atti e provvedimenti amministrativi

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“ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI”
PROF.SSA CARMENCITA GUACCI
Università Telematica Pegaso
Atti e provvedimenti amministrativi
Indice
1 ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI --------------------------------------------------------------------- 3 2 ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO -------------------------------------------------- 5 3 L’IMPUGNAZIONE DEI REGOLAMENTI AMMINISTRATIVI ------------------------------------------------- 7 4 ESISTENZA, VALIDITÀ ED EFFICACIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO. ------------------------------ 11 5 GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO------------------------------------------ 15 6 LA LEGITTIMITÀ E L’OPPORTUNITÀ DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI --------------------------------- 19 7 IL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO ------------------------------------------------------------------------ 21 8 LA CLASSIFICAZIONE DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI ---------------------------------------- 23 9 I PROVVEDIMENTI AMPLIATIVI ------------------------------------------------------------------------------------- 25 10 I TIPI DI AUTORIZZAZIONI --------------------------------------------------------------------------------------------- 26 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Atti e provvedimenti amministrativi
1 Atti e provvedimenti amministrativi
L’evoluzione degli ordinamenti occidentali ccdd. "a diritto amministrativo” intercorsa negli
decenni ha spostato l’attenzione dall’atto alla funzione amministrativa, e quindi al procedimento ed
al provvedimento che ne costituiscono rispettivamente, la forma giuridica. Sulla nozione di atto
amministrativo non vi è una unanimità di vedute atteso che manca una sua definizione legislativa.
Una parte della dottrina dichiara che sono atti amministrativi quelli ai quali si applica il
regime di diritto amministrativo, vale a dire il regime costituito dai principi generali e dai principi
più specifici che riguardano l’attività e l’organizzazione amministrativa nonché la tutela
giurisdizionale.
La teoria dell’atto amministrativo, inizialmente, venne modellata pressoché unitamente sulla
teoria del negozio giuridico, distinguendo tra atti amministrativi negoziali, costituenti dichiarazioni
di volontà volte alla realizzazione di finalità pubbliche e meri atti amministrativi, costituenti
dichiarazioni di scienza, conoscenza. In altri termini, il criterio discretivo, dunque, veniva
individuato nell’elemento psichico della volontà.
Tale orientamento venne, poi criticato, atteso che mentre l’atto amministrativo è sempre
vincolato nella finalità, il negozio giuridico, per definizione, assegna al soggetto che lo pone in
essere il pieno dominio dei propri fini
La questione delle affinità e differenze con il negozio è stata abbandonata quando,
rafforzandosi le nozioni specifiche del diritto amministrativo, l’opinione prevalente ha ristretto la
nozione di atto amministrativo a quello che la pubblica amministrazione adotta quando agisce come
autorità.
La dottrina più recente ricostruisce la tematica dell’atto amministrativo in base alle due
tendenze principali cui si ispira la moderna attività amministrativa: a) funzionalizzazione, che si
concretizza nel provvedimento amministrativo caratterizzato dalla manifestazione di volizione e
dalla imperatività. Quest’ultima costituisce l’idoneità del provvedimento efficace, anche se invalido
a produrre unilateralmente la costituzione, modificazione o estinzione di situazioni giuridiche
indipendentemente dalla volontà dei destinatari. b) Procedimentalizzazione, ovvero uno degli
schemi principali attraverso cui si esplica l’attività amministrativa. Infatti, solo raramente la
pubblica amministrazione persegue i suoi fini con l’emanazione di un singolo atto o di atti isolati,
utilizzando, invece, una serie di atti tra loro concatenati e coordinati, finalizzati all’emanazione di
un atto finale: il provvedimento, espressione concreta della funzione amministrativa.
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Proprio sulla scia della procedimentalizzazione dell’attività amministrativa è possibile
distinguere tra meri atti amministrativi ( o atti strumentali del procedimento es.: proposte, pareri,
istanze, ecc. che hanno una rilevanza unicamente interna al procedimento stesso) e provvedimento
(atto finale della serie procedimentale, esprime la volizione della pubblica amministrazione ed è
generalmente, il solo atto del procedimento ad avere efficacia esterna, e, quindi, ad influire sulle
situazioni soggettive dei privati).
In altri termini, secondo tale tesi, sono atti ( o meri atti) amministrativi quelli che precedono
il provvedimento amministrativo e lo preparano, così come quelli che lo seguono in funzione
integrativa dell’efficacia (comunicazioni , controlli). Il provvedimento coincide, invece, con la
decisione, rispetto ad essa gli atti del procedimento hanno una funzione preparatoria, servente o
ausiliaria.
Da quanto sopra detto possiamo distinguere il genus dell’atto amministrativo dalla species
più rilevante del provvedimento.
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2 Elementi costitutivi dell’atto amministrativo
Secondo una consolidata opinione gli elementi costitutivi dell’atto amministrativo sono i
seguenti: il soggetto, l’oggetto, la forma, il contenuto e la finalità.
Per soggetto si intende l’autore dell’atto che, almeno di regola, deve essere una pubblica
amministrazione: non vi è atto amministrativo che non sia emanato da un autorità amministrativa.
L’oggetto corrisponde al termine passivo dell’atto e cioè al destinatario e /o al bene nei cui
confronti esso opera.
La forma è la veste giuridico – formale con cui l’atto, passando attraverso la procedura
della sua formazione così come predisposta dall’ordinamento, si manifesta.
Il contenuto rappresenta la parte propriamente precettiva dell’atto, e cioè il suo dispositivo,
e dunque quel che l’atto realizza nel mondo giuridico.
Infine, la finalità consiste nell’interesse pubblico specifico fissato da una fonte
dell’ordinamento che l’atto deve realizzare in concreto.
Distinzione degli atti amministrativi.
La dottrina opera varie classificazione dell’atto amministrativo. In relazione alla natura
dell’attività esercitata si distinguono: a) atti di amministrazione attiva: diretti a soddisfare
immediatamente gli interessi propri della pubblica amministrazione (tali sono i provvedimenti);
b) atti di amministrazione consultiva: tendenti a consigliare, illuminare , mediante consigli
tecnici, giuridici o economici, gli organi di amministrazione attiva (tali sono i pareri); c) atti di
amministrazione di controllo: diretti a sindacare, sotto il profilo della legittimità o del merito,
l’operato dell’amministrazione attiva (es: controlli).
In relazione all’elemento psichico, di cui sono manifestazione di volontà distinguono a)
atti consistenti in manifestazioni di volontà; b) atti consistenti in manifestazione di conoscenza; c)
atti consistenti in manifestazione di giudizio; d) atti di natura mista.
In relazione alla discrezionalità si distinguono: a) atti discrezionali, quando la norma,
dopo aver determinato l'interesse pubblico che si intende perseguire con l’atto amministrativo,
lascia all’amministrazione un margine di manovra, rispetto ai modi, o ai tempi, ai mezzi o ai
contenuti; b), atti vincolati sono gli atti con cui la pubblica amministrazione non ha alcun
margine di manovra; anzi essa è obbligata ad intervenire nei modi previsti dalla legge, senza alcuna
valutazione dell'interesse pubblico e di quello dei privati che sono coinvolti dall’atto
amministrativo.
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Sotto il profilo degli effetti, l’atto amministrativo può essere ampliativo o restrittivo della
sfera giuridica altrui; inoltre può ulteriormente distinguersi tra gli atti costitutivi, che creano,
modificano o estinguono un rapporto giuridico preesistente e gli atti dichiarativi che accertano una
determinata situazione senza influire su di essa.
Sotto il profilo dei destinatari, l’atto amministrativo può essere particolare, cioè destinato
ad un unico soggetto, collettivo, cioè destinato ad una pluralità individuata di soggetti che a loro
volta possono essere: a) atti plurimi: formalmente unici, ma scindibili in tanti provvedimenti quanti
sono i destinatari ( si pensi al decreto con cui vengono nominati i vincitori di un concorso). I singoli
atti sono fra di loro indipendenti e l’annullamento di uno di essi non travolge anche gli altri; b) atti
collettivi: con essi la pubblica amministrazione manifesta la propria volontà, unitariamente ed
inscindibilmente, verso un complesso di individui unitariamente considerati ( es. l’ordine di
scioglimento di un Consiglio comunale) . Dalla natura di atto unitario, consegue che ogni vizio
inficia l’atto nella sua totalità ( a differenza dell’atto plurimo).
c) Gli atti generali, sono quelli destinati ad una pluralità non predeterminabile a priori di
soggetti, ma determinabili in un momento successivo, e cioè al momento della loro esecuzione (ad
esempio i bandi di concorso).
Si discute in dottrina se anche i regolamenti siano da ricondurre alla predetta categoria.
Nella terminologia corrente, anche legislativa, in genere i regolamenti sono definiti atti
amministrativi generali a contenuto normativo. Alla luce della definizione data, si rileva che i
caratteri generali dei regolamenti sono: 1) la generalità, intesa come indeterminabilità dei destinatari
e, quindi, idoneità di ripetizione nell’applicazione della norma, 2) l’astrattezza, intesa come capacità
di regolare una serie indefinita di casi; 3) l’innovatività, intesa come capacità a concorrere a
costruire o ad innovare l’ordinamento giuridico, ossia ad immettere nuove norme nel tessuto
ordinamentale.
E’ appunto tale ultimo requisito che costituisce il fondamentale elemento di differenziazione
rispetto agli atti generali definiti atti amministrativi che pur se caratterizzati dalla indeterminabilità
dei destinatari (quanto meno in via aprioristica), sono sprovvisti però di forza normativa. A tale
fondamentale elemento differenziatore delle due figure è da aggiungere quello costituito dal fatto
che mentre gli atti generali sono caratterizzati dalla determinabilità a posteriori dei destinatari, i
regolamenti, invece, sono connotati dalla indeterminabilità anche a posteriori di tali destinatari, che
sono, come detto, la generalità dei soggetti cui il regolamento è rivolto.
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3 L’impugnazione dei regolamenti amministrativi
In dottrina e giurisprudenza si è posta la questione se il regolamento, essendo atto
formalmente amministrativo, debba essere impugnato nel termine decadenziale o se debba essere
impugnato, posta la sua inidoneità a produrre l'immediata incisione della sfera giuridica altrui,
congiuntamente al relativo provvedimento d'attuazione.
L’impugnativa, di regola, presuppone un interesse concreto e attuale di chi la propone. Il
regolamento essendo caratterizzato dall’astrattezza e generalità, di norma esso non sarà in grado di
incidere direttamente sulle situazioni soggettive dei destinatari, né di far nascere l’interesse alla sua
impugnazione.
Invece, il regolamento necessiterà, per la sua applicazione in concreto, di un successivo
provvedimento di attuazione, per cui sarà quest’ultimo ad incidere sulle situazioni soggettive dei
destinatari. Di conseguenza, colui che intenda impugnare dovrà procedere alla doppia impugnativa,
ovvero dovrà impugnare sia il regolamento che il provvedimento di attuazione ad esso relativo,
poiché è solo con l’adozione dell’atto concreto esecutivo di quello a contenuto generale, che il
privato potrà conoscere il pregiudizio recato al suo interesse.
Sotto il profilo del procedimento amministrativo, l’atto amministrativo può essere interno
al procedimento stesso e finalizzato all'adozione del provvedimento finale e conclusivo del
procedimento (si pensi ad esempio ad un parere non vincolante); in tal caso l'atto procedimentale
non è autonomamente impugnabile. Diverso è, invece, il caso dell'atto presupposto che,
analogamente posto a base di un diverso provvedimento amministrativo, è, tuttavia, di per sé, atto
conclusivo di un autonomo procedimento amministrativo e, come tale, autonomamente impugnabile
(si pensi, a titolo esemplificativo, alla dichiarazione di pubblica utilità).
Sotto il profilo del soggetto che li pone in essere, gli atti amministrativi possono essere
adottati da un solo organo o da più organi e, in tale ultimo caso, si distingue ulteriormente tra gli atti
complessi, gli atti di concerto, i contratti e gli atti di intesa.
Nell'ampia categoria dell'atto amministrativo, assume specifico rilievo quella dei
provvedimenti amministrativi, degli atti a rilevanza esterna e, di regola, a contenuto tipicamente
discrezionale, con i quali la pubblica amministrazione, nel realizzare le finalità attribuitele dalla
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legge, agisce imperativamente sulla sfera giuridica dei destinatari della sua decisione sia in senso
ampliativo che in senso restrittivo.
Gli atti paritetici, sono anch’essi manifestazione di volontà, si distinguono dai
provvedimenti perché non hanno un contenuto imperativo, e cioè non sono in grado di imporre
modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari. In questo caso la pubblica amministrazione, che è
tenuta tassativamente per legge ad un comportamento nei confronti di altri soggetti in relazione ad
un dato rapporto di diritto pubblico di natura patrimoniale conserva comunque il potere di far luogo
essa stessa, in maniera unilaterale, alla definizione del rapporto che si instaura con tali soggetti, e
quindi alla determinazione dell’entità dei propri obblighi e dei corrispettivi altrui. Tipici esempi di
atti paritetici sono la determinazione dello stipendio e la determinazione della indennità di
espropriazione.
Un’altra importante distinzione è tra atti politici e atti di alta amministrazione.
In particolare, sono definiti atti politici “quelli in cui si estrinsecano l’attività di direzione
suprema della cosa pubblica (l’indirizzo politico) e l’attività di coordinamento e di controllo delle
singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca”.
In altri termini, gli atti politici sono quegli atti volti alla formulazione ed attuazione delle
scelte mediante le quali si individuano i fini che lo Stato, in armonia, con le previsioni della
Costituzione, intende perseguire in un dato momento storico. Ne consegue che la caratteristica
fondamentale di tali atti è la liberta del fine, la quale consente, fra l’altro, di operarne in via
immediata la distinzione dalla categoria degli atti amministrativi. Gli atti politici costituiscono un
numerus clausus, in quanto inammissibili al di fuori delle previsioni esplicitamente o
implicitamente operate dalla Costituzione a riguardo.
L’art. 31 del R. D. 26 giugno 1924, n. 1054 ( Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato),
riprendendo la disposizione di cui all’art. 24 della legge 31 marzo 1889 n. 5992, prevede
l’inammissibilità del ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e
provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico. Dunque gli atti politici si
caratterizzano per la loro insindacabilità. Tale aspetto è strettamente conseguenziale alla loro natura
di atti liberi nella determinazione degli obiettivi da perseguire. Tuttavia, la fruibilità della predetta
tutela è limitata legislativamente alle sole ipotesi in cui la lesione lamentata dal ricorrente concerna
un diritto soggettivo.
Esclusa la possibilità di esperire i rimedi amministrativi e giurisdizionali utilizzabili per gli
atti amministrativi, rispetto a tali atti opera, tuttavia, un sistema di controlli e di sanzioni di carattere
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politico, di competenza del corpo elettorale e del Parlamento, i quali possono, ad esempio, non
riconfermare gli organi che si siano resi responsabili di una attività ritenuta meritevole di censura,
ovvero ( con riferimento alle Camere) esprimersi con un voto di sfiducia.
Il carattere dell’insindacabilità degli atti politici è stato messo in discussione dall’avvento
del diritto dell’Unione europea e, in particolare dalle conseguenze che la Corte di Giustizia ha
ritenuto di far discendere dalla mancata attuazione, da parte del singolo Stato membro, delle
direttive c.d. autoesecutive. A tal proposito, si deve immediatamente sottolineare che l’organo
giurisdizionale della Comunità ha affermato il principio della responsabilità dello Stato per mancato
recepimento delle disposizioni emanate a livello europeo, con conseguente obbligo di risarcimento
del danno scaturente da detto inadempimento ogniqualvolta questo dia luogo alla compromissione
di posizioni giuridiche riconosciute ai singoli dall’ordinamento sovranazionale. Per tale via la
Corte configura una vera e propria ipotesi di fatto illecito del legislatore ed è di tutta evidenza che
l’assunto implica il necessario riconoscimento della sindacabilità dell’operato del legislatore e delle
sue scelte di fondo, traducendosi in una successiva sgretolazione del principio di insindacabilità
degli atti politici di matrice legislativa.
L’esigenza di coniugare la conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia ferma nel
perseguire l’effettiva applicazione del diritto europeo – con la peculiarità, da sempre riconosciuta,
della libertà dei fini degli atti politici, ha indotto la dottrina a riflessioni che sono, infine, sfociate
nella considerazione che l’atto normativo interno, laddove sia presente una fonte dell’U.E.
sovraordinata, deve in verità più propriamente essere considerato alla stregua di un atto meramente
esecutivo di scelte già compiute della stesso legislatore europeo. Il momento politico di selezione
degli obiettivi da attuare si sposta in definitiva a livello sovranazionale, con la conseguenza che è
con riferimento a tale frangente che viene ad emergere il profilo dell’insindacabilità in sede
giurisdizionale.
Gli atti di alta amministrazione, invece, costituiscono una species del più ampio genus
degli atti amministrativi, dei quali recano i caratteri formali e sostanziali. Questi atti rappresentano
il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico nel campo amministrativo, sono atti di suprema
direzione della pubblica amministrazione, i quali segnano il raccordo tra la funzione di governo, che
è espressione dello Stato Comunità, e la funzione amministrativa che è espressione dello Stato
soggetto, e che essi realizzano al più alto livello. L’attività di alta amministrazione attiene alle scelte
di fondo dell’azione amministrativa discrezionale ed è commessa ai supremi organi di direzione
della pubblica amministrazione. I predetti atti ineriscono all’attività amministrativa e sono soggetti
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al regime giuridico proprio degli atti amministrativi. Essi sono perciò sottoposti al sindacato dei
giudici, non diversamente dagli atti amministrativi; e, diversamente dagli atti politici, non sono
liberi nelle scelta dei fini, ma sono legati – pur nell’ampia discrezionalità che caratterizza l’alta
amministrazione – ai fini segnati dalle leggi.
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Esistenza, validità ed efficacia dell’atto
amministrativo.
Le categorie concettuali della esistenza, della validità e dell’efficacia dell’atto
amministrativo sono riferibili a tutti gli atti giuridici, anche di diritto comune, pur assumendo una
caratterizzazione peculiare con riferimento agli atti amministrativi.
La categoria dell’esistenza dell’atto amministrativo concerne la cd. fisionomia giuridica.
Per identificare in concreto un atto come amministrativo, occorre aver riguardo alla sua morfologia
giuridica e ai cinque elementi costitutivi dell’atto: soggetto, oggetto, forma, contenuto e finalità.
In altri termini, affinché possa parlarsi della esistenza di un atto amministrativo è
indispensabile che esso presenti effettivamente sussistenti tutti i suddetti elementi. La mancanza
anche di uno solo di essi rende l’atto (seppur esistente come documento) inesistente – e cioè
radicalmente nullo- in quanto atto amministrativo.
La categoria della validità concerne la conformità dell’atto al paradigma normativo di
riferimento, Essa cioè sta ad indicare la necessità che ogni elemento costitutivo sia conforme alle
prescrizioni per esso stabilite dalle fonti dell’ordinamento.
La efficacia di un atto amministrativo consiste nella sua attitudine a produrre effetti
giuridici. L’efficacia si lega all’esistenza dell’atto, e non alla sua validità. Essa, infatti, va tenuta
separata da quest’ultima, giacché una atto ben può produrre i suoi effetti pur essendo invalido.
Quando si parla di efficacia giuridica si fa riferimento a due distinti concetti: da un lato, alla
idoneità dell’atto a produrre gli effetti suoi propri; e, dall’altro all’effettiva capacità di produrli. In
altri termini, si può parlare di efficacia dell’atto amministrativo in senso lato per intendere entrambi
i concetti; di esecutività dell’atto per intendere l’astratta idoneità a produrre gli effetti giuridici
previsti per esso dall’ordinamento; e di efficacia in senso stretto, per intendere la effettiva capacità
operativa dell’atto.
Dal punto temporale, l’efficacia è di regola istantanea, ma si dà il caso di fattispecie ad
efficacia retroattiva o differita, magari sottoposte a condizione sospensive. L’efficacia sospesa
paralizza gli effetti dell’atto, ma non ne pregiudica la validità, piuttosto continua a presupporla. La
differenza sostanziale tra inefficacia e invalidità degli atti consiste infatti nella circostanza che
mentre la prima è il prodotto di taluni aspetti della volontà delle parti ovvero di elementi estrinseci
al negozio, l’invalidità è invece il portato di vizi intrinseci al negozio stesso.
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Tipologia dell’efficacia
Sotto il profilo della differenziazione degli effetti prodotti da un atto, in teoria generale si
distinguono almeno tre differenti tipi di efficacia: l’efficacia costitutiva, l’efficacia dichiarativa, e
l’efficacia preclusiva.
Quando si parla di efficacia costitutiva si ha riguardo agli effetti prodotti dall’atto nel
costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive di uno o più destinatari
determinati. Si pensi al caso della espropriazione: l’adozione del relativo provvedimento comporta,
contemporaneamente, da un lato, la perdita del diritto di proprietà e la nascita, in corrispondenza,
del diritto ad ottenere l’indennizzo; e dal lato opposto, l’acquisizione del diritto di proprietà di quel
dato bene ed il conseguente obbligo di indennizzare il soggetto espropriato.
Diversamente, quando si parla di efficacia dichiarativa, ci si riferisce a quegli atti per i
quali l’effetto che determinano concretamente si produce, sì, al momento della loro emanazione, ma
non è da essi determinato, visto che si limitano a riconoscere un dato, una qualità, che non è l’atto a
generare. In dottrina se ne distinguono tre ipotesi: a) la figura del rafforzamento, in virtù della quale
l’effetto dell’atto si sostanzia, non già nel mutamento, bensì nella conferma di una situazione
giuridica preesistente; b) la figura della specificazione, in virtù della quale l’effetto si sostanzia,
invece, nella precisazione del contenuto della situazione giuridica ( si pensi, ad esempio, ai
provvedimento di spesa rispetto al relativo atto di impegno); c) la figura dell’affievolimento, in
virtù della quale l’effetto, al contrario che nell’ipotesi del rafforzamento, si traduce nella riduzione
della forza della originaria situazione giuridica ( si pensi, ad esempio, alla cancellazione di un
immobile demaniale del relativo elenco, conseguente al provvedimento di sclassificazione).
Infine, l’efficacia preclusiva si ha nei casi in cui, come è tipico degli atti di accertamento,
l’emanazione dell’atto preclude, appunto ogni eventuale contestazione in ordine ad un fatto della
cui verità si dubita.
Ambito spaziale e temporale della efficacia.
Con riguardo all’ambito, o, se si vuole, ai limiti di applicazione della efficacia, occorre
distinguere la efficacia spaziale dalla efficacia temporale.
L’efficacia spaziale ha riguardo alla delimitazione territoriale della efficacia dell’atto. Gli
atti emanati dagli organi degli enti territoriali nell’esercizio delle proprie competenze, in linea di
massima, producono effetti limitati al rispettivo ambito territoriale di competenza.
Vi sono, però, delle eccezioni, in virtù delle quali taluni atti producono effetti nell’ambito
dell’intero territorio nazionale, quando non anche fuori di esso. Si tratta in particolare di quegli atti
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concernenti status o capacità (carta d’identità). Ciò si spiega alla luce del fatto che la competenza
per il rilascio di tali atti è attribuita al soggetto territorialmente competente nel luogo in cui la
persona ha la residenza. Lo stesso principio, con le stesse eccezioni, vale parimenti per gli atti (ad
esempio il passaporto o i provvedimenti di polizia) emanati dagli organi dello Stato a competenza
territoriale limitata (Prefetture, Questure).
L’efficacia temporale
L’efficacia temporale dell’atto amministrativo rileva sotto un duplice profilo: quello della
decorrenza degli effetti e quello della loro durata sino alla eventuale cessazione. E’ peraltro noto
che possono distinguersi quanto alla durata, atti ad effetto istantaneo (quale l’ordine di demolizione
di un manufatto abusivo) ed atti ad effetto prolungato nel tempo (quale la concessione d’uso di un
bene demaniale).
Sempre sul piano temporale si fa differenza fra atti ad efficacia immediata e atti ad efficacia
differita (o successiva). Il momento in cui gli effetti si producono coincide, di regola, con il
momento del perfezionamento dell’atto giuridico.
Gli atti sottoposti a procedimenti di controllo, infine, essendo oggetto di un successivo
procedimento volto all’acclaramento della loro legittimità, esplicano la propria efficacia solo
quando questo procedimento abbia esito positivo. Il controllo opera, in questo caso, come una vera
e propria condizione sospensiva.
Alcune osservazioni vanno poste a proposito della possibilità, per il provvedimento
amministrativo di retroagire. Come è noto, il principio generale circa la irretroattività degli atti
giuridici (art. 11 disp. prel. c.c.) rinviene, per quanto concerne i provvedimenti una importante
eccezione.
L’efficacia retroattiva è infatti ontologicamente esplicata dai provvedimenti di secondo
grado quali l’annullamento, la convalida, la regolarizzazione.
Non sono di certo ammessi provvedimenti retroattivi che incidano negativamente sulla sfera
giuridica dei destinatari e, per costante giurisprudenza, non è consentita la decorrenza anteriore al
verificarsi dei presupposti di fatto che condizionano l’efficacia di un determinato atto.
Alla retroattività degli effetti del provvedimento amministrativo si oppongono, peraltro, due
principi di notevole portata: l’uno si esprime nel brocardo factum infectum fieri nequit ( il fatto
compiuto si oppone alla sua rimozione); l’altro è costituito dalla buona fede e dal legittimo
affidamento del destinatario di un precedente provvedimento amministrativo.
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Può dunque ancora sostenersi che di regola il provvedimento amministrativo non può aver
efficacia retroattiva, in applicazione del principio di legalità. Al principio fa eccezione il caso in cui
vi sia il consenso dei destinatari del provvedimento e quello in cui quest’ultimo produca solo effetti
favorevoli. La ratio della prima ipotesi è di intuitiva evidenza.
Quella della seconda si fonda sulla considerazione che il principio di irretroattività è posto a
tutela dei soggetti passivi dell’attività amministrativa, pertanto, non vi è motivo di impedire, che in
presenza di ragioni d’interesse pubblico – provvedimenti esplichino retroattivamente i propri effetti
favorevoli.
In questa prospettiva è legittimata l’adozione di provvedimenti ad efficacia c.d. ora per
allora, che taluni definiscono retrodatazione per distinguerla dalla retroattività degli atti
amministrativi: si tratta di atti che avrebbero dovuto essere emanati in un determinato tempo, ma
che, per diverse ragioni, non lo furono.
In ottemperanza a decisioni giurisprudenziali o a disposizioni normative sopravvenute o,
ancora, all’esercizio di poteri di autotutela, l’amministrazione riporta la decorrenza degli effetti di
un atto al momento in cui essi avrebbero dovuto prodursi, ancorché l’atto stesso sia adottato solo in
seguito. Dall’effetto ripristinatorio di una situazione illegittimamente definita in precedenza
scaturisce l’efficacia anticipata nel tempo di questa categoria di atti.
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Atti e provvedimenti amministrativi
Gli elementi accidentali dell’atto
amministrativo
Anche nel campo del diritto amministrativo sono contemplati i c.d. elementi accidentali, che
possono essere apposti ad atti discrezionali regolati da norme non cogenti, solo se ed in quanto non
alterino il contenuto tipico. Sono elementi accidentali dell’atto: la condizione, termine e modo (od
onere). Secondo qualche autore, fra gli elementi accidentali rientrerebbero anche le riserve, atti con
i quali la pubblica amministrazione si riserva appunto di adottare in futuro atti relativi allo stesso
oggetto dell’atto che emana.
Il termine indica il momento dal quale l’atto inizia ad avere efficacia (termine iniziale)
oppure il momento a partire dal quale l’efficacia cessa ( termine finale).
La condizione è diretta a subordinare al verificarsi di un evento futuro ed incerto l’inizio
(condizione sospensiva) o la cessazione ( condizione risolutiva) della efficacia dell’atto, ma solo
nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione disponga la discrezionalità.
Il modus, od onere, infine, si considera, di regola, non apponibile agli atti amministrativi,
giacché viene qualificato come elemento tipico ed esclusivo degli atti di liberalità; si ritiene,
tuttavia, che possa essere apposto a quelli che pur imponendo un facere ai destinatari, comunque
determinano un ampliamento della loro sfera giuridica.
I caratteri
Gli atti amministrativi sono caratterizzati da autoritatività; esecutività; tipicità e
nominatività; inoppugnabilità.
Autoritatività: detta anche autoritarietà, consiste nella capacità dell’atto di determinare i
suoi effetti tipici nel mondo giuridico in via unilaterale, per il semplice fatto di provenite da una
autorità amministrativa. a)L’autoritatività può essere considerata la principale prerogativa del
peculiare regime di cui gode l’atto amministrativo, giacché da essa in qualche modo dipendono le
altre. Questo carattere non va confuso con l’imperatività che è propria soltanto dei provvedimenti, e
che, proprio per ciò, mentre la imperatività si accompagna sempre all’autoritatività, non è vero il
contrario, ben dandosi il caso di atti autoritativi che non siano anche imperativi. b) L’esecutività: il
carattere della esecutività è la conseguenza diretta della autoritatività e sta ad indicare l’astratta
idoneità dell’atto, semplicemente in quanto esistente, e proprio perché autoritativo, a produrre gli
effetti tipici suoi propri. Una volta venuto in vita, vale a dire dotato di tutti i requisiti di esistenza,
l’atto produce i suoi effetti anche se illegittimo. Proprio perché consiste nella astratta idoneità
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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dell’atto a produrre gli effetti per esso previsti dall’ordinamento, l’esecutività va tenuta distinta
dalla efficacia giuridica in senso stretto. Tutto questo vuol dire che l’atto, in virtù del carattere della
esecutività, non necessariamente produce i suoi effetti, giacché la sua efficacia ben potrebbe essere
postergata nel tempo in ragione di un elemento accidentale apposto all’atto: una condizione, un
termine, un modo; ovvero perché la disciplina legislativa del relativo procedimento amministrativo,
disponga la sussistenza della fase eventuale, di cd. “integrazione dell’efficacia”. L’eventuale
necessità di una ulteriore fase di integrazione dell’efficacia dell’atto non fa venire meno la sua
esecutività, a meno che la fattispecie normativa non prescriva eccezionalmente che l’atto debba
essere recettizio. Questo significa che, salvo eccezioni, l’atto amministrativo, purché esistente in
quanto tale, è, per ciò solo, idoneo a produrre i suoi effetti, anche se questi dovessero essere
postergati in ragione di una condizione integrativa dell’efficacia.c) tipicità e nominatività. La
tipicità e la nominatività sono una naturale conseguenza del principio di legalità. Tipicità significa
che i tipi degli atti amministrativi sono individuati dalla legge, la quale stabilisce, per ciascuno di
essi, il contenuto e la finalità. In altri termini, non esiste un atto amministrativo che non abbia il suo
schema giuridico fissato dalla legge. La violazione della tipicità, configura il vizio di eccesso di
potere, e permette che attraverso questo, si realizzi, da parte del giudice amministrativo il sindacato
sugli atti più ampio e significativo possibile. Collegata alla tipicità è la nominatività.
L’ordinamento, per ogni tipo di atto, prevede anche il nomen iuris: a tal proposito si dice che i
provvedimenti amministrativi costituiscono numerus clausus, e cioè sono soltanto quelli previsti
dalla legge. In definitiva, la nominatività, più che indicare il tipo di atto, individua il nomen iuris
che la norma positiva ha, volta per volta, assegnato ad una funzione: questo perché, appunto, essa è
indissolubilmente collegata alla tipicità. d) Inoppugnabilità: questo carattere consiste in ciò che
l’atto, una volta decorsi sessanta giorni dalla sua piena conoscenza ( che può avvenire con la
pubblicazione, la notificazione ecc.) ove non venga impugnato davanti al giudice amministrativo,
da chi vi abbia interesse, in qualche modo si consolida, diventa, cioè, non più impugnabile, ossia,
appunto, inoppugnabile.
L’inoppugnabilità non ha nulla a che vedere con la non impugnabilità: un atto diventa
inoppugnabile per effetto del trascorrere del tempo; un atto, invece, non è impugnabile per ragioni
che attengono, in un certo senso, alla sua natura, il che ricorre solo in determinate ipotesi. Il
principio generale, infatti, è quello della impugnabilità degli atti amministrativi, a sancirlo è la
stessa Costituzione, dal combinato disposto degli artt. 24 (secondo cui tutti possono agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi) e 113 ( secondo cui “Contro gli atti della
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pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa). Tuttavia, gli atti
amministrativi per essere impugnabili devono aver leso una situazione giuridica soggettiva: un
diritto soggettivo o un interesse legittimo. Diversamente dalla inoppugnabilità, quindi la non
impugnabilità non riguarda tutti i provvedimenti amministrativi, essa è propria soltanto di alcune
categorie di atti, e segnatamente di quelli che, per loro natura, non sono idonei a determinare la
lesione di una situazione giuridica soggettiva. Pertanto, non sono impugnabili: a) gli atti
endoprocedimentali, altrimenti detti atti preparatori, b) gli atti meramente esecutivi, e c) gli atti
meramente confermativi.
Si definiscono endoprocedimentali o preparatori, tutti gli atti interni ad un procedimento
amministrativo, (come ad esempio i pareri, le proposte, ecc.) i quali di regola sono manifestazioni
non di volontà, bensì di conoscenza o di apprezzamento. Tali atti non sono impugnabili atteso che
non ledono direttamente con la sfera giuridica del destinatario, non sono in grado di determinare la
lesione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo, l’unico atto idoneo a produrla è di regola
il provvedimento amministrativo.
Gli atti preparatori non devono essere confusi con gli atti presupposti, dai quali occorre
tenerli distinti. Mentre i primi non hanno autonomia funzionale, essendo atti interni ad un
procedimento, e, dunque, di per sé, non sono idonei a produrre la lesione, gli atti presupposti,
invece, hanno piena autonomia funzionale, e perciò, avendo autonoma capacità lesiva, sono
autonomamente impugnabili, sebbene, in concreto, debbano essere impugnati insieme all’atto
consequenziale.
Non sono impugnabili anche gli atti meramente confermativi, i quali si devono distinguere
dagli atti di conferma veri e propri, che costituiscono espressione della cd. autotutela o meglio del
riesercizio del potere. L’atto di vera e propria conferma costituisce una nuova manifestazione di
volontà, seppur avente il medesimo contenuto della precedente: si tratta di un provvedimento
adottato sulla base di un nuovo iter procedimentale, caratterizzato da una nuova fase istruttoria e da
una rinnovata ponderazione degli interessi in gioco, ed è per questa ragione che è impugnabile.
Al contrario, l’atto meramente confermativo si ha quando la pubblica amministrazione senza
aprire un nuovo procedimento, e dunque esperire una nuova istruttoria, si limita a confermare il
disposto di un precedente provvedimento, sulla base della richiesta in tale senso avanzata da un
soggetto interessato. Poiché non integra una nuova manifestazione di volontà, l’atto meramente
confermativo non è impugnabile.
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Atti e provvedimenti amministrativi
Per le stesse ragioni non sono impugnabili gli atti meramente esecutivi, dal momento che il
contenuto, la manifestazione di volontà che ha prodotto la lesione è nell’atto che viene eseguito, e
non in quello che gli dà mera esecuzione. Anche in questi casi, si tratta di atti che non esprimono
una nuova volontà della pubblica amministrazione, privi come sono di alcun contenuto innovativo
rispetto a quello dell’atto cui danno esecuzione: ove se ne ammettesse la impugnabilità, si finirebbe
nella sostanza per operare una sorta di arbitraria remissione in termini del soggetto interessato.
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Atti e provvedimenti amministrativi
La legittimità e l’opportunità degli atti
amministrativi
Gli atti amministrativi possono essere valutati sotto due profili, quello della loro legittimità e
quello del merito del loro contenuto. Un atto è legittimo se è conforme alle norme che disciplinano
il potere esercitato dall’autorità che lo emana. Il vizio di merito si ha quando l’atto sebbene
conforme alle norme non sia rispondente alle regole di buona amministrazione. La rilevanza dei vizi
di merito trova la propria ratio giustificatrice nel fatto che l’attività della pubblica amministrazione
è una attività funzionalizzata, nel senso che essa non solo deve essere conforme alle norme di legge,
ma deve essere, comunque, protesa alla realizzazione dell’interesse pubblico.
Per quanto concerne i vizi di legittimità, quelli cioè che segnalano i diversi modi in cui l’atto
amministrativo non è conforme al suo proprio paradigma normativo, sono l’incompetenza,
l’eccesso di potere e la violazione di legge. Se l’atto è illegittimo, e cioè non è conforme alla legge,
può essere annullato dal giudice amministrativo. L’incompetenza: Quanto al vizio di
incompetenza, occorre distinguere tra incompetenza assoluta (ossia, difetto assoluto di attribuzione
e/o carenza di potere) e incompetenza relativa ( ossia, difetto di competenza). L’incompetenza
assoluta si ha quando l’atto viene posto in essere da una autorità amministrativa che appartiene ad
un plesso organizzatorio diverso da quello al quale la legge ha attribuito il potere. L’incompetenza
assoluta è causa di inesistenza dell’atto: l’atto è nullo, e perciò non produce effetti giuridici. Si ha,
invece, incompetenza relativa quando un organo amministrativo invade la sfera di competenza di un
altro organo appartenente allo stesso settore amministrativo o comunque allo stesso ente. Laddove
l’atto sia emanato da un organo non dotato dalla legge della relativa competenza, si dice che è
illegittimo per incompetenza. L’incompetenza relativa, o più semplicemente incompetenza, è vizio
di legittimità dell’atto amministrativo, il quale, se ne è inficiato, risulta annullabile. L’eccesso di
potere. Si definisce eccesso di poter il vizio dell’atto amministrativo che inerisce alla finalità. Esso
si verifica quando l’atto ( a prescindere dal fatto che il poter per emanarlo sia esercitato dal soggetto
competente) realizza in concreto un fine diverso da quello per la realizzazione del quale il potere è
stato dalla norma attribuito a quel soggetto della pubblica amministrazione. L’atto è, quindi,
illegittimo per un vizio della funzione, ciò significa che non viene perseguito l’interesse pubblico
specifico. La violazione di legge. La mera violazione di legge è il vizio di legittimità che si
definisce residuale: ciò significa che in esso vanno collocate tutte le ipotesi che non rientrano nelle
altre due species. Esso si sostanzia in un contrasto fra l’atto e l’ordinamento giuridico,
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l’incompetenza e l’eccesso di potere sono ben identificati; ogni altra violazione che non rientri nella
incompetenza e nell’eccesso di potere viene collocata in una categoria residuale.
Tutti e tre i vizi, però consistono in violazioni di legge, perché sia il soggetto competente, sia
la finalità da perseguire, sono stabiliti dalla legge. Rispetto all’eccesso di potere, la violazione di
legge, analogamente alla incompetenza, è di più agevole accertamento, in quanto occorre
semplicemente rilevare il contrasto tra la norma e l’atto.
Si pensi principalmente, alla mancata applicazione di una qualunque delle disposizioni
contenute nella legge sul procedimento amministrativo ( l. n. 241/1990): ad esempio, quella
concernente l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto, la cui
violazione legittima questi ad impugnarlo dinanzi al giudice amministrativo per ottenere
l’annullamento.
Abbiamo visto che l’atto amministrativo può essere viziato non soltanto nella legittimità, ma
anche nel merito: ciò ricorre quando esso è in contrasto con regole non giuridiche, che attengono
alla opportunità, alla convenienza, alla equità dell’azione amministrativa.
I vizi di merito, dunque, costituiscono una violazione del principio di buon andamento della
amministrazione, in base al quale l’attività della pubblica amministrazione deve svolgersi secondo
canoni di razionalità ed economicità con riguardo all’uso dei mezzi e al raggiungimento dei fini di
pubblico interesse che si propone. I vizi di merito sono giuridicamente irrilevanti, a meno che la
legge non attribuisca al giudice amministrativo una giurisdizione, appunto, di merito.
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Atti e provvedimenti amministrativi
Il provvedimento amministrativo
All’interno della categoria generale degli atti amministrativi sono possibili numero
classificazioni: la più importante distinzione è tra meri atti ed atti di volontà: i primi sono atti
volontari i cui effetti sono preordinati dal legislatore, i secondi sono atti volontari e, nel contempo,
espressione anche della volontà degli effetti. Il prototipo di tale categoria di atto amministrativo è il
provvedimento. Il legislatore non ha fornito una definizione di provvedimento amministrativo, tale
lacuna però è stata colmata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che hanno fornito diverse
definizioni
di provvedimento amministrativo. In linea generale, si definisce provvedimento
amministrativo
quell’atto
consistente
in
una
manifestazione
di
volontà
adottata
dall’amministrazione volta alla cura di un concreto interesse pubblico e diretta a produrre
unilateralmente effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari. L’emanazione di un
provvedimento, di regola, è preceduta dal compimento di una serie di atti e di attività che nel loro
complesso, prendono il nome di procedimento amministrativo.
Il provvedimento amministrativo, pertanto, è l’atto amministrativo per eccellenza, infatti,
l’atto amministrativo, in genere, è lo strumento di cui si avvale la pubblica amministrazione per
porre in essere la propria attività, in attuazione dei limiti costituzionali di cui all’art. 97 della Cost.
nonché attraverso il quale si concreta e si formalizza l’attività dell’amministrazione pubblica in
relazione ad una determinata situazione o realtà, nell’esercizio di una attività amministrativa. Il
provvedimento, invero, è un atto amministrativo “particolare” giacché consiste in una statuizione
autoritativa/imperativa, che in quanto tale, è capace di modificare unilateralmente la sfera giuridica
dei destinatari diversamente da tutti gli altri atti amministrativi.
Invece, il provvedimento amministrativo, più specificatamente, è dotato di caratteristiche
peculiari e si presenta come l’unico idoneo ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dei
destinatari. Nel novero degli atti amministrativi, dunque, il provvedimento si distingue, non solo per
essere autoritativo, giacché gli effetti giuridici suoi propri hanno rilevanza esterna (connotato che è
tipico di tutti gli atti amministrativi, così come lo sono la tipicità e nominatività, nonché la
esecutività, la inoppugnabilità e la particolate impugnabilità) ma anche e soprattutto perché in esso
l’autoritatività si accompagna sempre con la imperatività. Quanto agli effetti giuridici propri del
provvedimento, essi consistono, appunto, nella capacità di costituire, modificare o estinguere una
situazione giuridica soggettiva, ovvero, per converso, di negare tale costituzione, modificazione od
estinzione.
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Atti e provvedimenti amministrativi
I Caratteri distintivi dei provvedimenti amministrativi: la imperatività e la
esecutorietà.
Il provvedimento amministrativo presenta, oltre ai caratteri che sono propri di tutti gli atti
amministrativi, e cioè, per un verso, l’autoritatività, la esecutività , la inoppugnabilità, e per un altro
la tipicità e nominatività, anche quelli della imperatività e, nelle ipotesi tassativamente previste
dalla legge, della esecutorietà.
L’imperatività. E’ la capacità del provvedimento amministrativo di modificare
unilateralmente la sfera giuridica dei suoi destinatari, senza che rilevi in alcun modo la loro volontà:
i destinatari, perciò pur vedendosi riconosciuta un’ampia sfera di partecipazione al procedimento
preordinato alla emanazione del provvedimento, non contribuiscono a quest’ultima. In altri termini,
i destinatari si trovano in una posizione di soggezione rispetto all’esercizio del potere
amministrativo: non v’è, dunque, negoziazione, giacché il provvedimento si impone unilateralmente
ai destinatari.
L’esecutorietà. Il secondo carattere del provvedimento, l’esecutorietà 1 è eventuale, perché
non è proprio di tutti i provvedimenti: esso consiste, evidentemente solo nei casi in cui ricorre, nella
capacità del provvedimento, espressamente riconosciuta dalla legge di essere portato direttamente e
coattivamente ad esecuzione, a prescindere dall’intervento del giudice e anche contro la volontà del
destinatario, al quale non è consentito opporre altro che una mera resistenza passiva.
Esecutorio è, dunque, il provvedimento che (oltre ad essere esecutivo e, dunque, capace di
produrre i suoi effetti tipici) ha la capacità di essere materialmente eseguito dalla pubblica
amministrazione. E’ del tutto evidente che l’esecutorietà del provvedimento consegue, ed è
strettamente connessa, alla sua esecutività: laddove l’esecutività venga sospesa dal giudice
amministrativo, invero, il provvedimento perde anche la sua esecutorietà. L’esecutorietà è una
manifestazione tipica del principio di legalità, di tal che, ai fini di garanzia dei destinatari, i
provvedimenti esecutori sono numerus clausus.
Di regola sono esecutori, sempre che, naturalmente, ciò sia previsto dalla legge i
provvedimenti ablatori ( l’espropriazione, l’occupazione, la requisizione).
1
La legge n. 241 del 1990, nel disciplinare la esecutorietà all’art. 21 ter, ha chiarito, al primo comma che “Nei casi e
con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazione possono imporre coattivamente l’adempimento degli
obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da
parte del soggetto obbligato. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono
provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge”; aggiungendo al secondo
comma che “Ai fini dell’esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni
per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato.
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Atti e provvedimenti amministrativi
La classificazione dei provvedimenti
amministrativi
Nel novero dei provvedimenti amministrativi è rinvenibile un numero molto elevato di atti.
Ciò deriva, evidentemente, dalla complessità del quadro ricognitivo delle fattispecie in cui, nella
realtà
legislativa, è configurabile una capacità autoritativa/imperativa della pubblica
amministrazione. Proprio per ciò i criteri di catalogazione dei provvedimenti possono essere diversi.
Anche se meramente descrittiva, la sistemazione classificatoria che, per intrinseca logicità ed
esaustività, appare più convincente è tuttora quella incentrata sul contenuto dei provvedimenti. In
base ad esse possiamo distinguere i provvedimenti amministrativi in quattro grandi categorie
ciascuna delle quali va suddivisa, a sua volta, in più sottocategorie, all’interno delle quali sono
catalogabili le singole species si provvedimenti. Le quattro grandi categorie menzionate si
individuano a seconda che il provvedimento: a) operi su qualità giuridiche di persone, cose, attività,
fatti, b) operi nel campo dei diritti e dei doveri, ampliandoli o restringendoli; c) operi su precedenti
atti amministrativi; d) attenga alla organizzazione della pubblica amministrazione.
I provvedimenti che operano su qualità giuridiche di persone, cose, attività, fatti ( e
situazioni) sono quegli atto che operano sugli status, creandoli, modificandoli o estinguendoli.
Tra i predetti provvedimenti rientrano quelli di conferimento di cittadinanza; assunzione ad
un impiego; immissione in un istituto; iscrizione nelle liste di leva, nelle liste elettorali, ecc.
Tra i provvedimenti modificativi di status, invece, vanno catalogati quelli di: promozione di
impiegati o studenti, nonché alcuni provvedimenti disciplinari e quelli modificativi della
classificazione di una strada, di un albergo, ecc. Infine, tra quelli estintivi di status vanno inclusi i
provvedimenti di revoca della cittadinanza, decadenza dalla carica di consigliere comunale, ecc..
I provvedimenti che operano su precedenti atti amministrativi sono quei provvedimenti
che a) producono la cessazione o la sospensione dell’efficacia di atti, fra i quali si annoverano
l’annullamento, la revoca, la rimozione; b) modificano precedenti provvedimenti, nel cui ambito si
collocano la modifica, la riforma, la rettifica; c) consolidano o integrano precedenti provvedimenti,
fra i quali vanno inclusi la convalida, la conversione, la conferma; d) decidono controversie
concernenti atti amministrativi, che consistono nelle decisioni di accoglimento di ricorsi
amministrativi impugnatori di atti.
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Atti e provvedimenti amministrativi
I provvedimenti che attengono all’organizzazione della Pubblica amministrazione. Si
tratta di quei provvedimenti che creano, modificano o estinguono enti, uffici, posti, e le loro
dotazioni, ecc.
I provvedimenti che operano su diritti e doveri, ampliandoli o restringendoli determinano
significativi effetti nella sfera giuridica dei destinatari. Tali provvedimenti vanno distinti in due
sottocategorie: quelli ampliativi e quelli restrittivi.
I provvedimenti ampliativi così definiti perché accrescono la sfera giuridica dei destinatari,
possono a loro volta distinguersi in accrescitivi o permissivi, a seconda che a) facciano sorgere
diritti o estinguere obblighi; ovvero b) rendano possibile l’esercizio di preesistenti diritti. Con i
primi la pubblica amministrazione si priva di beni o assume obbligazioni a favore di terzi, ovvero
rinuncia a diritti, conferisce poteri o facoltà ad essa inerenti (le concessioni traslative); conferisce
diritti creati ex novo inerenti a settori nel suo dominio, ma che essa non può esercitare ex se
(concessioni costitutive); consente l’esercizio di attività non inerenti a preesistenti diritti né a settori
nel suo dominio ( le licenze, le dispense). Fra i secondi, invece, rientrano i provvedimenti che
rimuovono l’ostacolo all’esercizio di un diritto che è già nella sfera giuridica del richiedente (le
autorizzazioni, le abilitazioni e le approvazioni).
b) I provvedimenti restrittivi, viceversa, incidono riduttivamente su diritti e si distinguono
tra di loro a seconda che comprimano diritti o creino obblighi. Fra i primi si collocano tanto i
provvedimenti che incidono su diritto patrimoniali, siano essi ablativi di beni o diritti reali ( ad es.
l’espropriazione) ovvero creativi di vincoli o limitazioni alla proprietà ( es. dichiarazione di
pubblica utilità di un bene), quanto quelli che incidono su diritti non aventi contenuto patrimoniale (
es: provvedimenti sanzionatori, di sospensione cautelare di un impiego). Nel novero dei secondo,
rientrano gli ordini e le direttive.
La dottrina classifica i provvedimenti ablatori a seconda dell’oggetto sul quale incidono: essi
si distinguono pertanto in provvedimenti ablatori personali, se incidono su libertà, diritti personali o
anche su comportamenti semplicemente leciti; in ablatori reali, se estinguono o limitano diritti reali;
e in provvedimenti ablatori obbligatori, se fanno sorgere obbligazioni a carico dei loro destinatari.
Se il carattere essenziale e comune a tutti i provvedimenti ablatori è l’imposizione di una
privazione, occorre dire che, a volte, e precipuamente nei provvidenti ablatori reali e obbligatori, la
privazione è strumentale all’approvazione da parte dell’amministrazione della utilitas sottratta al
privato.
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Atti e provvedimenti amministrativi
I provvedimenti ampliativi
I provvedimenti ampliativi si caratterizzano per il fatto che allargano la sfera giuridica dei
destinatari, sia attribuendo loro diritti e facoltà giuridiche, sia rimuovendo gli ostacoli che si
frappongono all’esercizio di questi. I predetti provvedimenti, di regola, sono subordinati alla
richiesta da parte del soggetto interessato alla loro emanazione.
Per quanto concerne questo tipo di provvedimento ampliativo, il più importante è senza
dubbio l’autorizzazione. Secondo la migliore dottrina, l’autorizzazione può essere definita come
quel provvedimento mediante il quale la pubblica amministrazione, nell’esercizio di una attività
discrezionale in funzione preventiva (e normalmente ad istanza dell’interessato), provvede alla
rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo o ad
una potestà pubblica che devono necessariamente preesistere in capo al destinatario. Nel caso
dell’autorizzazione, insomma, il diritto è già in capo al richiedente, il quale, però, è sprovvisto della
capacità di esercitarlo fino a che non giunga il provvedimento dell’autorità amministrativa
competente.
In altri termini, l’autorizzazione rende effettivamente esercitabile una attività materiale o
giuridica, che il richiedente, in linea di principio, potrebbe svolgere, ma che la legge subordina alla
verifica amministrativa dei requisiti da essa stessa stabiliti. Per quanto concerne la sua natura
giuridica, si tratta di un provvedimento discrezionale che incide su diritti, condizionandone
l’esercizio, a carattere ampliativo della sfera soggettiva dei privati, ma non costitutivo atteso che
non crea diritti o poteri nuovi in capo al destinatario, ma legittima solo l’esercizio di diritti o potestà
già preesistenti nella sfera del soggetto. Sotto il profilo funzionale, le autorizzazioni possono essere
rilasciate o in funzione di controllo, o in funzione di programmazione dell’attività dei soggetti
privati.
Le prime si compongono di un giudizio volto ad assicurare che il concreto contenuto del
potere materiale oggetto del procedimento sia conforme a regole predeterminate, nel qual caso si
provvederà all’adozione del provvedimento autorizzatorio, ovvero, in caso di non rispondenza al
suo diniego. Le seconde costituiscono degli strumenti volti a coordinare l’attività dei privati con
quanto previsto in piani o programmi
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Atti e provvedimenti amministrativi
I tipi di autorizzazioni
Autorizzazioni espresse e tacite (o implicite o indirette): Espressa è quella autorizzazione
rilasciata con un provvedimento manifesto ad hoc; l’autorizzazione tacita si ha quando la volontà
autorizzatoria della pubblica amministrazione sia ricavata dal suo silenzio a seguito dell’istanza
(silenzio assenso). Modali e non modali: quando la pubblica amministrazione, per ragioni di
pubblico interesse inserisce nel provvedimento permissivo, prescrizioni limitative o modali; non
modali: sono quelle autorizzazioni il cui contenuto è predisposto dalla legge e non sono pertanto
suscettibili di limitazioni. La pubblica amministrazione ha solo la facoltà di emanarle o meno.
Personali e reali : il provvedimento autorizzativo ha come destinatario un soggetto di diritto. Si
parla di autorizzazioni personali, quando l’apprezzamento discrezionale della pubblica
amministrazione concerne requisiti inerenti la persona del soggetto autorizzato; autorizzazioni reali,
dette anche ob rem, quando l’accertamento verte su requisiti concernenti una res (es. carta di
circolazione di un autoveicolo). Discrezionali e vincolate. Secondo la dottrina più recente, accanto
alla figura delle autorizzazioni discrezionali, costitutive in quanto tali di situazioni dinamiche, vi
sarebbe quella delle autorizzazioni vincolate caratterizzate dall’effetto attributivo di una qualità o
qualifica giuridica a seguito di un procedimento accertativo. La fonte e gli effetti dell’atto vincolato
sarebbero da rinvenirsi integralmente nella legge.
Figure analoghe all’autorizzazione:
Abilitazione. La dottrina e la giurisprudenza convengono nel ritenere che l’abilitazione è da
ricondurre allo schema dell’autorizzazione, atteso che anche le abilitazioni sono provvedimenti
amministrativi che operano su diritti, condizionandone l’esercizio.
La differenza tra l’autorizzazione e l’abilitazione concerne il diverso tipo di discrezionalità
cui ricorre la pubblica amministrazione nell’emanarli. Discrezionalità amministrativa nel caso di
autorizzazioni, discrezionalità tecnica nel caso delle abilitazioni ( es. patente di guida).
Approvazione
L’approvazione è un provvedimento permissivo, che consente l’esercizio di determinati
diritti o facoltà, mediante il quale la pubblica amministrazione rende efficaci ed eseguibili atti
giuridici già compiuti e perfetti. Differisce dall’autorizzazione in senso tecnico in quanto, mentre
l’autorizzazione deve necessariamente intervenire prima del compimento dell’attività o dell’atto
cui si riferisce, gli atti di approvazione, invece, intervengono sempre in un momento successivo;
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quindi l’autorizzazione condiziona la legittimità dell’atto, l’approvazione ne condizione solo
l’operatività. Inoltre, l’approvazione costituisce generalmente un atto di controllo e trova larga
applicazione nei rapporti tra Stato e persone giuridiche pubbliche.
Nulla osta
Per nulla osta si intende un atto con cui un’autorità amministrativa dichiara di non aver
osservazioni da fare in ordine all’adozione di un provvedimento da parte di un’altra autorità.
Le licenze
Le licenze costituiscono una delle più discusse categorie di provvedimenti amministrativi
che operano su diritti e doveri. La dottrina riconduce le licenze alla figura dell’autorizzazione,
considerandole dei provvedimenti permissivi, in quanto mirando alla rimozione di un limite legale
che si frappone all’esercizio di una attività inerente ad un diritto soggettivo o ad una potestà
pubblica, rendendo possibile l’esercizio del diritto soggettivo.
Registrazione
La registrazione è un’autorizzazione vincolata, in quanto anch’essa è diretta a rimuovere un
limite legale che si frappone all’esercizio di un diritto, ciò avviene, però non a seguito di una
valutazione discrezionale, bensì sulla base di un semplice accertamento della sussistenza delle
condizioni di legge.
Dispensa
La dispensa è quel provvedimento mediante il quale la pubblica amministrazione, sulla base
di una valutazione discrezionale, consente ad un soggetto di esercitare una data attività o compiere
un determinato atto in deroga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto dall’adempimento
di un obbligo di legge.
Le concessioni
La concessione è il provvedimento amministrativo con cui la pubblica amministrazione
conferisce ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario, ampliandone così la sfera giuridica.
La concessione, pur presentando elementi di affinità con l’autorizzazione entrambi sono
provvedimenti ampliativi della sfera soggettiva, se ne differenzia in quanto non si limita a
rimuovere un limite di una posizione soggettiva preesistente, ma attribuisce o trasferisce posizioni o
facoltà nuove al privato.
Le concessioni possono essere traslative o costitutive. Con le prime la pubblica
amministrazione trasferisce diritti reali o di altro tipo, di cui è titolare (si pensi, ad esempio, alla
concessione di sfruttamento di una miniera): si tratta, invero, di diritti i quali, pur non dovendo
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essere necessariamente esercitati dalla pubblica amministrazione, sono comunque da questa
esercitabili, perciò queste concessioni si dicono traslative, giacchè trasmettono al richiedente un
diritto, un potere, una facoltà che la pubblica amministrazione sino a quel momento esercitava o
avrebbe potuto esercitare.
Con le concessione costitutive, viceversa, la Pubblica amministrazione, conferisce al privato
diritti e facoltà che non trovano corrispondenza in precedenti diritti o facoltà della pubblica
amministrazione.
Le predette concessioni possono essere costitutive: a) di diritti subiettivi: tali concessioni
fanno sorgere ex novo diritti per il destinatario (es. decreto per il cambiamento di nomi e
cognomi);b) di diritti all’esercizio di professioni in cui sia limitato il numero degli esercenti.
Per l’esercizio di professioni basta, di solito, un atto ablativo o un atto di ammissione. In alcuni casi,
in considerazione del pubblico interesse, l’esercizio di certe professioni è limitato ad un determinato
numero di esercenti, stabilito in base a criteri determinati. Per l’esercizio di queste ultime è, quindi
necessario un vero e proprio provvedimento di concessione da parte della pubblica
amministrazione, come ad esempio le autorizzazioni all’aperture di farmacie e le cd. autorizzazioni
all’apertura di istituti di credito e dei relativi sportelli.
Concessioni - contratto
Il rapporto pubblicistico di concessione traslativa è solitamente doppiato da un atto
negoziale il cd. capitolato che accede al provvedimento disciplinando, secondo il diritto civile, i
reciproci diritti e obblighi di concedente e concessionario. In questo caso si parla di concessione
contratto. Mentre l’atto unilaterale e discrezionale della pubblica amministrazione si configura
quale unico titolo del rapporto di concessione, la disciplina, invece, di tale rapporto trova il suo fatto
costitutivo in una attività di tipo negoziale. La principale caratteristica, infatti, di tale tipo di
concessione risiede nella stretta interdipendenza fra il provvedimento amministrativo e il cd.
capitolato contratto, per cui qualora uno degli elementi venga meno, l’intera fattispecie è
insuscettibile di produrre effetti.
La concessione, per il fatto di essere espressione di un potere amministrativo funzionalizzato
alla cura di un interesse pubblico specifico, pur attribuendo un diritto in capo al destinatario, può
essere successivamente revocata, in sede di riesercizio del potere, sulla base proprio di una
rinnovata valutazione dell’interesse pubblico cui il potere è funzionalizzato, con la conseguenza che
la disciplina contrattuale che accede al provvedimento seguirà le sorti di questo.
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Nel genus delle concessioni rientrano anche le erogazioni finanziarie (comprendenti
sovvenzioni, sussidi, premi ecc), provvedimenti con i quali la pubblica amministrazione sostiene
l’impegno della società civile nei più svariati settori e per le più diverse attività, dai settori
produttivi alle iniziative culturali e sportive.
Diritti e doveri del concessionario
Con il provvedimento di concessione sorge un rapporto di diritto pubblico tra la pubblica
amministrazione concedente ed il concessionario, disciplinato dalla legge, in relazione a ciascun
caso di concessione. I principi generali che regolano tale rapporto sono i seguenti:
a)
Nella concessione di beni, il concessionario acquista:
1.il diritto all’uso del bene demaniale: è un vero e proprio diritto reale nei confronti
dei terzi, tutelabile con le azioni civilistiche possessorie
2.Il cd. diritto di insistenza, e cioè l’interesse legittimo al rinnovo della concessione
da parte della pubblica amministrazione se non vi ostano ragioni di pubblico interesse, a
preferenza di altri aspiranti
3.L’obbligo di pagare la cauzione ed il canone
4.Il dovere di utilizzare il bene
5. Il dovere di sottostare ai controlli della pubblica amministrazione.
b) nella concessione di servizi, il concessionario acquista
1. il diritto all’esercizio della concessione
2. il diritto all’esclusiva nella titolarità della concessione e nella gestione del servizio. Si
tratta di un vero e proprio diritto soggettivo, la cui violazione comporta responsabilità della
pubblica amministrazione ed è risarcibile
3.il diritto di conseguire i vantaggi economici derivanti dalla gestione del servizio
4.il diritto a particolari sovvenzioni da parte dello Stato, se previsto dalla legge;
5. il cd. diritto di insistenza
6. l’obbligo di pagare la cauzione e il canone
7. il dovere di organizzare e far funzionare il servizio assunto
8. il dovere di sottostare ai controlli della pubblica amministrazione.
Il concessionario, rispetto ai terzi, è comunque un soggetto investito di una attività di
interesse pubblico e quindi, sostanzialmente, un soggetto titolare di poteri pubblicistici, tra i quali il
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potere di autoorganizzazione ed il potere di disciplinare nei confronti dei dipendenti, sebbene i
rapporti di lavoro con questi ultimi siano di natura privatistica.
La concessione edilizia/ permesso di costruire.
L’art. 31 della l. n. 1150/1942 (integrato dalla legge 765 del 1967) imponeva la necessità di
una apposita licenza, rilasciata dal Sindaco, per chi intendesse, nell’ambito del territorio comunale,
eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti ovvero procedere ad
opere di urbanizzazione del terreno. La dottrina inizialmente sosteneva che tale licenza altro non era
che un’autorizzazione in senso tecnico, in quanto rimuoveva un limite legale all’esercizio dello ius
edificandi da parte del proprietario del suolo.
L’art. 31 della legge urbanistica del 1943 è stato abrogato e sostituito dall’art. 1 della l.
10/1977 ( cd. legge Bucalossi), in forza del quale l’esecuzione delle opere di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio comunale è subordinata a concessione da parte del Sindaco.
Secondo la prevalente dottrina, l’amministrazione, in tale modo conferirebbe al privato qualcosa
che esso prima non aveva.
Questa soluzione è stata criticata da un'altra parte della dottrina, secondo cui, al contrario, la
concessione di costruire, costituirebbe una innovazione soltanto nominalistica.
A tal proposito la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 30.01.1980, ha affermato che
il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà. Secondo la Corte, è vero che il sistema
normativo che disciplina l’edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni
determinazione sul se, sul come e sul quando edificare, ma la concessione edilizia, non essendo
attributiva di nuovi diritti, presuppone facoltà preesistenti e adempie all’identica funzione della
antica licenza edilizia, avendo lo scopi di accertare l’esistenza delle condizioni previste dalla legge
per l’esercizio del diritto nei limiti in cui l’ordinamento ne riconosce e tutela la sussistenza.
Ne deriva che è appare difficile individuare la natura giuridica di questo titolo edilizio in
quanto è atipico come concessione atteso che fa riferimento ad una attività privata, svolta
utilizzando beni di proprietà privata e non riguardante beni della pubblica amministrazione o servizi
a questa riservati in via esclusiva. Allo stesso tempo, tale provvedimento edilizio è atipico anche
come autorizzazione poiché non è rivolto soltanto a rimuovere un limite all’esercizio dello ius
edificandi, ma altresì ad imporre precisi doveri riferiti all’attività di esecuzione.
La concessione edilizia, a seguito dell’emanazione del d.p.r n. 380/2001 ( testo unico
sull’edilizia), è stata sostituita dal permesso di costruire.
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Con l’entrata in vigore del suddetto testo unico sull’edilizia si è avuto solo una modifica
terminologica che vale a prendere atto della ritenuta inerenza dello ius edificandi al diritto di
proprietà e della correlativa improprietà del riferimento all’istituto concessorio.
I provvedimenti restrittivi della sfera giuridica dei destinatari
I provvedimenti restrittivi, limitano le facoltà dei destinatari, o comprimendole fino a
sopprimerle, ovvero imponendo obblighi. Si tratta, in sostanza, di provvedimento ablatori perché i
poteri che essi realizzano in concreto consistono comunque nella ablazione di un diritto o di una
facoltà.
Tali provvedimenti si distinguono a seconda che incidano su diritti, ovvero creino obblighi.
Provvedimenti che incidono su diritti. A loro volta si distinguono fra quelli che incidono
su diritti patrimoniali e quelli che incidono su diritti non patrimoniali.
Tra i provvedimenti che incidono su diritti patrimoniali, si devono differenziare i
provvedimenti ablativi di beni o diritti reali, da quelli creativi di vincoli o limitazioni alla proprietà.
I provvedimenti ablativi di beni o diritti reali sono quegli atti con i quali la pubblica
amministrazione priva il titolare di un determinato diritto reale, estinguendolo o trasferendolo
coattivamente ad altro soggetto oppure limitandolo. Sono provvedimenti che incidono
sfavorevolmente su diritti, estinguendoli o comprimendoli. L’espropriazione che è il provvedimento
ablatorio più importante consiste nel trasferimento definitivo per ragioni di pubblica utilità, del
diritto di proprietà o di altro diritto reale, da un precedente ad un nuovo titolare.. Espropriato è
solitamente un soggetto privato, espropriante, invece, è sempre la pubblica amministrazione;
quest’ultima non può coincidere con il beneficiario dell’espropriazione, essa, agendo, cioè affinchè
il bene o il diritto espropriato passi da un proprietario ad un altro.
La procedura per l’espropriazione consta sempre di due sub procedimenti, il primo dei quali
si conclude con il provvedimento denominato dichiarazione di pubblica utilità, che opera come
necessario presupposto del sub procedimento che si conclude con il decreto di espropriazione.
La requisizione: Il provvedimento di requisizione può essere finalizzato tanto a conseguire
l’uso di beni in appartenenza privata quanto ad acquisirne la proprietà, laddove ricorrano comunque
ragioni di pubblico interesse. In entrambi i casi è dovuta al destinatario una indennità.
La requisizioni in proprietà riguarda esclusivamente beni mobili e produce effetti definitivi,
presentando caratteri simili a quelli della espropriazione e, differenziandosene per il presupposto in
quanto è prevista solo per ragioni militari.
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La requisizione in uso, invece, può avere ad oggetto anche beni immobili ed è per
definizione temporanea, essa è possibile solo per ragioni di necessità ed urgenza nel che consiste la
diversità dei suoi presupposti rispetto a quelli della espropriazione.
La requisizione in uso vanno tenute distinte dalle ordinanze di necessità ed urgenza: solo
queste ultime, infatti, non dovrebbero dar luogo ad indennizzo.
La confisca e il sequestro. Nella categoria dei provvedimenti ablatori reali rientrano anche
le confische e i sequestri. Le prime si caratterizzano per uno scopo sanzionatorio, l’acquisizione del
bene in mano pubblica conseguendo alla commissione di un illecito amministrativo; i secondi,
invece, per uno scopo cautelare, collegandosi necessariamente ad una situazione di pericolo che
potrebbe determinarsi a causa del bene.
Provvedimenti creativi di vincoli o limitazioni alla proprietà: Vanno ricomprese in
questa sottocategoria due tipi di provvedimenti: quelli mediante i quali la pubblica amministrazione,
pur non apprendendo un bene, ne condiziona la piena utilizzazione da parte del proprietario,
imponendo per questa vincoli o limitazioni; e quelli mediante i quali la pubblica amministrazione
impone al destinatario la costituzione di un rapporto obbligatorio. Nella prima categoria rientrano
tutti i provvedimenti attributivi di una qualità ad un bene, la sussistenza della quale lo assoggetta ad
un regime giuridico speciale che ne condiziona il godimento, nonché quelli che impongono al bene
una limitazione d’uso. Nella seconda, invece, rientrano i provvedimenti ablatori attraverso i quali la
pubblica amministrazione viene a determinare, in via imperativa, la costituzione di un rapporto
obbligatorio, avente generalmente contenuto patrimoniale; ne sono esempi significativi le
imposizioni di tributi.
Provvedimenti incidenti su diritti aventi contenuto patrimoniale; I provvedimenti
restrittivi, possono incidere, oltre che su diritti patrimoniali, anche su diritti non aventi contenuto
patrimoniale. Tra questi rientrano le sanzioni, tali provvedimenti si caratterizzano per esprimere
l’esercizio del potere, appunto sanzionatorio, che si manifesta tutte le volte in cui è necessario
reprimere comportamenti la tenuta dei quali, pur richiedendo d’essere punita, non è considerata
dall’ordinamento così grave da meritare l’applicazione del diritto penale.
Nella tipologia delle sanzioni si segnalano principalmente quelle disciplinari, le quali
conseguono ad un procedimento di tipo giustiziale che si colloca comunque nell’ambito di un
rapporto di servizio; e quelle contravvenzionali, attraverso le quali la pubblica amministrazione,
provvede a reprimere illeciti amministrativi comminando una pena pecuniaria, che in alcuni casi
assume anche natura risarcitoria di un danno patito dalla comunità .
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Atti e provvedimenti amministrativi
2) Provvedimenti che creano obblighi. Gli ordini sono quei provvedimenti restrittivi della
sfera giuridica del destinatario con i quali la pubblica amministrazione, a seguito di una scelta
discrezionale o di un semplice accertamento, fa sorgere nuovi obblighi giuridici a carico dei
destinatari, imponendo loro un determinato comportamento sulla base della propria potestà di
supremazia. L’obbligo del destinatario di osservare gli ordini può essere ben determinato e
penalmente sanzionato. Per il principio di legalità, il potere della pubblica amministrazione di
impartire ordini deve essere espressamente previsto dalla legge. L’ordine differisce dal divieto,
perché con quest’ultimo la pubblica amministrazione impone o proibisce una certa condotta. Infine,
dagli ordini vanno tenute distinte le direttive, le quali si connotano per la minore intensità degli
effetti, così che quando sono rivolte ad altri organi della pubblica amministrazione non
costituiscono obblighi in capo al destinatario, anche se gli impongono un onere di adeguata
motivazione nel volersi discostare dal loro contenuto.
I provvedimento di secondo grado
I provvedimenti di secondo grado hanno ad oggetto gli effetti giuridici di precedenti
provvedimenti che possono essere modificati, rimossi o conservati. È possibile distinguere: a)
provvedimenti che producono, in modo totale o parziale, la cessazione o la sospensione di
efficacia di atti amministrativi. Rientrano in tale categoria: l’annullamento, la revoca, la
sospensione. Tali atti possono essere adottati o in sede di autotutela, o in sede di controllo, o a
seguito di ricorso dell’interessato. b)Provvedimenti che producono la modifica totale o parziale
di atti preesistenti. Rientrano nella categoria: la modifica, la riforma, la rettifica, la proroga.
Anch’essi possono essere adottati in sede di autotutela o in sede di controllo.
c) provvedimenti che producono la consolidazione di precedenti provvedimenti
invalidi: rientrano nella categoria: la convalida, la conversione, la conferma, la correzione di errori
materiali; d) provvedimenti che decidono controversie amministrative: sono tutte le decisioni
amministrative che risolvono controversie relative ad atti amministrativi, e cioè le decisioni su
ricorsi amministrativi; essendo preordinate a fini di giustizia, sono definite provvedimenti
giustiziali. Anche quando investono atti amministrativi, non sempre operano modificazioni nei
confronti di questi ultimi.
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