UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Dipartimento di Diritto, Economia e Finanza Internazionale Pietro A. Vagliasindi Politiche fiscali, reddito e debito pubblico. Indice I POLITICHE DI STABILIZZAZIONE E DEBITO PUBBLICO........................................... 1 1. IL MODELLO REALE ED IL TEOREMA DEL BILANCIO IN PAREGGIO. 2 3. INDICATORI DELLE POLITICHE FISCALI: FUNZIONI E LIMITI 11 4. L’INSERIMENTO DEL DEBITO NEL BILANCIO E NEL SETTORE REALE 13 5. EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO NEL MODELLO IS-LM 14 6. D EFICIT, DEBITO, SOSTENIBILITÀ, INFLAZIONE E IMPOSIZIONE. 17 I POLITICHE DI STABILIZZAZIONE E DEBITO PUBBLICO. Come si determina l’equilibrio macroeconomico nel breve periodo? Come agiscono le politiche fiscali? Cos’è lo spiazzamento? Si può aumentare reddito e surplus di bilancio? Cos’è la stabilizzazione automatica? Quali indicatori della politica fiscale sono disponibili? Il deficit influenza l’equilibrio di lungo periodo? Cos’è la sostenibilità del debito? Quali sono gli effetti dell’imposizione sugli interessi delle obbligazioni pubbliche? In questa sezione svilupperemo l’analisi delle problematiche legate alla politica fiscale e del debito pubblico nel modello IS-LM in economia chiusa con un solo bene. In particolare inizieremo con l’equilibrio sul mercato dei beni IS, considerando gli effetti economici collegati al bilancio pubblico e trascurando con opportune ipotesi per il momento il mercato monetario LM e quello dei fattori produttivi AS. Il livello del saggio di interesse i e dell’indice dei prezzi alla produzione P, sono per ora assunti costanti, in prima approssimazione. Introdurremo poi la moneta nel modello ed esamineremo l’equilibrio stazionario della economia nel modello IS-LM. Inizialmente forniremo il modello complessivo di economia. Il resto della sezione può essere interpretata o come l’esame di casi particolari del modello o come una serie di approssimazioni successive (che ci permetteranno un esame accurato del modello e delle conseguenze delle possibili ipotesi semplificatrici). Scienza delle Finanze Progredito 2 Prima Versione. 1. Il modello reale ed il teorema del bilancio in pareggio. Consideriamo il seguente modello di economia reale. Esso sarà esaminato in questo capitolo attraverso approssimazioni successive e costituisce la base per la formulazione della curva IS, alla quale aggiungeremo poi la LM. Il nostro punto di partenza è l’equilibrio sul mercato dei beni tra offerta Y e domanda aggregata in termini reali (C + I + G + E - X), destinata al consumo privato C pubblico G ed all’investimento privato I (Y = C + I + G + E - X). Possiamo ignorare il settore estero, ipotizzando la bilancia commerciale E - X (esportazioni meno importazioni) costante e pari a zero. Tutte le grandezze sono espresse in termini reali ipotizzando prezzi alla produzione unitari. Questa identità si trasforma in condizione di equilibrio di mercato considerando le domande in termini reali, ossia le relazioni che definiscono le funzioni dell’investimento e del consumo. Il primo I = I(i -ð*, K-K°) dipende negativamente dal saggio di interesse reale atteso r*=i-ð* (qualora il tasso di inflazione atteso ð* sia nullo r* è pari al saggio nominale i) e dallo scostamento del capitale K dal suo livello desiderato K° (Ii = dI/di<0, Ik=dI/dK< 0); mentre il consumo C = c (YD, W) -TC al netto delle imposte TC dipende dal reddito disponibile in termini di prezzi al consumo YD, e dalla ricchezza privata W, che nel seguito ipotizzeremo esogenamente data. È inoltre utile definire il deficit reale del bilancio pubblico D = G – TD - TC, come differenza tra spesa G e imposte indirette TC e imposte dirette (al netto dei trasferimenti) TD = TY - TR (dove le imposte sul reddito TY = T + t Y possono essere in parte costanti ed in parte funzione del reddito). Si noti come il deficit reale dipenda quindi, in presenza di una funzione delle imposte (t > 0), dal livello del reddito e deve quindi essere determinato dall’equilibrio del sistema. Nel modello tradizionale di breve periodo viene inoltre usualmente ignorato il problema del finanziamento del deficit. Per tale ragione nel presente contesto può essere fuorviante considerare la problematica del debito pubblico. Il modello rimane incompleto senza una definizione del reddito disponibile YD e della ricchezza W. Usualmente YD = (Y – TD)/Pc = (Y-TY+TR)/Pc è pari al reddito Y meno le imposte nette TD, mentre la ricchezza é definita come somma di moneta, titoli e capitale reale W = (M+B)/P +K. I prezzi al consumo Pc sono pari al costo di produzione dei beni più il gettito dell’imposta sui consumi TC il tutto diviso per la quantità di beni di consumo C. Ovvero essi sono pari all’unità (i prezzi alla produzione) più tc l’aliquota media dell’imposta sul consumo (PC+TC)/C = 1+tc, ipotizzando una completa traslazione dell’imposta. Nel seguito mostreremo come tale definizione di reddito disponibile nasconda in realtà varie ipotesi implicite e vada perciò per correttezza derivata, date le appropriate assunzioni di comportamento, dalle altre equazioni del modello e non assunta a priori. Sostituendo le funzioni comportamentali del consumo e dell’investimento otteniamo la curva IS Y = C((Y-TY+TR), W) -TC + I(i-ð*, K-K°) + G 3 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. Essa sarà inclinata negativamente nello spazio i,Y (come in figura). Ciò avviene perchè una diminuzione del saggio di interesse i provoca (a parità di ð*) un aumento dell’investimento privato e quindi un aumento del reddito. Il mercato finanziario è introdotto con l’equilibrio del mercato della moneta M/P = L(i, Y, W), dove M é l’offerta di moneta in termini nominali è eguagliata in termini reali alla domanda L(i, Y, W) che dipende negativamente dal costo relativo del denaro (il saggio di interesse nominale) e positivamente dal reddito Y e dalla ricchezza W (Li = dL/di<0, Ly=dL/dY>0, 0<Lw=dL/dW<Ly). La LM é inclinata positivamente nello spazio i,Y. Infatti differenziando l’equazione rispetto a tali variabili otteniamo di/dY > 0. Ciò avviene perchè un aumento del saggio di interesse i provoca (a parità di ð*) una diminuzione della domanda di moneta che deve essere compensato da un aumento del reddito, perché il mercato resti in equilibrio. i i IS° LM E’ i’ IS’ IS° E° i° LM ∞ LM ∞ E° i*=i° E* LM Y Y° Y Y° Y’ Y* In presenza di trappola della liquidità (LM orizzontale di/dY = Li = dL/di = ) si ritorna al caso di un’economia reale. Servendoci di questa ipotesi possiamo procedere ad analizzare il modello base (ð* = t = W = 0) con un aumento della spesa pubblica e del debito. Nel seguito, esaminiamo la funzione delle imposte dirette sul reddito e le conseguenze di una manovra espansiva che aumenti in eguale misura spesa pubblica G e imposte sul reddito TY lasciando così invariato il saldo di bilancio. Tale politica, nota come manovra del bilancio in pareggio, sarà poi esaminata con imposte in funzione del reddito. 1a. Il teorema del bilancio in pareggio con imposte fisse La nostra economia reale può essere semplificata assumendo una funzione lineare dell’investimento dipendente unicamente dal tasso di interesse i (ipotizzato costante così come il tasso di inflazione p*) I(i-p*)=I ed una funzione lineare del consumo C = cYD dipendente unicamente dal reddito disponibile in termini reali rispetto ai prezzi al consumo dato dal reddito Y (reale ai prezzi dei fattori P=1) più i trasferimenti TR meno le imposte sul reddito TY il tutto diviso per i prezzi al consumo YD=(Y-TY+TR)/(1+tc). Si noti come in questo caso (C=cYD) la funzione diviene lineare anche rispetto al gettito reale dell’imposta sul consumo (e possa quindi essere ignorata l’aliquota media tc) e come c rappresenti la propensione media e marginale a consumare sia dal reddito complessivo Y che da quello disponibile YD. 4 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. Tecnicamente, i problemi della politica fiscale possono essere esaminati considerando un modello di equazioni che rappresenta l’equilibrio del sistema economico [1]. Questo modello è lineare, con un deficit predeterminato, in mancanza di funzioni delle imposte dirette ed indirette: [1] Y= C + I + G C = c (Y - TY + TR) – TC D = G + TR - TC - TY [2] Y = (I +G -TC -cTD)/(1-c) C = (cI+ cG -TC -cTD)/(1-c) D = G -TC -TD Un aumento della spesa pubblica ha un effetto espansivo sul livello del reddito, al contrario di un aumento delle imposte dirette. Considerando TD = TY -TR, essendo i due strumenti indistinguibili, avremo il modello [2] in forma ridotta, che evidenzia l’influenza degli strumenti fiscali (variabili esogene) sulle variabili endogene. Indicando con dY le variazioni della variabile Y dall’equilibrio iniziale (Y°-Y’) possiamo riscrivere il modello in termini di variazioni differenziali. I coefficienti associati alle esogene sono i moltiplicatori e indicano l’effetto discrezionale di un aumento unitario dell’esogena, sull’endogena. Ad es. i moltiplicatori della spesa G e delle imposte dirette TD sul reddito Y sono rispettivamente dY/dG = 1/(1-c) e dY/dTD = -c/(1-c) ed i rispettivi impatti iniziali (pari al numeratore) 1 e –c. Si noti come un aumento unitario della spesa pubblica G abbia un effetto unitario sul del reddito mentre un aumento unitario delle imposte sul reddito (o una riduzione dei trasferimenti) riduca il consumo (e quindi sul reddito) di c ovvero della propensione a consumare. [3] dY = (dI +dG -dTC -cdTD)/(1-c) dC = (cdI +cdG -dTC -cdTD)/(1-c) dD = dG -dTC -dTD [4] dY = (dG-cdG)/(1-c) = dG dC = (cdG -cdG)/(1-c) = 0 dD = dG -dG =0 Possiamo ora chiederci cosa succede quando spese G e imposte nette TD variano nella stessa misura. La risposta é immediata nel modello in forma ridotta, imponendo dG = dTD (manovra equivalente a dG =dTY o dG =-dTR) e dTC = 0 otteniamo la soluzione [4]. La precedente manovra comporta un aumento del reddito pari a quello di G, mentre lascia invariati i consumi privati ed il deficit. Sicché il moltiplicatore del bilancio in pareggio sarà unitario. Questo é il famoso teorema del moltiplicatore del bilancio in pareggio di Haavelmo, che contraddice la neutralità della spesa pubblica finanziata da imposte sul reddito. Vediamo ora di esaminare le ragioni di tale risultato. Si noti come un aumento del reddito pari a quello della spesa pubblica G abbia un effetto sul consumo identico ad un aumento dei trasferimenti od ad una riduzione delle imposte sul reddito. Rimanendo così i consumi e gli investimenti costanti tale sarà la variazione di equilibrio del reddito. Essendo l’aumento della spesa pari a quello delle entrate, il deficit pubblico rimarrà anch’esso invariato. Di conseguenza un aumento di G pari alla riduzione di T non provoca alcuna variazione del deficit e dei consumi e degli investimenti, sicchè dalla condizione di equilibrio otteniamo dY=dG. Ecco così intuitivamente spiegata la manovra di bilancio in pareggio. L’aumento della 5 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. spesa pubblica ha solo l’effetto di impatto iniziale dG, non avendosi alcuna variazione dei consumi ed effetto moltiplicativo. Dal risultato precedente è chiara l’importanza della dimensione del bilancio pubblico e della sua composizione nel determinarne l’impulso espansivo sul reddito. Infatti, come si vede in fig. 1 esso equivale alla combinazione della crescita del reddito da Y° a Y’ dovuto a dG e della riduzione da Y’ a Y” dovuto a dTD. La manovra del bilancio in pareggio sfrutta così la differenza, in valore assoluto, tra i moltiplicatori delle diverse poste di bilancio. Tale equazione, nota come IS, può essere rappresentata nello spazio i,Y con un’inclinazione negativa diminuendo I all’aumentare del saggio di interesse (ipotizzando costante il tasso di inflazione p*). Il livello di equilibrio sarà quello corrispondente al saggio di interesse i° mantenuto costante dalle autorità monetarie. In figura 1 è rappresentato lo spostamento della IS con la precedente manovra di bilancio in pareggio ed è evidenziato il mancato aumento dovuto alla perdita degli effetti moltiplicativi cdG/(1-c) a causa dell’aumento del gettito T e della conseguente costanza di YD e di C. fig.1 i IS” IS° IS’ i fig.2 IS’ IS° dY = dG/(1-c) dY = dG/(1-c) dY=dG dY=cdTD/(1-c) Y° Y” Y’ dY=-dTC/(1-c) Y° Y’ Quando si varia invece il gettito dell’imposta sui consumi non si produce un aumento del reddito perchè l’aumento della spesa pubblica spiazza i consumi privati che diminuiscono dello stesso ammontare dC = - dG. Come è illustrato in fig.2. Questo è un primo caso di spiazzamento completo della spesa pubblica, dove ad un aumento della spesa pubblica corrisponde un eguale e contraria risposta dei privati che riducendo i consumi mantengono invariato il reddito di equilibrio. Tale risposta tuttavia deriva dalle modalità specifiche del finanziamento della spesa pubblica (attraverso imposte sul consumo e non sul reddito) e non dal fatto che i servizi pubblici sono aumentati e quindi i privati richiedono una quantità minore di servizi privati: un secondo caso di spiazzamento, dovuto al comportamento degli operatori privati. Quest’ultima possibilità invece blocca ogni effetto espansivo della spesa pubblica qualora i privati desiderino che la somma della spesa pubblica e privata sia una quota costante del reddito disponibile ad esempio dG + dC = cdY. Avremo così dC = cdY - dG ed un aumento della spesa pubblica comunque finanziato provocherà una pari riduzione del consumo ed un totale spiazzamento comunque la spesa sia finanziata. La funzione del consumo sarà quindi del tipo: C = C(YD, G) = c(Y) - G. Ciò implica nel modello ad esempio una definizione di reddito 6 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. disponibile differente YD=Y-G=Y+TR-T-TC-D (si noti come ora i consumatori siano interessati anche al livello del deficit ma non al fatto che TC influenza il prezzo dei consumi privati). Tale assunzione nega ogni possibile effetto espansivo o restrittivo delle politiche di bilancio basate sulla manovra della spesa pubblica (anche quando l’investimento dipende dal reddito). Tuttavia in questo modo si presuppone una perfetta sostituibilità tra spesa pubblica e privata che è inconcepibile nella pratica perchè significherebbe che lo Stato è in grado di soddisfare perfettamente i desideri dei privati (sostituendosi alle loro libere scelte) ed per converso che i privati sono perfettamente in grado di sostituirsi allo Stato nel fornire i servizi pubblici, sicchè un’economia completamente collettivizzata ed una completamente privata sarebbero al limite indifferenti. 1b. La funzione del gettito e la propensione a consumare reddito disponibile. Introducendo ora una funzione del gettito TY = t Y - T rispetto al reddito,1 avremo [5] TD = t Y - T (con TR = 0 per semplicità) Aggiungendola al modello [1], il gettito fiscale da variabile discrezionale (strumento esogeno) diventa una variabile strumentale endogena. (In seguito vedremo come l’ipotesi di linearità non sia ai nostri fini così restrittiva come appare a prima vista.) Il modello [6] subisce così una notevole trasformazione nella sua struttura non essendo più il disavanzo pubblico determinabile precedentemente ed indipendentemente dal livello dei consumi e del reddito, come si vede dal modello in forma ridotta [7]. [6] Y= C + I + G C = c (Y(1-t) + T) – TC D = G + T - TC - t Y Y = (I + G - TC + c T)/[1-c(1-t)] [7] D = G -TC +cT +t {(I +G - TC + cTR)/[1-c(1-t)]} Differenziamo il modello precedente, assumendo di = dI = 0, otteniamo: [8] dY = (dG + c dT -cY dt)/[1-c(1-t)] [9] dD = [(1-c)(1-t) dG + (1-c) dT - (1-c)Y dt]/[1-c(1-t)] Si noti come: a) t é uno strumento della politica fiscale, b) pur essendo il sistema lineare in G e TR esso non é lineare in t (ciò significa che il moltiplicatore dipende dal suo livello), c) gli effetti di t e TR sulle varie esogene siano proporzionali e come quindi i due strumenti non siano indipendenti. Un’analisi con una funzione del gettito generica: TY = T(Y) + T (con 0 < dTY/dY = t < 1) porta ai medesimi risultati. Ovviamente una differenza esiste e consiste nel fatto che mentre con un’imposta lineare l’aliquota marginale tm è costante mentre ora dipende dal livello del 1 In realtà t è l’aliquota marginale fissa, sicché la nostra analisi comprende il caso delle imposte lineari progressive, essendo T un’imposta fissa negativa. Mentre nel precedente modello t era contemporaneamente l’aliquota media (t a = TY/Y) e marginale (t m = dTY/dY = t) ora dobbiamo distinguere tra le due aliquote. Possiamo facilmente vedere come i valori delle due aliquote siano sempre differenti ed in particolare come l’aliquota media ta sia in questo caso minore di quella marginale: t a = t - T/Y < t. Tale condizione t a < t è un requisito sufficiente per affermare a livello di reddito individuale che l’imposta è di tipo progressivo ed essendo tale imposta lineare ciò sarà vero anche a livello aggregato dato il numero delle unità. 7 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. reddito di equilibrio dove le equazioni sono linearizzate. In entrambe i casi essendo l’aliquota marginale superiore a quella media otterremo un moltiplicatore minore rispetto al modello con imposte proporzionali. Infatti in corrispondenza al livello di reddito di equilibrio con imposta proporzionale valgono le seguenti condizioni (1-t)-1 > (1-ta)-1. L’unicità dell’equilibrio e la stabilità del sistema richiedono ora 1 - c(1-t) > 0. La propensione marginale a consumare reddito disponibile può essere maggiore dell’unità senza che il modello risulti instabile, essendo ora c(1-t) la propensione alla spesa dal reddito. Ovvero la condizione c>1 non risulta irrealistico visto che c rappresenta ora la propensione marginale a consumare rispetto al reddito disponibile e non più al reddito totale. È importante notare le conseguenze di questo fatto che saranno oggetto di analisi in seguito. Già in questo semplice modello non siamo più in grado, in base alle considerazioni relative al principio di stabilità dell’equilibrio, di determinare il segno di alcuni moltiplicatori. Essendo il segno di 1-c indeterminato non possiamo infatti determinare il segno dei moltiplicatori del deficit pubblico. La presenza della funzione del gettito [5], riducendo il moltiplicatore, attenua le capacità espansive di ogni impulso delle variabili esogene sul reddito; effetto noto come stabilizzazione automatica. Nel caso particolare in cui c fosse stato maggiore dell’unità e quindi la nostra economia instabile un livello adeguato dell’aliquota restaura la stabilità dinamica della nostra economia. Graficamente, il livello del deficit dipende dal reddito come rappresentato in fig. 3 dove in corrispondenza al reddito Y* abbiamo un deficit in corrispondenza al reddito Y° abbiamo un pareggio in corrispondenza al reddito Y’ abbiamo un surplus. Inoltre, a parità di propensione al consumo (inferiore all’unità), l’inclinazione della IS aumenta (vedi fig.4), e per una data fluttuazione del saggio di interesse la variazione del reddito risulta minore grazie ad un effetto di stabilizzazione, essendo ora c(1-t) e non più c la propensione alla spesa. Si riduce anche lo spostamento verso destra della IS in corrispondenza di un impulso fiscale, dato che l’imposta sul reddito preleva parte dell’incremento del reddito disponibile t dY (come se la propensione marginale a consumare fosse diminuita). G, T, TC fig.3 i tY D” G-T-TC deficit D* IS^ IS fig.4 dI(1-c(1-t)) stabilizzazione surplus D°=0 fluttuazione dI/(1 -c) Y* Y° Y’ Y2 Y” Y° Y’ Y1 Scienza delle Finanze Progredito 8 Prima Versione. L’effetto discrezionale di un aumento delle imposte sarà dato da -dY/dT mentre l’effetto totale dell’aumento del gettito sul livello del reddito, detto da Samuelson pseudomoltiplicatore è dato dal rapporto tra il moltiplicatore del reddito e del gettito dell’imposta desiderata, rispetto ad un dato strumento fiscale, nel nostro caso (dY/dT)/(dTY/dT). Possiamo così scrivere: [10] dY/dT° -c/[1 - c(1-t)] -c ----------- = ------------------- = -------dTY/dT° (1-c)/[1-c(1-t)] 1- c E’ importante notare come il valore dello pseudo moltiplicatore del reddito rispetto al gettito dipenda crucialmente dallo strumento utilizzato. Infatti, facendo invece variare la spesa pubblica dG lo pseudo moltiplicatore sarà (dY/dG)/(dTY/dG) = 1/t sicchè apparentemente un incremento del gettito provo cherebbe un aumento delle imposte. Tale pseudo moltiplicatore coglie l’effetto automatico dell’incremento del gettito all’aumentare del reddito ed indica invece di quanto è necessario che il reddito aumenti perchè l’aumento del gettito sia pari a quello della spesa. In sostanza avremo free lunch quando dY/dG>1/t ovvero dTY/dG>1. L’uso degli pseudo moltiplicatori é legittimo, tuttavia è necessaria attenzione e cautela, non dimenticando di evidenziare sempre lo strumento, o la manovra fiscale utilizzata. Nel presente modello, con funzione del gettito, l’effetto totale del gettito, manovrando le imposte fisse è eguale al moltiplicatore dY/dTY nel modello [1], dove l’imposta sul reddito era un semplice strumento e non un’endogena. Collegati alla distinzione precedente ci sono a) il concetto di effetto automatico (quale differenza tra l’effetto totale e l’effetto discrezionale (dY/dT)/(dTY/dT) -dY/dT e b) il concetto di stabilizzatore automatico (che indica di quanto l’effetto automatico riduce il moltiplicatore delle esogene). Un modo esatto per misurare quest’ultimo concetto è l’indice ISA, proposto da R. Musgrave, che consiste nel rapportare la differenza tra la variazione del reddito in presenza di imposte fisse TY e della funzione del gettito T(Y) con la variazione del reddito in presenza di imposte fisse TY. 1/[1-c(1-t)] ct [11] ISA = 1 - ---------------- = ---------------1/(1-c) 1/[1-c(1-t)] Tale indice mostra di quanto si riduce in percentuale la variazione del reddito per effetto della presenza della funzione del gettito nel nostro modello al posto dell’imposta fissa. 1c. Due distinte manovre del bilancio in pareggio. Ripetiamo ora una manovra di bilancio in pareggio simile a quella svolta all’inizio, assumendo per ora una propensione marginale c inferiore all’unità. Volendo trovare il risultato di un’eguale variazione di G e TR di segno opposto imponiamo dG = -dT e dt = 0 ottenendo: [12] dY = (1-c) dG / [1-c(1-t)] dC = -c t dG / [1-c(1-t)] dD = -t (1-c) dG / [1-c(1-t)] Scienza delle Finanze Progredito 9 Prima Versione. In questo caso avremo un aumento del reddito inferiore a dG, essendo c<1, ed una riduzione dei consumi e del deficit di bilancio. Ciò avviene perchè il gettito TY aumenta automaticamente all’aumentare del reddito Y (essendo l’aliquota t costante) e quindi la manovra che comporta un saldo di bilancio invariato al livello iniziale del reddito comporta invece un surplus di bilancio al livello finale del reddito di equilibrio (maggiore di quello iniziale). La presenza della funzione del gettito [5] ci costringe a distinguere tra due manovre di bilancio in pareggio una “ex ante” dG = - dTR (relativa al livello iniziale del reddito di equilibrio) e una “ex post” dG = - dTR + t dY (relativa al livello finale del reddito di equilibrio). Il lettore si renderà ora quindi conto come la manovra precedentemente studiata fosse di pareggio “ex ante”. Mantenendo invariato il disavanzo al livello di reddito di equilibrio finale (manovra di bilancio in pareggio “ex post”) abbiamo il moltiplicatore unitario di Haavelmo. Tale manovra comporta chiaramente un aumento della spesa maggiore dell’aumento delle imposte dirette, poichè l’incremento del reddito finanzia automaticamente parte dell’aumento della spesa pubblica. Tale aumento automatico del gettito tdY è l’effetto automatico (risultato della variazione del reddito, rispetto al livello iniziale che può derivare o meno dalla manovra di politica fiscale) e va distinto accuratamente dall’effetto discrezionale -dT, che deriva direttamente dalla manovra di politica fiscale in corrispondenza del livello iniziale del reddito. Ovviamente un aumento delle imposte eguale a quello della spesa, nell’equilibrio finale, è coerente con un aumento del reddito pari a quello della spesa, poichè ciò implica consumi e investimenti costanti come visto in precedenza. Tale caso è rappresentato in figura che mostra la riduzione dell’effetto espansivo della spesa pubblica, con la funzione delle imposte, e --Per valori elevati della propensione marginale al consumo tuttavia la crescita del reddito in risposta ad un aumento della spesa pubblica dG può essere talmente elevata da portare da una situazione di pareggio ad un surplus. Ritornando al segno dei moltiplicatori è istruttivo esaminare cosa succeda quando 1 < c < 1/(1-t), dove c indica la propensione marginale a consumare dal reddito disponibile. Tale caso non è improbabile quando il sistema attraversi una fase di euforia (o quando reddito disponibile e consumi non sono direttamente confrontati nelle decisioni dagli operatori che usano assegni e carte di credito). Inoltre esso non implica necessariamente (a parte il caso di modello lineare) un risparmio negativo, ma solo un risparmio marginale negativo. La propensione marginale alla spesa rispetto al reddito c(1-t) rimane sempre minore dell’unità. 10 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. i fig.5 IS’ IS” IS° fig.6 G, TY tY m=1-c(1-t) dY = dG/m G+T+tdY’ D°=0 G+T D’ = t dY’ dY=cdG/(1-c) dY’ = dG(1-c)/(1-c(1-t)) dY=dG dY= c(1-t)dG/m ctdG/m Y° Y’ Ys Y” Y° Y’ Essendo 1 - c < 0 il segno dei moltiplicatori del deficit pubblico assume valori diversi da quelli normalmente ipotizzati. Diviene quindi formalmente possibile, in presenza di un aumento della spesa pubblica, il verificarsi di un aumento del reddito tanto ampio da far sì che l’aumento automatico del gettito tdY superi l’incremento della spesa pubblica dG e comporti una riduzione del disavanzo. Tale situazione estremamente favorevole per l’operatore pubblico è nota sotto il nome di “free lunch” ed è esclusa imponendo a priori che la propensione marginale al consumo sia inferiore all’unità c < 1. In pratica lo Stato riesce aumentando le proprie spese o diminuendo le imposte non solo ad aumentare il livello del reddito del paese, ma anche a diminuire il propio deficit di bilancio. Tale situazione ammissibile per lo Stato diviene assurda se pensata per i privati: come se, andando al ristorante dopo la consumazione, il cameriere vi pagasse per aver gradito il pasto. G, TY fig.7 tY G-T°+dG dY*=dG/t D^ D' G-T° t dY’ Y° Y’ dG Y* Y^ Come evidenziato tale condizione è identica per tutti gli strumenti fiscali (ciò è vero però se gli investimenti dipendono dal reddito) essendo: [13] dD/ dG = (1- c) (1- t) / [1 - c(1-t)] < 0 per (1-t)-1 > c > 1 [14] dD/dTR = (1-c)/[1 - c(1-t)] = -dD/Ydt < 0 per (1-t)-1 > c > 1 e non contraddice la coerenza del modello, né l’unicità e la stabilità dell’equilibrio. Scienza delle Finanze Progredito 11 Prima Versione. 3. Indicatori delle politiche fiscali: funzioni e limiti Gli indicatori fiscali servono usualmente a descrivere gli effetti della politica fiscale o di bilancio sul livello dell’attività economica. Spesso ad essi si richiede anche di distinguere tra effetti discrezionali ed automatici che derivano dalle funzioni vigenti delle entrate e delle spese o da quelle di futura attuazione. Per raggiungere tali finalità potrebbe sembrare opportuno affidarsi a modelli econometrici in grado di fornire previsioni numeriche circa l’effetto di date politiche fiscali. Tuttavia si ricorre spesso a tali indici di bilancio per la mancanza di modelli affidabili o per ragioni di risparmio in termini di costi monetari e di informazioni necessarie richieste. Gli indicatori di bilancio sono inoltre generalmente diffusi a livello di organizzazioni internazionali. Ciò è giustificato dalla più facile comparabilità delle politiche fiscali dei diversi paesi attraverso l’uso di tali strumenti di analisi, dato che le risposte dei modelli econometrici dipendono crucialmente dalle strutture degli stessi. La misura più semplice del comportamento delle autorità fiscali è data direttamente dal deficit del bilancio pubblico. In prima approssimazione si può infatti sostenere che un aumento del deficit, in generale é indice di una politica fiscale di tipo espansivo. Viceversa una riduzione del deficit, in generale indica una politica fiscale di tipo recessivo. Questo primo indicatore risulta piuttosto grossolano per vari motivi. (a) Innanzitutto nel breve periodo le imposte sono una variabile endogena, al pari dei trasferimenti di tipo sociale e degli interessi sul debito. Dipendendo tali grandezze dal livello di equilibrio del reddito dal tasso di interesse e dal tasso di inflazione, qualsiasi variazione di tali valori di equilibrio (dovuta a motivi differenti da una manovra degli strumenti fiscali) comporterebbe una variazione del deficit dando messaggi errati circa l’effettiva politica fiscale. In particolare, qualora si avesse un aumento del livello del tasso di inflazione in seguito ad una variazione autonoma della domanda o dell’offerta aggregata, il deficit diminuisce, sicché tale indicatore segnalerebbe una politica fiscale di tipo deflattivo, sebbene non vi sia stata alcuna variazione nella politica fiscale discrezionale. Il valore del saldo di bilancio misurato per un dato livello di reddito e di tasso di interesse e di inflazione (ad esempio quelli correnti all’inizio del periodo o quelli di pieno impiego) non subirebbe invece, in tale caso, alcuna variazione nel suo ammontare; così il deficit discrezionale ed il surplus di pieno impiego risultano degli indicatori della politica fiscale più corretti. (b) Tuttavia entrambe queste misure, come verrà dimostrato, soffrono del fatto che variazioni di diverso ammontare delle imposte e delle spese, aventi effetti opposti ma eguali in valore assoluto sul livello del reddito, non necessariamente avrebbero effetti opposti ma eguali in valore assoluto sul livello degli indici precedenti ma comporterebbero una variazione di tali indici. O viceversa una manovra (delle spese e delle imposte fisse) di bilancio in pareggio (come si é dimostrato) porterebbe ad un’aumento del reddito, pur lasciando inalterato il deficit ed il surplus di pieno impiego. Quest’ultimo inconveniente può essere evitato qualora le poste di bilancio presenti nei precedenti indici vengano opportunamente ponderate con pesi proporzionali ai valori dei moltiplicatori rispetto al reddito di equilibrio. Otterremo così due nuovi indici noti come 12 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. deficit ponderato e surplus di pieno impiego ponderato. Tuttavia anche il surplus di pieno impiego ponderato non darebbe sempre indicazioni corrette. Ad esempio nel caso di variazioni delle spese pubbliche e dell’aliquota impositiva tali da lasciare inalterato il livello del reddito di equilibrio esso aumenterebbe qualora il livello del reddito sia inferiore a quello di piena occupazione. Per evitare tale difetto sarebbe quindi opportuno misurare il valore del surplus di bilancio per il livello di reddito e di tasso di interesse e di inflazione vigenti all’inizio del periodo. Tale nuovo indicatore, che potremo chiamare deficit ponderato discrezionale, non subirebbe invece, nemmeno in tale occasione, alcuna variazione nel suo ammontare dando sempre indicazioni corrette circa la politica fiscale discrezionale. In seguito nella costruzione dei nostri indici di bilancio per semplicità ci serviremo di funzioni di comportamento lineari degli operatori. Possiamo servirci del nostro modello reale semplificato con alcune assunzioni ad hoc per osservare le principali proprietà e difetti delle precedenti misure. Il livello massimo di semplificazione può essere ottenuto linearizzando le imposte sul reddito e ignorando inflazione, imposte sui consumi e trasferimenti. Per quanto riguarda la prima misura più grossolana data dal deficit di bilancio D = T° + t YG. È chiaro che essendo le imposte dirette una variabile endogena dipendente dal livello del reddito, una variazione del reddito dovuta a motivi differenti da una manovra degli strumenti fiscali porterà ad una variazione di tale misura. In particolare qualora si abbia un aumento del livello del reddito dal valore Y° al livello Y’ in seguito ad una variazione autonoma degli investimenti, come in figura, il deficit diminuirebbe dal livello D° al livello D’, sicché il nostro indicatore sembrerebbe segnalare una politica fiscale di tipo deflattivo. Avremo infatti dD = t y dY. Il valore del surplus di bilancio misurato per un dato livello di reddito (di pieno impiego Y*) SPI = T + ty Y *- G invece non subirebbe alcuna variazione (poichè dY* = 0); il surplus di pieno impiego risulterebbe in questo caso un indicatore corretto della politica fiscale, al pari del suplus di pieno impiego ponderato e del deficit ponderato discrezionale. G, TY G, TY t Y+ dT° t Y SPI' cdT° SPI D° D’ G+dG SPI° G D' D° dT° Y° Y' Y* Y Y” Y* Questa misura tuttavia risente del fatto che i diversi strumenti hanno differenti effetti moltiplicativi, come deficit ponderato. DP = cT° +ctY –G. Qualora si voglia misurare solo l’impatto degli effetti discrezionali, bisogna passare alle variazioni del deficit ponderato per correggere per gli effetti automatici del ciclo e dell’inflazione. Una possibile misura sarebbe il Scienza delle Finanze Progredito 13 Prima Versione. Suplus di pieno impiego ponderato SPIP = c T° + c t Y* - G non muta pesi proporzionali ai moltiplicatori di equilibrio. SPI e SPIP indicano gli effetti ipotetici di impatto politica fiscale in condizioni di pieno impiego. Non sono perciò indicatori corretti politica discrezionale (dG=cT) a reddito corrente come si vede in figura. Ciò che desideriamo è quindi la variazione del saldo ponderato discrezionale. In particolare, l’indicatore che risponde alle nostre esigenze è quindi il deficit ponderato discrezionale che considera Yc, il livello corrente del reddito. DPD = cT° +ctYc -G 4. L’inserimento del debito nel bilancio e nel settore reale Fino ad ora anche nel modello prospettato all’inizio del capitolo abbiamo ignorato il problema del finanziamento del deficit e dell’esistenza del debito pubblico. Tale problema va esaminato contestualmente con la definizione di ricchezza reale W che è formata dagli stock di moneta M/P, titoli pubblici B/P e capitale privato K. Ovviamente il saldo di bilancio può essere finanziato con l’emissione di moneta M/P o di titoli B/P (dove indica il differenziale rispetto al tempo); lo stock di titoli accumulato nel passato B/P è normalmente indicato col termine debito pubblico, anche se esso a rigore comprende oltre ai titoli del debito pubblico anche lo stock di moneta M/P. Gli interessi reali netti corrisposti al settore famiglie rn B/P = [i(1-ti)-p]B/P costituiscono il servizio (o l’onere) reale netto del debito pubblico e sono parte dei trasferimenti netti di reddito TR+i(1-ti)B/P-T°. La parte pB/P che pure compare nel Bilancio dello Stato non costituisce un onere ma è assimilabile ad un rimborso anticipato essendosi svalutato di tale ammontare lo stock di titoli del debito pubblico. Naturalmente per il momento nel modello a prezzi fissi P=1 essendo il tasso di inflazione p nullo non avremo tale termine. Il vincolo del bilancio ed il reddito disponibile devono comprendere tale trasferimento di reddito [1D] D = G + TR + i(1-ti)B/P - T° - ty Y - tc C = [2D] YD = [Y - TY + TR + i(1-ti)B/P]/(1-tc) M/P + B/P Mantenendo invariate le altre equazioni la curva IS diviene: [3D] Y = C({Y(1-ty)+TR-T°+[i(1-ti)-p*]B}/(1+tc); G; (M+B+K)/(1-tc)) +I(i-p*, Y, K) +G Essa sarà inclinata negativamente nello spazio i,Y solo qualora |Ir|>Cy(1-ti)B la riduzione degli investimenti sia maggiore dell’aumento dei consumi dovuti ad un aumento del saggio di interesse. Infatti differenziando ripetto a tali variabili otteniamo di/dY ={[Cy(1-ty)/(1tc)]+Iy}/{Ir+[Cy(1-ti)/(1-tc)]B}. Ciò avviene perchè un’aumento del saggio di interesse i provoca (a parità di p*) un aumento del consumo ed una diminuzione dell’investimento privato con un effetto quindi incerto sul reddito. Ciò non ha grosse implicazioni per il modello di economia reale ma influenza il ruolo della politica monetaria nel breve periodo. È interessante esaminare gli effetti dello stock dei titoli sul reddito, fermo restando il saggio di interesse. dY/dB = {[Cy i(1-ti)/(1-tc)]+Cw/(1-tc)}/{1-Cy[(1-ty)/(1-tc)]-Iy} Il reddito aumenta per due motivi: 1) perchè aumenta il reddito disponibile ed i consumi essendo maggiore il servizio del debito Cy i(1-ti)/(1-tc), 2) perchè aumenta la ricchezza e 14 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. quindi i consumi Cw/(1-tc). Il finanziamento dell’aumento della spesa pubblica (in assenza di free lunch) con debito pubblico provoca quindi ulteriori effetti espansivi. 5. Equilibrio di lungo periodo nel modello IS-LM 5a. Equilibrio di lungo periodo con trasferimenti costanti. L’analisi precedente può essere illustrata nello schema IS-LM. In figura é rappresentato il raggiungimento di una nuova posizione di equilibrio di lungo periodo partendo da un equilibrio iniziale Y* passando ad un equilibrio di breve periodo Y’ per raggiungere grazie allo spostamento della LM il nuovo equilibrio di lungo in Y°°. Fig. 1 i LM Fig. 2 G, T t Y -T -i(1 -t i )B/P LM' surplus i^ G+dG i* G IS' deficit IS Y* Y^ Y°° Y Y* Y^ Y°° Y A fianco è illustrata la dinamica del bilancio che parte da una situazione di pareggio con il livello di reddito iniziale Y* passando ad un deficit di breve periodo al livello Y’ per raggiungere grazie alla crescita del reddito il nuovo pareggio in Y°°. Si noti altresì come nel grafico per semplicità espositiva venga trascurato l’effetto ricchezza che produrrebbe ulteriori spostamenti della IS all’aumentare dello stock di moneta. Lo Stato può finanziare il deficit di lungo periodo con debito. Il risultato di tale politica é illustrato nel grafico dove é la IS a spostarsi, al posto della LM, essendo il finanziamento con debito. Il raggiungimento della nuova posizione di equilibrio di lungo periodo Y°°, partendo da un equilibrio iniziale Y* passa per l’equilibrio di breve periodo Y’. A fianco è illustrata la dinamica del bilancio che partendo da una situazione di pareggio con il reddito iniziale Y* passa per un deficit di breve periodo al livello Y’ e raggiunge grazie alla crescita del reddito il nuovo pareggio in Y°°. Anche in questo caso nel grafico per semplicità espositiva si trascura l’effetto ricchezza che farebbe spostare la LM verso sinistra all’aumentare dello stock di titoli. 15 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. Fig.3 i LM Fig.4 G, T t Y -T -i(1 -t i )B/P i°° i^ i* surplus G+dG IS" G IS' deficit IS Y* Y^ Y°° Y Y* Y^ Y°° Y Il risultato è il medesimo salvo il caso monetarista. estremo quando il valore di (dY/dB) è negativo (a causa di un effetto ricchezza perverso) e quindi a causa dell’instabilità il sistema economico non raggiunge la situazione di equilibrio Y°° (spostandosi la LM verso sinistra con una IS’ fissa) ed il reddito diminuisce all’infinito. Infine, nel caso di equivalenza ricardiana, essendo dY/dB=0; rimanendo la IS’ fissa, si resta nell’equilibrio di breve periodo Y^ con un deficit ed un’emissione di titoli costanti e continue. Nel caso di finanziamento con moneta la stabilità, data l’equazione [8] ∆M = - t (dY/dM) dM + [1-t(dY/dG)]dG = 0 richiede che il moltiplicatore del reddito rispetto alla quantità di moneta sia positivo ossia: dY/dM > 0. Solo in questo caso infatti l’aumento dello stock di moneta ∆M farà aumentare il reddito, ridurre il deficit e quindi ridurre ∆M progressivamente fino a zero (equilibrio nel periodo medio-lungo). Nel caso di finanziamento con creazione di nuovo debito essendo: [9] ∆ B = - t (dY/dB) dB + [1-t(dY/dG)]dG = 0 la stabilità richiede che il moltiplicatore del reddito rispetto allo stock di debito sia positivo dY/dB > 0, condizione automaticamente soddisfatta dal modello grazie all’effetto ricchezza salvo i casi di equivalenza ricardiana e monetarismo estremo. Si noti infatti come essendo i trasferimenti netti costanti operino i soli effetti ricchezza. 5b. Moltiplicatori di lungo periodo nel caso generale Il valore unico del moltiplicatore di lungo periodo della spesa pubblica, indipendente dal finanziamento (con moneta o con titoli), è dovuto alla costanza dei trasferimenti netti. 16 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. i finanziamento con titoli fig. 5 LM fig. 6 G, T t Y -T -i(1 - ti ) B ° ° / P t Y - T - i(1 - t i) B * / P IS" i^ G+dG i* G IS' IS Y Y* Y^ Y* Y^ YB Y Y ° ° YB In effetti supponendo T costante possiamo facilmente osservare come la grandezza del moltiplicatore di lungo periodo dipenda dalle modalità di finanziamento del deficit.Come si vede in figura l’incremento del reddito di equilibrio YM-Y*, derivante dall’aumento della spesa pubblica finanziato con moneta, risulta minore di quello raggiungibile con il finanziamento con titoli YB-Y*, essendo la variazione del servizio del debito i(1-ti)B inferiore nel primo caso a causa sia del minore livello del tasso di interesse di equilibrio di breve e lungo periodo, sia dell’ammontare del debito. i fig. 7 fi n a n z i a m e n t o c o n m o n e t a LM G, T LM' i^ fig. 8 t y Y + T -T R - i * ( 1- t)B*/P t y Y + T - T R -i ° ( 1 - t)B°/P G+dG i* G IS' IS Y Y* Y^ YM Y * Y ^ YM Y°° Y Nel caso di equivalenza neo-ricardiana finanziando con moneta nel breve periodo la IS si sposterà verso destra e partendo da una situazione di pareggio di bilancio si produrrà un deficit che provocherà uno spostamento della LM verso destra essendo il deficit finanziato con moneta. Per l’equilibrio di lungo periodo sarà quindi come prima richiesto che ∆M=0. Solo quando finanziamo con titoli la variazione del reddito di equilibrio di breve periodo sarà eguale a quella del reddito di equilibrio di lungo periodo essendo in questo caso la variazione del reddito (e del saggio di interesse) derivante dall’emissione di titoli pari a zero. Di conseguenza in questo caso saremo in equilibrio di lungo periodo con qualsiasi valore di ∆B e non si porranno problemi di stabilità, avendosi coincidenza tra equilibrio di breve e lungo periodo. Sicché il deficit potrà permanere all’infinito finanziato con titoli.2 Tuttavia ciò vale solo 2 In un mondo dove i titoli del debito pubblico non rappresentano ricchezza, per i consumatori, non si pone alcun problema di livello di debito di equilibrio essendo il suo livello completamente indifferente per gli operatori. Ossia è indifferente che il deficit esista e venga finanziato con titoli o che venga eliminato definitivamente con un aumento delle imposte dirette. (Nel caso particolare in cui si abbia perfetta sostituibilità tra beni pubblici e di consumo privato il moltiplicatore della spesa pubblica sarà nullo nel breve e nel lungo periodo.) Il verificarsi dell’equivalenza neo-ricardiana implica dunque un sostanziale mutamento dell’analisi di lungo periodo essendo il moltiplicatore della spesa pubblica, Scienza delle Finanze Progredito 17 Prima Versione. qualora gli operatori si aspettino un aumento delle imposte sul reddito od una riduzione dei trasferimenti e non altri tipi di manovre fiscali. Il caso di monetarismo estremo pone un problema di stabilità ed implica un sufficiente aumento dello stock di moneta nel medio-lungo periodo per scongiurare lo spiazzamento degli investimenti. 6. Deficit, debito, sostenibilità, inflazione e imposizione. Nel seguito affronteremo nella prima sezione il problema della sostenibilità del debito in un’economia in crescita, partendo dal contributo di Domar per giungere all’analisi di Sargent e Wallace. Evidenzieremo così con maggiore precisione le grandezze in gioco ed i limiti dell’utilizzo della sola politica monetaria. Nella seconda sezione considereremo in dettaglio il problema della minimizzazione del servizio del debito pubblico attraverso lo strumento impositivo nel breve in uno schema di equilibrio parziale. 6a. Deficit e debito nel lungo periodo: un approfondimento I modelli teorici alla base delle correnti discussioni sugli effetti del debito sono piuttosto complicati, dato il contesto di generazioni sovrapposte (overlapping generation) e la presenza di funzioni di comportamento individuali di tipo massimizzanti. Tuttavia, le principali intuizioni ed i termini generali del problema possono essere adeguatamente illustrati partendo da ipotesi più semplici. Il modello che prendiamo a riferimento è quello aggregato, con mercati in equilibrio, prezzi flessibili ed una tecnologia a rendimenti di scala costanti. In generale tutte le grandezze sono funzione del tempo j. Per semplicità scegliendo opportunamente l’unità di misura possiamo eguagliare in ogni periodo j output (Y) e input (rappresentato dal lavoro L) Y = L. Indicando con ∆ il differenziale rispetto al tempo (ad es. ∆L =dL/dj) possiamo inoltre supporre che l’offerta di lavoro cresca ad un ritmo costante g, che nel modello determina la crescita dell’output. [1] ∆L/L = ∆Y/Y = g In presenza di una componente monetaria ipotizzeremo generalmente che valga la teoria quantitativa della moneta, secondo la quale la quantità reale di moneta (M/P) dipende unicamente dal reddito, ovvero M/P = kY. Il parametro k è quindi un dato; in particolare k è indipendente dal livello del tasso di interesse r fissato esogenamente (ad esempio dai mercati internazionali).3 Considerando tutte le variabili in quota sul reddito PY (ed in particolare il rapporto debito/pil, b = B/PY) l’analisi può essere condotta sulla base del vincolo del finanziamento del deficit e del comportamento delle autorità fiscali e monetarie, partendo dal contributo di Domar del 1944 sull’onere del debito pubblico (The “burden of the debt” and quando il deficit è finanziato con moneta, superiore a quando esso invece é finanziato con titoli del debito pubblico. E’ importante notare come il caso neo-ricardiano quindi non solo riconduce il nostro modello a quello originale senza effetto ricchezza, ma inoltre riduce l’efficacia del moltiplicatore della spesa pubblica al caso di manovra di bilancio in pareggio. Di conseguenza pone un serio limite alla conduzione della politica fiscale attraverso tale strumento. 3 Ciò implica che la quantità di moneta detenuta dagli operatori in quota sul reddito (m = M/PY = k) sia costante. In sostanza, come avremo modo di notare in seguito, si tratta solo di far valere nell’immediato con il riequilibro del livello dei prezzi un aggiustamento che se graduale complicherebbe la dinamica del modello. Scienza delle Finanze Progredito 18 Prima Versione. the national income) in presenza di debito pubblico fruttifero (ovvero considerando un modello di economia reale in assenza di inflazione ed imposizione sui titoli i(1-ti)-π = i = r). 6b. L’analisi di Domar Quando gli interessi sul debito sono finanziati con un’imposta addizionale sul reddito tY, [2] ∆B = dB/dj = s Y = G-T+(iB-tY) > 0 con s > 0 il deficit complessivo del bilancio pubblico sY = (G-T) è una quota costante del reddito (essendo gli interessi pagati con l’imposta addizionale iB = tY) e viene finanziato con emissione o riacquisto di titoli del debito pubblico a seconda che s sia positivo (deficit) o negativo (surplus). Limitandoci al solo caso di deficit (s > 0) ciò implica l’esistenza di uno stock di debito B crescente nel tempo j ed una spesa per interessi r B che può venire finanziata con imposte aggiuntive sul reddito t Y. Se il debito cresce ad un tasso costante gb pari a g la sua quota sul reddito b=B/Y si mantiene costante nel tempo così come l’aliquota t. La sostenibilità del debito pubblico implica quindi l’esistenza di un’aliquota impositiva di equilibrio t* costante (possibilmente minore del 100%) e la stabilità dinamica la tendenza dinamica dell’aliquota a portarsi verso questo livello di equilibrio. In questo modello b rappresenta la variabile endogena del sistema economico ed s lo strumento fiscale. La variazione della quota del debito è pari alla quota del deficit s meno la riduzione della quota del debito a causa della crescita del reddito: [3] ∆b = s - g b L’economia è in equilibrio quando la quota del debito si mantiene costante nel tempo. Ovvero quando il rapporto debito/pil è pari a: b* = s/g. Sostituendo il valore di b* possiamo riscrivere l’equazione dinamica più semplicemente come: ∆b = -g (b - b*) Essendo -g il coefficiente di b negativo per un tasso di crescita g positivo possiamo facilmente verificare graficamente come il sistema sia stabile. Infatti, per un livello corrente del rapporto debito/pil superiore a quello di equilibrio (b’ > b*) la quota del debito pubblico diminuirà nel tempo (∆b < 0). Viceversa, per un livello corrente inferiore a quello di equilibrio (b” < b*) la quota del debito aumenterà nel tempo (∆b > 0). Poiché in ogni caso essa tenderà al livello di equilibrio b* questo risulta dinamicamente stabile. Tale situazione può essere facilmente rappresentata (vedi fig. 1a), ponendo sull’asse delle ordinate la variazione nel tempo della nostra endogena ∆b e sull’asse delle ascisse il suo livello b. In generale, l’equilibrio è localmente stabile se il coefficiente, che indica l’influenza dello scostamento della variabile endogena sul suo aggiustamento nel tempo, è negativo. Ossia lo scostamento di una endogena dalla posizione di equilibrio deve influenzare negativamente la sua variazione nel tempo. L’evoluzione nel tempo della quota del debito è rappresentata in fig. 1b, ponendo sull’asse delle ordinate b (il rapporto debito/pil) e sull’asse delle ascisse il tempo j. Quindi per arrivare ad un debito pari al 60% del pil (per come previsto dagli accordi comunitari) partendo da un deficit complessivo del 3% è necessario un tasso di crescita del 5%. Con un saggio di crescita del 2,5% il debito tendenziale sarebbe invece il 120%. 19 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. Alternativamente, con una crescita al 2,5% per riportare la quota del debito pubblico di equilibrio al 60% dovremmo ridurre il deficit complessivo al 1,8%. ∆b b fig.1a ∆b= s - g b fig.1b b" b* b” b’ b* b b' j Il livello dell’aliquota di equilibrio t* può essere facilmente ottenuto poiché t = rB/Y: [4] t* = i s / g = r s / g (essendo i = r in assenza di inflazione) In pratica, se il tasso di crescita è maggiore del tasso di interesse finanziando parte della spesa pubblica con debito fruttifero siamo persino in grado di ridurre l’aliquota impositiva complessiva di equilibrio essendo l’imposta addizionale inferiore al deficit (essendo tY<sY). Introducendo un’imposta sugli interessi ti avremo t* = i(1-ti)s/g l’autorità fiscale può ridurre l’aliquota addizionale sul reddito se non si ha traslazione; ovvero se il rendimento netto del debito si mantiene costante (una questione verrà affrontata in maggior dettaglio nella parte finale). Passiamo ora ad esaminare un secondo modello in cui il servizio sul debito è finanziato con emissione di nuovo debito e l’autorità mantiene costante il saldo primario: [5] ∆B = sp Y + i B = G - T + iB > 0 In questo caso il deficit è una funzione crescente del livello del debito perché gli interessi da pagare iB crescono all’aumentare dello stock del debito. L’equazione dinamica, mostra ora come la variazione in quota del debito “∆b” sia pari al deficit “sp”, più l’aumento della quota dato l’onere del debito pregresso “i b”, meno la riduzione della quota dovuta alla crescita del reddito “g b”: [6] ∆b = sp + i b - g b = sp -(g - i)b L’economia sarà in equilibrio quando la quota del debito si mantiene costante nel tempo ∆b=0. Ovvero quando il rapporto del debito/pil è pari a: b° = sp/(g - i). Sostituendo il nuovo termine b° nell’equazione dinamica avremo: ∆b = -(g - i)(b - b°) L’equilibrio é quindi stabile in questo secondo modello solo se g > r essendo solo in tale caso il coefficiente di b negativo. Infatti, per un livello corrente b’ del rapporto debito/pil superiore a quello di equilibrio b° la quota del debito pubblico diminuirà nel tempo (∆b < 0). Viceversa, per un livello corrente b” inferiore a quello di equilibrio b° la quota aumenterà nel 20 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. tempo (∆b > 0). Il processo dinamico si arresterà solo quando il rapporto debito/pil raggiunge il valore di equilibrio b°. Ove invece il rendimento del debito sia superiore al tasso di crescita r > g la dinamica del debito divergerà dal livello di equilibrio b° che risulta dinamicamente stabile. La due situazioni sono rappresentate in fig. 2a e 2b, ponendo sull’asse delle ordinate la variazione nel tempo del rapporto debito/pil ∆b e sull’asse delle ascisse il suo livello b. ∆b fig.2a g>i ∆b ∆b = sp-(g-i)b ∆b = sp-(g-i)b b" b' b* fig.2b g<i b' b b* b" b L’evoluzione nel tempo della quota del debito nelle medesime situazioni è rappresentata nelle fig. 3a e 3b, ponendo sull’asse delle ordinate b (il rapporto debito/pil) e sull’asse delle ascisse il tempo j. In questo secondo modello, nel caso di equilibrio dinamicamente stabile partendo da b’ la politica fiscale può raggiungere il rapporto desiderato b°, fissando opportunamente il saldo primario al livello sp° = (g - i)b°. Ad es. mantenendo costante il deficit primario, per arrivare ad un debito pari al 60% del pil (per come previsto dagli accordi comunitari) partendo dal un saldo primario del 0,3% è necessario un tasso di crescita che superi del 0,5% la remunerazione reale del debito pubblico. In generale quando l’equilibrio risulta localmente instabile (per i > g) per stabilizzare il livello del debito in quota sul reddito (mantenendolo invariato nel tempo al livello corrente b’) l’autorità fiscale deve ridurre il saldo primario fino al valore sp’ = (g - i)b < 0. Invece, per ridurre progressivamente il debito fino a raggiungere b° l’autorità fiscale deve ridurre il saldo primario al di sotto del precedente livello sp’. b g>i fig. 3a b b" g<i fig.3b b" b* b* b' b' j j Scienza delle Finanze Progredito 21 Prima Versione. Ad es. con un saggio di crescita inferiore del 2% alla remunerazione reale del debito avremo una quota del debito tendenziale pari a 130% con un saldo primario di -2,6%. In questo caso, il rapporto debito/pil tenderà a ridursi solo partendo da valori inferiori al 130% od a permanere su tale valore se questo è il livello corrente. Introducendo un’imposta sugli interessi ti il rendimento netto diviene in = i(1-ti). Se non si ha traslazione, l’autorità fiscale può essere in grado di aumentare il livello del saldo primario sp’ o addirittura di rendere il sistema dinamicamente stabile, facendo scendere il rendimento netto al di sotto del saggio di crescita. Alternativamente, per migliorare la situazione, l’autorità fiscale può cercare di aumentare la crescita economica del sistema, conclusione per la quale propendeva Domar. 6c. Finanziamento del deficit, stabilità e valori di equilibrio. Considerando l’eventuale presenza di variazioni nei prezzi possiamo sviluppare il secondo modello di Domar riscrivendo il vincolo di bilancio in termini nominali come: [7] ∆M + ∆B = sp P Y + i (1-ti) B Dividendo entrambe i lati della precedente equazione per il reddito nominale avremo: [8] ∆M/P Y + ∆B/P Y = gm m + gb b = sp + i (1-ti) B/P Y dove m = M/PY e b = B/PY sono le quote di moneta e titoli sul reddito, mentre gm= ∆M/M e gb= ∆B/B indicano rispettivamente il tasso di crescita dello stock di moneta e di titoli. La variazione del reddito monetario nel tempo g = π + gy è funzione del tasso di crescita dei prezzi π = ∆P/P e del reddito reale gy.4 Per esaminare l’evoluzione di b esplicitiamo il comportamento delle autorità, considerando la crescita dello stock di moneta a tasso gm. gm m + ∆b + ( π + gy) b = sp + i (1-ti) b [9] Dal precedente vincolo di bilancio otteniamo l’equazione della crescita di b. [10] ∆b = s - gm m + [i(1-ti)-(π π + gy)] b = s - (π π + gy)m + (r - i t i - gy) b In questo modello la condizione di stabilità richiede che i(1-ti)-(π π +gy) sia positivo. Ovvero il tasso di crescita dell’economia deve essere maggiore del tasso di interesse reale netto gy > i(1-ti)-π π . Come già visto, nell’equilibrio di lungo periodo avremo ∆b=0 e gm=π π +gy sicché dalla [10] otterremo una quota di titoli pubblici di equilibrio pari a: [11] b* = [s - (π π + gy) m*]/[gy - (i(1-ti)-π π )] b 4 In questo caso più generale lo Stato, emettendo moneta (una forma di debito non fruttifero), si appropria di risorse reali dell’economia pari all’incremento dello stock di moneta detenuto dagli operatori. Tecnicamente in ogni periodo gode di un signoraggio pari alla crescita reale dello stock di moneta gmM/P; ovvero gmm in quota sul reddito. In generale lo stock reale di moneta M/P detenuto dagli operatori decresce al crescere del saggio di inflazione atteso (e quindi per valori maggiori di gm), sicché il signoraggio è una funzione prima crescente (fino al livello massimo g°m) e poi decrescente di g m. Tale situazione non si verifica se il parametro k è costante. In questo caso lo Stato può sempre aumentare il signoraggio accrescendo l’offerta di moneta e quindi il tasso di inflazione. E’ utile segnalare inoltre come, se vale la teoria quantitativa della moneta, anche nel breve periodo (e non solo nell’equilibrio di lungo) avremo m = 0 e quindi gm = gy + π. Infine, crescendo il reddito al saggio gy il signoraggio è inoltre maggiore dell’imposta inflazionistica (pari alla svalutazione dello stock reale πM/P); le due grandezze coinciderebbero invece in un’economia stazionaria (g y = 0). Scienza delle Finanze Progredito 22 Prima Versione. L’ipotesi appena presa in esame considera una regola tipicamente monetarista che implica di norma l’indipendenza dell’autorità monetaria da quella fiscale. In particolare, se vale la teoria quantitativa della moneta, l’autorità monetaria fissando il livello di crescita dello stock di moneta gm decide il tasso di inflazione del sistema economico π e (dato il saldo primario sp e l’aliquota impositiva ti) l’incremento dello stock dei titoli pubblici ∆b. In particolare, se la remunerazione reale netta del debito è costante (o decrescente) al crescere dell’inflazione, a valori più elevati di gm corrisponde una crescita minore del debito e valori più elevati dell’inflazione. Se la remunerazione reale netta del debito decresce al crescere di π la scelta dell’autorità monetaria può influenzare la stabilità dinamica del sistema economico. Infine in situazioni di stabilità dinamica l’autorità monetaria influenza anche la quota di equilibrio del debito. L’analisi precedente ci permette di esporre sinteticamente le conclusioni raggiunte da Sargent e Wallace nell’articolo “Some unpleasant monetarist arithmetic” del 1981 che evidenzia l’interconnessione tra politica fiscale e monetaria. Per semplificare l’analisi supponiamo che non vi siano imposte e che il tasso di interesse reale i-π sia costante e pari ad r. In particolare supponiamo che nel caso in esame la condizione di stabilità non sia soddisfatta (ossia il tasso di crescita sia inferiore alla remunerazione del debito pubblico) e che l’autorità monetaria adotti la regola monetarista con crescita dello stock monetario a tasso costante, mantenendo l’inflazione ad un dato livello. Sulla base dell’equazione [10] in presenza di un disavanzo primario costante (e/o di un elevato stock di debito; s + (r - gy)b > gm m) ciò implica una crescita esponenziale della quota del debito pubblico. [12] ∆b = s - (π + gy) m + (r - gy)b Chiediamoci ora cosa succede se ad esempio (per rispettare il dettato di trattati comunitari o le indicazioni di organismi internazionali quali il fondo monetario) a partire da una certa data sia necessario bloccare la crescita della quota di debito pubblico ∆b = 0, pur rimanendo invariato il disavanzo primario. Risolvendo rispetto a π, vediamo come esiste un tasso di inflazione π’ di equilibrio (e di conseguenza una crescita costante dello stock monetario g’m = π’ + gy) tale da mantenere costante la quota del debito pubblico sul pil. In particolare avremo: [13] π’ = s/m - gy + (r - gy)b/m Si noti come il tasso di inflazione di equilibrio è tanto più elevato quanto maggiore è il livello raggiunto dallo stock del debito pubblico ereditato dal passato. In sostanza, nel modello in esame, una politica monetaria inizialmente più restrittiva (ossia un livello iniziale minore di gm) ridurrà inizialmente il livello di inflazione (π = gm - gy), ma provocando una maggiore crescita dello stock di debito (spostandosi in fig. 4a la traiettoria da b’ a b”), condurrà nel futuro ad un tasso di inflazione permanente maggiore. Del tutto simile il caso invece in cui (come nel modello originale di Sargent e Wallace) esista un livello massimo di debito in quota sul pil b* che gli operatori sono disposti a detenere. La quota massima di debito b* sarà raggiunta in un tempo più breve (in fig. 4b j” invece che j’) se le autorità monetarie adotteranno inizialmente una politica più restrittiva (ossia un livello 23 Scienza delle Finanze Progredito Prima Versione. iniziale minore di gm). Quindi perverremo prima alla situazione finale con una quota di debito b* ed un tasso permanente di inflazione elevata. Di conseguenza nel modello in questione, se non si modifica il livello del saldo primario sp, non c’è modo di ridurre in modo permanente l’inflazione con la sola politica monetaria. Esiste un trade-off tra un livello minore di inflazione oggi ed uno maggiore per il futuro, a meno che non si riduca il livello del saldo primario con la politica fiscale.5 b fig. 4a fig. 4b b b" b" b* b" b' b' b' b¡ b¡ j* j j" j' j I limiti della sola politica monetaria indicano la necessità di condurre un’idonea politica fiscale volta ad una opportuna determinazione del saldo primario (o complessivo) e ad influenzare il livello della remunerazione reale netta del debito. Nella successiva sezione esamineremo approfonditamente quest’ultimo aspetto della politica fiscale, ovvero le conseguenze dell’imposizione sugli interessi del debito pubblico. 5 Naturalmente, ciò è vero solo quando la condizione di stabilità non è soddisfatta (il tasso di crescita sia inferiore alla remunerazione del debito pubblico). Inoltre in modelli più complessi dove la domanda di moneta è funzione del tasso di interesse e di inflazione è possibile che una politica monetaria più restrittiva oggi abbia effetti perversi aumentando da subito il tasso di inflazione. In pratica, sapendo che l’inflazione aumenta (e così il costo di detenere moneta) gli operatori tenteranno di ridurre da subito le scorte monetarie. La conseguente diminuzione di k provoca di conseguenza un aumento dei prezzi.