V.Rapetti - cittadinanza, migrazioni, religione

CITTADINANZA, MIGRAZIONI, RELIGIONE
di Vittorio Rapetti 1
Il tema della cittadinanza (ed il suo rapporto con le identità culturali e religiose) è tanto complesso
quanto cruciale nella nostra società2. Non a caso è motivo di dibattito e di scontro politico anche
molto forte. L’inquadramento costituzionale e giuridico è quanto mai sollecitato dai fattori sociali
ed economici, generati dai processi di trasformazione globale, che si specificano nella particolare
situazione e storia italiana, culturale e politica. Processi che – almeno a partire dagli anni ’80 del XX
secolo e in misura più accentuata nell’ultimo quindicennio – hanno assunto maggior rilievo con la
crescente ondata migratoria, che ha portato l’Italia a divenire - per la prima volta nella sua storia
recente - un paese di immigrazione, mentre continuano consistenti flussi di migrazione interna (ed
in misura minore anche verso l’estero) e gli italiani nel mondo restano in assoluto uno tra i più
importanti nuclei di emigrati dell’epoca contemporanea.
APPARTENENZA – CITTADINANZA. La questione della cittadinanza si basa anzitutto sul senso e sulle
regole di appartenenza di un individuo ad un gruppo sociale (famiglia, tribù, popolo, città, stato) e
quindi nella storia si è definita in modo molto vario. In tutti i casi “essere cittadini” significa
appartenere ad una realtà collettiva detenendo un insieme di diritti (ed in genere di
corrispondenti doveri). Nello stesso tempo definire “chi è cittadino” implica rendere espliciti i
meccanismi di inclusione e di esclusione definiti da una data comunità, che rinviano non solo alle
sue condizioni materiali, ma anche alle sue matrici culturali.
Per questo è qui opportuno richiamare alcuni riferimenti posti dalla visione cristiana. In essa si
combinano due atteggiamenti di fondo: da un lato il senso del radicamento in una comunità
come appartenenza e riconoscimento delle relazioni (anche storiche) col proprio passato e con la
propria comunità di origine. Da qui il valore di questa appartenenza ed il senso di “riconoscenza”
per tale storia, nella quale gli individui sono inseriti. Le stesse genealogie bibliche e il riferimento
alla divinità come “il Dio di Abramo, di Isacco, di Mosè, di Giacobbe” hanno anche questi
significati. D’altro lato la visione cristiana evidenzia il senso del pellegrinaggio e della non
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Il testo è tratto da V.Rapetti, La Chiesa nella città: scelta religiosa e politica, Torino 2015, pp.21-24
Tra i molteplici contributi sul tema vedi: voce Cittadinanza in “Vademecum della democrazia” a cura di R.Gatti,
L.Alici, I.Vellani, Roma, AVE 2013; voce Cittadinanza in Marchese-Mancini-Greco-Assini Stato e società. Dizionario di
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educazione civica, Firenze, La Nuova Italia, 1993 ; voce Cittadinanza in Dizionario delle idee politiche a cura di E.Berti
e G.Campanini, Roma, AVE, 1993; voce Diritti dell’uomo in Bobbio-Matteucci-Pasquino, Il Dizionario di Politica, Torino,
Utet, 2004; W.Kymlicka, La cittadinanza multiculturale, Il Mulino 1999; per un approfondimento del diritto
costituzionale: La Costituzione Italiana. Principi fondamentali. Diritti e doveri dei cittadini. Commento agli artt. 1-54, a
cura di R.Bifulco – A.Celotto – M.Olivetti, UTET, 2007. Per i riferimenti alla dottrina sociale della chiesa (DSC) vedi
Compendio della DSC, Libreria Vaticana, Roma, 2005, p. 367 ed in particolare i nn.389, 422, 425, 441. 565. In
prospettiva educativa: ACI-Istituto “BacheIet”, Percorsi della cittadinanza, AVE, 2000; E.Preziosi, L’alfabeto sociale,
Introduzione alla DSC, AVE 2004; Interessante la recente disamina della questione in una prospettiva storico-giuridica
proposta da V.F.GIRONDA, Ius sanguinis o ius soli ? Riflessioni sulla storia politica della cittadinanza in Italia, in
“Micromega – Il rasoio di Occam” 1/2014.
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assolutezza dell’appartenenza socio-civile ad un determinato gruppo, la possibi-lità/opportunità
che il credente si incarni in situazioni diverse ed in varie forme culturali (si pensi a quanto esprime
la “lettera a Diogneto”), sfuggendo così all’identificazione integralistica tra la fede ed una cultura
ed una appartenenza sociale, ma senza con ciò rinnegare i “doveri” del credente verso la città e lo
stato.
Nel contempo il chiaro orientamento espresso dal Concilio Vaticano II circa la comune
appartenenza di tutte le persone alla stessa “famiglia umana”, senza negare il significato storicoculturale delle diverse tradizioni e forme di organizzazione socio-politica, le pone come valore
relativo, rendendo l’identità storico-culturale una ricchezza ma non assoluto, specie laddove ciò
possa divenire fonte di discriminazione e razzismo o di manipolazione della libertà religiosa. In
sostanza si pone l’accento sulla comunanza di diritti/doveri fondamentali che appartengono a tutti
gli essere umani e che le diverse istituzioni politiche sono chiamate a riconoscere e a promuovere.
In tal senso non vi è contrapposizione tra essere “cittadini di uno stato” (con la conseguente
assunzione di concrete responsabilità verso la comunità politica di cui si fa parte) e il considerarsi
“cittadini del mondo”; questa – lungi dall’essere una ingenua espressione poetica – indica
l’appartenenza fondamentale al genere umano ed il riconoscimento dei diritti/doveri di tutti e di
ciascuno. Il criterio religioso per cui “Dio non fa differenza di persone”, per cui Egli “prende i
cittadini del suo regno in mezzo a tutte le stirpi”, essendo che “tutti gli uomini sono chiamati alla
salvezza”3, non vale quindi solo ad indicare una prospettiva escatologica o un orientamento
morale affidato al sentimento e alla virtù dei singoli, ma diventa anche criterio orientativo per la
costruzione della comunità politica. Non solo per ribadire i principi di eguaglianza, di solidarietà e
di pace – ben espressi dagli articoli 2, 3, 11 della nostra Costituzione - ma anche per indicare la
prospettiva verso la quale si debbono orientare le norme che regolano appunto
l’inclusione/esclusione dalla appartenenza formale e piena alla comunità politica.
SANGUE O TERRITORIO ? Definito quindi il valore essenziale della cittadinanza (con il superamento
della concezione assolutistica per cui gli individui erano “sudditi”), si apre ovviamente il problema
di definire “chi è cittadino”. Ad esempio nelle costituzioni che per prime sanciscono i “diritti e
doveri dei cittadini” come quelle americana e francese, ampi settori della popolazione restano
esclusi dalla cittadinanza (le donne, i neri, …) . E’ prevalso in quest’ambito il modello del diritto
“personale” : per definire la titolarità dei diritti non conta tanto se si vive su uno stesso territorio,
ma contano le relazioni che si hanno , a quale “gruppo” si appartiene, quale origine si ha.
Allo stretto “criterio del sangue” tipico delle comunità più esclusive, nelle società più aperte ed in
espansione si sovrappongono altri modelli, in cui i criteri di inclusione sono estesi ad aspetti legati
non solo all’origine familiare ma anche al reddito, all’alfabetizzazione, alla presenza sul territorio,
alla religione. Da qui le norme che concedono la cittadinanza in base alla residenza in loco per un
periodo lungo, ai rapporti matrimoniali o di lavoro, fino alla nascita in loco da genitori immigrati.
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Cfr. LG. 13b, 13e. Sulla visione della “famiglia umana” diversi i passaggi del Concilio, in particolare della Gaudium et
Spes (nn. 43, 63, 65, 69, 75)
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Si tratta in sostanza di processi, per cui la cittadinanza come riconoscimento giuridico della
titolarità dei diritti diventa un percorso che via via tende ad estendere il tipo e la misura dei diritti.
Un processo che si innesta in quello ancor più ampio – tipico della nostra epoca – di
introduzione/riconoscimento di “nuovi diritti” connesso anche alle trasformazioni socio-politiche
ed economico- tecnologiche che interessano un numero sempre più esteso di persone e di stati.
UNA MAPPA DEI DIRITTI E DEI PROBLEMI. Pertanto è utile riassumere una “mappa” dei diritti. In
essa si distinguono diverse aree o gruppi di diritti: i c.d. diritti umani (vita, integrità, incolumità,
cibo, salute, educazione, …), i diritti civili (o libertà formali, con il diritto per l’esercizio delle
libertà individuali: parola, pensiero, associazione, riunione, domicilio, circolazione, segretezza; i
diritti di difesa nelle indagini e nei processi; più recentemente si parla di diritto alla privacy e di
diritto all’informazione sia rispetto ai mass-media, sia rispetto alle pratiche della pubblica
amministrazione), i diritti politici (diritto di voto attivo e passivo, tutela dell’esercizio delle
responsabilità politiche), fino ai “diritti sociali” , ossia la garanzia di poter usufruire di alcune
sicurezze e protezioni (salute, casa, sicurezza, educazione, istruzione, reddito minimo, …); tra
questi fondamentale è il diritto al lavoro, più volte richiamato dalla nostra Costituzione.
Connesso poi al processo di globalizzazione e alla vastità dei movimenti migratori, è cruciale
ricordare due grandi problematiche:
a) il passaggio dai diritti nazionali a quello internazionale. Questo passaggio (non concluso)
rinvia ad un processo che ha caratterizzato il XX secolo: in esso si è passati dagli (astratti) diritti
dell’uomo ai diritti del cittadino (più definiti, ma riferiti ad una nazione specifica), ai diritti del
“cittadino del mondo”. Ciò richiama il complesso riconoscimento ed elaborazione di norme
sovranazionali in merito alla cittadinanza, che si rendono peraltro necessarie per consentire
una effettiva integrazione e cooperazione tra gli stati (ed anche per fronteggiare poteri
“privati” che in vario modo – operando su scala internazionale - ne possono compromettere la
sovranità ed il governo, come nel caso delle grandi imprese multinazionali o in quello delle reti
di criminalità organizzata). Proprio il riferimento ai processi di indipendenza/integrazione tra
stati e popoli diversi (si pensi alla fine del colonialismo, alla costruzione dell’Unione Europea,
all’ONU, ad altre istituzioni sovranazionali) introduce l’idea di una “cittadinanza a più livelli”
(locale, regionale, nazionale, europea, mondiale) che corrisponde anche a forme di
partecipazione diretta o indiretta dei cittadini al governo delle istituzioni corrispondenti.4
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Una prospettiva considerata anche dalla riflessione della comunità cristiana. Così si esprime ad esempio il
documento preparatorio del convegno ecclesiale di Verona del 2006: “…(con) l’avvento dei processi di globalizzazione
la cittadinanza si trova a essere insieme locale e mondiale. La novità della situazione crea inedite tensioni e induce
trasformazioni economiche, sociali e politiche a livello planetario. I problemi contemporanei della cittadinanza
chiedono così un’attenzione nuova sia al ruolo della società civile, pensata diversamente in rapporto allo stato e ai
principi di sussidiarietà e di solidarietà, sia ai grandi problemi della cittadinanza mondiale, tra cui emergono i problemi
della fame e delle povertà, della giustizia economica internazionale, dell’emigrazione,della pace,dell’ambiente” (in
“Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo” http://www.db.convegnoverona.it)
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b) Il processo di costruzione ed educazione a regole condivise in una società pluralistica,
multietnica, multireligiosa, multiculturale. Considerata l’impossibilità di un ritorno ad una
società monoculturale e monoreligiosa (se mai c’è stata), si è discussa la possibilità di
permettere, con legislazioni differenziate, il mantenersi di valori, tradizioni e regole tipiche di
singoli gruppi etnico-culturali, o di norme specifiche a tutela di “gruppi” che chiedono una
rappresentanza “speciale” (minoranze linguistiche, donne, handicappati, omosessuali). A questa
impostazione (detta anche “multi-culturale” o “a isole”) si contrappone una diversa prospettiva
(che si può chiamare “interculturale”): questa muove da una visione positiva della laicità delle
istituzionali statali e dall’idea (di matrice liberale) che considera il cittadino anzitutto come
singolo individuo e solo secondariamente come parte di un “gruppo” (etnico, religioso,
culturale), e così considera la società come l’insieme di singoli cittadini e non la somma di
gruppi. Si sottolinea così l’importanza che ogni società si dia regole comuni e condivise: chi abita
su quel territorio segue tali regole, contribuisce - allo stesso modo, con le proprie possibilità,
con medesime tutele e sostegni - alla costruzione sociale; questa impostazione evidenzia il
rischio che, dando regole differenti, si alimenti la creazione o il “rinforzo” di gruppi chiusi,
autoreferenziali, che si rapportano “come isole” al resto della società, sviluppando il senso di
rivendicazione particolaristica e sgretolando il senso di solidarietà e la condivisione di scopi
comuni (quello che tradizionalmente era chiamato anche “senso della patria”).
CITTADINANZA E DEMOCRAZIA. Il cambiamento dei criteri di inclusione/esclusione, l’ampliamento
dei diritti di cittadinanza, il sovrapporsi di diversi livelli di cittadinanza introducono grandi sfide e
straordinarie opportunità di accrescere i livelli di uguaglianza e di giustizia, ma pongono nel
contempo problemi ai singoli nel comprendere e orientarsi nella complessità e – di conseguenza –
“stressano” i sistemi democratici, sottoposti a spinte contrastanti (talora autodistruttive o
autoritarie), che li rendono meno facilmente governabili e più instabili. Nel contempo, risulta
necessario un forte impegno educativo, per far cogliere il significato ed il valore di relazioni con
soggetti “distanti” (perché “lontani”, come può essere una istituzione sovranazionale, o perché
“diversi” sul piano culturale e religioso). Una difficoltà accentuata oggi, specie nel mondo
giovanile, dall’incertezza con cui le persone si sentono appartenenti ad una comunità locale, ne
conoscono storia e tratti identitari. L’anonimato della società di massa rende paradossalmente più
difficile misurarsi con altre identità (visto che la propria è vaga). Gli effetti della crisi economica e
sociale mentre sollecitano forme di solidarietà acuiscono anche le tensioni tra immigrati e
indigeni, alimentano la paura del diverso, offrono occasioni per chi soffia su razzismo e xenofobia.
Tali fenomeni si sono combinati nell’ultimo periodo con l’indebolimento della comunità locale,
che in passato più facilmente era vissuta come “vicina”, efficace, “protettiva”, in grado di
introdurre “nel piccolo” al senso della appartenenza sociale, ai valori civili e al senso civico più
ampio. Il declino del senso di appartenenza alla comunità locale, la fatica nella trasmissione della
memoria e nei rapporti intergenerazionali, unite alla diffusione di una pluralità di culture, oggi
genera invece una mescolanza di modelli e comportamenti, ma anche un indebolimento del senso
di appartenenza, smarrimento, paura.
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Ciò induce due dinamiche sostanzialmente regressive, ma attraenti:
1) il ritorno verso comunità piccole o appartenenze omogenee di tipo religioso/culturale/etnico:
da questa diffusa “voglia di comunità” emergono però filoni diversi; ad es. tra chi opera per
costruire “comunità aperte” e funzionali alla ricostruzione di una “società aperta e
multiculturale” e chi invece si batte per “comunità sicure” che si costituiscono per
contrapposizione/difesa rispetto alla società e che si immaginano garantite dalle
contaminazioni (tendenza all’esclusione di piccoli gruppi, ma anche rischio per la comunità
cristiana di percepirsi come “isola sottoposta ad un attacco”). Da qui poi deriva anche un
modello di “testimonianza” basato sullo scontro ideologico.
2) il ritorno a forme “retoriche” forti di appartenenza “nazionale” o culturale su ampia scala, in
contrapposizione ad altre appartenenze, vissute come altrettanto “forti”, pericolose,
potenzialmente invasive (ciò si constata nell’ostilità al meticciato, come nella polemica sulle
“radici cristiane” rispetto al “laicismo”, o nell’insistenza sul “manifesto dell’occidente” in
funzione antislamica, o più recentemente in chiave antieuropea …)
In tale contesto il dibattito sulla cittadinanza ed in particolare sulla sua estensione ai figli immigrati
nati in Italia (con la concessione del c.d. ius soli ) si carica di una molteplicità di significati politici e
simbolici, che vanno ben aldilà di un necessario adeguamento della normativa utile a facilitare
l’integrazione degli immigrati e regolarizzarne il percorso giuridico, obiettivi di per sé di evidente
rilievo e vantaggio sociale per la società nel suo insieme. Nel corso delle settimane sociali di Reggio
Calabria e Torino è emerso un chiaro orientamento volto alla promozione dei meccanismi di
inclusione, passando dall’enunciazione di principi di ordine generale al discernimento su problemi
specifici; in particolare il tema della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia e quello del
“diritto all’unità familiare”, per consentire i ricongiungimenti regolari dei familiari di immigrati
(vedi scheda su INCLUSIONE E SETTIMANE SOCIALI DEI CATTOLICI ITALIANI).
INCLUSIONE E SETTIMANE SOCIALI DEI CATTOLICI ITALIANI
Emblematico l’approccio proposto alla 46° settimana sociale di Reggio Calabria: “La tensione è quella di
combinare strategie di inclusione che mettano in circolo le nuove presenze, che a esse offrano le
opportunità ricercate e che propongano riferimenti istituzionali chiari, in grado di guidare un percorso di
responsabilizzazione. L’inclusione non è un processo privo di regole e di sanzioni, rapido o meramente
cumulativo: è l’incontro tra atteggiamenti responsabili e avveduti, essi stessi aspetto di carità matura e
intelligente. Forse conviene cominciare da un passaggio attraverso il quale chi arriva mostra di voler restare
in Italia, per crescere qui e cooperare con chi qui già vive. … : nella società italiana di domani i figli degli
immigrati giocheranno un ruolo importante. Lo dicono i loro numeri, imponenti, e l’energia che hanno
saputo esprimere nei processi migratori. Già oggi i figli dell’immigrazione sono più di un milione. .. sono
giovanissimi …, pensano in italiano, sognano in italiano, hanno una grande voglia di riscatto e di far meglio
dei loro genitori. Per questo a loro vanno e ancor più andranno stretti meccanismi di accettazione sociale
basati sulla disponibilità a svolgere i mestieri rifiutati dagli italiani … . Li attendono numerose difficoltà
comuni a tutti i giovani in Italia, più una: quella di riuscire a riconciliare la loro quotidianità italiana con
un’identità costruita nel dubbio di non vedersi riconosciuta la cittadinanza. La legge vigente prevede infatti
per gli stranieri nati in Italia la necessità di dimostrare, al compimento della maggiore età, la loro residenza
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legale dalla nascita e senza interruzioni. Questo meccanismo, messo a punto nel 1992, quando gli stranieri
diciottenni nati in Italia erano ancora pochi, ha finito per trasformarsi in una probatio perversa per migliaia
di ragazzi e ragazze, le cui famiglie hanno dovuto seguire un percorso d’emersione dall’irregolarità
attraverso sanatorie e regolarizzazioni.
Per i loro genitori fare famiglia e figli in Italia è stato un atto importante, un modo per provare ad annodare
il loro futuro al nostro. Quei bambini per noi sono un frutto stupendo di quell’atto di fiducia e di speranza;
rappresentano una realtà e una disponibilità che non debbono essere ignorate. Costituiscono forse il punto
più giusto e più urgente da cui partire. Il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato italiano è
solo una condizione, certo necessaria ma non sufficiente, per una piena interazione/ integrazione delle
seconde generazioni nella società italiana. Riconoscere e far rispettare i diritti dei figli dell’immigrazione è
infatti una responsabilità collettiva che investe tutte le istituzioni e tutti gli individui.” (tratto da Documento
preparatorio nn.25-26, in Atti della 46° settimana sociale dei cattolici italiani, Bologna EDB, pp. 393-5. Circa
le indicazioni emerse vedi Includere nuove presenze. Sintesi dell’assemblea tematica, in idem, pp. 309-312 e
Documento conclusivo n. 15, in idem pp. 431-33).
Questa la conclusione espressa nel 2013 a Torino in merito al ruolo delle istituzioni politiche e religiose sul
tema dell’integrazione: “Sappiamo quanto il tema dell’immigrazione sia stato politicamente sfruttato in
questi anni. Abbiamo bisogno di un deciso salto di qualità nella comprensione e nel governo di questo
fenomeno globale. Proprio l’accoglienza delle famiglie e delle nuove generazioni può aiutare a superare
paure e pregiudizi. Chiediamo alle istituzioni ecclesiali ai vari livelli, seguendo l’esempio di papa Francesco,
di far sentire alta la propria voce nella difesa dei valori evangelici dell’accoglienza. Sia la nostra chiesa
profezia convinta e coerente di una società più giusta, fraterna, accogliente per tutti.” (Documenti della 47a
Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, La famiglia, speranza e futuro per la società italiana, Torino, 12-15
settembre 2013. Sintesi assemblea tematica Il cammino comune con le famiglie immigrate, in
http://www.settimanesociali.it/settimane_sociali_dei_cattolici_italiani/ assemblee_ tematiche/).
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