Il debito pubblico degli Usa ha superato i 10.000miliardi di dollari

Mondo | I riflessi dell’economia globale
Salvate la potenza americana
Washington mira
a svalutare ulteriormente
il dollaro per rilanciare
investimenti e consumi.
Una strategia necessaria
anche per la rimonta
del presidente
Barack Obama
nelle intenzioni
di voto degli americani
per il 2012
Con il Piano Marshall nel 1947
gli States aiutarono l’Europa stremata
dalla guerra. Oggi giocano la carta
estrema degli stimoli monetari
per uscire dalla crisi. Provocando
malumori negli altri protagonisti
della scena economica internazionale,
preoccupati dal rischio inflazione.
Ma salvare l’America è una priorità
per tutti, a cominciare dai tanti
creditori del suo debito pubblico
di Ugo Bertone
al suo ufficio di Washington di Macroeconomic Advisers, uno dei più
accreditati centri di ricerca sull'economia e sulla finanza Usa, Laurence Meyer studia le possibili conseguenze della
strategia adottata dalla Federal Reserve.
La politica del suo presidente Ben Bernanke, è la sua tesi, mira a un'ulteriore svalutazione del dollaro entro la metà del 2011.
«Una valuta più debole del dieci per cento»,
spiega, «farebbe salire la crescita americana al 4,8 per cento per quest'anno e al 5,7
per cento per il 2012, l'anno della volata
elettorale». In una cornice del genere, è lecito prevedere che si possano verificare le
due condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per consentire la rimonta di Barack Obama nelle intenzioni di voto degli
americani: la salita della Borsa e il calo
della disoccupazione. È più importante la
prima della seconda, spiega Meyer ai suoi
clienti, perché senza la tenuta dei listini il
partito democratico avrebbe perso pure la
maggioranza al Senato: non va mai dimenticato, infatti, che la maggior parte dei piani pensionistici americani è direttamente
D
Il debito pubblico degli Usa ha superato
i
14 OUTLOOK
10.000 miliardi di dollari
OUTLOOK 15
Mondo | I riflessi dell’economia globale
TASSO DI DISOCCUPAZIONE
NEGLI USA
A fianco, la sede della Federal Reserve
a Washington. Sotto, Ben Bernanke,
dal 2006 presidente della Fed
1998: 4,5%
2008: 5,8%
2010: 9,6%
PREVISIONE
2012: 7%
grazie alla manovra Fed
L’economia degli States cresce
In America
i privati hanno
abbandonato
i costumi
della cicala:
dall’inizio
della crisi
le famiglie
hanno ridotto
l’indebitamento
di 473 miliardi
di dollari,
mentre la quota
di reddito
da destinare
ai risparmi
è passata
dal 2,7
al 6 per cento
16 OUTLOOK
agganciata alle quotazioni azionarie che, per effetto
della politica espansiva adottata dalla Federal Reserve, potranno salire di un buon 30 per cento.
Intanto, se la manovra avrà successo,il tasso di disoccupazione potrebbe scendere dal 9,6 al 7 per cento.
Un risultato modesto, se si pensa che al momento dell'insediamento di Obama, il 30 gennaio del 2009, la
disoccupazione era al 7,5 per cento. Ma l'importante è
invertire la tendenza scacciando un incubo che, per la
prima volta da tre generazioni, si fa strada nella psicologia americana: la ricerca di un nuovo posto di lavoro,
che in genere non occupa più di qualche settimana, oggi rischia di trasformarsi in un'odissea all'italiana. Chi
è senza lavoro potrebbe restare in questa situazione a
lungo, sempre più a lungo: i disoccupati da più di sei
mesi, che dal dopoguerra non sono mai stati più di un
quarto del totale, oggi oscillano tra il 42 e il 45 per cento, pari a quasi sette milioni di persone. A questi si devono aggiungere quelli che, mese dopo mese, rinunciano a iscriversi nelle liste: una novità devastante per la
società americana, che ha sempre fatto della mobilità,
sia geografica sia sociale, uno dei suoi punti di forza.
Insomma, nell'impossibilità di raddrizzare la ba-
racca attraverso la politica fiscale, l'amministrazione
Usa gioca la carta estrema degli stimoli monetari. Una
scommessa rischiosa ma calcolata. E anche cinica, sottolinea Meyer che non è un osservatore qualsiasi. Per
più ragioni. Innanzitutto, Laurence Meyer è stato, su
nomina dell'allora presidente degli Stati Uniti Bill
Clinton, membro della Federal Reserve tra il 1996 e il
2002; inoltre, in quella veste tentò di opporsi alla politica di allargamento del credito e dei bassi tassi di interessi scelta da Alan Greenspan; infine, partecipò attivamente alla definizione del modello econometrico che
ancora oggi, con qualche variante, è adottato dalla Banca centrale americana. Facile pensare, dunque, che sappia interpretare i pensieri di Bernanke. E che, per di
più, possa permettersi il lusso di parlare chiaro come
non è concesso a un banchiere centrale.
La strategia, se questa diagnosi è corretta, permette di intuire una certa rotta: nel prossimo biennio prenderà consistenza la ripresa, almeno a breve. Gli investimenti, sia quelli in beni reali sia quelli sui mercati
finanziari, saranno stimolati dall'offerta di denaro
quasi a costo zero. Un'occasione irripetibile per fare
affari d'oro: i prezzi degli asset promettono di essere
convenienti. I possibili bersagli d'acquisto, poi, non
mancano di sicuro. Possono essere i grandi magazzini
come Sacks, nel mirino di Diego Della Valle (da qualche
mese il maggiore azionista della società), piuttosto che
la Chrysler, il colpo gobbo di Sergio Marchionne.
Oppure le centinaia di factory alla portata del portafoglio delle tante imprese italiane che in passato avevano rinunciato a varcare l'oceano per entrare nel mercato più competitivo del pianeta. Adesso si può osare.
Magari passando dalla porta di servizio del Messico, il
Paese unito agli States dal Nafta (l'Accordo nordamericano per il libero commercio, che coinvolge anche il
Canada), che combina i vantaggi di un costo del lavoro
basso alla vicinanza con l'unico Paese al mondo che
può consentirsi di spendere quattrini ma di mandare il
conto agli altri.
Infatti, come dimostrano i malumori della maggior
parte degli altri protagonisti della scena globale, la
strategia Usa presenta dei costi elevati per il resto del
pianeta. La prospettiva di una svalutazione selvaggia
del dollaro, accompagnata da un fiume di carta moneta in giro per il mondo, non piace a nessuno. È una vera maledizione per le economie emergenti, dal Brasile
2%
l’anno,
attualmente del
troppo poco per ridurre
la disoccupazione
Formiche e cicale
Spesa destinata al consumo in percentuale sul Pil
1991
80
70
G
60 G
G
50 G
40
1995
2000
2005
2010
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
G
IStati Uniti IRegno Unito IGermania ICina IPrevisioni
Fonte: Ocse
OUTLOOK 17
IN
‡
all'Indonesia o al Sudafrica, che sono investite loro malgrado da una pioggia di denaro a caccia di buoni rendimenti a rischio zero: è un gioco da ragazzi farsi prestare soldi in Usa da reinvestire nel real brasiliano o nel
rand di Johannesburg, provocando così un artificiale
aumento di valore delle valute locali. Una vera trappola senza uscita: o si alzano i tassi, favorendo un ulteriore aumento di valore delle monete, o si accetta l'esplosione dell'inflazione a sua volta innescata dall'esplosione della disponibilità di moneta. Ma è anche un
grande rischio per la Cina: la svalutazione del dollaro
equivale alla rivalutazione dello yuan, cosa che minaccia di rompere i delicati equilibri economici e politici della società asiatica senza nemmeno portare un
grande beneficio all'export americano. E l'euro, infine,
rischia di subire tutti i costi di una rivalutazione non
giustificata dai fondamentali dell'economia.
Ma il gioco, visto con gli occhi di Washington, vale
la candela. Per usare l'immagine di Alessandro Fugno-
A sinistra, Laurence Meyer, oggi collaboratore
di Macroeconomic Advisers, è stato membro
della Federal Reserve tra il 1996 e il 2002.
Sopra. l’interno di Wall Street
li, strategist di Kairos, una delle principali società di
gestione patrimoniale italiana, gli Usa «possono comportarsi come un inquilino di un condominio che tiene
la radio accesa ad altissimo volume alle tre di notte: gli
altri possono battere la scopa contro il pavimento (moral suasion), chiamare i vigili (cioè il Fondo monetario
internazionale) e sporgere denuncia, ma non hanno strumenti adeguati per impedirgli di fare baccano. Certo,
si può arrivare a bucare i pneumatici dell'auto (cioè scatenare una guerra commerciale) ma con effetti ridotti:
gli Usa oggi esportano poco, mentre tedeschi, cinesi e
giapponesi che hanno i prodotti giusti rischiano assai
Le riserve valutarie della Banca centrale cinese
miliardi di dollari.
ammontano a
2.600
La Cina controlla circa il 10% del debito Usa.
Nel 2020 l’economia cinese dovrebbe rappresentare
un quarto di quella globale, contro il 15% degli Stati Uniti
e il 13% dell’Europa
18 OUTLOOK
OGRAF
IC
P R OT E T TA
Non è più tempo
di puntare
sull’export
ma di avere
il coraggio
di investire
sul posto,
con una
mentalità nuova.
Oltre alla “via
della seta”
che porta
a Pechino,
è il caso
di battere
la “Marchionne
road” che porta
nel Midwest
GE
‡
E
A
DICAZION
Mondo | I riflessi dell’economia globale
Mondo | I riflessi dell’economia globale
La svalutazione
del dollaro
entro la metà
del 2011
ha anche
implicazioni
elettorali.
Quest’anno
si ricomincia
a parlare
di presidenziali:
la maggior parte
dei piani
pensionistici
americani
è direttamente
agganciata
alle quotazioni
azionarie
e la politica
espansiva
adottata dalla Fed
può farle crescere
anche
del 30 per cento
di più». Del resto, come ha esplicitato il presidente de- suoi programmi alla luce del rifiuto di un aumento
gli Stati Uniti, la ripresa dell'economia Usa deve esse- della pressione fiscale che si è manifestato con rara
re una priorità per tutti, visto che è impossibile pensa- energia nel fenomeno del «Tea Party». Un Paese, inre a un mondo sano accanto a un'America malata. An- somma, che dall'alto della sua potenza chiede agli alzi, come ha scritto sul «Financial Times» Martin Wolf, tri di partecipare a una sorta di piano Marshall alla
uno dei più influenti giornalisti economici internazio- rovescia. Con qualche speranza di riuscirci, e non solo
nali, «chiunque dovrebbe rendersi conto che il forte de- per la indiscutibile forza politica e militare di cui anficit commerciale Usa non è più compatibile con una po- cora dispone. Non va trascurato, ad esempio, il fatto
sizione sostenibile dei conti pubblici». Ovvero, qualsia- che le famiglie hanno ripreso a risparmiare. Certo, il
si misura che aiuti gli Stati Uniti a espandere la doman- debito federale è schizzato oltre la soglia dei 10.000
da interna e a riequilibrare la posizione esterna do- miliardi di dollari (se si tiene conto del debito previvrebbe essere gradita ai suoi credenziale), il che ha costretto il
ditori. A partire dalla Cina, percomune di New York a risistemare le lancette dell'orologio di
ché «le attuali politiche monetaTimes Square, che riporta l'aurie americane sono lo yiang delmento del debito pubblico in
lo yin protezionista dell'Asia otempo reale, per far spazio a uno
rientale», ovvero l'altra faccia delzero in più. Ma, intanto, i privale colossali riserve detenute da
ti hanno abbandonato i costuPechino (oltre 2.500 miliardi di
mi della cicala: dall'inizio della
dollari).
crisi, calcola il settimanale «The
Il mondo è «condannato» a collaborare nel cercare di raddrizzaEconomist», le famiglie hanno
ridotto il loro indebitamento di
re un'economia cresciuta in pas473 miliari di dollari. Per la prisato sui deficit gemelli e l'indebima volta dai tempi della «grantamento delle famiglie. Meglio cade recessione» i consumi dei pripirlo il più in fretta possibile, anvati sono calati in termini reali
dando a caccia di opportunità, che
Martin Wolf, editorialista del «Financial
mentre è più che raddoppiata,
in effetti non mancano. Anche se
Times». È considerato il giornalista
dal 2,7 al 6 per cento, la quota di
non è più tempo di puntare suleconomico più influente al mondo
reddito da destinare ai risparl'export ma di avere il coraggio
di andare a investire sul posto,
con una mentalità nuova. Il capitalismo italiano, anche quello delle piccole imprese, deve provarci. Oltre
alla via della seta che porta a Pechino è il caso di battere la «Marchionne road» che porta nel Midwest.
Certo, la realtà del Paese più potente del pianeta,
la cui economia vale comunque ancora un terzo abbondante del Pil mondiale, è assai complessa, soprattutto agli occhi di un europeo. Non è facile capire un
Paese che, senza esplosioni di rabbia, cerca di venire a
capo di un problema immobiliare di dimensioni titaniche: oltre quattro milioni di foreclosure, cioè minacce di sfratto per l'insolvenza di mutui che, da quel che
emerge, vennero spesso stipulati in assenza delle più
elementari garanzie giuridiche per il contraente debole. Un Paese che archivia la stagione dell'«economia
verde» ancora prima del suo decollo, dopo avere preso
atto che avrebbe portato con sé il rischio di una enorme e costosa burocrazia. Un Paese che, non più tardi
di un paio di anni fa, sembrava alla vigilia del varo di
un gigantesco secondo New Deal mentre oggi rivede i
20 OUTLOOK
mi. Questo, assieme alla ripresa
della Borsa, ha permesso a molte famiglie di allontanare lo spettro della bancarotta. La cosa non ha
allentato i rancori di Main Street, l'America profonda,
verso il mondo finanziario considerato il vero responsabile della crisi. O verso la Banca centrale Usa che
ha profuso quattrini per il salvataggio delle grandi istituzioni di Wall Street, al punto che uno degli slogan
preferiti dal movimento è «kill the Fed». Ma l'esempio
di General Motors, tornata in Borsa a tempi da primato e, soprattutto, quello di Chrysler, dimostrano che
l'America si è già rimboccata le maniche, con l'obiettivo di recuperare il terreno sul fronte della competitività, grazie a un'interpretazione della politica industriale che non è fatta solo di iniezioni di denaro a pioggia ma anche di decisioni e di condivisione di regole.
Una bella lezione, forse più importante delle ricette
dei banchieri. Che dire, il 2011 può essere l'occasione
per un bel viaggio imprenditoriale in Usa. Ma, beninteso, con un bel biglietto di ritorno per applicare a casa nostra la lezione.