della gestione andranno direttamente al cliente. Le imprese che perseguono, quindi, delle azioni di responsabilità sociale, si trovano nella condizione di poter attingere a fonti di finanziamento, precluse ad altri soggetti non altrettanto attenti al rispetto di norme etiche, che dovrebbero permetter loro di migliorare l'incidenza degli oneri finanziari, nel caso di capitale di credito, e della remunerazione con riferimento al capitale di rischio. A parità di tutte le altre condizioni, perciò, nel caso all’interno del mercato dei capitali la finanza etica sia particolarmente sviluppata, soprattutto con riferimento ai fondi comuni etici, cioè quelli che investono soltanto in imprese che soddisfino determinati criteri etico – sociali, come è già stato affermato sopra, le imprese che 165 adottano comportamenti socialmente responsabili potranno operare con un costo medio del capitale inferiore che si tradurrà, ovviamente, in un vantaggio competitivo e, di conseguenza, in migliori performance economiche. A loro volta migliori performance economiche potranno tradursi in maggiori profitti rispetto ai concorrenti e quindi alla creazione di una maggior disponibilità, rispetto agli stessi, di liquidità e di risorse da investire in tutti i campi dell'agire aziendale senza dimenticare, ovviamente, d’investire nell'ulteriore sviluppo di iniziative di responsabilità sociale. Quanto affermato finora è molto interessante, ma limitato da diversi fattori: in primo luogo l'esistenza, sul mercato finanziario, di un adeguato numero di investitori etici rilevanti; in secondo luogo l'esistenza di intermediari finanziari che facciano da ponte tra investitori etici e di imprese socialmente responsabili. In realtà investitori etici e relativi intermediari finanziari esistono ed operano nelle principali sedi borsistiche del mondo: ciò anche perché le prime esperienze di finanza etica, risalenti agli anni ‘20, e rivolte a coloro che volevano seguire rigidamente una determinata confessione religiosa, si sono nel tempo estese alle principali chiese, ai loro enti morali ed a moltissimi altri soggetti. Alcuni dati sulla finanza etica sono necessari per comprendere l’estensione raggiunta dal fenomeno 7 : le imprese che possono dirsi “sostenibili” quotate nelle borse mondiali sono ad oggi oltre duecento in trentatré Paesi con un valore complessivo di oltre 4.300 7 Fonte: http://www.finanza-etica.it/ 166 miliardi di dollari; l’investimento etico interessa, anche se potenzialmente, secondo alcuni studi, circa il 40-50% degli investitori; si può ipotizzare che almeno il 10% dei fondi comuni inglesi e statunitensi abbia criteri etici per la scelta degli investimenti. Il loro successo è stato tale che dall’ 8 settembre 1999 la società Dow Jones, che rileva l’indice azionario di Wall Street, ha realizzato un sottoindice, il Dow Jones Sustainability Index World 8 (DJSI World) che monitora e raggruppa i risultati borsistici di aziende “sostenibili” a livello mondiale). Ad oggi il DJSI World 9 ha raggiunto un successo mondiale tale da evolversi in DJSI World, DJSI STOXX e DJSI EURO STOXX (dal 15 ottobre 2001), DJSI STOXX40 e DJSI EURO STOXX40 (sempre dal 15 ottobre 2001), DJSI North America e DJSI United States (dal 23 settembre 2005). 4.3.2 Effetti delle strategie sociali sulle capacità d'attrazione e gestione delle risorse umane Per valutare effetti sulle risorse umane delle strategie sociali intraprese, è necessario considerare, se ed in quale misura, tali strategie possano essere realmente determinanti, per l’impresa, al fine di attrarre, e trattenere al proprio interno, risorse umane di migliore qualità e più motivate rispetto a quelle dei concorrenti affinché apportino un maggior contributo alle performance d'impresa tramite una loro maggior produttività. 8 Fonte: http://www.sustainability-indexes.com/ 9 Frutto di una collaborazione tra Dow Jones Indexes, STOXX Ldt. e SAM Group. 167 Il presupposto è, ovviamente, che vi sia un forte legame tra qualità ed impegno delle risorse umane e performance economico competitive dell'impresa: tale ipotesi è anche alla base della Resource Based View Theory 10 , secondo cui le competenze delle risorse umane presenti nell’impresa sono fondamentali nella formulazione delle strategie competitive e, di conseguenza, nella generazione di un vantaggio competitivo sostenibile e difendibile 11 . Secondo tale prospettiva, infatti, l'impresa basa il proprio vantaggio competitivo, tra le altre cose, anche, ed in gran parte, sulle risorse umane. Non tutte le risorse, tuttavia, possono essere considerate fonte di un vantaggio competitivo sostenibile e durevole: per poter essere considerate strategiche, infatti, le risorse, e così anche le risorse umane, devono soddisfare determinate caratteristiche 12 che sono: contribuire alla creazione di valore per il cliente, essere scarse e difficilmente imitabili. Nel caso in cui, quindi, un soggetto che opera all'interno dell'impresa sia da considerarsi una risorsa della stessa per la sua capacità di generare vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti, questi acquista un'importanza strategica fondamentale. 10 Il termine Resource Based View è stato coniato ed utilizzato per la prima volta da Wernerfelt B.: “A resource - based view of the firm”, Strategic Management Journal, n°5, 1984. 11 Barney: “Firm resources and sustained competitive advantage”, Journal of Management, n°17, 1991. ; Grant: “The resource – based theory of the competitive advantage: implications for strategy formulation”, California Management Review, n°33, 1991. 12 Sulle caratteristiche che devono possedere le risorse affinché possano essere considerate strategiche troviamo un’innumerevole serie di autori poiché il tema è centrale per la Resource – Based View. Abbiamo infatti: Barney: “Firm resources and sustained competitive advantage”, Journal of Management, n°17, 1991; Grant: “Contemporary strategy analysis: concepts, techniques, applications”, Blackwell Publishers, Oxford, 1995; ed in particolare Collis e Montgomery: “Competing on resources: strategies in 1990’s”, Harvard Business Review, july – agoust, 1995, pagg. 35 ss. 168 Sulla base di quanto appena affermato possiamo ora dire, con un sufficiente grado di certezza, che l'impresa ha la necessità di attrarre e trattenere i dipendenti aventi la caratteristica di risorse umane. La gestione delle risorse umane è, lo abbiamo detto, un importante fattore critico di successo e bisogna, perciò, che l’impresa agisca nel suo rapporto con le risorse umane in modo da motivare al massimo i propri dipendenti ed attrarre le migliori professionalità presenti sul mercato del lavoro. Consideriamo ora separatamente l'impatto delle strategie sociali sulla gestione e motivazione delle risorse umane da una parte, e sulla capacità di attrarre le migliori professionalità presenti sul mercato dall'altra: Con riferimento all'impatto delle strategie sociali sulla gestione e motivazione delle risorse umane bisogna innanzitutto considerare quelle strategie sociali che si rivolgono direttamente ai dipendenti dell'impresa: tali azioni comportano un irrobustimento della legittimazione interna all'impresa e creano, quindi, un maggior senso d'appartenenza, una maggiore cooperazione ed un miglior clima aziendale che si riflette in un aumento della motivazione delle risorse umane presenti all'interno dell'impresa e, di riflesso, in una maggiore produttività delle stesse. Con riferimento all'importanza della motivazione delle risorse umane non si può non considerare che un maggior senso d'appartenenza ed una maggiore motivazione si 169 accompagnano ad un minore turn-over dei dipendenti che si riflette, di conseguenza, in una maggiore facilità di sviluppo e di permanenza all'interno dell'impresa delle risorse umane stesse: ciò è tanto più importante laddove è rilevante, con riferimento all'attività atipica dell'impresa e dal contesto competitivo in cui questa opera, la componente immateriale e motivazionale del lavoro. Altri importanti vantaggi derivanti da azioni di responsabilità sociale nei confronti dei propri dipendenti, e di conseguenza da un aumento della loro motivazione, possono essere ravvisarti anche nell’impatto della riduzione del tasso d'assenteismo della manodopera sul costo del prodotto finito e nella possibilità, derivante dall’instaurarsi di un clima di fiducia interno all'organizzazione e da un maggiore senso di appartenenza dei membri dell'organizzazione stessa, di ridurre notevolmente i costi di controllo. Inoltre, grazie al maggior senso di appartenenza, alla maggiore motivazione ed all’adesione agli scopi ed agli obiettivi dell'organizzazione, il dipendente dell'impresa tenderà a collaborare in modo più attivo, con la propria creatività, a miglioramenti incrementali nello svolgimento dell’impresa della propria attività all’interno stessa. Semplificando, le azioni di responsabilità sociale attuate dall’impresa nei confronti dei propri dipendenti, possono essere volte a radicare nel personale un modo di pensare rivolto all'innovazione ed al miglioramento continuo, al senso 170 d'appartenenza ed identificazione con l’impresa ed i suoi obbiettivi, alla socializzazione delle proprie conoscenze e competenze affinché diventino, da dominio del singolo, un patrimonio comune e condiviso all'interno dell'organizzazione. Gli interventi dell'impresa possono essere, come detto in precedenza, direttamente o indirettamente a favore di una maggior partecipazione e coinvolgimento dei dipendenti: possiamo quindi avere attività sociali direttamente a favore dei dipendenti stessi ed attività sociali di altro tipo, che hanno effetti sulla motivazione di propri dipendenti mediante l'aderenza di tali attività con il loro sistema valoriale. Possiamo perciò dividere gli interventi dell'impresa in due gruppi principali analizzabili separatamente: 1. Le attività di responsabilità sociale in favore dei dipendenti in senso stretto; 2. Le attività di responsabilità sociale in favore della società civile. Con riguardo alle prime possiamo evidenziare come tali azioni nascano solitamente da rivendicazioni esplicite o implicite dei dipendenti stessi e riguardino, normalmente, richieste legate alla sicurezza sul posto di lavoro, al comfort dell'ambiente di lavoro, alla possibilità di una maggiore partecipazione al processo decisionale dell'impresa, a benefici economici, ecc. 171 Le rivendicazioni, soprattutto quando sono esplicite, sono spesso accolte dalle imprese anche perché i dipendenti sono uno degli stakeholders più rilevanti. È evidente che le imprese capaci di anticipare le rivendicazioni esplicite utilizzando un atteggiamento proattivo vengano premiate in termini di maggior fedeltà, di maggior motivazione e di un aumento della produttività delle proprie risorse umane, oltre ad evitare i maggiori costi, in termini di pressioni esplicite da parte dei lavoratori e delle loro organizzazioni, che si manifestano allorquando le rivendicazioni divengono esplicite. Il miglioramento dei rapporti con le risorse umane avviene sia attraverso strumenti monetari, cioè sotto forma di un maggior salario, sia attraverso strumenti non monetari quali, per esempio, fringe benefit, stock options, inserimento delle risorse umane, nella persona dei dipendenti dell'impresa, all'interno del processo decisionale, formazione continua, ecc. Un miglior rapporto con le proprie risorse umane può essere raggiunto, abbiamo detto, attraverso un loro diretto coinvolgimento nei processi decisionali dell'impresa volto al fine di dotarli di un maggior senso di appartenenza e che conduce alla convergenza tra i valori dell'organizzazione ed i valori degli individui che ne fanno parte, con l'ovvio vantaggio che coloro i quali condividono valori ed obiettivi dell'impresa saranno maggiormente disposti a mettersi in 172 gioco ed a collaborare per il raggiungimento degli obiettivi stessi. Le attività di responsabilità sociale nei confronti della società civile hanno invece effetto sulla motivazione dei dipendenti per via indiretta: secondo la teoria dell'identità sociale 13 , la quale ipotizza che l'autostima di un individuo sia influenzata dall'immagine e dalla reputazione che ha egli stesso e che hanno le organizzazioni sociali cui prende parte, inclusa l'impresa per cui lavora, i dipendenti si sentiranno tanto più gratificati e motivati a lavorare per un'impresa, quanto più questa avrà un'elevata legittimazione sociale; legittimazione sociale che non può che pervenire a seguito di un'intensa attività, da parte dell'impresa, di responsabilità sociale nei confronti della società stessa, e cioè dell'ambiente in cui l'impresa ed i suoi dipendenti vivono ed operano. Inoltre, come già evidenziato in precedenza, tanto più un'impresa agisce in modo da essere portatrice di quel sistema di valori dell'ambiente in cui opera, quanto più i soggetti che in essa operano sentiranno una comunione valoriale con l'organizzazione cui appartengono14 : ciò permetterà una maggior soddisfazione personale per i dipendenti, una loro maggiore motivazione in ambiente lavorativo, un maggior senso d'appartenenza all'organizzazione e, conseguentemente, 13 Social Identity Theory sviluppata da Jones e Murrel: “Signalling positive corporate social performance. An event study of family-friendly firms”, in Business and Society, vol.40, n°1, 2001, pag.72. 14 Greening e Turban: “Corporate social performance as a competitive advantage in attracting quality workforce”, Business and Society, vol. 39, n°3, 2000, pag. 258. 173 un aumento della produttività sul lavoro dei dipendenti stessi. Evidenziando questo aspetto diventa ancor più giustificata l'affermazione, già posta in precedenza, in cui si sottolineava l'utilità di una partecipazione più diretta dei dipendenti, nel loro ruolo di risorse umane, al processo decisionale e di formazione strategica degli obiettivi d'impresa, soprattutto con riferimento alla formulazione della strategia sociale: ciò perché se, come abbiamo visto, c'è aderenza tra i valori perseguiti dall'organizzazione e quelli condivisi tra le sue risorse umane, queste si identificheranno maggiormente con l'impresa e saranno maggiormente motivate ad operare affinché essa raggiunga i propri obiettivi. Consideriamo ora l'impatto delle strategie di responsabilità sociale sulla capacità dell'impresa di attrarre professionalità qualificate ad essa esterne e presenti sul mercato del lavoro. Certamente si può ritenere che, imprese aventi un'elevata performance sociale ed operanti, quindi, nel rispetto dei valori socialmente condivisi tramite azioni di responsabilità sociale, siano maggiormente attrattive per soggetti esterni ad esse. Anche con riferimento al rapporto ed alle capacità d'attrazione che l'impresa esercita, attraverso le sue azioni di responsabilità sociale, nei confronti di soggetti esterni ad essa, presenti sul mercato del lavoro, ed aventi elevate professionalità, è possibile individuare due tipologie di 174 interventi, in tema di responsabilità sociale, che influenzano le scelte dei soggetti di cui sopra: 1. azioni di responsabilità sociale in favore dei dipendenti 2. azioni di responsabilità sociale nei confronti della società civile Le prime influenzano i soggetti presenti sul mercato del lavoro tramite i “segnali” che inviano loro: è evidente che la percezione di un elevato senso di responsabilità sociale da parte dell'impresa nei confronti dei suoi dipendenti sia un forte stimolo, per un soggetto in cerca d'occupazione, ad entrare in contatto con l'impresa stessa 15 . Le seconde influenzano l'attrattività di un'impresa nei confronti dei suoi potenziali dipendenti tramite la prospettiva, per gli stessi, di operare per un soggetto avente elevata legittimazione sociale ed elevata reputazione, potendosene questi avvantaggiare a livello di autostima con le modalità descritte in precedenza. In realtà, per avere, nell'immaginario dei soggetti presenti sul mercato del lavoro, un vantaggio differenziale rispetto ai propri concorrenti, è necessario che le strategie sociali dell'impresa siano note ai potenziali dipendenti e siano tali da determinare uno spostamento, nelle preferenze degli stessi, favorevole all'impresa in questione sulla base dell'aderenza tra i valori del singolo e quelli dichiarati e perseguiti dall'impresa stessa. 15 A questo proposito si veda anche: Greening, Turban: “Corporate social performance as a competitive advantage in attracting a quality workforce”, in Business and Society, vol.39, n°3, 2000, pagg.254 – 271. 175 Ovviamente, nel caso l'impresa si trovi ad operare in un contesto in cui vi è un'elevata disoccupazione, la sua caratteristica d’impresa socialmente responsabile nei confronti dell'ambiente che la circonda passerà in secondo piano rispetto all'esigenza dei potenziali dipendenti di accedere ad un'attività lavorativa ed al reddito conseguente. Un ulteriore aspetto rilevante della responsabilità sociale nei confronti dei lavoratori in quanto risorse dell’impresa è la gestione della diversità e la formazione degli stessi. In tal senso vanno le politiche di gestione della diversità che guardano alla stessa come un’opportunità per individuare soluzioni nuove, e migliori metodologie di sviluppo della socialità e della cooperazione, nella diversità stessa. Per poter parlare di responsabilità sociale nel gestire la diversità bisogna, innanzitutto, definire cosa s’intenda per diversità. In realtà la diversità può assumere diversi gradi in relazione al sistema – Paese ed alla gestione d’impresa: ciò perché una diversa sensibilità ad uno dei due livelli comporta un mutamento in ciò che è considerato “diverso”. A livello di sistema – Paese ciò che maggiormente influisce sulla definizione di diversità è la sensibilità riguardo a tre temi in particolare: razza/cultura/etnia, genere ed abilità fisica. A livello, invece, di singola impresa, rilevano maggiormente le sensibilità legate alla composizione del nucleo familiare, allo stato civile, all’età, all’orientamento sessuale, ad abitudini e stile di vita, allo stato di salute. 176 Il risultato di un differente approccio alla diversità rispetto al tradizionale rifiuto, o quanto meno ghettizzazione, del diverso, e di una conseguente maggior responsabilità delle proprie azioni, da parte dell’impresa, nella gestione della stessa, è fonte dell’acquisizione di un vantaggio competitivo derivante dalle nuove opportunità e finestre di sviluppo aperte dall’interazione tra soggetti che affrontano i problemi da differenti punti di vista e con diverse caratteristiche personali intrinseche: in un contesto di questo tipo, in cui la diversità è vista e gestita come una risorsa dell’impresa, l’approccio con lavoratori disabili, extracomunitari, ecc. si trasforma da un obbligo legislativo, o necessità in termini di riduzione dei costi e scarsità di manodopera, ad un opportunità di sviluppo competitivo. Un esempio eclatante può essere, in proposito, l’inserimento, nel team di ricerca creativa di un’importante impresa di cosmetica, di una giovane donna di colore che, proprio per questa sua caratteristica, ha per prima intuito un’esigenza inespressa di makeup per donne di colore che non trovava riscontro, a livello mondiale, nell’ambito, in particolare, di un fondotinta specifico. L’intuizione ha rappresentato l’input per la creazione di una apposita linea di prodotti con un enorme ritorno in termini di creazione di valore e redditività. 177 4.3.3 Effetti sulle scelte d'acquisto dei clienti Un altro importante aspetto da considerare, nel valutare le sinergie esistenti fra azioni di responsabilità sociale, connesse a predefinite strategie sociali, e performance economico - competitive, è quello dei possibili vantaggi, derivanti all'impresa, sui suoi mercati di sbocco, a seguito di comportamenti socialmente responsabili. Tale aspetto è decisamente il più rilevante poiché, per quanto le azioni di responsabilità sociale possano avere riflessi più o meno diretti sui dipendenti dell'impresa e sul mercato dei capitali, hanno certamente riflessi diretti e rilevanti, per la stessa, con riguardo alle scelte d’acquisto dei propri clienti. In realtà bisogna valutare bene se, ed entro quali limiti, il comportamento del cliente sia influenzato da considerazioni di tipo sociale. Le strategie sociali, infatti, determinano un vantaggio competitivo per l'impresa soltanto quando i clienti le considerano un fattore rilevante su cui basare le proprie scelte d’acquisto e consumo. Nell'individuare la connessione tra scelte di responsabilità sociale e decisioni d’acquisto da parte dei propri clienti, bisogna innanzitutto analizzare il problema separando la situazione in cui il cliente dell'impresa altro non è che un'altra impresa, da quella in cui il cliente dell'impresa è il classico consumatore. Con riferimento al primo caso, cioè al B2B16 , possiamo ritenere che, scelte di responsabilità sociale nei diversi ambiti, possano 16 Business to Business (il cliente dell’impresa è un'altra impresa). 178 comportare una maggior fidealizzazione ed attrattività nei confronti dei clienti, in questo caso imprese, da parte dell'impresa socialmente responsabile in due circostanze: La prima circostanza è che esista, sul mercato di sbocco, un'elevata sensibilità dei consumatori per il perseguimento di iniziative di responsabilità sociale lungo tutta la filiera produttiva: in questo caso chi opera sul mercato di sbocco del prodotto sarà costretto ad approvvigionarsi da fornitori che adottino comportamenti socialmente responsabili coerenti con quanto espressamente atteso da parte dei consumatori finali. È evidente che una scarsa sensibilità alle tematiche socio - ambientali da parte dei consumatori finali si rifletterà in scelte d'acquisto di materie prime e semilavorati, da parte di produttori finali ed assemblatori, differenti da quelle suddette e strettamente connesse, a meno che il management non sia socialmente o eticamente orientato, alla scelta delle alternative economicamente più vantaggiose, senza minimamente considerare l'aspetto socio - ambientale delle stesse. La seconda circostanza si presenta allorquando l'impresa cliente abbia fatto della propria immagine d'impresa socialmente responsabile uno specifico punto di forza competitivo nei confronti dei propri concorrenti: è questo il caso delle grandi imprese, sempre più spesso viste come responsabili, dai propri consumatori e dall'opinione pubblica, non soltanto per le proprie azioni, ma anche per quelle dei 179 propri fornitori (è il caso delle imprese che vogliono conseguire particolari certificazioni di qualità) 17 . Ciò determina, come nel caso precedente, l'instaurarsi di un effetto a cascata lungo l'intera catena di fornitura con l'effetto di vincolare i fornitori attuali e potenziali al rispetto di standard di responsabilità sociale adeguati 18 . A questo proposito possiamo ricordare che le imprese che abbiano ottenuto, o vogliano ottenere, la certificazione sociale SA8000 19 devono far rispettare determinati livelli di responsabilità sociale anche ai loro fornitori. In Italia, per trovare un esempio d’impresa che opera in questo modo, possiamo evidenziare il caso di Coop Italia, i cui fornitori sono tenuti a rispettare standard di responsabilità sociale piuttosto elevati. Con riferimento al secondo caso, quello del B2C 20 , in cui la controparte del rapporto è il consumatore finale del bene, il nesso fra azioni di responsabilità sociale dell'impresa ed attrattività dei suoi prodotti per i consumatori è legato al fatto che un'immagine aziendale di lealtà, affidabilità e di coerenza con i valori cui i consumatori stessi tendono, rispettano e perseguono, si riflette, direttamente o indirettamente, nel comportamento d'acquisto degli 17 Vedi anche certificazione SA8000 descritta nel Paragrafo 3.7.1. 18 Da indagini svolte a livello europeo emerge, per esempio, una stretta correlazione tra impegno socio-ambientale delle PMI e relazioni di subfornitura delle stesse nei confronti di imprese di grandi dimensioni socialmente responsabili. 19 Standard internazionale di certificazione vedi nota 11. 20 Business to Consumer (il cliente dell’impresa è anche il destinatario che utilizzerà il bene/servizio). 180 stessi. Ciò avviene perché aumenta la fedeltà dei clienti e la fiducia che ripongono nell’attività dell’impresa e di riflesso nei suoi prodotti. 21 A fini manageriali è inutile sapere semplicemente che i consumatori sono sensibili a tematiche di responsabilità sociale, poiché ciò che conta è poter prendere decisioni che abbiano un impatto decisivo sulle scelte d'acquisto e di consumo. Le strategie sociali che possono essere implementate sono in grado di generare un impatto sulle scelte dei consumatori in due modi: 1. creando un vantaggio sociale diretto ed immediato per il consumatore tramite attributi socialmente responsabili del prodotto e/o del processo produttivo; 2. creando un vantaggio sociale indiretto per il consumatore influendo sul suo sistema valoriale. Analizziamo quindi compiutamente le due modalità d’influenza sopra indicate: 1. Nel primo caso gli effetti delle attività sociali promosse dall'impresa sono incorporati nel prodotto/processo stesso: in questo caso vengono impiegate risorse aziendali per creare un prodotto socialmente responsabile nei suoi attributi materiali o immateriali 22 o per implementare un processo socialmente responsabile che sia coerente con le aspettative dello specifico target di consumatori cui 21 In proposito si può evidenziare una ricerca empirica condotta da Brown e Dacin: “The company and the product: corporate associations and consumer product responses”, Journal of Marketing, n°61, 1997. 22 Per esempio prodotti di agricoltura biologica. 181 l'impresa si rivolge. È quindi possibile generare un vantaggio competitivo di differenziazione dei propri prodotti attraverso innovazioni di processo, di prodotto, o di entrambi 23 . Come detto la differenziazione può avvenire anche solo sulla base del prodotto o del processo: può accadere, quindi, che vi siano prodotti aventi caratteristiche sociali, ma derivanti da processi non socialmente compatibili, come può accadere che ad un processo socialmente compatibile seguano prodotti non aventi tale caratteristica 24 . Una strategia di differenziazione, basata su scelte socialmente responsabili in termini di prodotto o processo, può avere successo soltanto al verificarsi di una serie di circostanze: 1) La possibilità e l'utilità di differenziare il prodotto con attributi socialmente responsabili: ciò genera valore per il consumatore soltanto qualora questi sia sensibile a tali tematiche ed è quindi una strada perseguibile laddove le scelte e le azioni intraprese dall'impresa portino ad un maggior valore attribuito ai prodotti che permetta all'impresa stessa di collocarli sul mercato con un differenziale di 23 Mc Williams, Siegel: “Corporate social responsibility: a theory of the firm perspective”, Academy of Management Review, vol.26, n°1, 2001, pag.119. 24 Un esempio può essere la carta riciclata: pur essendo un bene avente caratteristiche sociali, la sua produzione comporta, spesso, livelli d’inquinamento piuttosto elevati. 182 prezzo positivo rispetto ai prodotti concorrenti. Solitamente le strategie di differenziazione sono utilizzate, nel ciclo di vita del prodotto, nella fase centrale e finale della vita dello stesso: lo stesso vale per la differenziazione sociale. 2) La necessità, per l'impresa, di analizzare i bisogni ed i comportamenti dei propri clienti per scegliere quali siano gli attributi cui i consumatori danno maggior importanza e quindi sui quali puntare. Ci sono diversi fattori che determinano il comportamento del consumatore e la sua propensione all'acquisto di beni socialmente responsabili: l'influenza di fenomeni di massa aventi impatto sulle scelte di consumo come, per esempio, le reazioni al caso della mucca pazza, dell'influenza aviaria, dei polli alla diossina, ecc. l'influenza dei Mass media sui gusti e le preferenze dei consumatori: la pubblica condanna di socialmente un comportamento responsabile, quale non per esempio uno scempio ambientale o il maltrattamento di particolari soggetti addetti ad una particolare lavorazione, che 183 crei un movimento all'interno dell'opinione pubblica, può portare un numero considerevole di consumatori a prediligere prodotti rispettosi dell'ambiente e dei lavoratori: è il caso, per esempio, dello sfruttamento del lavoro minorile ad opera della Nike o del trattamento disumano dei lavoratori della DelMonte nel terzo mondo; il reddito disponibile per i consumatori poiché, generalmente, è proprio quando i consumatori hanno un elevato reddito che sono maggiormente disponibili a pagare un sovrapprezzo a fronte di particolari attributi di tipo sociale del prodotto 25 : ovviamente un soggetto che abbia un basso reddito avrà come priorità la sopravvivenza e si curerà certamente meno degli attributi sociali di un prodotto; il prezzo dei beni sostitutivi influenza le scelte di consumo perché non tutti i consumatori attribuiscono lo stesso valore agli stessi attributi sociali del prodotto: il sovrapprezzo che i consumatori possono voler riconoscere ad un certo prodotto, avente un particolare attributo sociale, può 25 Mc Williams, Siegel: “Corporate social responsibility: a theory of the firm perspective”, Academy of Management Review, vol.26, n°1, 2001, pag.121. 184 essere elevato, ridotto, o inesistente, sulla base delle preferenze del singolo. È quindi possibile che vi sia un elevato numero di soggetti che non prodotto/servizio riconoscano alcun al sovrapprezzo poiché gli attributi sociali dello stesso non sono, da tali soggetti, ritenuti tali da motivare un maggior esborso monetario: la scelta degli attributi sociali da dare al prodotto/servizio è il punto centrale di tutta la discussione poiché gli attributi sociali del bene offerto devono essere riconosciuti come validi, e degni di un premium price, dai clienti poiché altrimenti non ha senso, economicamente parlando, la loro stessa esistenza. La possibilità di reperire il prodotto dell'impresa, socialmente caratterizzato, laddove il consumatore si reca solitamente per effettuare i suoi acquisti: molto spesso, infatti, il consumatore tende a non farsi carico anche dei costi d'acquisizione delle informazioni relative alla ricerca di un punto vendita che fornisca un particolare prodotto: è il classico problema dell’agricoltura biologica o dei prodotti del 185 commercio equo e solidale che hanno difficoltà a trovare spazio nei supermercati ed, anche per tale motivo, hanno una rilevanza marginale tra le scelte d’acquisto e di consumo. 3) Il management deve prestare particolare attenzione, nella selezione degli attributi sociali su cui basare la strategia di differenziazione sociale del prodotto, a due elementi: in primo luogo bisogna concentrarsi sulla scelta di un tipo di differenziazione sociale difficilmente imitabile al fine di rendere inattaccabile il proprio vantaggio competitivo di tipo sociale; in secondo luogo si deve tentare di basare la differenziazione non soltanto sull'immagine del prodotto, ma anche e soprattutto sulle caratteristiche proprie dello stesso. Ciò perché i consumatori sono sempre più attenti ad una reale azione di responsabilità sociale e sempre più consci del carattere meramente d'immagine conseguenti a diversi tipi di strategia sociale 26 : le imprese in questione, per differenziare il proprio prodotto, dovranno quindi dimostrare al pubblico dei consumatori il loro reale impegno sociale 26 Roy e Vézina: “Environmental performance as a basis for competitive strategy: opportunities and threats”, Corporate Environmental Strategy, vol. 8, n° 4, 2001. 186 senza cercare, tramite messaggi meramente promozionali, di comunicare un impegno superiore a quello realmente profuso nella responsabilità sociale 27 il rischio è una perdita di credibilità ed immagine non soltanto con riferimento alle tematiche sociali, ma in assoluto. 4) L'impresa che opera in modo socialmente responsabile deve, inoltre, ovviamente, far percepire al consumatore gli attributi sociali dei propri prodotti. Ciò è più facile a dirsi che a farsi poiché, in realtà, soltanto delle certificazioni prodotte da enti largamente conosciuti e rispettati o disposizioni legislative mirate possono garantire una corretta comunicazione degli attributi sociali del prodotto, o del processo produttivo, ai consumatori attuali e potenziali 28 . Sempre con riguardo alla necessità comunicare al consumatore la differenziazione basata sulla responsabilità sociale possiamo evidenziare diverse necessità per beni diversi: possiamo, 27 Il rischio di essere smascherati ed additati dall’opinione pubblica come venditori di fumo con evidenti effetti sulla propria credibilità è decisamente superiore ai costi da sostenere per perseguire realmente gli obbiettivi sociali dichiarati. 28 In proposito McWilliams, Siegel: “Corporate social responsability: a theory of the firm perspective”, Academy of Management Review, vol.26, n°1, 2001, pagg.120 ss. 187 infatti, come noto, dividere i beni in “search goods” ed “experience goods”: se il prodotto rientra fra i “search goods” impresa può limitarsi ad informare i consumatori dell'esistenza del prodotto, del suo prezzo e delle caratteristiche socialmente responsabili che possiede, poiché i consumatori stessi saranno in grado di valutare tali caratteristiche autonomamente; se il prodotto, invece, rientra fra gli “experience goods” sarà necessario fornire più informazioni rispetto al caso precedente e, quando possibile, utilizzare certificazioni e campagne promozionali ad hoc per creare una forte reputazione del proprio marchio in ambito di responsabilità sociale. 29 5) il costo delle azioni di responsabilità sociale deve essere quantomeno ripagato dal premium price ottenibile dalla vendita dei prodotti o trovare la sua ragione economica in un risparmio di costi d’altro tipo. In realtà, infatti, anche se, talvolta, intraprendere azioni socialmente responsabili non comporta costi aggiuntivi rispetto quelli comunque sostenuti per la produzione, ed in alcuni casi il costo 29 In proposito McWilliams, Siegel: “Corporate social responsability: a theory of the firm perspective”, Academy of Management Review, vol.26, n°1, 2001, pag.120. 188 della produzione normalmente le responsabili hanno addirittura diminuisce 30 , imprese socialmente costi di produzione maggiori rispetto ad imprese comparabili non socialmente differenziate. In realtà, i possibili maggiori costi sostenuti dalle imprese che producono incorporando attributi sociali nel prodotto/processo, sono attenuati, nella loro incidenza, da almeno due fattori 31 : Le economie di scala: poiché trattandosi solitamente di costi fissi, come può essere l'installazione di un impianto per diminuire l'impatto ambientale di un'attività produttiva o l'acquisto di nuovi macchinari aventi minor impatto ambientale contemporaneamente e maggiore produttività, la loro incidenza sul costo unitario di prodotto tende a diminuire all'aumentare della scala produttiva dell'impresa. Grazie a questo fenomeno le grandi imprese che producono beni di largo 30 E’il caso di UBS che, perseguendo una strategia di RSI in ambito ambientale ha ottenuto, sostenendo costi di formazione e gestione dell’azione, un ritorno in termini di minori costi per climatizzazione e carta tale da superare di gran lunga l’investimento effettuato senza nemmeno dover considerare il ritorno in termini d’immagine. 31 McWilliams, Siegel: “Corporate social responsability: a theory of the firm perspective”, Academy of Management Review, vol.26, n°1, 2001, pagg. 122 – 124. 189 consumo in grandi quantità avranno una struttura dei costi, nel perseguire strategie sociali, decisamente migliore di quella d’imprese dello stesso tipo, ma medio piccole 32 . Le economie di scopo: un'impresa multi prodotto potrà sfruttare la notorietà di un marchio contrassegnato da una percezione di elevata responsabilità sociale a livello corporate nello sviluppo e promozione dei marchi di tutti i suoi prodotti; i costi pubblicitari per sostenere la notorietà ed il legame fra il marchio dell'impresa, e la sua attenzione all'aspetto sociale a livello di processo e/o di prodotto, potranno quindi essere divisi fra tutti i prodotti dell'impresa stessa con un evidente riduzione del loro peso sul costo unitario di produzione e commercializzazione di ogni singolo prodotto. 2. Nel secondo caso gli effetti degli investimenti sociali, che non vengono incorporati nei prodotti dell’impresa, e che quindi non generano direttamente un maggior valore del prodotto, si ritrovano nel maggior valore generato dall’impatto delle azioni di responsabilità sociale sul sistema 32 Questo è uno dei motive per cui la formalizzazione di particolari azioni di responsabilità sociale è più diffusa tra le grandi imprese produttrici di beni di largo consumo. 190 valoriale di riferimento dei consumatori. Alcuni esempi d’investimenti sociali aventi influenza indiretta sui consumatori sono: sponsorizzazioni culturali o sportive, finanziamenti ad associazioni ed organizzazioni no profit, tutela dei diritti umani e rifiuto dello sfruttamento del lavoro minorile, rispetto dei diritti dei lavoratori e, più in generale, di limiti ulteriori rispetto a quelli imposti per legge. Lo strumento utilizzato per valorizzare, agli occhi dei consumatori, un atteggiamento socialmente responsabile dell’impresa è il CRM 33 , cioè il marketing delle iniziative sociali. Tale strumento è impiegato per migliorare il posizionamento competitivo dell’impresa tramite la valorizzazione della sua partecipazione a progetti e partnership con soggetti ed enti no - profit ritenuti particolarmente degni di fiducia, stima ed approvazione da parte dei consumatori 34 . Costruire un’identità sociale dell’impresa e dei suoi prodotti per questa via è più complicato, rispetto all’utilizzo di uno strumento diretto, dal momento che gli attributi del prodotto commercializzato non sono socialmente responsabili, ma, ovviamente, è anche meno impegnativo a li vello produttivo e, spesso, soprattutto nel caso dei servizi, è l’unico 33 Cause Related Marketing (può essere definito come: “ a commercial activity by which may business and charities or causes from a partnership with each other to market an image, product or service for mutual benefit”) 34 A proposito del Cause Related Marketing si può evidenziare il contributo, tra gli altri, di Manfredi: “Il marketing delle iniziative sociali”, in Economia & Management, n°5, 2000. 191 utilizzabile: l’influenza sul consumatore finale è legata all’accostamento della scelta d’acquisto e consumo del particolare bene con l’intenzione di far beneficiare, attraverso il successo del prodotto dell’impresa profit, le associazioni ed organizzazioni no profit ad essa legate. E’il caso, per esempio, delle carte di credito legate ad organizzazioni ed associazioni no profit, della destinazione di una percentuale dei ricavi di un prodotto a determinati fini, ecc. Ovviamente l’interesse dell’impresa, e di conseguenza dei suoi azionisti, è di registrare un incremento nelle vendite del prodotto tale da giustificare l’intera campagna, o quantomeno di ottenere un ritorno adeguato in termini d’immagine, visibilità, affidabilità, legittimazione e reputazione. Vi sono, però, alcuni ostacoli ad una corretta pianificazione e gestione del CRM rappresentati dal fatto che l’immagine di cui un’impresa gode è frutto di un giudizio personale e sintetico sulla stessa e sui suoi prodotti effettuato da ogni singolo soggetto; se a ciò si aggiunge che l’influenza su tale giudizio di diverse componenti, emotive e non, è difficilmente quantificabile, si possono facilmente cogliere gli ostacoli di una strategia comunicativa di CRM. Affinché una strategia sociale di questo tipo generi vantaggio competitivo con conseguenti effetti economici è necessario che si verifichino determinate condizioni: 192 1. Esistano dei consumatori socialmente responsabili 35 che tengano conto delle esternalità derivanti dai propri acquisti e cerchino di massimizzarne gli effetti positivi e minimizzarne gli effetti negativi utilizzando il proprio potere d’acquisto per promuovere scelte socialmente responsabili da parte delle imprese. In questo proposito un’indagine di Mohr, Webb, ed Harris del 2001 36 evidenzia come un 73% del campione degli intervistati abbia un atteggiamento quanto meno positivo nei confronti delle imprese socialmente responsabili. L’indagine si è spinta oltre: analizzando la correlazione esistente tra tale atteggiamento e le scelte d’acquisto e consumo si sono individuati quattro tipi di consumatori ed il loro rispettivo “peso” evidenziando come il 39% sia attento alla CSR ed un ulteriore 25% la consideri, anche se sporadicamente, un parametro di valutazione finalizzato all’acquisto. 2. Una volta stabilito che esiste un segmento di consumatori socialmente responsabili, si tratta di stabilire se questo sia 35 “A consumer who takes into account the public consequences of his or her private consumption or who attempts to use his or her purchasing power to bring about social change” da Mohr, Webb, Harris: “Do consumers expect companies to be socially responsible? The impact of corporate social responsibility on buying behaviour”, The Journal of Consumers Affairs, vol. 35, n°1, 2001. 36 Mohr, Webb, Harris: “Do consumers expect companies to be socially responsible? The impact of corporate social responsibility on buying behaviour”, The Journal of Consumers Affairs, vol. 35, n°1, 2001. 193 effettivamente il segmento di riferimento, attuale o in prospettiva, dell'impresa. 3. E’inoltre necessario ricercare, per quanto possibile, la coerenza tra investimenti sociali dell'impresa e sensibilità, interessi e preferenze dei consumatori appartenenti al target di mercato dell'impresa stessa. In questo senso le imprese che si rivolgono ad un target sensibile verso le tematiche ecologiche potranno sostenere associazioni no profit di stampo ambientalista come per esempio il WWF; le imprese che vantano come consumatori famiglie con figli saranno indirizzate a sostenere iniziative a favore dell'infanzia 37 ; le imprese aventi un target indifferenziato possono, invece, puntare allo sviluppo ed all'appoggio a tematiche sociali trasversali come, per esempio, la ricerca sul cancro. 4. L'impresa che voglia adottare una strategia di questo tipo deve, inoltre, investire molto in comunicazione per far pervenire al consumatore un messaggio forte che sia in grado di condizionarlo, a parità di altre condizioni, a preferire i prodotti dell'impresa, in quanto soggetto socialmente responsabile, rispetto a quelli dei concorrenti. Ovviamente la comunicazione in questione deve essere mirata al proprio target di consumatori sia quanto a contenuti che come canali comunicativi: produrre un bilancio sociale, per esempio, può essere proficuo laddove 37 E’ il caso, ad esempio, della McDonald’s. 194 affiancato ad altri strumenti di comunicazione idonei al target di consumatori cui vuole rivolgersi l'impresa. L'importanza della comunicazione non deve essere sottovalutata, infatti, il basso livello di consapevolezza e la difficoltà di ottenere informazioni sulla responsabilità sociale delle imprese, sono due delle principali cause di un comportamento scarsamente responsabile del consumatore. Difatti, solitamente, il consumatore sceglie imprese non socialmente responsabili laddove o valuta egoisticamente utile la scelta di prodotti aventi un minor prezzo d’acquisto, per esempio nel caso in cui abbia un basso livello di reddito o sia insensibile alle tematiche sociali o, pur essendo disposto ad orientare socialmente propri acquisti, abbia un livello di consapevolezza ed informazione sulle azioni di responsabilità sociale delle imprese troppo scarso. 5. La strategia sociale dell'impresa deve essere credibile poiché, laddove il consumatore percepisca un intento meramente promozionale dietro alle scelte di responsabilità sociale dell’impresa, l'effetto sulle scelte d'acquisto non si farà sentire o sarà minore di quanto atteso. L'importanza della credibilità per ottenere la fidelizzazione della clientela è stata evidenziata anche da diversi studi empirici che hanno dimostrato come azioni di responsabilità sociale che vadano oltre l'intento promozionale ed implichino, quindi, contenuti più 195 concreti che spazino dalla maggior tutela della salute dei dipendenti alla protezione dell'ambiente, impegnando l'impresa in maniera più profonda e prolungata nel tempo, portino a risultati, in termini di fidelizzazione ed incremento del numero di clienti, decisamente migliori rispetto ad azioni percepite come estemporanee e meramente promozionali che sono spesso addirittura inutili se non dannose. 6. A parità di livello di responsabilità sociale l'efficacia della strategia sarà diversa a seconda del contesto in cui l'impresa opera: più in particolare dipenderà dal livello di socialità atteso dai consumatori. Infatti, a seconda del contesto in cui l'impresa opera, e soprattutto di quello in cui avvengono le scelte d’acquisto e di consumo, le attese sui comportamenti dell'impresa potranno essere più o meno intense. Ci si potrà trovare, quindi, in contesti in cui le aspettative siano molto basse e nei quali, perciò, le azioni di responsabilità sociale possono non avere nessun valore o essere addirittura percepite come dannose; oppure in contesti in cui all'impresa sia richiesto di essere attivamente coinvolta nel processo di sviluppo sociale della comunità anche a scapito di parte dei suoi profitti di breve termine. Nella già citata indagine di Mohr, Webb ed Harris 38 si evince come il 63% del campione abbia aspettative medio alte e solo un 37% desideri un livello di 38 Mohr, Webb, Harris: “Do consumers expect companies to be socially responsible? The impact of corporate social responsibility on buying behaviour”, The Journal of Consumers Affairs, vol. 35, n°1, 2001. 196 responsabilità sociale medio basso. Un livello medio alto delle aspettative di responsabilità sociale, però, presenta anche notevoli rischi: infatti, mentre un comportamento non socialmente responsabile sarà disincentivante delle scelte d'acquisto, il comportamento socialmente responsabile atteso non sarà fonte di un vantaggio differenziale 39 poiché dato “per scontato” dai consumatori. 4.4 Le Conclusioni Fino a questo momento si è cercato di fornire una visione, per quanto possibile imparziale ed obiettiva, del rapporto esistente tra responsabilità sociale, creazione di valore per gli azionisti e finalità ultima della sopravvivenza dell’impresa: è giunto ora il momento, per chi scrive, di palesare la propria posizione, che pure sarà apparsa sporadicamente, già in precedenza, all’interno del dibattito. A mio parere il problema esistente nella relazione, spesso vista come conflittuale, tra creazione di valore per l’azionista e perseguimento di azioni ed obiettivi di responsabilità sociale, risiede, per la gran parte, nella definizione di responsabilità sociale utilizzata. Infatti, una definizione di responsabilità sociale ampia come quella su cui sono, solitamente, basate le affermazioni degli 39 E’il motivo per cui taluni comportamenti socialmente responsabili possono non essere valorizzati in quanto “dati per scontati”, ma fonte, se non messi in atto, di conseguenze ritorsive da parte dell’opinione pubblica e dei consumatori. 197 “estremisti” della RSI, dà un quadro distorto della stessa, in cui questa appare come la necessità, per l’impresa, di superare le tutele garantite dai vincoli di legge indipendentemente da ogni criterio di economicità, ma soltanto sulla base di una presunta missione sociale che l’impresa, in quanto istituzione, sarebbe chiamata a svolgere nei confronti dei suoi stakeholders. Una definizione tanto ampia della responsabilità sociale porta, ovviamente, alla conseguenza che coloro i quali maggiormente si rifanno alle buone regole di management, ed al rapporto d’agenzia esistente tra manager ed azionisti, non possono non rispondere se non con posizioni altrettanto estreme affermando, a mio parere correttamente, come una responsabilità di questo tipo non sia propria dell’impresa che, in tal modo, sarebbe governata da manager che tradiscono il loro mandato di agenti degli azionisti poiché soltanto questi ultimi avranno il diritto, a seguito del conseguimento dei proventi dell’attività d’impresa, di usufruirne per gli scopi che prediligono. A mio modesto parere il problema del serrato confronto tra posizioni dottrinali pressoché opposte nasce, dunque, dal mancato utilizzo di una definizione corretta di responsabilità sociale. Tale definizione è rinvenibile nella stakeholder view di Freeman 40 , in cui si considera come gli stakeholders siano soggetti di cui l’impresa non può ignorare le istanze in quanto in grado d’influenzarne in modo rilevante i risultati economico – competitivi. La responsabilità sociale è dunque una necessità per le imprese, ma non è motivata da uno spirito filantropico o etico che, in quanto tali, 40 Freeman: “Strategic management. A stakeholder approach”, Pitman, Boston, 1984. 198 non avrebbero giustificazioni economiche ragionevoli se perseguite dall’istituto – impresa, bensì dalla necessità, per la stessa, di mediare tra le istanze di molteplici soggetti, terzi rispetto agli azionisti, ed aventi spesso interessi contrastanti, che sono in grado, sia in positivo che in negativo, d’influenzarne il processo di creazione e distribuzione di valore agli azionisti. Secondo la teoria della stakeholder view, però, gli azionisti sarebbero soltanto uno tra i tanti stakeholders, per quanto uno dei più rilevanti: ciò avviene poiché tale teoria vuole dare una base su cui i manager possano prendere le loro decisioni strategico – organizzative. A mio parere non sbagliano, quindi, come già detto, sia coloro i quali sostengono l’obbligo, per l’impresa, d’impegnarsi nella responsabilità sociale, sia coloro i quali sostengono la necessità che l’impresa si occupi solamente di creare il maggior valore possibile per i propri azionisti poiché, in realtà, pur partendo da presupposti differenti, giungono al medesimo risultato, e cioè alla massima creazione di valore possibile per gli azionisti essendo, tale risultato, una misura sintetica dell’insieme delle strategie messe in atto dall’impresa nei diversi ambiti del suo operare quotidiano. L’unione europea, nell’ambito del suo libro verde sulla CSR afferma la volontarietà delle azioni di responsabilità sociale: tale affermazione è stata interpretata come il riconoscimento e l’avvallo all’utilizzo massiccio della CSR da parte dei suoi sostenitori, e come il riconoscimento della libertà delle imprese di perseguire il massimo profitto scegliendo liberamente da parte degli oppositori 199 che vedono la CSR, come già detto, alla stregua di una minaccia al corretto utilizzo ed alla corretta distribuzione del valore economico creato dall’impresa. A mio parere la volontarietà espressa dal libro verde UE è assimilabile alla volontarietà nella distribuzione dell’utile per il tramite dei dividendi: in realtà la volontarietà di un’azione di RSI, a mio parere, è relativa poiché si basa semplicemente su una valutazione del costo – opportunità delle scelte che l’impresa può fare con riguardo ad ogni aspetto della RSI, così come vengono valutati e soppesati i costi – opportunità di ogni altra scelta strategico – organizzativa. La RSI di un’impresa è riconducibile, dunque, ad una precisa presa di posizione sul tema del livello di socialità ritenuto “ottimo” per l’impresa da parte dei suoi managers. La volontarietà della RSI presentata nel libro verde UE, dunque, è semplicemente la scelta razionale, effettuata dai managers, del livello di RSI da perseguire nell’ambito della normale discrezionalità delle scelte dell’impresa. E’una valutazione lasciata al libero arbitrio dei decisori aziendali esattamente come ogni altra decisione strategicamente rilevante ai fini del successo e della sopravvivenza dell’impresa. Spesso, in realtà, le imprese non si occupano formalmente di RSI, ma, dal lato pratico, l’implementano, e ne sfruttano i vantaggi competitivi relativi, nel loro operare quotidiano. Un'altra problematica, che ho rinvenuto in merito alla RSI, ed al rapporto ottimale che dovrebbe avere con essa l’impresa al fine di massimizzare il valore da essa creato, è quella della scelta fra un approccio adattivo o proattivo alla RSI stessa: in realtà non esiste 200 un approccio ottimale, ma il management dovrà valutare, di volta in volta, quello più adatto. Infatti un approccio proattivo può essere molto utile laddove, tramite previsioni razionali ed esatte, permetta di gestire proficuamente, evitandolo, un aperto conflitto con uno stakeholder riducendo al minimo i costi da sostenere; mentre un approccio adattivo può essere l’ideale quando non sia possibile determinare in anticipo l’evoluzione delle istanze di un qualche stakeholder o, comunque, si reputi più conveniente, sulla base di un calcolo di opportunità, reagire prontamente a mutamenti già delineatisi. In conclusione possiamo affermare che ciò che rileva, nel rapporto fra RSI e creazione di valore per l’azionista, è che l’impresa non può evitare di considerare l’esistenza di tutta una serie d’istanze da parte di soggetti, i suoi stakeholder, in grado d’influenzarne, spesso in modo determinante, il successo economico – competitivo di lungo periodo e la conseguente sopravvivenza, ma che la scelta del livello e delle modalità di RSI da applicare nei confronti dei diversi soggetti dipenderà dalla discrezionalità di un management che, se agisce secondo le regole del buon management, non potrà far altro che valutare con il massimo grado di obbiettività possibile le varie alternative in un ottica di costi – benefici ed agire di conseguenza. La responsabilità sociale, se vista alla luce di quanto appena affermato, assume, quindi, un significato profondamente diverso da quello estremo da cui eravamo partiti nella nostra digressione: la conseguenza di tale mutamento è che la RSI smette di essere un obbligo generato da un non ben definito dovere di socialità 201 dell’impresa per diventare un’opportunità strategica della stessa. L’uso del termine opportunità non è casuale poiché, come già detto, la responsabilità sociale d’impresa, seguendo logiche economiche ed essendo assoggettata al giudizio del management, può essere inquadrata e gestita come ogni altra scelta strategica. Guardando, dunque, alla RSI con l’occhio di un manager che valuti la miglior “strategia sociale” perseguibile, e cioè la strategia sociale che crea maggior valore possibile, le posizioni, inizialmente contrapposte di fautori e denigratori della RSI verranno a coincidere. Dirò di più: durante il capitolo si è evidenziato come una corretta impostazione di una strategia sociale efficiente possa contribuire al processo di creazione di valore dell’impresa tramite una sua influenza positiva sulla forza lavoro, sul mercato dei capitali, sui fornitori, sui clienti, ecc. ebbene tale processo di creazione di valore, com’è stato anche precisato nel capitolo 2, prende spunto dalle strategie implementate e dalla loro idoneità ad essere fonti di un vantaggio competitivo elevato e difendibile: ebbene ritengo che una strategia di RSI possa essere fonte di un vantaggio competitivo, ovviamente sulla base delle caratteristiche dei soggetti su cui andrà ad incidere, elevato e difendibile. Un ultimo particolare che preme, a questo punto, sottolineare, è la linea evolutiva di diffusione della RSI. A questo proposito ritengo che la RSI, lungi dall’essere una “moda”, si evolverà secondo due linee parallele: da una parte sulla base delle nuove richieste di socialità e conseguente responsabilità sociale avanzate dagli stakeholders principali dell’impresa; dall’altra parte a seguito di un 202 processo d’inseguimento ed imitativo da parte dei concorrenti nei confronti delle imprese leader nella RSI nel momento in cui il vantaggio differenziale derivante da una corretta gestione strategica della RSI fosse evidente a tali soggetti. 203