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Romanticismo
Neoclassicismo
Caratteri generali e differenze con il
neoclassicismo
Le nuove categorie estetiche: il
pittoresco e il sublime
La rivalutazione dei sentimenti e delle
passioni
La riscoperta del Medioevo
Il romanticismo italiano
Theodore Gericault
Eugene Delacroix
Caspar David Friedrich
John Constable
William Turner
Dante Gabriel Rossetti
Francesco Hayez
Giacinto Gigante
Antonio Fontanesi
Tranquillo Cremona
Indice
Neoclassicismo
Caratteri generali e differenze con il neoclassicismo
Le nuove categorie estetiche: il pittoresco e il sublime
La rivalutazione dei sentimenti e delle passioni
La riscoperta del Medioevo
Il romanticismo italiano
Artisti
Theodore Gericault
Pag. 01
Pag. 06
Eugene Delacroix
Pag. 12
Caspar David Friedrich
Pag. 19
John Constable
Pag. 25
William Turner
Pag. 31
Dante Gabriel Rossetti
Pag. 38
Francesco Hayez
Pag. 43
Giacinto Gigante
Pag. 47
Antonio Fontanesi
Pag. 53
Tranquillo Cremona
Pag. 57
ROMANTICISMO
Caratteri generali e differenze con il neoclassicismo
Il romanticismo è un movimento artistico dai contorni meno definiti rispetto al
neoclassicismo. Benché si affermi in Europa dopo che il neoclassicismo ha esaurito la
sua vitalità, ossia intorno al 1830, in realtà era nato molto prima. Le prime tematiche
che lo preannunciavano sorsero già verso la metà del XVIII secolo. Esse, tuttavia,
rimasero in incubazione durante tutto lo sviluppo del neoclassicismo, per riapparire e
consolidarsi solo nei primi decenni dell’’Ottocento. Il romanticismo ha poi cominciato
ad affievolirsi verso la metà del XIX secolo, anche se alcune sue suggestioni e
propaggini giungono fino alla fine del secolo.
Il romanticismo è un movimento che si definisce bene proprio confrontandolo con il
neoclassicismo. In sostanza, mentre il neoclassicismo dà importanza alla razionalità
umana, il romanticismo rivaluta la sfera del sentimento, della passione ed anche della
irrazionalità. Il neoclassicismo è profondamente laico e persino ateo; per contro il
romanticismo è un movimento di grandi suggestioni religiose. Il neoclassicismo
aveva preso come riferimento la storia classica; il romanticismo, invece, guarda alla
storia del medioevo, rivalutando questo periodo che, fino ad allora, era stato
considerato buio e barbarico. Infine, mentre il neoclassicismo impostava la pratica
artistica sulle regole e sul metodo, il romanticismo rivalutava l’’ispirazione ed il genio
individuale.
È da considerare, inoltre che, mentre il neoclassicismo è uno stile internazionale, ed
in ciò rifiuta le espressioni locali considerandole folkloristiche, ossia di livello
inferiore, il romanticismo si presenta con caratteristiche differenziate da nazione a
nazione. Così, di fatto, risultano differenti il romanticismo inglese da quello francese,
o il romanticismo italiano da quello tedesco, e così via.
Il romanticismo, in realtà, a differenza del neoclassicismo, non è uno stile, in quanto
non si fonda su dei princìpi formali definiti. Esso può essere invece considerato una
poetica, in quanto, più che alla omogeneità stilistica, tende alla omogeneità dei
contenuti. Questi contenuti della poetica romantica sono sintetizzabili in quattro
grandi categorie:
1.
2.
3.
4.
l’’armonia dell’’uomo nella natura
il sentimento della religione
la rivalutazione dei caratteri nazionali dei popoli
il riferimento alle storie del medioevo.
Le nuove categorie estetiche: il pittoresco e il sublime
La categoria estetica del neoclassicismo è stata sempre e solo una: il bello. Il bello è
qualcosa che deve ispirare sensazioni estetiche piacevoli, gradevoli, e per far ciò deve
nascere dalla perfezione delle forme, dalla loro armonia, regolarità, equilibrio,
eccetera. Il bello, già dalle sue prime formulazioni teoriche presso gli antichi greci,
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conserva al suo fondo una regolarità geometrica che è il frutto della capacità umana di
immaginare e realizzare forme perfette. Pertanto, nella concezione propriamente
neoclassica, il bello è la qualità specifica dell’’operare umano. La natura non produce
il bello, ma produce immagini che possono ispirare due sentimenti fondamentali: il
pittoresco o il sublime.
Il sublime conosce la sua prima definizione teorica grazie a E. Burke, nel 1756, con
un saggio dal titolo: Ricerca filosofica sulla origine delle idee del sublime e del bello.
Burke considera il bello e il sublime tra loro opposti. Il sublime non nasce dal piacere
della misura e della forma bella, né dalla contemplazione disinteressata dell’’oggetto,
ma ha la sua radice nei sentimenti di paura e di orrore suscitati dall’’infinito, dalla
dismisura, da «tutto ciò che è terribile o riguarda cose terribili» (per es. il vuoto,
l’’oscurità, la solitudine, il silenzio, ecc.; riprendendo questi esempi Kant dirà: sono
sublimi le alte querce e belle le aiuole; la notte è sublime, il giorno è bello).
Immanuel Kant approfondisce il significato del sublime. Il sublime non deriva, come
il bello, dal libero gioco tra sensibilità e intelletto, ma dal conflitto tra sensibilità e
ragione. Si ha pertanto quel sentimento misto di sgomento e di piacere che è
determinato sia dall’’assolutamente grande e incommensurabile (la serie infinita dei
numeri o l’’illimitatezza del tempo e dello spazio: sublime matematico), sia dallo
spettacolo dei grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali che suscitano nell’’uomo il
senso della sua fragilità e finitezza (sublime dinamico).
Il pittoresco è una categoria estetica che trova la sua prima formulazione solo alla fine
del Settecento grazie ad U. Price, che nel 1792 scrisse: Un saggio sul pittoresco,
paragonato al sublime e al bello. Tuttavia la sua prima comparsa nel panorama
artistico è rintracciabile già agli inizi del Settecento, soprattutto nella pittura inglese, e
poi nel rococò francese. Il pittoresco rifiuta la precisione delle geometrie regolari per
ritrovare la sensazione gradevole nella irregolarità e nel disordine spontaneo della
natura.
Il pittoresco è la categoria estetica dei paesaggi. Tutta la pittura romantica di
paesaggio conserva questa caratteristica. Essa, nel corso del Settecento, ispirò anche il
giardinaggio, facendo nascere il cosiddetto giardino «all’’inglese». L’’arte del
giardinaggio, nel corso del rinascimento e del barocco, aveva prodotto il giardino
«all’’italiana», ossia una composizione di elementi vegetali (alberi, siepi, aiuole) e
artificiali (vialetti, scalinate, panchine, padiglioni, gazebi) ordinati secondo figure
geometriche e regolari. Il giardino «all’’inglese» rifiuta invece la regolarità geometrica
e dispone ogni cosa in un’’apparente casualità. Divengono elementi caratteristici di
questo tipo di giardino: i vialetti tortuosi, i dislivelli, le pendenze, la disposizione
irregolare degli arbusti. Ed un altro elemento caratteristico del giardino «all’’inglese»
è la falsa rovina.
Il sentimento della rovina è tipico della poetica romantica. Le rovine ispirano la
sensazione del disfacimento delle cose prodotte dall’’uomo, dando allo spettatore la
commozione del tempo che passa. Le testimonianze delle civiltà passate, pur se
vengono aggredite dalla corrosione del tempo, rimangono comunque presenti in
questi rovine del passato. E la rovina, per lo spirito romantico, è più emozionante e
piacevole di un edificio, o di un manufatto, intero. Ovviamente, nell’’arte del
giardinaggio, pur in mancanza di rovine autentiche, ci si accontentava di false rovine.
Ossia di copie di edifici o statue del passato riprodotte allo stato cadente.
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La rivalutazione dei sentimenti e delle passioni
Uno dei tratti più caratteristici del romanticismo è la rivalutazione del lato passionale
ed istintivo dell’’uomo. Questa tendenza porta a ricercare le atmosfere buie e
tenebrose, il mistero, le sensazioni forti, l’’orrido ed il pauroso. L’’artista romantico ha
un animo ipersensibile, sempre pronto a continui turbamenti. L’’artista non si sente più
un borghese ma inizia a comportarsi sempre più in modo anticonvenzionale. In alcuni
casi sono decisamente asociali e amorali. Sono artisti disperati e maledetti che
alimentano il proprio genio di trasgressioni ed eccessi.
L’’artista romantico è un personaggio fondamentalmente pessimista. Vive il proprio
malessere psicologico con grande drammaticità. E il risultato di questo atteggiamento
è un arte che, non di rado, ricerca l’’orrore, come in alcuni quadri di Gericault che
raffigurano teste di decapitati o nelle visioni allucinate di Goya quali «Saturno che
divora i figli».
L’’arte romantica riscopre anche la sfera religiosa, dopo un secolo, il Settecento, che
era stato fortemente laico ed anticlericale. La riscoperta dei valori religiosi era iniziata
già nel 1802 con la pubblicazione, da parte di Chateaubriand, de Il genio del
Cristianesimo. Negli stessi anni iniziava, soprattutto in Germania, grazie a von
Schlegel e Schelling, una concezione mistica ed idealistica dell’’arte intesa come dono
divino. L’’arte deve scoprire l’’anima delle cose, rivelando concetti quali il sentimento,
il religioso, l’’interiore. Il primo pittore a seguire queste indicazioni fu il tedesco C. D.
Friedrich.
Questo interesse per la dimensione della interiorità e della spiritualità umana portò, in
realtà, il romanticismo a preferire linguaggi artisti non figurativi, come la musica e la
letteratura o la poesia. Queste, infatti, sono le arti che, più di altre, incarnano lo spirito
del romanticismo.
La riscoperta del Medioevo
Sono diversi i motivi che portarono la cultura romantica a rivalutare il medioevo. Le
motivazioni principali sono fondamentalmente tre:
1. il medioevo è stato un periodo mistico e religioso
2. nel medioevo si sono formate le nazioni europee
3. nel medioevo il lavoro era soprattutto artigianale.
Nel medioevo la religione aveva svolto un ruolo fondamentale per la società del
tempo. Forniva le coordinate non solo morali, ma anche esistenziali. Allo spirito della
religione era improntata tutta l’’esistenza umana. Questo aspetto fa sì che, nel
romanticismo, si guardi al medioevo come ad un’’epoca positiva perché pervasa da un
forte misticismo e spiritualità.
Inoltre, la rivalutazione del medioevo nasceva da un atteggiamento polemico sul
piano politico. È da ricordare, infatti, che il neoclassicismo, nella sua ultima fase, era
divenuto lo stile di Napoleone e del suo impero. Di una entità politica, cioè, che aveva
cercato di eliminare le varie nazioni europee per fonderle in un unico stato. Il crollo
dell’’impero napoleonico aveva significato, nelle coscienze europee, soprattutto la
rivalutazione delle diverse nazionalità che, nel nostro continente, si erano formate
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proprio nel medioevo con il crollo di un altro impero sovranazionale: quello romano.
Il neoclassicismo, nella sua perfezione senza tempo, aveva cercato di sovrapporsi alle
diversità locali. Il romanticismo, invece, vuole rivalutare la diversità dei vari popoli e
delle varie nazioni e quindi guarda positivamente a quell’’epoca in cui la diversità
culturale si era formata in Europa: il medioevo.
Il terzo motivo di rivalutazione del medioevo nasce da un atteggiamento polemico nei
confronti della rivoluzione industriale. Alla metà del Settecento le nuove conquiste
scientifiche e tecnologiche avevano permesso di modificare sostanzialmente i mezzi
della produzione, passando da una fase in cui i manufatti erano prodotti
artigianalmenti, ad una fase in cui venivano prodotti meccanicamente con un ciclo
industriale. La nascita delle industrie rivoluzionò molti aspetti della vita sociale ed
economica. Permise di produrre una quantità di oggetti notevolmente superiore, ad un
costo notevolmente inferiore. Tuttavia, soprattutto nella sua prima fase, la produzione
industriale portò ad un peggioramente della qualità estetica degli oggetti prodotti.
Questa conseguenza fu avvertita soprattutto dagli intellettuali inglesi che, verso la
metà dell’’Ottocento, proposero un rifiuto delle industrie per un ritorno all’’artigianato.
Il lavoro artigianale, secondo questi intellettuali, consentiva la produzione di oggetti
qualitativamente migliori, ed inoltre arricchiva il lavoratore del piacere del lavoro,
cosa che nelle industrie non era possibile. Le industrie, con il loro ciclo ripetitivo
della catena di montaggio, non creavano le possibilità per un lavoratore di amare il
proprio lavoro, con la conseguenza della sua alienazione e dell’’impoverimento
interiore.
Sorsero così, in Inghilterra, delle scuole di arte applicata e di mestieri, dette «Arts and
Crafts». In queste scuole venivano prodotti manufatti in modo rigorosamente
artigianale ma che finivano per costare notevolmente in più rispetto alle analoghe
merci prodotte dalle industrie. Tendenzialmente erano quindi destinate ad un pubblico
ricco e di élite. E quindi non più alla portata proprio della classe operaia che, dalla
rivoluzione industriale, aveva tratto il beneficio di poter acquistare un maggior
numero di oggetti perché più economici.
La risposta ai mali della rivoluzione industriale data dai movimenti di «Arts and
Crafts» era anacronistica. E l’’illusione di poter sostituire le industrie con l’’artiginato
si rivelò fallimentare. La giusta soluzione, alla qualità della produzione industriale, fu
data solo alla fine del secolo dalla cultura che si sviluppò nell’’ambito del Liberty. La
soluzione fu la definizione di una nuova specificità estetica, il design industriale, che
avrebbe portato ad una nuova figura professionale: il designer.
Parallelamente ai movimenti di «Arts and Crafts» sorse in Inghilterra un movimento
pittorico che diede una ultima interpretazione del Romanticismo, nella seconda metà
dell’’Ottocento: i Preraffaelliti. Il gruppo, animato da Dante Gabriel Rossetti, si
ripropose, anche nel nome, di far rivivere la pittura medievale sviluppatasi appunto
prima di Raffaello.
Il romanticismo italiano
Il romanticismo italiano è un fenomeno che ha tratti caratteristici diversi dal
romanticismo europeo. Le tensioni mistiche sono del tutto assenti, così come è
assente quel gusto per il tenebroso e l’’orrido che caratterizza molto romanticismo
nordico. Queste diversità hanno fatto ritenere che l’’Italia non abbia avuto una vera e
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propria arte romantica ma solo una imitazione del vero romanticismo nordico. Se la
questione appare oggi superata, ciò che interessa è capire in che cosa si può
individuare un’’esperienza romantica nell’’arte italiana dell’’Ottocento.
È da premettere che, in Italia, il romanticismo coincide cronologicamente con quella
fase storica che definiamo Risorgimento. Ossia il periodo, compreso tra il 1820 e il
1860, in cui si realizzò l’’unità d’’Italia. Questo processo di unificazione fu
accompagnato da molti fermenti che coinvolsero non solo la sfera politica e
diplomatica ma anche la cultura del periodo. I contenuti culturali furono indirizzati al
risveglio della identità nazionale e alla presa di coscienza dell’’importanza della
unificazione. Secondo le coordinate del romanticismo, che in tutta Europa rivalutava
le radici delle identità nazionale, il riferimento storico divenne il medioevo. E così
anche l’’Italia, che pure aveva vissuto periodi storici più intensi e pregnanti proprio in
età classica con l’’impero romano, si rivolse al medioevo per ritrovarvi quegli episodi
che ne indicassero l’’orgoglio nazionale.
Questo impegno civile e politico unifica tutte le arti del romanticismo italiano, dalla
letteratura alla pittura, dalla musica al melodramma, eccetera. Ma l’’arte che più di
ogni altra si affermò nel romanticismo italiano fu soprattutto la letteratura, grazie ad
Alessandro Manzoni e al suo romanzo I promessi sposi. Questo predominio della
letteratura sulle arti visive è stata una costante di tutta la successiva cultura italiana
dell’’Ottocento, determinando non poco il ritardo culturale che l’’Italia accumulò nel
campo delle arti visive rispetto alle altre nazioni europee, e alla Francia in particolare.
I due principali temi in cui si esprime la pittura romantica italiana è la pittura di storia
e la pittura di paesaggio. Nel primo tema abbiamo il maggior contributo pittorico
all’’idea risorgimentale dell’’unità nazionale. E la pittura di storia, coerentemente a
quanto detto prima, rappresenta sempre episodi tratti dalla storia del medioevo quali
la Disfida di Barletta, i Vespri siciliani, eccetera. Ma lo fa con spirito che denota la
succube dipendenza dalla letteratura, tanto che questi quadri hanno un carattere
puramente illustrativo e didascalico. Protagonisti di questa pittura di storia sono stati
il milanese Francesco Hayez, il fiorentino Giuseppe Bezzuoli, il piemontese Massimo
D’’Azeglio.
Nel genere del paesaggio il romanticismo italiano trovò invece una sua maggiore
autonomia ed ispirazione che la posero al livello delle coeve esperienze pittoriche che
si stavano svolgendo in Europa. Anche per la diversità geografica tra l’’Italia e
l’’Europa del nord i paesaggi italiani non sono mai caratterizzati da quella atmosfera a
volte tenebrosa e a volte inospitale del paesaggio nordico. Ma il paesaggio italiano si
presenta più luminoso, più gradevole, più caratterizzato da un pittoresco accogliente e
piacevole. La pittura di paesaggio italiana ha soprattutto due grandi protagonisti:
Giacinto Gigante a Napoli, esponente principale della locale Scuola di Posillipo, e
Antonio Fontanesi a Torino.
La vicenda del romanticismo italiano tende a prolungarsi fin quasi alla fine del secolo
collegandosi, in alcuni casi, direttamente con la pittura divisionista. Nell’’ambito del
romanticismo italiano, un posto a sé lo occupa un altro movimento, detto
«Scapigliatura», sviluppatosi a Milano nell’’immediato periodo dopo l’’unità d’’Italia.
La Scapigliatura si sviluppa sulle suggestioni di un altro originale pittore romantico,
la cui attività si è svolta a Milano: Giovanni Carnovali, detto il Piccio.
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Théodore Gericault
Théodore Gericault (1791-1824) svolse le sue prime esperienze pittoriche
nell’’ambiente neoclassico francese che in quegli anni era influenzato dalle figure di
David e Ingres. Dopo un periodo di soggiorno a Roma, dove ebbe modo di studiare le
opere di Michelangelo e di Caravaggio, fece ritorno a Parigi, nel 1817, dove conobbe
Delacroix. In quegli anni realizzò il suo quadro più famoso: «La zattera della
Medusa», che fu esposto nel Salone d’’Autunno del 1819 ricevendo aspre critiche.
Negli anni successivi, il suo interesse per un naturalismo nudo e crudo lo portò a
prediligere temi dal gusto macabro, quali le teste dei decapitati o i ritratti di pazzi e
alienati mentali rinchiusi nei manicomi. Di carattere molto introverso, Gericault
rappresenta già il prototipo del successivo artista romantico: amorale e asociale,
disperato e maledetto, che alimenta il proprio genio di eccessi e trasgressioni. Il gusto
per l’’orrido e il rifiuto della bellezza dà immediatamente il senso della sua poetica:
un’’arte che non vuole essere facile e consolatoria ma che deve scuotere i sentimenti
più profondi dell’’animo umano, proponendogli immagini raccapriccianti. La sua vita
si concluse nel 1824, a soli 33 anni. La sua eredità, in campo figurativo, fu presa
soprattutto dall’’amico Eugene Delacroix.
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Theodore Gericault, La zattera della Medusa, 1818
Il quadro di Gericault, la zattera della Medusa, prende spunto, nel suo soggetto, da un
fatto di cronaca successo nel 1816: l’’affondamento della nave francese Medusa. Gli
occupanti della nave si rifugiarono su una zattera che rimase abbandonata alle onde
del mare per diverse settimane. Gli sfortunati occupanti di quella zattera vissero una
esperienza terribile che condusse alla morte la gran parte di loro. Solo una quindicina
di uomini furono tratti in salvo da una nave di passaggio, dopo che su quella zattera
era avvenuto di tutto, anche fenomeni di cannibalismo. L’’episodio colpì molto
l’’immaginazione di Gericault che, immediatamente, si mise al lavoro per la
realizzazione di questa che rimane la sua opera più famosa.
Bisogna ricordare il periodo storico in cui è nata questa tela. La Francia era appena
uscita da una esperienza storica che l’’aveva profondamente segnata: prima la
Rivoluzione e poi l’’impero napoleonico. Napoleone, nel 1815, a Waterloo era stato
definitivamente sconfitto e confinato nell’’isola di Sant’’Elena. Nel 1816, con il
Congresso di Vienna, gli stati europei avevano ripristinato la situazione geo-politica
antecedente la Rivoluzione Francese. Tutto ciò che era successo con questa
esperienza francese sembrava definitivamente cancellato con un colpo di spugna.
Lo stato d’’animo dei francesi, in quegli anni, era soprattutto di sconforto e di
delusione. Sentimenti originati dalla constatazione che ciò che essi avevano fatto non
era servito a nulla. Il senso di disagio e di deriva finiva per rispecchiarsi direttamente
in un quadro che rappresentava appunto un naufragio. Così, volutamente o
casualmente, la zattera della Medusa divenne la metafora di un naufragio che,
simbolicamente, vedeva coinvolta tutta la nazione francese. Se «Il giuramento degli
Orazi» di David rappresenta la Francia prima della Rivoluzione, «La zattera della
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Medusa» dà l’’immagine psicologica della Francia dopo che la Rivoluzione si è
conclusa con il fallimento dell’’impero.
Il quadro di Gericault, dunque, usa un episodio di cronaca quotidiana per esprimere
un contenuto preciso: la vita umana in bilico tra speranza e disperazione.
Formalmente il quadro è costruito secondo il classico sviluppo piramidale. Nel
quadro di Gericault le piramidi sono in realtà due ed esprimono due direzioni che si
incrociano tra loro opponendosi. La prima piramide parte dall’’uomo morto in basso a
sinistra ed ha il vertice nell’’uomo che, di spalle, sta agitando un panno. È la direzione
umana cha va dalla disperazione, di coloro che sono morti, alla speranza di chi ha
ancora la forza di agitarsi con la speranza di essere visto da qualcuno che vada a
salvarli. La seconda piramide parte dalle onde del mare per giungere all’’albero che
sorregge la vela. Questa è la direzione del mare che spinge in direzione opposta
rispetto alla direzione delle speranze umane. È proprio la tensione visibile tra queste
due forze opposte a dare un primo tratto drammatico alla scena.
Nei primi studi, preliminari alla realizzazione finale del quadro, Gericault mise una
nave all’’orizzonte nella direzione in cui guarda l’’uomo che agita il panno. La
presenza della nave all’’orizzonte dava in realtà la sensazione del lieto fine. La
sensazione che oramai, per i sopravvissuti, la brutta avventura stava per volgere
all’’epilogo. Ciò comportava lo scioglimento della tensione psicologica.
Nella stesura definitiva la nave all’’orizzonte scompare, proprio per aumentare il senso
del phatos. Chi guarda non sa come la vicenda andrà a finire e quindi deve cogliere la
sensazione drammatica di chi ancora non sa se verrà salvato o meno. E lo spettatore
non può saperlo, anche perché vede lo stesso orizzonte che guarda l’’uomo che agita il
panno. Se la composizione fosse stata ruotata di 180 gradi, e l’’uomo guardava verso
lo spettatore del quadro, avrebbe idealmente chiesto a lui aiuto. In questo caso si
sarebbe aumentato il senso di pietà da parte dello spettatore nei confronti di chi, dal
quadro, gli chiedeva aiuto. Invece, vedendo l’’uomo di spalle, è costretto a
compenetrarsi nel suo punto di vista. E all’’orizzonte di quel punto di vista lo
spettatore non vede, e non potrebbe vedere, nulla. Così che deve vivere totalmente il
dubbio dell’’uomo che non sa quale sarà il finale, la morte o la salvezza, che lo
aspetta.
In quest’’opera, di altissima tensione drammatica, Gericault usa più riferimenti alla
storia dell’’arte. L’’atmosfera e i contrasti luministici rimandano inevitabilmente a
Caravaggio. Anche il braccio abbandonato nell’’acqua, dell’’uomo morto in basso a
sinistra, è copiato da Caravaggio. Lo stesso braccio che copiò David nella «Morte di
Marat». Le figure hanno una tensione muscolare, e una torsione, che rimandano
immediatamente a Michelangelo. Le figure in basso a sinistra, del ragazzo morto e
del padre che lo sorregge pensoso, sembrano due statue greche. Da notare il
particolare del ragazzo che, benché nudo, ha le calze arrotolate ai piedi. Questo
particolare, di crudo realismo, sgombera il campo da qualsiasi lettura mitologica o
idealizzata. Quelle calze, così comuni e banali, danno il senso tragico della umanità
violata, ossia della morte vera che spegne le persone vere in carne ed ossa.
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Theodore Gericault, La zattera della Medusa, 1818
Il bozzetto della Zattera è molto interessante e ci rivela molti indizi per comprendere
l’’evoluzione verso la stesura definitiva del quadro. Il motivo delle due diagonale
contrapposte era già presente ma il progetto iniziale, come già detto, prevedeva una
nave all’’orizzonte verso la quale i naufraghi facevano segnali per farsi notare. Questa
nave scompare nella versione finale, e, se si guarda attentamente il quadro definitivo,
si nota che lì dove doveva apparire la nave vi è un’’onda che si solleva sulla linea
d’’orizzonte. Probabile quindi che la scelta di non far apparire la nave sia stata presa
proprio all’’ultimo momento, quando essa era già stata abbozzata sulla tela definitiva e
quell’’onda all’’orizzonte è servita proprio per cancellare la figura del vascello. In
effetti il gruppo che si agita non ha motivo di compiere una simile azione se
all’’orizzonte non c’’è nulla: ma qui sta l’’effetto di suspense voluto da Gericault, per
toglierci il lieto fine ed amplificare il senso di disperazione di chi sta naufragando in
mare. Un altro elemento di differenza che si nota è la mancanza, nel bozzetto,
dell’’ultima figura sulla sinistra in basso, quella per la quale posò Delacroix. Ciò ci dà
ulteriore conferma della introduzione di questa figura proprio per la precisa richiesta
di Delacroix, il quale, entusiasta del progetto che andava realizzando l’’amico, chiese
di poter partecipare anche lui alla definizione del quadro.
9
Theodore Gericault, Teste di giustiziati, 1818
Questo esempio di gusto macabro, tra i più orridi presenti nella storia dell’’arte, furono
studi realizzati da Gericault per la realizzazione della zattera. La scelta di studiare
frammenti anatomici, per le potenzialità espressive che se ne potevano trarre, ci
rivelano alcuni aspetti precisi sulla psiche di Gericault, che di sicuro anticipa molti
dei tratti più introversi e drammatici che ritroviamo nei successivi artisti romantici, e
non solo pittori.
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Theodore Gericault, Alienata monomane del gioco, 1822
Altra ricerca al limite dell’’ossessivo fu quella che Gericault condusse sui pazzi.
Questa è solo una delle diverse tele che l’’artista dedicò ai malati di mente, in uno
studio teso a ritrovare nella inespressività degli alienati le linee di confine tra l’’umano
e ciò che non è più tale.
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Eugène Delacroix
Eugène Delacroix (1798-1863) è il pittore che più di ogni altro ha interpretato il
romanticismo in Francia. Dopo una formazione giovanile presso il pittore neoclassico
Guerin, entrò in contatto con Gericault per il quale posò nella «Zattera della
Medusa». Suggestionato dalla pittura di Michelangelo e di Rubens, sviluppò la sua
pittura in due direzioni fondamentali: il colore espressivo, sul versante formale, ed i
soggetti esotici, sul versante poetico. Partecipò per la prima volta al Salone
d’’Autunno nel 1822 con il quadro «La barca di Dante» che mostra una diretta
connessione con le suggestioni letterarie del romanticismo. Di due anni dopo è la tela
«Il Massacro di Scio» che illustra un episodio della guerra di liberazione dei greci dai
turchi. Il crudo realismo e la singolare forza espressiva testimoniano che Delacroix si
pone come artista impegnato sui problemi del suo tempo. Ma il quadro che più
rappresenta questo suo aspetto è la tela «La Libertà che guida il popolo» del 1830.
Delacroix si schiera apertamente dal lato degli oppressi che insorgono per rivendicare
una nuova importanza sociale e politica. Dopo questo periodo, anche per via di suoi
viaggi in Marocco e in Spagna, la pittura di Delacroix si porta su soggetti sempre più
esotici, quali «Le donne di Algeri», per poi passare a soggetti più legati alla storia.
L’’importanza di Delacroix nella pittura francese dell’’Ottocento è notevole soprattutto
per gli sviluppi successivi. Egli, molto suggestionato dagli effetti cromatici dei quadri
dell’’inglese Constable, inizia a sperimentare quella divisione dei colori che sarà il
motivo fondamentale di tutta la successiva esperienza impressionista e neoimpressionista. Benché usi una tavolozza di molteplici colori, sia puri sia smorti, la
sua tecnica si basa sull’’esaltazione cromatica data dall’’accostamento di tinte e toni
diversi secondo il principio del contrasto luministico.
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Eugene Delacroix, La libertà guida il popolo, 1830
Questa tela di Delacroix ha tanti riferimenti visivi e compositivi alla «Zattera della
Medusa» che non si può parlare di questo quadro se prima non lo si confronta con la
tela di Gericault. La composizione ha lo stesso sviluppo piramidale, però in questo
caso il gruppo ha un orientamento ruotato di 180 gradi. Nella «Zattera» l’’uomo che fa
da vertice alla piramide guarda verso l’’orizzonte interno al quadro, nella «Libertà che
guida il popolo» il vertice della piramide, la donna con la bandiera, guarda verso lo
spettatore. Questa rotazione ribalta completamente il senso del contenuto: nella
«Zattera» il contenuto è pessimistico; nella «Libertà che guida il popolo» il contenuto
è ottimista. Nel primo caso, infatti, la «Zattera» esprime il senso di sconforto che è la
nota dominante della Francia nel 1818: una nazione che ha perso una rivoluzione ed
un impero. Nel 1830 un’’altra rivoluzione, meno cruenta, si è svolta: i parigini sono
ritornati sulle barricate e ciò significa che hanno ritrovato fiducia in sé. Sono quindi
ispirati da ottimismo.
Nel quadro di Gericault lo spettatore è portato a guardare nella stessa direzione verso
la quale guarda l’’uomo che agita il panno. E, come lui, anche lo spettatore non vede
nulla all’’orizzonte. Il quadro, quindi, gioca sul dubbio per ispirare ansia ed angoscia.
Nel caso della «Libertà che guida il popolo» la donna guarda verso lo spettatore.
Conduce la sua marcia per coinvolgerlo nella sua azione. Il quadro ha quindi una
funzione esortatrice tesa ad ispirare sentimenti di forza e di giusta ribellione.
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Da considerare inoltre che il quadro di Gericault usa questa rappresentazione così
intensa e drammatica utilizzandola come metafora. Il naufragio della Medusa è la
metafora del naufragio della Francia e delle idee rivoluzionarie di libertà, uguaglianza
e fraternità. La «Libertà che guida il popolo» non è una metafora ma una allegoria.
Usa cioè una immagine, quella della donna con la bandiera in mano, per visualizzare
un sentimento.
Vi è infine un particolare, che Delacroix usa quasi come citazione, per dichiarare
apertamente la sua derivazione dall’’opera di Gericault: nel suo quadro l’’uomo ucciso
in basso a sinistra ha le calze ai piedi. Lo stesso particolare che ritroviamo nel
giovane morto della «Zattera». Da ricordare che Delacroix aveva posato per l’’amico
Gericault quando questi aveva realizzato la sua grande tela. L’’uomo con la barba in
basso a sinistra della zattera, con il braccio destra semi-immerso nell’’acqua, è
appunto Delacroix.
Ricordiamo, infine, che il soggetto del quadro fu ispirato dalle reali vicende storiche
che si svolsero in Francia in quegli anni. Dopo la caduta di Napoleone, con il
Congresso di Vienna, la Francia venne restituita alla monarchia borbonica di Luigi
XVIII che fu re dal 1816 al 1824. Nel 1824 gli successe Carlo X, la cui monarchia dal
carattere assolutistico finì per suscitare nuovi sentimenti di ribellione. Egli, infatti, fu
destituito nel 1830 con la rivoluzione di luglio. Ed è questo l’’episodio che diede a
Delacroix lo spunto per il suo quadro. Abbattuta la monarchia borbonica si instaurò in
Francia una monarchia costituzionale che fu affidata a Luigi Filippo d’’Orleans.
Ciò, dunque, che contraddistingue il romanticismo francese di Gericault e Delacroix,
è questa aderenza agli episodi della loro storia contemporanea, senza far ricorso a
metafore storiche tratte dal medioevo. Questa tendenza tutta francese, di legare la
pittura alla storia del presente e non del passato, è una costante che attraversa tutta
l’’arte dell’’Ottocento francese, anche quando si affermò il realismo, l’’impressionismo
e il post impressionismo.
14
Eugene Delacroix, La barca di Dante, 1822
L'ispirazione alla letteratura del medioevo è una costante di tutta l'arte romantica, ed
ovviamente anche Dante, con la sua Divina Commedia, è una fonte d'ispirazione
notevole. In questo quadro Delacroix rappresenta il momento, descritto nel III terzo
canto dell'Inferno in cui Dante e Virgilio attraversano il fiume Acheronte sulla barca
di Caronte. Alla barca cercano di aggrapparsi le anime dei dannati, per poter giungere
il più presto possibile al luogo loro destinato. Durante il guado un terremoto
improvviso scuote la terra e fa apparire in lontananza "una luce vermiglia". Lo
spavento fu così forte per il poeta che cadde svenuto, e si ritrovò, senza accorgersi,
sull'altra riva del fiume infernale. Delacroix rende la scena con tratti di forte
drammaticità, cercando di suscitare una violenta emozione nello spettatore che guarda
il quadro. Il riferimento alla Zattera della Medusa di Gericault è fin troppo evidente, e
non mancano elementi stilistici, soprattutto nel trattamento vigoroso dei nudi, che
rimandano a Michelangelo e a Rubens.
15
Eugene Delacroix, Massacro di Scio, 1824
L'episodio raffigurato nel quadro rimanda ad un episodio storico realmente avvenuto
in quegli anni. Siamo nel 1822 e la Grecia, dall'anno precedente, è in guerra contro la
Turchia per conquistare la propria indipendenza. In quest'isola i turchi, per
rappresaglia contro i greci, compirono un massacro feroce, trucidando circa ventimila
persone e deportando i superstiti come schiavi. L'episodio di feroce barbaria fece
scalpore in Europa, suscitando indignazione soprattutto negli ambienti romantici che
parteggiavano per la causa greca. Di qui la scelta di Delacroix di dedicare un quadro
all'avvenimento, per usare la sua pittura come spunto di denuncia contro gli orrori
della guerra.
16
Eugene Delacroix, La morte di Sardanapalo, 1827-28
Sardanapalo, meglio noto con il nome di Assurbanipal, vissuto tra il 668 e il 626 a.C.,
fu l'ultimo grande re assiro. Secondo la leggenda, egli, assediato dai rivoltosi che
cercavano di rovesciare il suo potere, resosi conto della imminente sconfitta, decise di
morire con tutte le sue concubine, i suoi schiavi, i suoi cani e i suoi cavalli preferiti.
Quindi, dopo che gli uomini ebbero sgozzate le donne, il coppiere del re appiccò il
fuoco alla pira che avrebbe bruciato tutto. La storia è ovviamente di grande
drammaticità e Delacroix la rappresenta con una composizione molto ardita e
dinamica. Lo sviluppo formale avviene secondo la diagonale che va dall'angolo
inferiore sinistro all'angolo superiore destro. Al sommo di questa diagonale, sdraiato
su un grande letto, vi è il re, che osserva senza scomporsi la cruenta scena che gli si
presenta, in attesa dell'imminente fine. Su tutto domina il colore rosso, che come
squilli violenti, appare tra i toni gialli e quelli verdi cupi, per enfatizzare la sensualità
drammatica che l'immagine trasmette.
17
Eugene Delacroix, Donne di Algeri, 1834
Il quadro è uno degli esempi più noti di quella moda legata al fascino dell'oriente
arabo, che ritroviamo in Europa nella prima metà dell'Ottocento. È uno dei tanti
momenti compresi nel termine "esotismo", ad indicare suggestioni che l'ambiente
culturale europeo prendeva da altre culture non europee. In seguito giunsero altri
"esotismi" ad entusiasmare gli intellettuali ed artisti europei, quali l'arte del Giappone
o delle culture primitive africane, ma in questo momento è soprattutto quel mondo
arabo sensuale e raffinato da "Mille e una notte" ad incuriosire e attirare gli artisti
europei, e non solo di formazione romantica come ci è attestato dalla produzione di
Ingres. Delacroix effettuò nel 1832 un viaggio in Africa dove visitò il Marocco e
l'Algeria. Proprio in quest'ultimo paese ebbe l'opportunità di visitare segretamente
l'harem di un importante funzionario arabo. E qui prese lo spunto per il quadro
"Donne d'Algeri", che gli serve per rappresentare tutta la carica di indolente
sensualità colta non solo negli atteggiamenti delle donne, ma anche nei tessuti, nelle
raffinate decorazioni, nei profumi e così via. Il quadro, a differenza di altre opere di
Delacroix, non suscitò scandalo, ma ebbe un'accoglienza entusiastica al Salone e fu
acquistato dal re Luigi Filippo, benché Delacroix non fosse intenzionato a venderlo.
18
Friedrich
Friedrich (1774-1840) è il pittore tedesco che per primo entrò nel clima del
romanticismo tedesco. La Germania ebbe un ruolo fondamentale nella definizione
delle teorie romantiche sia grazie ai movimenti letterari quali lo «Sturm and Drung»
sia grazie all’’opera di alcuni pensatori e filosofi quali von Schlegel e Schelling. Ma
l’’arte romantica per eccellenza della Germania fu soprattutto la musica che ebbe
come massimo interprete Ludwig van Beethoven.
Friedrich è interessato, nella poetica del romanticismo, soprattutto al lato mistico
della natura. La prima opera che lo rese noto fu la «Croce sulla montagna» o pala di
Tetschen, del 1808. Questa pala d’’altare è composta unicamente da un paesaggio di
montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse
essere un immagine religiosa è una grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del
tempo. In essa, tuttavia, è chiaramente avvertibile una suggestione religiosa data dallo
spettacolo della natura, intesa come opera divina, in cui la presenza della croce serve
principalmente ad elevare il nostro pensiero a Dio.
Questi paesaggi di Friedrich sono lo spettacolo della natura ma servono anche a
misurare la piccolezza dell’’uomo nel confronto con tale vastità di orizzonti. E la
categoria che più sfrutta questa pittura è proprio il sublime, così come lo aveva
definito Kant: quel sentimento misto di sgomento e di piacere che è determinato
dall’’assolutamente grande e incommensurabile.
Il sentimento panico della natura, sede dell’’infinito che ci riporta a Dio, è la maggiore
caratteristica di Friederich. Ed è ciò che lo distingue da altre tendenze romantiche
anche tedesche e di ispirazione religiosa, quali i Nazareni, che invece perseguirono
una immagine della religione e della fede più aderente ai modelli letterari e medievali.
Friedrich, nel cercare Dio solo nella sua creazione, è sicuramente più originale
ponendosi come il maggior pittore romantico tedesco.
19
C. D. Friedrich, Il viaggiatore sopra il mare di nebbia, 1818
In questo quadro di Friedrich, forse tra i suoi il più famoso e anche quello più
sfruttato, si avverte immediatamente la poetica del pittore. Il sublime, ossia il senso
della natura possente e smisurata, viene qui presentato con una evidenza da teorema
matematico. Su una roccia di origine vulcanica un uomo, raffigurato di spalle,
ammira il panorama che gli si apre davanti. La nebbia che gli è innanzi è quasi come
un mare da cui emergono come isole le cime delle montagne. Non vi è vegetazione
che crea angoli accoglienti. Le rocce sono nere e inospitali. Emergono dai fumi di una
nebbia che sembra quasi il vapore che sprigiona la terra dal suo interno.
Il paesaggio ha qualcosa di così arcaico che sembra di ammirare la Terra subito dopo
la Creazione. L’’uomo che ammira questo spettacolo ci dà il confronto tra la
piccolezza della dimensione umana e la vastità dell’’opera della natura. È raffigurato
di spalle così che lo spettatore del quadro deve condividere il suo punto di vista e
compenetrarsi nel suo stato d’’animo. Lo stato d’’animo, cioè, di chi avverte dentro di
sé il sentimento del sublime: meraviglia e quasi sgomento di fronte all’’immensità
dell’’universo.
20
C. D. Friedrich, La croce sulla montagna, 1808
Il dipinto è in realtà una pala d'altare realizzata per la cappella privata del Castello di
Tetschen in Boemia. È l'opera che rivelò la personalità artistica di Friedrich. La pala
non mancò di suscitare polemiche, in quanto nessuno aveva mai pensato di collocare
un paesaggio su un altare. Tuttavia è innegabile che il quadro trasmette una carica
mistica, e non solo per la croce raffigurata tra gli alberi, ma anche per il senso di
maestosità silenziosa che questa cima di montagna comunica. L'idea di unire il tema
della natura con quello del sacro è sicuramente uno dei segni più chiari del passaggio
da un clima culturale di impronta neoclassica al nuovo clima romantico.
21
C. D. Friedrich, Abbazia nel querceto, 1809
In quest'opera di Friedrich si coglie un tema molto caro allo spirito romantico: la
visione delle rovine con tutto il loro fascino legato al senso del tempo che passa. In
una luce, che ricorda un'alba nordica, si intravedono degli alberi scheletrici e un muro
con una finestra in stile gotico, ultimo resto di un'antica abbazia distrutta e
trasformata in cimitero. In basso si intravedono dei monaci con una bara sulle spalle,
che stanno probabilmente accingendosi a seppellire un loro confratello morto. Il tema
delle rovine non è infrequente nella pittura settecentesca di periodo preromantico,
basti ricordare artisti quali Gian Paolo Panini o Hubert Robert. Ma qui non è il gusto
dello scenografico ad ispirare l'opera di Friedrich, bensì il senso della morte e del
disfacimento, che non riguarda solo le persone, ma anche le cose che loro fanno, quali
gli edifici, che sembrano dover sfidare i tempi ed invece anch'esse inesorabilmente si
polverizzano. Un lavoro lento che compiono il tempo e la natura, quest'ultima quasi
inesorabile nel riprendersi le pietre e i materiali che le erano stati tolti per plasmare
gli edifici.
22
C. D. Friedrich, Un uomo e una donna davanti alla luna, 1819
Anche il chiaro di luna è un tema molto caro ai romantici, e non poteva mancare nel
campionario delle immagini dipinte da Friedrich. In questo quadro il paesaggio
notturno si trasforma in una massa scura nella quale si insinua il controluce della luna
a delineare le silhouette molto espressive degli alberi e dei due spettatori raffigurati
nella scena.
23
C. D. Friedrich, Le bianche scogliere di Rugen, 1818
Anche in questo quadro il tema che Friedrich svolge è il rapporto dell'uomo con lo
spettacolo della natura. Due uomini e una donna osservano il mare profilarsi tra uno
squarcio delle scogliere di Rugen, un'isola tedesca del mar Baltico. Il senso di
vertigine che l'immagine vuole comunicare è un ulteriore esempio della ricerca del
sublime, che Friedrich coglie nella visione incantata della grandiosità della natura.
24
John Constable
La produzione artistica di John Constable (1776-1837) è quasi tutta incentrata sul
tema del paesaggio. La natura, nella cultura romantica, svolge sempre un ruolo
fondamentale. Ma alla natura gli artisti romantici si accostano con animo diverso: per
scoprirvi la potenza imperiosa che spaventa ed atterisce, e ciò lo si trova soprattutto
nel romanticismo tedesco, o per ritrovarvi angoli piacevoli ed accoglienti, ed è ciò
che caratterizza il romanticismo inglese. I paesaggi di Constable sono sempre
gradevoli. Ritraggono una natura in cui c’’è un felice equilibrio tra gli elementi
naturali (alberi, fiumi, colline) e gli elementi artificiali (case, stradine, ponticelli). I
paesaggi di Constable esprimono il sentimento di armonia tra l’’uomo e la natura. Per
la loro casuale ed irregolare disposizione i paesaggi di Constable rientrano
pienamente in quella categoria estetica del pittoresco. Ciò che manca, in questi
quadri, sono le false rovine che davano al pittoresco precedente un carattere
eccessivamente artificioso e letterario.
La pittura di paesaggio ha conosciuto una grande fortuna nei paesi nordici, ed in
Olanda in particolare, per tutto il Seicento e il Settecento. Anche John Constable
mosse i suoi primi passi da queste esperienze vedutistiche olandesi, ma la sua
capacità di paesaggista fu di superare le qualità descrittive dei quadri precedenti per
caricare i suoi paesaggi di intensità lirica. La pittura di Constable produsse notevoli
influenze su molti pittori, sia inglesi sia francesi.
25
John Constable, Il carro di fieno, 1821
Ciò che caratterizza formalmente la pittura di Constable è la capacità di indagare gli
elementi visivi che formano un paesaggio. Del tutto assente un disegno compositivo,
anche se si avverte la grande progettualità degli elementi che compongono i suoi
quadri, lo stile pittorico è tutto affidato al colore. Il suo tocco è filamentoso e sporco.
Le forme non hanno un contorno definito ma si riconoscono solo dai passaggi di tono
e di colore. La superficie del quadro viene così a presentarsi, ad una visione molto
ravvicinata, come un impasto formato da mille tonalità differenti. Questa tecnica fa sì
che, ad una certa distanza, le immagini percepite sul quadro sembrano vibrare di una
autonoma luce, rendendole più vive e dinamiche delle usuali rappresentazioni
pittoriche. L’’effetto è decisamente gradevole ed è ciò che suggestionò un pittore
come Delacroix che, guardando quadri come questo, trasse le sue ricerche sulla
scomposizione del colore.
In questo quadro il soggetto, il carro di fieno, è solo un pretesto per consentire la
rappresentazione di un paesaggio tipicamente inglese. Il carro sta guadando un
piccolo ruscelletto che, nello spazio del quadro, forma una duplice curva ad esse. In
una delle due anse del ruscello, a sinistra, c’’è una casa che sembra quasi confondersi
con il paesaggio circostante. La casa viene protetta da una cortina di alberi che creano
una nicchia accogliente in cui si inserisce l’’edificio. Sulla destra si apre una pianura
che viene chiusa da una fila di alberi che si vede in lontananza. La parte superiore del
quadro è occupata da un cielo percorso da nuvole. Da ricordare che Constable ha
condotto notevoli studi sulla forma e il colore delle nuvole che egli fece oggetto di
quadri autonomi. Anche qui è possibile vedere la sua grande capacità di controllare
un elemento, le nuvole, così poco definito come forma ma che realizzano
un’’immagine molto varia nei suoi tonalismi atmosferici.
26
Tutto il quadro tende ad un naturalismo molto accentuato. La forma non sono le cose,
ma la percezione delle cose. Il sentimento che ispira è quella sottile vena di piacere
che apre gli occhi per far loro godere l’’atmosfera ampia che circola nella scena
inquadrata.
27
John Constable, Flatford Mill, 1817
Flatford Mill è una delle prime grandi realizzazioni di Constable realizzate in gran
parte en plain air. Benché sia stato preceduto da numerosi studi e schizzi, il quadro
cerca una visione quasi casuale del luogo raffigurato. Nella scena, ambientata nei suoi
luoghi d’’infanzia, vediamo sullo sfondo a sinistra il mulino ad acqua proprietà del
padre con un attracco per le barche che venivano trainate da cavalli su e giù lungo il
fiume. L’’immagine è una ricerca di quella spontaneità della natura, al quale l’’uomo
adatta le sue necessità e non viceversa. Il gusto per il pittoresco è qui una dimensione
non solo estetica, ma di grande partecipazione emotiva, come ci attesta la scelta di
raffigurare i proprio luoghi d’’infanzia. E qui si coglie la maggior differenza tra il
pittoresco rococò e preromantico, che era una scelta fondamentalmente estetica, ed il
pittoresco romantico che è dimensione propriamente poetica.
28
John Constable, Studio di nuvole, 1822
L’’interesse per lo studio analitico del paesaggio in Constable è attestato da centinaia
di tele che egli ha dedicato alle nuvole. Chi conoce l’’Inghilterra sa che le nuvole
costituiscono, qui più che altrove, un elemento determinante del paesaggio.
L’’interesse di Constable non si sofferma solo sulla diversa forma che i banchi di
nuvole possono assumere, ma ne indaga soprattutto la qualità luminosa e cromatica in
riferimento alle diverse ore del giorno. Questi esperimenti, che per certi versi
anticipano l’’Impressionismo francese, ci dimostrano l’’intuizione di Constable che la
luce è la grande protagonista del paesaggio.
29
John Constable, Arcobaleno su Hampstead Heath, 1836
È questo uno degli ultimi paesaggi realizzati da Constable. La piana di Hampstead è
uno dei paesaggi preferiti da Constable che spesso ritrae questi luoghi nei suoi dipinti.
Qui vi inserisce un immaginario mulino a vento, ma soprattutto vi rappresenta due
arcobaleni. L’’interpretazione del luogo ci dimostra come nella sua attività matura
l’’indagine scientifica della natura cede sempre più il passo ad una ricerca di effetti
visivi più lirici. Così come una semplificazione delle superfici ad effetti quasi astratti
ci testimoniano una padronanza che riesce ad evocare e suggestionare anche senza più
rappresentare.
30
William Turner
William Turner (1775-1851) è l’’altro grande interprete, insieme a Constable, della
pittura di paesaggio romantica in Inghilterra. La sua formazione giovanile deriva
soprattutto dalla pittura di Cozens, con una progressiva ammirazione per un altro
paesaggista francese del Seicento: Claude Lorrain.
Le categorie estetiche a cui è improntata la pittura di Turner sono il pittoresco e il
sublime. Quel sublime dinamico, come lo definiva Kant, che riguardava le
manifestazioni della natura caratterizzate da grande esplosione di energia. Il soggetto
di alcuni suoi quadri più tipici sono proprio le tempeste. Quella furia degli elementi
che imprime grande velocità all’’atmosfera.
Nei suoi quadri gioca un elemento fondamentale la luce. Egli cerca di dare
un’’autonomia alla luce rappresentandola non come riflesso sugli oggetti ma come
autonoma entità atmosferica. Per far ciò, usa il colore in totale libertà con pennellate
curve ed avvolgenti. Le immagini che ne derivano hanno un aspetto quasi astratto che
non poco sconvolse il pubblico del tempo. Secondo alcuni critici egli non dipingeva
ma impastava sulla tela ingredienti da cucina, quali uova, cioccolata, panna,
ricavandone un miscuglio da pasticciere. Queste critiche dimostrano quanto fosse
poco compresa la sua pittura. Essa, tuttavia, divenne un riferimento importante per la
successiva pittura impressionista.
31
William Turner, Pioggia vapore e velocità, 1844
In questo quadro di Turner sono ben evidenti gli elementi caratteristici della sua
pittura che tanto sconvolsero i suoi contemporanei. La tela è un impasto di colori
indefiniti che non danno una immagine molto riconoscibile. Tutto si riduce ad una
linea di orizzonte e a due diagonali trasversali, una a sinistra, poco evidente, che
rappresenta un ponte ad arcate, una a destra, più evidente, che rappresenta un altro
ponte su cui sta correndo un treno. Il resto è solo luce, còlta nelle sue differenti
colorazioni, nel momento che attraversa una atmosfera densa e dinamica. L’’aria,
infatti, è pregna di pioggia e di vapore, come dice il titolo, ed è una presenza che
diventa immagine che sovrasta il resto della visione.
Nei quadri di Turner tra i soggetti più usuali ci sono le tempeste di neve o le tempeste
marine. Sono quadri vorticosi che riescono a curvare lo spazio in base alla energia
impetuosa delle tempeste. Tempeste che travolgono tutto, rendendo irriconoscibile lo
spazio e gli oggetti. E sono proprio quelle tempeste che rendono il senso del suo
sublime dinamico. Un sublime che è caratteristica della sola forza della natura.
In questo quadro compare invece un elemento decisamente nuovo: il treno. Le
ferrovie sono state inventate solo da qualche anno e questo è probabilmente il primo
quadro artistico che abbia a soggetto un treno. Questa invenzione –– il primo mezzo di
locomozione che sfrutta l’’energia del vapore –– non poco dovette colpire
l’’immaginazione di Turner. E l’’artista riporta simbolicamente il treno nella stessa
categoria del sublime. La categoria della potenza sovraumana ma che, in questo caso,
non si curva come la tempesta ma procede per linee rette come è nelle cose fatte
dall’’uomo.
32
Il taglio decisamente inusuale dato dalla diagonale del ponte, il dinamismo che
suggerisce la velocità del treno, ma soprattutto la tecnica fatta di macchie di luce che
rendono vaghi gli oggetti, rendono questo quadro uno degli esiti più sintomatici delle
ricerche formali di Turner. E lo pongono come uno dei precedenti più diretti di tanta
pittura della seconda metà dell’’Ottocento che, dagli impressionisti in poi,
abbandonerà sempre più la realistica rappresentazione di forme statiche e definite.
33
William Turner, Regolo, 1828
Il quadro appartiene alla serie di opere che Turner dedicò ad episodi storici. In esso è
un episodio di storia romana ad essere rappresentato, ma basta confrontare il quadro
con una qualsiasi altra opera di un artista accademico dedicata a questo periodo, per
capire la profonda distanza che separa il romanticismo di Turner dal precedente stile
neoclassico. Non vi è alcuna ricerca di bellezza in forme pure e tornite, nessuna
visione di atmosfere chiare e arcadiche, ma la ricerca di un'emozione che sollecita
inquietudine e stupore. Nel quadro è rappresentato il porto di Cartagine, la città
nemica di Roma. I cartaginesi fatto prigioniero Attilio Regolo, lo rimandarono in
patria per convincere i romani a desistere dalla guerra. Attilio Regolo incitò invece i
romani a continuare, e, per l'onore della parola data, fece lo stesso ritorno a Cartagine
dove i cartaginesi lo sottoposero a crudeli torture, quali il taglio delle palpebre, e poi
lo uccisero. Il vero protagonista dell'immagine è la grande luce che proviene dal
fondo, punto di fuga ideale nel quale convergono le quinte degli edifici che si
affacciano sul canale del porto. Qui, più che altrove, appare evidente la ricerca di
Turner di rappresentare direttamente la luce, senza utilizzarla come mezzo
strumentale per la visione di altro.
34
William Turner, Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812
Il quadro, al pari di "Regolo", prende solo a pretesto l'episodio storico di Annibale per
una immagine che in realtà è una libera ricerca di effetti luminosi e dinamici attivati
da una tempesta di neve. Lo schema compositivo ricorre in molte altre opere di
Turner: una specie di vortice che ruota intorno ad un punto posto in posizione
leggermente decentrata. In questo caso Turner cerca la rappresentazione di quel
sublime "dinamico" teorizzato da Kant: la sensazione di intensa ed emozionante paura
attivata dalla potenza della natura. Potenza che ritroviamo nello spettacolare
scatenarsi degli elementi in occasione di tempeste, uragani, eruzioni di vulcani,
terremoti, maremoti, e così via.
35
William Turner, Tempesta di neve, 1842
Il quadro, conservato alla Tate Gallery di Londra, è uno degli esempi più noti della
ricerca di Turner legata alla percezione della forza della natura. Lo scatenarsi di una
tempesta di neve avviene in mare, travolgendo una nave che nel quadro appena si
intravede nel gran turbinio d'acqua che Turner rappresenta. Il mare è anch'esso un
soggetto molto amato dall'artista inglese, che in numerosi quadri rappresenta scene
marine e navi. Qui il mare diviene il luogo di quel "sublime dinamico" che abbiamo
visto spesso comparire nei quadri di Turner, che in questa tela, più che in altre,
abbandona ogni preoccupazione di rappresentazione figurativa per darsi ad una
pittura di gesto che sfiora quasi l'astratto. Inutile dire che il quadro, troppo in anticipo
sui gusti del tempo, non ricevette critiche entusiastiche. Per esso, come per altre tele
di Turner, i critici inglesi parlarono di "pasticceria", in quanto un quadro così fatto
sembrava loro più un tavolo sporco di latte, farina, uova, cioccolato, ecc. che non la
tela di un pittore.
36
William Turner, Il Canal Grande, 1835
William Turner è stato un artista molto presente in Italia, e nei suoi numerosi viaggi
ha toccato molti luoghi caratteristici della penisola, quali Roma, Tivoli, Napoli ed
altri, di cui ci ha lasciato testimonianza in numerosi quadri e disegni. Uno dei luoghi a
lui più congeniali fu comunque Venezia, in un periodo in cui tutta la cultura inglese
romantica, anche grazie a John Ruskin, amò molto la città lagunare. Questo quadro
raffigurante il Canal Grande è solo una delle numerosissime tele che Turner realizzò a
Venezia. Le sue caratteristiche stilistiche sono ben evidenti soprattutto nel dissolversi
della forma nella luce, che dà all'immagine un aspetto evanescente e un po' sfocato.
37
Dante Gabriel Rossetti
Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) è il principale esponente della Confraternita dei
Preraffaelliti, costituita in Inghilterra nel 1848. Nonostante il nome italiano, Rossetti è
un pittore inglese che sviluppa la sua attività nella seconda metà dell’’Ottocento. La
Confraternita dei Preraffaelliti è la corrente artistica che più di qualsiasi altro
movimento romantico si rifà al medioevo. Tanto che già dal nome dichiarano le loro
intenzioni poetiche e stilistiche: rifarsi all’’epoca tardo-medioevale, in particolare alla
spiritualità e allo stile tardo gotico e primo rinascimentale del Trecento e del
Quattrocento. Ciò che rifiutano è quel rinascimento maturo che trovava in Raffaello
l’’esponente più tipico.
Il fenomeno dell’’arte preraffaellita, anche per il periodo in cui si manifesta, è un
ultima manifestazione del romanticismo inglese ed insieme anche il contributo
anglosassone alle poetiche simboliste europee che partecipano del decadendismo di
fine secolo.
Il medioevo dei preraffaelliti è infatti molto letterario, tradendo una rievocazione che
sà più di sogno e di mito che non di riscoperta vera del periodo medievale. I quadri
preraffaelliti di Rossetti sono pervasi da una dimensione del silenzio che risuona di
note sensuali e decadenti. La figura femminile è sempre presente, svolgendo un ruolo
simile a quello di Beatrice per Dante: lo svelamento, attraverso la bellezza, della
dimensione trascendentale.
Dante Gabriel Rossetti fu anche poeta, riproponendo nei suoi sonetti la stessa poetica
di estetizzazione spiritualizzata ed ultra-raffinata che caratterizza anche i suoi quadri.
38
Dante G. Rossetti, Ecce ancilla domini, 1850
Il quadro di Rossetti, realizzato
nel 1850, è una interpretazione
moderna di uno dei soggetti più
comuni della pittura religiosa:
l’’Annunciazione. Il titolo rimanda
alle parole che la Madonna
pronunciò in risposta all’’annuncio
dell’’arcangelo Gabriele: «ecco la
serva del Signore».
Il quadro si basa sul colore bianco
che
omogeneizza
tutta
l’’immagine. In questo bianco si
stagliano poche note di colore, il
rosso della stola in primo piano, i
capelli dorati e le aureole gialle,
l’’azzurro della tenda dietro al
letto. Gli elementi iconografi
della Annunciazione presenti
sono il giglio, che compare sia in
mano all’’arcangelo che sulla stola
rossa, e la colomba simbolo dello
Spirito Santo. La Madonna ha un
atteggiamento triste e pensono. La
sua espressione ha un carattere
tipicamente femminile portando
la vicenda da un piano religioso
ad un piano umano molto più
universale. Ciò che il pittore
rappresenta non è tanto il mistero
di un concepimento miracoloso
ma il sentimento universale che provano tutte le donne quando sanno che dovranno
diventare madri. La maternità è un passaggio fondamentale che viene accolto sempre
con un po’’ di paura e di timore per le nuove responsabilità a cui si va incontro. La
sensualità molto terrena dell’’immagine viene accentuata dalla figura dell’’arcangelo
che qui appare di una virilità molto evidente, a differenza di quanto avveniva nei
quadri tardo gotici dove l’’arcangelo prendeva un aspetto di indefinita sessualità.
Tuttavia il quadro è pervaso da una spiritualità molto accentuata, giocando sulle corde
di una malinconia lieve ma struggente.
L’’arcangelo Gabriele sembra che non poggi i piedi a terra e le lievi fiamme gialle che
si notano ai piedi e riflesse sul pavimento lo qualifica come messaggero ultraterreno.
Ma è da notare che la sua rappresentazione avviene da un diverso punto di vista, più
basso, rispetto al resto dell’’immagine che è vista da un punto di vista più alto. Questa
incongruenza prospettica è sicuramente voluta, visto che è molto comune in tanta
pittura del Quattrocento, e dalla quale Dante Gabriel Rossetti prendeva spunto.
39
Dante G. Rossetti, Beata Beatrix, 1864-70
In numerose sue opere Rossetti trae ispirazione da Dante Alighieri. Di soggetto
dantesco è anche questo «Beata Beatrix» in cui si confondono suggestioni che gli
derivano dal poeta fiorentino con sue esperienze personali. L’’immagine di Beatrice,
la donna amata da Dante e prematuramente scomparsa, si confonde qui con la figura
di Elizabeth Siddal, la moglie anch’’ella morta giovane. La donna, infatti, riceve nelle
mani da un uccello rosso, simbolo di morte, un papavero bianco. Elizabeth Siddal
morì infatti per una overdose di laudano, una droga che si estrae anche dal papavero.
In secondo piano compaiono due figure: sono di nuovo Beatrice, la cui testa è
circondata da un’’aureola, che riceve Dante nel paradiso. Sullo sfondo si apre uno
squarcio luminoso che fa intravedere il Ponte Vecchio a Firenze. L’’atmosfera di
silenzio estatico, insieme ai pensieri funerei impliciti nell’’immagine, ci permettono di
collocare questa immagine nel gusto decadentista del tempo, di cui i Preraffaelliti
rappresentano in qualche modo una notevole anticipazione.
40
Dante G. Rossetti, Proserpina, 1874
Il ritratto femminile è uno dei
temi che ossessivamente
Rossetti ripete nell’’ultimo
periodo della sua attività.
Qui, in uno dei suoi dipinti
più celebri e riusciti, ad
essere ritratta è Jane, moglie
di William Morris, che in
anni precedenti aveva già
posato per Rossetti quale
Ginevra per alcuni affreschi
realizzati ad Oxford. In
questa tela la ritrae quale
Proserpina, o Persefone, la
fanciulla, figlia di Zeus e
Demetra, rapita da Ade,
signore dell’’oltretomba, per
farla sua sposa. Rossetti
ritrae Proserpina con un
melograno in mano, simbolo
di matrimonio ma anche di
prigionia. In primo piano un
incensiere ci riporta alla
natura
spirituale
di
Proserpina
che
simboleggiava nell’’antichità
l’’immortalità dell’’anima. Di
sotto vi è un’’iscrizione in
italiano che dice: «Dante
Gabriele Rossetti ritrasse nel
capodanno del 1874». In alto,
all’’interno di un cartiglio,
Rossetti scrive anche una
breve poesia, sempre in
italiano, per enfatizzare la
condizione di infelicità in cui
era costretta Proserpina.
41
Dante G. Rossetti, Il padiglione nel prato, 1872
Il quadro di Rossetti è un ulteriore esempio della poetica preraffaellita. L’’immagine
di idilliaco convegno di fanciulle, intente a suonare e ballare, in un paesaggio pulito e
bucolico, rivisitazione di campagne toscane, ha valenze simbolico-decadentiste molto
evidenti. Se si considera che nello stesso periodo gli artisti francesi facevano nascere
l’’Impressionismo, possiamo ben comprendere la distanza che separa negli stessi anni
i pittori dediti al realismo e quelli invece protesi all’’eplorazione di altri territori, che
confinano più con il sogno che non con la realtà.
42
Francesco Hayez
Francesco Hayez (1791-1882) ebbe una formazione giovanile neoclassica. Originario
di Venezia, nel 1809 si trasferì a Roma dove entrò in contatto con Antonio Canova di
cui divenne amico ed allievo. Trasferitosi a Milano nel 1820, in questa città raccolse
l’’eredità del maggiore pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani. Il suo stile
pittorico si formò di un linguaggio decisamente neoclassico che non perse mai
neppure nella sua fase romantica. Il suo romanticismo è infatti una scelta solo
tematica. Nel 1820 realizzò il suo primo quadro di ispirazione medievale «Pietro
Rossi prigioniero degli Scaligeri» che venne considerato il manifesto del
romanticismo italiano. Due anni dopo realizzò il quadro de «I Vespri siciliani». La
sua produzione, oltre ai temi storici, fu proficua anche nel genere dei ritratti. Dal 1850
diresse l’’Accademia di Brera, divenendo un personaggio di spicco dell’’ambiente
culturale milanese.
43
Francesco Hayez, I vespri siciliani, 1822
I Vespri siciliani fu una rivolta popolare scoppiata a Palermo nel 1282. In Sicilia
dominavano, dal 1266, gli angioini, dinastia francese che era subentrata agli svevi
dopo la sconfitta di Manfredi di Svevia da parte di Carlo d’’Angiò. I soldati francesi,
all’’ora vespertina del 31 marzo 1282, arrecarono offesa ad una donna che si era
appena sposata e stava uscendo dalla chiesa. Questa fu la causa che fece scoppiare la
rivolta popolare nei confronti degli angioini che sfociò in una guerra che durò venti
anni. I siciliani furono aiutati da Pietro III d’’Aragona. Nel 1302, con la pace di
Caltabellotta, la Sicilia passava dalla dominazione angioina a quella aragonese.
L’’episodio dei Vespri siciliani acquistava il significato simbolico, nell’’ottica
risorgimentale, di rivolta contro lo straniero. Gli angioini erano francesi ed è da
ricordare che l’’Italia, ancora nell’’Ottocento, era suddivisa in tanti stati e statarelli che
erano dominate da dinastie o potenze straniere: i Borboni nel mezzogiorno, gli
austriaci nel lombardo-veneto, e così via. Pertanto l’’unità d’’Italia andava perseguita
affermando gli interessi degli italiani contro quelli degli stranieri.
Il quadro di Hayez illustra l’’episodio in maniera molto letteraria ma poco
emozionante. Le figure sono scandite secondo pose molto teatrali che risentono
ancora dei quadri storici neoclassici del David. Lo stile di esecuzione è anch’’esso
fondamentalmente neoclassico, fatto di precisione di disegno, rilievo chiaroscurale,
fattura molto levigata, chiarezza di visione. L’’unica cosa che fa collocare questo
quadro nell’’ottica del romanticismo è solo il soggetto ed il contenuto: il riferimento
ad una storia del medioevo che ha come messaggio un contenuto patriottico e
risorgimentale.
44
Francesco Hayez, Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, 1818-20
Quest'opera è il primo quadro di soggetto storico-medievale della produzione di
Francesco Hayez. Anche questo quadro, come «I vespri siciliani», utilizza un
episodio storico come metafora da utilizzare per gli ideali risorgimentali. Siamo nel
XIV secolo e Pietro Rossi fu chiamato dal doge di Venezia Dandolo ad assumere il
comando delle forze veneziane per resistere ai tentativi di espansione degli scaligeri,
guidati da Mastino della Scala, che stavano assediando il Castello di Pontremoli. La
moglie e le figlie del condottiero lo pregarono di non accettare, ma, nonostante ciò,
Pietro Rossi diede il suo assenso. In questo quadro vengono dunque esaltati i valori
dell'eroismo, al pari di quanto avevamo visto ne «Il giuramento degli Orazi», nonché
delle libertà repubblicane di contro a quelle dispotiche, rappresentate dagli scaligeri,
signori di Milano.
45
Francesco Hayez, Il bacio, 1859
Opera sicuramente tra le più note di Hayez, «Il bacio» è un po' la quintessenza del
sentimentalismo romantico, per di più vestito di abiti medievali a richiamare molti di
quei grandi amori tramandati da novellieri e drammaturghi, da Paolo e Francesca a
Giulietta e Romeo, e così via. Così rievocazioni di sapore storico-letterario si
uniscono ad atmosfere di facile effetto, creando un'immagine che, se da un lato
banalizza alcune delle pulsioni che hanno creato il romanticismo, dall'altro riesce a
sintetizzare in modo efficace le suggestioni condivise da gran parte del romanticismo
italiano.
46
Giacinto Gigante
Con il termine «Scuola di Posillipo» si intende una corrente pittorica che si sviluppò a
Napoli tra il 1820 e il 1850. La corrente nacque dalla presenza a Napoli, a partire dal
1815, di un pittore di origine olandese: Antonio Pitloo (1791-1837). La pittura di
paesaggio era una tradizione che a Napoli risaliva già alla metà del Seicento con
Salvator Rosa. Per tutto il Settecento, la pittura di paesaggio era stata orientata a due
filoni principali: il gusto dello scenografico e il gusto del vedutismo turistico.
Protagonista del primo filone fu soprattutto Filippo Hackert, con quadri dal taglio
orizzontale e ampio sviluppo grandangolare. Del secondo filone ricordiamo in
particolare Paolo Fabris che probabilmente introdusse a Napoli la tecnica della
gouache, caratteristica di una grandissima parte della produzione partenopea. I piccoli
paesaggi realizzati a gouaches erano indirizzati al mercato dei turisti che, nel
Settecento, avevano a Napoli una tappa obbligata del loro Grand Tour italiano per
ammirarvi il Vesuvio, gli scavi di Pompei e di Ercolano, le isole del golfo.
La novità introdotta da Pitloo, nella tradizione locale della pittura di paesaggio,
consistette soprattutto nel disegno dal vero e nella resa impressionistica degli effetti di
luce e di colore. La sua fu una ricerca che lo accomunò ad un altro grande pittore
paesaggista di quel tempo: Camille Corot che, con la scuola di Barbizon, stava
sperimentando per la prima volta la tecnica dell’’en plain air. È da ricordare che
l’’ambiente napoletano era a conoscenza della pittura di paesaggio europea, anche
perché i protagonisti di queste ricerche, come Corot, Constable, Turner, visitarono
anche loro l’’Italia facendovi conoscere le loro novità tecniche.
Dopo il 1837, anno di morte del Pitloo, il protagonista indiscusso della scuola di
Posillipo divenne Giacinto Gigante (1806-1876). Figlio di un altro pittore, Gaetano, il
Gigante portò a livelli eccelsi la sensazione pittoresca dei suoi paesaggi e delle sue
vedute, dove prevale sempre il sentimento di intimismo lirico. Gli angoli visivi non
sono mai ampi, ma ristretti a piccoli spazi visti con taglio quasi fotografico. La
sensazione intima è data dalla quotidianeità quasi banale delle cose raffigurate che
però si trasfigurano in una visione calma e quasi malinconica della realtà.
La scuola di Posillipo esaurì la sua maggior vitalità tra il 1850 e il 1860, quando le
nuove tendenze naturalistiche, che a Napoli furono introdotte soprattutto dai fratelli
Palizzi, resero inattuali la liricità così forte e così romantica dei pittori di questa
scuola. Tra i protagonisti minori di questa scuola è da ricordare Achille Vianelli che
dal 1848 al 1894, anno della sua morte, ha vissuto ed operato a Benevento. La sua
pittura, di un vedutismo più fotografico e meno lirico rispetto a quella di Gigante,
rimane come interessante documento iconografico per scoprire l’’aspetto ottocentesco
di luoghi ancora esistenti o scomparsi.
47
Giacinto Gigante, Tramonto a Capri, 1849
Le opere di Giacinto Gigante sono sempre di piccole dimensioni. I suoi quadri non
superano mai i 70 centimetri di lato e sono raramente realizzati ad olio. La sua tecnica
preferita era l’’acquerello a cui lui aggiungeva dei tocchi di biacca a gouache. I
soggetti sono quasi sempre vedute esterne. Solo nelle sue ultime opere si ritrova la
rappresentazione di qualche interno. Da ricordare, infatti, che Giacinto Gigante aveva
iniziato la sua attività giovanile come disegnatore topografico. Questa sua capacità di
sintetizzare il paesaggio con pochi e precisi tratti di matita resterà una delle costanti
della sua attività. Tuttavia la sua vena artistica gli permette di superare agevolmente il
puro e semplice dato naturalistico per arrivare a cogliere aspetti della realtà che sono
pure suggestioni interiori e psicologiche.
I suoi paesaggi sono romantici proprio perché la lettura fatta è sempre sentimentale,
accentuando tutto quanto vi è di suggestivo nella veduta stessa: dagli effetti luminosi,
alla densità atmosferica, all’’emozione del vissuto di tutti i manufatti umani che
compaiono nei paesaggi. Le case sono sempre vecchie e rabberciate: hanno le qualità
estetiche non solo del pittoresco ma dell’’autentico e del vissuto. La sensazione di dejà
vu (già visto) che trasmettono queste immagini sono la riprova della loro valenza
intimistica. Ed è proprio questa sensazione di ricordo di un mondo, che sembra
oramai confinato ad un passato scomparso, a caricare queste immagini di una dolce
ma struggente malinconia. Nessuno come Giacinto Gigante riesce a rappresentare la
bellezza dei luoghi come risonanza di sensazioni interne. Stilisticamente i suoi quadri
mutuano la tecnica da Antonio Pitloo: l’’anticipo della macchia, le abbreviazioni
formali, il gioco di luce e di ombre, la voluta trasparenza della figura umana, tipica
soprattutto dei suoi acquerelli.
In questo acquerello di piccolissime dimensioni (appena cm 23x30) Gigante da un
saggio del suo virtuosismo. Il soggetto è così casuale che non riesce ad imporre una
lettura organizzata dell’’immagine ma costringe l’’occhio a vagare dalla casa all’’albero
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sulla sinistra, dal parapetto che si affaccia sul mare posto a destra alle montagne sullo
sfondo, dal sole bianco e basso alla striscia di mare, senza trovare un centro
compositivo preciso. Ma ciò che rimane dopo che l’’occhio ha vagato tra queste
macchie di colore è proprio il piacere di un istante di percezione. Un istante in cui
tutto ciò che l’’occhio riesce a percepire ci rimanda una sensazione di intimo piacere.
49
Giacinto Gigante, Tempesta sul golfo di Amalfi
L'immagine del golfo di Amalfi che Gigante ci propone ha sicuramente valenze
estetiche molto evidenti. L'effetto atmosferico è determinato da un raggio di sole che
riesce a passare tra le nuvole ed illuminare lo specchio di mare prospiciente la riva.
La sensazione che ne deriva è di piacevole dolcezza. Se proviamo a confrontare i
quadri di Gigante con quelli di Friedrich, appare evidente che il dialogo con la natura
che il pittore napoletano cerca non è di effetti maestosi e terribili. La natura che egli
rappresenta non ha le inviolabilità dei paesaggi nordici, ma ha angoli piacevoli e
accoglienti, in cui la dimora dell'uomo non è solo possibile, ma sicuramente piacevole.
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Giacinto Gigante, Mercato a Quisisana, 1836
Molte delle opere di Gigante sono acquerelli con qualche tocco di biacca realizzati su
carta pesante. In questa rappresentazione di vita quotidiana, l'inquadratura non coglie
un punto focale preciso, ma si compone soprattutto di spazi vuoti. In essi si
dispongono secondo vari assi gruppi di figure, a volte solo accennati da pochi tratti di
matita. Benché siamo a livello di una esercitazione di studio, l'acquerello riesce a
proporsi come immagine già finita sul piano comunicativo, grazie soprattutto
all'abilità di Gigante di giungere alla definizione di uno spazio visivo con pochi tratti
e rapide pennellate.
51
Giacinto Gigante, Tramonto a Caserta, 1857
Quadro di notevole suggestione, ci rivela come la ricerca di Gigante giunge a risultati
stilistici molto aggiornati rispetto al panorama artistico europeo, al punto di anticipare
rappresentazioni di solo colore che diverranno abituali solo dall'Impressionismo in
poi. Gli effetti di luce al tramonto creano un'atmosfera di un caldo arancio, in cui
pennellate azzurre, a simulare effetti atmosferici, e pennellate verdi, che
rappresentano macchie di vegetazione, forniscono una ricchezza cromatica molto
accattivante sul piano estetico.
52
Antonio Fontanesi
Antonio Fontanesi (1818-1882) tra i pittori italiani è quello che più riesce ad
interpretare un romanticismo di livello europeo, anche se la sua attività si svolge nella
seconda metà del secolo. La sua pittura è tutta prodotta nell’’ambito tematico del
paesaggio che egli riesce ad interpretare con una sensibilità lirica di livelli
eccezionali. La nota di fondo è sempre una malinconia lieve e struggente. La natura è
una presenza senza tempo la cui illimitatezza non è spaziale ma temporale. La natura
è eterna, questa sembra la suggestione maggiore dei quadri di Fontanesi. Ossia, la
vicenda umana trascorre e passa ma la natura rimane sempre lì, con le sue alture, i
suoi prati, i suoi alberi.
Nei suoi quadri, tendenti spesso al monocromo, c’’è sempre molta attenzione alla
particolare ora del giorno. Prediligge l’’ora vespertina o mattutina, in cui la luce
acquista una magia molto poetica. La tecnica è molto libera e riesce ad evocare una
rappresentazione naturalistica con impasti coloristici quasi astratti e casuali.
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Antonio Fontanesi, Pascolo nella radura, 1873
La tecnica pittorica di Fontanesi è basata sempre sulla velocità di esecuzione. Questo
disegno è stato realizzato a carboncino su cartone e produce pertanto un’’immagine
monocroma di pochi tratti e macchie. Il paesaggio è còlto in un’’ora vespertina, quasi
notturna. La natura ha un aspetto freddo e spoglio. Al centro della radura si notano
alcune mucche al pascolo e al centro, seduto a terra, il pastore che le sorveglia. È
un’’immagine che trasmette un senso di silenzio e solitudine. Una sensazione di
raccoglimento interiore che dà al paesaggio una intonazione lirica molto profonda, ma
di segno opposto a quella trasmessa dai quadri di Giacinto Gigante.
Nelle vedute dell’’artista napoletano la natura si presenta sempre con caratteri
piacevoli ed accoglienti. I luoghi della natura sono spazi di vita per gli uomini che in
quei luoghi inseriscono con naturalezza le loro case e i loro manufatti, ritrovando così
un’’armonia serena tra se e la natura che li circorda. I paesaggi di Fontanesi hanno
invece un aspetto più inospitale e duro. La natura in questo caso si presenta più altera
ed inaccessibile, senza che l’’uomo possa trovarvi un’’accoglienza generosa e serena.
Il lirismo di Fontanesi pur essendo di matrice nordico-romantica non ha i caratteri
grandiosi e sublimi di un Friedrich che nella natura vede la maestà del creato come
espressione di un potere superiore a quello dell’’uomo. Fontanesi, riconosciuta la
superiorità della natura, evidenzia il dolore di una impossibile sintesi con le ansie
esistenziali dell’’uomo. E in ciò è decisamente più omogeneo alla poetica di Giacomo
Leopardi, esprimendo un analogo sentimento nei confronti della natura.
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Antonio Fontanesi, Solitudine, 1876
La presenza solitaria in un paesaggio rurale di una pastorella raccolta nei suoi pensieri
è uno dei temi preferiti da Fontanesi. La solitudine diventa la sensazione più propria
per vivere un rapporto con la natura carico di silenzi ed attese.
55
Antonio Fontanesi, Aprile, 1873
È questo uno dei quadri più celebri di Fontanesi. In esso, oltre ai consueti temi del
rapporto emotivamente triste con la natura, troviamo un'espressione poetica del dato
luminoso, peraltro non infrequente nei quadri del pittore torinese. La luce è la reale
protagonista dell'immagine, insieme al profilo scheletrico dell'albero, tra i cui rami
vediamo una nuvola, dietro la quale si nasconde il sole.
56
Tranquillo Cremona
Tranquillo Cremona (1837-1878) rappresenta il pittore più tipico della Scapigliatura
milanese. La Scapigliatura è un fenomeno tipicamente milanese che si sviluppò nei
due decenni tra il 1860 e il 1880. Vide coinvolti letterati, pittori, scultori, tutti
accomunati da atteggiamenti e comportamenti antiborghesi e anarcoidi. La tensione
critica nei confronti della società del tempo si espresse con l’’accentuazione della
passionalità. Le passioni venivano viste come l’’energia nascosta sotto la facciata
perbenista della società milanese ottocentesca. Questa forte accentuazione dei
sentimenti collocano la Scapigliatura nella ultime propaggini dello spirito romantico
dell’’Ottocento. Contemporaneamente la Scapigliatura, con la sua grande carica di
sensualità, sembra anticipare l’’estetica decadentista che si comincerà a manifestare
dopo qualche anno.
La pittura di Tranquillo Cremona deriva stilisticamente da quella di Giovanni
Carnovali, detto il Piccio, da cui prende soprattutto la pennellata filamentosa e sporca,
tesa più ad evocare che non a rappresentare, e la capacità di concentrare le atmosfere
psicologiche. Nei quadri di Cremona sono del tutto assenti i temi principali del
romanticismo italiano: il paesaggio e la storia. Egli si concentra solo sulla figura
umana che diviene la protagonista unica dei suoi dipinti.
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Tranquillo Cremona, L'edera, 1878
Questo quadro di
Tranquillo Cremona
è la sintesi della sua
poetica romantica e
scapigliata.
Il nome del quadro
deriva dal tralcio
d’’edera raffigurato
sulla destra.
L’’edera, tuttavia, è
solo un pretesto, o
meglio un simbolo,
che rimanda alla
passione
morbosa
che si manifesta in
un
abbraccio
stringente così come
fa l’’edera che si
ramifica
e
si
espande
fino
a
ricoprire e soffocare
completamente
i
muri e le facciate
della case. In questo
quadro l’’abbraccio
vede
protagoniste
due donne. Il loro
atteggiamento,
tuttavia, non lascia
spazio a dubbi: ad
avvinghiarle è una
passione forte e morbosa fatta di richeste, da parte della donna in basso che cerca di
stringere l’’altra, e di dinieghi, da parte della donna in alto che ha un atteggiamento di
ritrosìa. Il soggetto è decisamente anticonformista con un chiaro intento scandalistico.
La tecnica pittorica è molto libera e giocata solo sul filamento coloristico che vibra di
sottile ma intensa luce al punto da rendere vaga e sognante l’’apparizione.
L’’immagine, come nella maggior parte dei quadri di Cremona, si concentra solo sulle
figure in primo piano mentre lo sfondo diventa assolutamente informe ed
indistinguibile. Un impasto di colore che conserva le stesse tonalità delle figure
rappresentate così che queste sembrano quasi apparire, o scomparire, nello spazio
retrostante. L’’immagine, proprio per questa sua apparente derivazione onirica, fatta di
sensualità raffinata ma molto morbosa, anticipa alcuni dei temi poetici che saranno
tipici dell’’estetica decadente, soprattutto letteraria e poetica, di fine Ottocento e inizi
Novecento.
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Tranquillo Cremona, La melodia, 1874
«La melodia» appartiene al periodo più fecondo di Tranquillo Cremona, ed è uno dei
quadri che più esemplificano la carica romantica e decadente insita nel movimento
della Scapigliatura. Tutto si svolge come in un sogno: l’’immagine è soffusa e molti
elementi vengono appena accennati. Per comprendere la differenza tra movimenti
ancora di ispirazione romantica e movimenti realisti, si confronti questo quadro con
«Il canto dello stornello» realizzato da Silvestro Lega solo qualche anno prima. Il
confronto tra le due immagini è più eloquente di qualsiasi descrizione, e rende più che
palese quali notevoli differenze stilistiche possono intercorrere tra due quadri di
medesimo soggetto ma decisamente agli antipodi per scelte formali.
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Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874
Il quadro «In ascolto» è di fatto il gemello de «La melodia», al punto che possono
costituire quasi un dittico. La complementarietà della due immagini non è solo nella
rappresentazione di un momento unico (l’’esecuzione di un brano musicale e il suo
ascolto), ma rappresenta la stessa atmosfera evanescente e trasognata, comunicando
un’’emozione che è praticamente unica.
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