UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II FACOLTA’ DI MEDICINA VETERINARIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA VETERINARIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE VETERINARIE CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI RADIOLOGIA VETERINARIA TESI SPERIMENTALE DI LAUREA IN RADIOLOGIA VETERINARIA E MEDICINA NUCLEARE “LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NEI TUMORI OSSEI DEL CANE” RELATORE CH.MO PROF. LEONARDO MEOMARTINO CANDIDATA MARIALUISA MANZO MATR. 550/072 ANNO ACCADEMICO 2008/2009 1 2 INDICE Introduzione Pag. 4 Parte generale Il tessuto osseo Pag. 6 I tumori ossei nel cane Pag.15 Classificazione dei tumori ossei Pag. 17 Etiopatogenesi dei tumori ossei Pag. 30 Segni clinici dei tumori ossei Pag. 34 Diagnosi dei tumori ossei Pag. 38 Stadiazione dei tumori ossei Pag. 42 Terapia dei tumori ossei Pag. 48 Ruolo della Diagnostica per Immagini nei tumori ossei Pag. 53 Caratteri radiografici dei tumori ossei Pag. 56 Parte sperimentale Introduzione alla parte sperimentale Pag. 66 Materiali e Metodi Pag. 68 Risultati Pag. 70 Discussione Pag. 83 Conclusioni Pag. 92 Bibliografia Pag. 93 3 INTRODUZIONE L’importanza clinica delle affezioni oncologiche riconosce un crescente interesse anche in campo Veterinario. I tumori ossei, benigni e maligni, rappresentano una forma neoplastica relativamente frequente nel cane e, tra essi, l’osteosarcoma è il più comune. I tumori ossei del cane, inoltre, appaiono sostanzialmente sovrapponibili a quelli umani da un punto di vista morfologico, clinico ed eziopatogenetico. Le neoplasie del tessuto osseo sono oggetto di numerosi studi e ricerche. In tal senso, le tecniche di Diagnostica per Immagini costituiscono un ausilio essenziale per la diagnosi, la stadiazione e la conseguente prognosi. La Radiografia è la tecnica considerata di scelta: infatti, essa, solitamente, è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie alla caratterizzazione della patologia. Le altre tecniche di Imaging sono considerate, invece, di secondo o di terzo livello. La Tomografia Computerizzata (TC) basata sui raggi X, è in grado di fornire informazioni più dettagliate sulle alterazioni strutturali scheletriche e sulle eventuali lesioni secondarie ma, al contempo, determina una maggiore radioesposizione, maggiori rischi legati all’anestesia e ai mezzi di contrasto e costi decisamente superiori. L’ecografia, sebbene non in grado di dare immagini della struttura scheletrica interna, può fornire delle preziose informazioni sul periostio e sui tessuti molli periferici. La Risonanza Magnetica (RM) e le tecniche di Medicina Nucleare (es. 4 scintigrafia ossea) potenzialmente sono delle metodiche in grado di dare notizie uniche, in particolare sull’aggressività della neoplasia. Tuttavia, ambedue sono raramente accessibili in campo Veterinario sia per la loro scarsa presenza sul territorio sia per i costi. Come per altre patologie, la diagnosi di certezza è, come sempre, affidata agli esami cito- ed istopatologici sebbene, non sia raro che le tecniche di Diagnostica per Immagini si dimostrino più sensibili e specifiche. Con questa tesi abbiamo voluto analizzare gli aspetti radiografici, TC ed ecografici, delle neoplasie ossee di cani riferiti al Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Napoli, prendendo in considerazione gli ultimi 10 anni di attività. La tesi si articola in una Parte Generale introduttiva e in una Parte Sperimentale. La prima comprende un capitolo relativo all’anatomia del tessuto osseo, uno dedicato alla descrizione dei principali tumori ossei, ai segni clinici, alla diagnosi e alla terapia ed, infine, un capitolo che descrive le tecniche di diagnostica per immagini e uno relativo all’applicazione delle stesse alla patologia in esame. La Parte Sperimentale si apre con una breve Introduzione alla quale fanno seguito un capitolo sui Materiali e Metodi, uno sui Risultati e uno di Discussione. Chiude la tesi un breve capitolo dedicato alle Conclusioni. 5 Parte generale 6 IL TESSUTO OSSEO Le ossa rappresentano i principali costituenti dell’apparato locomotore. Esse, pur rappresentando elementi passivi, assolvono numerose funzioni. In particolare, proteggono gli organi interni, rappresentano una riserva per gli elementi minerali, contengono il midollo ma, soprattutto, fungono da sostegno dando attacco ai muscoli. Nell’ambito dell’apparato scheletrico distinguiamo due principali porzioni: lo scheletro assiale e lo scheletro delle cinture e degli arti o appendicolare. Il primo comprende la testa (formata dalle ossa del cranio e dalle ossa della mandibola), e la colonna vertebrale (costituita da segmenti ossei, le vertebre cervicali, toraciche, lombari, sacrali e caudali) alla quale si collegano, a livello della regione toracica, le coste, che vanno, poi, a unirsi ventralmente allo sterno, formando, così, la gabbia toracica. Lo scheletro delle cinture e degli arti è, invece, disposto lateralmente e in maniera simmetrica al precedente. Le cinture, toracica e pelvica, forniscono l’attacco per il primo segmento osseo degli arti. La prima è formata dalla scapola, la seconda da tre elementi ossei, ileo, ischio e pube, che si saldano su ciascun lato e vanno a unirsi al sacro, andando a costituire, nell’insieme, il bacino o pelvi. Gli arti vengono, invece, suddivisi in due coppie, toracica e pelvica. L’arto toracico è formato, 7 procedendo in senso prossimo-distale, dall’omero, da radio e ulna (che insieme vanno a formare l’avambraccio), dal carpo (formato nei Carnivori da sette piccoli elementi ossei), dal metacarpo (costituito da quattro o cinque metacarpei) e dalle falangi. L’arto pelvico è costituito, invece, dal femore, dalla rotula, da tibia e fibula, a livello della gamba, dal tarso, dal metatarso e dalle falangi. Oltre che per la forma le ossa vengono distinte anche per la loro origine in ossa encondrali, che si sviluppano a partire da un modello cartilagineo, e ossa membranose, che si sviluppano da un modello connettivale. Le ossa vengono ulteriormente suddivise in base alla loro forma in: lunghe, che partecipano soprattutto alla costituzione degli arti e in cui un diametro prevale in maniera evidente sugli altri; piatte, riscontrabili a livello del cranio, della faccia e delle cinture e nelle quali i diametri di lunghezza e larghezza prevalgono sul terzo; corte, come quelle della colonna vertebrale, del carpo, del tarso e nelle quali nessun diametro prevale sugli altri. L’aspetto caratteristico di ciascun osso è determinato dalla presenza di eminenze, ovvero, rilievi che partecipano alla formazione di strutture articolari (teste, condili, denti) o di inserzioni tendinee o legamentose (processi, tuberosità, spine, creste) e di cavità, di tipo articolare (cavi articolari, troclee) e non (fosse e fossette, docce, solchi, incisure). A 8 quest’ultimo gruppo appartengono anche i fori e i canali ossei, che permettono il passaggio di vasi e nervi, e i fori nutritizi, destinati a contenere i vasi e i nervi propri delle ossa. Le ossa sono formate da più tessuti, tutti, però, di origine connettivale. In particolare, distinguiamo il tessuto osseo propriamente detto, il periostio, la cartilagine, il midollo osseo e, inoltre, vasi e nervi. Il tessuto osseo rappresenta il principale costituente dello scheletro. Esso è formato da una sostanza intercellulare o matrice (comprendente, a sua volta, la sostanza amorfa e le fibre collagene che insieme vanno a formare strutture lamellari, le lamelle ossee), e dalle cellule ossee, gli osteociti. Distinguiamo, inoltre, tre diversi tipi di tessuto osseo: quello endocondrale, transitorio e che funge da riserva per la formazione del tessuto haversiano che andrà, poi, a sostituirlo; il tessuto periostale che si forma a livello della faccia interna del periostio ed è costituito da una serie di lamelle ossee che vanno a sovrapporsi e a formare uno strato più o meno spesso che circonda l’osso haversiano; il tessuto osseo haversiano, costituito dai sistemi di Havers od osteoni. Questi ultimi in base alla loro disposizione, vanno a formare due differenti tipologie di tessuto osseo: quello compatto, nel quale gli osteoni presentano un piccolo canale centrale, il canale di Havers, contenente un particolare tipo di tessuto connettivo attraversato da vasi e nervi di calibro molto ridotto e attorno al 9 quale le lamelle ossee si dispongono in maniera concentrica e vanno a formare anche i cosiddetti canali di Volkmann, che mettono in comunicazione tra loro i canali di Havers; il tessuto osseo spugnoso, di aspetto molto più poroso, con osteoni molto dilatati e irregolari e midollo osseo più abbondante rispetto al tessuto compatto. Nell’ambito di un segmento osseo, il tessuto compatto va ad occupare soprattutto la porzione più superficiale (tavolato); nelle ossa lunghe, inoltre, delimita la cavità midollare. Quello spugnoso, invece, occupa le estremità (epifisi) delle ossa lunghe e la porzione più profonda delle ossa corte e piatte. Caratteristica essenziale del tessuto osseo è la presenza di una sostanza fondamentale mineralizzata, ovvero, un insieme di elementi minerali tra i quali prevale il calcio (idrossiapatite di calcio); esso viene, inoltre, utilizzato dal sangue per mantenere inalterata la sua composizione chimica (omeostasi). Le ossa si presentano ricoperte per tutta la loro superficie, meno che a livello delle articolazioni e delle inserzioni muscolari e tendinee, da un tessuto connettivo denso a fibre incrociate denominato periostio. La faccia più profonda di questa membrana fibrosa è a diretto contatto con l’osso e costituisce il cosiddetto strato osteogeno o blastema sottoperiostale. Esso viene attraversato da numerose fibre ( fibre di Sharpey) provenienti dalla porzione più superficiale e del tutto simili a quelle presenti a livello delle 10 connessioni tendinee e legamentose, che, poi, si immettono nel tessuto osseo. Nelle ossa di origine encondrale alcune zone, le cosiddette cartilagini articolari (o di incrostazione), non subiscono il processo di ossificazione e ricoprono le eminenze e le cavità articolari. Altre, invece, vanno incontro a ossificazione solo in un secondo momento, in particolare, alla fine dell’accrescimento osseo, e sono le cosiddette fisi o cartilagini di coniugazione o dischi epifisari. (Fig. 1) Il midollo osseo occupa la cavità centro-midollare e le areole del tessuto spugnoso, e può presentarsi in tre diverse varietà: rosso, giallo e grigio. Il midollo rosso, detto anche “midollo fetale”, è tipico delle ossa in via di sviluppo ed è contenuto nei corpi vertebrali, nelle sternebre, nelle ossa del cranio e nelle coste. Il colore tipico gli è conferito dalla sua principale funzione, ovvero, l’emopoiesi. Il midollo giallo ha, invece, perso la capacità di produrre globuli rossi ed è formato soprattutto da adipociti; si riscontra a carico della cavità centrale delle ossa lunghe e nel tessuto spugnoso di molte ossa. Il midollo grigio è tipico delle ossa facciali e della volta del cranio; rappresenta una variante del precedente tipo, caratterizzata dall’assenza di adipociti. La vascolarizzazione dell’osso è fornita da un gran numero di arterie e vene. L’arteria nutritizia rappresenta il vaso principale e si immette nel 11 segmento osseo attraverso il foro omonimo. Essa, nelle ossa lunghe, attraverso il canale nutritizio, raggiunge il canale midollare, mentre in tutte le tipologie di ossa si ramifica per irrorare il tessuto spugnoso, formando anastomosi con le altre arterie, in modo da andare a costituire una fitta rete di vasi. Queste ultime presentano un calibro minore e penetrano nell’osso attraverso fori presenti a livello delle epifisi delle ossa lunghe e delle regioni più periferiche delle altre ossa. Sono, inoltre, presenti arterie periostali, le quali vanno a formare una rete al di sotto del periostio e che si approfondano nel tessuto osseo attraverso piccolissimi forellini. Le vene formano all’interno dell’osso una rete ancora più fitta e a livello delle ossa corte, in particolare, nei corpi vertebrali, costituiscono anche una sorta di piccoli laghi che interessano il tessuto spugnoso. I vasi linfatici sono presenti a livello del periostio ma non del tessuto osseo; in quest’ultimo, tuttavia, sono state descritte guaine perivascolari aventi la medesima funzione. I nervi seguono l’andamento delle arterie e abbondano a livello subperiostale e nel tessuto spugnoso, mentre risultano scarsi nel tessuto osseo compatto. (Pelagalli e Botte, 1999; Barone, 1974; Netter, 1990) (Fig.2). 12 Fig. 1 - Disegno schematico della cartilagine fisaria ed epifisaria di un osso di origine condromatosa (Modificato da Netter, 1987). 13 Fig. 2 - Disegno schematico della struttura del tessuto osseo (Modificato da Netter, 1987). 14 I TUMORI OSSEI NEL CANE I tumori del tessuto osseo rappresentano circa il 5-7% di tutte le neoplasie dei piccoli animali (Foster & Smith, 2007; Davis et al., 2002; Thompson, Fugent, 1992; Britt et al., 2007; Egenvall et al., 2007; Theilen e Madewell, 1987; LaRue, Withrow, 1989). Essi risultano molto più diffusi nel cane che nel gatto. Circa il 95-98% dei tumori ossei del cane è di tipo maligno e, in particolare, l’82-85% circa è classificato, da un punto di vista istologico, come osteosarcoma. Il restante 15% include il condrosarcoma (10%), l’emangiosarcoma, il fibrosarcoma, il linfoma e il mieloma (3%), l’osteoma e il condroma (2%) (Theilen e Madewell, 1987). Sono colpiti soprattutto cani di taglia grande-gigante (Rottweiler, San Bernardo, Alano, Golden Retriever, Labrador Retriever, Setter Inglese, ecc.), con un'età media di 5-7 anni (l'incidenza è direttamente proporzionale all'età, anche se molti osteosarcomi insorgono anche in soggetti con meno di 2 anni di vita) e con una moderata maggiore prevalenza nei maschi (55%), fatta eccezione per alcune razze, come il San Bernardo, il Rottweiler e l’Alano, in cui sembra siano le femmine a essere maggiormente colpite (Luppi et al., 2000; Theilen e Madewell, 1987; Papparella, 2007; LaRue, Withrow, 1989; Heyman et al., 1992). Solo il 5% circa dei cani affetti da tumore osseo è di piccola taglia; in essi 15 la patologia colpisce più frequentemente (59% dei casi circa) lo scheletro assiale (Heyman et al., 1992). 16 Classificazione dei tumori ossei Diverse sono le classificazioni riportate in letteratura circa le neoplasie ossee. Un primo schema fu quello proposto dal WHO (Misdorp e Van Der Heul, 1974), in cui i tumori erano indicati in base al tipo cellulare o tissutale. Sulla base di una nuova classificazione, formulata da Moulton nel 1984 e basata sui criteri di benignità o malignità delle neoplasie ossee e sulla loro localizzazione nell’ambito del segmento coinvolto, Slayter ha proposto una nuova classificazione istologica pubblicata nel 1994 dall’AFIP e tutt’oggi utilizzata: TUMORI BENIGNI: Osteoma Fibroma ossificante Myxoma della mandibola Osteocondroma Condroma Emangioma TUMORI MALIGNI: Centrali: Osteosarcoma poco differenziato osteoblastico produttivo osteoblastico non produttivo condroblastico 17 fibroblastico teleangectasico a cellule giganti Condrosarcoma Fibrosarcoma Emangiosarcoma Tumore a cellule giganti dell’osso Tumore multilobulare dell’osso Periferici: Condrosarcoma periostale Fibrosarcoma periostale Fibrosarcoma mascellare (cane) Osteosarcoma periostale Osteosarcoma parostale Tumori vari: Liposarcoma Mesenchimoma maligno Altri Tumori del midollo osseo: Mieloma Linfoma 18 Lesioni “tumor-like”: Displasia fibrosa Cisti ossee solitarie Cisti ossee juxtacorticali Cisti epidermioidi delle falangi Miosite ossificante Gli osteosarcomi possono essere ulteriormente classificati in base alla loro sede d’origine, che può essere: -convenzionale (o midollare), se interessano primariamente le cavità midollari delle estremità metafisarie delle ossa lunghe; - parostale (o juxtacorticale), riscontrati, nel cane, a livello delle ossa del cranio e delle diafisi delle ossa lunghe. Generalmente, hanno una prognosi favorevole in quanto mostrano un’evoluzione molto lenta e metastatizzano tardivamente; - periostale, che originano dalla zona superficiale dell’osso coinvolto. Reperto quasi costante è il coinvolgimento dei tessuti molli circostanti; - intracorticale; - extrascheletrica, anch’essi coinvolgenti i tessuti molli. 19 Osteosarcoma L’osteosarcoma appendicolare è una neoplasia localmente aggressiva e altamente metastatica. Tuttavia, solo il 10- 15% dei soggetti presenta, al momento della prima visita, delle metastasi, in particolar modo ai polmoni, i quali rappresentano il primo sito di disseminazione, poichè la via di diffusione è, soprattutto, quella ematica (Thompson, Fugent, 1992; Papparella, 2007). A questi ultimi seguono, in percentuali via via decrescenti, il fegato, il rene, i linfonodi, il miocardio, i muscoli (Cheli R., 1969). In tal senso, le tecniche di Diagnostica per Immagini e, in particolare, l'esame radiografico, risultano essere essenziali per una corretta stadiazione della neoplasia (Kuntz, 2001; Feeney et al., 1982). Circa il 3% degli OSA dissemina, invece, per via linfatica; soggetti con metastasi linfonodali presenterebbero una sopravvivenza media ridotta. Per quanto riguarda, invece, la comparsa di metastasi ossee, in media, su 15 soggetti (di cui 13 con metastasi multiple) le localizzazioni più frequenti sono rappresentate dalla colonna vertebrale (8 casi), dalle costole (7), le ossa lunghe (5), le ossa pelviche (1), lo sterno (1). Nei cani trattati con chemioterapici è stato notato un aumento di questo tipo di metastasi (Spodnick et al., 1992). Da un punto di vista anatomo-patologico l’osteosarcoma si presenta come una massa di elevata consistenza, difficile da incidere. La superficie di 20 taglio appare di un colore bianco-grigiastro, con striature di colore rossastro e pochi residui ossei nelle neoplasie a carattere osteolitico. Queste ultime presenteranno in periferia un addensamento tissutale, spesso di tipo ossificato, corrispondente al processo di reazione periostale. Nell’osteosarcoma di tipo osteogenetico, invece, la superficie di taglio presenta un aspetto prevalentemente osseo; anche il canale midollare risulta occupato da tessuto osseo neoformato. La corticale appare spesso erosa e a livello periostale si riscontra la presenza di trabecole ossee che possono avere andamento di vario tipo (Cheli, 1969). 21 Condrosarcoma Il condrosarcoma nel cane rappresenta il secondo tumore più frequente tra tutte le neoplasie primarie del tessuto osseo (5-10% del totale) (Dernell et al., 2007; Goldschmidt and Thrall, 1985). Esso prende origine dal tessuto cartilagineo e, durante il suo sviluppo, tende a mantenere le caratteristiche proprie della cartilagine. Il condrosarcoma risulta essere più frequentemente in soggetti di età adulta (5-7 anni), senza particolare predilezione per quanto riguarda il sesso. Colpisce nella maggior parte dei casi cani di grossa taglia. Può coinvolgere tutti i segmenti scheletrici, ma sembra vada a interessare più di frequente le ossa piatte e, in particolare, quelle del cranio (Cheli, 1969; Dernell et al., 2007; Goldschmidt and Thrall, 1985). L’eziologia del condrosarcoma è, generalmente, sconosciuta; esso può, tuttavia, originarsi da una trasformazione di esostosi cartilaginee multiple (Dernell et al., 2007). Può essere centrale o periferico e, ancora, primario, se prende origine direttamente dal tessuto cartilagineo, o secondario, se deriva da una trasformazione maligna di esostosi osteocartilaginee (Cheli, 1969; Goldschmidt and Thrall, 1985). In quelli di tipo centrale l’aspetto, quasi patognomonico, è caratterizzato dalla presenza di aree di lisi, a cui si associano calcificazioni 22 irregolarmente distribuite. Il condrosarcoma periferico si presenta, invece, come una massa fortemente calcificata, addossata al tessuto osseo dal quale si è originato. Da un punto di vista anatomo-patologico appare mal delimitato, con superficie bernoccoluta e di consistenza fibrosa. Al taglio si riscontra la presenza di tessuto cartilagineo a cui si associano aree di calcificazione e di tessuto fibroso, con piccole vacuolizzazioni contenenti un liquido citrino filante. Il condrosarcoma è una neoplasia altamente maligna, tendente più alla diffusione locale che alla produzione di metastasi. Questa caratteristica rappresenta un dato favorevole circa la prognosi, qualora la localizzazione permettesse di intervenire mediante ampie escissioni o l’amputazione (Cheli, 1969; Goldschmidt and Thrall, 1985). 23 Fibrosarcoma Il fibrosarcoma è una neoplasia piuttosto rara, corrispondente a meno del 5% di tutti i tumori ossei del cane (Dernell et al., 2007; Goldschmidt and Thrall, 1985). E’ di tipo maligno e la sua origine non è ben chiara. Esso potrebbe derivare da una trasformazione dei tessuti extrascheletrici (connettivi perivascolare, perineurale, ecc.) e invadere secondariamente i segmenti ossei, oppure, prendere origine dal tessuto connettivo fibrillare dell’osso, dei canali di Havers, del midollo osseo, del periostio. Il fibrosarcoma può essere riscontrato in soggetti di ogni età, con una maggiore incidenza intorno ai 3-4 anni di vita. Non esistono predilezioni di razza, sesso o localizzazione (Cheli, 1969). Questo tipo di neoplasia produce una vasta lisi ossea alla quale si associa, nella maggior parte dei casi, un coinvolgimento dei tessuti molli circostanti. L’aspetto anatomo-patologico del fibrosarcoma può essere quello di un tessuto simil-lardaceo, molle, contenente piccole aree emorragiche frammiste a cavità occupate da un liquido citrino, oppure, di una consistente massa di colore bianco-grigiastro, tendente all’invasione e alla distruzione locale (Cheli, 1969; Goldschmidt and Thrall, 1985). La prognosi relativa al fibrosarcoma è strettamente connessa alla localizzazione della patologia, quindi, alla possibilità di intervenire 24 chirurgicamente (Cheli, 1969). 25 Angiosarcoma L’angiosarcoma è una neoplasia di tipo maligno che si origina dal tessuto vascolare dell’osso. E’ un tumore raro che, insieme al fibrosarcoma, rappresenta circa il 7% di tutte le neoplasie del tessuto osseo del cane (Cheli, 1969; Goldschmidt and Thrall, 1985). Esso colpisce più frequentemente soggetti aventi un’età compresa tra i 6 e i 9 anni, senza predilezione di razza o sesso (Cheli, 1969). All’esame radiografico l’angiosarcoma si presenta come un’estesa area di lisi alla quale, tuttavia, non si associa alcun tipo di reazione periostale (Cheli, 1969). L’aspetto anatomo-patologico della neoplasia è quello di una formazione di colore rossastro, particolarmente vascolarizzata, di consistenza spugnosa e friabile. Talvolta, il tessuto vascolare non è ben rappresentato e lascia il posto a una struttura solida di colore grigiastro (Cheli, 1969; Goldschmidt and Thrall, 1985). La prognosi relativa all’insorgenza di un angiosarcoma è strettamente connessa alla localizzazione della patologia e alla possibilità di intervenire chirurgicamente (Cheli, 1969). 26 Plasmocitoma (Mieloma) Il plasmocitoma o mieloma rappresenta un’affezione del S. R. E., caratterizzata da una vasta e disordinata proliferazione di plasmacellule, che si presentano in diversi stadi di maturazione. Esso può essere solitario o multiplo e, in riferimento al tessuto osseo, midollare o extramidollare. Il plasmocitoma è una neoplasia piuttosto infrequente. Pertanto, basandoci su di un numero limitato di casi, sembra che l’incidenza sia maggiore nei maschi di età adulta. Non è, tuttavia, possibile indicare l’esistenza di una predilezione per quanto riguarda la razza e la localizzazione di questo tipo di tumore (Cheli, 1969). Ai segni clinici che comunemente accompagnano i tumori ossei (tumefazione, edema, functio laesa, ecc.) si associano in questo caso anche ipertermia, anoressia e deperimento. In caso di plasmocitoma le indagini di laboratorio assumono un’importanza fondamentale, sia relativamente alla diagnosi che alla prognosi. Le alterazioni di maggiore riscontro sono rappresentate da: anemia (alla quale si associa, talvolta, leucemia), leucocitosi, iperglobulinemia e ipoalbuminemia. Anche l’aspetto radiografico del plasmocitoma è “tipico”. Esso è caratterizzato dalla presenza di tanti, piccoli foci radiotrasparenti, rotondeggianti e a limiti netti, detti “a stampo” o “a macchia di leopardo”. 27 La corticale appare assottigliata, erosa negli stadi più avanzati. Sono, talvolta, presenti fratture patologiche. Da un punto di vista anatomo-patologico, il tessuto neoplastico appare disseminato da aree di lisi contenenti un materiale di colore brunorossastro. La prognosi conseguente a una diagnosi di plasmocitoma è decisamente infausta (Cheli, 1969). 28 Tumori ossei secondari Pur non rappresentando un frequente riscontro, il tessuto osseo può essere interessato da lesioni di tipo secondario, che si stabiliscono per contiguità o sottoforma di metastasi. Nel primo caso, l’osso viene coinvolto per estensione di una neoplasia originatasi dai tessuti molli peri- e paraostali (sinoviosarcomi, fibrosarcomi, emangiosarcomi, emangiopericitomi, carcinomi, ecc.). Nel secondo caso, la localizzazione ossea può aversi a partire da carcinomi (in particolare, quelli mammari) o, molto più raramente, da sarcomi, come lo stesso osteosarcoma. Talvolta, è possibile riscontrare le cosiddette “skip-metastates” o “metastasi a salto”, le quali si manifestano a carico dello stesso segmento osseo colpito dal tumore primario, ma non si mostrano in continuità con quest’ultimo. Le cellule tumorali, in questo caso, non utilizzano la via ematica per diffondere, bensì i sinusoidi midollari (Papparella, 2007). Anche nel caso dei tumori ossei secondari le modificazioni della regione coinvolta potranno avere carattere litico, produttivo o misto. 29 Etiopatogenesi dei tumori ossei Come per molti altri tipi di tumori, le cause responsabili dell’insorgenza delle neoplasie ossee sono tuttora ignote o identificate come possibili fattori predisponenti. La prima potrebbe essere rappresentata da una particolare evoluzione delle fratture e, soprattutto, da processi di mancata o ritardata unione dei monconi ossei. Inoltre, tutte le patologie e le modificazioni delle strutture ossee, i traumi ripetuti, e, in particolar modo, quelli che si rendono responsabili di alterazioni dell’accrescimento, potrebbero rappresentare dei fattori predisponenti per la comparsa di tumori ossei. A questi vanno aggiunti processi di natura cronica e, in particolar modo, le osteomieliti (LaRue, Withrow, 1989; Egenvall et al., 2007). Nel cane è stata dimostrata la comparsa di sarcomi del tessuto osseo come conseguenza di infarti ossei. Questi ultimi pare si verifichino più di frequente in soggetti di taglia piccola (Theilen e Madewell, 1987; LaRue, Withrow, 1989). Un’altra possibile causa è rappresentata dai corpi estranei. Tra questi, soprattutto, gli impianti metallici utilizzati per l’osteosintesi interna di fratture, non rimossi immediatamente dopo la guarigione. Numerose sono le ipotesi circa gli effetti cancerogeni “propri” di questi ausili terapeutici: la risposta immunitaria dell’organismo nei confronti dell'impianto; 30 l’eventuale tossicità dei materiali utilizzati (nickel, cobalto, cadmio); le alterazioni di tipo elettrostatico causate dalle loro superfici e gli effetti sui potenziali cellulari contigui (Van Bree et al, 1980). I sarcomi causati da impianti metallici interessano più frequentemente la diafisi delle ossa lunghe, sebbene, di norma, quest’ ultima venga colpita da tumori primari in meno dell’1% dei casi; sono, infatti, le regioni epifisarie a essere più frequentemente interessate. E’, quindi, evidente come questa condizione sia legata a un processo infiammatorio cronico causato dalla presenza dell’impianto stesso. La comparsa della neoplasia si verifica, generalmente, dopo un periodo di tempo compreso tra i 6 mesi e gli 11 anni dall’applicazione dell’impianto (Theilen e Madewell, 1987). Come visto, i tumori ossei si manifestano più di frequente nei maschi rispetto alle femmine; questo può far pensare a una predisposizione del sesso maschile verso lo sviluppo della patologia (Luppi et al., 2000; Theilen e Madewell, 1987; Papparella, 2007; LaRue, Withrow, 1989; Heyman et al., 1992). Soltanto uno dei lavori da noi consultati contraddice quest’affermazione e, in particolare, afferma che il sesso sembra non rappresentare un fattore di rischio per la comparsa di tumori ossei (Rosemberger et al., 2007). Gli interventi di sterilizzazione/castrazione pare, invece, predispongano alla comparsa di questo tipo patologie. Infatti, le modificazioni ormonali che ne 31 derivano vanno a influire sul metabolismo basale, oltre che sulla regolazione dell’appetito; a questo può conseguire un aumento di peso, il quale rappresenta un rischio per lo sviluppo di neoplasie ossee (Egenvall et al., 2007). Un’altra possibile causa di tumori ossei è rappresentata dalle radiazioni ionizzanti. Da queste può dipendere la comparsa di osteosarcomi, condrosarcomi, fibrosarcomi ed emangiosarcomi. Queste neoplasie possono, ad esempio, manifestarsi in seguito a un trattamento radioterapico contro il cancro con alte dosi di raggi o in seguito alla somministrazione di radioisotopi nell’ambito di una terapia di tipo farmacologico. La comparsa di uno di questi tumori, generalmente, si verifica dopo un periodo piuttosto lungo, che risulta essere inversamente proporzionale alla quantità di raggi assorbita. E’, inoltre, dimostrato che i soggetti più giovani sono più sensibili a questo tipo di radiazioni (Theilen e Madewell, 1987). Così come per l'uomo, si è visto che anche nei piccoli animali, in particolare nel cane, è possibile che mutazioni genetiche possano determinare la comparsa di osteosarcomi. In particolare, la sovraespressione cellulare del gene MDM2, che sembra vada a legare la proteina p53, la quale è, normalmente, responsabile del controllo dell'integrità del DNA cellulare durante la divisione, causa un blocco nell'attività di apoptosi. Inoltre, lo studio delle caratteristiche genetiche di 32 alcuni soggetti colpiti da tumore osseo ha dimostrato l’esistenza di specifici geni capaci di influenzare significativamente la comparsa della patologia; questo dimostra l’esistenza di una certa ereditarietà relativa alla comparsa dei tumori ossei (Theilen e Madewell, 1987). Infine, è facilmente comprensibile come un gran numero di neoplasie ossee si localizzi nelle regioni ad attività mitotica più elevata, quindi, a livello delle aree di maggiore accrescimento osseo, corrispondenti ai dischi epifisari (radio distale e omero prossimale). In particolare, nelle razze di taglia gigante risultano essere frequenti le neoplasie a carico della porzione distale del radio, causate proprio dall'eccessivo peso che va a gravare sugli arti anteriori (Luppi et al., 2000; Kramer et al., 2003). 33 Segni clinici dei tumori ossei Di tutte le neoplasie ossee il 75-82 % interessa lo scheletro appendicolare, il 18-25% quello assiale (Heyman et al., 1992; Goldschmidt, Thrall, 2007; LaRue, Withrow, 1989). Nel cane sono coinvolti più frequentemente gli arti anteriori (47%), rispetto ai posteriori (29%), seguiti dal cranio (11%) e, infine, da altre sedi, quali vertebre, coste, bacino, ecc. (13%) (Wolke, Nielsen, 1966; Theilen e Madewell, 1987). L'osteosarcoma colpisce nel 72,8% segmenti ossei quali omero, radio, ulna, femore e tibia (Thompson e Fugent, 1992). In particolare, ad essere maggiormente interessate sono l’epifisi prossimale dell’omero e quella distale del radio (rispettivamente, nel 19,1-29,4% e 22,6-32,9% dei casi). I restanti segmenti ossei sono coinvolti in misura minore: epifisi distale del femore (8,3-15,3%); porzione prossimale (3,3-9,9%) e distale della tibia (7,4-13,9 %); epifisi distale dell’omero (0,3-4,9%); tratto distale dell’ulna (2,2-2,5%); scapola (0,96-1,9%) (Spodnick et al., 1992; LaRue, Withrow, 1989; Wolke and Nielsen, 1966; Britt et l., 2007) (Fig. 3). La localizzazione dei tumori ossei sembra variare in relazione all’età del soggetto. Ad esempio, una neoplasia a carico delle costole colpisce più frequentemente cani più giovani rispetto alla media (4,5 anni), mentre tumori del cranio e delle cavità nasali sembrano presentarsi più spesso in animali più vecchi (Heyman et al., 1992; Owen, 1969; Hardy et al., 1967; 34 Patnaik et al., 1984). Fig. 3 Sedi di più frequente localizzazione di neoplasie ossee. Da un punto di vista clinico, le neoplasie ossee avranno caratteristiche differenti in base al livello di aggressività e, soprattutto, alla loro localizzazione. Uno dei sintomi più comuni è il Figura 4 – Aspetto clinico di osteosarcoma del radio distale: marcata tumefazione dei tessuti molli (freccia). 35 dolore molto intenso che si manifesta in seguito alla comparsa di microfratture e/o al coinvolgimento della corticale ossea e del periostio. Al dolore consegue la comparsa di una zoppia, inizialmente lieve e intermittente, ma che, man mano, va sempre più aggravandosi. Spesso la zoppia si manifesta in seguito a un episodio traumatico non grave. Frequentemente, la lesione è caratterizzata da un coinvolgimento dei tessuti molli che circondano l'area neoplastica, con congestione, fibroplasia ed edema, dovuto alla compressione esercitata dalla neoformazione sui vasi venosi o linfatici (Fig. 4) (LaRue, Withrow, 1989). Possono, ancora, essere presenti atrofia muscolare, fratture patologiche (soprattutto in caso di tumori osteolitici caratterizzati da una rapida evoluzione) e, più raramente, linfoadenopatia. Fig. 5 - Fibrosarcoma. Scansione TC, pre e postcontrasto, portata a livello di S2: è evidente un’estesa lisi del sacro (frecce); il retto (punte di freccia) risulta spostato a destra e schiacciato sul pavimento del canale pelvico. 36 Altri sintomi sono correlati al distretto anatomico coinvolto: ad esempio, in una neoplasia del bacino, oltre a una deformazione della parte, si potranno avere costipazione, tenesmo e produzione di feci nastriformi (Fig. 5); o, ancora, un tumore a carico della mandibola o del mascellare determinerà difficoltà masticatoria e, nei casi più gravi, mancata funzione o anchilosi temporo-mandibolare (Luppi et al., 2000) (Fig. 6). Fig. 6 – Neoplasia dell’osso zigomatico sn secondaria a carcinoma della gh. salivare mascellare: estesa lisi e reazione periostale (freccia); il processo coronoideo mandibolare è intrappolato dalla reazione periostale con conseguente anchilosi temporo-mandibolare. 37 Diagnosi dei tumori ossei La diagnosi di tumore osseo si basa sull’anamnesi, sui segni clinici rilevabili, sulle indagini di laboratorio e, soprattutto, sulle tecniche di Diagnostica per Immagini e sugli esami cito-istopatologici. Delle tecniche di Diagnostica per Immagini parleremo in maniera più approfondita in un prossimo capitolo. Per quanto riguarda le indagini di laboratorio, si può, innanzitutto, valutare l’attività sierica della fosfatasi alcalina, i cui livelli potranno risultare compresi nell’intervallo di riferimento, oppure, essere aumentati. Nell’ambito della fosfatasi alcalina totale (Total Alcaline Phosphatase TALP) è possibile quantificare l’isoenzima specifico del tessuto osseo: Bone Alcaline Phosphatase (BALP). La fosfatasi alcalina rappresenta un buon indicatore di quella che è la differenziazione osteogenica delle cellule, di conseguenza, nel caso di un osteosarcoma ben differenziato (osteoblastico) si avrà una produzione di ALP minore rispetto a un osteosarcoma poco differenziato. La valutazione dell’attività sierica della fosfatasi alcalina assume una certa importanza anche da un punto di vista prognostico. In particolare, valori di TALP superiori ai 110 U/L sono, generalmente, indice di un tempo di sopravvivenza molto limitato; la stessa prognosi sarà riferita a soggetti nei quali in seguito a un intervento chirurgico non si realizza una netta 38 diminuzione dei valori di fosfatasi alcalina. Sembra, inoltre, che in soggetti con valori di ALP elevati la chemioterapia non sia efficace (Britt et al., 2007; Luppi et al., 2000). Gli esami ematologici potranno, ancora, mettere in evidenza la presenza di anemia, leucocitosi, iperglobulinemia e ipoalbuminemia (Cheli, 1969). Nei soggetti affetti da tumore osseo è stata osservata una riduzione della capacità di legare il ferro ematico e, allo stesso modo, una diminuzione dei livelli sierici di zinco e cromo. Si verifica, inoltre, una riduzione della sintesi proteica e un aumento della perdita di azoto con le urine (Kramer M. T. et al., 2003). La diagnosi di certezza e la tipizzazione del tumore è ottenuta utilizzando indagini di tipo citologico e istologico. Nel primo caso, il materiale ottenuto mediante ago-aspirato (Fig. 7), ad esempio, da un osteosarcoma mostrerà la presenza di cellule tondeggianti o fusate, singole o a piccoli gruppi, con i caratteri tipici degli elementi neoplastici, come anisocariosi, anisocitosi, cariomegalia, eccentricità del nucleo, nucleoli ben evidenti, basofilia, presenza di vacuoli nel citoplasma e di una fine granulazione rosata. La matrice che accompagna un tumore osseo può presentare caratteristiche differenti, in neoplasie di tipo diverso, ma anche nell’ambito dello stesso tipo di alterazione (LaRue, Withrow, 1989). 39 E’ stato dimostrato che su di un totale di 27 prelievi effettuati mediante ago-aspirazione, nel 70 % dei casi è stato possibile distinguere una lesione di tipo maligno da una benigna (Britt et el., 2007). Tuttavia, non sempre il materiale raccolto mediante ago-aspirazione permette di giungere ad una diagnosi definitiva. La biopsia, invece, è in grado di fornire la diagnosi di certezza (LaRue, Withrow, 1989; Dernell et al, 2001 e 2007). Per i tumori che interessano gli arti il materiale bioptico può essere ottenuto con tecnica la incisionale. Nel caso di lesioni a carico del bacino o delle vertebre, invece, si preferisce intervenire sotto guida TC, in quanto una biopsia incisionale risulterebbe essere troppo invasiva. Il principale vantaggio dell’esame bioptico è che permette di avere una maggiori quantità di materiale da esaminare rispetto all’esame citologico. Tuttavia, anche nel caso della biopsia, il materiale potrebbe risultare non Fig. 7 - Ago-aspirazione TC guidata mediante ago-spinale (osteosarcoma di C3). diagnostico se il prelievo è eseguito alla “cieca”, senza l’uso, ad esempio, Il materiale necessario all’esame istologico è ottenuto utilizzando un ago Jamshidi (Fig. 8) e deve essere prelevato al centro della lesione, dove c’è osteolisi, questo, soprattutto, perché il tessuto posto più ai margini della lesione è fortemente reattivo, quindi, non specifico. È necessario effettuare almeno due prelievi: uno riguardante esclusivamente il centro della lesione e l’altro che interessi anche la periferia. Quando la lesione ha carattere estremamente litico, al fine di ottenere un campione di dimensioni 40 sufficienti, è necessario effettuare il prelievo bioptico nella porzione più periferica della neoplasia. È di fondamentale importanza eseguire la biopsia in condizioni di assoluta sterilità; è, allo stesso modo, essenziale intervenire secondo una metodica corretta al fine di evitare l’insorgenza di complicazioni che potrebbero, ad esempio, impedire una chirurgia conservativa che inizialmente era stata considerata. Inoltre, il prelievo di un campione bioptico aumenta i rischi d’insorgenza di fratture patologiche. Anche se ciò si verifica raramente, qualora in corso di osteosarcoma i linfonodi siano aumentati di volume e ci sia sospetto di un loro interessamento da parte di lesioni metastatiche è possibile eseguire anche a carico di questi ultimi un prelievo mediante ago-aspirazione. (LaRue,1989) 989) Withrow, 1989). Fig. 8 – Biopsia TC-guidata mediante ago Jamshidi (mieloma T2). 41 Stadiazione dei tumori ossei Da un punto di vista istologico, tutte le neoplasie ossee si caratterizzano per la perdita della normale architettura tissutale, la tendenza alla proliferazione ossea, sia a livello endostale che periostale, e la deposizione di sostanza osteoide. Caratteri più specifici riguarderanno, poi, le singole tipologie di neoplasie ossee. Al fine di ottenere maggiori indicazioni circa la prognosi e l’eventuale trattamento terapeutico cui sottoporre il paziente, è possibile eseguire il grading istologico e la stadiazione della neoplasia. Il grading viene effettuato mediante la valutazione delle caratteristiche cellulari (grado di differenziazione, indice mitotico, presenza di necrosi, numero di nucleoli, ecc. ) di un campione cito-istologico. Al grading è possibile affiancare lo staging (stadiazione) del tumore. Esistono due differenti sistemi per la stadiazione dei tumori ossei: quello proposto dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) e quello del Surgical Staging System (SSS). Quest’ultimo, è stato messo a punto nell’uomo ed è utilizzato nel processo decisionale sul tipo di trattamento, conservativo o chirurgico, più adatto. Nel sistema proposto dallo WHO si prendono in considerazione caratteristiche locali (T), regionali (N) e metastatiche (M). I valori possono variare per: 42 -T: da 0 (per le lesioni in situ) a 4 (per quelle molto estese); -N: da 0 (quando è assente il coinvolgimento linfonodale) a 3; -M: 0 (in assenza di metastasi), 1 (quando le metastasi coinvolgono un unico apparato), 2 (quando vengono coinvolti più organi di diversi apparati). In base a questi criteri, le neoplasie ossee vengono distinte, in lesioni a basso grado di malignità istologica (stadio I) e lesioni ad alto grado (stadio II). Lo stadio III è, invece, quello riservato a pazienti in cui è già stata riscontrata la presenza di lesioni metastatiche.(Withrow, MacEwen, 2001; Meuten, 2002). Il sistema di stadiazione proposto dal SSS (Fig. 9), specifico per l’apparato muscolo scheletrico, comprende due diversi tipi di classificazione: una riservata alle neoplasie di tipo benigno e l’altra a quelle maligne. Per ciascuna vengono valutati: - il grado di malignità istologica (G); - il grado di diffusione della neoplasia (T); - la presenza di metastasi (M). Per i tumori di tipo benigno il valore G, ovviamente, sarà sempre uguale a 0. Vengono considerati, poi, 3 diversi stadi: 43 1) Latente: in cui la neoplasia è ben delimitata, poiché circoscritta da una capsula e il decorso clinico è silente (T e M=0); 2) Attivo: con accrescimento progressivo, che può dar luogo alla comparsa di segni clinici; la neoformazione è delimitata da strutture anatomiche che possono, tuttavia, risultare deformate dall’azione compressiva esercitata dalla stessa (T e M=0); 3) Aggressivo: il tumore non è delimitato da barriere anatomiche e, tantomeno, da una capsula propria, per cui, può coinvolgere la corticale dell’osso (T=1-2; M=0-1). Anche i tumori maligni vengono classificati utilizzando 3 diversi stadi. Il primo riguarda le neoplasie che da un punto di vista istologico presentano un basso grado di malignità (G=1) e per le quali si descrive soltanto una tendenza alla recidiva locale (M=0). Il secondo stadio comprende i tumori caratterizzati, da un punto di vista istologico, da un alto grado di malignità (G=2). Esse sono solitamente accompagnate da un elevata incidenza di metastasi. Nel terzo stadio la neoplasia può essere di basso o alto grado di malignità (G=1-2) ed è sempre caratterizzata dalla presenza di metastasi di tipo regionale o meno (M=1). In tutti e tre i casi la neoplasia viene, ancora, classificata come: - intraossea o intracompartimentale (stadio A), ben circoscritta e non 44 infiltrante (T=1); - extraossea o extracompartimentale (stadio B), coinvolgente, invece, anche la corticale (T=2). (Netter, 1990). 45 Fig. 9 - Rappresentazione schematica della stadiazione dei tumori ossei secondo il sistema GTM (modificato da Netter, 1987). 46 Fig. 10 - Proiezione latero-laterale del torace di un cane affetto da osteosarcoma: massiva presenza di metastasi polmonari. 47 Terapia dei tumori ossei La terapia dei tumori ossei può essere diretta sia ad ottenere la risoluzione definitiva, mediante ablazione locale e controllo delle metastasi, sia alla riduzione delle dimensioni e del dolore, mediante rimedi di tipo palliativo. Gli strumenti per approntare le terapie sono vari e vanno dalla chirurgia, demolitiva e protesica, alla chemioterapia, alla radioterapia o, semplicemente, alla somministrazione di antinfiammatori e analgesici. L’approccio chirurgico può essere demolitivo (amputazione) o conservativo (varie tecniche protesiche). E’ di fondamentale importanza effettuare una rimozione en bloc del tumore, sebbene questa comporti l’asportazione di strutture neurovascolari fondamentali per la funzionalità e la vitalità dell’arto. L’amputazione consente di ottenere un ottimo controllo locale della patologia, ma circa il 90% dei soggetti colpiti sviluppa metastasi (soprattutto ai polmoni) nell’anno successivo all’intervento chirurgico (LaRue, Withrow, 1989). Per questo motivo, la terapia chirurgica deve essere sempre abbinata a farmaci chemioterapici, la cui somministrazione deve cominciare nell’immediato post-operatorio, cioè quando le eventuali micrometastasi aumentano il loro tasso proliferativo e sono, allo stesso tempo, maggiormente chemiosensibili. L’impiego combinato dell’amputazione e della chemioterapia sembra raddoppiare i tempi di sopravvivenza rispetto alla sola amputazione (Thompson e Fugent, 48 1992; Dernell et al., 2001). Esistono diversi principi attivi utilizzati per i trattamenti chemioterapici, da soli o in varie combinazioni. I più utilizzati sono il cisplatino, la doxorubicina, l’ifosfamide e il mitoxantrone (Coomer et al., 2009; Thompson et al., 1992; LaRue, Withrow, 1989). Una delle principali cause di recidiva è la non completa rimozione chirurgica: spesso, al momento della diagnosi, il tumore osseo è già accompagnato da metastasi occulte, non visibili, per cui ne viene fatta una stadiazione sottostimata. Di conseguenza, la presenza delle metastasi limita i benefici del trattamento e, soprattutto, riduce i tempi di sopravvivenza previsti. In particolare, è stato dimostrato che soltanto in meno del 5-15% dei casi è possibile, al momento della diagnosi, rilevare la presenza di metastasi (LaRue, Withrow, 1989; Chun et al., 2005; Heyman et al., 1992; Egenvall et al., 2007). La capacità di produrre metastasi da parte della neoplasia ossea sembra, inoltre, sia strettamente connessa alla sua localizzazione. In particolare, un tumore a carico delle ossa mascellare e mandibolare, presumibilmente, sviluppa metastasi più tardi rispetto agli altri (Heyman et al., 1992; Gamblin et al., 1995). Un’alternativa al trattamento chirurgico e alla chemioterapia è l’utilizzo locale, intratumorale di un sale di platino in olio di sesamo, che, ovviamente, non offre le stesse garanzie in riferimento alla sopravvivenza 49 del paziente. Quando, tuttavia, per evitare complicazioni di natura ortopedica e/o neurologica, si preferisce non sottoporre il soggetto alla terapia chirurgica, è possibile optare per la radioterapia, in associazione al trattamento chemioterapico. In particolare, mentre quest’ultimo viene impiegato nella prevenzione o nel trattamento di lesioni metastatiche, la radioterapia può risultare utile nel controllo locale della patologia. Il suo impiego, infatti, può ridurre l’infiammazione, quindi, i sintomi, rallentare il processo di diffusione metastatica e, talvolta, far sì che l’animale torni a utilizzare l’arto colpito. La radioterapia può essere eseguita attraverso un’applicazione dei raggi “esterna” alla regione interessata o per mezzo dell’impiego di radiofarmaci. Il numero dei trattamenti varia da un minimo di 2 a un massimo di 4, a distanza di circa 7 giorni l’uno dall’altro. Alla radioterapia si associano, tuttavia, numerosi effetti collaterali come la comparsa di alopecia, iperpigmentazione, desquamazione, necrosi del tessuto osseo, ecc. (Coomer et al., 2009). Si può, ancora, scegliere un trattamento terapeutico finalizzato alla sola limitazione del dolore. A tal proposito, è importante informare i proprietari circa il possibile aumento del rischio di fratture patologiche causato dalla terapia analgesica, dato che l'animale riprende a caricare l'arto, che in 50 precedenza restava inutilizzato a causa del dolore. I farmaci utilizzatibili sono i difosfonati (alendronato, pamidronato), la doxorubicina a basso dosaggio e gli antidolorifici, come la morfina, il butorfanolo, il tramadolo . Quando si decide di optare per il solo trattamento analgesico i tempi medi di sopravvivenza per il paziente sono, generalmente, compresi tra 1 e 3 mesi. La sola terapia chirurgica dovrebbe, invece, garantire un’aspettativa di vita compresa tra i 103 e i 175 giorni. Quando a quest’ultimo si affianca il trattamento chemioterapico questi tempi aumentano significativamente, fino a raddoppiare e raggiungere i 366 giorni (Coomer et al., 2009; LaRue, Withrow, 1989; Egenvall et al., 2007) (Fig. 11). Tuttavia, il 90% dei soggetti colpiti da osteosarcoma non viene sottoposto al trattamento chemioterapico e massimo a un anno di distanza dall’amputazione sviluppa metastasi, che colpiscono, più frequentemente, i polmoni (LaRue, Withrow, 1989) (Fig. 10). 51 Fig. 11 – Grafico della percentuale di sopravvivenza su 2 gruppi di cani trattati con la sola amputazione o con l’amputazione associata a chemioterapia con cisplatino. La differenza è statisticamente significativa.(modificato da Dernell et al., 2001). Sono stati, inoltre, riportati in letteratura casi relativi alla regressione spontanea di neoplasie del tessuto osseo, testimoniata da controlli radiografici effettuati a distanza di 9 mesi/2 anni dalla diagnosi. Questo dato, tuttavia, non è mai stato confermato istologicamente (Mehl et al., 2001). 52 RUOLO DELLA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NEI TUMORI OSSEI Le tecniche di Diagnostica per Immagini rappresentano un ausilio essenziale per la diagnosi dei tumori ossei, per una corretta stadiazione e per il controllo della risposta alla terapia. La tecnica di primo livello è la Radiografia. Il contrasto fornito dal tessuto osseo è, di solito, sufficiente per fornire le informazioni necessarie per esprimere una diagnosi di sospetto. L’indagine radiografica deve comprendere almeno due proiezioni della regione colpita. L’esecuzione di un esame radiografico del torace consente, inoltre, di stadiare la lesione. Quest’ultimo deve essere effettuato in fase di inspirazione e deve comprendere le due proiezioni laterali, ciascuna per ogni lato, eventualmente associata ad una proiezione sagittale (ventrodorsale o dorso-ventrale). La presenza di metastasi polmonari è diagnosticabile soltanto se le lesioni raggiungono almeno i 6-8 mm di diametro. I noduli sono solitamente localizzati nelle regioni più periferiche dei polmoni e, più frequentemente, riuniti a formare piccoli gruppi (clusters). E’ importante effettuare dei controlli del torace anche dopo aver sottoposto il paziente a un trattamento chirurgico; in particolare, l’esame radiografico 53 del torace dovrebbe essere eseguito all’incirca ogni 3 mesi (LaRue, Withrow, 1989). In alcuni casi, può essere necessario ricorrere a indagini di secondo livello, quali la Tomografia Computerizzata (TC), la Risonanza Magnetica (RM) e la Medicina Nucleare (MN) in particolare la scintigrafia. Informazioni aggiuntive, soprattutto a livello dell’interfaccia osso/tessuti molli possono, essere fornite dall’Ecografia. Le tecniche di Diagnostica per Immagini, oltre che per definire la presenza di un tumore del tessuto osseo, risultano fondamentali anche per verificare l’estensione della patologia. A tal proposito, è possibile affermare che l’esclusivo impiego dell’indagine radiografica è, certamente, insufficiente per una corretta valutazione della neoplasia; in particolar modo, la radiografia sembra vada a sottostimare l’estensione della modificazione ossea (Wallack et al., 2002; Lamb et al., 1990; Davis et al., 2002; Park et al., 1992; Hanlon, 1982). Un maggior grado di precisione è fornito dalla Tc (Davis et al., 2002;Park et al., 1992). La RM garantisce un minor grado di precisione, ma, allo stesso tempo, non dà un’immagine falsata circa la reale estensione della patologia (Davis et al., 2002; Lipsitz et al., 2000). La scintigrafia, pur essendo un esame molto sensibile, è poco specifico, poiché non in grado di differenziare focolai infiammatori e, comunque, di aumentata attività metabolica, da lesioni ossee primarie o metastasi a carico 54 dei tessuti molli (Berg et al., 1990). Questo tipo di esame può, tuttavia, risultare utile nella valutazione di pazienti sottoposti a trattamento chemioterapico, in quanto questi risultano maggiormente predisposti allo sviluppo di metastasi a carico del tessuto osseo rispetto a soggetti sottoposti a escissione chirurgica (Lamb et al., 1990). 55 CARATTERI RADIOGRAFICI DEI TUMORI OSSEI I tumori ossei, pur presentando, in linea generale, un aspetto radiografico piuttosto variabile, sono, comunque, sempre caratterizzati da importanti modificazioni strutturali, le quali possono assumere caratteri prevalentemente litici, di proliferazione o di tipo misto (Fig. 12). Fig. 12 - Osteosarcomi con aspetti radiografici diversi. A. Osteosarcoma a carattere prevalentemente addensante dell’estremità distale del radio (asterisco); ampio rimaneggiamento strutturale con marcata reazione produttiva periostale (punte di freccia) ed infiltrazione dei tessuti molli e dell’ulna. B. Osteosarcoma a carattere prevalentemente litico dell’epifisi distale del femore sinistro (asterisco) con assottigliamento e interruzione della corticale, associata a tumefazione dei tessuti molli circostanti (frecce). (Modificato da Brunetti-Bertoni-Pozzi, 2005). 56 Radiograficamente, in corso di tumori ossei, bisogna valutare: ¨ I margini della lesione ¨ L’aspetto della corticale ¨ La presenza di lisi Le prime alterazioni osservabili riguardano l'assottigliamento della corticale, poi, la comparsa di soluzioni di continuo a carico della stessa. A questa condizione si associano, gradualmente, una marcata reazione periostale e tumefazione dei tessuti molli, a livello dei quali, talvolta, possono riscontrarsi aree di calcificazione. La valutazione dei margini della lesione, ovvero la “zona di transizione”, tra la neoplasia e la porzione ossea non colpita dalla patologia, può fornire dati circa il grado di aggressività: se breve e netta è, di solito, indice di benignità; se lunga e a limiti indefiniti, è indicativa di malignità (LaRue, Withrow, 1989). Le modificazioni a carattere osteolitico vengono classificate in base al loro aspetto tipico in: - a carta geografica, a limiti netti, che ben si distinguono dal restante tessuto osseo non colpito. E’ caratterizzata da una singola, larga e ben definita area, o come aree larghe a volte confluenti. Questa lesione pare sia dovuta a patologie benigne o poco aggressive quali, cisti ossee, 57 encondromi. - tarlate, così dette per la presenza di piccoli focolai di lisi, variamente confluenti, così da rendere i confini tra la neoformazione e la parte di tessuto integra più sfumati; tali alterazioni sono tipiche, in genere, di lesioni più aggressive. Solitamente è coinvolta la corticale per cui queste lesioni possono esitare in fratture patologiche. - infiltranti, nelle quali, di solito, non è semplice differenziare la porzione colpita da quella sana e che caratterizzano le neoplasie fortemente aggressive, come gli osteosarcomi. - mista, non ben definita, con contemporanea presenza di tutti i tipi descritti precedentemente. Caratteristica anche questa di aggressività del processo patologico. Le modificazioni di tipo osteoproliferativo sono rappresentate dalla osteosclerosi e dalle reazioni periostali. Il periostio potrà presentare modificazioni particolari, via via più aggressive, identificabili come reazioni liscie continue “a foglie di cipolla”, interrotte “a spazzola” o “ a palizzata”, oppure, interrotte “a spicule” o “coralliforme”. 58 Fig. 13 - Osteosarcoma del femore distale a carattere prevalentemente addensante (stella), caratterizzata da una zona di transizione lunga e sfumata (freccia doppia); distacco periostale (triangolo di Codman) (punta di freccia) con marcata reazione periostale di tipo “coralliforme” (frecce) sul versante caudale (forze di compressione) e “a foglie di cipolla” (arco) su quello craniale (forze di trazione). 59 Fig. 14 - Osteosarcoma del radio, caratterizzato da osteolisi “ a tarlatura” (stella), reazione periostale “a spicule” (punta di freccia) e tumefazione dei tessuti molli circostanti (frecce). 60 Fig. 15 - Osteosarcoma dell’epifisi distale del radio, caratterizzata da un’ampia area di lisi “a carta geografica” (stella) e da una zona di transizione breve e netta (freccia). 61 Fig. 16 - Osteosarcoma dell’olecrano destro caratterizzata da grave lisi e da una vasta reazione periostale “a scoppio di granata” (stella) e “a palizzata” (arco); è presente un significativo coinvolgimento dei tessuti molli circostanti (frecce). Caratteristica delle neoplasie ossee, sebbene non patognomonica, è una formazione nota come “triangolo di Codman”, ovvero, la produzione, appunto, di una triangolo di tessuto osseo neoformato, posto al di sotto del periostio che viene progressivamente scollato dal fronte neoplastico. Il triangolo di Codman è, di solito, associato a lesioni maligne, fortemente 62 aggressive. Questa caratteristica formazione può, tuttavia, non essere presente al momento della diagnosi, poiché già demolita dalla rapida e tumultuosa espansione del tumore (LaRue e Withrow, 1989). Il quadro radiografico può essere complicato dalla presenza di fratture patologiche. Un carattere radiografico comune ai tumori ossei primari è la tendenza ad essere monostotici e a non interessare le strutture articolari. La presenza di lesioni che interessino i capi articolari può indirizzare verso una neoplasia sinoviale (sarcoma sinoviale) o, comunque, verso una neoplasia originatasi dai tessuti molli e che successivamente ha coinvolto l’osso. Tuttavia, i tumori ossei primari, quando notevolmente aggressivi ed estesi, possono coinvolgere per contiguità segmenti ossei adiacenti: inizialmente, tale coinvolgimento determina soltanto processi di tipo infiammatorio che si manifestano con una reazione periostale; successivamente, può aversi la diffusione del processo neoplastico (LaRue, Withrow, 1989). L’esame radiografico, in alcuni casi, può fornire indicazioni circa la natura del tumore sulla base, ad esempio della localizzazione che, nel caso di alcune neoplasie ossee, tende ad essere caratteristica: ad esempio, il condrosarcoma interessa più frequentemente le coste, la scapola, il bacino e produce una rarefazione del tessuto osseo attraverso la formazione di una lesione di forma piuttosto ovalare, a margini irregolari, a cui, talvolta, si 63 associa un margine di sclerosi corticale; il mieloma che è, ovviamente, di origine midollare si localizza, di solito, a livello di ossa piatte e corte, le quali presenteranno aspetto “tarlato”, che andrà, via via, aumentando nel tempo causando la formazione di estese aree di lisi tissutale (Kramer e al., 2003). 64 Parte sperimentale 65 INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE Come abbiamo detto nell’Introduzione generale e ribadito nel capitolo dedicato alla clinica dei tumori ossei, essi rappresentano un’evenienza clinica non infrequente nella specie canina. La maggior parte degli studi presenti in letteratura veterinaria riguardano l’osteosarcoma. La prevalenza riportata dell’osteosarcoma varia dallo 0,73% allo 0,94% (Berg et al., 1990; Feeney et al., 1982; Wykes et al., 1985; Lamb et al., 1990; Stevenson et al., 1982). Negli ultimi tempi l’importanza delle malattie neoplastiche nei piccoli animali è andata crescendo. I motivi di tale incremento possono essere ricercati nella maggiore sensibilità dei proprietari, che si manifesta con un’aumentata propensione al ricorso a cure di tipo specialistico ed indagini diagnostiche avanzate, nella maggiore durata della vita dei piccoli animali di affezione e, infine, nella maggiore presenza nell’ambiente di sostanze oncogene. Inoltre, non va trascurato il ruolo che le patologie neoplastiche animali possono assumere se considerate come modelli per lo studio di analoghe patologie umane. La radiografia è universalmente conosciuta come la tecnica diagnostica di scelta per lo studio dello scheletro. La sua semplicità di esecuzione, la sensibilità e la specificità la rendono il “gold standard” fra le indagini diagnostiche collaterali. Oggi sono, però, disponibili anche altre tecniche 66 quali l’ecografia e la TC la cui importanza non è stata ancora definita nella valutazione delle neoplasie ossee. Come per altre patologie, la diagnosi deve essere confermata da esami istologici di materiale prelevato direttamente dalla lesione. Tuttavia, non è infrequente evidenziare lesioni scheletriche che radiograficamente sono compatibili con neoplasie mentre non risultano tali ad esami cito- o istopatologici. Inoltre, in letteratura le diverse neoplasie scheletriche hanno descrizioni radiografiche a volte tra loro contrastanti. Pertanto, allo scopo di valutare l’importanza delle tecniche di Diagnostica per Immagini nella diagnosi delle neoplasie scheletriche, primarie e secondarie, e dei relativi quadri radiografici, TC ed ecografici è stato condotto uno studio di revisione del database del Centro di Radiologia Veterinaria degli ultimi 10 anni. Allo stesso tempo, in considerazione dell’ampiezza del campione analizzato, è stato effettuato uno studio epidemiologico descrittivo per verificare quale fosse la prevalenza di tali neoplasie nei cani del nostro bacino di utenza, l’area metropolitana di Napoli. 67 MATERIALI E METODI In maniera retrospettiva, è stato analizzato il database del Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli “Federico II”, relativo ai cani riferiti nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2000 e il 31 luglio 2009. Criterio di inclusione era la presenza di una lesione neoplastica scheletrica confermata da studi cito-istologici, dal follow-up, eseguito mediante interviste telefoniche, o dall’aspetto radiografico, ecografico e/o TC associato all’evidenza di lesioni secondarie metastatiche. Non sono stati inclusi i soggetti affetti da lesioni scheletriche “tumor-like” o da lesioni craniche secondarie a turbinatopatie neoplastiche. Di tutti i cani sono stati registrati la razza e, nel caso dei meticci, la taglia, il sesso, l’età, l’esame diagnostico utilizzato e il segmento scheletrico colpito. L’esame radiografico, quando richiesto dal veterinario referente, è stato integrato dallo studio del torace. Se l’esame era condotto su soggetto sveglio, l’esecuzione delle due proiezioni ortogonali era condizionato dal dolore, per cui in molti casi lo studio radiografico si limitava alla proiezione che richiedeva il posizionamento meno disagevole per il paziente. Se ritenuto utile, l’esame RX era associato all’ecografia e/o alla TC. Inoltre, questi ultimi sono stati utilizzati per l’esecuzione di prelievi assistiti 68 dalla lesione. L’ecografia è stata sempre eseguita con sonda lineare ad alta frequenza (11 MHz). Tutti gli studi TC prevedevano due serie, pre- e postcontrasto iodato e.v. Tutti gli esami radiografici sono stati valutati qualitativamente per la presenza di alterazioni strutturali scheletriche (osteolisi, osteosclerosi, reazione periostale, fratture patologiche, coinvolgimento dei tessuti molli, presenza di metastasi polmonari). Per stimare la prevalenza dei tumori ossei nel nostro bacino di utenza, il numero dei casi raccolti è stato riferito al campione totale di cani pervenuti al Centro di Radiologia nel periodo considerato. Per analizzare la distribuzione dei casi per la razza, sesso ed età è stato utilizzato il test del c2 con limite di significatività di P<0,05. 69 RISULTATI Nel periodo considerato, sono stati riferiti al Centro di Radiologia 10793 cani e da questi, sulla base dei criteri di inclusione, è stato selezionato un campione composto da 112 soggetti (1%). Il campione è risultato composto da 44 femmine (di cui 12 sterilizzate) e 68 maschi (di cui 3 castrati). Sebbene i maschi fossero in numero maggiore rispetto alle femmine (rapporto 1,5:1), tale distribuzione non è risultata significativamente diversa rispetto a quella della popolazione di riferimento (P<0,25). Nemmeno il confronto effettuato considerando lo stato di sterilizzazione o meno era statisticamente diverso da quello della popolazione di riferimento (P<0,9). L’età media dei soggetti del campione era di 8,7 anni (range: 5 mesi - 16 anni) con una prevalenza maggiore nella fascia di età compresa tra 8 e 12 anni (Fig. 17). La distribuzione dei soggetti del campione, suddiviso per classi di età, non mostrava differenze statisticamente significative rispetto alla popolazione di riferimento (P<0,1). 70 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 16 ANNI S1 15 ANNI 14 ANNI 13 ANNI 12 ANNI 11 ANNI 10 ANNI 9 ANNI 8 ANNI 7 ANNI 6 ANNI 5 ANNI 4ANNI 3 ANNI 2 ANNI 1 ANNO 0 Fig. 17 – Distribuzione per età dei soggetti del campione. Le razze risultate più colpite sono state i meticci (36), i Rottweiler (25), i Pastori Tedeschi (11), gli Schnauzer giganti (5), i Boxer (4), i Pittbull (4), gli Alani (3), i Dalmata (3), gli Yorkshire Terrier (3), i Dobermann (2), i Mastini Napoletani (2), i San Bernardo (2) e altre 12 razze con un solo soggetto (Fig. 18). Tuttavia la prevalenza risultava significativamente maggiore rispetto alla popolazione di riferimento solo per i Rottweiler (P<0,0001) (Fig. 18). 71 40 35 30 25 20 15 10 5 S1 PA M ST RO ET O TT IC R W C E E I SC TE ILE H DE R N S AU C O BO ZE PI X R T T ER YO BU R A L K SH D LA L N A M I O L RE M AS TI DO T AT E A N O BE RR SA NA RM IER N PO AN BE LE N R TA BI BA NA NO R C H SS DO O O N T BU T L FR O C L M ISE H O A S E' W T PA FI CH IFF ST LA O O BR CO W RE AS RS SE MA IL O R EI T SE TER EM RO M SE TT IN A TT ER GL NO ER GO ES IR RD E SP LA ON IT ND Z E M SE ED W IO H W T 0 Fig. 18 – Distribuzione per razza dei soggetti del campione. L’esame radiografico è stato completato dalla proiezione ortogonale in 62 soggetti. Nei restanti casi, il dolore impediva di completare l’esame. In 30 soggetti, l’esame dell’arto è stato integrato dalla radiografia del torace, eseguita almeno nelle due proiezioni laterali, eventualmente, associate ad una proiezione sagittale. In 9 soggetti la radiografia del torace evidenziava metastasi (in 2 casi la positività dell’esame si aveva nei controlli a distanza, dopo 1-2 mesi dal primo esame). In 9 pazienti l’esame radiografico è stato integrato dall’ecografia che forniva informazioni aggiuntive sull’interfaccia tessuti molli/periostio e sulla vascolarizzazione perilesionale e, nel caso di 3 soggetti affetti da 72 sinoviosarcoma al ginocchio, oltre che caratterizzare il tessuto coinvolto, veniva utilizzata come guida per la raccolta di materiale mediante agoaspirazione. In 7 casi è stato eseguito un esame TC: in 3 soggetti (1 neoplasia del radio, 1 neoplasia dell’ulna, 1 neoplasia di C3) esso integrava l’esame radiografico; in 4 casi (1 di neoplasia dell’orecchio medio, 1 neoplasia dell’omero sn, 1 neoplasia della scapola e 1 neoplasia del bacino) la TC è stato il solo esame eseguito. In 6/7 casi, oltre al segmento scheletrico interessato, l’esame TC si estendeva anche al torace. Fig. 19 – Esame diretto e dopo introduzione di mdc iodato in una tumefazione mediale del ginocchio dx: il mdc passa nel cavo articolare. Sinoviosarcoma. In un Dobermann di 5 mesi con una tumefazione mediale al ginocchio dx che ecograficamente appariva a contenuto fluido, l’introduzione di mezzo 73 di contrasto iodato si traduceva in un’artrografia perché la cavità della tumefazione era in diretta comunicazione con il cavo articolare. La lesione risultò essere un sinoviosarcoma (Fig. 19). Per quanto riguarda i tipi di tumore riscontrati, il campione è risultato costituito da 90 tumori primari (70 osteosarcomi, 8 fibrosarcomi, 5 condrosarcomi, 4 mielomi, 1 emangiosarcoma, 1 linfoma, 1 osteocondroma) e 22 secondari (11 carcinomi, 6 sinoviosarcomi, 2 emangiopericitoma, 1 epulide carcinomatosa, 1 sarcoma non caratterizzato Fig. 20 – Vari aspetti radiografici dell’osteosarcoma dello scheletro appendicolare. 74 del tarso, 1 neoplasia retroorbitaria non caratterizzata). In 40 soggetti (36%) la diagnosi è stata definita da esami istologici o citologici. In 3 casi (2 osteosarcomi e 1 condrosarcoma), la diagnosi radiografica di neoplasia non veniva inizialmente confermata dagli esami istologici ma essa si rivelava esatta in 2 soggetti al secondo prelievo bioptico e, nel terzo, all’esame istologico eseguito durante l’autopsia. Nei rimanenti soggetti, la diagnosi di neoplasia è stata stabilita sulla base dell’aspetto radiografico, ecografico e/o TC, dell’evoluzione clinica e della presenza di eventuali lesioni secondarie polmonari. Tra i tumori primari ha prevalso l’osteosarcoma (78,7%) seguito dal fibrosarcoma (9%), dal mieloma e dal condrosarcoma (ambedue 4,5%) . Tra i tumori secondari prevalevano i carcinomi (12/22), soprattutto localizzati alle estremità distali degli arti (falangi, metacarpi o metatarsi) (8/12) oppure al cranio, e i sinoviosarcomi, in 5 casi su 6 localizzati al ginocchio. 75 In 19 soggetti (17,1%) la neoplasia era localizzata allo scheletro assiale: in 2 casi la mandibola; in 8 il cranio (orecchio medio, osso zigomatico, ossa Fig. 21 – Vari aspetti di Osteosarcoma localizzato al femore distale. frontali, temporale, mascellare); in 2 casi l’ileo; in 2 casi l’ileo e le vertebre lombari e sacrali; in 5 casi un corpo vertebrale (2 cervicale, 1 toracico, 2 lombari). In 93 soggetti (82,1%) la neoplasia era localizzata allo scheletro appendicolare (Fig. 20). L’arto anteriore era colpito maggiormente rispetto al posteriore: 61 (65,2%) contro 32 (34,8%) e l’omero era il segmento dove 76 più frequentemente affetto (29/93) in particolare nelle porzioni prossimali (23/29). Il femore ed il radio, al contrario, sono risultati più frequentemente colpiti nelle porzioni distali (Fig. 21). La tibia e l’ulna hanno mostrato un comportamento intermedio. In un soggetto, oltre alla lesione primaria, era evidente una “skip lesion” nel segmento subito prossimale (Fig. 26). In un soggetto, la lesione primaria localizzata all’epifisi distale del radio era associata ad una lesione scheletrica secondaria a distanza (tibia distale). 77 Fig. 22 - Aspetti radiografici del condrosarcoma. In A alla scapola e in B al corpo di L7 e all’ala dell’ileo dx (frecce: lisi; punte di frecce: reazione periostale). Radiograficamente, l’osteosarcoma ha presentato quadri estremamente variabili: nella maggior parte dei casi la lesione si caratterizzava esclusivamente per la lisi, in genere associata ad una zona di transizione lunga, e, in 6 casi, a frattura patologica; in molti altri casi, la reazione periostale, sempre di tipo interrotto, era più intensa rispetto alla lisi e presentava aspetti di tipo misto, con una maggiore prevalenza del tipo “a palizzata” e “ a spicule”. 78 Fig. 23 - Osteosarcoma delle ossa frontali. Aspetto ecografico e radiografico. Ecograficamente è possibile distinguere il profilo dell’osso intatto (asterisco) dalla reazione periostale neoplastica (punta di freccia). Radiograficamente è evidente la lisi che interessa tutto lo spessore del frontale (freccia) e la reazione periostale a spicule (punta di freccia). I mielomi hanno mostrato il classico aspetto di lisi “a tarlatura” ma in un soggetto esso veniva visualizzato solo nel corso di un esame TC in quanto i foci di lisi, di piccole dimensioni, non erano apprezzabili all’esame 79 radiografico. I condrosarcomi hanno presentato aspetti variabili (Fig. 22), ma prevalentemente con una zona di lisi centrale a carta geografica e reazione periostale da lieve e a sfoglia di cipolla a intensa e a palizzata o a spicule. In questi ultimi casi, l’aspetto era, per certi versi, non dissimile dall’osteosarcoma. 80 Fig. 24 – Mieloma multiplo. Scansioni TC assiali portate a livello di L7, S1 e S2. Sono evidenti piccoli foci di lisi midollare. Tali lesioni, data la localizzazione e le dimensioni, non erano visibili all’esame radiografico. 81 Nel caso dei fibrosarcomi, i quadri radiografici erano caratterizzati da una prevalente lisi a carta geografica, solitamente periferica, e con scarsa reazione periostale. Tale quadro si confermava anche nei due soggetti studiati con la TC. L’unico caso di tumore osseo benigno, un osteocondroma, era caratterizzato solo da una lieve proliferazione periostale radiale simulante un quadro di osteoperiostite. I tumori secondari presentavano come principale differenza con i tumori primari un interessamento di più segmenti scheletrici contemporaneamente, che non teneva conto della barriera articolare. Nel caso degli emangiopericitomi, le lesioni si caratterizzavano per la presenza di lisi “a carta geografica” di tipo cistico associata a marcato ispessimento dei tessuti molli periferici alla lesione ossea. I sinoviosarcomi presentavano caratteri radiografici variabili e dipendenti dalla cronicità e dalla gravità della lesione: nei casi lievi, i quadri radiografici erano assolutamente sovrapponibili a quelli di un’artropatia secondaria (ad esempio, da rottura del leg. crociato craniale). Tuttavia, l’aggressività della lesione si rendeva, di solito, rapidamente apprezzabile con la comparsa di focolai di lisi e di reazione periostale. Nel caso dei sinoviosarcomi, l’esame ecografico ha fornito informazioni uniche soprattutto sullo stato della membrana sinoviale (Fig. 25). 82 DISCUSSIONE Sulla base del confronto dei risultati da noi ottenuti e delle informazioni ricavabili dalla letteratura da noi consultata in alcuni casi essi concordano mentre, in altri casi, i nostri risultati contrastano con i dati riferiti da altri Autori. Per quanto riguarda il sesso, sebbene nel nostro campione fosse presente una netta prevalenza dei maschi con un rapporto all’incirca doppio rispetto alle femmine, tale differenza non è risultata statisticamente diversa rispetto alla popolazione di riferimento. Nessuno degli studi da noi consultato presenta analisi statistiche relative alla distribuzione tra i due sessi. Inoltre, esistono dati contrastanti perché, se per molti la distribuzione è simile alla nostra (Rosemberger et al., 2007; Egenvall et al., 2007) e viene descritta come significativamente maggiore nei maschi, in altri i campioni sono costituiti in maggioranza da femmine, le quali, talvolta, sono addirittura il doppio rispetto ai maschi (Heyman et. Al., 1992; Feeney et al., 1982; Chun et al., 2005). Anche per quanto riguarda la condizione di sterilizzazione o meno, esistono dati contrastanti: uno studio riferisce che i soggetti sottoposti a sterilizzazione/castrazione sviluppano più frequentemente tumori ossei rispetto a quelli interi perché essi tendono a diventare più pesanti (Rosemberger et al., 2007); in un altro lavoro, al contrario, si riporta un rischio maggiore per i soggetti interi (Dernell, 2007). Nel nostro 83 campione la distribuzione fra soggetti interi e soggetti sterilizzati non è risultata diversa rispetto a quella della popolazione di riferimento. Bisogna considerare che nei paesi anglo-sassoni è una pratica comune sterilizzare i cani da compagnia, sia maschi che femmine. Questa differenza nella Fig. 25 – Sinoviosarcoma ginocchio dx. Radiograficamente si apprezzano piccole zone di lisi a carattere infiltrante (frecce) e obliterazione del cuscinetto infrapatellare. Ecograficamente è possibile distinguere un marcato ispessimento della sinovia (punta di freccia). composizione della popolazione di riferimento potrebbe essere alla base delle diverse conclusioni. È evidente che ulteriori studi sono necessari per stabilire se il sesso abbia un’influenza sulla comparsa dei tumori ossei. Per quanto riguarda l’età, la composizione del nostro campione è sovrapponibile a quella di altri studi. È interessante notare come le neoplasie ossee non siano infrequenti nei soggetti giovani, a volte 84 addirittura al di sotto dell’anno di età. Come per la specie umana, le neoplasie rilevate nei soggetti giovani si caratterizzano solitamente per una notevole aggressività e malignità. Per quanto riguarda le razze, nel nostro campione, in termini assoluti, prevalgono i meticci di media e grande taglia. Tuttavia questo dato dipende dalla composizione generale della popolazione di riferimento. Infatti, nel nostro bacino di utenza, prevalgono in maniera preponderante i meticci rispetto ai soggetti di razza pura. Per questo, se si confronta la distribuzione per razze del campione rispetto alla popolazione considerata, non vi sono differenze statisticamente significative per quanto riguarda i meticci. L’unica razza che risulta sovrarappresentata nel nostro campione è il Rottweiler. Altre razze riportate come maggiormente a rischio per la comparsa di OSA sono il Levriero, assente nella nostra casistica (Rosenberger et al., 2007) il Labrador, il Boxer (più frequentemente colpiti alle ossa piatte) (Heyman et al., 1992; Egenvall et al., 2007). In particolare, per quanto riguarda i Labrador ed i Boxer, razze relativamente diffuse anche sul nostro territorio, questo dato non trova riscontro nella nostra casistica. La nostra casistica comprende 5 soggetti di taglia piccola (3 Yorkshire, 1 Bassotto, 1 WHWT); in 4 di questi ad essere colpito è lo scheletro assiale. Questo dato è, grossomodo, sovrapponibile a quanto riportato in letteratura: 85 i soggetti di piccola taglia sono circa il 5% dei casi con una netta prevalenza della localizzazione allo scheletro assiale (59% dei casi circa) (Heyman et al., 1992). La localizzazione dei tumori ossei nel nostro campione è simile a quanto riportato da altri lavori: prevale l’interessamento dello scheletro appendicolare rispetto a quello assiale. Si rilevano lievi differenze per lo scheletro appendicolare in quanto nel nostro campione è l’omero il segmento più colpito, mentre in altri lavori si riporta una maggiore presenza a carico del radio (Britt et al., 2007; Wallack et al., 2002; Mehl et al., 2001; Wolke and Nielsen, 1966; Chun et al., 2005). Per quanto riguarda lo scheletro assiale, sebbene la prevalenza sia simile a quella riportata da altri Autori (Wolke and Nielsen, 1966; Moore et al., 2000; Thompson et al., 1992) nella nostra casistica non è presente alcun caso di tumore a carico delle costole. Queste ultime vengono, infatti, indicate come una delle localizzazioni più frequenti da alcuni Autori (Wolke et al., 1966; Heyman et al., 1992), mentre per altri esse rappresentano una localizzazione rara (Feeney et al., 1982). L’osteosarcoma a carico delle vertebre sembra non sia frequente (Moore et al., 2000) ma nel nostro campione in 9 soggetti sono coinvolti i metameri vertebrali (8%). 86 Considerando i campioni riportati da due studi (Gamblin et al., 1995; Egenvall et al., 2007), su di un totale di 898 soggetti, sono stati descritti solo 12 casi di neoplasia ossea a carico di metacarpo/metatarso e falangi (1,3%). Nel nostro campione in ben 10 soggetti il tumore ha questo tipo di localizzazione (9%); in effetti, questa maggiore prevalenza è giustificata dal fatto che si tratta di neoplasie ossee secondarie, inizialmente carcinomi Fig. 26 – Osteosarcoma dell’ulna distale sn con una skip-lesion localizzata sulla porzione caudale delle testa dell’omero sn. dei tessuti periungueali. Dai nostri risultati si conferma che gli aspetti radiografici dell’osteosarcoma sono estremamente variabili potendo andare da lievi lesioni litiche fino a grave coinvolgimento, sia litico sia di reazione periostale, di tutto il segmento. Più caratteristici sono i quadri del 87 fibrosarcoma, solitamente caratterizzati da una prevalente lisi. Di tipo intermedio il comportamento del mieloma che, sebbene caratterizzato da una prevalenza della lisi, può presentare anche una discreta reazione periostale. La localizzazione poliostotica può aiutare nella diagnosi differenziale. Nei casi molto iniziali, la radiografia non è in grado di evidenziare i focolai di lisi come è successo in uno dei soggetti del nostro campione. Anzi, in quest’ultimo, riferito per problemi di tipo neurologico localizzati alla giunzione lombo-sacrale, la diagnosi di mieloma è stata possibile solo grazie alla TC che evidenziava multipli foci di lisi midollare in più corpi vertebrali. La diagnosi di sospetto veniva poi confermata da un prelievo di midollo da un ala dell’ileo. Per i tumori secondari, il principale carattere distintivo rispetto ai tumori primari era costituito dalla localizzazione poliostotica, spesso a livello di un’articolazione dove coinvolgeva più capi articolari. In questi casi, si è dimostrato prezioso l’esame ecografico perché meglio caratterizzava la componente originaria costituita da tessuti molli (ad esempio la membrana sinoviale). La TC e l’ecografia si sono dimostrati essenziali come guida per l’esecuzione di prelievi di materiale patologico. In tutti i casi occorsici, il prelievo TC- o eco-guidato ha dato luogo sempre a materiale utile per la 88 diagnosi. In 4 casi, il prelievo era successivo ad altri prelievi effettuati “alla cieca” che avevano dato risultati non definitivi o, addirittura, negativi. Il problema dei prelievi bioptici è particolarmente importante per l’osteosarcoma. Come abbiamo detto nel capitolo della diagnosi, il materiale andrebbe prelevato al centro della lesione, e quando la procedura viene effettuata senza l’ausilio delle tecniche di Imaging, la probabilità di andare in zone non significative è molto elevata. Infine, un discorso a parte merita la stadiazione: l’esame radiografico del torace, sebbene dichiarato come molto sensibile nell’evidenziare alterazioni polmonari secondarie, in condizioni ideali, di ottima esecuzione tecnica e di soggetto particolarmente collaborativo, permette di evidenziare lesioni aventi un diametro di almeno 5 mm. L’esame TC, invece, è notevolmente più sensibile perché in grado di evidenziare metastasi anche di soli 2 mm di diametro (Fig. 27). Inoltre, solitamente il protocollo di stadiazione di una neoplasia ossea prevede solo l’esame RX del torace perché sono le metastasi polmonari le più frequenti. Tuttavia, sebbene più raramente, possono verificarsi lesioni secondarie linfonodali o a carico di organi parenchimatosi addominali (fegato e reni). L’esclusione o l’inclusione di queste metastasi richiede necessariamente l’ecografia o la TC. Bisogna ricordare, però, che in campo Veterinario tutte le prestazioni sono a pagamento non essendo coperte da alcuna forma di assistenza pubblica. 89 Pertanto, la scelta dei percorsi diagnostici più appropriati non può esimersi da una valutazione anche di carattere economico. Per questo, la completezza dei dati relativi alle tecniche di Diagnostica per Immagini risulta limitata solo a pochi pazienti. Questo limite rende più difficile l’approccio terapeutico nei nostri pazienti rispetto all’uomo. Ci si augura che in un prossimo futuro, venga estesa anche agli animali d’affezione una qualche forma di assistenza sanitaria pubblica, riconoscendone così l’importanza sia dal punto di vista sociale sia, anche, come possibili modelli di patologie spontanee. 90 Fig. 27 – Osteosarcoma della scapola sn. L’esame TC evidenzia l’intensa reazione periostale (freccia) associata al marcato ispessimento dei tessuti molli perilesionali. L’esame del torace, in questo soggetto, ha permesso di evidenziare molto precocemente delle metastasi polmonari (punte di freccia). 91 CONCLUSIONI Da un punto di vista epidemiologico descrittivo, il nostro campione conferma che le neoplasie ossee siano relativamente frequenti in particolare in soggetti adulti o anziani, di grossa taglia. I Rottweiler, come in altri studi, presentano un rischio di neoplasia ossea significativamente superiore alle altre razze del nostro campione. I dati relativi al sesso, soprattutto se confrontati con i dati presenti in letteratura, non sono definitivi e richiedono ulteriori approfondimenti. L’esame radiografico si conferma l’esame d’elezione per lo studio dell’apparato scheletrico. La sua sensibilità è spesso superiore a quella delle tecniche anatomo-patologiche, in particolare quando il prelievo di materiale viene eseguito “alla cieca”. Quando è stato possibile integrare l’esame radiografico, la TC si è dimostrata essenziale per l’individuazione di lesioni ossee o polmonari estremamente piccole e non visibili radiograficamente. L’ecografia si è mostrata, invece, utile nello studio dei tumori ossei secondari, coinvolgenti le strutture articolari, per il rilievo di eventuali alterazioni a carico dei tessuti molli, come, ad esempio, la membrana sinoviale. La TC e l’ecografia si sono dimostrate, inoltre, estremamente utili come guida per ottenere campioni bioptici “significativi”. 92 BIBLIOGRAFIA 1. 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