[MUSICA] DI ROBERTO IOVINO V olgono ormai al termine le celebrazioni pucciniane per il 150˚ anniversario della nascita del musicista. Un evento che ha coinvolto teatri e associazioni in tutto il mondo e ha moltiplicato le Butterfly, le Bohème, le Turandot. Per fare il punto sulle celebrazioni, abbiamo parlato con Simonetta Puccini, nipote diretta del musicista, figlia dell’unico figlio del Maestro. «Ci sono state manifestazioni in tutto il mondo e darne una valutazione globale è difficile. Alcune sono state molto buone, altre meno. Certo, mio nonno non ha bisogno di essere celebrato; è uno degli autori maggior- Torre del Lago: Simonetta Puccini, nipote del grande compositore, nella Villa Puccini con Alberto Veronesi, direttore musicale e artistico del Festival pucciniano no celebrativo, qualcuno cominciava a scrivere cose su mio nonno che rischiavano di offenderne la memoria e quella della nostra famiglia. Credo che la vita privata debba essere lasciata da parte, anche se si tratta di un artista pubblico. Così, ho lanciato una raccolta di firme per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema e debbo dire che ho ricevuto davvero tanta solidarietà e molte testimonianze d’affetto. Insomma, mi considero molto fortunata a essere una Puccini». Qualche ricordo di famiglia? «Molto poco. Ho perso mio padre che ero ancora una ragazzina. Mio padre era una per- sona appartata e taciturna. Essere figlio di un genio non era stato facile per lui. Del nonno mi ha raccontato la passione per Torre del Lago. Giacomo Puccini non amava la mondanità, preferiva la solitudine della sua terra, la caccia, il contatto con la natura. Ed era molto esigente nei riguardi della famiglia. Per esempio, non tollerava ritardi a pranzo e cena. Mio padre ricordava le sue sfuriate quando per caso rientrava qualche minuto dopo il previsto». Venendo alle opere di suo nonno… «Non mi chieda quale preferisco. Me lo domandano tutti e non rispondo!». Aggiro l’ostacolo. Se dovesse identifi- DRITTO AL CUORE DI CHI ASCOLTA Nel 150˚ anniversario della nascita, la nipote di Giacomo “ ” Riesce a commuovere ed è geniale. Chi assiste alle sue opere ritrova le proprie sensazioni, le proprie emozioni e i propri dolori 48 DICEMBRE 2008 CLUB3 mente rappresentati. Ma va tutto bene comunque, anche se molte iniziative servono più alle istituzioni che le organizzano. Dal mio punto di vista, mi occupo del Museo di Torre del Lago che per l’occasione abbiamo in parte rinnovato. E lì abbiamo registrato una grande partecipazione di gente comune che è accorsa a visitare i luoghi pucciniani». Quali sono le ragioni del successo di Puccini presso il grande pubblico? Al di là del fatto che stiamo parlando di un grande musicista… «Penso che la sua grande abilità sia quella di arrivare diritto al cuore dell’ascoltatore. Puccini sa regalare ancora oggi profonde emozioni. È un compositore geniale e soprattutto riesce a commuovere. E la gente assistendo alle sue opere ritrova le proprie sensazioni, le proprie emozioni e i propri dolori. Le sue storie hanno agganci con il quotidiano, con la storia delle persone comuni». Come ci si sente a portare un cognome così importante? «Sono fiera di essere una Puccini. Ci sono molti impegni e ritengo di avere diverse responsabilità. Per esempio, all’inizio dell’an- Giacomo Puccini in una foto della maturità Puccini spiega il successo delle opere del maestro carsi in un’eroina pucciniana, quale sceglierebbe? «Bella domanda, ma non rispondo lo stesso. Come mio padre e come mio nonno, sono alquanto appartata e distaccata e amo tenere per me le mie emozioni. Non saprei cosa dire». Torniamo all’anno pucciniano. Come ha giustamente ricordato, Puccini non aveva bisogno di celebrazioni per essere conosciuto. Vale il discorso fatto nel 2006 per Mozart: si tratta di musicisti talmente popolari e universalmente noti che inventare qualcosa di originale, diventa davvero complicato. C’è qualcosa di Puccini ancora da scoprire? «Direi di no. Quello che oggi si può chiedere è che vengano curate bene le esecuzioni. Che ci siano rappresentazioni esemplari in grado di esaltare le sue qualità musicali e teatrali. Insomma, diffonderne il teatro in modo corretto». Le osservazioni della signora Puccini rimandano a una lettera che Illica, il grande librettista collaboratore di Puccini, scrisse all’editore Ricordi nel gennaio 1906 commen- tando il successo di Madama Butterfly, in una rappresentazione genovese: «So che Butterfly aumenta di successo a Genova. E penso che contrariamente a tutti i dubbi la sua vitalità apparirà nelle esecuzioni modeste e nei teatri economici. Non so il perché ma mi si è fisso UNO STUDIO DI ALBERTO CANTÙ L a casa editrice Zecchini ha pubblicato L’universo di Puccini da Le Villi a Turandot, uno studio di Alberto Cantù con un contributo di Alfredo Mandelli e la prefazione di Simonetta Puccini. Musicologo, da anni profondo studioso del teatro pucciniano, Cantù accompagna il lettore per mano nel mondo pucciniano secondo criteri di alta divulgazione che respingono gli ermetismi specialistici senza però rinunciare all’analisi di uno fra i maggiori uomini di teatro d’ogni tempo. Un viaggio stimolante da Manon Lescaut, “il Tristano di casa nostra”, a Turandot, l’incompiuta, dieci colpi e altrettanti centri: un fatto eccezionale nella storia del teatro musicale. Basterebbe questo per dimostrare la statura di Puccini come il pubblico subito comprese mentre la critica, specie italiana, per una situazione storico-culturale sfavorevole, stentò a riconoscere. Con l’eccezione di George Bernard Shaw, che vide in Puccini l’unico erede di Verdi. r.i. CLUB3 49 DICEMBRE 2008 [MUSICA] Puccini da giovane coi suoi librettisti, Giuseppe Giacosa e Luigi Illica “ ” Non chiedetemi quali siano le opere del nonno che io preferisco. È la domanda che mi fanno sempre tutti ma io non rispondo Simonetta Puccini è figlia del figlio del grande compositore nel pensiero per Butterfly il fatto della Bohème: tutti i cani barboni, mops, bassotti, bracchetti, spinoni, setter russi, danesi… tutte celebrità! Anche le cagne!». E Ricordi anni prima, scrivendo a Puccini aveva osservato: «…un tempo sì, ove tutto dipendeva dalla vera virtuosità di gola, bisognava avere delle specialità: così Sonnambula, e Norma et similia! Ora l’opera richiede il complesso omogeneo e quanto più intelligente si può!! Non è l’artista che fa piacere un’opera ma è davvero l’opera in se stessa!!». Complesso omogeneo, dunque, ed esecuzioni accurate co- me richiede ancora oggi Simonetta Puccini e come non sempre si sente. Un’ultima domanda. Poco prima di morire il grande Luciano Berio ha scritto un nuovo finale per Turandot, lasciata incompiuta da suo nonno. Il finale di questa straordinaria opera è controverso, lo stesso Giacomo Puccini nutriva dubbi sull’epilogo della storia. Lei che impressioni ha ricevuto dalla soluzione Berio? «Quando ascoltai il nuovo finale, nelle prime esecuzioni all’estero non ne rimasi affatto affascinata. Recentemente, ho avuto occasione di riascoltarlo alla Scala e non mi ha scioccato. Ma resto dello stesso parere di Fedele D’Amico che una volta mi disse: “L’opera è conclusa con la morte di Liù. A questo punto più il finale è corto e meglio è”». 왎 DUE PAGINE GENOVESI DI BOHÈME D ue pagine di Bohème furono composte da Puccini prima per Genova e poi confluirono nell’opera ispirata a Murger. La prima è la lirica Sole e amore. Composta nel 1888, fu donata alla rivista musicale Paganini di Genova. La pagina si concludeva con la dedica musicata “A Paganini, G. Puccini”. Sole e amore si trasformò poi nel quartetto (Mimì, Musetta, Rodolfo e 50 DICEMBRE 2008 CLUB3 Marcello) del III atto di Bohème. L’altra pagina è del settembre 1894 quando, in occasione della consegna della bandiera di combattimento alla corazzata Umberto I, il periodico Armi ed Arte chiese la collaborazione di artisti, scrittori e musicisti. Puccini regalò un Piccolo valzer pianistico con la didascalia iniziale “Con ondulazione”. L’autore spiegò che la composizione gli era stata ispirata dall’ondeggiare della barca nel Lago di Massaciuccoli dove pescava. Il valzer passò poi nel II atto di Bohème e divenne, pressoché inalterato, il famoso Valzer di Musetta. Scritto in mi, un accompagnamento essenziale, mosso da un leggero arpeggio interno che suggerisce l’ondulazione indicata in apertura, il valzer è di estrema piacevolezza e rispondeva alle esigenze del giornale che richiedeva pagine di facile esecuzione per i propri lettori. r.i.