l`arte contemporanea è brutta ei talenti mancano

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L'ARTE CONTEMPORANEA È BRUTTA E I TALENTI MANCANO, SPECCHIO
DEL DISORDINE CHE REGNA NELLE NOSTRE ANIME
di Carlo Lottieri
All’interno di un museo d’arte contemporanea ogni visitatore, anche senza
chiaramente tematizzarlo, si trova dinanzi alla difficoltà di non sapere dove
posare lo sguardo e su cosa fissare la propria attenzione. L’estintore appeso
al muro è parte della mostra oppure è unicamente chiamato a svolgere la
sua funzione in caso di incendio? La parete dipinta parzialmente in bianco e
parzialmente in giallo è semplicemente uno sfondo su cui apporre quadri o
altri oggetti, oppure è un’opera di qualcuno che si richiama a Piet Mondrian
o altri ancora? E così la sedia in legno, il tavolo e altri oggetti.
Questo spaesamento la dice lunga su cosa è successo nel corso del
Novecento.
Molto semplicemente, le avanguardie hanno dissolto le regole: non si sono
limitate ad arricchire il linguaggio, a modificarlo, a innovarlo, immettervi
altri stilemi. Hanno finito per distruggerlo. L’orinatoio di Marcel Duchamp è
uscito dalle toilette e ha perso la sua funzione originaria: ora non attende
che qualcuno possa usarlo per liberarsi dei liquidi in eccesso, ma pretende un’attenzione ammirata da parte di un pubblico da vacanze
intelligenti. Quel cesso esposto al pubblico è il trionfo della democrazia moderna quale culto dell’eguaglianza, perché ciò che è alto diventa
basso e ciò che è basso pretende di essere considerato alto.
Di tutto questo, è facile prevederlo, resterà ben poco. Certamente vi sono oggetti (le tele tagliate, lo sterco in scatola, il volto di Mao riprodotto
in molteplici colori) che sono ormai parte della storia, ma difficilmente entreranno in un canone estetico destinato a durare e, legati come sono
al gusto della provocazione, fatalmente invecchieranno male. Un po’ come le musiche per intonarumori scritte da un futurista come Luigi
Russolo. L’arte esige novità e capacità di sorprendere, poiché l’accademismo è la negazione dello spirito creativo, ma il nuovo per il nuovo è
l’impossibilità della comunicazione. Se passiamo passare qualche minuto dinanzi a una sedia e poi scopriamo che un addetto del museo la usa
per riposarsi un po’, ciò attesta che siamo in una Babele in cui tutto è possibile e nulla ha consistenza.
Le élite della tarda modernità occidentale continuano certo a stare al gioco e seguitano a dar credito all’idea che anche il nostro tempo abbia i
suoi Caravaggio, ma questo non basta a garantire un vero futuro a larga parte della produzione artistica dell’ultimo secolo. Uomini anche
intelligenti spesso sbagliano e non si deve pensare che gli alchimisti o i marxisti fossero tutti sciocchi o imbroglioni. Questo vale per l’arte e
non solo, perché la filosofia contemporanea conobbe la propria Waterloo in occasione del celebre Sokal hoax, quando il fisico Alan Sokal inviò
un testo senza alcun senso – ma in stile postmoderno – alla rinomata rivista accademica “Social Text” (nel cui board figuravano nomi come
Frederic Jameson e Andrew Ross) e si vide pubblicare quello scherzo. Non dimentichiamo che il falso Ossian affascinò molte grandi menti della
fine del diciottesimo secolo e che, più di recente, i migliori critici d’arte diedero credito ai Modigliani fasulli prodotti in un garage da alcuni
giovani burloni.
È possibile che oggi non vi siano artisti autentici o che il numero sia davvero molto modesto? È possibile, certamente è possibile. D’altra parte,
la polvere si è posata su tanti autori del passato e anche su intere epoche (chi oggi toglie dagli scaffali questo o quel testo della letteratura
italiana del Seicento?): è possibile che ci sia giusta polvere anche per questa rituale e accademica rincorsa a un nuovo apparentemente sempre
diverso che alla fin fine è sempre uguale e terribilmente ripetitivo.
A ben pensarci, non si tratta solo dell’arte. La nostra stessa esistenza (la vita pubblica, la condotta morale, l’appartenenza a questa o quella
confessione) è dominata da una simile confusione. Avevamo regole forse inadeguate e abbiamo deciso di sbarazzarcene, senza però avere la
forza di rifondare la nostra vita in altro modo e su altre basi. Per questa ragione siamo smarriti, costretti a scegliere tra un vecchio mondo in cui
non riusciamo più a stare e uno nuovo in cui tutto è possibile e nulla pare avere consistenza.
Il vacuo egualitarismo dell’arte contemporanea che ha preteso di elevare ciò che è basso, nella convinzione che nulla valga davvero, ci parla
allora direttamente di noi stessi: ben oltre l’arte stessa e la sua crisi. Ci mostra di un Occidente confuso che si rispecchia nel disordine delle
nostre anime.
da «il Giornale»
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