IL volto solidale di arte h focus street art intervista a riccardo latteri punk rock dai sex pistols ai clash l'arte promotrice di benessere arti-terapie arti-teraPie Con l'alto patrocinio del FEDERICO MASSA CONDIVIDIMI - FREE PRESS - WWW.JOBOK.IT - Numero #5 Bimestrale - Agosto 2015 MAGAZINE TEAM Direttore Responsabile: Massa Federico Art Director: Alex Perucci Capo Redazione: Giovanna Di Martino Redattori: Claudia Marini, Edoardo Massa, Elvio Degli Agli, Emanuela Piacente, Sara Petrucciani, Simona Lo Piccolo REDAZIONE Via Cusino, N°10 - 00166 Roma Tel. 06/92936388 DISTRIBUZIONE: Concept di Federico Massa Tel. 06/92936388 email: [email protected] P.I. 11801251007 PUBBLICITÀ: [email protected] Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza. ANTONIO GRAMSCI Vietata la riproduzione totale o parziale dei testi e delle pubblicità senza l'autorizzazione scritta dell'editore. Il contenuto degli articoli rispecchia l'opinione dei singoli autori. La redazione resta a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche di cui non si abbia la reperibilità. C JOBOK.EU/USER/GIOVANNA ari lettori eccomi di nuovo qui in questo spazio, un intimo dialogo tra me e voi, per raccontarvi ancora una volta della genesi del tema del nostro quinto numero. Se nel numero precedente, dedicato ai pirati, l’editoriale sì aprì con i ricordi d’infanzia legati alle letture scolastiche della scuola primaria, questo quinto numero è ispirato al lavoro finale portato agli esami di maturità. E così il cerchio si chiude. Poi c’è l’università… ma è un’altra storia, un’altra bella storia d’amore con l’arte e la cultura che non mancherà di infiltrarsi qua e là nei prossimi editoriali. La tesina in questione gravitava intorno al tema degli intellettuali e del loro rapporto con il potere. Ho amato così tanto questo argomento che ho deciso di farlo sorbire a tutti i malcapitati che incontro (voi compresi). Tuttavia, giusto per alleggerire il tutto, ho dato un nome al tema che ispira ancor più “leggerezza”: l’arte come impegno civile e sociale. Che cosa voglio intendere con questa espressione? Che l’arte non è qualcosa di elitario, di sostanzialmente estraneo alla nostra vita quotidiana, fatta di cose più concrete, di problemi di sopravvivenza materiale e di bisogni primari da soddisfare, in altre parole qualcosa di sostanzialmente inutile. Le cose non stanno proprio così: l’uomo ha sempre avuto l’urgente bisogno di ancorarsi ad una morale, di stabilire dei valori alla quale ispirarsi e che possano esser posti alla base della società civile per una sopravvivenza felice e pacifica. Ed è proprio qui che entra in gioco la funzione dell’arte, tutt’altro che inutile: nella storia dell’umanità l’arte ha svolto una funzione morale (e amorale). La funzione sociale e civile dell’arte si lega strettamente alla morale, a quell’urgenza che molti artisti hanno avuto e hanno di rappresentare la loro visione del mondo, di veicolare messaggi e diffondere ideologie. Propagandistica o contestatrice, conservatrice o reazionaria, illuminata o oscurantista, l’arte non è mai stata indifferente alla vita politica e sociale, non è stata affatto una semplice comparsa bensì una grande protagonista nella storia dell’umanità. In questo numero abbiamo cercato, ove possibile, di dar spazio ad argomenti assai diversi, proprio come feci io nella mia tesina di diploma dando spazio sia ad intellettuali detrattori e critici di taluni poteri costituiti, dei così detti “sistemi”, sia ad intellettuali perfettamente inseriti nei loro contesti politici e sociali. Se fino al rinascimento la maggior parte degli artisti non si sarebbe mai sognato di criticare il potere e le istituzioni nella quale esso si incarnava (la corte che gli offriva lavoro e protezione e soprattutto l’autorità ecclesiastica), l’epoca contemporanea, edonistica, consumistica e mediatica, ha perso quella visione unitaria e ordinata del mondo per sfociare nell’ambiguità e nella contraddittorietà: così accanto alle arti di propaganda dei totalitarismi, buone o cattive, belle o brutte che siano, vi è stata anche tutta un’arte di feroce critica, costellata di famosi e tristi episodi di intellettuali (in)organici messi a tacere, più o meno brutalmente. Questa sintesi estrema di secoli di rapporti pacifici e tormentati degli intellettuali con il mondo che li circondava, è questione assai complessa e lunga e queste poche righe a disposizione non sono certamente la sede adatta per esaurire una tematica così vasta, sulla quale ci sono un numero enorme di fonti, documenti e studi. Noi vogliamo prendere vie meno battute: partiamo dagli anni 70’ e 80’ con delle riflessioni cinefile sul consumismo, con la musica punk come una delle principali forme di contestazione antiborghese, e andiamo sempre più avanti cercando di capire cosa significa oggi l’arte come impegno civile, quali sono le nuove frontiere dell’espressione artistica impegnata, come ad esempio la street art, alla quale molte persone faticano ancora a riconoscere una dignità d’arte vera e propria. Vedremo addirittura come l’arte possa portare benefici alla salute psichica di persone con disagi mentali, avere scopi curativi, essere una terapia… allora, dico a tutti coloro i quali, hanno cercato di allontanarmi dallo studio delle arti dicendo che la vita é fatta di cose più pragmatiche, l’arte vi sembra ancora così inutile? Io, sempre più fermamente, dico di no. Giovanna Di Martino Il marchio JobOk è un marchio registrato, tutti i diritti sono riservati. JOBOK.EU/USER/GIOVANNA 3 Street Art -Pag. 10- Riccardo Latteri -Pag. 16- Arte-terapia -Pag. 29- La (non) rivoluzione del movimento punk-Pag. 34Federico Massa Alex Perucci Giovanna Di Martino Claudia Marini GUEST Compro dunque sono? -Pag. 42- 4 JobOK Magazine Hipster Style -Pag. 45- GUEST Simona Lo Piccolo TU!!! IN QUESTO NUMERO... SOMMARIO 3 EDITORIALE 8 Arte H Il volto solidale dell’arte FOCUS Street Art 10 16 INTERVISTA Riccardo Latteri RACCONTO 22 Stupor Mundi MUSICA 29 Arte-terapia 34 La (non) rivoluzione del movimento punk CINEMA Arte promotrice di benessere 40 INTERVISTA 42 Compro dunque sono? TUTTI IN SCENA... Perchè no?! 45 TREND ALERT Hipster Style CUCINA 47 BOOK REVIEW 49 Plumcake Veggy Style Sostiene Pereira JobOK Magazine 5 IL VOLTO SOLIDALE DELL’ARTE L’arte da sempre mette in relazione un individuo con una massa, in modo consapevole e inconscio al tempo stesso. L'artista, in parte sa bene come arrivare, e in parte non sa neanche lui dove l'ispirazione lo porterà. Ogni volta egli accede a un mistero con la stessa trepidazione della prima volta. Poi, accade il fenomeno della identificazione, quel momento in cui, chi osserva l'opera si riconosce in essa come se facesse parte di lui da sempre, come se, finalmente, per incanto, un nodo si fosse sciolto e lì davanti ai sui occhi apparisse luminosa una risposta, qualcosa che, se ne avesse avuto le capacità, avrebbe fatto lui stesso. Una sensazione profonda, appartenente alla sfera del subliminale, un tempo detta catarsi, e che, anche per gioco mostrava all'osservatore il volto del politico o del cardinale dell'epoca nei sontuosi panneggi dei personaggi mitologici o spirituali raffigurati negli affreschi di Michelangelo, Giotto, Tiziano, Tiepolo, Raffaello, Caravaggio. Questi "rotocalchi" dell'epoca erano maestosi, ma già mezzo di comunicazione di massa. Come se noi oggi vedessimo le facce dei nostri politici schiaffate sulla Cappella Sistina invece che negli schermi delle TV o sulle pagine dei giornali. L'Arte ha il potere di smuovere le nostre identità, sempre fluttuanti tra ideale e concreto e di riportarle, con un viaggio a ritroso, verso una consapevolezza di una parte di noi che è solo nostra e che pure misticamente qualcun altro ha percepito, magari lontano nel mondo o in un'altra epoca, componendo una sinfonia, una canzone, dipingendo un quadro, scrivendo un romanzo, un autore la cui opera può affascinarci fino alla sindrome di Stendhal ma che magari se incontrato di persona non ci direbbe un granché. Kandinsky afferma che può avvenire tutto questo solo quando un artista è in grado di realizzare un'opera "originale", altrimenti si tratta solo di deboli tentativi dettati dall'ego. Evito, anche per rispetto del ruolo del critico, il linguaggio da addetti ai lavori per spiegare cosa sia un "opera originale" ma passo 8 JobOK Magazine direttamente a spiegare questo concetto dal punto di vista della mia esperienza, in Arte H, quella dietro le quinte, quella muta, oscurata dalla paura della sofferenza, la H di Help, di Handicap, di Human rigths, di Habitat, ma anche di Happiness, Health, Hospitality… già, perché che fine hanno fatto la sofferenza, la solitudine ma anche la felicità, la salute e l'accoglienza? Le persone sole, dove sono e che ruolo hanno? Forse le abbiamo perse di vista correndo all'impazzata, noi che possiamo, cercando di allontanarci il più possibile dalla morte. Ma poi ci rendiamo conto di rimanere fermi come ruote che girano nel fango. L'incontro "mistico" con l'handicap, la diversità, porta con se le risposte che abbiamo sempre inseguito e che ci fanno capire quanto il concetto di felicità sia profondamente indipendente da ogni condizionamento razionale e superiore a ogni barriera o condizione. Verità preziosa questa, che spinge inconsciamente il collezionista ad accumulare opere nella speranza di interiorizzarne il potere e trovare finalmente quella pace che il lusso finora non gli ha concesso. È la certezza di tutto questo e l'incontro con persone diversamente abili che, in primis, ha salvato la mia vita non appena è stata colpita dalla malattia, e che poi definitivamente mi ha fatto comprendere il legame risolutivo con quella parte della società che ci ostiniamo a lasciare nell'ombra. Lo stesso identico fenomeno di identificazione opera-spettatore, avviene in altra scala: comune mortale-individuo psicologicamente resiliente. Tutto ciò mi ha spinto a fondare Arte H, affinché siano "gli ultimi" a salvare le masse, attraverso quel lavoro di divulgazione che solo l'arte è in grado di realizzare. Per fare ciò, ho chiamato attorno a me i miei migliori amici di sempre nel mondo del volontariato e nel mondo della cultura e dello spettacolo e subito sono nate tante idee e nuove collaborazioni, tenendoci per mano e in attesa di stringere le vostre. Claudia Marini CLAUDIA MARINI Claudia Marini è nata a Roma il 30.08.1979. Art director e artista, nel 2011 scopre di avere la MCS (Sensibilità Chimica Multipla) contratta in seguito ad inalazione di sostanze molto tossiche. Dopo anni di volontariato nel settore delle malattie ambientali e della tutela dei diritti in genere, fonda Arte H per sostenere la ricerca scientifica attraverso manifestazioni artistiche, progetti, convegni, raccolte fondi. Lo scopo più importante di Arte H è riuscire ad individuare e sostenere le persone più sole, quelle che non hanno neanche il diritto alla solidarietà. Per fare questo, Claudia Marini si avvale di varie figure professionali di eccellenza che riunisce nel consiglio direttivo di Arte H come soci fondatori: Massimo Andellini, Raffaele Ferraresso, Mirna Maggi, Franco Messina, Mariangela Petruzzelli, Marcia Sedoc. Nasce così il pay-off "Eccellenze, giovani eccellenze, eccellenze sommerse. Arte, cultura e spettacolo per l'aiuto". Sullo stesso palco ideale si trovano così, personaggi noti, ricercatori, studenti e persone appartenenti alle fasce svantaggiate: è questa la visione democratica-olistica secondo Arte H. Unici privilegiati coloro che sono dimenticati dalle istituzioni e beneficiari inaspettati coloro che riescono ad entrare in relazione umana con essi, attraverso le nostre attività. JOBOK.EU/USER/CLAUDIAMARINI 9 C’ è chi riesce a leggerne il messaggio, chi si fa affascinare solo dalle forme e dai colori; c’è chi ci vede gli estremi di un linguaggio estremamente comunicativo, chi la etichetta come vandalismo; qualunque sia la visione di colui che rimane spettatore, l’unico obiettivo della Street Art è stato raggiunto, nessuno l’ha potuto evitare, nessuno lo potrà ignorare; il messaggio ormai è lanciato, impresso sul muro come un’ustione, sparato sul treno come un proiettile; qualsiasi sia la forma, illustrata o scritta, comprensibile o meno, tondeggiante o spigolosa, oramai è lì, a monito di una cultura non ancora del tutto riconosciuta o per la sua stessa natura irriconoscibile. Tentiamo oggi, nel rispetto di coloro che infondono le loro speranze di una civiltà migliore nella verità scritta sui muri, di raccontare la storia di un’arte: ancestrale come le pitture rupestri sulle caverne dei nostri antenati nell’età della pietra, simbolica come gli ideogrammi sulle pareti dell’antico Egitto, monumentale come le iscrizioni sugli edifici dell’antica Roma, evocativa come gli affreschi nelle chiese del Medioevo, pungente come la satira dell’età moderna, o nulla di tutto questo, in linea con la forma più dissacrante di dadaismo che si possa immaginare. Si pensa che tutto abbia avuto inizio da “Kilroy”, un uomo, calvo, che “ficca il naso” al di là di un muro ridotto ad una sola linea, strana descrizione se non fosse esattamente il primo graffito della storia del ‘900; la scritta originale che accompagnava quest’immagine 10 JobOK Magazine risalente ad un fumetto Inglese del 1938 era “Foo was here” (Foo è stato qui): questa frase, antecedente al suo compagno illustrato, utilizzata per la prima volta in Australia durante il primo conflitto mondiale, fece il giro del mondo moltiplicando i nomi del personaggio protagonista del graffito che, nelle sue origini britanniche portava l’appellativo di “Mr.Chad”, ma fu con quello Americano di Kilroy che divenne nel corso della seconda guerra mondiale un’icona, forte della sua semplicità anche nel dopoguerra. Kilroy arriva e perdura in tutti gli anni ‘50 anche come moda e se si intravedono ancora le sue origini nelle riproposizioni del nostro tempo, ne ritroviamo solo la forza della citazione ed il rispetto di aver aperto i fronti ad un popolo anonimo, a cui piace lasciare il segno. Negli anni ’60 nasce la “Tag”, una firma che riassume il concetto di “X was here”, un simbolo personale ed univoco che, con la sua matrice individualista, ha contribuito alla nascita della moda di lasciare il segno della propria presenza nei luoghi visitati. Queste “Tag” si diffondono prestissimo negli spazi metropolitani e subito acquistano il peso simbolico della riconquista di una città che, nel suo aspetto come nelle sue norme, era fin troppo a misura di una popolazione amante delle abitudini e dei ritmi scanditi dal lavoro, concezione generazionalmente troppo distante dalla mente dei giovani degli anni ’60, che amavano i luoghi ed i modi del grande rock. A coronare questo stimolo di ribellione giovanile fu l’invenzione della bomboletta spray, oggetto magnifico per coloro che erano già entrati nei pensieri di repressione delle amministrazioni; alla fretta del gesto si poteva finalmente aggiungere stile e, farlo senza lasciare tracce e senza pennelli o rulli sporchi nello zaino era un incentivo troppo grande per non trasformare la bomboletta spray in simbolo, icona di coloro che ora avevano una missione: rendere le città più belle, seppur a volte nel loro solo modo di vedere le cose, ma soprattutto renderle più colorate. Iniziarono a spuntare vagoni dei treni metropolitani di mille colori, anfratti periferici delle città, dove la criminalità si fondeva con il grigiore dei “quartieri-dormitori dei poveri”, iniziarono a diventare carta bianca per il messaggio di disagio, portato dalle situazioni di vita di strada, che le amministrazioni tentavano da anni di ignorare e nascondere ad ogni costo. Ora il costo iniziava a diventare imponente, ripulire le città diventò una spesa fissa nei libri contabili dei governi, e da sfogo, il graffito divenne lotta, la battaglia contro un nemico invisibile ma reale, come le vite di coloro che subivano passivamente le decisioni di uomini d’affari, prese nei piani alti di uffici amministrativi, in cui non si consideravano le difficoltà della popolazione, ma il bilancio. Gli omicidi pubblici di coloro i quali volevano cambiare le carte in tavola (J.F.Kennedy, M.L.King) non fecero altro che alimentare il divario tra i giovani e l’autorità; per quest’ultima, i giovani adolescenti, provavano una fortissima e comprensibile sfiducia, l’invito a prendere d’esempio dai loro genitori era in netto contrasto con i sentimenti di sfruttamento, che si potevano provare nella paura di una leva obbligatoria, che sarebbe potuta sfociare senza preavviso in una chiamata alle armi per questa o quell’altra guerra; conflitti che ovviamente in minima percentuale venivano percepiti come giusti o propri, crociate economiche che non avrebbero portato alcun beneficio a coloro i quali erano chiamati ad essere pronti a sacrificare la propria vita. Questo spaccato di scenario antropologico non vuole giustificare il vandalismo alle opere d’arte o l’illegalità dell’atto del dipingere sul muro, ma riconoscerlo è sicuramente un modo per comprendere le motivazioni di una generazione che, volendosi riappropriare della propria vita e dei propri spazi (per i quali non avevano voce in capitolo), iniziò una ribellione pacifica che, come tutte le espressioni pregne di sentimento, portò negli anni a venire a delle opere magnifiche. Questo si legò a doppio filo con l’utilizzo degli stupefacenti di fine anni ’60 e con la psichedelia degli anni ’70, apparirono i murales ed anche il mercato musicale, in quel periodo, si fregiò di quegli stili illustrativi per l’iconografia di molti dei dischi più famosi al mondo. Era diventata una rivoluzione culturale, le città potevano essere le tele dei nuovi pittori, anonimi per scelta ma con una voglia di esprimersi senza confini. Tanto che il museo, simbolo dell’arte istituzionale e canonica, era diventato la nemesi per eccellenza, anche perché nessun critico o gallerista ammirava JOBOK.EU/USER/CONCEPT 11 pubblicamente queste opere e rifiutava ogni nuova proposta di esposizione. Negli anni ’80 nacque la Crew, in italiano “cricca”, era il gruppo che condivideva una passione di strada, all’epoca con la nascita della Break Dance, erano molti i ragazzi che si riunivano in metropolitana; un cartone da imballaggio abbastanza grande, aperto ed appiattito a terra era il loro palcoscenico, la spinta non era mostrarsi al di fuori degli appassionati, ma perfezionarsi a ritmo di musica per sfidare a passi di Break le altre crew. Questo accadde anche per i nostri pittori di strada che si identificavano con delle tag collettive ed iniziavano a farsi chiamare Writers, letteralmente scrittori, ma inteso come coloro che praticano l’arte della bomboletta, della “scritta” sul muro; le loro crew, come quelle di Break Dance divennero territoriali e gli scontri a suon di graffiti 12 JobOK Magazine non furono più così pacifici. Era diventato un atteggiamento giovanile diffuso avere una propria banda, queste si dividevano principalmente per il modo di vestire ed erano rappresentative del territorio, del colore della pelle e delle passioni condivise, tanto che queste, oramai sempre in lotta, tentavano di avere sempre un predominio ideale sul territorio di appartenenza; proprio come nel film di Walter Hill “I guerrieri della notte” del 1979. Le amministrazioni avevano dei grandi problemi a tenere a bada le situazioni che si erano venute a creare, ma come al solito, il problema comportamentale passava in secondo piano rispetto al “degrado” che i writers imponevano alle strade, quindi nacquero due modi per affrontare la questione, uno accomodante che forniva ai ragazzi muri bianchi dedicati alla loro arte, muri che rimasero per lo più bianchi in quanto, lo stimolo adrenalinico che il proibito esercitava sull’idea di usare la bomboletta era parte integrante del piacere stesso di esprimersi in questo modo; l’altro metodo fu la repressione, poco efficace se non per l’unico esempio della città di Los Angeles, che con la sua “Tagnet-Graffiti Tracking System” riusciva, grazie a dei sistemi di tracciamento e localizzazione delle firme, ad individuare e perseguire gli autori. Nel nuovo millennio si è cercato un modo più evoluto di scrivere sui muri ed un modo altrettanto saggio di sfruttare la situazione a beneficio dei cittadini; anche se sono ancora presenti le tag, le scritte di sfogo, i murales individuali, le carrozze dei treni interamente disegnate dalle crew che ancora lottano per il territorio e lo fanno sovrascrivendo gli uni i disegni degli altri, oggi alcuni lavorano su commissione ed autori come Keith Hering o Banksy, nati da questa storia, sono entrati a far parte degli artisti riconosciuti e riconoscibili. Le forme dell’arte in strada si sono tanto evolute da diventare molteplici ed esempi eclatanti sono oggi in tutte le nostre città, commissioni per graffiti in edifici pubblici e privati sono state pagate cifre da capogiro, ma la spontaneità dell’ispirazione su strada rimane gratuita, imprevedibile e sempre a vantaggio di tutta la comunità; qualunque sia la visione di colui che rimane spettatore, l’unico obiettivo della Street Art è stato raggiunto, nessuno l’ha potuto evitare, nessuno lo potrà ignorare; il messaggio ormai è lanciato. Federico Massa JOBOK.EU/USER/CONCEPT 13 Da dove nasce la tua passione per la musica? Io e la mia dea, la musica, ci siamo incontrati molto presto: avevo circa quattro anni quando ho iniziato a canticchiare le prime note, grazie ai miei genitori che amano molto il cantautorato italiano e il rock del grande Elvis. Da bambino ero molto taciturno, non mi piaceva andare alla scuola materna, piangevo talmente tanto che l’unico modo per tranquillizzarmi era proprio l’ascolto della musica. Così avvenne il primo incontro con il canto: poiché a scuola non c’era un mangianastri, un giorno la maestra, conoscendo la mia passione per la musica, penso bene di farmi cantare dinanzi a tutta la classe; dentro sentivo una grande voglia di sfogarmi cantando qualsiasi cosa e in quel momento scattò in me qualcosa, non so cosa fosse, ma ricordo che mi fece sentire subito meglio, tutte le paure e insicurezze svanivano. Da quel giorno in poi io e la musica non ci siamo più separati. Scrivere musica mi serve per analizzare gli eventi e le emozioni che li accompagnano e le persone che incontro lungo il cammino della mia vita, in altre parole a capire ciò che sono, tra difetti e pregi, limiti ed orizzonti, desideri e rinunce. Sono un menestrello nato nelle periferie della città eterna, e quello che sono, lo devo moltissimo alla mia dea ed ai miei meravigliosi genitori. Come hai intrapreso Descrivimene le tappe? la carriera musicale? Come molti ragazzi appassionati di musica, ho iniziato da autodidatta, imitando con gli amici i nostri generi preferiti e idoli musicali; dai tredici anni, iniziai a lavorare saltuariamente con mia cugina, cantante di piano bar, la 16 JobOK Magazine quale mi portava con se a cantare a matrimoni e ricevimenti; queste occasioni sono state delle ottime opportunità per acquisire esperienza a stretto contatto con il pubblico. Un rapporto più diretto e costante con la musica è iniziato circa un paio di anni dopo, quando, insieme ad alcuni compagni della mia adolescenza, ho formato un gruppo di nome Dark Sevior, coverband dei Gun's and Roses, Europe, Nirvana e altri gruppi punk e rock. Avrei voluto studiare al conservatorio, ma la mia famiglia non poteva permetterselo, quindi ho continuato a coltivare e praticare la musica da autodidatta. Tuttavia non ho mai perso la speranza e la determinazione per raggiungere il sogno di diventare un’artista; mi resi conto di quanto fosse fondamentale uno studio serio e l’avere una guida. Così, dopo il diploma riuscii ad iscrivermi alla scuola privata Domani musica di Alberto Giraldi, (maestro di musica, direttore del conservatorio di Frosinone e pianista Jazz e classico), dove incontrai la mia insegnante Letizia Mongelli (cantante lirica e leggera, attrice di teatro, ed insegnante diplomata in vari metodi tra cui il voice craft), un guru per la mia carriera, colei che mi ha insegnato ad usare al meglio il mio corpo al pari di uno strumento musicale. Ma dopo un paio di anni non mi bastava più soltanto studiare le tecniche vocali, così, sempre nella stessa scuola, mi affiancai ad Alessandro Clementoni, musicista, chitarrista e arrangiatore, che mi ha insegnato a suonare la chitarra. Dopo un po’ di tempo iniziai a comporre melodie e testi che rispecchiavano il mio carattere a volte combattivo e a volte romantico. Durante le lezioni di chitarra descrissi ad Alessandro tutte le mie idee, così iniziammo a lavorarci su, giungendo poi alla produzione del mio primo brano, Una farfalla sopra un fiore singolo di punta del primo album La voglia di vivere, inciso con il mio gruppo i Libero Modo. Infatti per pubblicare il mio disco avevo bisogno di una band, ed è così che sono nati i Libero Modo (Fabio Celli ed Emanuele Marafini alle chitarre, Fabio Folchi alla batteria, Simone Miccoli al basso). Io scrivevo i brani e insieme al gruppo, nello studio Do it di Patrizio Palombi, altra persona fondamentale per la mia carriera oltre che amico fraterno, li arrangiavamo sotto la guida di Alessandro Clementoni. Dal 2007 al 2009 partecipammo in diverse città italiane a parecchi concorsi (emergenza rock, tour music festival, trofeo Mia Martini), esperienze divertenti e indimenticabili. Ma il “per sempre” è un’utopia, e la band si sciolse nel 2010, tuttavia ho mantenuto i contatti con Emanuele Marafini, musicista eccellente, che è diventato il mio chitarrista di fiducia, mi segue in tutti i live ed è collaboratore di quasi tutti i miei lavori. Nel 2010 ho intrapreso la carriera da solista con la registrazione del mio secondo album Il garzone di Periferia, con le collaborazioni per gli arrangiamenti di due grandi musicisti Fabio Raponi e Jacopo Ruggeri, il quale mi ha fatto conoscere sfumature del rock a me ignote e mi consigliava i gruppi da ascoltare e le linee armoniche sulle quali costruire un brano. Inoltre recentemente ho scritto per altri artisti: tempo fa scrissi un brano intitolato Una vita su due punte, storia del percorso artistico di una ballerina; quando ho deciso di rendere pubblico il brano ho scelto di farlo cantare ad una cara compagna di studi, Laura Ugolini, una voce con le sue caratteristiche si è rivelata perfetta per il tipo di brano, completamente diverso dal mio genere, ma metricamente simile nella scrittura del testo. Da poco ho finito di scrivere il mio terzo album e vorrei iniziare a registrarlo, i fondi scarseggiano, ma non mi arrendo, e la promessa che mi sono fatto tanti anni fa, di diventare un artista e un cantautore, l'ho mantenuta, perché non è la popolarità a rendermi tale, io non faccio il cantautore, ma sono un cantautore, questo è il mio modo di stare al mondo, poi per vivere faccio altro, ma la mia anima vive e vivrà sempre tra note e rime. Per questo numero abbiamo scelto il tema dell’arte come impegno civile e sociale. Prima di tutto vorremmo sapere qual è la opinione in merito per quanto riguarda la musica, soprattutto in relazione ad alcuni dei tuoi brani più importanti che appaiono come degli ottimi esempi di una musica impegnata: ho visto un mondo e Non rompetemi i coglioni. Parlaci di questi brani, soprattutto dei loro testi così densi di significato. Viviamo un momento molto difficile, soprattutto per i giovani, che sono per questo pieni di rabbia, che deve essere tramutata in un’energia positiva, che da la forza di non mollare, e non sfociare in violenza e condurre al degrado sociale. Nei testi di generi musicali attuali come il rap si respira quest'intensa negatività, molti giovani sfogano tutta la loro rabbia repressa con questo tipo di musica, ma ho l'impressione che in alcuni casi si arrivi addirittura ad ammirare la criminalità organizzata o giustificare la violenza delle strade di periferia. Personalmente sono nato e cresciuto in una borgata di Roma, ho perduto amici molto giovani e ne ho visti altri rovinarsi a causa della droga o della criminalità, ma non ho mai giustificato tutto ciò con l'oppressione del sistema e della società poiché certamente il male di questo sistema sociale non si può combattere perpetrando e commettendo il male a nostra volta. Per quanto riguarda i miei due brani, sono entrambi dei punti JOBOK.EU/USER/RICCARDO82 17 forti del mio ultimo album: per quanto riguarda il genere Ho visto un mondo è un brano prettamente rock, in parte ispirato alle sonorità dei Foo Fighters, mentre Non rompetemi i coglioni invece prende più spunto dal Punk o Ska. Il tema affrontato è simile: mentre il primo brano descrive una visione adulta dell'essere uomo nell'accento posto sulla politica e su tematiche ad ampio spettro sociale come la fame nel mondo e l'indifferenza dei potenti, il secondo è uno sfogo adolescenziale, descrivo la ribellione alle regole imposte da chi, al di fuori della propria famiglia, ci vuole indicare vie ormai superate e dannose per il progresso professionale e sociale dei giovani. Non rompetemi i coglioni si apre con la trovata geniale della nascita di un bambino, immaginiamo che sia tu quel bambino che si ribella alle regole del sistema sociale, ad una rigida educazione fatta di buone maniere e formalità? Qual è stata la genesi del brano? Da dove nasce questa ribellione al mondo che non vuole lasciarci liberi di vivere la nostra vita come meglio crediamo? Vorrei usare una similitudine per spiegare ciò che penso: quando nasciamo siamo una sorta di computer, ed il sistema socio-politico e culturale attraverso dei cd ci imposta da subito degli schemi di pensiero fissi e conformi al sistema; non sto dicendo che l'educazione vada eliminata ma impartita con criterio. Per quanto mi riguarda posso dire che ci sono alcuni aspetti che ritengo veramente inutili per il mio vivere perché mi rendo conto di quanto mi abbiano limitato 18 JobOK Magazine nell'elaborazione di un modo di pensare tutto mio; penso alle religioni, che mi sembra facciano tutt'altro che portare pace, o a certe famiglie che impongono anche nello stare seduti o nel parlare, delle regole rigide ma a mio avviso superflue, che portano soltanto ad un distacco nel rapporto tra genitori e figli. Anche se, per esempio, la sera cenavo sul divano con la mia famiglia, invece di stare composto a tavola, ciò non significa affatto che non sapessi come comportarmi in altre occasioni, perché con la mia famiglia ovviamente ho confidenza, so di poter parlare liberamente e di essere compreso. Un sistema educativo rigido, o quasi militare, non permette un adeguato sviluppo celebrale. Questo concetto l’ho appreso e compreso appieno quando un giorno mio padre mi disse una frase illuminate: “ti accorgi di quanto siano belli i figli quando hai il coraggio di lasciarli liberi di crescere e di vederli vivere, li capisci se sei stato un buon padre”. Avevo ventidue anni e avevamo appena fondato il gruppo, che scelsi di chiamare Libero Modo, ispirato per l’appunto da questa frase di mio padre. Il brano è più in generale anche uno sfogo contro la situazione di difficoltà lavorativa ed economica che opprime i giovani. Il titolo del brano è la risposta che io desidero urlare a coloro che decidono il destino delle vite altrui al solo scopo di lucro. Di Ho visto un mondo hai realizzato anche un interessante video musicale. Puoi descrivere e spiegare la simbologia in esso contenuta? Il video è stato realizzato grazie alla preziosa collaborazione del regista Claudio D'elia, è sua l'idea di raccontare la storia per immagini partendo dalla fine. Il video infatti inizia con la scena di un uomo legato con la camicia di forza in una cella di un manicomio al quale viene fatta una puntura che lo fa addormentare. L’uomo sogna il giorno in cui tornando a casa accende la tv, uno dei mezzi più pericolosi di quest'epoca, e vede il suo alter ego vestito da chef che prepara la ricetta per costruire il nostro paese: il ricettario è la costituzione italiana, ipocrisia, ignoranza, denaro sono gli ingredienti che prende dal frigo e mescola nel pentolone. La visione di questa scena lo fa diventare folle, nonostante la moglie, attraverso dei cartelli scritti, lo inciti a non arrendersi e a sognare. L’uomo capisce di essere rimasto caduto vittima dello schema del perfetto uomo medio italiano tutto casa, lavoro, divano, tv, famiglia, facile da governare, basta non togliergli la tv, il divano e il calcio. e tutto fila per il verso giusto. Ultima domanda: la musica italiana degli anni Settanta, periodo di grande fervore politico e culturale per il nostro paese, si è distinta tra le industrie musicali europee, per il periodo d’oro del grande cantautorato italiano impegnato (Guccini, Gaber, De André). Nella stato attuale in cui versa oggi la musica italiana, ritieni sia ancora possibile una musica socialmente e civilmente impegnata? Credi ci sia una tale libertà di dire ciò che si pensa, come fai tu nelle tue canzoni? Non credo che oggi ci sia un limite alla libertà d’espressione perché viviamo in un’epoca nella quale il sesso e altre cose che prima erano un tabù, oramai sono diventate motivi principali di attrazione per il grande pubblico. Mi spiace dichiarare ciò ma il motivo dello scarso successo della musica impegnata, sia degli anni Settanta sia contemporanea, non è da trovare nel sistema produttivo ma per l’appunto nel pubblico: se la musica che tratta argomenti socialmente utili e che cerca di far reagire un popolo addormentato, non viene ascoltata e comprata, i produttori non investiranno mai in questo tipo di musica; il produttore è un imprenditore che investe per guadagnare, cosa che interessa in realtà anche al cantautore, perché, al di la dell’aspetto artistico sicuramente importantissimo, fare musica resta comunque un mestiere. La ragione per la quale è andato perso quello spirito che aveva la musica di quarant’anni fa è che oggi in Italia riscuote successo la canzone che parla d’amore tra coppie perché come si dice a Roma “ce piace piagne”. Fortunatamente ci sono delle eccezioni: esistono anche attualmente dei cantautori validi che mantengono quelle caratteristiche (ad esempio seguo ed ammiro molto Fabrizio Moro), tuttavia non credo che sia solo una questione di epoca bensì di cultura, purtroppo gli italiani preferiscono ascoltare motivetti più semplici con tematiche meno impegnative ed è per questo motivo che artisti come De André o Gaber non hanno avuto il giusto successo che meritavano rispetto a tanti altri. Ma per fortuna la minoranza trova sempre il modo per farsi sentire; con questo non voglio giustificare il successo mancato di tanti cantautori o aspiranti tali, i quali forse non possiedono tutti le caratteristiche necessarie per divenire artisti affermati, tuttavia anche artisti di notevole talento non ottengono i risultati sperati pur essendo più meritevoli di molti altri di grande successo. Voglio infine ringraziare JobOk Magazine per questo spazio, e invito tutti i lettori a seguirmi sulla mia pagina ufficiale di JobOk Social Network. Giovanna Di Martino JOBOK.EU/USER/RICCARDO82 19 “ Da noi il cinema s’impara facendolo affrontando tutti i ruoli del set. ” Prima di morire devo confessare, scrivere la verità su questo foglio è l'ultima liberazione di un uomo, malato di vecchiaia, che voi conoscete come fondatore e primo ministro della Nuova Repubblica Italiana, ma che non ha sempre rivestito il ruolo più importante di questa nostra società. Ci fu un tempo in cui, da giovane dottorando in Fisica, lasciavo Roma per andare a proseguire la mia carriera accademica a Napoli, presso l'università Nuova Sacra Scienza, l'ultimo fulgido esempio di cultura nel nostro paese, dopo la Seconda Inquisizione la Chiesa Cattolica aveva ostacolato con tutti i mezzi l'insegnamento che non fosse indottrinato, e se prima si era dedicata all'antica pratica della censura dei libri proibiti e successivamente era riuscita nell'impresa di far fallire il più alto progetto di democrazia che l'uomo avesse mai visto e provato, Internet, ora con l'ultima università laica in Italia aveva stretto una tregua: per non morire, la Sacra Scienza di Napoli aveva lasciato la propria gestione didattica ed amministrativa ad un consiglio composto da delegati della Santa Sede. Nel l'ormai lontano anno 2270, avevo appena 28 anni ed ero pieno di speranze, arrivai a Napoli e l'università era ridotta ad un solo stabile, tutti gli altri erano stati venduti ad istituti corporativi o riadattati a centri per la povertà, e di povertà ce n'era molta, l'avvelenamento da onde elettromagnetiche aveva decimato la popolazione mondiale e solo coloro che potevano permettersi camere iperbariche private e rivestimenti isolanti nelle abitazioni mantenevano un tasso di purezza che non mettesse a rischio le loro vite. Oggi abbiamo la Nuova Lira (L²) mentre, allora in Europa la moneta vigente, l'Euro, ormai in declino, valeva molto meno del sangue da trasfusione, tanto che la Banca Centrale Europea (BCE) si trasformò nella Banca del Sangue d'Europa (BSE), il sangue fu catalogato in base all'avvelenamento, quindi una stilla di sangue del ricco valeva come sei sacche del sangue del povero; tutte le transazioni avvenivano in Sangue Elettronico, un chip impiantato sottopelle sostituiva ogni documento e, dal momento che si era smesso di produrre moneta fisica, era l'unico mezzo per pagare; i debiti di sangue contratti dai padri passavano ai figli e la povertà era strettamente connessa alle condizioni di salute. Io, nato fortunato da una ricca famiglia romana, senza grandi problemi di salute e con dei buoni contatti non ebbi problemi a diventare il professore più giovane dell'università, ero entusiasta del mio successo, e presi subito il mio lavoro con grande dedizione e così fu per i primi anni della mia brillante carriera. Gli studenti erano entusiasti delle mie lezioni ed anche se non facevo parte del clero avevo una JOBOK.EU/USER/CONCEPT 21 buona confidenza con il consiglio direttivo e con gli altri colleghi più anziani, un giorno, terminate le lezioni raccolsi le mie cose e mi avviai verso l'uscita dell'aula, quando, con la coda dell'occhio, nell'aula vuota riuscii a scorgere qualcosa che spuntava dal vano sotto l'ultima fila di banchi, allora risalii le scale dell'auditorium ed andai a tirare fuori quello che, mentre salivo i gradini, aveva preso la forma di un libro. Il libro che mi aveva fatto appassionare alla fisica, non era un testo che avevo segnalato agli studenti, in quanto era severamente vietato uscire dalle imposizioni della Chiesa, quindi pensai ad uno studente tanto distratto quanto intraprendente ed affine al mio modo di essere, aprii subito il libro per vedere di chi fosse e con mia incredulità, all'interno della copertina spiccava a chiare lettere il mio nome scritto nella mia calligrafia; ma come poteva essere possibile che questo libro, gelosamente custodito negli appartamenti dei miei genitori a Roma fosse apparso lì, pensai ad un innocente scherzo di qualche studente, ma abbandonai subito l'ipotesi ricordando a me stesso che questo testo era stato ritirato da ogni luogo, pubblico o privato e che casa nostra non era passata inosservata alle autorità per la quantità di testi, solo questo libro venne risparmiato dal rastrellamento perché, mentre i commissari inquisitori si impegnavano a caricare la massiccia libreria di mio padre, ebbi il tempo di nasconderlo nell'intercapedine del muro, dove ero solito nascondere una scatola piena delle lettere delle poche ma importanti fiamme liceali. Troppo pericoloso andare a Roma ed entrare nella mia vecchia camera solo per portarmi questo libro, per quanto coraggio ci fosse voluto a sfidare la Chiesa, casa dei miei genitori era estremamente protetta ed il viaggio non era esente da controlli e perquisizioni. E poi che senso avrebbe avuto, una minaccia? Questo "messaggio" voleva per caso indicarmi che mi stavano osservando da molto e che sarebbero potuti entrare nella mia vita quando desideravano? Avrebbero fatto del male ai miei genitori? Mi allarmai, infilai subito il libro in borsa guardandomi attorno per accertarmi di essere solo e corsi nella squallida struttura in cui ero alloggiato. Presi il telefono e composi il numero dei miei genitori, una voce gentile all'altro capo mi chiese di avvicinare il mio chip al ricevitore sul muro, lo feci come al solito, non avevo molti crediti, ma un'interurbana potevo permettermela ed in quella condizione d'ansia avrei fatto anche un debito per sapere se i miei genitori fossero stati bene. Squillava libero, ma nessuno rispondeva, quella stanza piccola e grigia sembrava schiacciarmi, non potevo permettermi niente di meglio; molte volte i miei genitori mi avevano chiesto di accettare i loro crediti, anche se lo stipendio da professore era esiguo non volevo pesare su di loro ed intendevo dimostrare con tutte le forze che ce l'avrei fatta da solo. Preso dall'agitazione provai di nuovo a chiamare e stavolta qualcuno rispose, la domestica, che mi diceva di attendere pochi istanti per parlare con mio padre. Mi tolsi un peso, tutto era normale a casa, mio padre stava bene e mia madre, sulla sua sedia a rotelle stava leggendo il giornale in giardino. Poco prima di agganciare mio padre mi informò che aveva trovato all'interno del muro della mia camera la scatola con i miei effetti personali e che aveva messo tutto da conto tranne una sorpresa che sarebbe arrivata presto al mio domicilio e che mia madre riteneva importante farmi avere come monito, a ravvivare sempre la passione in ciò che facevo. Capii ed attaccai. Mio padre aveva smosso mari e monti per farmi avere il libro, era una questione sentimentale, ma chi lo aveva portato in classe, e come, ma soprattutto perché. Andai a dormire frastornato dai dubbi sulla faccenda. Mi svegliai di soprassalto, un incubo terribile aveva disturbato il mio sonno, ero stato accusato dalle autorità, mi avevano cacciato dall'università e non potevo più insegnare; tutto per colpa di quel maledetto libro. 22 JobOK Magazine Guardai all'orologio ed era troppo presto per alzarmi, non avevo sonno ed ero troppo agitato, così presi il libro dalla borsa per riflettere su quali capi d'accusa, oltre al possesso di un testo messo all'indice, potevano imputarmi e dal libro cadde un piccolo fascicolo, pensai di averlo rotto e nonostante tutto mi dispiacque, quando da seduto sul letto mi piegai per raccoglierlo mi resi conto che si trattava di una copia rilegata, le fotocopiatrici erano ormai storia ed in vita mia non ne avevo mai vista una. Aprii il fascicolo e subito notai l'assenza delle righe da censura, controllai la data di edizione e mi stupii di vedere fotocopiata un'edizione pre-indice. Mi alzai dal letto e chiusi a chiave la stanza. Emozionato ed eccitato da quel sapere proibito mi misi a leggere voracemente il contenuto, una magnifica prefazione; già all'epoca avevo stimato l'autore pur essendo privato dei commenti personali e delle frasi filosofiche, ma questo era veramente il massimo, stavo leggendo un'introduzione alla fisica che parlava di filosofia assieme a stati della materia, teoria dei quanti assieme alla fantascienza letteraria e televisiva. Un balsamo per l'anima, questa introduzione usciva dai canoni dell'epoca per spiegare la scienza, sì con la matematica, ma anche con la poetica di mezzi antichi e proibiti come la televisione. Per un attimo, preso da questo mio personale Romanticismo, dimenticai la paura e la sostituii con un misto di gratitudine e curiosità grazie alla frase che trovai alla fine di quelle pagine; scritte a mano, da quello che poteva intendersi un pugno femminile, queste parole: "Se vuoi sapere di più" seguite da una lunghissima sfilza di puntini di sospensione. Dovevo subito andare in fondo alla faccenda, quindi rinunciai a fare la barba e mi misi a sfogliare il mio libro, alla ricerca di qualche indizio, tutto regolare, pieno di cancellature nere come lo ricordavo, rimpiansi le parole lette nel fascicolo e rilessi la frase scritta a mano, che avesse avuto un significato recondito? Nulla, solo tutti quei puntini. Ad un certo punto mi misi per disperazione a contare I puntini, in totale 53, mi dissi che valeva la pena provare ed andai a pagina 53 del mio libro. Qualcosa di strano c'era, era come sempre pieno di linee di censura, ma questa pagina in particolare era una pagina d'esempio piena di calcoli, che senso avrebbe avuto censurarli...segnai ciò che non era cancellato sulla mia agenda e rimisi tutto a posto, era ora di uscire ed io ero ancora in mutande. Nonostante la fretta arrivai in netto ritardo e, come potevo aspettarmi dai miei studenti, questi erano tutti in cerchio intorno ad un manichino steso a terra contornato da una sagoma bianca e dalle formule per calcolare la velocità dell'ipotetico impatto, volevano scherzare sulla nostra ultima lezione, ma prontamente presi la palla al balzo per correggere le formule e per dare loro un esempio di lezione creativa. Non feci in tempo a terminare la lezione che un delegato del consiglio didattico, un ometto baffuto che non avevo mai visto in giro, entrò in aula chiedendo di presentarmi quanto prima nell'ufficio del rettore, il panico riprese il suo posto alla bocca del mio stomaco. I ragazzi stavano uscendo quando decisi che dovevo quanto prima risolvere la questione, qualsiasi fosse stato l'esito, sarebbe stato preferibile affrontarlo subito, più che rodermi ancora dentro con il dubbio; scansai gli ultimi in fila per uscire e mi avviai a grandi passi verso gli uffici, ero fregato, in cuor mio lo sapevo, e già pensavo a cosa avrei potuto usare come scusa, non avrei mai dovuto accennare al libro ed avrei negato tutto il negabile, nella speranza che non avessero delle riprese inoppugnabili. Bussai, entrai e, con una finta aria di innocenza, chiesi il motivo per il quale ero stato convocato tanto di corsa, il rettore, un uomo sulla sessantina, alto, distinto, volto alla finestra e con le mani dietro la schiena si rivolse a me senza girarsi; il colloquio verteva sulle mie capacità di "empatizzare" con gli studenti e sulla necessità di mantenere il "rigore accademico", che situazioni di ritardo come quella di oggi non dovessero più verificarsi in quanto "noi professori" avremmo dovuto per primi dare un JOBOK.EU/USER/CONCEPT 23 esempio di "irreprensibilità". Al rettore piaceva da morire sottolineare le parole chiave del discorso e più erano ricercate più provava piacere nel rafforzarle con il suo più solenne tono di voce. Il monologo continuò ancora per un po' su questo tema, poi all'improvviso, come se ciò che avesse appena detto potesse essere condizione necessaria e sufficiente di quello che aggiunse dopo, cambiò registro e divenne cordiale, tanto che, mettendomi una mano sulla spalla, mi volle convincere dell'importanza della mia professione e della passione con la quale era svolta, si adombrò e mi raccontò di strani movimenti di alcuni miei colleghi più anziani, di ragazzi che avevano degli atteggiamenti poco chiari, disse il tanto che gli ci volle per introdurmi la domanda che voleva pormi da quando avevo varcato la soglia: avevo per caso notato qualcosa di strano ultimamente? Ovviamente la mia risposta fu un pensoso no, ma ciò che mi girava in testa erano le immagini del mio libro alla mercé di chiunque in quell'aula, della magnifica introduzione che, poetica, ancora mi risuonava nella memoria, alla frase enigmatica alla fine del fascicolo ed alla nota che quella mattina avevo preso sulla mia agenda. Non dissi niente, come mi ero ripromesso cercai di non tradirmi con le parole, ma forse le mie espressioni mi contraddicevano ed il rettore mi congedò con curiosa cortesia, colma di atteggiamenti melensi, usi solo a coloro i quali devono nascondere i propri dubbi o intenti. Uscii dalla porta ed asciugai il sudore sulla mia fronte con un fazzoletto tirando un sospiro di sollievo, il rettore voleva tastare il terreno, rendersi conto di ciò che sapevo, ma fortunatamente, in quel momento, non sapevo nulla, non che la mia ignoranza potesse durare a lungo, ormai mi sentivo all'interno di una trama, come i protagonisti dei libri proibiti, avventure che mio padre si sforzava di raccontarmi quando ero bambino. Andai nel bagno e chiusi dietro di me la porta a chiave, aprii la borsa e portai l'agenda alla pagina dove avevo scritto l'annotazione dedotta dal fascicolo, di nuovo una sorpresa, le due lettere che avevo riportato seguite da un punto ed altrettante cifre erano state corredate in testa da un'ulteriore lettera ed in coda da un'altra cifra, con un messaggio che, nella stessa calligrafia di quello sul fascicolo, lo completava con la frase "...puoi trovarci qui". Ero esaltato dall'idea di incontrare coloro che desideravano a tal punto essere trovati da me e collegai subito il codice sulla mia agenda ad una classificazione bibliotecaria; quindi mi recai in biblioteca ma nessun libro aveva più alcun catalogo, tanto pochi ne erano rimasti; chiesi allora informazioni al custode della biblioteca che, prontamente, mi confermò che i libri non avevano più catalogo dall'ingresso del clero nel consiglio direttivo universitario, ma che se gli avessi riferito il codice avrebbe provveduto a controllare nel suo registro se quello fosse un testo ancora presente in magazzino. Sicuro che nulla avrebbe rivelato al custode del mio libro proibito provai a dargli quel codice di riferimento, questo aprì un enorme tomo contenente molte righe cancellate, capii che i titoli cancellati furono tempo addietro ritirati dalla censura ed attesi, senza alcuna speranza, il verdetto del custode riguardo il testo da me cercato. Dopo qualche minuto di attesa, il custode chiuse il libro e lo ripose sotto il suo bancone, del tutto inaspettatamente mi disse di seguirlo; riaccesa la mia smania di sapere lo seguii ascoltandolo raccontare di un ripostiglio dove erano stipati i titoli che non erano stati ritirati ma che erano comunque stati dichiarati non idonei dal consiglio didattico, entrammo dentro una stanza buia e mi chiese di attendere che avesse riattivato la corrente alle lampade. Mi risvegliai con un fortissimo mal di testa in una stanza asettica, sdraiato su una branda facevo fatica a tenere gli occhi aperti, le luci accecanti mi misero in difficoltà e ci misi un po' ad abituarmi, allora mi misi seduto, quando entrò lei. Una ragazza magnifica, dai capelli castani e gli occhi verdi, non ricordo se fu per la botta in testa da cui mi ero appena risvegliato o per il fascino di quella 24 JobOK Magazine ragazza che non afferrai una parola di ciò che mi disse, l'unica cosa che compresi fu che appena mi fossi sentito pronto potevo cercarla in biblioteca e che nel frattempo dovevo leggere un foglio che mi era stato lasciato su un tavolino ai piedi del letto. Appena mi ripresi lessi il foglio alla mia sinistra, un'altra fotocopia, questa volta di un manoscritto miniato che sembrava antichissimo, era bello ed emozionante solo guardarlo: con una lingua dimenticata raccontava una leggenda, la profezia che riguardava un certo Federico II di Svevia, imperatore del sacro romano impero, questa non ne descriveva né la vita né la morte, ma ne preannunciava il ritorno sulla terra dei vivi, mille anno dopo la sua dipartita. Non capii cosa potevo fare io con queste parole, se non ammirare la maestria con la quale erano state scritte. Mi alzai e mi diressi fuori, un corridoio suddivideva decine di stanze piene di ragazzi di tutte le età dediti all'apprendimento delle materie più varie e giovani che, con convinzione, insegnavano dalla pittura alle arti marziali, dalla musica alla matematica. Ogni porta a vetri che passavo mi appariva come una finestra su quel mondo utopico, poetico e bellissimo che nemmeno lontanamente avevo mai avuto l'ardire di sognare. Le meravigliose stanze finirono e mi ritrovai catapultato in un luogo che di asettico aveva nulla, un'immensa sala colma di libri alle pareti con tavoli in legno per lo studio, avevo trovato la biblioteca. Con lo sguardo cercai la ragazza di poco prima, ma fu lei a spuntarmi dietro le spalle e con un bellissimo sorriso mi disse: «Ha letto la pagina che le ho lasciato, professore?» io risposi «Si, ma non ho capito il motivo di tanta fatica, per incontrarmi sarebbe bastato un colloquio, non crede signorina che una botta in testa con rapimento annesso sia un tantino eccessivo?» lei nascose una graziosa risata dietro il palmo della sua mano, ma a me la situazione non faceva ridere affatto quindi mi accigliai e proseguii nell'apologia di me stesso «Il solo fatto di avermi mostrato cose tanto proibite quanto stupefacenti non vi dà il diritto...Maledetto bastardo traditore!» mi scappò dalle labbra un insulto mentre infuriato mi lanciavo contro il custode della biblioteca che, cambiato d'abito, stava arrivando nella nostra direzione, neanche riuscii a sfiorarlo che questo, con l'estrema naturalezza di un solo movimento, mi sollevò e mi accompagnò gentilmente a terra sostenendomi per un braccio e disse «Professore, mi deve scusare per l'incontro di questa sera, ma era necessario portarla qui senza destare sospetti» io, sbigottito dall'abilità con la quale ero stato arrestato, non riuscii a ribattere nulla e la mia rabbia svanì di colpo «Professore, ha già conosciuto Franco Viti, custode della biblioteca dell'università Nuova Sacra Scienza, ex incursore della marina militare, capo della sicurezza di questa struttura e maestro di arti marziali dei Ragazzi di Puglia» ancora stordito da quella fulminea sconfitta abbandonai le polemiche e mi affidai all'aiuto che mi offrì Franco porgendomi la mano per rialzarmi e nel mentre chiedevo «Ragazzi di Puglia?» la ragazza rispose «Professore, venga con me, avrà tutte le risposte che cerca» Franco si rivolse alla ragazza e disse «Sono venuto a dirvi che il Magnifico vi riceverà alle ventidue zero-zero» e continuò rivolgendosi a me «sono onorato di aver fatto la sua conoscenza professore, ora devo andare, ci saranno sicuramente altre occasioni per parlare ma ora è meglio che la lasci nelle buone mani di Lelia» batté i tacchi portandosi per un attimo la mano alla fronte verso Lelia e si allontanò da noi. Feci in tempo a girarmi verso la splendida Lelia che lei disse: «Mi chiamo Aurelia, ma qui tutti mi chiamano Lelia, sono nata il 13 Dicembre del 2250 e sono una Ragazza di Puglia. Mi segua, devo raccontarle tutto, ma non c'è molto tempo, il Magnifico ci riceverà tra poco» Ci avviammo verso un tavolo dove già era aperto un antico tomo dalle dimensioni enormi ed io chiesi di nuovo chi fossero i Ragazzi di Puglia, Lelia mi rispose «Va bene, iniziamo da qui, i Ragazzi di puglia sono un gruppo di JOBOK.EU/USER/CONCEPT 25 giovani della mia stessa età condannati a morte dalla Chiesa per essere nati il 13 Dicembre 2250, ha presente il foglio che le ho lasciato in camera? Quello riguardante la profezia di Federico II di Svevia? Ebbene, l'imperatore del Sacro Romano Impero Federico II di Svevia, nipote del grande conquistatore Federico Barbarossa, era un filantropo amante delle culture esotiche, mecenate di ogni arte e fondatore dell'università che oggi conosciamo come Nuova Sacra Scienza, ma che fino a duecento anni fa era intitolata proprio a Federico II. Oggi il nome di Federico II è stato cancellato da ogni testo ed ogni libro che riguardasse la sua figura è stato messo al bando e bruciato nel nome di Dio a causa della profezia che recita la reincarnazione di Federico II a mille anni dalla sua morte, anche noi crediamo in questa profezia e speriamo si avveri per avere finalmente in Italia e nel mondo un uomo che con il suo spirito gentile e la sua luminosa intelligenza ci guidi verso tempi migliori. Federico II era chiamato anche Stupor Mundi, meraviglia del mondo e Puer Apulie ovvero ragazzo di Puglia, da qui deriva il nostro nome in quanto Federico è morto il 13 Dicembre dell'anno 1250, esattamente mille anni prima della mia nascita e di quella di tutti i Ragazzi di Puglia. Anche la Chiesa ha preso molto sul serio la profezia, in quanto essendo Federico un Imperatore non asservito alla Chiesa, cosa molto atipica per quel tempo, venne scomunicato per non aver partecipato attivamente alla Crociata contro i musulmani e venne bollato come eretico perfino da Dante Alighieri che lo inserisce nel Sesto Cerchio dell'Inferno, La Chiesa ha interpretato la profezia dichiarando che mille anni dopo la morte di Federico II, data la sua resurrezione sarebbe tornato come Anticristo e quindi ogni bambino nato il 13 Dicembre 2250 avrebbe avuto per nascita una condanna a morte, nel tentativo di scongiurare ogni evenienza. Se conosce le Sacre Scritture ricorderà certo cosa fece Erode alla nascita di Gesù bambino, riesce a cogliere l'ironia della vittima che si fa carnefice?» e continuò «Ora non sappiamo chi tra noi sia la reincarnazione di Federico II di Svevia, ma siamo vivi grazie a coloro che ci hanno istruiti ed addestrati fin dal giorno della nostra nascita e combattiamo coloro che tentano di riscuotere le taglie sulla nostra testa, questi si fanno chiamare I Guardiani del Sesto Cerchio e sono convinti che ucciderci non sia omicidio, ma rimandare Federico II al posto che gli spetta tra i dannati dell'inferno. L'ordine dello Stupor Mundi ed i Guardiani del Sesto Cerchio si preparano da centinaia di anni per combattere questa guerra e finora sono riusciti a decimare le nostre fila, noi Ragazzi di Puglia non siamo rimasti in molti, ci siamo tutti accentrati in questa struttura, sicuramente avrà visto le lezioni venendo qui, gli studenti sono i figli della povertà, coloro che non possono permettersi di studiare, qui, trovano l'istruzione e l'arte che, proibita, non potrebbero trovare altrove, gli insegnanti siamo noi.» Guardò l'orologio da polso e disse: «Si è fatta l'ora, dobbiamo andare dal Magnifico.» Presi tutto ciò che Lelia diceva con grande interesse, non ero a conoscenza dell'infanticidio, ma non potevo negare che tutto ciò poteva essere plausibile, la Chiesa controllava tutta l'informazione, dopo la Seconda Inquisizione, atto eclatante di viltà contro l'arte e la cultura ci si poteva aspettare di tutto. L'unica cosa che non riusciva a convincermi era la storia della profezia, che a giustificazione del fanatismo religioso funzionava, ma che non aveva nessuna connessione con la mia persona. Perché ero lì? Fine primo capitolo Federico Massa 26 JobOK Magazine JOBOK.EU/USER/ALEXPERUCCI 27 «L’arte ha valore per la sua capacità di perfezionare la mente e la sensibilità, più che per i suoi prodotti finali» Fred Gettings, 1966 Nei secoli l’uomo ha sempre dato un valore speciale all’arte per invocare forze propiziatorie, capaci di ottenere, per esempio, una grande pioggia, dopo mesi di siccità e di aver un buon raccolto, per celebrare la “grandezza” di un Dio, di un popolo, di una persona, per comunicare emozioni. I graffiti che spesso venivano fatti nelle caverne erano le prime rappresentazioni del mondo spirituale, delle giornate di caccia, e sono per noi testimonianza del valore eterno che è l’arte come comunicazione. L'arte è “a mediazione corporea”, cioè attraverso il corpo e le sue sensazioni visive, acustiche, tattili, olfattive, attraverso l’organizzazione dello spazio e la percezione il soggetto esprime emozioni e, insieme ai processi cognitivi, si da forma all’esperienza, grazie all’utilizzo di linguaggi creativi diversi e processi di simbolizzazione. L'arte è, in poche parole, l’utilizzo di questi linguaggi, in cui, l'organizzazione dell'esperienza sensoriale si carica di contenuti profondi interni al soggetto. In questo modo, i sensi diventano “porte d’ingresso” attraverso le quali l'uomo fa esperienza del mondo, interiorizzandolo dentro di sé, lo rielabora in una rappresentazione mentale soggettiva per poi restituirlo e comunicarlo di nuovo all'esterno, in un processo circolare. L’arte diventa strumento per arrivare nel profondo dell’essere umano e carpirne l’essenza, ma anche la sofferenza. E’ in grado di curare le ferite più profonde. «Gli uomini - come scrisse Kandinsky in Lo spirituale nell’arte nel 1912 - hanno reazioni diverse nei confronti delle forme espressive, uno è più sensibile alla musica…, un altro alla pittura, il terzo alla letteratura...le energie racchiuse nelle varie arti sono fondamentalmente diverse e quindi la loro somma rafforza il loro influsso sull’uomo». Ognuno di noi ha un canale espressivo preferenziale ed è proprio quel canale che permette alle emozioni di seguire un flusso dall’interno all’esterno e viceversa. Pittura, scultura, musica, poesia, teatro, danza e le altre nuove forme artistiche fanno parte del grande mondo delle arti-terapie. Cos’è l’arte-terapia? Come può un laboratorio creativo, un corso di teatro-terapia diventare una cura per processi disfunzionali attivi nella mente della persona sofferente, o in generale, di un disagio psicologico? L’arte in sé crea ben-essere, crea emozioni sia in chi la JOBOK.EU/USER/SIMONA 29 guarda e la apprezza, sia in chi la produce, poiché essa è uno strumento di comunicazione di noi stessi al mondo. Il processo creativo, messo in atto nel fare arte, migliora la qualità della vita. Attraverso l'espressione artistica è possibile aumentare la consapevolezza di sé, affrontare problemi che causano stress e/o disagio, esperienze traumatiche, allenare le abilità cognitive e, non ultimo, provare il piacere che la creatività porta con sé. Come scrisse Bernie Warren in Arte-terapia in educazione e riabilitazione: Nell'atto di creazione di ciascun individuo l'arte nutre l'anima, coinvolge le emozioni e libera lo spirito, e questo può incoraggiare le persone a fare qualcosa semplicemente perché vogliono farlo. L'arte può motivare tantissimo, poiché ci si riappropria, materialmente e simbolicamente, del diritto naturale di produrre un'impronta che nessun altro potrebbe lasciare ed attraverso la quale esprimiamo la scintilla individuale della nostra umanità. L'arte-terapia utilizza tecniche e metodologie a mediazione artistica, come le arti visive, la musica, la danza, il teatro, lo psicodramma, la costruzione e 30 JobOK Magazine narrazione di storie come mezzi terapeutici, per arrivare alla realizzazione della persona nella sfera deficitaria (come può essere quella emotiva, affettiva e relazionale) che ha subito un blocco, un’empasse e per questo crea squilibrio e non fa proseguire la persona nel suo stato di benessere. Quante volte le difficoltà, che possono essere lavorative, relazionali, familiari, ci pongono in una posizione inerme di passività, dove la situazione di disagio tende a prendere le redini della nostra vita e sembra che il nostro ruolo sia solo ed esclusivamente subire. Qui entra in gioco l’arte-terapia come intervento di aiuto e sostegno alla persona, la quale tende ad riattivare, attraverso alternativi modi di comunicazione, la persona, rendendola di nuovo non solo partecipe della propria vita, ma protagonista del cambiamento. Un cambiamento che aumenta l'autostima e che ci fa percepire come individui capaci di fare e di esprimere in un contesto di relazione con il gruppo nel quale si è inseriti, facilitati dall’intervento dell’arte-terapeuta. L’arte-terapia, intesa come attivatore di risorse interne, già presenti in noi stessi, offre, così, la possibilità di elaborare il proprio vissuto, dandogli una forma, un colore e di trasmetterlo in modo creativo agli altri. Si tratta di un processo in divenire del portare fuori da sè per far emergere una consapevolezza e una conoscenza nuova di aspetti dei nostri vissuti interni mediante la praxsis espressiva, l'osservazione ed il confronto con il gruppo. A proposito dell’osservazione e del confronto c’è da rilevare che tutta l’attenzione è posta agli aspetti artistici ed espressivi, senza però dare un’interpretazione del significato stesso del prodotto, poichè è nell'atto creativo che il processo diventa terapeutico e non nell’opera finita. Certo è che l’arte-terapeuta è in grado, grazie alla sua formazione, di dare un senso “psichico” al prodotto e sarà in grado di restituirlo alla persona per aiutarla a fare chiarezza e decifrare la sua realtà. Per poter partecipare ad un laboratorio di questo genere non sono richieste abilità artistiche particolari o esperienze precedenti in ambito artistico perché lo scopo non è legato al giudizio estetico del prodotto ma l’aspetto fondamentale è l’espressione delle emozioni e di se stessi attraverso l’arte. Anche solo un segno o un insieme di colori e linee apparentemente senza senso è manifestazione autentica di un sentire profondo e come tale, acquisisce un valore inestimabile. Per tutti coloro convinti che un percorso arte-terapeutico sia indirizzato solo a coloro che sono in situazioni di sofferenza e grave disagio o solo alle persone diversamente abili, è tempo di scardinare questi pregiudizi. Tutti possono partecipare, soprattutto chi vuole sperimentare, mettersi alla prova, ritrovare se stessi, affrontare momenti di forte stress, o solo ottenere maggior benessere. Non si tratta di atelier o di corsi di pittura, danza, teatro di matrice esclusivamente didattica, ma di un percorso personale in grado di coniugare le procedure e la teoria artistica con declinazioni e aspetti specificidella psicoanalisi, della pedagogia, dell'antropologia, uniti in una sola disciplina, l’arte-terapia. Condividere questo tipo di esperienza, mette le persone in grado di esprimersi attraverso lo scambio di ricordi, stati d’animo, emozioni, immagini reali e fantastiche e raccontare se stessi al gruppo. Attraverso l’esperienza di un’altra persona possiamo riconoscerci, sentirci vicini, percepire di non essere soli nella nostra sofferenza e, condividendo con gli altri la nostra esperienza, possiamo migliorare la qualità della nostra vita. Tutto questo avviene in un ambiente sicuro e protetto, in cui l'attività è facilitata dalle relazioni fra l’arte-terapeuta ed il gruppo stesso, aspetto fondamentale in quanto instaurare queste relazioni rende l’arte-terapia un perfetto strumento di benessere. Simona Lo Piccolo JOBOK.EU/USER/SIMONA 31 Il 25 agosto 1968 una rumorosa band proveniente da Detroit si esibisce contro una convention democratica di Chicago. In questo momento gli Stati Uniti stanno vivendo uno dei periodi più difficili dai tempi della guerra di secessione: il '68 è infatti l'estate delle rivolte urbane, cominciata con gli assassini di Robert Kennedy e Martin Luther King. La convention dei democratici doveva trovare un sostituto a Kennedy, ma venne organizzata una grande manifestazione per protestare contro il candidato prescelto, il senatore George McGovern. Insieme a diversi intellettuali intervengono cinque rockettari che, con un suono aggressivo e disturbante riusciranno ad esprimere a volumi altissimi tanta aggressività repressa. La doppia chitarra del duo Wayne Kramer/Fred 'Sonic' Smith, unite alla voce dilatata di Rob Tyner, una sorta di Elvis in versione estrema, danno vita al cosiddetto proto-punk, una personale miscela di rock'n'roll e primissimo heavy metal. Completano la formazione Michael Davis (basso) e Dennis Thompson (batteria). La valanga di watt derivante dai loro amplificatori strega il rivoluzionario americano John 34 JobOK Magazine Sinclair spingendolo a reclutarli come evangelisti musicali del suo movimento radicale di sinistra denominato White Panters (un gruppo di studenti bianchi che lottavano sia per i loro diritti che per quelli dei neri): il suo obiettivo, una volta divenuto manager, sarà quello di utilizzare la musica della band per far passare le proprie idee politiche. Banditi dalla guardia nazionale, che impedisce loro di accedere al Lincoln Park con un camion sul quale avrebbero dovuto esibirsi, la folla insorge scatenando cinque giorni di guerriglia urbana che porteranno a numerosi arresti e feriti tra manifestanti e forze dell'ordine. Anche se è solo uno dei tanti episodi di violenza di quell'estate, quel giorno il mondo scopre gli MC5 (abbreviazione di 'Motor City Five') che, col live Kick Out The Jams (1969), diventeranno una leggenda del rock più sovversivo ed estremista. Registrato la notte di Halloween del 1968, questo devastante live è un elettroshock politico-musicale, specchio di un cambiamento epocale, nella musica come nella società. L'attacco di Ramblin' Rose, l'assalto frontale di Borderline e la terribile Rocket Reducer No. 62, apice della rabbia iconoclasta del quintetto, rendono questo disco un punto di rottura tra il prima e il dopo nella musica rock. All'inizio degli anni '70 qualcuno non condivide più l'attitudine artistica e di vita delle rockstar cercando di tornare alle motivazioni originarie, al vero spirito del rock'n'roll. Il fallimento degli ideali della Woodstock Generation porta ad un totale distacco tra performer e spettatore, celebrando il passaggio dall'underground al mainstream. Se con Star Spangled Banner Jimi Hendrix aveva evocato con un suono incendiario le mitragliate dell'esercito americano in Vietnam, decretando (in musica) il fallimento dell'esportazione democratica, poco dopo verrà elevato a rockstar intoccabile, fagocitato dalla tanto odiata industria discografica. Alla pari di New York, che nei primi anni '70 si trova in uno stato di degrado strutturale, economico e sociale, il contesto inglese nel 1975 non se la passa meglio: una parlamentare di nome Margaret Thatcher è leader del Partito Conservatore diventando, solo qualche anno dopo, Primo Ministro inglese. La recessione economica e la disoccupazione, mai così alta dal 1940, aumentano le tensioni politiche e sociali generando paura, rabbia e odio razziale nelle strade. La rottura tra padri e figli è sancita dall'atteggiamento di due aspiranti musicisti: un 19enne coi capelli tinti di verde di nome John Lydon (futuro Johnny 'Rotten' per via dei suoi denti marci), frequentatore di un locale feticista chiamato Sex che indossa una t-shirt dei Pink Floyd con su scritto “Io odio i”; ed un suo amico e coetaneo che, durante un programma quotidiano per famiglie, litigherà in modo così acceso col 50enne presentatore da far salire in soli due minuti lo share alle stelle. Si chiama Steve Jones e, insieme a John ed altri amici (tra cui Sid Vicious, entrato purtroppo nell'olimpo delle rockstar morte prematuramente) fanno così la loro prima apparizione pubblica come membri di una emergente rock band. Gli insulti al suddetto intervistatore, di nome Bill Grundy, costeranno ai 'giovani teppistelli' una denuncia in parlamento e diversi articoli sui quotidiani nazionali: su tutti il Daily Mirror che titolerà: «The Filth and the Fury!» (Oscenità e violenza!). In poco tempo l'episodio diventa JOBOK.EU/USER/ELVIS1979 35 l'argomento più chiacchierato in giro e la loro musica sarà sovvertitrice delle regole musicali, sociali e comportamentali, ispirando la già nascente controcultura giovanile: nasce così il punk dei Sex Pistols. Il nome deriva dal già citato Sex, un locale stravagante di un certo Malcolm McLaren, in cui la sua fidanzata (Vivienne Westwood, poi soprannominata 'la stilista del punk') si occupa della realizzazione degli abiti. E' qui che nasce la moda punk ed il proprietario, poi manager dei Pistols, è una sorta di pensatore rock con idee per l'appunto rivoluzionarie. Nel 1970 scrive un manifesto che profetizza una delle massime del futuro movimento: «Siate infantili, irresponsabili ed irriverenti. Siate ogni cosa che la società detesta». Nato in un celebre quanto squallido locale di New York denominato CBGB And OMFUG (Country Blue Grass Blues And Other Music For Uplifting Gormandizers) in cui, a dispetto del nome che richiama a generi tradizionali come country e bluegrass, si esibiscono molte band simbolo del nascente punk americano (tra cui i famosissimi Ramones), il movimento punk esploderà in modo chiaro e definitivo nella Londra di metà anni '70. Se di fatto in America è un'alternativa alla violenza di strada, in Inghilterra la musica la fomenta e la rappresenta, perché al disagio sociale non c'è speranza, messaggio sintetizzato proprio dai Sex Pistols in uno slogan che non lascia scampo: «No Future» (contenuto nel brano God Save The Queen). Generatosi nelle periferie di Londra, il punk offrirà ai teenager proletari un disperato punto di riferimento, una nuova controcultura disprezzata dalla società borghese. Vestiti di borchie ed anelli, i ragazzi londinesi scaricano l'adrenalina provocata dai Pistols scagliandosi uno contro l'altro, 36 JobOK Magazine sputando verso i musicisti sul palco come forma di apprezzamento per i loro testi, mettendo in secondo piano la tecnica e gli arrangiamenti. Il primo singolo dei Sex Pistols, uscito per l'etichetta EMI nel 1976, s'intitola Anarchy in the UK che, eseguita in un concerto alla University of East Anglia, viene interrotta dalla scuola con la motivazione della 'pubblica sicurezza'. Le note del brano, in cui un allucinato Johnny Rotten urla di essere un «anticristo anarchico» risulteranno un duro affronto alle istituzioni oltre che un motivo in più per separarsi dalla casa discografica, la EMI. Un altro brano-slogan che farà la storia della band è la già citata God Save The Queen, pubblicata nel 1977 in coincidenza col giubileo della Regina Elisabetta. Anche se il messaggio è già ben espresso nel brano, i Pistols non vogliono manifestare il dissenso solo attraverso la musica, ma deridere la ricorrenza dei 25 anni di reggenza di Elisabetta II attuando una protesta alquanto singolare: s'imbarcano su un battello e navigano sul Tamigi cantando il loro nuovo inno. Le parole, così tradotte, non lasciano equivoci: «Dio salvi la Regina e il regime fascista, ti hanno instupidito e trasformato in una bomba... Dio salvi la Regina, non è un essere umano, non c'è futuro per il sogno inglese, nessun futuro per te, nessun futuro per me». A questo punto interviene la polizia, la band fugge ed il loro manager viene arrestato. Nei giorni seguenti i membri dei Sex Pistols saranno vittime di assalti e pestaggi, situazioni che li porteranno in breve tempo allo scioglimento. Sia Anarchy in the UK che God Save the Queen finiscono nell'album simbolo dei Sex Pistols, intitolato Never Mind The Bullock's che esce per la Virgin nel 1977. L'eredità che lasciano sarà fondamentale per le band a venire: da questo momento in poi, infatti, vivere fino in fondo ciò che si canta diventa un imperativo categorico. E l'espressione allucinata di Johnny Rotten, insieme al corpo sfregiato del bassista Sid Vicious saranno il simbolo dell'anarchia nel Regno Unito, degli 'anticristi anarchici' nati con una sola missione: distruggere il sistema. Il 20 aprile 1978 le associazioni Rock Against Racism (nata sull'onda di una dichiarazione razzista di Eric Clapton) e Anti-Nazi League organizzano il “Carnival Against The Nazis”. L'intento è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle tendenze naziste che attraversano il Paese. Dato che il partito di estrema destra National Front incita al razzismo e rischia di raccogliere molti consensi alle elezioni locali, migliaia di persone marciano da Trafalgar Square a Victoria Park, raggiungendo le già tantissime persone accorse al concerto evento. Saranno più di 80mila e tra i tanti, come mostra una foto dell'epoca, figurano sul palco di spalle i musicisti di una nascente band che imbracciano i loro strumenti. Per il folksinger Billy Bragg, “Carnival Against The Nazis” «è il momento in cui la mia generazione aveva scelto con chi stare». Ma le posizioni anti-naziste del punk, che come abbiamo visto rifiuta qualsiasi ideologia tradizionalista, sono assai ambigue: ne sono un esempio l'utilizzo di svastiche nel vestiario di alcuni musicisti, che le indossano più che altro per moda, con il risultato che i simboli del Nazismo sono svuotati di qualsiasi connotazione storico-ideologica. Ma dal 1978 le cose sono destinate a cambiare: grazie infatti al precedente mega-concerto una parte del punk si ideologizza e, dotandosi di una propria coscienza politica, si allontana dal nichilismo dei Sex Pistols. Non serve più attaccare il sistema con suoni e testi violenti, il punk inglese adesso si mostra solidale con le minoranze afro-caraibiche attaccate dai militanti del Front, generando una contaminazione con altre sonorità, in particolare col reggae di Bob Marley. L'album manifesto di questo 'nuovo punk' è London Calling (1979) dei Clash, la band fotografata di spalle nel suddetto concerto: una miscela di punk classico, rockabilly, jazz, dub e reggae. A differenza dei Sex Pistols, che mettevano in scena una musica caotica di connotazione anarchica, i Clash utilizzano le energie represse attraverso una musica che combatte le battaglie progressiste. Invece che fomentare la rabbia, essi cercano di incanalarla in una musica che parla il linguaggio dell'onore, della verità, del sacrificio e della battaglia. Come descritto in Death or Glory, un brano di London Calling, «afferrano il microfono per farci sapere che moriranno piuttosto che svendersi». Come nel caso dei Pistols e la maggior parte dei gruppi punk, saranno sempre in bilico tra fedeltà alle radici underground e contratti con le etichette importanti (la CBS). Anche i Clash frequentano il giro di Sex ed il loro manager Bernie Rhodes fa affari con McLaren. A suonare sono in 4: Joe Strummer (chitarra e voce), Mick Jones (chitarra solista), Paul Simonon (basso) e Topper Headon (batteria). Le uniformi militari che indossano, come sempre ben realizzate da Vivienne Westwood, sono una provocazione all'ordine sociale costituito. Nel primo singolo White Riot (The Clash, 1977) danno infatti l'impressione di essere dei soldati in missione, utilizzando quindi l'energia del punk per commentare il contesto sociale. Messo da parte l'immaginario delle svastiche modaiole, Strummer e Simonon scrivono questo brano dopo aver assistito agli scontri del 1976 al JOBOK.EU/USER/ELVIS1979 37 carnevale di Notting Hill fra immigrati e poliziotti. E' un momento decisivo per la storia inglese, che porterà all'approvazione della legge antidiscriminazione nota come Race Relations Act. Le parole sono forti: «I neri hanno un sacco di rogne ma non si fanno problemi a scagliare un mattone / i bianchi vanno a scuola ed imparano a instupidirsi». Dato che la rivolta nera è già in atto, pensano i Clash, è tempo anche di una rivolta bianca. Da The Clash vengono fuori inni di malcontento generale: I'm So Bored With The USA critica l'americanizzazione del Regno Unito; Hate & War è una risposta all'ormai ripudiato slogan hippie “peace & love”; Career Opportunities esprime il rifiuto per gli impieghi che la società borghese offre ai giovani; Remote Control e Garageland sono il manifesto della nuova gioventù inglese: «Non hai i soldi, non hai potere, ti considerano inutile. Ecco perché diventi punk». L'attacco frontale dei Sex Pistols viene sostituito dalla lucidità dei Clash. La definizione del suono della band di Joe Strummer arriverà col già citato London Calling, un doppio album archetipo del disco 'barricadero' che racconta storie di emarginazione, rabbia e conflitto. La popolarità del reggae in Gran Bretagna, per via della presenza delle comunità di immigrati provenienti dai Caraibi, porta i Clash a creare un punk in versione rasta come nuovo tipo di resistenza culturale. Il tema dei rapporti razziali e culturali verrà esplicitato in una canzone intitolata White Man In Hammersmith Palais (1977), in cui viene analizzata la distanza fra la realtà dei neri e la rappresentazione romantica della loro cultura fatta dai bianchi, interessati ai superficiali aspetti ribellistici. Nel 1980 i Clash pubblicano un album addirittura triplo intitolato Sandinista!, come il movimento di liberazione nazionale del Nicaragua. Con la convinzione che «il 1) Intervista a Mick Jones su Jamonline.it (rivista ideata dal critico musicale Ezio Guaitamacchi) realizzata da Claudio Todesco il 5 luglio 2013. 2) Pino Casamassima, Movimenti, Sperling&Kupfer Editori, 2013, p. 185. 3) Ezio Guaitamacchi, Anarchy in the UK. Ribellione Punk in La storia del Rock, HOEPLI, Milano 2014, p. 309. 38 JobOK Magazine mondo non finisce fuori dal tuo quartiere», i 4 'soldati rivoluzionari' definiscono ancora il loro sound, ribadendo i valori fondanti dei loro testi: dignità, uguaglianza e solidarietà. Sono eloquenti le dichiarazioni rilasciate da Mick Jones in una recente intervista: «Facevamo musica per noi stessi e per i nostri tempi […] Questo è il lascito che i Clash hanno trasmesso alle generazioni che sono venute dopo: lo spirito, l'impulso a cambiare, per continuare a guardare in faccia il futuro […]»1. Queste parole fanno rima con altre, quelle di Joe Strummer: «Ho incontrato gente a cui il punk ha cambiato il modo di vivere. Mi sento come se avessi letteralmente incontrato ognuno di loro! […] Abbiamo cambiato il loro modo di pensare e influenzato le decisioni che hanno preso nella vita […] Abbiamo dato il 110% ogni giorno. Ma quando incontri questa gente, persone che ti dicono che hai avuto qualche effetto sulla loro vita, allora senti che valeva assolutamente la pena»2. E se il famoso musicista Sting considerava l'attitudine dei Clash come «un culto fallico della chitarra e del fucile»3 forse non teneva conto di una cosa: l'indipendenza artistica che, insieme a tante altre cose, ha reso il movimento punk come il più contestativo nell’ambito (socio) musicale. Elvio Degli Agli IIl teatro è parola, gestualità, musica, danza, vocalità, suono. Il teatro è emozione. Sono di questo avviso le due dottoresse Mariantonietta Della Corte e Diana Grosso, che da anni lavorano con i ragazzi disabili tramite il teatro nell'associazione "Perché no?!" Oggi le abbiamo incontrate per farci raccontare cosa fanno con questi ragazzi nel territorio Romano. Come intendete il teatro? Il teatro, come lo intendiamo noi, non è solo un luogo di intrattenimento e svago culturale ma anche e soprattutto un ambiente protetto dove potersi mettere alla prova, avendo la possibilità di sperimentare tutti i vissuti legati ad i ruoli interpretati. Come nasce la vostra iniziativa? Cosa proponete a questi ragazzi? L’iniziativa parte da un dato concreto, ovvero che Ostia, pur essendo un territorio che può vantare la presenza di 5 teatri, non presenta dei progetti artistici dedicati alla disabilità. Il nostro interesse a questo tema si è ormai consolidato attraverso il lavoro e le esperienze che ci mettono a contatto con la diversità in ogni sua forma fisica, motoria e relazionale. Siamo partite proprio dalla nostra esperienza e abbiamo potuto confermare in questi anni che soprattutto i disabili dovrebbero beneficiare dell’utilissimo strumento terapeutico del teatro. Numerose sono le iniziative e le realtà già esistenti nel territorio italiano: Il “Teatro sociale di Rovigo”, “la Compagnia Officina” e il “Teatro Prova” di Bergamo, il “Teatro del Buffo” della Compagnia di teatro integrato e ancora il Teatro Patologico di Roma. Queste sono solo alcune preziose testimonianze di come “disabilità e teatro” rappresentino, per la società, un binomio vincente. 40 JobOK Magazine I corsi che proponiamo mirano a rendere le persone più consapevoli delle proprie emozioni attraverso dei percorsi di esplorazione emotiva, permettendo così all’utente di affrontare, tramite il pretesto teatrale, un vissuto di disagio, difficoltà o discriminazione e così reagire più prontamente nella vissuto quotidiano. La magia del teatro, e della terapia, nasce nel momento in cui, sulla scena, l'attore diventa altro, quando la sua identità reale è sostituita da quella di un personaggio fittizio, quando gli attori entrano a far parte di un mondo immaginario che s'impadronisce delle forme della realtà. L'attore è l'artefice di questo miracolo. Quindi, quello che proponiamo è un esperienza ludica e formativa dove poter mettere a nudo la propria sensibilità e mostrarsi così come si è, senza quella spiacevole etichetta di disabilità che, troppo spesso, tende a qualificare in negativo l’intera persona piuttosto che evidenziare le molte potenzialità. Come si struttura un vostro corso di teatro? Mi parlavate di un altro corso, di cosa si tratta? I nostri corsi si svolgono al Teatro Nino Manfredi di Ostia, al quale rivolgiamo un grande ringraziamento per la cortese disponibilità degli spazi e del tempo dedicatoci. Un grazie di cuore, inoltre va a tutte le persone che collaborano con noi e che ci aiutano nella gestione e organizzazione degli spettacoli, costumi, e tanto altro. I corsi sono principalmente due e seguono due progetti diversi: uno per giovani dai 4 ai 16 anni che ha come linea guida il portare la disabilità fuori dai contesti della riabilitazione e dell’assistenza, trattandola come argomento di riflessione culturale: un tema che diventa quindi argomento comune, non solo di coloro i quali ne sono protagonisti diretti, questo progetto si chiama "Tutti insieme" ed il nome rispecchia perfettamente l’anima del progetto, con l’intento esplicito di abbattere il muro di diffidenza che le etichette di normalità e disabilità creano nella mente delle persone, nella convinzione di essere tutti diversamente uguali ed ugualmente diversi; in questo laboratorio ci dedichiamo all'esplorazione dell'arte teatrale tramite esercizi accuratamente rivisitati ed adattati, per sviluppare la creatività, la fantasia e l’immaginazione, fondamentali per qualsiasi esperienza di recitazione. Alla fine del percorso mettiamo in scena uno spettacolo creato e pensato con i ragazzi, lo scorso Giugno siamo andati in scena con uno spettacolo dal titolo "Il Piccolo Principe" dove la scenografia era una proiezione dei disegni che i bambini hanno fatto durante il corso dell'anno. Si, il secondo corso è dedicato agli adulti, il progetto si chiama “Su la maschera!”, dura nove mesi e garantisce all’utente un’esperienza di esplorazione emotiva il mondo teatrale a tutto tondo. Grazie a questo progetto si è formata una piccola compagnia di teatro "Su la Maschera", realtà che dal 2011 mette in scena con competenza ed entusiasmo spettacoli originali; il progetto include, per i partecipanti, la visione degli spettacoli teatrali in programmazione al teatro "Nino Manfredi", le tematiche accuratamente selezionate e la cortesia degli attori, ci forniscono sempre occasioni di discussione, dove l’utente ha la possibilità di confrontarsi con gli interpreti professionisti delle compagnie teatrali, che possono condividere, in questo modo, i segreti e le sensazioni che si provano dietro le quinte. Inoltre, siccome crediamo fermamente in un’esperienza teatrale a tutto tondo, nei nostri eventi è previsto anche uno spazio per la gestione del bar e lo svolgimento delle altre mansioni tipiche del mondo teatrale come la maschera, offrendo in questo modo al partecipante l’occasione di interagire con il pubblico, incrementando così, in questo, l’autoefficacia, l’indipendenza e il senso di competenza. Anche questo progetto prevede uno spettacolo finale, grazie al quale, ogni anno, abbiamo l’occasione per supportare i nostri ragazzi affinché la loro esperienza sul palco si concretizzi in un evento dal vivo. Proprio quest’anno abbiamo lavorato sulle commedie di Eduardo De Filippo ed abbiamo potuto portare in scena il riadattamento di “Quanto è bello a chiagnere”. Ringraziamo JobOk Magazine per questa intervista e cogliamo l’occasione per invitare tutti i lettori a provare l’esperienza teatrale e a venirci a trovare sulla scena. Simona Lo Piccolo JOBOK.EU/USER/SIMONA 41 Barbara Kruger, I shop therefore I am, 1987. Il consumismo e l’arte: quali sono i rapporti tra loro? Questa domanda mi è balenata un bel giorno in mente alla vista di un’immagine fotografica, opera dell’artista americana Barbara Kruger, la quale, come molti altri artisti ha deciso di perpetrare una critica al consumismo della società americana degli anni 80’usando la pungente arma dell’ironia, sulla scia di Warhol. Scena tratta da Zabriskie Point (USA 1970) di Michelangelo Antonioni. Ironia sagace e colta: I shop therefore I am = compro dunque sono; forse vi ricorda un tale Cartesio, che pronunciò quella che è diventata la massima simbolo dell’inizio della modernità storica e culturale dell’occidente, famosa tanto quanto uno slogan della coca-cola o la mela di Apple. Da Cartesio all’epoca contemporanea della società dei consumi, la caratteristica fondamentale dell’identità umana non è più la facoltà di pensare ma diventa per l’appunto esclusivamente quella di consumare. Immagini come questa ci pongono subito dinanzi ad una domanda: dal consumismo si può uscire o no? Secondo molti intellettuali “apocalittici” probabilmente no, anzi, certamente no. Allora ecco che entrano in gioco gli artisti e la loro arte che dovrebbe renderci più consapevoli, fornirci gli strumenti culturali per essere consumatori critici, vigili, attenti a non farci intrappolare dai centri commerciali che sembrano dorate gabbie che ci risucchiano nel loro vortice e non farci stordire dalle meravigliose vetrine, all’ interno delle quali gli oggetti sono disposti in modo così sapiente che sembrano gridare “comprami”! Ma la questione fondamentale non 42 JobOK Magazine consiste nel domandarsi se esista una via di fuga dalla “follia” consumistica, ma se si tratti davvero di una follia. Che non siano forse l’arte stessa, gli artisti e gli intellettuali, a dipingere in maniera eccessiva il consumismo e il capitalismo moderno come una specie di Leviatano, una sorta di mostro che fagocita tutto ferocemente? Domanda di difficile risposta: la vita di milioni di persone, consumatori passivi, scorre placidamente e ingenuamente, mentre l’arte produce le sue critiche, per poi esser venduta a milioni di dollari, cadendo così nelle trame del mostro che tenta di criticare. Il valore pecuniario o i ricavi economici sono indipendenti e non prevedibili a priori, poiché tale valore monetario viene assegnato dalla società soltanto dopo l’uscita dell’opera. Cosa si salva allora dalle grinfie di un sistema dove domina solo il valore del denaro? L’idea, il valore della creatività, di quella senza prezzo, che non si può acquistare né vendere, la pura e semplice meraviglia dell’invenzione artistica, dove non conta il messaggio di critica ma il modo che l’artista ha escogitato per produrre quel contenuto. Ecco allora a voi alcuni esempi mirabili che ho recuperato scavando nella mia memoria, di opere cinematografiche dove la priorità è la ricerca stilistica ed estetica e la sperimentazione, ed altre opere che pur palesemente commerciali, sono inaspettatamente portatrici di significati di una certa complessità. Iniziamo con la prima tipologia: il primo esempio è costituito dalla meravigliosa scena finale del film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Visioni eccessivamente apocalittiche? Forse quelle dei film no, le interpretazioni sì. I film rappresentano per immagini ma non danno giudizi netti, i registi (Antonioni in primis) pongono domande, senza dar risposte preconfezionate. Concludiamo con queste molte domande irrisolte, e con un famoso monologo a chiudere Il secondo esempio è costituito da Zombie di Geroge A. Romero. Da Antonioni agli zombie il salto può apparire brusco, ma ha un senso, anche piuttosto semplice: non solo il film d’autore trasmette dei messaggi interessanti, ma anche il film di genere, come questo horror diretto dal maestro Romero negli anni Settanta. La straordinaria capacità di alcuni film commerciali di superare i limiti del puro intrattenimento è emblematicamente visibile nella celebre scena in cui gli zombi accalcati alle porte di un centro commerciale simboleggiano la massificazione della società e l’alienazione dell'uomo-consumatore. Quei morti viventi siamo noi, vuol dirci Romero, che ci aggiriamo imbambolati proprio come degli zombie per i centri commerciali e i negozi. Reificati come burattini, veniamo mossi da potenti multinazionali e lobby, e dal sistema mediatico, il quale, sotto il loro controllo finanziario, ci influenza su cosa comprare e cosa no. la carrellata dei pochi ma significativi esempi di rappresentazione cinematografica del consumismo. Un monologo che si commenta da solo. Dawn of the Dead (Zombie, 1978) di George A. Romero. La sublime musica dei Pink Floyd accompagna le immagini del sogno della giovane hippie protagonista: l’esplosione della casa dei ricchi borghesi, che simboleggia il Palazzo del potere. I simboli del consumismo vanno in frantumi sullo sfondo azzurro del cielo, dando vita a quadri da Pop art. Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxi televisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare… (Tratto da Trainspotting 1996, di Danny Boyle) JOBOK.EU/USER/GIOVANNA 43 Passeggiando per Bologna, tra piazza Maggiore e le più di ieri si schieravano contro il dilagante capitalismo e Bohemiennes Piazza Verdi e Via del Pratello, potrete assumevano posizioni favorevoli a nuovi pattern non imbattervi in personaggi singolari; sotto i portici della città convenzionali. Anche attraverso la vena nostalgica e vecchia risuona il rumore delle loro stringate lucide, hanno vintage che segnava il loro look, contestavano una società barbe folte e baffi alla francese e indossano con disinvoltura orientata sempre più verso il consumismo sfrenato, senza occhiali dalle montature stile primo‘900. Se pensate che si accorgersi, come spesso accade nelle sottoculture, di tratti semplicemente di giovani alternativi dall’aspetto diventare essi stessi un fenomeno di tendenza. Lo stesso anacronistico, sappiate che in realtà siete di fronte ai Maier, quasi lungimirante, scriveva infatti: << tutto in loro è rappresentati di una delle sottoculture più diffuse e longeve attentamente costruito per dare l’idea che non lo sia>>. Non del mondo, gli hipsters e Bologna, secondo il Sunday Times, a caso, gli hipsters di oggi sono un vero e proprio trend ma sarebbe alle con un valore aggiunto ovvero la coscienza: La loro contaminazioni culturali tra studenti di tutto il mondo che quotidianità è scandita da scelte ben precise, e nonostante affollano la città. qualcuno potrebbe pensare che si tratti solo di giovani che Ancora incerte sono le origini della parola hipster, coniata giocano a fare gli alternativi per pura provocazione o vanità, probabilmente negli Usa intorno agli anni ‘40 per indicare essi continuano a preferire la bici alle inquinanti automobili, alcuni bassa abiti retrò di mercatini e artigiani al finto vintage dei più noti appassionati di musica bepop e hot jazz che con questo brand giovanili, il cibo biologico (e perché no vegano), l’ arte, termine si distinguevano dai fan dello swing . La cultura il design, la fotografia e il cinema purché lontano dal hipster si sviluppò soprattutto dopo la seconda guerra mainstream. La sola differenza con il passato è la necessità mondiale e nel 1967 lo scrittore Norman Mailer, nel suo di condividere i loro ideali e ciò avviene attraverso la saggio Il bianco negro provò a formularne una definizione: tecnologia e soprattutto i social, primo fra tutti Instagram, di <<si tratta di esistenzialisti statunitensi […] che decidevano cui non possono fare a meno e grazie al quale si di divorziare dalla società e vivere senza radici>>. In catapultano sostanza il movimento hipster nacque con l’intento di portandovi un po’ di quel mondo antico, lontano e proporre uno stile di vita anticonformista, perseguito nel affascinante a cui si ispirano racchiuso in una foto dal filtro tempo anche dalle successive sottoculture, fino ai più noti seppia…of course. la città ragazzi più bianchi hipster della d’Italia, classe grazie medio Hippies. Poco interessati alla politica “di partito”, gli hipsters direttamente nella società moderna, Emanuela Piacente JOBOK.EU/USER/MILA 45 PLUM CAKE VEGGY STYLE Ieri mentre riflettevo e guardavo il mio frigo con disapprovazione ho visto degli spinaci lessi pronti per essere trasformati, ma in cosa? … un plumcake, come quello che ho mangiato qualche giorno fa per il compleanno del nostro amico Gianluca, ma….. Veggy Style. PROCEDIMENTO Facciamo scolare bene gli spinaci e lasciamoli freddare, se stanno una notte in frigo è meglio, frulliamoli con il mixer ad immersione insieme alle uova, all’acqua, all’olio ed al sale. Aggiungiamo la farina ed il lievito che abbiamo setacciato insieme precedentemente (io ho continuato INGREDIENTI ad utilizzare il minipimer anche per questa operazione, ma vanno bene anche le fruste elettriche), per ultimo aggiungiamo la caciotta e 3 uova 100ml di olio di semi di girasole 100ml di acqua 300g di farina 00 1/2 bustina di lievito 500g di spinaci lessi 1 cucc di sale 1 tazza di caciotta di mucca a cubetti (o qualsiasi formaggio abbiate in casa) semi di lino per guarnire (vanno bene anche semi di papavero, girasole o qualsiasi altro vi piaccia) mescoliamo con un cucchiaio. Ungiamo e infariniamo lo stampo da plumcake, versiamoci dentro il composto e cospargiamo il tutto con i semi. Schiaffiamo il tutto nel forno preriscaldato a 180°C per 40-50 minuti, il tempo varia da forno a forno quindi a 40 minuti consiglio il test dello stecchino, se esce dal tortino asciutto possiamo tirarlo fuori. Aspettiamo che si freddi un po’ e sformiamolo. Il colore è bellissimo, fa gola solo a guardarlo. Spero vi piaccia ;P JOBOK.UE/USER/EDOARDOMASSA 51 Questa rubrica descrive, analizza e valuta la qualità, il significato, e l'importanza di un libro, non è un angolo critico, ma solo il pensiero di chi come voi ama leggere Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi iamo nel 1938 a Lisbona in pieno regime dittatoriale e il nostro protagonista è S un uomo di mezza età di nome Pereira che per vivere si occupa della pagina culturale di un modesto giornale locale, il Lisboa. L’autore Antonio Tabucchi ce lo descrive come abitudinario, sovrappeso, cardiopatico e totalmente incapace di prendere una posizione. Pereira è un uomo che si lascia trascinare dagli eventi senza mai dire la sua, senza mai protestare. Ma la conoscenza di un giovane ribelle chiamato Monteiro Rossi e alcune circostanze particolari, tra cui l’assassinio proprio di quest’ultimo, faranno sì che egli cambi il suo modo di vedere le cose e inizi a reagire tirando fuori un coraggio di cui nessun lettore sospetterebbe mai. ostiene Pereira è un romanzo breve in cui ogni pagina è ricca di contenuti S significativi che ci catturano e trascinano con la forza del messaggio che vogliono trasmettere. Perché quello che conta, al di là del momento storico in cui la vicenda si svolge, è l’evoluzione di quest’uomo di mezza età vedovo e amante delle limonate zuccherate: è questo che dà un senso all’intero corpo del racconto. Nell’arco dell’intera narrazione, Pereira si trasforma, cresce, acquista consapevolezza fino ad esplodere in una nuova personalità o forse in una personalità che già aveva, ma che teneva nascosta, per paura, per codardia e, perché no, per comodità. Ma l’uccisione del giovane collaboratore, fa scattare qualcosa in Pereira. Davanti all’efferatezza del crimine e soprattutto davanti alla sua ingiustizia, egli non si tira indietro: decide di reagire e di usare le sue competenze per dire, finalmente, ciò che pensa. Perché la giustizia non si fa solo con i grandi gesti, ma anche con quelli che all’apparenza hanno un minore impatto: come un articolo su un piccolo giornale locale; d’altronde la scrittura è uno dei mezzi che più di tutti ci permette di esprimere noi stessi. Di Pereira colpisce il suo essere un uomo comune, un uomo in cui ognuno di noi può immedesimarsi. Per tutta la durata della storia, Tabucchi riesce con la potenza delle sue parole e con l’ottima caratterizzazione del personaggio a farci percorrere insieme a quest’ultimo il cammino intrapreso, dalla completa indifferenza alla piena presa di coraggio. Questo romanzo ci offre un importante spunto di riflessione attraverso una prosa scorrevole e ben costruita. Ci fa capire che non importa indossare un mantello per essere un eroe. A volte si può essere anche l’esatto contrario. Proprio come il nostro Pereira che è l’anti eroe per eccellenza ma che stupisce tutti con il suo gesto di riscatto. Titolo: Sostiene Pereira Autore: Antonio Tabucchi Anno di pubblicazione: 1994 Edizione consigliata: Feltrinelli, Economica Universale, 2014, 214 p., € 8,00 (disponibile e-book a € 5,99). Sara Petrucciani JOBOK.EU/USER/SUMMER01 53