Materiale didattico on line - Dipartimento di Scienze Politiche

Università degli Studi Roma Tre
Facoltà di Scienze Politiche
Corso Diritti e Libertà costituzionali
Prof. Carlo Colapietro
Anno accademico 2012-2013
Seminario
Diritti sociali e nuovi vincoli di bilancio1
SOMMARIO: 1. I DIRITTI SOCIALI: origini storiche ed evoluzione. – 2. I diritti sociali nella
Costituzione italiana. – 3. La garanzia costituzionale dei diritti sociali. – 4. Diritti sociali e vincoli di
bilancio. – 5. Diritti sociali incondizionati e condizionati. - 6. La giurisprudenza della Corte
costituzionale sui diritti sociali. – 7. I DIRITTI EMERGENTI: forme di Stato e riconoscimento dei
diritti. – 8. Generazione dei diritti. – 9. La prima generazione dei diritti: i diritti civili e politici. –
10. La seconda generazione dei diritti: i diritti sociali. – 11. La terza e la quarta generazione dei
diritti. – 12. Il riconoscimento dei diritti emergenti: effettività. – 13. La questione dei “nuovi diritti”.
– 14. La “fattispecie chiusa”. – 15. La “fattispecie aperta”. – 16. La “terza via”. – 17. I “nuovi
diritti” nella giurisprudenza della Corte costituzionale. – 18. Il fondamento dei “nuovi diritti” nella
Costituzione italiana. – 19. Un meta-diritto: il diritto a poter usufruire dei diritti.
1. I DIRITTI SOCIALI: origini storiche ed evoluzione.
Nel percorso di affermazione dei diritti sociali, la loro tarda e carente codificazione nelle
Costituzioni scritte ha avuto un peso notevole.
Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 della Rivoluzione
francese non vi erano, infatti, i diritti sociali, in quanto all’epoca solo i diritti di libertà sembravano
sufficienti ad esprimere l’essenza della liberazione dall’oppressione.
Il primo tentativo di positivizzazione dei diritti sociali si può rinvenire nella Costituzione francese
del 1793 ma soltanto con la Costituzione di Weimar del 1919 si ha il primo approccio ad una
definizione giuridica dei diritti sociali ed il contestuale tentativo di valutarne la possibile
convivenza con i fondamentali principi dello Stato di diritto.
Tuttavia, le concezioni allora dominanti erano concordi nel negare, in via di principio, che i diritti
sociali potessero avere una immediata tutela e una diretta azionabilità senza il necessario intervento
del legislatore, ostinandosi ancora ad interpretare il riconoscimento di tali diritti come “espressione
compromissoria della lotta tra liberalismo e socialismo”, anziché come “un momento
Ciò, quindi, non consentiva alla dottrina di superare, per i diritti sociali, la dimensione originaria
dei “diritti legali”, e di conferire loro un appropriato statuto come “diritti costituzionali”.
E’ soltanto all’indomani della seconda guerra mondiale che, con le moderne Costituzioni emanate
in Europa, si assiste alla prima costituzionalizzazione dei diritti sociali su larga scala negli Stati di
origine liberale.
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Il presente materiale didattico, di supporto alla preparazione della prova finale del Seminario, predisposto dalla Dr.ssa Cinzia
Santarelli e illustrato nel corso delle lezioni seminariali da lei tenute, è tratto da: (a cura di) F. MODUGNO, Lineamenti di diritto
pubblico, Torino 2012, pp. 549 ss.; C. COLAPIETRO, La giurisprudenza costituzionale nella crisi dello Stato sociale, Padova 1996;
F. MODUGNO, I diritti del consumatore: una nuova “generazione” di diritti? in Scritti in onore di Michele Scudiero, Napoli 2008.
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Le Carte costituzionali dell’ultimo dopoguerra - costruite attorno al principio di eguaglianza inteso
in senso sostanziale – diventano lo strumento istituzionale per facilitare il verificarsi di quelle
condizioni, grazie proprio al riconoscimento dei diritti sociali, per legittimare l’intervento
redistributivo statale in funzione della tendenziale garanzia di condizioni economiche sufficienti ad
un livello di vita dignitoso.
Ciò nonostante, tutte la Carte costituzionali del secondo dopoguerra lasciano ancora indeterminati
molteplici aspetti relativi ai diritti sociali, soprattutto, con riguardo alla definizione materiale dei
predetti diritti.
La loro “razionalizzazione giuridica” avverrà soltanto a partire dagli anni ‘60, ad opera soprattutto
della giurisprudenza costituzionale, che si farà finalmente carico di riconoscere ai diritti sociali la
loro effettiva valenza, provvedendo nel contempo all’attuazione diretta del disegno costituzionale
in presenza di intollerabili inerzie del legislatore.
2. I diritti sociali nella Costituzione italiana.
Dando uno sguardo alle Costituzioni democratiche di altri paesi europei, si può rilevare che, mentre
la Costituzione italiana contiene una specifica enunciazione dei singoli diritti sociali, la
Costituzione tedesca del 1949 (Grundgesetz) attribuisce alla Repubblica la qualità di Stato sociale
senza prevedere uno specifico catalogo dei diritti sociali, la Costituzione spagnola del 1978 opera
una distinzione tra i diritti e libertà pubbliche, la Costituzione francese del 1958 o della V
Repubblica) prevede l’enunciazione di principi di natura economica e sociale, nel nel Preambolo il
cui valore costituzionale, con conseguente riconoscimento dei diritti sociali, è stato stigmatizzato
dal Consiglio Costituzionale con l’arret n.44 del 1971.
La nostra Costituzione è, invece, ricca di disposizioni che toccano i diritti sociali, previsti nei titoli
II e III della Costituzione intitolati ai “rapporti etico-sociali” ed ai “rapporti economici”.
Il catalogo dei diritti sociali contemplato nella Costituzione è quanto mai ampio e sistematico e
comprende, solo per citarne alcuni, il diritto al lavoro (art.4), il diritto alla salute (art.32), il diritto
all’istruzione (art.33), il diritto all’educazione (art.34), i diritti dei minori e delle donne lavoratrici
(art.37), il diritto dei lavoratori in ipotesi di infortunio, malattia, invalidità e disoccupazione (art.38,
comma 2), situazioni tutte caratterizzate da una particolare debolezza individuale e sociale e quindi
meritevoli di essere rimosse al fine di garantire una pari uguaglianza di tutti gli individui nel
godimento dei diritti essenziali della persona.
Il vero cardine e originaria matrice di tali diritti, così come della tutela sociale garantita dal
legislatore costituzionale, si rinviene nella clausola fondamentale di cui al secondo comma dell’art.
3 Cost. cioè nel principio di uguaglianza sostanziale che qualifica il nostro Stato come sociale ed
interventista, la cui vocazione è creare le condizioni necessarie per consentire l’accesso a tutti alle
utilità sociali garantite.
Questa impostazione impone allo Stato il preciso raggiungimento dell’obiettivo dell’eliminazione
degli ostacoli di ordine economico e sociale al pieno sviluppo della persona.
Così, in un’ottica di garanzia e ampliamento delle situazioni giuridicamente protette e dello stesso
concetto di uguaglianza, i diritti sociali, unitamente ai diritti di libertà, sono intesi come condizioni
primarie ed indefettibili del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 e dello stesso valore della
persona.
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Nella nostra Carta costituzionale l’idea di persona, nella sua duplice e complessa dimensione di
essere individuale e di essere sociale, si pone come concetto unificatore dei diritti di libertà e
sociali; di conseguenza, l’ancoraggio dei diritti sociali, è rinvenibile nel principio dei diritti
inviolabili della persona e della dignità umana (art. 2), il quale richiede che ogni uomo, in
qualunque posizione sociale si trovi, deve essere messo in grado di avere pari opportunità di
autorealizzazione... e, quindi, pari chances di godere effettivamente delle libertà costituzionalmente
garantite.
Nel quadro costituzionale, dunque, i diritti sociali si pongono come strumenti sia per assicurare il
pieno godimento delle libertà tradizionali, sia per realizzare il cosiddetto principio di eguaglianza
sostanziale.
Nella Costituzione italiana dunque, la configurazione dei diritti sociali si presenta con caratteri di
peculiare originalità e dignità assiologica:
a) il catalogo dei diritti sociali ha un’inusuale ampiezza e sistematicità e la loro garanzia è quella
propria dei diritti costituzionali (spesso, anzi, dei diritti inviolabili), e non già quella propria dei
diritti “legali”, cioè dei diritti semplicemente fondati sulla legge ordinaria.
b) i diritti sociali vengono collegati direttamente all’esigenza di protezione della persona umana e
considerati nel loro coessenziale e costitutivo rapporto con la formazione della persona umana,
assunta come valore centrale, e con gli ambiti di vita sociale ove si svolge il libero sviluppo della
stessa persona umana (famiglia, scuola, lavoro...), strutturalmente indipendenti ed essenzialmente
intangibili da parte dello Stato.
Proprio per questi motivi, il catalogo costituzionale dei diritti sociali contiene una loro
classificazione sotto il profilo tematico, che, in armonia con il significato assegnato a tali diritti, li
ordina in dipendenza della loro inerenza alle particolari formazioni sociali cui si riferiscono.
3. La garanzia costituzionale dei diritti sociali.
La valutazione delle vicende che hanno caratterizzato lo sviluppo dello Stato sociale, a partire
dell’enunciazione costituzionale dei diritti sociali, non può scindersi da un esame degli strumenti
posti a garanzia della loro effettività, tali cioè da assicurarne l’esigibilità in concreto, posto che la
natura dei diritti sociali è strettamente connessa alla loro attuazione.
Il rango costituzionale assegnato ai diritti sociali comporta conseguentemente la loro tutela
costituzionale, al pari di quella di tutti gli altri diritti garantiti dalla Costituzione. La violazione dei
diritti sociali costituisce, infatti, motivo di illegittimità costituzionale delle norme di legge in
contrasto con tali diritti, rilevabile dalla Corte costituzionale in sede di sindacato di legittimità; e
ciò vale anche nel caso di violazione di norme finalistiche la cui attuazione è demandata al potere
legislativo, le quali, pur essendo poco incisive nei confronti di comportamenti omissivi del
legislatore, possono comunque invalidare le leggi che si pongono in contrasto con quei fini.
Il maggior contributo alla più precisa definizione e al riconoscimento dei diritti sociali è venuto
dall’incessante opera di garanzia e promozione esercitata dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale che, nell’assecondare l’evoluzione giuridica di tali diritti, ha finito con l’affermarli
come “diritti perfetti”, prima ancora che la dottrina adeguasse le proprie posizioni e i propri
orientamenti, garantendone una protezione immediata.
Spesso la Corte costituzionale è intervenuta nel dare effettivo riconoscimento ai diritti sociali prima
del legislatore ordinario, ricorrendo ad un armamentario decisionale che ha dato luogo ad un acceso
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dibattito, quello delle sentenze manipolative, in particolare di tipo additivo, dichiarando
l’incostituzionalità di leggi che precludevano ingiustificatamente e indiscriminatamente a
determinate categorie di cittadini alcuni benefici, soprattutto in materia di assistenza e previdenza
sociale.
Per tutti i diritti sociali inclusi nel catalogo costituzionale, infatti, in base a quanto affermato della
stessa Corte, la garanzia predisposta dalla Costituzione “non è una garanzia di tipo semplicemente
legale o legislativo, ma è la garanzia propria dei diritti costituzionali (spesso dei diritti inviolabili) e
dei valori costituzionali (spesso dei valori primari o supremi)”; ciò in quanto il fondamento della
pretesa non sta nella legge che la rende eventualmente e gradualmente possibile in concreto, ma
nella Costituzione (MODUGNO).
Pertanto non è più sostenibile la tesi di chi, nella nuova concezione dello Stato costituzionale,
contrappone i diritti sociali - quali meri diritti a prestazione - ai diritti di libertà - che invece non
richiederebbero prestazioni positive - in quanto, anche questi ultimi dipendono, di fatto,
dall’organizzazione dello Stato, e vi sono peraltro taluni diritti sociali, che possono essere definiti
come vere e proprie “libertà sociali”, che si realizzano, per la loro struttura, indipendentemente da
qualsiasi mediazione legislativa, come ad esempio il diritto di sciopero.
In definitiva, la Corte costituzionale ha offerto ai diritti sociali una piena protezione di livello
costituzionale, chiamandoli a condividere “lo statuto tipico dei diritti fondamentali”, tanto sotto il
profilo dell’efficacia avendo la giurisprudenza costituzionale riconosciuto ai diritti sociali
fondamentali la stessa efficacia riconosciuta ai classici diritti di libertà costituzionale, quanto sotto
quello del valore giuridico per il quale essi sono diritti irrinunciabili, inalienabili, indisponibili e
intrasmissibili e godono di un rango primario che, per molti di essi, assurge a vera e propria
inviolabilità.
La Corte ne ha, quindi, riconosciuto l’immediata efficacia verso i terzi e non solo verso lo Stato,
affermando che l’operatività della garanzia connessa ai diritti sociali si produce immediatamente in
virtù del solo riconoscimento, senza richiedere quindi un preventivo intervento attuativo del
legislatore.
4. Diritti sociali e vincoli di bilancio.
Lo sviluppo della società del Welfare State tesa ad attuare la protezione sociale nei diversi settori di
spesa, previdenziale, sanità, assistenza, ammortizzatori sociali, istruzione, ha fortemente
caratterizzato gli ultimi decenni, costituendo la caratteristica centrale dei sistemi socio-economici
dei paesi industrializzati.
I diritti sociali, in quanto subordinati ad un intervento positivo da parte dello Stato, diventano
pretese giuridicamente azionabili solo laddove siano poste in essere le condizioni necessarie per il
loro godimento. In tal senso l’attuazione dei diritti sociali è lasciata alla discrezionalità del
legislatore, con la conseguenza che per la natura stessa delle prestazioni da erogare, e per il diverso
grado di azionabilità della pretesa da parte del singolo, essi sono condizionati ad una ponderazione
anche di tipo politico che deve opportunamente valutare l’entità della spesa a carico dello Stato
affinché non diventi imprevedibile e incontrollabile, compromettendo l’equilibrio di bilancio.
Sulla scorta della necessità che i diritti sociali per il loro godimento richiedano l’intervento di un
pubblico potere per l’adozione di una struttura idonea al loro esercizio, vengono distinti in diritti
sociali cc.dd. originari o incondizionati e diritti sociali cc.dd. derivati o condizionati.
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5. Diritti sociali incondizionati e condizionati.
I diritti sociali originari o incondizionati attengono a rapporti giuridici che si instaurano su libera
iniziativa delle parti, al fine di qualificare il tipo o la quantità di talune prestazioni (ad es., il diritto alla
retribuzione proporzionata e sufficiente), e pertanto possono essere fatti valere direttamente dagli aventi
diritto nei confronti della controparte, essendo demandato al giudice il solo compito di stabilire il
quantum della prestazione, se non sia già predeterminato dal legislatore.
I diritti sociali derivati o condizionati sono diritti il cui godimento dipende dall’esistenza di
un’organizzazione necessaria e idonea all’erogazione della prestazione oggetto dei diritti stessi (ad
es., il diritto all’assistenza e alla previdenza sociale di cui all’art. 38 Cost.), e presuppongono,
quindi, l’intervento legislativo, per consentire che si configurino come pretese direttamente
azionabili, anche se, l’eventuale mancanza del presupposto di fatto condizionante non tocca, in ogni
caso, la garanzia di quei diritti, già stabilita in Costituzione (la garanzia) e non potendo essere
negata a pena della sostanziale vanificazione di tali diritti come diritti costituzionali.
i diritti sociali condizionati, sono, al pari di tutti i diritti costituzionalmente riconosciuti, valori
costituzionali primari, ed, in quanto tali, “oltre ad essere irrinunciabili, inalienabili, indisponibili,
intrasmissibili, essi tendono ad assurgere al rango di diritti inviolabili” (MODUGNO). Il diritto in tal
modo rimane diritto costituzionale e non degrada mai a diritto legale.
I diritti sociali quindi, sono diritti assoluti che operano ad un doppio livello: quanto al titolo il
centro di imputazione è l’individuo sociale che vive in questa società, ma il quantum, non può
essere inferiore al contenuto minimo assicurato dalla Costituzione, tuttavia il livello di protezione
può variare in funzione del momento storico contingente in senso sicuramente incrementale, quindi
non è determinato, poiché è affidato alle dinamiche politiche e sociali il compito di riempire questo
spazio di determinazione; in genere non può discostarsi dal livello di crescita dell’economia del
paese, nei limiti della crescita del Prodotto interno lordo (Pil), che nella nostra società costituisce il
parametro di redistribuzione della ricchezza e definisce i limiti negoziali del conflitto sociale.
L’attuazione dei diritti sociali condizionati deve, pertanto, essere caratterizzata da necessaria
gradualità, da ragionevole ponderazione con gli altri valori costituzionali primari e con le esigenze del
bilancio statale, da non irragionevoli inerzie o ritardi, da corrispondenza con quella che è la ratio dello
specifico diritto sociale.
6. La giurisprudenza della Corte costituzionale sui diritti sociali.
La Corte costituzionale ha in più occasioni avuto modo di tracciare un equilibrio sottile fra la garanzia
dei diritti sociali “a prestazione” e le esigenze economico-finanziarie e di bilancio, nel momento in cui
è stata chiamata a confrontarsi con le peculiarità specifiche dei diritti condizionati e del conseguente
problematico rapporto con il principio di equilibrio finanziario desumibile dalla vecchia formulazione
dell’art. 81 Cost..
La ricerca di questo delicato equilibrio potrebbe essere influenzata dalla recente riforma costituzionale
dell’art.81 Cost., che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio ed, in particolar modo, il divieto
di indebitamento (se non per le cause elencate nel nuovo art. 81 Cost. a maggioranza assoluta in
Parlamento). Questa riforma rischia indubbiamente di comprimere la tutela effettiva dei diritti sociali
sia a livello statale che a livello locale: si tratterà di verificare l’incidenza che la nuova formulazione
dell’art. 81 avrà sulla giurisprudenza della Corte costituzionale in sede di verifica della ragionevolezza
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del bilanciamento fra “principio del pareggio di bilancio” e tutela dei diritti sociali operato dalle singole
leggi.
La distinzione operata nella giurisprudenza costituzionale, tra riconoscimento del diritto sociale e
concreta garanzia del medesimo, ha portato a riconoscere tali diritti condizionati nella sfera della
riserva del possibile e del ragionevole (formula coniata dalla giurisprudenza costituzionale tedesca)
ma solo nella determinazione legislativa del quomodo e del quando della garanzia effettiva, e,
comunque, non in modo tale da comprimere il contenuto minimo necessario a non rendere illusoria
la soddisfazione dell’interesse protetto (MORTATI).
I criteri in base ai quali si svolge il controllo di costituzionalità delle leggi che danno attuazione ai
diritti sociali, sono:
a) principio di gradualità nell’attuazione delle riforme legislative (sentt. n. 173 del 1986 e n. 205
del 1995);
b) principio di costituzionalità provvisoria di una determinata disciplina,
che necessita di
sviluppo o di riforma (sent. n. 826 del 1988);
c) principio di “attuazione parziale-incostituzionale” di un diritto sociale, allorché, se ne agevola
semplicemente il godimento senza assicurarlo in concreto (sent. n. 215 del 1987).
Spetta proprio alla Corte costituzionale sindacare l’attività legislativa, allorché il legislatore non
abbia usato la dovuta ragionevolezza nel ponderare l’attuazione dei diritti stessi all’interno del
bilanciamento con gli altri interessi primari garantiti dalla Costituzione e con le imprescindibili
esigenze di bilancio.
Quello che poi, in ultima analisi, la Consulta ha fatto, a partire dalla fine degli anni ‘70, statuendo a
più riprese che l’attuazione dei diritti sociali derivativi è condizionata da necessaria gradualità e da
ragionevole ponderazione degli altri interessi, nonché da non irragionevoli inerzie o ritardi
nell’adozione di un soddisfacente assetto della materia ed, infine, da una necessaria corrispondenza
con la ratio dello specifico diritto sociale, senza comunque, rimettere in discussione
quell’importante riconoscimento tributato dalla giurisprudenza costituzionale ai diritti sociali,
secondo il quale anche i diritti sociali condizionati, al pari di tutti gli altri diritti costituzionalmente
riconosciuti, sono valori costituzionali primari, che, in quanto tali, assurgono al rango di diritti
inviolabili.
Soprattutto a partire dagli anni ottanta l’intervento della Corte Costituzionale nel processo di
razionalizzazione giuridica dei diritti sociali, ha preso le mosse dal riconoscimento a tali diritti del
rango di diritti fondamentali ed inviolabili e dalla concessione di una protezione immediata anche a
quei diritti sociali condizionati sottoposti ad un intervento positivo del legislatore.
L’elaborazione giurisprudenziale della Corte ha così svolto un ruolo fondamentale nell’evoluzione
in materia sociale del nostro ordinamento, facendo frequentemente ricorso ad interpretazioni
adeguatrici per arricchire ed elevare il livello di tutela dei lavoratori e delle fasce deboli della
società.
La Corte così ha rivendicato la possibilità di sindacare la discrezionalità del legislatore
nell’attuazione dei diritti sociali e nel conseguente loro finanziamento richiamandosi da un lato, alla
nozione di contenuto minimo essenziale dei diritti sociali, dall’altro, al principio di gradualità delle
risorse economiche così da porre rimedio sia alla mutevolezza, instabilità ed imparzialità nella
protezione di tali diritti, e allo stesso tempo salvaguardarne la tutela anche di fronte alla scarsità
delle risorse.
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Tali principi hanno ispirato il giudice costituzionale nell’operare il giudizio di bilanciamento tra
beni e valori costituzionali, in base al quale sono stati individuati i limiti ed il contenuto dei diritti
sociali e risolti gli eventuali conflitti tra beni costituzionalmente protetti. Così la Corte si è più volte
trovata, specialmente negli ultimi decenni, ad affrontare il problema del contemperamento delle
politiche sociali con le risorse economiche, rilevando al riguardo che il costo dei diritti sociali non
deve comunque trasformarne la struttura o incidere sulla loro operatività.
La Corte poi si è spinta oltre e, nel recepire le progressive e molteplici istanze sociali, ha elaborato
nuovi diritti e conferito agli stessi tutela costituzionale. Così è avvenuto per il diritto all’ambiente,
che la sentenza n. 641 del 1987 ha riconosciuto come valore primario ed assoluto dell’individuo, la
cui protezione è imposta da precetti costituzionali, in particolare dagli artt. 2, 9 e 32 Cost., e per il
diritto alla riservatezza, la cui tutela, sebbene non prevista da una specifica norma costituzionale, è
stata ricavata dal complesso delle norme della Carta che disciplinano, sia pure indirettamente, il
diritto all’intimità della vita privata.
Ma è stato proprio tale meccanismo di tutela che ha condotto ad una crescita esponenziale della
spesa sociale con una corrispondente crisi della tutela dei diritti sociali, spesso inevitabilmente
subordinati all’esistenza delle risorse per la loro concessione.
Così, a partire dalla metà degli anni 70, il fenomeno appena descritto, unitamente ad una serie di
fattori, tra cui nuovi bisogni sociali, nuovi soggetti portatori di tali bisogni, la riconosciuta
incapacità dello Stato sia di svolgere il ruolo di imprenditore (stato-impresa), sia di assumere una
funzione regolatrice dell’economia e della società, hanno aperto un processo di crisi del Welfare
State (e dei diritti sociali) che ha assunto dimensioni sempre più ampie e preoccupanti, al punto da
far trasparire in dottrina l’idea dell’inevitabile scomparsa di questa forma di Stato.
Di fronte a tale fenomeno, e nel tentativo di rafforzare e rinnovare le modalità e le procedure
tradizionali di soddisfacimento dei diritti sociali, superando le inefficienze e le contraddizioni
manifestatesi, è intervenuto a partire dagli anni ‘90 il legislatore ordinario e costituzionale,
modificando l’assetto istituzionale ed organizzativo dello stato sociale italiano attraverso un
processo di decentramento delle competenze istituzionali dallo Stato centrale alle regioni ed agli
enti locali.
Sulla base del principio di sussidiarietà, le responsabilità di gestione e finanziarie delle prestazioni
sociali vengono così trasferite al livello di governo più vicino al cittadino, in quanto in grado di
interpretare con maggiore efficacia i bisogni sociali emergenti e le lacune della rete dei servizi,
operando un’apertura dei sistemi di protezione dei diritti sociali anche agli enti territoriali.
Momenti fondamentali di questo percorso sono stati dapprima la legge n. 328 del 2000, sul sistema
integrato dei servizi e degli interventi sociali, con la quale si è provveduto ad una riforma
complessiva del settore dei servizi sociali, e successivamente la riforma costituzionale del Titolo V
della Costituzione.
La modifica costituzionale operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 ha infatti introdotto un
nuovo criterio di riparto delle competenze normative tra Stato e Regioni destinato ad avere effetti di
rilievo nella tutela dei diritti fondamentali, sia sociali sia civili.
Ai sensi del novellato art. 117 Cost., vengono individuati ambiti di competenza esclusiva dello
Stato, settori di competenza concorrente Stato/Regioni, in cui al primo spetta la determinazione dei
principi fondamentali ed alle seconde la disciplina specifica di settore, ed ambiti di competenza
esclusiva delle Regioni.
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Il legislatore costituzionale, assegna alla competenza esclusiva dello Stato la “determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale” (art. 117, II comma, lett. m).
Ciò comporta che l’esercizio delle competenze attribuite alle Regioni, sia concorrenti che esclusive,
è comunque soggetto al limite negativo del rispetto dei livelli essenziali di prestazione in materia di
diritti civili e sociali, nonché deve adeguarsi al limite costituito dai “principi fondamentali” la cui
determinazione è riservata alla legislazione dello Stato con riferimento alle competenze concorrenti
delle Regioni. L’interpretazione dottrinaria dell’art. 117 in materia di diritti sociali, ha dato esito a
posizioni spesso contrastanti soprattutto con riguardo all’individuazione del carattere di essenzialità
dei livelli di prestazione in materia di diritti sociali, e non ha risparmiato critiche alla riforma,
colpevole, secondo alcuni Autori, di un’inevitabile erosione del principio di uguaglianza.
Infatti l’impegno del legislatore nazionale nella determinazione di livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti sociali, costituisce per alcuni aspetti, un innegabile regresso rispetto al principio
di uguaglianza dei singoli enunciato nell’art. 3 della Carta, considerato ora meritevole di tutela solo
nei suoi livelli minimi.
Occorre poi evidenziare che a norma del III comma del novellato art. 117, sono attribuite alla
legislazione regionale concorrente le materie della tutela e sicurezza del lavoro, dell’istruzione,
della salute, materie in cui con particolare urgenza si affacciano le problematiche connesse al
decentramento dello Stato sociale e si ripropone la riflessione già avanzata in termini di erosione del
principio di uguaglianza e di squilibrio nel godimento delle prestazioni, con una conseguente
asimmetria nella concessione delle prestazioni sociali ed un serio rischio di affievolimento delle
garanzie costituzionali di solidarietà ed uguaglianza. Situazione cui potrebbe rimediare solo il
necessario rispetto dei livelli essenziali di prestazione fissati dallo Stato ai sensi dell’art. 117 lett. m.
o l’intervento del Governo statale nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’art. 120, II comma, a
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Si assiste così, nell’evoluzione degli ordinamenti nazionali, fortemente caratterizzata dai fenomeni
della globalizzazione e dell’integrazione europea e della dislocazione della tutela a livello locale, al
sorgere di un fenomeno di tutela multilivello dei diritti che, comportando una progressiva perdita da
parte dello Stato del monopolio della tutela degli interessi sociali, ne ha spostato la garanzia in una
dimensione sovranazionale ed internazionale da un lato, ed a livello regionale e locale dall’altro.
La volontà di rinnovamento e rafforzamento dei sistemi di garanzia dei diritti sociali riscontrato a
livello nazionale, ha peraltro caratterizzato negli ultimi dieci anni anche la scena comunitaria.
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7. I DIRITTI EMERGENTI: forme di Stato e riconoscimento dei diritti.
Tra i vari criteri storicamente e tradizionalmente proposti per classificare le forme di Stato, spicca
quello che fa riferimento al modo di conformare i rapporti tra le autorità e i cittadini per quanto
riguarda la tutela dei diritti di questi ultimi, per cui l’evoluzione delle forme di Stato comporta un
mutamento nel riconoscimento di tali diritti: un mutamento che può essere apprezzato sia nel senso
di un accrescimento o di una riduzione dei medesimi, sia nel senso di un “superamento” dei diritti
della “generazione” precedente in quelli di una “generazione” successiva.
Poiché i “diritti” sono, per solito, racchiusi in elencazioni o cataloghi contenuti in dichiarazioni, in
preamboli di costituzioni o di leggi, ad ogni nuova generazione di diritti potrà corrispondere
verisimilmente un ampliamento o comunque un aggiornamento dell’elenco o del catalogo.
8. Generazione dei diritti.
Il sintagma “generazione di diritti” sta ad indicare una distinzione tra “gruppi” o “insiemi” di diritti,
contrassegnati, ciascuno, da una o più caratteristiche salienti e comuni dei diritti che ne fanno parte,
distinzione, ovviamente, relativa ai motivi storici e ai modi per i quali e attraverso i quali sono sorti,
si sono affermati e sono stati riconosciuti.
9. La prima generazione dei diritti: i diritti civili e politici.
Così ad una prima generazione si è ritenuto che appartengano sia i “diritti civili”, sia i “diritti
politici”, affermatisi in tempi diversi.
Mentre “in un primo tempo sono stati affermati i diritti di libertà, cioè tutti quei diritti che tendono a
limitare il potere dello Stato e a riservare all’individuo o ai gruppi particolari una sfera di libertà
dallo stato, in un secondo tempo sono stati propugnati i diritti politici che, concependosi la libertà
non soltanto negativamente come non-impedimento, ma positivamente come autonomia, hanno
avuto per conseguenza la sempre più ampia e diffusa e frequente partecipazione dei membri di una
comunità al potere politico (o libertà nello Stato)” (N. BOBBIO).
Ma gli uni e gli altri, come specie, appartengono ad uno stesso concetto di genere, al concetto di
libertà, intesa sia come non-impedimento, come libertà dell’individuo da estrinseche limitazioni, sia
come autonomia o autodeterminazione del singolo nell’ambito del gruppo o della comunità sociale
di cui è parte e, come tale, può farsi parte attiva e autonomamente partecipare alle determinazioni
comuni. Dunque: libertà dallo Stato e libertà nello Stato.
10. La seconda generazione dei diritti: i diritti sociali.
Se i diritti di libertà, civili e politici, proprio in quanto diritti di libertà, appartengono ad una “prima
generazione”, i diritti comunemente detti “sociali”, apparterrebbero ad una “seconda generazione”.
Le nuove esigenze ed istanze che hanno richiesto una risposta, ossia il riconoscimento di altri e
diversi diritti, sono riferibili a “nuovi valori, quali quelli del benessere e dell’eguaglianza non
soltanto formale”.
La libertà individuale non implica di per sé l’uguaglianza degli individui – si può essere liberi senza
essere uguali – né l’uguaglianza implica la libertà – si può essere uguali nella schiavitù, ugualmente
schiavi – uguaglianza e libertà non sono certo incompatibili – si può essere liberi e uguali,
ugualmente liberi.
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Ma, una compiuta libertà di ciascun singolo nella sua concretezza – non solo come assenza di
impedimenti, ma anche come possibilità di autodeterminazione (autonomia) – suppone che esso
possa essere posto in una condizione tale da poter effettivamente, concretamente autodeterminarsi,
possa godere cioè di pari opportunità rispetto a ciascun altro, in posizione di non dipendenza da
altri.
L’uguaglianza sostanziale è condizione necessaria di piena libertà positiva; ma una tale
uguaglianza non è concepibile se non all’interno del gruppo o della comunità di cui i singoli sono
componenti, in virtù quindi di determinazioni del gruppo o della comunità che rimuovano (o
tendano a rimuovere) le disuguaglianze di fatto tra gli individui. L’esigenza di tali determinazioni è
soddisfatta dal riconoscimento di diritti sociali – diritti dell’individuo che ne assicurino (o tendano
ad assicurarne) la “libertà attraverso o per mezzo dello Stato” (N. BOBBIO).
In altri termini, mentre l’uguaglianza formale – che non richiede di per sé specifiche prestazioni – è
sufficiente al riconoscimento (oltre che dei diritti civili anche) dei diritti politici, solo il riferimento
al concetto di uguaglianza sostanziale o fattuale rende possibile concepire i diritti sociali. Diritti di
“libertà” anch’essi, in definitiva, ma diritti condizionati a positive prestazioni dello Stato e in genere
dei pubblici poteri. L’enunciato del 2° comma dell’art. 3 della nostra Costituzione è felicemente
emblematico.
11. La terza e la quarta generazione dei diritti.
A queste due “generazioni” di diritti se ne è fatta seguire una terza e poi una quarta, contrassegnate,
la prima, da una varietà di diritti, quali il diritto a vivere in un ambiente salubre o non inquinato, i
diritti alla solidarietà, allo sviluppo, alla pace internazionale, alla comunicazione …, la seconda
dalle possibili risposte alle esigenze, istanze, richieste connesse agli effetti sempre più incisivi della
ricerca biologica che coinvolgono le grandi questioni della bioetica e delle manipolazioni genetiche.
Ora, a parte il rilievo preliminare che, con riferimento ai c.d. diritti della “terza generazione”, essi
costituiscano una “categoria ancora troppo eterogenea e vaga per consentirci di capire di che cosa
esattamente si tratti” e l’osservazione conseguente che è difficile rintracciare un concetto di genere
unificante che valga a porsi come contrassegno di una tale distinta “generazione”, non può non
rilevarsi che gli stessi autori che la propongono appaiono dubbiosi sulla possibilità di qualificare
come veri e propri diritti, anziché come semplici interessi, aspirazioni o desideri, quelli che vi
appartengono.
12. Il riconoscimento dei diritti emergenti: effettività.
Ma perché sorgono i diritti, perché vengono riconosciuti, in qual senso si configurano?
La possibilità di classificare i diritti secondo diverse “generazioni” non sembra poter impedire di
riportare i diritti “nuovi”, mano a mano emergenti, ai fondamentali paradigmi della libertà negativa
e della libertà positiva, della uguaglianza formale e della uguaglianza sostanziale.
Perciò l’impegno alla rimozione degli squilibri e delle disuguaglianze di fatto assunto nel capoverso
dell’art. 3 della Costituzione non è che “il risvolto istituzionale del principio della effettività dei
diritti”.
Perciò, nella forma di Stato disegnata dalle costituzioni europee del secondo dopoguerra la
rivendicazione della libertà dal bisogno è stata posta “come condizione che rende possibile
l’accesso ad eguali chances di libertà e l’effettivo godimento dei diritti da parte del singolo”.
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13. La questione dei “nuovi diritti”.
Non vi è dubbio che il presupposto di questa discussione va rinvenuto, oltre che nei discorsi teorici,
nel mutamento della coscienza sociale, e nell’affacciarsi di nuove esigenze ed istanze, dovute in
primo luogo allo sviluppo tecnologico, che ha reso insufficiente il catalogo costituzionale dei diritti
e che ha fatto parlare di “nuovi diritti” in esso non enumerati.
Se è vero, insomma, che storicamente, l’emersione dei diritti costituisce una risposta ai nuovi
bisogni via via emergenti nella società, occorre ora, sulla base del catalogo dei diritti enumerati
nella nostra Costituzione, verificare se e quando possa propriamente parlarsi di “nuovi diritti”.
Occorre, in altre parole, chiedersi se nuovi diritti, emergenti dalla coscienza sociale,
indipendentemente da un loro riconoscimento normativo, possano ipotizzarsi, senza implicare
un’alterazione del catalogo costituzionale.
Sono “nuovi” per es. il c.d. diritto alla riservatezza, i diritti che si ipotizzano con riferimento alla
evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, i diritti alla informazione, i diritti che si
desumono dalla comparsa e dalla diffusione dei collegamenti informatici, dalle esigenze sempre più
pervasive di tutela dell’ambiente, di tutela dei consumatori, i diritti connessi alla bioetica, fino ai
c.d. diritti delle generazioni future.
È notissimo, d’altra parte, che gli attuali ordinamenti costituzionali europei, tra i quali il nostro,
tendono a rifarsi a principi largamente riconosciuti nell’ambito della tutela dei diritti umani,
soprattutto attraverso l’adesione a carte internazionali o sovranazionali e attraverso il diffondersi di
carte regionali, tanto che si è parlato ormai di un “nuovo universalismo dei diritti” non più basato su
fondamenti giusnaturalistici, o anche di un “costituzionalismo cooperativo”, che ha posto in
comunicazione gli ordinamenti costituzionali, sovranazionali ed internazionali (mi riferisco
soprattutto alle opere di J. Habermas e di P. Häberle).
Vi sono due modi di intendere i “nuovi diritti”, emergenti dai nuovi assetti che vanno assumendo i
rapporti civili in ragione, principalmente, dello sviluppo tecnologico e della evoluzione della
coscienza sociale.
Ma quali sono i diritti riconosciuti come “inviolabili” nella Costituzione italiana? L’art. 2 Cost.
esaurisce la sua potenzialità col richiamo ai soli diritti espressamente previsti nelle altre parti della
Costituzione? In altre parole, l’art. 2 Cost. è solo la “matrice” dei diritti espressamente qualificati
come inviolabili?
14. La “fattispecie chiusa”.
Una parte della dottrina, animata dalla preoccupazione che all’espansione illimitata dei diritti
inviolabili non scritti corrisponda una illimitata e surrettizia restrizione dei diritti costituzionalmente
protetti, tende in effetti a considerare l’art. 2 come norma ricognitiva dei diritti enumerati o, come si
usa dire, norma a fattispecie chiusa.
Ma gli esiti ai quali si potrebbe pervenire considerando come inviolabili solo i diritti espressamente
qualificati come tali sarebbero estremamente restrittivi, traducendosi questi nella libertà personale
(art. 13), in quella di domicilio (art. 14), in quella di comunicazione (art. 15) e nei diritti della difesa
(art. 24).
La lettura “restrittiva” del catalogo dei diritti, oltre a implicare di fatto che l’art. 2 Cost. sia una norma
perfettamente inutile, in quanto meramente ricognitiva dei diritti enumerati, non consentirebbe di
cogliere il legame tra il loro riconoscimento e l’impegno alla rimozione di condizioni sociali di
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disuguaglianza contenuto nell’art. 3, 2° comma, Cost., che si traduce in una componente di domanda
attiva di libertà, indispensabile alla liberazione delle condizioni sociali di oppressione o di predominio
che ostacolano la realizzazione delle sfere della personalità tutelate a livello costituzionale.
In questa prospettiva, i diritti emergenti sarebbero “nuovi” rispetto al contenuto tradizionalmente
riconosciuto ai diritti costituzionalmente codificati, ma, tuttavia, andrebbero ricondotti, per quanto
possibile, attraverso un’interpretazione estensiva ed al tempo stesso evolutiva, alle previsioni e alla
disciplina che per questi ultimi prevede la Costituzione.
Non esisterebbero, in altre parole, altri diritti fondamentali inviolabili che non siano
necessariamente “conseguenti” a quelli costituzionalmente previsti (così Corte cost., sent. n.225/74:
ad esempio, per il diritto alla rettifica delle notizie inesatte concernenti la propria persona, la Corte
ha fatto implicito riferimento al diritto all’identità personale, che include a sua volta il diritto al
nome e all’immagine e il diritto all’identità sessuale, nel diritto alla personalità che è presupposto
dagli artt. 2 e 3 cpv. Cost. e che trova esplicito riconoscimento, in talune sue esplicazioni, nell’art.
22 Cost.).
In sostanza molti dei “nuovi” diritti, (es. riservatezza, informazione, obiezione di coscienza ecc.),
possono essere diversamente considerati in quanto riconducibili o desumibili da qualche enunciato
costituzionale, o, più spesso, da un complesso di disposizioni (diritti impliciti, strumentali,
trasversali…).
La tesi dell’art. 2 come fattispecie “chiusa” si preoccupa principalmente di rilevare:
a) che l’affermazione di un nuovo diritto importi per lo più automaticamente l’imposizione di un
corrispondente obbligo;
b) sul piano della interpretazione degli enunciati costituzionali relativi ai diritti, si preoccupa di
evitare che la considerazione del contenuto assiologico di ciascun diritto, e del sistema dei valori in
cui esso si inscrive, possa condurre a privilegiare – nella ponderazione e nel bilanciamento e, a volta
a volta, secondo il ricorrere dei diversi “casi concreti” – ora l’uno ora l’altro.
15. La “fattispecie aperta”.
Altra parte della dottrina ritiene, invece, che l’art. 2 Cost. vada interpretato come “clausola aperta”, o,
come si usa dire, norma a fattispecie aperta, riferibile cioè ad ogni “situazione di libertà” emergente a
livello di costituzione materiale.
Questa tesi, però, non solo non trova alcun appiglio positivo, ma trascura il significato dell’enumerazione dei diritti fondamentali, non dandosi cura di ricercare il fondamento positivo di presunti nuovi
diritti.
Secondo quest’altra prospettiva, si tratterebbe di diritti assolutamente “nuovi” rispetto al catalogo
costituzionale delle situazioni giuridiche soggettive.
Si è detto, a questo riguardo, che il processo di evoluzione dei diritti fondamentali presenta nella sua
fase attuale soprattutto due aspetti di particolare rilievo: la tendenziale assimilazione-omologazione
dei diritti sociali ai diritti di libertà e lo sviluppo di diritti ancora sconosciuti o ancora privi di
formale riconoscimento e tutela, che vengono però recepiti come “fondamentali” dalla collettività e
sono perciò bisognevoli di una originale qualificazione giuridica.
Non solo, si è anche cercato di dimostrare, che l’art. 2 Cost., nel riconoscere e garantire i diritti
inviolabili dell’uomo, non esaurisce le sue potenzialità col richiamo ai soli diritti espressamente
previsti in altre disposizioni della Costituzione, ma va interpretato come “clausola aperta”, riferibile
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ad ogni “situazione di libertà” emergente a livello di costituzione materiale, come se fosse una fonte
di produzione giuridica.
E tuttavia ai “nuovi” diritti non corrispondono sempre situazioni giuridiche soggettive
effettivamente tutelabili, soprattutto mediante azione giudiziaria, per cui è affidato principalmente
alla legislazione ordinaria il compito di enuclearli e di specificarli per assicurare loro
riconoscimento esplicito e soprattutto protezione, sia – direttamente – elevandoli a diritti soggettivi,
sia – indirettamente – predisponendo altri mezzi e strutture per la loro effettiva soddisfazione. Se la
legislazione ordinaria non interviene, è alle previsioni costituzionali che l’operatore-interprete deve
comunque riferirsi per identificare e far valere la tutela di un “nuovo” diritto.
Sotto tale profilo, fondamentale si rileva l’apporto dei giudici – in particolare della Cassazione – e
della Corte costituzionale, chiamati spesso ad una interpretazione estensivo-evolutiva dei diritti
enumerati. E, poiché il problema dei “nuovi” diritti è principalmente un problema di tutela effettiva,
è anche per questa ragione che il tentativo di ricondurli ad enunciati specifici della Costituzione
appare il più convincente e anche il più producente.
16. La “terza via”.
Proprio la connessione con il problema della loro tutela effettiva induce a riflettere sulle condizioni
che possono legittimare il sostanziale allargamento del patrimonio costituzionale dei diritti
conseguente all’interpretazione evolutiva del catalogo positivo. Riflessione che si collega,
inevitabilmente, alla questione della valenza dell’art. 2 Cost., e che induce a proporre una terza
soluzione interpretativa rispetto a quelle prima descritte della norma a “fattispecie aperta” o della
norma a “fattispecie chiusa”. Si tratta della tesi secondo la quale l’enucleazione dei c.d. nuovi diritti
non può “andar disgiunta dal riconoscimento della loro inviolabilità” (MODUGNO, 1995, 107).
La terza via propone il superamento delle tesi dottrinali della “fattispecie chiusa” e della “fattispecie
aperta” dell’art. 2 Cost. una teoria “interpretativa” e l’evoluzione della giurisprudenza
costituzionale.
Ora, non si tratta di “aprire” il catalogo dei diritti di là dalla enumerazione costituzionale, bensì di
interpretare, ricorrendo ad ogni argomento ermeneutico, gli enunciati costituzionali in modo da
raccordarli con il principio-valore eminente della libertà della persona, della libertà-personalità,
intesa anzitutto come autodeterminazione e autorealizzazione, positivamente riconosciuta dagli art.
2 e 3 cpv. Cost.
Sarebbero, dunque, i diritti riconosciuti come inviolabili, ossia, secondo quanto affermato nella
giurisprudenza costituzionale, quelli assunti come valori primari e principi supremi dell’ordinamento
costituzionale (il cui “contenuto minimo” è sottratto alla revisione costituzionale: v. sent. n. 1146/
1988), i soli idonei a consentire interpretazioni ed esplicazioni evolutive della loro potenzialità
normativa. Con un’ulteriore specificazione, e limitazione, quella per cui il carattere
dell’inviolabilità andrebbe riferito “al patrimonio irretrattabile della persona umana intesa come
totalità ossia al principio supremo della libertà dignità” (MODUGNO, 1995, 107), considerato come
principio che pervade la Costituzione repubblicana in contrapposizione, come detto, al principio
individualistico della libertà-proprietà. In sostanza, secondo questa tesi, la stessa possibilità di
enucleare un nuovo diritto è sottoposta ad una duplice condizione,
1. dovendo esso essere ricondotto a un diritto enumerato e,
2. a monte, essere riferibile al principio supremo della libertà-dignità.
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Questa “tesi interpretativa” elaborata da Franco Modugno, non è una dottrina stipulativa – non
dice quali diritti fondamentali debbano essere riconosciuti e garantiti, né dice se nuovi diritti siano
individuabili direttamente ex art. 2 ovvero deducibili dall’interpretazione degli enunciati
costituzionali sui diritti – ma è una teoria sull’interpretazione, ossia si limita a descrivere su come
viene interpretato l’art. 2 e gli altri enunciati costituzionali, su, se e come vengono individuati
“nuovi” diritti, e se tutto questo possa farsi rientrare, sia coerente con il disegno costituzionale, dalla
giurisprudenza costituzionale.
17. I “nuovi diritti” nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale aveva optato inizialmente per una lettura “chiusa” del catalogo dei diritti,
considerando come inviolabili solo i diritti espressamente riconosciuti dalla Costituzione medesima
… Già dagli anni Settanta, peraltro, si erano iniziati a delineare mutamenti di questo indirizzo…
Tale indirizzo più aperto si è consolidato e stabilizzato a partire dalla metà degli anni Ottanta...
Questa posizione interpretativa sull’art. 2 non è che la descrizione o la spiegazione, in definitiva, e,
se si vuole, la giustificazione di quel “patrimonio irretrattabile della persona umana” di cui la Corte
sovente discorre nell’individuare, nel corso della sua evoluzione giurisprudenziale, i più vari diritti:
alla riservatezza e all’immagine (1973), alla rettifica delle notizie inesatte concernenti la persona
(1974), alla vita del nascituro (1975), ad un proprio patrimonio morale (1981), alla libertà ed
identità sessuale (1985 e 1987), alla vita e all’incolumità (1986 sul prelievo coattivo), del minore
all’inserimento nella famiglia (1987 e 1988), all’abitazione (1988, 1989, 1990), al rispetto della
dignità, in tema di accompagnamento per i disabili (1989), alla privacy (1990, 1994, 1996), al nome
(1994, 1996, 2002: il cognome, come parte essenziale e irrinunciabile della personalità), allo status
filiationis dei figli incestuosi (direttamente collegato al combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost.:
diritti inviolabili e dignità sociale, 2002), e così via.
18. Il fondamento dei “nuovi diritti” nella Costituzione italiana.
In definitiva, se il parametro di riconoscimento dei diritti inviolabili e di rinvenimento di “nuovi”
diritti è costituito dal “pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 cpv. Cost.) e dalla “pari dignità
sociale” (art. 2 Cost.), la stessa disputa sul carattere aperto e chiuso dell’art. 2 appare ormai come
un discorso stereotipo, un girare a vuoto, che non tiene in alcun conto il fatto che la Costituzione
stessa offre un parametro espansivo, quello della pienezza (dello sviluppo) della persona, così che
la “cornice testuale, pronta ad adattarsi al mutare delle condizioni esistenziali, dei fatti della vita …
spiazza il vecchio dibattito sulla natura aperta o chiusa dell’art. 2 Cost. o meglio ne modifica
l’impostazione.
Com’è stato ben detto, le “operazioni ermeneutiche di esplicitazione di nuovi significati e
prospettive sostanziali del “pieno sviluppo della persona” e della “dignità sociale” … non sono
diritti “nuovi”, ma nuove formulazioni, nuove proiezioni (di interessi, istanze, manifestazioni
identitarie) di un materiale che è sempre e pienamente riconducibile alla Costituzione nel suo
“volto” positivo ed espresso, nel suo essere forma che tuttavia presuppone (e perciò riconosce) una
sostanza fluida e naturalmente espansiva, in quanto ha a che fare con i bisogni umani” e “questa è la
caratteristica più profonda e coessenziale …. al fenomeno costituzionale come progetto aperto ad
una continua e flessibile riformulazione di contenuti e di equilibri che promanano dai contesti
sociali e materiali richiamati proprio dai concetti costituzionali ad elevata indeterminatezza
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semantica che inverano l’istanza personalista (pieno sviluppo della persona, ma anche dignità
sociale, utilità sociale, ostacoli di ordine economico e sociale, … )”, per cui “è illusorio pensare che
dentro queste categorie “storiche”, e perciò “provvisorie” e rideterminabili, sia possibile tracciare
gerarchie nette e definitive, fondate soltanto sul contrassegno formale dell’inserimento o meno di un
diritto nel catalogo costituzionale”.
19. Un meta-diritto: il diritto a poter usufruire dei diritti.
Il problema della “esclusione sociale” come negazione di fatto di tutti i diritti riconosciuti (civili,
politici, sociali, economici, culturali), questa ”nuova” emergenza sembra capace di produrre una più
significativa attenzione giuridica, che appunto richiama anche la fisionomia del diritto (inteso in
senso soggettivo non solo a prestazioni specifiche, ma a vivere in modo complessivamente
corrispondente all’obbiettivo della dignità umana”.
Anche indipendentemente, cioè, dal “pieno sviluppo della persona” (art. 3), è lo stesso svolgimento
della personalità (art. 2) a risultare impossibile e a vanificare il riconoscimento e la garanzia dei
diritti inviolabili dell’uomo e a conseguire una pari dignità sociale. Riconoscere e garantire diritti
inviolabili a chi è emarginato o socialmente escluso è semplicemente e ipocritamente un flatus
vocis. Chi è socialmente emarginato, perché i suoi diritti possano essere riconosciuti e garantiti,
deve poter usufruire di tali diritti.
Di qui un pregiudiziale diritto: il diritto a poter usufruire dei diritti, quello che l’art. 12 della Cost.
svizzera del 2000 proclama, con formula pragmatica, come “diritto all’aiuto in situazioni di
bisogno”: “chi è nel bisogno e non è in grado di provvedere a se stesso ha diritto di essere aiutato e
assistito e di ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa”. È forse proprio difficile
costruire questo “nuovo” diritto, movendo dalle prescrizioni sull’“adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” di cui all’art. 2 e della “pari dignità
sociale” di cui all’art. 3, anche nel contesto della nostra Costituzione?
Il segno dell’acquisita, esplicita rilevanza di un tale diritto pregiudiziale e veramente primario o
fondamentale è offerto ora, in via generale, dall’art. 117, 2° co., lett. m, Cost., che, nell’elencare le
materie di competenza legislativa statale esclusiva, prescrive la “determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale”.
È un diritto condizionante la garanzia degli altri diritti, un meta-diritto, ma è, al tempo stesso, un
“diritto a condizioni minime di esistenza”, oggi certamente non azionabile in giudizio (forse domani
chi sa?), ma che può ricevere effettività da istituti positivi, in via di proposte di sperimentazione,
come quello del “reddito sociale minimo”, detto anche “reddito di cittadinanza” che ha già ricevuto,
nel nostro ordinamento un parziale tentativo di attuazione con il d.lgs. 237/88 e poi con l’art. 23, l.
328/00 – legge sul sistema integrato dei servizi sociali – che rinvia ad un successivo atto legislativo
la determinazione di modalità, termini e risorse per l’estensione dell’istituto del reddito minimo di
inserimento come generale misura per contrastare la povertà, la quale rappresenta o il valoredisvalore centrale cui ricondurre anche gli altri interventi di sostegno del redditi), ed ancora come
nel caso della c.d. social card, «concessa ai residenti di cittadinanza italiana che versano in
condizioni di bisogno» (art. 81, co. 32, d.lgs. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008).
In questo ordine di idee non può non ricordarsi l’esplicito riconoscimento (e il rispetto) del “diritto
all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa”, contenuto nell’art. 34, 3° co., della Carta europea
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dei diritti fondamentali, “volte a garantire un’assistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano
di risorse sufficienti … “ e “al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà”. E – almeno ad
effetti interpretativi, se non integrativi – un così esplicito riconoscimento consente di leggere in
modo più esteso ed adeguato quel “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” che l’art. 38, 1°
co., Cost. riconosce ad “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere”.
In definitiva – e in sintesi – nella prospettiva dinamica dei diritti-valori è stato ben detto che “un
diritto, anche se nella fase iniziale del suo radicamento non è accompagnato da strumenti di difesa
giurisdizionale (singola o collettiva), può comunque essere fondamentale, nella capacità di
raccordarsi a valori basilari e diffusi di un ordinamento, e di stimolare una forte pressione culturale
e politica, che finisce poi … col rimodulare la sua qualità formale e sostanziale”.
Un diritto-valore fondamentale trascende, in questo senso, sia la dimensione del diritto
costituzionale – nel senso del riconoscimento-garanzia ad opera di disposizioni costituzionali – sia
la dimensione – strutturazione-disciplina, costituzionale e legislativa – del diritto soggettivo e
dell’interesse protetto.
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