LA VALORIZZAZIONE ED IL PROGETTO PER I BENI CULTURALI
IL CASO DEI MERCATI DI TRAIANO
Ho pensato di dividere questo intervento in tre sezioni: la prima, legata al termine
valorizzazione ed al rapporto di questo obiettivo con la pratica del progetto. La seconda
parte del contributo riguarda i criteri di progettazione nelle aree archeologiche o negli
edifici storici: un breve discorso attorno alle linee-guida. La terza parte accoglie un breve
grido di dolore ed una nota di avvertimento riguardo alla progettazione in relazione alla
nuova configurazione della professione.
Valorizzazione
estratto dal vocabolario Treccani
1.Il fatto, l’operazione di mettere in valore; conferimento di valore: la v. di una scoperta;
calcolo del valore effettivo di un investimento. Nella pratica commerciale, v. di merci,
attribuzione a una merce di un valore maggiore del precedente, in conseguenza della
variazione del prezzo del mercato, o per disposizioni legislative, o per esigenze
amministrative.
2. In senso fig., esaltazione delle qualità di una persona o di cose, precedentemente
trascurate: v. di un funzionario, della categoria dei tecnici; provvedere alla v. delle foreste,
delle coste, ecc.
Valorizzare significa quindi
conferire valore a qualcosa che non lo possiede oppure
aumentare il valore potenziale di un bene, di un oggetto, di una persona. Questo valore
conferito o aggiunto può ovviamente essere di natura materiale o economica o di natura
immateriale, simbolica, culturale o sociale.
Trattandosi di “beni culturali” la questione del “riconoscimento” del valore diviene
fondamentale per la attribuzione di legittimità in relazione alle conseguenti opere di
conservazione ed al progetto di restauro.
E' necessario quindi, prima di tutto, stabilire quale sia il reale valore di quel qualcosa – il
che necessita un esame multidisciplinare – e se quel valore è in sé, cioè proprio di
quell'oggetto, bene, o persona oppure se è legato a diversi parametri di relazione, come
spesso avviene per gli spazi urbani dove l'edificio assume un valore di posizione oltre al
grande o piccolo valore in sé determinato dalle qualità della sua realizzazione.
Bène
Ogni mezzo atto alla soddisfazione dei bisogni dell’uomo, nel linguaggio economico quasi
sempre sinonimo di merce. In particolare, si intende per bene economico, qualsiasi
mezzo, come sopra definito, di cui vi sia disponibilità relativamente limitata e sia quindi
suscettibile di avere un prezzo, contrapposto a bene libero, cioè non scarso rispetto alla
domanda, e che non ha valore di scambio pur potendo avere utilità.
In senso più ampio, b. artistici, b. archeologici, b. ambientali, ecc., il patrimonio nazionale
sia naturale sia storico, inteso come insieme di ricchezze inalienabili che debbono essere
valorizzate e tramandate come bene pubblico, perché soddisfano essenzialmente bisogni
collettivi, tutelate quindi secondo le leggi dello stato e non secondo l’arbitrio di privati:
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, istituito in Italia nel 1975 al fine di tutelare e
valorizzare il patrimonio culturale italiano.
Il riferimento al termine bene implica, quindi, qualcosa che già possiede un valore proprio
e che, unito al termine culturale, potrebbe essere assimilato all'espressione oggetto di
valore culturale: la sua valorizzazione, dunque, dovrebbe aumentare o rendere
maggiormente evidente quel valore culturale.
In altre parole il progetto di valorizzazione dovrebbe essere quello di conservare,
restaurare ed implementare l'oggetto che ha perduto il suo valore o ha potenzialità residue
di aumentarlo.
Nel caso di archeologia o architettura dovrebbe quindi esistere – in primis – un progetto
legato da un lato alla conservazione delle informazioni e dei documenti originali contenuti
in un edificio, così da trasmetterne il valore di conoscenza (tecnica costruttiva, datazione
storica, linguaggi) nel futuro; un secondo aspetto del progetto di valorizzazione dovrà
occuparsi dei modi e delle ragioni per le quali quello stesso edificio deve trovare (o
ritrovare) un valore aggiunto, al di là del suo valore intrinseco ed attuale.
Insomma, in una architettura medioevale si dovranno registrare, catalogare e conservare
murature, aperture, solai eccetera – quelli che sono definiti come documenti originali della
costruzione - e poi, visto che quell'edifico era un'abitazione e non lo è più, capire se
abitarlo di nuovo oppure destinarlo a qualcosa di diverso.
Recuperare prima di tutto la sua originalità ed individuare, successivamente, diverse
strategie per valori sovrapposti nel tempo o da poter aggiungere oggi.
Ovvero trasformarlo in parte dei suoi significati originali.
Purtroppo, in un mondo sempre più definito dalla sua capacità di produzione economica –
oggi aggravata anche dalla crisi – la valorizzazione di un bene culturale diventa talvolta
soggetta alla sua sostenibilità finanziaria (quasi sempre in architettura) in funzione di una
sua previsionale capacità produttiva.
L'equazione diventa: restauro = disponibilità finanziaria = produttività economica.
E' chiaro che la necessità di reperire fondi per attuare un'operazione costosa come il
restauro o la trasformazione di un bene architettonico o archeologico sia un fatto
difficilmente discutibile; e non è neppure in discussione la possibilità di ricevere
finanziamenti privati su un bene pubblico, come per altro già previsto dalle norme per i
Sistemi di Trasformazione Urbana definite dalla Legge 129 del 15 maggio 1997
(Bassanini) articolo 17 comma 59, anche se scarsamente applicate.
Da discutere è la relazione di questa necessità – reperire risorse economiche – con il
progetto, spesso rovesciando il nesso di causalità tra necessità dell'operare e costi: credo
che la conservazione o la trasformazione di un bene sia prioritaria nell'interesse della
trasmissione della cultura e della conservazione dell'identità sociale.
E quindi occorre limitare due gravi fattori di rischio per la stessa valorizzazione:

che l'intervento del privato, forte della sua proposta economica, non consenta, di
fatto, alla Pubblica Amministrazione di mantenere il controllo dei risultati o di guidare
comunque il procedimento invero programmato ex lege;

che il privato pieghi il progetto al solo risultato del previsto reddito, secondo la
relazione lineare che corre tra spesa e ricavo, ancora in carenza di controllo.
In ambedue i casi il progetto è espulso dal processo di valorizzazione per divenire solo
strumento di redazione di un processo economico. In questo senso anche la recente e
conveniente assimilazione del patrimonio dei Beni Culturali entro il Prodotto Interno Lordo
riduce il disavanzo dello Stato ma amplifica l'idea di Bene Culturale come oggetto di valore
economico o necessariamente capace di produrre un valore economico.
Mi sembra opportuno, a conclusione di queste prime note, ricordare come la sintesi di
questo processo di significazione della valorizzazione come mero valore economico si sia
ottenuto nella nomina a Direttore Generale per la Valorizzazione, nel 2009, di Mario Resca
un passato da presidente di Mc Donald's Italia, membro del C.d.A. dell'Eni e di Mondadori,
presidente delle società Italia Zuccheri e Casinò di Campione, nonché di Confimprese,
fortemente voluto dall'allora Ministro dei Beni Culturali Bondi.
CRITERI DI PROGETTAZIONE
Dico subito che, quale progettista, non credo a linee-guida, se non molto generali o di
concetto, che informino i criteri di scelta progettuale; in questo senso credo che anche le
attuali norme di tutela ed edilizie andrebbero discusse di nuovo, chiarite nei loro aspetti
procedurali e semplificate – o meglio rese leggibili in maniera uniforme - negli ambiti legati
al progetto.
Credo, altresì, che la limitazione dovuta a mancanza di chiarezza normativa abbia
costituito un limite a ricerca e sperimentazioni e che questo costituisca uno dei nostri difetti
come architetti dell'Italia di oggi.
Ritengo anche che, se da un lato la conservazione è diventata – da Cesare Brandi in poi –
un atto prima cosciente e poi normalmente dovuto e che questa azione di progetto abbia
salvato paesaggi e monumenti dall'aggressione degli anni '60 e '70, dall'altro lato la
trasformazione – non la sostituzione né la pura conservazione – abbia educato passate
generazioni di architetti ad una progettazione sensibile, attenta alla valutazione della
preesistenza ed al suo grado di trasformabilità: costruire sopra, costruire accanto,
riutilizzare strutture e forme ha costituito un palinsesto di azioni progettuali in accordo con
il palinsesto dei segni e dei materiali della storia della città.
Gran parte del nostro patrimonio architettonico e di quello archeologico ci è giunto
trasformato e quella trasformazione ne ha impedita una veloce distruzione a la prematura
ruderizzazione: l'importanza delle trasformazioni ci è confermata dagli attuali orientamenti
della scuola di restauro romana (De Angelis d'Ossat, Renato Bonelli e Giovanni
Carbonara) che vedono nella stratigrafia storica depositata su un bene culturale un valore
aggiunto e non una fastidiosa superfetazione da rimuovere per recuperare una reale o
solo supposta immagine originale.
Il luogo
Ogni luogo quindi, sia esso naturale o antropizzato, possiede propri caratteri culturali che
è possibile rintracciare nelle geometrie del sito, nella tecnica costruttiva, nella tipologia
edilizia, nei materiali impiegati, nei cromatismi e nelle visuali che esso offre.
Un primo passo di avvicinamento alla comprensione del luogo si accentra sul valore
primario attribuito alla percezione degli elementi che compongono un ambiente: i rapporti
dimensionali, formali, le permanenze e le mutazioni; percezione delle singolarità strutturali
di un luogo, per evidenziarne le differenti funzioni e le diverse qualità spaziali.
Il primo caso porta ad un luogo che è il "prodotto" delle diverse combinazioni possibili degli
elementi naturali e storici, condensati nella città o nel paesaggio, dal più semplice al più
complesso: questi sono composti da "luoghi" alla cui percezione-memoria è affidato il
compito di trasmetterli, se ancora intatti, o di risarcirli quando la modificazione sia stata
troppo profonda.
Altro modo di percepire un luogo appartiene, si potrebbe dire, a tutto ciò che attiene alla
costruzione del
simbolo – memoria - monumento quale effetto della sovrapposizione
storica e di significati che l'uomo attribuisce ad alcune forme specifiche.
Se così individuato, il paesaggio urbano o quello naturale o quello archeologico – o meglio
quello che Crotti e Battisti definivano “paesaggio antropogeografico” - costringono
l'architetto a tre azioni necessarie: costruire, ovvero inserire il nuovo nel complesso delle
relazioni esistenti. Ricostruire ovvero reintegrare, rifunzionalizzare, riutilizzare l'esistente o
tracce di esso, reimpiegare il passato nel presente continuando a trasformare lo spazio ed
i luoghi per mezzo di un progetto. Non costruire, conservare utilizzando, con un
atteggiamento consapevole, il valore della memoria: conservare architetture e restituirle
come documenti da rileggere nello stato in cui sono giunti fino a noi eleggendole allo stato
di monumento.
Il significato antropico di ciascuna di queste azioni, come già detto, è evidente: lo stato di
fatto è comunque alterato da una scelta progettuale, la modifica dell'uomo risulta
inevitabile e meno di non
abbandonare le cose al ritorno verso lo stato di materia
naturale. Ed anche tre “vincoli” propri del Restauro – compatibilità, minimo intervento e
riconoscibilità - appaiono come ragioni utili ma non sufficienti a spiegare il complesso delle
relazioni tracciate dal progetto.
Una sintesi perfetta è tracciata da Francesco Venezia che dice "… Il nostro lavoro di
architetti ci richiede di conferire ordine attraverso misure proporzioni geometria. Ma
l'ordine, e quel senso di necessità che ne deriva, una volta raggiunti, tanto più sono
avvincenti quanto più ne è avvertibile la distanza dal disordine e dall'arbitrio iniziali.
Intendo dire che quel che facciamo si carica di senso in questa come in altre forme di
opposizione … Uno degli scopi del nostro lavoro di architetti è di opporre una certa
resistenza al rapido esaurirsi della ragione pratica che determina la costruzione di un
edificio. Suscitare un tempo nascosto che resista al tempo del suo uso e che sia in grado
di conferirgli nuove valenze estetiche persino nel caso estremo in cui l'iniziale funzione,
esauritasi, sia incomprensibile, o che l'edificio stesso sia stato dal tempo o da eventi
traumatici ridotto a rovina. Idea guida è che alla forma dell'edificio concorrano elementi
che solo in parte appaiono in superficie, essendo i più, per così dire, arretrati e solo per
punti in grado di rivelare la loro trama nascosta”.
TRASFORMAZIONI
Lo scopo principale dei progetti qui brevemente presentati, era quello di fornire una nuova
fruibilità pubblica a spazi storici ed a siti archeologici, nel rispetto della Leggi esistenti e
per ridurre, in conseguenza e per quanto possibile, le barriere architettoniche. I risultati del
processo di progettazione dovevano essere coordinati con attenzione per l'omogeneità di
materiali e tecniche per la costruzione: lo scopo era di mantenere l'uniformità del
paesaggio storico - archeologico in termini di colori ma anche secondo diversi allineamenti
e prospettive.
principi
In generale ogni nuovo intervento è stato progettato secondo i seguenti tre principi:
1. studio delle trasformazioni avvenute nel tempo e delle tecniche costruttive che si sono
succedute e che hanno modificato il substrato archeologico o storico, al fine di evitare falsi
e l'invenzione di una storia affermando il principio di riconoscibilità .
Il voler valorizzare / riutilizzare un manufatto storico pone due strade progettuali possibili:
una ricostruzione scientifica delle sue forme originarie
e successivamente la loro
restituzione secondo le tecniche più proprie del restauro architettonico e conservativo;
l'oggetto è "opera", da liberare dalle "superfetazioni" che ne alterano il valore e da
conservare per il suo esclusivo portato artistico, storico e culturale. Operazione
teoricamente attuabile secondo i canoni della filologia ma sostanzialmente irrealizzabile
perché comporta la assunzione di un tempo diacronico, specifico per la lettura di un'opera.
Oppure ci si "riappropria" di un manufatto integrandolo con tutte le cautele possibili nel
tessuto vivo della città: in questo caso si pone il problema di una possibile trasformazione ,
del suo significato didattico e dell'entità delle eventuali modificazioni introdotte.
L'oggetto è , in questo caso, anche "testo", ovvero - proprio come avviene in uno scritto si trasforma parzialmente per mezzo della sua lettura: un intervento, nel caso del sistema
delle percorrenze, che ne restituisce il significato spaziale e si rende assolutamente
riconoscibile come atto costruttivo compiuto in altra epoca.
2. approccio progettuale secondo il criterio del “minimo intervento": solo ciò che è
strettamente necessario per conservare e restaurare, aggiungendo nuovi elementi di
architettura laddove necessari per le nuove funzioni richieste dalla valorizzazione dei
monumenti.
3. cercare la compatibilità di ogni nuovo intervento entro i margini architettonici forniti dallo
studio della preesistenza al fine di migliorare la leggibilità dell'opera evitando “conflitti”
anche fisici – non solo teorici - tra .materiali e tecniche costruttive diverse
riferimenti
Il luogo - o il palinsesto di questi interventi - è stato il primo riferimento del progetto in
termini di materiali e colori. Il secondo riferimento è il sistema di assi esistenti,
allineamenti, materiali, colori e forme .
Spesso, nei
progetti sono state prese in considerazione le rovine storiche nascoste
sottoterra quali tracce utili per le nuove geometrie o per nuovi segni architettonici.
Inoltre, il ricordo delle murature originali - oggi le rovine - ci ha talvolta suggerito l'idea di
utilizzare l'immagine delle loro carpenterie, le murature durante la loro costruzione.
Per le strutture, per la loro forma, abbiamo progettato elementi in acciaio e legno che
potessero mostrare esplicitamente il loro lavoro meccanico e rimandare, nella memoria,
alle carpenterie che avevano sostenuto la costruzione degli spazi romani.
DUE CASI DI STUDIO (E DI TRASFORMAZIONE DEL LUOGO)
2002 - 2000 Sistemazione e restauri della via Biberatica, via della Torre e Giardino delle
Milizie nel complesso dei Mercati di Traiano a Roma. Restauri delle murature in laterizio e
dei conglomerati, sistemazione e restauro delle aree esterne ed integrazioni delle
pavimentazioni archeologiche. Percorsi e attrezzature per disabili dedicate al Museo dei
Fori Imperiali : nuovi percorsi privi di barriere architettoniche per la migliore accessibilità
all'intero complesso monumentale.
Stato dell'opera:
realizzata
Committente:
Comune di Roma – Sovrintendenza Archeologica
Gruppo:
arch. Riccardo d’Aquino e arch. Luigi Franciosini
con arch. Mauro Olevano e arch. Giovanna White
ing. Paolo Uliana
Importo lavori:
€ 576.081, 00
Estratto della relazione architettonica e di restauro
Il progetto si è posto, come obiettivo primario, quello di rendere pienamente fruibile - per
chiunque - il complesso dei percorsi che costituiscono il tessuto connettivo del sistema dei
Mercati di Traiano. La strategia da perseguire passava attraverso una serie di interventi
di risarcimento delle pavimentazioni e di riconnessione “puntuale” delle parti, con soluzioni
di progetto rivolte al superamento delle barriere architettoniche
Gli interventi sul parterre archeologico sono rivolti, mediante completamenti, integrazioni e
restauri delle pavimentazione originali, alla migliore definizione di ambiti archeologici
nell'obiettivo principale di distinguere spazialità interne rispetto a quelle esterne. Tale
obiettivo è stato perseguito attraverso la ridefinizione dei limiti murari , la precisazione di
ambiti di soglia e dei salti di quota, la integrazione e completamento di marciapiedi e la
pavimentazione di superfici ad oggi in stato di abbandono .
I materiali, le tecniche costruttive, i disegni a terra che sono stati adottati mantengono un
grado di omogeneità con le modalità cromatiche e materiche proprie del monumento ma
allo stesso tempo anche con gli interventi di restauro che nel tempo hanno mostrato
maggiore capacità di integrazione con le struttura originarie.
Gli interventi per il superamento delle barriere architettoniche, nonostante il ruolo
strettamente funzionale che i diversi progetti assumono nel contesto archeologico
dichiaratamente espresso dal carattere temporaneo delle tecnologie utilizzate, partecipano
di fatto all'immagine complessiva del luogo, trasformandone anche parzialmente l'assetto
originario. Se da un lato era irrinunciabile risolvere il tema della mobilità aperta a tutti
all'interno degli spazi pubblici, dall'altro era altrettanto necessario governare tali
trasformazioni imponendo la qualità del progetto come principio primo indispensabile.
Quindi, distanti da un vano perseguire integrazioni “mimetiche” di tali strutture moderne nel
contesto storico-monumentale, i progetti proposti - le ubicazioni ed gli ambiti occupati , le
tipologie di salita o di attraversamento oltre ad essere strettamente motivate dal rispetto
del sito e dal carattere strettamente funzionale - mantengono una loro identità motivata da
scelte morfologiche e tecnologiche visibili, identificabili ma intimamente integrate al
monumento alla sua struttura ed alla sua memoria. Inoltre le strutture di attraversamento
dei siti archeologici progettate sono state disegnate nel rispetto delle dimensioni
rigorosamente necessarie all'ottenimento dell'obiettivo funzionale, per offrire o potenziare
possibilità di percezione e fruibilità del monumento amplificando l'aspetto didattico implicito
nel sistema di percorrenza all'interno di aree archeologiche.
2007 - 2002 Completamento dell'area del Giardino delle Milizie nel complesso dei Mercati
di Traiano in Roma. Percorso museale esterno del Museo dei Fori Imperiali Progetto di
allestimento del piano originale traianeo e delle strutture del convento seicentesco di S.
Caterina nel settore monumentale del Giardino delle Milizie.
Stato dell'opera:
realizzata
Committente:
Comune di Roma – Sovrintendenza Archeologica
Gruppo:
arch. Riccardo d’Aquino e arch. Luigi Franciosini
ing. Paolo Uliana
con Marco Lorio
Importo lavori:
€ 212.346, 02
Estratto della relazione architettonica e di restauro
Lo spazio del Giardino delle Milizie è il prodotto degli interventi di demolizione operati nel
1919 e nel periodo compreso tra il 1926 ed il 1934 e degli interventi di scavo e di indagine
degli anni '80 e '90.
A ridosso della facciata orientale dell'edificio retrostante la Grande Aula si apriva un
grande cavo, profondo circa 6 mt, che conteneva i residui murari scampati alle demolizioni
fasciste del convento di S. Caterina: più precisamente, due tratti di volte a botte, con
relativi archi di scarico, un tempo posti a copertura di percorsi rinascimentali; un terzo
elemento architettonico, sempre collegato all'utilizzo del complesso conventuale
scomparso, era rappresentato da un corridoio voltato.
Nell'interstizio tra corridoio voltato e muratura antica è stato rinvenuto un marciapiedi
realizzato con lastre di travertino a forte spessore (20-25 cm): tale ritrovamento, riferito alla
fase romana del monumento, offriva - anche dal punto di vista percettivo - la restituzione
della quota di calpestio originale e, di conseguenza, la comprensione dell'unità di
prospetto dell'edificio traianeo, di difficile lettura a causa dell'apposizione seicentesca delle
due grandi cisterne appoggiate direttamente al manufatto originale.
Il progetto proponeva la ridefinizione dello scavo mediante la realizzazione di una parete
contro terra che, anziché costruire imponenti strutture di contenimento e di fondazione per altro non praticabili per l'evidente identità archeologica del luogo - si orienta verso la
"leggerezza" strutturale di elementi lignei, puntelli e tavolato.
In questo contesto il progetto proponeva il raggiungimento di due obiettivi principali:
1. la restituzione di una immagine significativa e qualificata delle superfici del Giardino
delle Milizie. L'obiettivo perseguito era quello di non alterare il rapporto storico e percettivo
tra paramento romano dell'edificio della Grande Aula e gli interventi successivi della
realizzazione delle due grandi cisterne addossate al prospetto traianeo e, nello stesso
tempo, ottenere un nuovo luogo “romantico” all’interno del complesso monumentale dei
Mercati di Traiano;
2. l'organizzazione spaziale nel sottosuolo di una espressiva unità formale costituita dal
molteplice sovrapporsi di frammenti architettonici afferenti ad età, linguaggi, tecniche e
materie eterogenee tra loro.
Appare chiaro che addossare una qualunque nuova struttura alla muratura romana
avrebbe annullato
le due caratteristiche storiche e percettive del luogo: la continuità di
costruzione del muro traianeo e la lettura di congruità di imposta del piano di calpestio
originale, pur con l'interruzione delle cisterne seicentesche.
Un ulteriore problema era rappresentato dall'attacco di una nuova struttura sulla muratura
antica, giunto che non sarebbe potuto non essere distruttivo nell'incastro dei materiali
antichi con quelli nuovi e nella percezione dei segni di cornici e tracce di percorsi oggi
incisi sulla facciata orientale dell'edificio romano.
Per tali ragioni il nuovo solaio si è distaccato di circa 200 cm dalla parete in muratura,
offrendo - dal Giardino - la percezione della "discesa" della struttura muraria verso la
quota originale e, man mano che ci si avvicina, la "scoperta" e la conferma del piano di
calpestio realizzato dal lastrico di travertino.
Il progetto per il consolidamento delle strutture voltate seicentesche si basava su una
considerazione preliminare, ovvero sull'impossibilità strutturale a ricondurre i carichi
verticali sul piano originario di fondazione.
Infatti i muri di sostegno delle volte, se
ricostruiti, avrebbero interferito con la chiave della volta a botte del cunicolo, la cui fragilità
costruttiva impediva
la praticabilità di questa linea di ricerca
strutturale. Quindi si è
proceduto verso una soluzione di sospensione dall'alto, ovvero mediante "l'appendimento"
delle volte e dei residui murari dalle travature in ferro di sostruzione per la formazione del
giardino pensile. Le travature interessate sono state sagomate in modo tale da offrire una
"seggiola" resistente
lungo gli originali allineamenti murari oggi non più ricostruibili.
L'insieme delle volte, due maggiori ed una minore, saranno organicamente riconnesse in
una unità strutturale e formale in modo tale da restituire le qualità spaziali originarie, così
caratterizzanti il racconto stratigrafico del luogo.
L'immagine
che ottenuta ripercorre, per così dire, l'iconografia della copertura di uno
scavo archeologico dove il problema strutturale della necessità di coprire assorbe - o forse
supera - il disegno della "forma" : nulla è concesso al disegno ma tutto è "dovuto" e
sincero.
DIFFICOLTA' CONTEMPORANEE PER GLI ARCHITETTI
Vorrei concludere, brevemente, con una nota di allarme e di preoccupazione per la
mancanza di ragionamento e, conseguentemente, di controllo sulle trasformazioni che il
mestiere dell'architetto sta subendo.
Il mondo delle professioni si sta trasformando nel mondo delle società professionali: come
dire che si passa dall'artigiano all'industriale, dal dettaglio specifico alla produzione in
serie, dalla conoscenza della tradizione alla conoscenza della produzione.
Credo che l'Ordine degli architetti dovrebbe riflettere, assieme ai propri iscritti, su questa
profonda modifica delle relazioni tra architetto e progetto e sul significato della
perdita/rinuncia di valori e conoscenze legate ad una microeconomia in favore di capacità
produttive macroeconomiche e come questo si leghi – o confligga - con il tema della
valorizzazione e del restauro di monumenti.
C'è poi, più pragmaticamente, un aspetto procedurale legato a questa ultima riflessione
come al mondo normativo che riguarda anche i processi di Valorizzazione dei Beni
Culturali: sappiamo che edifici e siti, in quanto pubblici e tutelati debbono essere soggetti a
gare pubbliche e concorsi per progettazioni e realizzazioni.
Non voglio qui entrare nel merito del grave danno spesso prodotto dagli Appalti Integrati –
si potrebbe facilmente sostenere che non è lo strumento ma piuttosto l'interprete che può
produrre i danni maggiori.
Oppure del difficile concetto di “miglioria” nei concorsi ed appalti di restauro il cui progetto
si definisce nel suo compiersi, durante la sua realizzazione.
Né parlare, in questa sede ed oggi, dei problemi legati agli appalti pubblici – ed alla
auspicabile possibilità di disgiungere merito tecnico e capacità economica – come
esplicitato da Antonio Forcellino.
Non parlerò neppure del tema dei ribassi, che hanno visto offerte diminuite anche del
60%, con i risultati che tutti dovrebbero aspettarsi.
Voglio solo accennare alla ormai quasi impossibilità di partecipazione a gare e concorsi,
anche di idee, che dovrebbero costituire il patrimonio di forme e ragionamenti progettuali
per migliorare – valorizzare appunto – il nostro patrimonio architettonico ed archeologico:
desidero sottolineare come la piatta applicazione burocratica oppure la sua errata
interpretazione elimini la categoria degli architetti/artigiani in favore delle società di
professionisti che hanno i numeri ma non eguale sensibilità.
Cito due esempi:
- Selinunte, dove 1 architetto + 1 ingegnere + 1 giovane + 1 archeologo + 1 geologo
moltiplicati burocraticamente per 2 hanno prodotto un numero minimo di 10 unità per
partecipare, rendendo la partecipazione stessa quantomeno difficile ;
- Chieti dove la richiesta di un requisito impossibile da ottenere e non più valido da chi
l'aveva un tempo ottenuto (il Nulla Osta Sicurezza, non più rilasciabile a singoli
professionisti dal 2006) ha impedito la partecipazione di molti, a meno di ricorso al TAR
che costa, però, il doppio – 4000 euro – per il solo fatto di essere in gara.
Vorrei che l'Ordine degli Architetti di Roma prendesse nelle sue ben più capaci mani questi
argomenti che ci toccano come categoria professionale ma che toccano anche l'oggetto di
questo breve racconto: i Beni Culturali e la loro valorizzazione.
Viene da chiedersi se anche per noi progettisti, liberi professionisti si sarebbe detto una
volta, dovrà essere sviluppato un adeguato programma di valorizzazione che conservi
restauri ed implementi le nostre quasi estinte capacità.
Riccardo d'Aquino
Roma 27 maggio 2014