G. De Marchi W. Trasarti Sponti L’USO DELLA METAFORA NELLE TECNICHE INDIRETTE DI IPNOSI INTRODUZIONE Paul Watzlawick, ne “Il linguaggio del cambiamento” parla di due lingue possibili: “L’una, quella per esempio in cui è formulata questa frase, dà delle definizioni, è obbiettiva, cerebrale, logica, analitica; è la lingua della ragione... L’altra....è molto più difficile da definire, appunto perché non è la lingua della definizione. La si potrebbe chiamare la lingua dell’immagine, della metafora, della pars pro toto, forse del simbolo, in ogni caso comunque della totalità (e non della scomposizione analitica)”. Queste due lingue sarebbero caratteristiche del pensiero relativo all’emisfero sinistro, quella logica, ed a quello destro quella dell’immagine. Aggiunge Watzlawick: “Il fatto dell’esistenza di queste due “lingue” fa’ supporre che ad esse debbano corrispondere due immagini del mondo fondamentalmente differenti, giacché è noto che un linguaggio non rispecchia la realtà, ma piuttosto crea una realtà”. Più avanti aggiunge: “La traduzione della realtà percepita in una Gestalt, questo raccogliere l’esperienza del mondo in un’immagine, è indubbiamente la funzione dell’emisfero destro. Al sinistro potrebbe toccare il ruolo della razionalizzazione dell’immagine, la separazione del tutto in soggetto e oggetto, l’oggettivazione della realtà. Per cambiare questa realtà apparentemente immutabile occorre in primo luogo sapere che cosa deve essere cambiato (bisogna comprendere l’immagine del mondo dell’interessato) e in secondo luogo come questa trasformazione può essere ottenuta, da un punto di vista puramente tecnico. ...Per quanto riguarda la lingua... è la lingua dell’emisfero destro. In essa si esprime l’immagine del mondo ed essa è perciò anche la chiave dell’essere-nel-mondo e del soffrire-del-mondo di un uomo. In questo modo però si palesa l’inadeguatezza di un procedimento che sostanzialmente consiste nel tradurre questa lingua analogica nella digitale della spiegazione, della giustificazione, dell’analisi, dell’interpretazione, del confronto, ecc., e che attraverso questa traduzione ripete l’errore a causa del quale il paziente ha dovuto sottoporsi alla terapia invece, al contrario di apprendere il linguaggio, tipico dell’emisfero destro, del paziente, e di utilizzarlo come via maestra che conduce al cambiamento terapeutico.” Per quanto riguarda le tecniche da utilizzare, Watzlawick suggerisce tre modi, tra loro variamente combinati in una psicoterapia: - impiego di forme linguistiche proprie dell’emisfero destro - blocco dell’emisfero sinistro - prescrizioni di comportamento specifiche 2 LA METAFORA Abbiamo riportato nell’introduzione molti brani presi dalle monografie di Watzlawick , perché crediamo che in essi ci sia la sintesi dell’arte della psicoterapia breve. Ci soffermeremo ora sul primo dei tre modi di intervento, ovvero sull’uso di forme linguistiche proprie dell’emisfero destro. La metafora in questo senso ha un ruolo principe; essa è stata usata da sempre nella comunicazione umana. Aristotele dice: “La metafora consiste nel trasferire ad un oggetto il nome che è proprio di un altro. Questo trasferimento avviene o dal genere alla specie, o da specie a specie, o per analogia”. Forme di metafora le troviamo nella Bibbia dove viene usata la figura del serpente tentatore per far riflettere il lettore sul fascino esercitato dal male e sulle conseguenze che scaturiscono dal cedere alla tentazione. Nel Nuovo Testamento Gesù ricorre alle parabole. Marco, dice: “Quando fu solo i suoi dodici insieme lo interrogarono sulle parabole ed egli disse loro: a voi è stato confidato il mistero del regno di Dio, a quelli di fuori tutto viene esposto in parabole perché guardino ma non vedano, ascoltino ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato....”. Si parla in metafora anche quando si usa la similitudine o si ricorre al proverbio. Quelle di cui abbiamo parlato sono metafore letterarie, ma esistono altre forme di comunicazione metaforica come ad esempio i quadri pittorici, i diagrammi, oggetti usati dai bambini nei giochi o infine espressioni facciali o corporee che accompagnano la comunicazione. VANTAGGI DELL’USO DELLA METAFORA In ipnosi è noto il vantaggio dell’uso della suggestione di trance indiretta rispetto alla forma ingiuntiva. M. H. Erickson utilizzava di preferenza questo tipo di approccio. Nel congresso di Breteport il relatore ...................... sostiene che non c’è niente di più imperativo della permissività indirizzata. La metafora costituisce un strumento particolarmente utile. Come sostiene la Dott.ssa Trasarti Sponti: “La metafora è il “racconto” della relazione terapeutica; in tutte le psicoterapie, ma ancora di più nell’ipnosi (vedi Banyoi), il terapeuta è “in terapia” insieme al paziente. La metafora è il tramite” 3 In tutte queste “forme” linguistiche, mentre la coscienza identifica i personaggi e le situazioni concrete esposte, l’inconscio compie la traduzione cogliendo le analogie, identificando la struttura del racconto e comprendendone il significato nascosto. In altri termini vede la forma della foresta, a discapito dell’osservazione dei singoli alberi che la compongono. Questa nuova “visione”, integrandosi con quelle preesistenti, le modifica. Si produce così un cambiamento nella visione del mondo del paziente. Un vantaggio pratico dell’uso della metafora è costituito dal suscitare maggiore interesse nel paziente rispetto all’esposizione diretta della sua situazione; inoltre rispetta i tempi del cliente che può prestare attenzione al contenuto letterale, se non è pronto al cambiamento, piuttosto che al contenuto simbolico. Il contenuto simbolico è interpretato dal cliente in funzione dei suoi schemi di riferimento, e quindi è adatto, peculiare, specifico per lui. La metafora, mantenendo nascosto il significato simbolico, appare meno minacciosa per il cliente (si ricordi il vantaggio secondario del sintomo). In effetti il sintomo “portato” dal paziente è esso stesso una metafora della comunicazione sul suo disagio; soprattutto in famiglie dove non è abituale verbalizzare il disaccordo si utilizza il sintomo come forma di comunicazione. Essendo riferita ad altre persone e/o ad altre situazioni, non sottopone il terapeuta al rischio di critica da parte del cliente che non dovesse riconoscersi nella diagnosi dello stesso. E’ evidente in questa affermazione una segnalazione da parte di chi scrive della difficoltà nell’accettare il proprio limite E’ un importante strumento per ristrutturare la spiegazione del mondo relativa al problema del cliente (si cambia la cornice al quadro e lo si rende adatto all’ambiente). Pur essendo una forma di comunicazione indiretta (non impartisce istruzioni) può permetterne però l’inserimento al suo interno, “agganciandolo” a cambiamenti di tono della voce o di velocità della stessa. Questo modo di procedere rende l’ingiunzione diretta non identificabile dal paziente come diretta a lui, ma viene colta dall’inconscio che può cosi utilizzarla. Non dando istruzioni dirette si evita che il cliente possa rifiutarle (resistenza degli psicanalisti). Quindi l’uso della metafora è particolarmente indicato in pazienti resistenti alle prescrizioni dirette, ma anche a coloro che dubitano della propria capacità di riuscire: il dirgli direttamente che può farcela, cozzando con la propria visione di sé, potrebbe essere rifiutato. Per i pazienti che non vogliono fare autocritica, permette di suggerire l’utilità della stessa, senza però riferirlo al paziente stesso. 4 Può essere inoltre utile, dato il suo maggiore fascino rispetto a prescrizioni dirette, in pazienti che perdono concentrazione. PREPARAZIONE DELLA METAFORA Per essere efficace, la metafora deve essere confezionata su misura per il paziente. E’ importante quindi fare una diagnosi del modello del mondo in possesso della persona che chiede il nostro intervento. Questo può essere fatto attraverso l’osservazione diretta sia dei contenuti che degli stili della sua comunicazione. DIAGNOSI La prima fase della costruzione della metafora specifica per il nostro cliente consiste nel diagnosticare il suo modo di vedere il mondo, cogliendo, interpretando il suo modo di comportarsi nel mondo. Per diagnosi del cliente intendiamo dire, parafrasando J. Zeig: “... rendersi conto che le persone percepiscono il mondo attraverso le proprie lenti. D’altra parte ogni lente distorce in qualche modo la realtà”. Queste “lenti” vengono messe da piccoli e si passa poi il resto della vita a confermarsi che il mondo è esattamente come lo si “vede”. Ricordo una cliente che venne da noi convinta che nella sua famiglia “le donne non riescono nel lavoro”. Faceva e fa la psicoterapeuta, solo che al tempo in questione una agorafobia con attacchi di panico le impediva di fare pubbliche relazioni per farsi conoscere e quindi l’attività non decollava. Passava il suo tempo a chiedersi se non fosse stato il caso di cambiare lavoro, magari facendo la segretaria di qualche professionista, confermando così il “mito di famiglia”. Zeig definisce queste lenti come il “piano frontale” del paziente. Questo piano frontale precede l’azione e ne conferma l’esistenza. 5 SCHEMA DI RIFERIMENTO In allegato riportiamo la scheda che usiamo in Studio per la raccolta dati. E’ uno schema nel quale sono raggruppati informazioni di carattere anagrafico, della modalità di relazione familiari e di indagine sull’autonomia dalla famiglia di origine ed infine, nella parte relativa alla “diagnosi”, sono riassunte le categorie di osservazione di V. Satir, Zeig e della P.N.L. . L’ultima parte della scheda tende a definire, insieme al Paziente, gli obiettivi del cambiamento espressi nel modo più concreto e quantificabile possibile. Questa parte è presa in buona sostanza da “L’uso della metafora in psicoterapia” di P. Barker. Come usiamo nella pratica la scheda per la diagnosi: per prima cosa ci sforziamo di “ricalcare” il comportamento verbale e non del Paziente al fine di farlo sentire “accolto” e quindi più collaborativo. Nel far questo classifichiamo il Paziente relativamente ai parametri della scheda allegata. Nelle “Note” riportiamo frasi tipiche, aneddoti o metafore usate dal Paziente che possono essere utili per la costruzione successiva dell’intervento. Per quanto riguarda la comunicazione verbale andremo a verificare qual è il canale rappresentazionale principale che il cliente utilizza relativamente al problema che ci pone. Vale a dire: il cliente può essere una persona visiva, ma può darsi che rispetto al problema utilizzi prevalentemente il canale auditivo, quando potrebbe essere quello visivo o quello cenestesico quello più adatto. Questa è una delle cose che va notata perché poi durante la metafora dovremo cercare di sostituire, nella fase di risoluzione, al canale visivo il canale più adatto. Come sostengono R. Bandler e J. Grinder spesso è sufficiente indurre un cambiamento nel canale d’accesso per ottenere netti miglioramenti. Un altro tipo di osservazione si riferisce alle categorie della Satir, vale a dire può darsi che rispetto al problema assuma un atteggiamento accusatorio quando sarebbe più adatto un atteggiamento propiziatorio o calcolatore. Il confuso usa una categoria mai indicata e di per sé questo costituisce o potrebbe essere una diagnosi del problema. Va notato se, rispetto al problema, il cliente usa una modalità della Satir non appropriata al contenuto stesso, oppure se c’è una contraddizione nella comunicazione verbale; se cioè stanno utilizzando le modalità confuse, vale a dire predicati caratteristici del calcolatore assumendo invece un atteggiamento fisico accusatore o viceversa. Quando non c’è concordanza fra le due modalità allora può esservi il problema e l’intervento consiste nel raccontare una metafora che, partendo dalla stessa confusione,. cioè i personaggi della metafora fanno lo stesso tipo di confusione ed usano gli stessi predicati inadeguati, usano le stesse modalità della Satir inadeguate, “fino a quando”, e qui è la svolta della metafora, c’è un punto in cui 6 si dice “fino a quando”, il personaggio non cambia completamente, cambia categoria della Satir cambia predicati e questo lo porta alla soluzione. Per capire qual è la categoria associata all’esperienza del cliente bisogna chiedere: “Qual è il sentimento che lei è consapevole di provare quando dice questo?”(NOTA: quale sentimento è consapevole di provare quando ci sta esponendo il problema) La risposta può essere: - inerme ⇒allora è un propiziatore - arrabbiato ⇒allora è un accusatore - nulla ⇒ allora è un calcolatore - cose di cui sta parlando ⇒allora è uno svagato Inoltre notare le comunicazioni incongrue tra comunicazione analogica e digitale, comunicazione analogica e analogica. Per esempio se usa un canale manifestando una categoria della Satir e con un altro canale ne manifesta un’altra (ha una voce pacata, ma i pugni chiusi o l’indice puntato: voce pacata⇒calcolatore indice puntato, pugni chiusi⇒accusatore). La comunicazione incongrua indica che sono espresse simultaneamente più parti, più stili in una stessa situazione esperienziale il che, evidentemente è causa dei blocchi. Nella struttura della metafora si passerà a quello che viene chiamato livellamento. Poniamo il caso di trovarci di fronte ad una moglie e ad un marito in conflitto, dei quali uno è un propiziatore e l’altro un accusatore e queste sono le posizioni che tengono in piedi il problema. Passando ad invertire i ruoli, chi accusava diventa propiziatore, chi propiziava diventa accusatore: questo li porta a livellarsi. Si usano evidentemente verbi associati. Il propiziatore, che fino ad allora “supplicava”, finalmente puntando l’indice “urla”, e l’accusatore, che con ogni probabilità era abituata a rimproverarlo, si siede e , “spaventata”, ascolta. Una cosa importante da notare è se c’è una corrispondenza tra categorie della Satir e comunicazione verbale: ad esempio il propiziatore usa dei qualificatori del tipo “se, solo, proprio, perfino”, verbi al congiuntivo “volessi, potessi” frasi del tipo “se solo potessi essere felice lo sarei”, ”ti piacerebbe che facessi questo per te?”. Il propiziatore è colui il quale dice tendenzialmente “sono come tu mi vuoi”, “io sono sbagliato”, “ho bisogno di te”, “senza di te non posso vivere”. L’accusatore usa quantificatori universali del tipo “tutto, ogni, qualunque, ogni volta”, domande del tipo “come mai non puoi?”, “perché tu non?”, imperativi “devi, dovresti”, “dovrei essere felice”, cioè l’esser felice non è più una scelta ma un imperativo. “Quando fai così sei ridicolo, perché non la smetti?”, il caratteristico è “perché non?”, “chi è stato?”. Il calcolatore esclude il proprio sé, usa pronomi impersonali del tipo “come si può capire” anziché “mi sconcerta”, “è sconcertante”; nomi privi di indice 7 referenziale “ciò, lui, lei, uno”; nominalizzazioni delle esperienze: piuttosto che “sono teso” dice “la tensione”, “la rapidità”, “l’avere speranze”. Lo svagato, invece, è un misto fra i due. In genere nella persona che non fa’ problemi c’è una correlazione tra un atteggiamento propiziatore e l’uso di canali cenestesici, così come tra l’accusatore e l’uso di canali visivi, tra il calcolatore e l’uso di canali uditivi. Lo svagato, essendo incoerente, mischia un po’ tutto. In questo senso in fase di “diagnosi” è importante notare se c’è una correlazione fra queste due categorie. Una volta chiara la diagnosi è importante avere con precisione un’idea di qual è l’area problematica del cliente così come lui la vive all’interno della sua spiegazione del mondo e a questo punto è importante avere anche un’idea chiara di quello che per lui rappresenta l’evoluzione positiva, cioè qual è lo stato finale desiderato. E’ la differenza fra come le cose funzionano attualmente e come funzioneranno quando avrà risolto il problema, che ci fa capire come strutturare la metafora e come impostare la psicoterapia in genere. Dobbiamo portare la persona a superare, ad aggirare l’ostacolo che non gli consente di ottenere l’obbiettivo che egli si prefigge. Obbiettivo che non può raggiungere perché utilizza dei predicati non adatti, usa delle categorie della Satir non adatte, o perché delle sinestesie automaticamente impongono delle somatizzazioni, delle reazioni emotive in una situazione nella quale queste non sarebbero adatte. Una volta che sappiamo qual è lo stato desiderato, cominciamo a strutturare la metafora, che prevede, inizialmente, personaggi e situazioni di partenza che sono quelle problematiche così come descritte dal cliente e alla fine una situazione con personaggi che hanno raggiunto l’obbiettivo desiderato. A questo punto bisogna istituire una strategia di collegamento fra le due. Praticamente c’è una descrizione a mo’ di ricalco del periodo che precede l’insorgenza del problema, fatto ovviamente narrando, descrivendo i personaggi della metafora stessa che sono in relazione con i personaggi della storia reale. Poi si passa al ricalco, sempre metaforico, della nascita del problema e dei meccanismi attraverso i quali questa veniva tenuta in piedi riprendendo le categorie della Satir e ricalcando le modalità di rappresentazione del cliente. In questa fase bisogna cercare di rispecchiare fedelmente tutti i personaggi coinvolti e tutte le relazioni significative per il paziente. Dopo aver ricalcato queste parti “ancorando” ogni tanto il paziente, si passa alla soluzione introducendola con un “fino a quando”. Il personaggio importante, con il quale si dovrebbe identificare il cliente, fa qualcosa di diverso e questo rappresenta la nuova soluzione che porta allo stato desiderato, concludendo con un “...e vissero felici e contenti”, come nelle migliori favole Questo per quanto riguarda la struttura della metafora. Il problema è ora come passarla al cliente utilizzando una serie di strategie. 8 Racconto del cliente Metafora persone coinvolte definizione della situazione prima del problema strutturazione della situazione problematica personaggi del racconto descrizione dei rapporti tra i personaggi prima del problema descrizione delle relazioni che mantengono il problema tra i personaggi soluzione desiderata “fino a quando” soluzione desiderata strategia di collegamento Una nota sulla “Strategia di collegamento”: Per quanto riguarda le strategie di collegamento, gli ingredienti da utilizzare devono essere identici a quelli che producono il problema: devono esserci praticamente tutti gli ingredienti e nelle stesse dosi. Questo è importante perché altrimenti il cliente potrebbe pensare che la situazione sia diversa dalla sua: quindi bisogna fare attenzione alla fotografia della situazione così come è rappresentata dal cliente, perché deve essere rappresentata esattamente come egli la vede, anche se si usano personaggi fittizi. In qualche modo deve essere presente nella descrizione della metafora il concetto che proprio quegl’ingredienti strutturati in quel certo modo erano la causa del problema e che quello che fa il personaggio è cambiare il dosaggio degl’ingredienti stessi per produrre l’effetto. In qualche modo il personaggio fa qualcosa che infrange il vecchio modello di calibratura, mettendosi così in grado di fare qualcosa di efficace per cambiare la situazione. Inoltre la strategia va possibilmente presa tra quelle che il cliente direttamente o indirettamente ha indicato come facenti parte del suo repertorio. Per saperlo è utile fare domande specifiche del tipo “cosa ti impedisce di, in che modo sei trattenuto dal fare quella certa cosa?”. Sapendo cos’è che gli impedisce di farlo si può, tramite la metafora, trovare un modo attraverso il egli lui superi l’ostacolo stesso. La metafora può anche essere utile per la riconfigurazione o ristrutturazione, che consiste nel dare ad una situazione che il soggetto viveva come negativa, un significato positivo in un contesto diverso. Arrabbiarsi, per esempio, non è di per sé una cosa negativa, l’importante è che uno si arrabbi in un contesto adatto, per esempio: “...e fu così che si accorse che la sua capacità di reagire gli era utile nelle situazioni di pericolo”. ESPOSIZIONE DELL METAFORA 9 A questo punto si pone il problema di come porre la metafora e qui va fatta una considerazione a premessa sulla ricerca transderivazionale. La ricerca transderivazionale è quel meccanismo attraverso il quale, dall’udire una struttura superficiale di una frase, attraverso meccanismi inconsci, arriviamo a mettere in relazione questa struttura superficiale, che è l’evento così come è raccontato, con la struttura profonda di una nostra esperienza simile, isomorfa a quella del cliente. Nel momento in cui, mettendola in relazione, troviamo nelle nostre esperienze precedenti una situazione che gli assomigli, possiamo dare un significato alla storia che la persona ci sta raccontando. Nel parlare delle proprie strutture profonde, delle proprie esperienze, ognuno di noi opera delle cancellazioni, delle deformazioni e delle generalizzazioni. Ma quando sentiamo parlare delle persone nella nostra stessa lingua, noi colmiamo le lacune e diamo un significato proprio attingendo degli elementi in funzione della nostra esperienza. Questo ci dà l’impressione di comprendere, ma non è esattamente così perché in effetti la nostra esperienza può essere diversa per molti aspetti da quella della persona che ci sta parlando, ma il fatto che noi gli attribuiamo un significato ci dà la sensazione di capire. In genere i meccanismi messi in atto per tradurre l’esperienza in frase, se usati in modo eccessivo, possono essere fonte di problemi. Per esempio la generalizzazione porta ad alienarsi la possibilità di sperimentare positivamente esperienze nel mondo; per assurdo chi si è appoggiato ad una sedia a dondolo con troppa forza ed è caduto può arrivare alla conclusione generalizzata che le sedie sono pericolose e quindi non riposarsi più. Ma la generalizzazione è un meccanismo importante nella comunicazione per economizzare; se non la usassimo dovremmo essere attenti a descrivere nei minimi dettagli le nostre esperienze e questo ci impedirebbe di avere una vita di relazione fluida, soddisfacente. Quindi la cancellazione, la distorsione e la generalizzazione sono importanti, purché contenute. Mentre nella vita usare questi tre meccanismi in eccesso è deleterio, in ipnosi e nell’esposizione della metafora dobbiamo, invece, usarle in eccesso. Questo fa’ sì che il paziente, attraverso la sua ricerca transderivazionale e attraverso l’assegnazione di significati ad un qualcosa che è volutamente generalizzato, distorto e cancellato, attribuisca significato alla cosa, la metta in relazione con le sue esperienze più importanti e, una volta in sintonia con queste, possa poi produrre i cambiamenti che sono contenuti all’interno della metafora. Quello che dovremmo cercare di fare è di non mettere indici referenziali, vale a dire formulare la frase della metafora senza specificare il soggetto (che cosa, chi), né il complemento oggetto e né il luogo (dove avviene e cosa fa); utilizzare verbi non specificati, in modo che il cliente si ponga la domanda “come, in che modo ha fatto questa cosa?” e si dia una sua risposta. Dovremo utilizzare il più possibile 10 nominalizzazioni, cioè passare da processo a cosa: anziché dire “era consapevole di”, dire “aveva consapevolezza”. “Mario ebbe la consapevolezza della sua situazione”. Questo permette al cliente di dare senso ad “avere consapevolezza” secondo i suoi canali e le sue strutture di riferimento. Un altro passaggio importante nel porgere la metafora consiste nell’usare contrassegni incorporati. Sono praticamente degli espedienti attraverso i quali si fissa l’attenzione su un suggerimento, traducendolo in qualche modo in un comando. Questo si fa’ introducendo una pausa tra una frase e quella che deve rappresentare il comando e inserendo il nome del cliente: “... e Re Artù disse: «(pausa)Mario(pausa), adesso stammi bene a sentire»”. Questo diventa un ordine per Mario di stare bene a sentire, anche se stiamo parlando di Re Artù. Il contrassegno è, invece, una sorta di ancora, che può essere utilizzato per richiamare lo stato emotivo caratteristico, specifico di un dato passaggio della metafora. Questo contrassegno può essere fatto o cambiando il tono della voce o tamburellando con la mano o tossicchiando. L’importante è che questo contrassegno, legato all’emozione che il cliente sta provando in quel passaggio della metafora, possa esser richiamato in una fase in cui questo possa servirci. Perché funzioni, quest’ultima operazione, deve essere fatta almeno tre volte nel racconto. CONCLUSIONI Potremmo concludere dicendo che la metafora è una tecnica per superare le tecniche. In altri termini, come suggerisce la Dott.ssa Trasarti Sponti, quello che funziona è “tuffarsi nello stesso mare del paziente e nuotare insieme a lui” dimenticandosi della tecnica. « So che non ci riuscirai tentando, ma non puoi fare altro che tentare ». 11 BIBLIOGRAFIA R. Bandler-J. Grinder: “I modelli della tecnica ipnotica” “La metamorfosi terapeutica” “Magia in azione” “La struttura della magia” P. Barker: “L’uso della metafora in psicoterapia” D. Gordon: “Metafore terapeutiche” 12