FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO 1. LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO La psicologia dello sviluppo studia scientificamente i cambiamenti che si verificano nel comportamento e nelle funzioni psicologiche in funzione del tempo. Benché oggetto di questa disciplina sia l’intero arco della vita, la maggior parte degli studi si concentrano sull’infanzia. Questa disciplina implica due diversi approcci: da un lato fa riferimento alla biologia della crescita e dell’evoluzione, dall’altro si occupa delle modalità con cui le diverse culture influenzano i cambiamenti evolutivi. Lo sviluppo è un processo sia di crescita biologica che di acquisizione culturale. Lo sviluppo cognitivo riguarda le acquisizioni e le trasformazioni nel pensiero e nel linguaggio. Lo sviluppo sociale invece si occupa dell’integrazione del bambino nel mondo sociale e delle modalità di acquisizione dei valori della famiglia e della società. Lo studio dello sviluppo umano è un fenomeno relativamente recente, generato dai mutamenti sociali ed economici verificatisi negli ultimi due secoli (vd. Introduzione dell’istruzione elementare obbligatoria). Per comprendere la psicologia dello sviluppo contemporanea bisogna tener conto delle sue origini. Solo nell’ultimo secolo le descrizioni aneddotiche hanno lasciato il posto a uno studio sistematico. Locke, ad esempio riteneva che il bambino nascesse come una tabula rasa e che ogni sua caratteristica fosse poi plasmata dall’esperienza. Questa visione ambientalista negava il contributo dei fattori innati allo sviluppo psicologico. In contrasto con Locke, Rousseau era orientato per una teoria “naturale” dello sviluppo umano e sosteneva che i bambini sono per natura buoni e crescono secondo il disegno di natura. La psicologia dello sviluppo diventa disciplina scientifica dal momento in cui le teorie vengono sottoposte a verifica sperimentale. Questo passaggio avviene nel diciannovesimo secolo con la teoria dell’evoluzione di Darwin. Darwin può essere considerato il primo psicologo dello sviluppo poiché nel 1877 pubblicò un breve articolo in cui descriveva lo sviluppo del figlio. Molti concetti fondamentali dello sviluppo possono essere ricondotti alle teorie darwiniane. Darwin fu inoltre il primo ad introdurre metodi sistematici nello studio dello sviluppo, gettando le prime basi scientifiche della disciplina. Un altro effetto della rivoluzione darwiniana fu quello di sollevare domande sull’origine della mente umana e sulla relazione tra sviluppo individuale (ontogenesi) ed evoluzione della specie (filogenesi). I primi studi embriologici portarono alla teoria che “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”, secondo la quale l’embrione prima di raggiungere la finale forma umana assumeva in successione la forma di diversi progenitori primitivi. Questa teoria è ormai superata, tuttavia, i precisi mutamenti nella forma biologica, assimilabili a stadi distinti , hanno condotto all’idea che altri aspetti della crescita biologica, quali lo sviluppo cognitivo e sociale, possano essere organizzati in stadi distinti legati all’età. La nascita della psicologia dello sviluppo come disciplina autonoma è ricondotta alla pubblicazione nel 1882 di “La mente del bambino” del fisiologo tedesco Wilhelm Preyer. Tra i pionieri della disciplina va citato Alfred Binet, noto soprattutto per aver ideato il primo test d’intelligenza (scala Binet e Simon). Binet costruì inoltre dei test basati su norme di rendimento in relazione all’età, da cui si giunse al concetto di età mentale distinta dall’età cronologica. Tra i fondatori della disciplina vi è inoltre James Mark Baldwin, secondo il quale lo sviluppo procede secondo stadi distinti, che comincia alla nascita con i riflessi motori innati e progredisce con l’acquisizione del linguaggio e del pensiero logico. Egli sosteneva anche che il passaggio attraverso questi stadi dipende dalle risposte di un ambiente stimolante (assimilazione-accomodamento). La formazione delle principali scuole Tra il 1914 e il 1927 furono posti i fondamenti empirici della psicologia dello sviluppo. In questo periodo nacque un forte interesse per le teorie dell’apprendimento di Ivan Pavlov (alcune forme di apprendimento si realizzano tramite l’associazione di stimoli e risposte e l’uso di ricompense e punizioni), che portò alla costituzione di una scuola di psicologia, il Comportamentismo, il cui maggior esponente fu John Watson. Egli affermava la prevalenza della “cultura” sulla “natura e riteneva che il bambino fosse estremamente malleabile e sensibile alle influenze ambientali. Diametralmente opposta la teoria maturativa di Arnold Gesell che riteneva che i processi di crescita biologica, determinati dal tempo, fossero particolarmente importanti per la comparsa delle varie abilità. Egli si interessò soprattutto dello sviluppo percettivo e motorio, ritenendo che, in condizioni normali, fossero automatici (prevale la “natura”). La fase intermedia nella fondazione della psicologia dello sviluppo portò alla contrapposizione tra una visione basata su un ambientalismo estremo e una concezione maturativi altrettanto estrema (visioni così antitetiche determinarono modi molto differenti di crescere ed educare i bambini). 2. LA SINTESI MODERNA Sino a tempi relativamente recenti, la psicologia dello sviluppo è stata dominata da teorie generali, che rispetto alle radicali posizioni ambientaliste e innatiste, hanno cercato di mettere in relazione “natura” e “cultura” tenendo conto anche della teoria darwiniana. Gli psicologi dello sviluppo che hanno dominato il ventesimo secolo sono: Jean Piaget, Lev Vygotskij e John Bowlby. Benché tutti e tre siano stati influenzati dalle teorie biologiche ed evoluzionistiche, ognuno ha affrontato il processo dello sviluppo da un punto di vista particolare. Piaget cercò di dimostrare come nel bambino il pensiero logico si sviluppi a partire dalle sue radici biologiche. Vygotskij analizzò il ruolo specifico del linguaggio nella società umana e nel pensiero sociale. Bowlby studiò il ruolo delle relazioni sociali tra genitore e bambino nella formazione della personalità e del benessere mentale. Jean Piaget Le idee di Piaget si basavano sulle teorie di Baldwin (sviluppo per stadi). Egli sviluppò una teoria sull’acquisizione della conoscenza in cui concepiva lo sviluppo dell'intelligenza come una graduale evoluzione organizzata in stadi e sottolineò la relazione tra l'acquisizione della conoscenza, in quanto processo biologico, e l'evoluzione. Secondo la teoria di Piaget la conoscenza umana può essere considerata come un “organo” biologico della mente e l'acquisizione della conoscenza può essere ritenuta un processo evolutivo nel senso che la conoscenza è adattamento e si costruisce tramite l'interazione tra l'individuo e l'ambiente. Il modello di sviluppo di Piaget è quindi concepito come un'interazione autoregolante tra il bambino e l'ambiente fisico e sociale tramite la quale si producono nuove forme di conoscenza che si adattano meglio all'ambiente. Egli descrisse 4 principali stadi dello sviluppo dell'intelligenza: 1. sensomotorio – dalla nascita a ca. 2 anni – in questa fase il bambino conosce il mondo mediante le attività fisiche che può compiere, questo stadio termina con l'acquisizione del pensiero e del linguaggio; 2. preoperatorio – da 2 a 7 anni ca. - in età prescolare il bambino non ha ancora acquisito pienamente il pensiero logico; 3. operatorio concreto – da 7a 12 anni ca. - il bambino è in grado di riflettere logicamente su problemi concreti riferiti al “qui e ora”; 4. operatorio formale – questa forma di pensiero è acquisita di solito nelle società occidentali dagli adolescenti che riflettono su problemi astratti e ipotetici. Piaget riteneva che i primi 3 stadi fossero universali e che il 4° fosse caratteristico delle società più evolute e che, benchè le età associate a ciascuno stadio potessero variare, l'ordine di successione fosse universale. Lev Semeonovich Vygotskij Mentre Piaget cercò di spiegare lo sviluppo dell'intelligenza e del ragionamento negli esseri umani a partire dalle loro radici biologiche. Vygotskji cercò di spiegare come la cultura influenza il corso dello sviluppo. In accordo con la filosofia marxista, era interessato soprattutto a individuare gli aspetti storici e sociali del comportamento che rendono unica la natura umana. Di conseguenza, egli sottolineava l'importanza dell'interazione sociale per l'acquisizione del linguaggio e lo sviluppo del pensiero che riteneva strettamente interrelati. Le idee di Vygotskij avevano le loro radici nella psicologia occidentale e per alcuni versi il suo retaggio culturale era simile a quello di Piaget. Tuttavia, egli sviluppò le sue idee nel periodo della rivoluzione russa durante il quale si dava molta importanza al modo in cui l'organizzazione sociale incanala le potenzialità umane. Non sorprende quindi che sottolineasse il ruolo della cultura e dell'organizzazione sociale nello sviluppo del bambino. Queste idee appaiono chiaramente nella sua teoria della zona di sviluppo prossimale (ZSP), attraverso la quale sottolinea la differenza tra ciò che può essere risolto dal bambino senza aiuto e ciò che può essere risolto con l'aiuto dell'adulto o dei coetanei. La conclusione a cui arriva Vygotskij è che il bambino sviluppa la conoscenza tramite l'esperienza degli adulti che lo guidano a soluzioni sempre più sofisticate. In questo modo, quando gli adulti spiegano qualcosa di complesso al bambino, dotato inizialmente di un pensiero preverbale, gli aprono la strada verso i processi cognitivi basati sul linguaggio. Le relazioni sociali forniscono al bambino sia il primo contatto coi processi cognitivi basati sul linguaggio sia il contesto mediante il quale il bambino può apprendere a interiorizzare quei medesimi processi che, con il successivo sviluppo opereranno autonomamente come pensiero verbale. Questa modalità di sviluppo in cui i processi cognitivi, inizialmente esterni (sociali), vengono interiorizzati fu definita da Vygotskij “legge genetica generale dello sviluppo culturale”. Anche il gioco è connesso con la ZSP. Può implicare, infatti, l'uso di manufatti forniti dalla cultura e comportare la rappresentazione di ruoli socialmente definiti (madre, padre, dottore, ecc.). Bowlby: la teoria dell'attaccamento L'interesse primario di Bowlby si rivolse allo sviluppo emotivo. Un'idea fondamentale della sua teoria è che l'attaccamento emotivo alla madre da al bambino sicurezza e senso di protezione, permettendogli di allontanarsi temporaneamente per esplorare il mondo circostante. Bowlby fu molto influenzato da Harlow, il quale mise alla prova sperimentalmente la teoria psicoanalitica dell' “amore interessato”, in base alla quale imparano ad amare la madre perchè ne soddisfa i bisogni fondamentali (le pulsioni primarie di Freud), e dimostrò che la madre fornisce anche calore e conforto (esperimento con le scimmie rhesus). Secondo Harlow, l'amore della madre per il figlio e, reciprocamente, l'attaccamento alla madre da parte del piccolo, permettono a quest'ultimo di acquisire un senso si fiducia che lo prepara alle relazioni sociali tra pari (coetanei). Queste relazioni emotive, a loro volta, costituiscono le basi per costruire successivamente delle relazioni eterosessuali ed esercitare un'adeguata capacità parentale. Bowlby applicò alcune idee di Harlow allo sviluppo umano e sostenne che il primo legame di attaccamento nei bambini è analogo a quello delle scimmie rhesus, ma è basato su comportamenti specie-specifici (pianto e sorriso). Successivamente, quando, il bambino diviene più autonomo, la qualità del suo attaccamento al genitore è un fattore importante per la regolazione del desiderio di esplorazione. Una relazione di attaccamento sicura porta il bambino verso percorsi di sviluppo psicologicamente sani, mentre modelli di attaccamento insicuri contribuiscono alla formazione di una personalità nevrotica. Una prima applicazione delle idee di Bowlby si ebbe nei cambiamenti effettuati nell'ospedalizzazione dei bambini, a partire dagli anni '50 fu permesso alle madri di rimanere in ospedale accanto ai figli. Teorie stadiali e transizioni nello sviluppo E' tuttora dibattuto se il corso dello sviluppo possa essere considerato un processo di cambiamento continuo o se presenti delle discontinuità (stadi). Il concetto di stadio definisce i cambiamenti che si verificano nelle caratteristiche del comportamento e delle attività psicologiche individuali in funzione del tempo. Flavell ha indicato i seguenti criteri per definire il concetto di stadio di sviluppo: a. gli stadi sono contraddistinti da cambiamenti qualitativi (fare qualcosa in modo diverso); b. la transizione da uno stadio all'altro è contrassegnata da contemporanei cambiamenti in numerosi aspetti del comportamento e delle attività psicologiche del bambino; c. le transizioni tra stadi sono tipicamente rapide. Oggi vi è un discreto accordo sul fatto che lo sviluppo umano comprende un insieme di cambiamenti continui e discontinui. Metodi di studio nella psicologia dello sviluppo Lo sviluppo è un processo che ha luogo nel tempo ed è influenzato da diversi fattori. Poiché non è possibile studiare contemporaneamente gli effetti di tutti questi fattori, è stato necessario progettare metodi di ricerca che permettano di controllare le fonti di errore nell'osservazione. I metodi di osservazione comprendono semplici resoconti diaristici, osservazioni compiute in ambienti naturali e studi in laboratorio sul comportamento spontaneo. Il metodo più formale consiste invece nel condurre esperimenti sistematici. Al fine di osservare il processo di sviluppo, è necessario operare confronti tra persone di diverse età. La ricerca evolutiva è inoltre vincolata dal tempo. Nei periodi in cui i cambiamenti si verificano rapidamente, come la prima infanzia, si possono condurre studi longitudinali, studiando lo stesso bambino in momenti successivi. Quando invece si è interessati ad aspetti che si manifestano nello sviluppo a lungo termine, si devono condurre studi trasversali, nei quali si mettono a confronto gruppi di bambini di diverse età. Una combinazione di disegni trasversali e longitudinali, abbinata all'uso di metodi di osservativi, clinici e sperimentali, è caratteristica dei migliori lavori recenti. 3. LO SVILUPPO PRENATALE Negli ultimi 10 anni, grazie alla disponibilità di tecniche sofisticate, sono stati condotti affascinanti studi sullo sviluppo prenatale. La gestazione nell'essere umano dura ca 40 settimane e il periodo prenatale è stato diviso in 3 stadi: 1. lo stadio germinale (dal concepimento a 2 settimane) - l'uovo fecondato si divide per mitosi in più cellule uguali, questo stadio termina quando l'uovo si annida nelle pareti dell'utero e le cellule cominciano a differenziarsi; 2. lo stadio embrionale (da 2 a 8 settimane) – l'embrione comincia a prendere forma e, man mano che le cellule si differenziano, i diversi organi assumono funzioni specializzate. L'ambiente intrauterino materno sono due sistemi in continua interazione e, soprattutto in questa fase, si trovano in un equilibrio molto delicato (vedi tragedia del talidomide); 3. lo stadio fetale (da 8 a 40 settimane) – questa fase principale periodo di sviluppo del sistema nervoso, inoltre il feto assume rapidamente caratteristiche umane; un bambino nato a termine e senza complicazioni, pesa mediamente 3,2 kg e misura 50 cm. La testa, che ha avuto una crescita più rapida in utero, è sproporzionata rispetto al resto del corpo, ma, nello sviluppo successivo, le proporzioni del corpo cambiano dal momento che mani e piedi,spalle, tronco, braccia e gambe hanno differenti accelerazioni di crescita. Alcuni recenti studi biologici e neurologici hanno dimostrato che il feto è costantemente attivo. Una tesi recentemente avanzata è che la continua attività del feto possa influenzare il processo di crescita e generare i comportamenti innati che si osservano nel neonato. Il biologo dello sviluppo Hofer ha ipotizzato l'esistenza di importanti fenomeni comportamentali già dal momento della fecondazione (numerosi sono i fattori che esercitano un effetto di selezione sullo spermatozoo che arriva a fecondare l'uovo). I primi movimenti dell'embrione sono i battiti cardiaci, che si verificano ancora prima che il cuore sia innervato grazie alla reazione biochimica del tessuto muscolare immerso in una soluzione salina. Anche nel suo più elementare stadio di sviluppo l'organismo vive in condizioni dinamiche di scambio energetico con l'ambiente circostante e queste condizioni produrranno in seguito trasformazioni nel suo stesso funzionamento (quando il cuore comincia a battere inizia a formarsi anche i sistema nervoso). L'avvento negli anni '70 dell'ecografia in tempo reale ha fornito un metodo sicuro per visualizzare l'attività fetale in utero. Mediante questa tecnica sono stati evidenziati numerosi schemi di movimento, molti dei quali appaiono simili ai comportamenti osservati nella vita postnatale. De Vries, Visser e Prechtl hanno descritto 15 diversi schemi di movimento nel feto di 15 settimane (movimenti respiratori, di allungamento e di rotazione). A ca 17-18 settimane l'attività fetale presenta un calo e riprende alla 24esima sett. Si è avanzata l'ipotesi che questo calo coincida con la formazione delle regioni superiori del cervello che moduleranno i comportamenti fino ad ora controllati dai centri sottocorticali. Dopo la 24esima settimana si osserva infatti un controllo più preciso dei movimenti. L'attività fetale riprende in uno spazio sempre più ristretto ed è ora regolata da cicli di sonno e veglia. A 30 settimane si può osservare nel feto anche il sonno REM. Alla 28esima sett si possono osservare il riflesso tonico del collo (posizione dello spadaccino) e il riflesso di prensione. Gli schemi di movimento del feto hanno la molteplici funzioni: esercita il sistema che si sviluppa, gli fornisce un feedback (sindrome alcolica fetale), fornisce un elevato numero di stimoli agli organi di senso, inoltre i movimenti di nuoto e rotazione impediscono l'adesione alle pareti dell'utero. È evidente quindi come lo sviluppo sia influenzato dal comportamento fetale e non dipenda semplicemente da una maturazione automatica, né sia costituito da pure azioni riflesse. Restano da capire le relazioni tra gli schemi di movimento prenatali e il comportamento postnatale. Uno degli schemi di movimento esaminato per evidenziare la continuità tra vita pre e postnatale è il movimento del “nuoto” presente nel feto alla 10 settimana. Gli studiosi hanno cercato di stabilire se fosse connesso ai successivi schemi della locomozione carponi e del camminare. I bambini appena nati presentano infatti il riflesso di stepping o marcia automatica. Tali schemi motori sono stati considerati di norma destinati a scomparire con la maturazione del bambino. A questo proposito sono state avanzate diverse ipotesi. Si è pensato che lo sviluppo della corteccia cerebrale provochi l'inibizione di questi movimenti. Un'altra teoria è che le gambe diventino troppo pesanti a causa del rapido deposito di tessuto adiposo che si verifica dopo la nascita. Di fatto tale movimento riemerge quando il bambino è messo in acqua ed il peso delle gambe è ridotto. Thelen ha sostenuto che la scomparsa del riflesso di marcia è un'illusione e che vi è invece una relazione tra questo riflesso, la successiva andatura carponi e il camminare. La studiosa ha avanzato l'ipotesi che lo schema dei movimenti del camminare sia innato, ma che la deambulazione eretta diventi possibile solo una volta che il bambino abbia acquisito una forza sufficiente a sorreggere il proprio peso. Alcuni teorici hanno invece sostenuto che i bambini cominciano a camminare verso la fine del primo anno di vita quando sono in grado di utilizzare il sistema motorio come mezzo per raggiungere un fine (esplorazione). Si può allora affermare che il comportamento del camminare dipende dalla combinazione di uno schema motorio innato e i processi cognitivi che si sviluppano successivamente. Le capacità percettive del neonato Visione Le capacità visive neonatali, sebbene limitate, sono sufficienti per soddisfare i bisogni del bambino. Alla nascita il cristallino dell'occhio non è ancora pienamente funzionale. Di conseguenza la distanza focale è fissa e il bambino vede chiaramente solo gli oggetti a una distanza di ca 21 cm. Dopo i 3 mesi il cristallino è invece in grado di regolare il fuoco su distanze differenti. La distanza fissa di 21 cm coincide con la distanza media del volto della madre durante l'allattamento! Gli oggetti sociali importanti, quindi, possono essere visti fin dalla nascita. E' stato inoltre dimostrato che i bambini a meno di 4 mesi, molto prima dell'inizio del linguaggio o di qualunque altro insegnamento, vedono i colori principali come gli adulti, indipendentemente dalla cultura d'appartenenza. Ciò indica l'esistenza di categorie cromatiche universali e quindi di strutture disponibili a livello percettivo che possono avere un ruolo fondamentale nei processi di sviluppo cognitivo. Il controllo dei movimenti oculari i movimenti oculari del neonato sono molto simili a quelli dell'adulto. Gli spostamenti successivi della fissazione visiva da un oggetto all'altro (movimenti saccadici) diventano fluidi e continui verso i due mesi. Poiché il bambino muove gli occhi sia in utero che nell'oscurità, se ne deduce che lo schema di scansione è generato internamente e non costituisce una reazione a uno stimolo. Il neonato nasce già preparato ad esplorare l'ambiente. I neonati sono particolarmente propensi ad individuare i margini esterni degli oggetti. Tuttavia, se un oggetto presenta un movimento interno, essi spostano il loro sguardo dentro l'oggetto. Pertanto, fin dall'inizio i bambini non guardano a caso, ma ricercano le caratteristiche salienti degli oggetti. Recenti ricerche hanno inoltre dimostrato che i neonati sono in grado di programmare i movimenti oculari verso uno stimolo e che, quindi, il sistema oculo-motorio e quello attenzionale sono coordinati già alla nascita. Udito Il sistema uditivo comincia a funzionare ben prima della nascita, anche se la conduzione delle vibrazioni è diversa rispetto a quella postnatale. La voce della madre, trasmessa verso il basso tramite il diaframma, è lo stimolo sonoro meglio udito dal feto. Un recente studio ha dimostrato che i neonati sono in grado di distinguere la voce della madre da quella di un'altra donna (tecnica della suzione non nutritiva). De Casper e Spence hanno inoltre dimostrato che il neonato è sensibile alle caratteristiche ritmiche del linguaggio ripetutamente udito nel periodo prenatale. I neonati preferiscono inoltre le voci femminili e il linguaggio diretto ai bambini piuttosto che quello diretto agli adulti. I risultati di questi studi confermano l'ipotesi che il feto e il neonato siano predisposti a elaborare le caratteristiche ritmiche degli stimoli linguistici e che questa predisposizione costituisca un elemento di continuità tra la percezione prenatale e quella postnatale. 4. LO SVILUPPO PERCETTIVO NELLA PRIMA INFANZIA Per molto tempo si è ritenuto che il neonato fosse un organismo dotato solo di riflessi, immaturo a livello motorio e capace di sentire e vedere ben poco. I recenti studi di psicologia dello sviluppo hanno invece messo in evidenza che le caratteristiche percettive del bambino piccolo sono molto più sviluppate di quanto non si fosse ipotizzato. Per quanto riguarda le prime percezioni visive, dal momento che l'occhio non può vedere tridimensionalmente, i filosofi hanno a lungo ipotizzato che nei primi mesi di vita “il tatto guidi la visione”, che i bambini imparino a vedere mettendo in relazione quello che toccano con quello che vedono. Per poter smentire questo assunto non basta accertare che la percezione funziona già prima della nascita, bisogna anche dimostrare che i sistemi sensoriali sono già connessi fra loro. Piaget riteneva che la percezione della forma e della dimensione si sviluppa durante i primi 6 mesi di vita e che i sensi, inizialmente separati, si coordinano attraverso le azioni del bimbo. In particolare riteneva che lo sviluppo del concetto di permanenza dell'oggetto avviene in sei stadi durante i quali la graduale conoscenza dell'oggetto struttura la percezione del bambino. Gibson sosteneva invece che la percezione è un processo attivo di ricerca dell'informazione dove tutti i sensi hanno uguale importanza. Secondo Gibson i diversi sensi, pur essendo colpiti dall'energia esterna in maniera differente, sono in grado di dare informazioni equivalenti. Egli riteneva che lo spazio visivo si verifica perchè lo spazio terrestre è riempito con superfici strutturate e dotate di tessitura. Queste superfici colpiscono gli occhi in maniera diversa, permettendoci di rilevare forma, colore e distanza degli oggetti. Secondo la teoria di Gibson, i sistemi percettivi si sono evoluti in modo da mettere l'essere umano, sin dall'inizio, in contatto diretto con il mondo reale e, di conseguenza, il bambino è in grado di percepire visivamente il mondo ancora prima di poter agire su di esso. Questo implicherebbe la possibilità che i bambini siano in grado di mettere in relazione le diverse informazioni ottenute dai sistemi percettivi e di apprendere mediante i sistemi distali prima ancora di avere un controllo preciso sull'azione. Metodi di studio della percezione nei bambini piccoli I bambini mostrano delle preferenze visive spontanee di fronte agli oggetti già dai primi giorni di vita. Attraverso il metodo della preferenza visiva (basato sui tempi di fissazione) sono stati condotti diversi esperimenti. Si è accertato, ad esempio, che, tra stimoli bidimensionali complessi e semplici, questi ultimi risultano preferiti. Oppure, che quando una maschera simile a un volto viene messa a confronto con uno stimolo concentrico, lo stimolo volto è preferito. Un'altra tecnica utilizzata per valutare la capacità di discriminazione dei bambini piccoli è il metodo dell'abituazione (uno stimolo viene presentato ripetutamente, finchè le reazioni del bambino dimostrano una diminuzione di interesse, a questo punto viene mostrato uno stimolo nuovo e livello di interesse mostra la capacità del bambino di discriminarlo dal precedente). Percezione intermodale: visione e tatto Le nuove tecniche per esaminare la percezione degli oggetti nella prima infanzia hanno dimostrato che in effetti i bambini piccoli percepiscono gli oggetti molto prima di quanto si fosse ipotizzato qualche decennio fa. Ciò che è in discussione ora è se essi abbiano bisogno di imparare come percepire o se invece siano già preparati a usare la percezione. Mentre Piaget aveva supposto che, per poter percepire gli oggetti come enti solidi costituiti di materia, i bambini dovessero prima imparare a coordinare il tatto con la visione e quindi essere in grado di raggiungere e afferrare gli oggetti (verso i 5 mesi). Bower ha dimostrato che la costanza della dimensione e della forma è percepita già a 3 mesi, mentre Slater e Morrison l'hanno rilevata addirittura nei neonati (esperim. in cui i bambini dimostrano di riconoscere la differenza tra un quadrato e un trapezio). Queste ricerche dimostrano che il bambino è in grado di conoscere la realtà tramite i sistemi sensoriali distali. In effetti, è stato rilevato che bambini privi di braccia e gambe hanno uno sviluppo intellettivo normale. Un'altra evidenza contraria alla teoria di Piaget del “tatto che guida la visione” è data da una ricerca di Bower, Broughton e Moore i quali hanno osservato che, muovendo rapidamente degli oggetti verso il volto di bambini tra i 6 e i 21 giorni, questi si scansavano. In una successiva ricerca, Bower ha dimostrato che i bambini percepiscono come solido un oggetto virtuale (i bambini apparivano sorpresi quando provando a colpire l'oggetto lo attraversavano). Questi studi furono i primi a dimostrare che i bambini possono percepire la solidità di un oggetto prima di averne avuto esperienza tattile. Successivamente si è dimostrato che i bambini sono in grado di ottenere informazioni su un oggetto anche usando solamente il tatto. Meltzoff e Borton hanno condotto un esperimento in cui veniva messo in bocca a bambini di 29 giorni un succhiotto che poteva essere liscio o pieno di protuberanze senza che potessero vederlo. Successivamente venivano mostrati loro modelli su scala dei due succhiotti e i bambini preferivano guardare quello che avevano esplorato a livello orale. Questo dimostra che l'esplorazione orale permette al bambino di ottenere informazioni sulle caratteristiche fisiche degli oggetti e, soprattutto, che l'esplorazione tattile orale è collegata alla vista già a un mese (i bambini sono in grado di riconoscere l'equivalenza dell'informazione estratta mediante diverse modalità sensoriali). Recentemente Baillargeon ha esaminato in maniera sistematica la percezione infantile degli oggetti fisici. Utilizzando il metodo dell'abituazione, egli ha dimostrato che i cambiamenti nella fissazione visiva dei bambini rivelano se l'evento è percepito come possibile o impossibile. Gli esperimenti di Bower hanno rilevato che il bambino percepisce in maniera appropriata l'occlusione e le possibili interazioni tra gli oggetti e considera insolito il caso in cui lo sperimentatore presenta eventi visivi che violano le leggi fisiche fondamentali. Percezione intermodale: visione e udito Wertheimer fu tra i primi a domandarsi se vi siano relazioni innate tra i sistemi sensoriali. Egli esaminò la figlia dopo soli 8 minuti dalla nascita. Le presentò dei deboli rumori di schiocco delle dita a destra e a sinistra del capo, in ordine casuale, e osservò che nella maggior parte delle prove la bambina si era girata in direzione del suono. Wertheimer ne dedusse che esiste una coordinazione innata tra visione e udito tale che, quando il bambino sente un suono, orienta gli occhi per trovare l'oggetto visivo da cui ha origine. Studi successivi hanno poi dimostrato che i neonati guardano verso una distinta caratteristica visiva dell'ambiente alla ricerca della fonte sonora anche quando il suono proviene da un'altra posizione che però non è segnalata visivamente (vd. effetto sonoro al cinema). Ciò suggerisce che la visione assiste l'udito nella ricerca della fonte sonora e che questi due sistemi sensoriali interagiscono nella localizzazione del suono fin dalla nascita. Tuttavia, le coordinazioni tra il sistema uditivo e quello visivo, non sono fisse, ma si sviluppano in maniera complessa nei primi 5 mesi. È stato dimostrato che l'attivazione dei movimenti oculari in direzione di una fonte sonora è presente dalla nascita fino ai 2 mesi, si realizza difficilmente fino ai 5 mesi e poi ricompare. Questo tipo di andamento, detto funzione a forma di “U”, si osservano frequentemente nei primi periodi dello sviluppo. Lo sviluppo, quindi, non consiste semplicemente in un incremento lineare delle capacità, bensì implica la riorganizzazione dei diversi sistemi sensoriali in seguito alla quale si manifestano capacità qualitativamente nuove. Bushnell, Sai e Mullin hanno condotto esperimenti per verificare la presenza nei neonati di una precoce preferenza del viso materno. Gli esperimenti, condotti su bambini di 5 giorni, hanno evidenziato che i neonati sono in grado di discriminare il volto materno da quello di un estranea con caratteristiche simili. Tuttavia, se le due donne indossano parrucche identiche, la preferenza per il volto materno scompare. Ciò suggerisce che il profilo dei capelli può essere un segno distintivo per il riconoscimento della madre nei primi giorni di vita. Secondo questi studi, la familiarità prenatale con la voce materna, unita alla tendenza innata a guardare nella direzione da cui proviene il suono, è sufficiente al bambino per apprendere rapidamente i caratteri distintivi dell'aspetto della madre. È stato inoltre dimostrato che già a 3 mesi i bambini sono in grado di collegare il suono della voce materna e paterna rispettivamente all'aspetto visivo della mamma e del papà. Quindi già a quell'età è possibile ricordare gli aspetti correlati dell'informazione uditiva e visiva caratteristici di ciascun genitore. Meltzoff e Moore hanno poi dimostrato che la percezione dei movimenti può facilitarne la riproduzione (es. i neonati imitano la protrusione della lingua). La capacità di riproduzione è però attiva solo quando i neonato percepiscono la dinamica del movimento (non se gli si presenta un modello statico). Anche per l'imitazione è stata riscontrata una funzione di sviluppo a “U” (l'imitazione dei movimenti della lingua per es. scompaiono dopo a ca 3 mesi per riapparire intorno ai 12). La percezione del linguaggio Le competenze percettive nella prima infanzia sono fondamentali per l'acquisizione del linguaggio. I bambini imparano a comunicare attraverso il linguaggio in pochi mesi e naturalmente la percezione audiovisiva ha un ruolo di primo piano. Spelke e Cortelyou hanno individuato 3 aspetti della coordinazione audiovisiva che possono contribuire a tale rapida acquisizione: 1. bambini piccoli sono in grado di individuare la posizione di una persona ascoltandone la voce (coordinazione spaziale innata tra visione e udito); 2. a 4 mesi i bambini percepiscono la sincronia tra i movimenti del volto e e gli stimoli linguistici uditi (quando vedono una persona che parla sono in grado di determinare se è la fonte degli stimoli uditi) 3. a 4 mesi i bambini cominciano ad avere aspettative sulla corrispondenza tra volti e voci (almeno per quanto riguarda i genitori) I bambini piccoli sembrano avere una buona predisposizione ad imparare il linguaggio avendo una capacità innata, o che si sviluppa molto rapidamente, di discriminare i suoni linguistici (fonemi). Sembra inoltre che nell'infanzia vi sia un periodo critico per fissare i fonemi specifici della lingua madre, trascorso il quale diventa molto difficile imparare dei fonemi che presentano delle distinzioni incompatibili con quelle presenti nella lingua madre (vd. Difficoltà degli orientali a distinguere “r” da “l”). Se, invece, i bambini crescono in famiglie multilingue, apprendono senza difficoltà i fonemi di due o più lingue diverse. Inizialmente l'abilità di discriminare i fonemi non è limitata alla lingua madre, ma l'idioma a cui sono esposti presto (già verso gli 8 mesi) inizia ad influenzare la capacità di percezione linguistica dei neonati. Un' ipotesi recente è che la percezione delle unità linguistiche (frasi, parole, sillabe) inizi grazie alla predisposizione neonatale ad elaborare gli indici ritmici del linguaggio che segnano percettivamente queste distinzioni. La percezione del linguaggio si specializzerebbe poi, durante il primo anno di vita, in funzione delle strutture ritmiche ricorrenti nella lingua madre. A partire dai 6 mesi i bambini si rappresentano le categorie delle vocali e la struttura ritmica della lingua madre. Tra i 6 e i 7 mesi e mezzo, si formano la rappresentazione della struttura ritmica più frequente delle parole e se ne servono per individuare le parole all'interno delle frasi. Verso i 9 mesi si formano le rappresentazioni della fonotassi (delle possibili combinazioni di fonemi) e delle consonanti. Queste rappresentazioni fonotattiche e fonemiche si consolidano tra i 10 e i 12 mesi. Inizialmente quindi i neonati elaborano gli indici ritmici del linguaggio e poi si costruiscono gradualmente delle rappresentazioni della struttura della lingua madre a più livelli: ritmico e vocalico tra i 6 e i 7 mesi, fonotattico e fonemico tra i 9 e i 12 mesi. Se le moderne tecniche di indagine oggi a disposizione portano a una revisione delle teorie piagetane, d'altro canto confermano l'importanza assegnata dallo studioso alla biologia evoluzionistica. Infatti, quanto più si conosce delle capacità percettive iniziali, tanto più si riconosce il contributo dato dall'evoluzione alle origini dello sviluppo umano. 5. LO SVILUPPO DELLE ABILITA' MOTORIE NELLA PRIMA INFANZIA Anche se numerose coordinazioni tra i sistemi motori e quelli sensoriali sono già presenti alla nascita, i bambini devono comunque acquisire un controllo esperto sulle loro azioni. Il neonato è capace di compiere azioni ben coordinate in alcuni domini (es. suzione), mentre in altri il raggiungimento di un controllo preciso richiede molti mesi (es. raggiungere e afferrare o camminare). Gran parte dello sviluppo del primo anno di vita riguarda l'acquisizione di un controllo accurato sui movimenti del corpo e della testa che, alla nascita, è la parte del corpo di maggior dimensione e peso. I mutamenti nelle proporzioni del corpo, che accompagnano la crescita nel primo anno, riducono gradualmente la dimensione della testa e aumentano quella delle gambe. Questo consente al bambino di raggiungere il controllo prima sulla testa, poi sulla testa e sul tronco, e infine sulle gambe. Tali mutamenti nelle proporzioni permettono anche l'abbassamento del centro di gravità del bambino, favorendo il raggiungimento dell'equilibrio necessario a camminare. La scala di Griffith mostra le tappe fondamentali nell'acquisizione del controllo posturale e nel raggiungimento dell'autonomia motoria. Queste tappe non possono tuttavia essere considerate degli stadi di sviluppo perchè il loro ordine di comparsa può variare. Prima i bambini sollevano la testa, poi testa e torace, in seguito sollevano la testa e il tronco alzandosi su mani e braccia e, infine, si sollevano su tutti e 4 gli arti. A 9 mesi molti bambini camminano carponi, alcuni si muovono trascinandosi sulla parte posteriore del corpo, mentre altri passano direttamente alla posizione eretta. Tutti cominciano presto a sollevarsi e a 12 mesi la maggior parte dei bambini compie i primi passi. Benchè molti teorici abbiano ipotizzato una spiegazione semplicemente maturativa per tali abilità, è stato dimostrato che lo sviluppo motorio è influenzato anche da fattori culturali. Studi eseguiti su bambini di un orfantrofio a Theran cresciuti in grave stato di abbandono hanno evidenziato che alcuni di essi a 2 anni non avevano ancora acquisito le più elementari abilità motorie (mancanza totale di stimoli sociali). Questi studi confermano la teoria della ZSP di Vigotskij, secondo la quale il supporto dell'ambiente sociale è fondamentale per lo sviluppo. Come si è visto, potrebbe essere presente una certa continuità tra il riflesso di marcia automatica del neonato e le successive andature carponi ed eretta. È stato infatti dimostrato da alcuni studi che se il riflesso di marcia viene regolarmente esercitato non scompare. Vi sono teorie apparentemente contrastanti sul perchè i bambini inizino a camminare intorno ai 12 mesi. Thelen sostiene che questo passaggio avviene quando i bambini hanno abbastanza forza da sorreggere il proprio peso. Zelazo sottolinea invece la funzione strumentale del camminare, sostenendo che quest'abilità si sviluppa quando compare l'intenzionalità. Entrambe le tesi potrebbero essere corrette: lo schema di base dei movimenti del camminare non può dipendere dallo sviluppo cognitivo, dal momento che sembra essere innato, ma lo sviluppo cognitivo potrebbe fornire al bambino un motivo per utilizzare le proprie abilità motorie per esplorare e muoversi. Il controllo della postura l'acquisizione della locomozione indipendente è subordinata alla capacità di conservae l'equilibrio dinamico. La prima condizione necessaria per conseguire tale equilibrio è quella di raggiungere il controllo sulle posture statiche del corpo (l'equilibrio del capo, lo stare seduto, lo stare in piedi), abilità che vengono raggiunte con l'aiuto della visione (un bambino cieco dalla nascita presenta un grave ritardo nella locomozione). Per raggiungere l'equilibrio i bambini prendono come riferimento i contorni visivi stabili ed usano il flusso di informazioni visive, che normalmente accompagna le oscillazioni del corpo, come feedback per mantenere l'equilibrio (se sono posti in un ambiente che si muove, i bambini che hanno appena imparato a stare in piedi perdono l'equilibrio). Il flusso di informazioni visive di ritorno (feedback visivo) è usato dal bambino già per mantenere il controllo sulla testa. I meccanismi visivi, vestibolari e cinestesici coinvolti nel mantenimento dell'equilibrio sono quindi strettamente connessi tra loro sin dai primi mesi di vita ed aiutano il bambino ad acquisire il controllo del proprio corpo. L'acquisizione di una posizione stabile della testa e del tronco rende poi possibile il rapido sviluppo delle capacità di raggiungere e afferrare. Raggiungere e afferrare “Un'abilità motoria è una sequenza organizzata di azioni rivolte a un obiettivo, guidata e corretta mediante le informazioni di ritorno”. Di conseguenza la percezione visiva ha un ruolo di primo piano nel controllo dell'azione. Piaget riteneva che i movimenti della mano e la visione fossero inizialmente indipendenti e che il periodo in cui ii neonati si osservano le mani servisse per ottenerne il controllo visivo. Tuttavia, Bower ha notato che anche i bambini ciechi dalla nascita sembrano attraversare un periodo di “osservazione delle mani”. Pare quindi che i meccanismi che controllano l'inseguimento visivo e il movimento delle mani siano connessi tra loro sin dall'inizio. Questo ha condotto Bruner e Koslowski a sostenere che, per raggiungere correttamente gli oggetti, bisogna acquisire il controllo volontario sulla preesistente coordinazione tra occhio e mano (ordinare le azioni in un'appropriata sequenza indirizzata verso l'obiettivo). Le ricerche contemporanee confermano che la coordinazione occhiomano è innata. Diversi esperimenti hanno evidenziato nei neonati i “tentativi di raggiungimento innescati dalla visione (se si presenta a un neonato un oggetto interessante questo fa dei goffi tentativi per afferrarlo). Man mano che la mira del bambino migliora, i contatti diventano più frequenti e verso i 4 mesi riesce talvolta ad afferrare l'oggetto dopo averlo toccato. Quindi il raggiungere è un'azione stimolata dalla visione e toccare l'oggetto fa scattare l'afferrare. Verso i 5 mesi, quando il raggiungere si perfeziona, entrambe le azioni del raggiungere e dell'afferrare vengono guidate dalla visione e, non appena il bambino raggiunge l'oggetto, lo afferra rapidamente. Gli studiosi contemporanei sottolineano l'entità dell'auto-organizzazione di tali processi: lo sviluppo inizia da sistemi preadattati che si coordinano tra loro dando vita a sistemi più complessi. I comportamenti inefficaci vengono esclusi, mentre quelli efficaci sono selezionati e integrati per creare un nuovo livello di auto-organizzazione. Un ulteriore sviluppo della prensione si osserva dopo i 6 mesi quando i bambini acquisiscono un miglior controllo sulle dita. Dapprima, infatti, essi afferrano gli oggetti premendoli sul palmo della mano con tutte le dita. In seguito sviluppano una prensione digitale più precisa finchè, verso i 12 mesi, sono in grado di prendere oggetti molto piccoli con la “prensione a pinza”. Nel primo anno di vita le capacità di raggiungere e afferrare continuano a svilupparsi in una molteplicità di modi. Infatti, una volta raggiunto il controllo su queste due azioni, il bambino impara a coordinare i movimenti delle due mani. Dopo i 6 mesi comincia a trasferire l''oggetto da una mano all'altra, ma, se gli si offre un terzo oggetto, lascia cadere il secondo. A partire dagli 8-9 mesi il bambino sviluppa una procedura di conservazione degli oggetti: il terzo oggetto e i successivi vengono collocati in un luogo sicuro. Questa sequenza dimostra che, per ampliare il campo di applicazione delle abilità motorie, queste devono essere coordinate con la capacità di mantenere in memoria un obiettivo. Tale coordinazione tra azioni e memoria è denominata “integrazione gerarchica”. 6. LE ORIGINI DELLA CONOSCENZA La teoria di Piaget dello sviluppo sensomotorio Piaget sosteneva che il bambino costruisce la conoscenza tramite le attività motorie che lo mettono in relazione con la realtà e generano degli effetti sensoriali regolari. Per questo, chiamava la prima infanzia lo stadio dello sviluppo sensomotorio. Piaget aveva individuato 6 sottostadi dello stadio sensomotorio. In base alla sua teoria: 1. l'iniziale relazione del bambino con l'ambiente avviene tramite schemi riflessi (0-1 mese), che, benchè preadattati, vengono presto applicati a nuovi oggetti (es. suzione); 2. quando il riflesso viene coordinato con un altro schema di azione, è chiamato reazione circolare primaria (1-4 mesi): l'azione ha uno scopo e si conclude quando questo viene raggiunto (es. toccarsi la bocca), in questa fase il bambino ripete le attività per il piacere di farlo e , nel corso delle azioni, scopre il proprio corpo; 3. le reazioni circolari primarie vengono poi coordinate tra loro, vi è un'integrazione gerarchica degli schemi d'azione sviluppati fino ad allora. L'interesse del bambino, inoltre, si sposta dalla ripetizione di azioni per il loro piacere intrinseco allo studio delle conseguenze delle azioni (es. il bambino calcia e il soffietto della carrozzina si muove). Questo sottostadio è definito delle reazioni circolari secondarie (4-8 mesi); 4. il bambino raggiunge la coordinazione delle reazioni circolari secondarie (8-12 mesi) quando è in grado di organizzare delle sequenze di azioni come mezzi per raggiungere dei fini (es. scoprire un oggetto e afferrarlo); 5. nel sottostadio delle reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) i bambini possono deliberatamente variare i loro schemi di azione nel tentativo di sperimentare attivamente mediante prove ed errori (es. gettare gli oggetti fuori dalla carrozzina); 6. la prima infanzia termina con la comparsa della capacità di rappresentazione (18-24 mesi), intesa come la capacità di rappresentarsi mentalmente la realtà (es. l'imitazione differita, il gioco simbolico, gli inizi del linguaggio). La rappresentazione segna la fine dello stadio sensomotorio. Ora il bambino non solo è in grado di agire direttamente sulla realtà, ma diviene anche capace di pianificare azioni in relazione a realtà immaginate. Secondo Piaget, il bambino costruisce la sua conoscenza attraverso le azioni in quanto la percezione da sola non gli fornisce tutte le informazioni sul mondo. Le più recenti evidenze non confermano quest'aspetto della sua teoria. La descrizione di Piaget dello sviluppo cognitivo nei bambini piccoli riguarda la comprensione della realtà fisica. Il fondamento del pensiero è costituito, secondo lo studioso, dal concetto di permanenza dell'oggetto. Gli adulti sanno che se un oggetto viene nascosto da un altro continua ad esistere e a mantenere le sue proprietà fisiche. Piaget pensava che, fino agli 8, il bambino non comprendesse assolutamente che la comparsa e la scomparsa di un oggetto riflettono i movimenti di uno stesso oggetto e che tale comprensione divenisse completa solo verso i 18 mesi. Egli riteneva che gli oggetti per i bambini fossero semplici immagini, prive di sostanza e permanenza e lo deduceva dall'incapacità dei bambini prima degli 8 mesi di cercare gli oggetti nascosti. Attraverso 6 stadi successivi i bambini a percepire la permanenza degli oggetti, ma, fino ai dodici mesi commettono i cosiddetti “errori A con B” (se un oggetto viene nascosto in posizione A, il bambino lo cerca e lo trova; tuttavia se successivamente lo stesso oggetto è posto in una nuova posizione B e viene coperto mentre il bambino lo osserva, il bambino continua a cercarlo nella posizione originale A, nonostante l'abbia visto scomparire in B). Secondo Piaget questo tipo di errori dimostrano che il bambino percepisce gli oggetti come estensioni delle proprie azioni. Il bambino ha infatti appreso una procedura per far riapparire gli oggetti scomparsi, ma non comprende che gli oggetti sono unici e che quindi in un dato momento possono essere in un solo luogo. Il bambino è convinto che le sue azioni facciano riapparire gli oggetti. Tra i 12 e i 18 mesi il bambino cerca l'oggetto nel posto in cui l'ha visto scomparire, ma l'oggetto non è ancora completamente indipendente dall'azione, infatti il bambino ne comprende la permanenza solo se può conservare traccia dei movimenti di un oggetto visibile. Solo tra i 18 e i 24 mesi il bambino riesce a rappresentarsi l'oggetto, è capace cioè di immaginarlo e recuperare quest'immagine nella memoria. A questo punto sia l'oggetto che la percezione sono indipendenti dall'azione. Alternative alla teoria di Piaget Le ipotesi di Piaget non sono sufficienti per spiegare le recenti scoperte. Bower è stato uno dei primi a dimostrare che i bambini percepiscono l'esistenza continua degli oggetti. Utilizzando come indice la variazione della frequenza cardiaca, ha mostrato che i bambini di 3 mesi si sorprendono se un oggetto visto passare dietro uno schermo non ricompariva quando lo schermo veniva rimosso. Bower presentò poi ai bambini un oggetto che, con un gioco di specchi veniva fatto scomparire improvvisamente e i bambini, che erano stati condizionati a succhiare una tettarella durante la visione dell'oggetto, smettevano di succhiare, come se quest'ultimo non esistesse più. In un altro esperimento veniva spenta la luce prima che un oggetto attraente venisse raggiunto e bambini non ancora capaci di trovare un oggetto nascosto sotto un panno cercavano a lungo l'oggetto al buio. Quindi fuori dalla vista non significa fuori dalla mente. Bower ha inoltre ipotizzato che che la scomparsa di un oggetto sia differentemente specificata nell'immagine retinica a seconda delle modalità con cui l'oggetto viene spostato dal campo visivo. Quando un oggetto passa dietro un altro, il modo in cui la tessitura dell'oggetto occluso è cancellata da quella dell'oggetto occludente, specifica che il primo si sta muovendo dietro al secondo. Nel caso della scomparsa dell'oggetto la tessitura svanisce senza essere cancellata e viene sostituita dalla tessitura dello sfondo. Bower sostiene quindi che i sistemi percettivi dei bambini piccoli sono capaci di riconoscere la differenza tra occlusione temporanea e scomparsa improvvisa. Ne consegue che, quando la luce viene spenta, i bambini percepiscono la scomparsa della luce e non dell'oggetto. Poiché le osservazioni di Piaget sugli insuccessi nella ricerca manuale sono state più volte replicate, ci si è chiesto perchè i bambini, pur percependo che gli oggetti nascosti continuano ad esistere, non sono in grado di ricercarli manualmente fino agli 8 mesi. La questione importante, quindi, non è quando l'informazione fisica diventi disponibile per il bambino, bensì perchè i bambini impieghino così tanto tempo prima di essere in grado di usare quest'informazione per ricercare manualmente gli oggetti nascosti. Una possibilità è che la difficoltà sia legata alla limitata capacità di memoria del bambino piccolo. Coordinazione tra occhio, mano e memoria: spiegazione degli insuccessi e degli errori nella ricerca dell'oggetto A causa della loro limitata capacità di memoria, i bambini di 8 mesi sono capaci di trovare gli oggetti nascosti solo in alcune semplici situazioni, mentre una maggiore complessità mette in difficoltà la loro capacità di ricordare che sono partiti da una posizione specifica per ritrovare l'oggetto. Gli “errori A per B” sono stati esaurientemente studiati e si è dimostrato che non sono inevitabili. Ciò significa che i bambini non hanno necessariamente delle difficoltà a percepire l'identità tra l'oggetto collocato nella posizione A e lo stesso successivamente nascosto in B. E' stato dimostrato che i principali fattori che portano i bambini a sbagliare sono il ritardo tra il momento in cui si nasconde l'oggetto e quello in cui se ne permette la ricerca, e il numero di posizioni alternative tra le quali i bambini devono scegliere. Tuttavia, poiché permane la tendenza a commettere errori, rimane valida l'affermazione di Piaget che i bambini passano attraverso uno stadio in cui sono inclini all'errore. In generale, le osservazioni di Piaget sui tipici modelli di azione dei bambini piccoli sono state confermate. Le origini della conoscenza delle persona Secondo Piaget, i diversi stadi della permanenza dell'oggetto possono essere applicati anche al concetto di persona. In effetti gli studi condotti per esaminare la capacità del bambino di cercare la madre che scompariva dietro uno schermo, hanno dato risultati molto simili degli studi sulla ricerca degli oggetti. Così, prima degli 8 mesi, quando la madre scompare dietro uno schermo i bambini non la cercano e, tra gli 8 e i 12 mesi, quando la madre si nasconde successivamente in due posizioni, A e B, essi continuano a cercarla in A. Come nel caso della ricerca degli oggetti, la difficoltà del bambino consiste nell'organizzare le azioni sulla base delle informazioni richiamate dalla memoria. Inizialmente, il bambino interagisce con l'adulto in maniera diretta, senza averne ricordi specifici, e, successivamente, ne memorizza le informazioni specifiche che gli permettono di riconoscerla (a partire dai 3 mesi). In seguito il bambino diventa anche in grado di richiamare queste informazioni dalla memoria e questa capacità di rievocazione da luogo a nuovi fenomeni sociali, quali la diffidenza o la paura di fronte agli estranei. Sono stati accumulati talmente tanti dati sulla speciale sensibilità dei bambini verso le persone, che sarebbe difficile continuare a sostenere che fino agli 8 mesi i bambini non abbiano alcuna consapevolezza della permanenza dell'identità delle persone significative nel loro ambiente. Già i primi studi sulla percezione del volto nei bambini piccoli indicavano che i neonati preferiscono guardare una figura che riproduce un volto rispetto alla stassa configurazione di elementi disposti in modo casuale. Studi recenti hanno inoltre dimostrato che la preferenza per il volto umano alla nascita non dipende dalle caratteristiche fisiche dello stimolo (il contrasto o la frequenza spaziale), ma dalla sua struttura, ossia dalla disposizione spaziale degli elementi interni. Vi sarebbe quindi un meccanismo specifico innato che si attiva in presenza delle caratteristiche strutturali del volto umano. Johnson e Morton hanno addirittura ipotizzato che alla nascita sia attivo un meccanismo sottocorticale che induce il neonato a orientarsi verso il volto umano. Mentre, verso i 2 mesi, si attivi un meccanismo corticale che permetterebbe di acquisire informazioni dettagliate sugli elementi dei singoli volti e quindi di discriminarli. In base a queste evidenze è facile ipotizzare che i bambini piccoli imparino rapidamente a riconoscere visivamente la madre basandosi sulla conoscenza già acquisita della sua voce. Sembra inoltre che le prime ore dopo la nascita costituiscano un periodo sensibile in cui il neonato è particolarmente predisposto ad apprendere le caratteristiche specifiche del volto materno. La preferenza non riguarda una caratteristica accessoria (es. capelli), ma il volto in sé. Sorriso e riconoscimento sociale Un approccio rilevante per la comprensione delle prime relazioni sociali del bambino è quello etologico. L'etologia è lo studio scientifico del comportamento osservato in condizioni naturali. In particolare, gli etologi hanno dato un'importante contributo nell'ambito della comunicazione non verbale e del legame di attaccamento madre-bimbo. Il primo esempio riguarda lo sviluppo del sorriso. Il sorriso nel periodo neonatale è stato a lungo considerato un semplice effetto della flatulenza. La ricerca recente ha smentito quest'ipotesi, ma rimane da capire se il sorriso dei neonati sia diretto specificamente alle persone. È probabile che, come altre espressioni emozionali, il sorriso sia una modalità di comunicazione, di origine endogena, specifica degli esseri umani ma che, per assumere la sua funzione comunicativa, richieda l'esistenza di una persona che risponda adeguatamente. Il sorriso non è rivolto solo agli stimoli visivi. A 6 settimane i bambini sorridono alle voci, in particolare a quella materna. In ogni caso la vista del volto è uno stimolo particolarmente efficace. Ahrens scoprì che due punti rossi, disegnati su un cartoncino ovale bianco, sono sufficienti per suscitare il sorriso e che sei punti rossi, disegnati sullo stesso ovale, accrescono questo effetto. Questo studio suggerisce che il sorriso nei bambini piccoli è attivato dagli occhi. Tuttavia, il sorriso compare, seppure un po' in ritardo, anche nei bambini ciechi dalla nascita. Quindi può darsi che gli occhi siano solo una parte di un complesso di stimoli a cui il bambino risponde. Sembra probabile che il sorriso sia inizialmente generato in maniera endogena, ma che venga ben presto messo in relazione con stimoli sociali familiari e che , in seguito all'interazione sociale, sia più rapidamente attivato di fronte a persone specifiche. A partire da circa 3 mesi, il sorriso è effettivamente sociale e reciproco poiché diventa sincronizzato con quello di chi si prende cura del bambino. Quando il sorriso diventa un fenomeno reciproco, indica che il bambino a un ricordo, o modello mentale, di una persona particolarmente significativa. Lo sviluppo di modelli mentali di persone specifiche All'età di 8 mesi i bambini si sono già costruiti dei ricordi specifici delle persone familiari e dimostrano spesso diffidenza o paura nei confronti degli estranei. Tale fenomeno coincide con la capacità di recuperare intenzionalmente informazioni dalla memoria. Benchè le rappresentazioni tendano ad essere abbastanza rigide (es. talvolta il bambino si spaventa se la madre si presenta con una diversa acconciatura), in questa fase i bambini sono in grado non solo di riconoscere le persone, ma di rievocarle. La formazione dei legami di attaccamento L'attaccamento è la capacità di creare delle relazioni focalizzate, permanenti ed emotivamente significative con persone specifiche. Maccoby ha indicato 4 indici di attaccamento nei bambini 8 (a partire da 8 mesi ca i bambini ricercano la persona che maggiormente si prende cura di loro, mostrano segni di disagio quando ne sono allontanati, sono contenti quando si ritrovano di nuovo con lei, guidano il proprio comportamento rivolgendole periodicamente lo sguardo). Bowlby, in antitesi con Freud, riteneva che alle origini dell'attaccamento vi siano il senso di protezione e sicurezza forniti dalla madre. L'influenza degli studi etologici e, in particolare del concetto di imprinting, portò Bowlby a sostenere l'esistenza, anche nella relazione tra esseri umani, di un rapido periodo di apprendimento delle caratteristiche della madre che si verifica mediante la continua vicinanza. Non avendo il bambino la possibilità di seguire la madre, lo studioso ipotizzò che si serva di segnali, quali il sorriso, il pianto e le vocalizzazioni per mantenere la madre vicina e costruirsi una rappresentazione della sua figura. Quando poi il bambino comincia a muoversi carponi, inizia ad allontanarsi periodicamente dalla madre per esplorare nuovi ambienti. L'esplorazione, che si serve della protezione della madre come base per le incursioni nell'ambiente, è l'aspetto reciproco del processo di attaccamento. Ainsworth e Bell hanno ideato un test, detto “strange situation test” per valutare la qualità dell'attaccamento. Il test consiste nell'osservare le reazioni del bambino di fronte a un estraneo, dapprima in presenza della madre, poi lasciato solo con l'estraneo e, infine, nel momento del ricongiungimento con la madre. I bambini con attaccamento sicuro sono sereni sia in presenza della madre che quando vengono lasciati soli con l'estraneo e, al ritorno della madre cercano di avvicinarsi a lei, si calmano rapidamente e poi riprendono a giocare (questi bambini sono la maggioranza). I bambini con attaccamento insicuro ansioso-evitante non cercano la vicinanza della madre in nessuna fase del test. I bambini con attaccamento insicuro ansioso-ambivalente rimangono vicini alla madre e appaiono ansiosi alla comparsa dell'estraneo; sono turbati quando la madre si allontana e quando rientra la cercano, ma, nello stesso tempo, ne rifiutano il conforto. Recentemente è stato individuato un altro schema, l'attaccamento insicuro disorganizzato: bambini al ritorno della madre mostrano un comportamento confuso, con movimenti “congelati” o stereotipati. Per Bowlby, la qualità della relazione materna è cruciale nel determinare sia il tipo di modello mentale che il bambino sviluppa della madre che la conseguente possibilità di sentirsi sicuro ed esplorare l'ambiente. I bambini costruiscono un legame di attaccamento anche col padre e coi fratelli. Le ricerche sull'adattamento hanno trovato applicazione sia nella pratica di ospedalizzazione che nel campo della cura diurna dei bambini le cui madri lavorano. Gli effetti a lungo termine della rottura del legame di attaccamento sono difficili da prevedere. Tuttavia, poiché il sistema di attaccamento è abbastanza flessibile, le conseguenze negative possono essere reversibili. 7. LA COMPARSA DEI SIMBOLI Il bambino a 2 anni ha imparato a camminare, ha una buona comprensione del linguaggio, è capace di parlare, e ha acquisito una relativa indipendenza. Questi segni della crescita fisica possono essere considerati indici di un nuovo stadio di sviluppo. Prove di questo passaggio sono fornite dallo sviluppo fisico: a 30 mesi i bimbi hanno tutti i denti da latte; il ritmo della crescita fisica rallenta notevolmente; cambiano le proporzioni del corpo (la testa è sempre meno sproporzionata); vi è una rapida crescita del cervello. Lo sviluppo motorio procede di pari passo con quello fisico: man mano che si riducono gli strati adiposi e si ridimensionano le proporzioni, il bambino impara a correre, lanciare e afferrare, e anche le abilità più fini migliorano rapidamente (tra i 3 e i 5 anni imparano a fare costruzioni coi cubi, a impugnare la matita, ecc.). Il primo a teorizzare la transizione stadiale dalla prima infanzia all'età prescolare fu Piaget, che individuò nella capacità di rappresentazione la differenza più importante tra lo stadio sensomotorio e quello prescolare. La capacità di rappresentazione implica la possibilità di agire e pensare su un piano simbolico. La relazione tra il simbolo e il suo referente può essere arbitraria e convenzionale (linguaggio) oppure il simbolo può somigliare all'oggetto che rappresenta (disegno infantile). Tutti i simboli presuppongono una capacità di rappresentazione, ma non tutte le rappresentazioni sono simboliche (la rappresentazione può anche essere un ricordo letterale di un oggetto). Piaget denominò il periodo prescolare “stadio preoperatorio”, ritenendo che i bambini, pur pensando in maniera simbolica, non sono ancora capaci di trasformare la conoscenza in una rete cognitiva organizzata. Uno dei principali problemi affrontati dalla psicologia dello sviluppo riguarda le modalità di comparsa della “funzione simbolica”. Si ritiene che tale passaggio avvenga per gradi (forme simboliche intermedie) e per comprenderlo bisogna distinguere i modi in cui i segni possono indicare cose presenti nella realtà dai modi in cui i segni vengono utilizzati come simboli di una realtà immaginata (segni rappresentativi che non annunciano le cose, ma le richiamano alla mente). Molti studiosi usano la distinzione tra significante (che è usato al posto di un oggetto) e significato (l'oggetto stesso). Per comprendere la nascita del linguaggio bisogna capire in che modo i bambini passano dalla comunicazione non verbale a quella verbale tramite l'uso dei simboli. Kaye (fin.7.1 pag. 129) ha schematizzato tale passaggio in una tavola. Il primo livello è quello dei segni, significanti indifferenziati (non intenzionali) ma convenzionali. A questa categoria appartengono segni che inizialmente non contengono un'intenzione comunicativa, ma la acquisiscono non appena chi si prende cura del bambino vi legge un significato (schioccare le labbra durante il pasto). Il secondo livello è quello degli indici, significanti indifferenziati e non convenzionali. Un'azione può essere non intenzionale, ma costituire comunque un significante. Ad esempio, il bambino che piange per fame o sorride alla vista di una sagoma in movimento, pur essendo indici involontari dello stato emozionale del bambino, veicolano un significato per un adulto esperto. Naturalmente le stesse azioni possono essere compiute intenzionalmente dai bambini più grandi. In questo caso diventano gesti, significanti differenziati (intenzionali) ma non convenzionali. Il quarto livello è costituito dai simboli, significanti differenziati e convenzionali. I simboli sono socialmente definiti e sono considerati equivalenti agli oggetti e agli eventi significati. Il linguaggio è un codice simbolico che ha significato in uno specifico contesto culturale. Alcuni significanti possono appartenere contemporaneamente a due categorie. Ad esempio i disegni dei bambini possono avere funzione sia di indici che di simboli. Lo sviluppo del linguaggio Per apprendere il linguaggio, il bambino deve imparare non solo il significato dei singoli simboli, le parole, ma anche le regole con cui sono combinate, la grammatica. Gli studi sull'acquisizione del linguaggio si rifanno principalmente alle teorie di Skinner, Chomsky, Piaget e Bruner. Skinner: il suo quadro teorico di riferimento era il comportamentismo americano. Il suo obiettivo era quello di spiegare l'apprendimento sulla base di un insieme di principi fondamentali. Egli sosteneva che i bambini apprendono il linguaggio mediante il condizionamento operante (attraverso l'uso del rinforzo si crea una connessione tra lo stimolo e la risposta) perchè ricevono rinforzi quando producono certi suoni (l'incoraggiamento e l'approvazione dei genitori). Chomsky: sosteneva che l'apprendimento del linguaggio dipende dall'acquisizione di un corpo di conoscenze, le regole sintattiche, condizione necessaria per attivare la creatività linguistica (capacità di produrre e comprendere frasi mai udite prima). Chomsky sottolineò anche che i bambini non sono esposti al linguaggio nel modo accurato e sistematico che sarebbe necessario per il condizionamento operante e che, al contrario, le regole sintattiche vengono apprese rapidamente e senza bisogno di un accurato insegnamento. In base a queste osservazioni, ipotizzò che i bambini apprendono il linguaggio grazie ad un meccanismo innato, il LAD (language acquisition device) presente solo nel cervello umano. Il linguaggio quindi non viene appreso, ma sviluppato ed è sufficiente un minimo contributo ambientale. L'ipotesi di Chomsky che la capacità di acquisizione del linguaggio sia unicamente umana è stata sottoposta a verifiche in una serie di studi sugli scimpanzè e, a tutt'oggi, non è stata smentita. Piaget: riteneva che la comparsa del linguaggio dipende dal completamento dei processi di sviluppo che si verificano durante lo stadio sensomotorio. Il linguaggio, secondo Piaget, è una manifestazione della più ampia capacità di rappresentazione del mondo mediante l'uso di simboli, ed è strettamente collegato allo sviluppo cognitivo (in disaccordo con Chomsky secondo cui il linguaggio è acquisito mediante meccanismi specifici, indipendenti dalle funzioni cognitive). In realtà entrambe le ipotesi possono essere corrette. Per alcuni aspetti del linguaggio (es. sintassi) vi sono prove a favore di un apprendimento indipendente dalle funzioni cognitive, ma la piena comprensione di buona parte del linguaggio richiede anche capacità cognitive più generali (evidenza ammessa in seguito anche da Chomsky). L'influenza del contesto sociale sullo sviluppo del linguaggio Le teorie esposte fin qui tengono in scarsa considerazione il fatto che il linguaggio parlato è usato in un contesto sociale ed è finalizzato alla comunicazione. Il bambino viene a contatto con il linguaggio in un contesto in cui, benchè la lingua non sia famigliare, molti altri aspetti del contesto sociale sono conosciuti. Vigotskij aveva sottolineato l'importanza dell'interazione sociale per lo sviluppo cognitivo e, in particolare, per quello del linguaggio e del pensiero. La sua teoria influenzò fortemente Jerome Bruner che ipotizzò che il contesto sociale familiare aiuta il bambino ad interpretare il linguaggio di chi lo accudisce. Infatti, parlando coi bambini, gli adulti tipicamente usano il linguaggio per interpretare e commentare il contesto sociale. Questo aiuta il bambino a comprendere il codice del linguaggio. In una fase successiva, Bruner modificò parzialmente la sua teoria ipotizzando che il linguaggio fornisca un supporto per l'acquisizione del linguaggio, ma non la conoscenza necessaria per tale apprendimento. Questa riformulazione rende la teoria di Bruner compatibile con quella di Chomsky sull'esistenza di specifici meccanismi per l'acquisizione della sintassi. Quindi i processi implicati nello sviluppo del linguaggio sono il risultato di una complessa interazione tra le generali capacità cognitive del bambino e le sue specifiche abilità linguistiche ed esperienze. È stato dimostrato che lo stretto legame tra i discorsi materni ed il contesto sociale in cui sono prodotti costituisce un fattore importante per l'iniziale sviluppo del linguaggio (le abilità linguistiche dei bambini sono più sviluppate nelle situazioni in cui le madri commentano regolarmente il contesto sociale). Sono state inoltre individuate 5 funzioni comunicative nel comportamento materno: tutoria, didattica, di conversazione, di controllo e asincronica; ed è stato dimostrato che solo le prime due correlano positivamente con lo sviluppo linguistico. Altri aspetti degli schemi di comunicazione tra madre e bambino particolarmente importanti sono: l'attenzione condivisa (mamma e bambino tendono a guardare gli stessi oggetti) e la comprensione da parte del bambino della referenza (verso la fine del primo anno di vita i bambini sono in grado di comprendere il gesto di indicazione e guardare nella direzione indicata e, poco dopo, sono in grado di usare loro stessi l'indicazione per dirigere l'attenzione). La relazione tra produzione da parte del bambino del gesto di indicare e sviluppo del linguaggio è stata evidenziata da studi che hanno mostrato che la frequenza con cui i bambini tra i 9 e i 12 mesi usano l'indicazione è direttamente proporzionale alla dimensione del lessico verbale e gestuale prodotto nel secondo anno. Il gesto di indicazione tende ad attivare risposte molto specifiche negli adulti. Inoltre, è stato dimostrato che il bambino è predisposto a prestare particolare attenzione agli oggetti quando questi sono individuati mediante l'uso simultaneo dell'indicazione e della denominazione. Il primo sviluppo lessicale In molti bambini la comprensione linguistica compare verso i 7 mesi, quando cominciano a rispondere al proprio nome, e aumenta gradualmente fino al punto in cui iniziano a parlare . L'età di comparsa delle prime parole può variare considerevolmente, ma le prime parole tendono ad essere tutte molto simili (nomi di adulti o oggetti familiari). I bambin iniziano presto anche ad usare parole corrispondenti ad azioni abituali. Il significato da attribuire alle prime parole dei bambini è stato oggetto di molti dibattiti. Le ricerche più recenti suggeriscono che le prime parole dei bambini sono molto più simili a a quelle degli adulti di quanto non si pensasse in passato. I bambini presentano stili differenti nell'uso iniziale delle parole: espressivo (azioni e nomi di persone) e referenziale (oggetti). È stata una correlazione tra il tipo di parole inizialmente prodotte dai bambini e il loro successivo sviluppo linguistico: i bambini che inizialmente apprendono un maggior numero di nomi di oggetti mostrano uno sviluppo più rapido del vocabolario. La produzione delle prime parole è anche strettamente legata al linguaggio udito nelle situazioni quotidiane, tuttavia, questo avviene solo nelle prime fasi dello sviluppo del vocabolario. Il primo sviluppo morfosintattico I primi studi sullo sviluppo sintattico riguardavano i diversi stadi attraversati dai bambini quando cominciano a parlare. Roger Brown, insieme ad altri ricercatori, analizzò in maniera dettagliata il linguaggio di 3 bambini cercando di descrivere il tipo di regole che venivano utilizzate. Per esaminare lo sviluppo delle capacità dei bambini di combinare le parole e formare delle frasi complesse, Brown usò una misura denominata lunghezza media dell'enunciato (LME). L'enunciato è definito come una sequenza di parole delimitata da un silenzio o da un cambio di turno nella conversazione e, a differenza della frase, non ha necessariamente una struttura grammaticale. Brown osservò che l'ordine in cui i bambini acquisivano la conoscenza di differenti aspetti della lingua madre era molto simile, passando da regole più semplici ad altre più complesse. Tuttavia, egli sottolineava che il ritmo di progressione da uno stadio all'altro variava da bambino a bambino. Studi recenti hanno dimostrato che non solo il ritmo è variabile, ma anche il percorso seguito dai bambini per impossessarsi della sintassi. L'età di inizio delle combinazioni di parole e anche il numero di parole differenti prodotte prima della fase combinatoria, variano notevolmente da bambino a bambino. Vi sono inoltre importanti relazioni tra il primo sviluppo del vocabolario e l'acquisizione della sintassi. Bates ha identificato due distinte tendenze nello sviluppo linguistico: 1. produzione analizzata – il bambino apprende a produrre delle parole che comprende ed è quindi in grado di produrle in situazioni diverse; 2. produzione non analizzata – è costituita da parole apprese a memoria o in routine fisse, non sembra esserci una comprensione totale dei vocaboli. In base alle osservazioni di Bates, queste due tendenze sono da mettere in relazione con le prime produzioni linguistiche (a 20 mesi, la produzione non analizzata è strettamente correlata con la variazione della lunghezza media degli enunciati). Sviluppo linguistico e deficit sensoriali I bambini che soffrono di gravi deficit visivi o uditivi mostrano specifici problemi nell'acquisizione del linguaggio. Bimbi non vedenti: Lo studio del primo sviluppo del linguaggio nei bambini ciechi mostra chiaramente l'influenza che l'esperienza percettiva ha sullo sviluppo del linguaggio. Landau e Gleitman hanno osservato che è caratteristico dei bimbi ciechi un inizio abbastanza ritardato del linguaggio. Tuttavia, le prime parole di questi bambini sono simili a quelle dei b. vedenti. Le osservazioni condotte sull'uso della parola “guardare” sono particolarmente interessanti: alla richiesta di guardare un oggetto il bimbo cieco lo esplorava con le mani, mentre, se gli si chiedeva di “guardare e non toccare” il bambino lo toccava, ma senza esplorarlo. Da questi esperimenti Landau e Gleitman hanno inferito che vi è una base comune a tutti i bambini, vedenti e non, per il significato assegnato alla parola “guardare”. Per i b. vedenti “guardare” implica l'esplorazione visiva. Per i non vedenti implica un'esplorazione effettuata con la modalità percettiva dominante. In seguito si è appurato che i b. ciechi si differenziano nella scelta della modalità sensoriale sostitutiva della visione (per alcuni è l'udito e per altri il tatto). In ogni caso si è osservato che la cecità influenza negativamente lo sviluppo del vocabolario, il che suggerisce che l'esperienza visiva abbia un ruolo importante nel guidare lo sviluppo dei processi concettuali responsabili dell'iniziale acquisizione del linguaggio. È stato altresì dimostrato che i bimbi ciechi passano alla fase combinatoria approssimativamente nello stesso momento dei b. vedenti. Il che significa che la sollecitazione a iniziare a combinare le parole è indipendente dalle caratteristiche della loro conoscenza lessicale. Il linguaggio dei bimbi ciechi fornisce, quindi, ulteriori conferme del fatto che alcuni aspetti dello sviluppo linguistico, e in particolare di quello sintattico, sono il risultato di processi specifici per il linguaggio, non influenzati dall'esperienza sociale né dal più generale sviluppo cognitivo. Bimbi non udenti: lo sviluppo linguistico dei b. sordi varia enormemente (alcuni apprendono il linguaggio in modo simile ai b. udenti, altri hanno gravi ritardi). I b. che soffrono di una sordità profonda, in genere hanno maggiori difficoltà di quelli con una sordità lieve, così come i bambini nati sordi, o divenuti tali nel primo anno di vita, presentano maggiori difficoltà rispetto a quelli divenuti sordi dopo. Un altro fattore che influenza lo sviluppo linguistico dei bimbi sordi è lo stato di udenti o non udenti dei genitori. Quelli che hanno anche i genitori sordi raggiungono un miglior livello di competenza linguistica (probabilmente perchè i genitori comprendono meglio i loro bisogni comunicativi). Inoltre, i bimbi non udenti con i genitori sordi sono esposti fin dalla nascita alla lingua dei segni. È stato dimostrato che questa è appresa allo stesso ritmo e seguendo le stesse fasi della lingua parlata. 8. LA RAPPRESENTAZIONE SIMBOLICA DEL GIOCO Il gioco Il gioco comprende diverse attività e si manifesta in varie forme durante tutto l'arco della vita. Nell'uomo ha anche una base culturale. I teorici che sottolineano la base biologica del gioco sostengono che costituisce un mezzo istintivo per l'esercizio delle abilità vitali fondamentali...ma il gioco non è solamente esercizio. L'attività ludica permette al bambino di esplorare le tante possibilità del comportamento mediante ripetizioni e variazioni e spesso ha uno scopo paradossale (lotta: permette di esercitare abilità pericolose in condizioni di sicurezza). Il gioco comporta quindi un orientamento verso la realtà, ma al tempo stesso se ne differenzia: il gioco fisico perchè ne omette alcuni aspetti e il gioco simbolico poiché crea una realtà immaginaria mediante i processi cognitivi e usa gli oggetti reali come sostituti di altri oggetti (es. bastone-cavallo). I processi simbolici sono attivati anche nell'esplorazione ludica dei ruoli sociali (es. fare il medico). Il gioco simbolico implica quindi una realtà immaginaria e Baldwin distingueva tra immaginazione ricostruttiva (basata sui ricordi) e immaginazione composta (crea nuove combinazioni simboliche). Quest'ultima dipende dalla capacità di dare libero sfogo all'immaginazione mettendo da parte la realtà e si sviluppa a partire da forme più semplici che possono essere osservate nella prima infanzia. Il gioco con gli oggetti Anche il bambino piccolo gioca con gli oggetti, ma la sua attività è troppo pratica per essere qualificata come simbolica. L'avvento del gioco simbolico è la principale evidenza del passaggio dalla prima infanzia a un nuovo stadio. Piaget ha sottolineato l'aspetto immaginativo del gioco in età prescolare sostenendo che nell'attività ludica l'assimilazione prevale sull'accomodamento (il bambino assimila il mondo a se stesso piuttosto che adattarsi alle richieste della realtà). Secondo la teoria piagetana del gioco in età prescolare, nel gioco simbolico sono individuabili due stadi, il primo fino ai 4 anni e il secondo dai 4 ai7 anni, a loro volta divisi in sottostadi. Nel primo stadio Piaget osservò dapprima la proiezione di schemi simbolici su nuovi oggetti: la proiezione di schemi familiari (finzioni di proprie azioni applicate a nuovi oggetti – es.far piangere un pupazzo) alla quale seguiva la proiezione di schemi imitativi (derivati da attività di altre persone – es. strofinare il pavimento con una conchiglia). A questa fase seguiva la separazione tra schemi simbolici e oggetti: prima attraverso la semplice identificazione di un oggetto con un altro (es usare la spazzola come ombrello) e poi con veri e propri giochi di imitazione (es. fingere di giocare con qualcuno che non c'è). nella fase successiva Piaget osservò le combinazioni di simboli (il bambino sostituisce scene reali con altre immaginarie – es. finge di preparare il bagno in una scatola di cartone). Queste diventano sempre più complesse, finchè il protagonista stesso del gioco può divenire immaginario (esempio di immaginazione composta e di puro gioco simbolico). Tra i 4 e i 7 anni, i giochi simbolici sopra descritti iniziano a perdere importanza e i simboli diventano sempre più legati alla realtà e il gioco simbolico diventa sempre più ordinato. Questi giochi, a loro volta, cedono gradualmente il posto a quelli governati da regole. Il gioco simbolico, come il linguaggio, emerge in maniera graduale. Sia Vygotskij che Piaget erano concordi sul fatto che il bambino inizialmente si rappresenta una realtà immaginaria attraverso le azioni e il supporto di oggetti che lo aiutano a distinguere tra significante e significato durante la transizione verso il puro gioco simbolico. Successivamente, l'azione simbolica viene separata dall'attività gestuale e corporea. Tra i 2 e i 3 anni, il gioco diventa sociale (compare la capacità di giocare ruoli reciproci e complementari. Furth e Kane sostengono che il gioco simbolico, pur avendo diverse funzioni nello sviluppo, ha lo scopo generale di far conoscere ai bambini le caratteristiche della struttura sociale in cui vivono. Tramite l'immaginazione verbale, i bambini creano anche estesi mondi immaginari. Gli oggetti transizionali Oltre che per lo sviluppo intellettivo, il gioco è importante per quello affettivo. Molti bambini hanno un oggetto a cui sono particolarmente affezionati (vd. coperta di Linus) . Questi oggetti sono definiti dagli psicanalisti “transizionali” poiché si ritiene che facilitino il passaggio dallo stretto contatto fisico con la madre al distacco da essa necessario per il raggiungimento dell'autonomia. L'identità di genere Il gioco aiuta anche a comprendere i ruoli sociali e le funzioni proprie degli adulti. Spesso i bambini in età prescolare esplorano mediante il gioco le attività di cuoco, meccanico, conducente d'autobus, ecc. E' inoltre interessante il fatto che i bambini assumono questi ruoli in accordo con la propria identità di genere. Il gioco simbolico può quindi aiutare ad acquisire la propria identità di genere. Il genere è un attributo biologico:esso modella i ruoli sociali che possono essere esplorati nel gioco simbolico. I ruoli sociali convenzionali forniscono a loro volta un contesto simbolico all'interno del quale il bambino può esplorare la propria identità di genere. La differenziazione sociale di maschi e femmine avviene tramite il tipo di abbigliamento, il nome e l'educazione scelti dai genitori (a cui si aggiungono tutta una serie di fattori come l'arredamento o i giocattoli). La rappresentazione simbolica del genere compare molto presto nello sviluppo. Già a 18 mesi, i bambini comprendono la distinzione maschile-femminile nei sostantivi quali “mamma” e “papà”, “signora” e “signore”, “bambina” e “bambino”. Vi sono quindi diversi modi in cui fattori biologici e sociali informano il bambino sulla sua identità di genere. Freud sosteneva che l'identificazione con il genitore del proprio sesso è il principale processo per l'acquisizione dell'identità di genere. La spiegazione freudiana ha però il limite di considerare come un'unica identità unitaria diversi aspetti dell'identità personale che possono essere separati (ciascun individuo può avere caratteristiche sia maschili che femminili). Kohlberg ha ipotizzato che i bambini, quando diventano consapevoli della loro identità di genere, si interessano a classificare gli oggetti e le persone come “maschili” o “femminili”. Egli sosteneva che lo sviluppo procede dalla comprensione dell'identità di genere, alla credenza nei ruoli sessuali stereotipati, all'imitazione degli adulti e, infine, allo speciale attaccamento verso il genitore dello stesso sesso. La sua teoria, diversamente da quella freudiana, assume quindi che la conoscenza delle differenze genitali tra i due sessi compaia solo dopo la comprensione dell'identità di genere e dei ruoli sessuali. Il simbolismo nel disegno infantile Il disegno è particolarmente interessante perchè combina gli aspetti iconici e simbolici del significato. Inoltre richiede al bambino di ridurre la realtè alla superficie bidimensionale del foglio. Esistono cambiamenti ben documentati nel disegno dei bambini in funzione dell'età, specialmente riguardo al modo di disegnare la figura umana e rappresentare la profondità. I primi disegni, tra i 18 e i 30 mesi, sono spesso degli scarabocchi che includono figure geometriche e semplici combinazioni (elementi di base che, combinati, formano i primi simboli grafici). Per alcuni studiosi questi segni non sono rappresentazioni intenzionali. Altri pensano invece che le primissime forme geometriche abbiano un significato simbolico per il bambino. Golomb sostiene che siano all'origine dei significati non convenzionali. Secondo questa teoria, le abilità percettive e motorie della prima infanzia costituiscono i fondamenti per la rappresentazione grafica. Di fatto a 3 anni i bambini danno un significato ai loro scarabocchi (es. “figura girino” combinazione di cerchi e linee rette per la figura umana). La combinazione di forme geometriche ha una funzione simbolica generale nel rappresentare gli oggetti e infatti, bambini ciechi dalla nascita, a cui sia richiesto di disegnare la figura umana, usano combinazioni le stesse combinazioni dei bimbi vedenti. Luquet ha suddiviso il disegno infantile in diversi stadi: a. realismo fortuito (scarabocchi); b. realismo intellettuale (primo periodo simbolico) c. realismo visivo (i bambini cominciano ad affrontare il problema della tridimensionalità). Secondo Piaget e Inhelder, che adottarono la classificazione di Luquet, solo verso i 7-8 anni i bambini sono in grado di coordinare concettualmente diversi punti di vista. A quest'età comprendono la proporzionalità e se ne servono per raffigurare lo spazio in maniera visivamente realistica. Ingram e Butterworth ritengono invece che già all'età di 3 anni i bambini conservano nel disegno alcuni elementi della prospettiva spaziale. Tuttavia questo precoce realismo visivo può essere facilmente soppresso in favore del realismo intellettuale. 9. LO SVILUPPO COGNITIVO IN ETA’ PRESCOLARE Una delle principali questioni della psicologia dello sviluppo è la relazione tra il linguaggio e il pensiero. Secondo la teoria piagetana i cambiamenti del linguaggio dipendono dallo sviluppo cognitivo. Altri teorici, come Vigotskij, ipotizzano invece che “i processi mentali superiori” specifici degli esseri umani siano il risultato dell’integrazione tra linguaggio e pensiero che avviene tra i 2 e i 5 anni. Piaget: riteneva che i bambini apprendono gradualmente il pensiero logico e sistematico durante lo stadio preoperatorio (il compito evolutivo in questo periodi consiste nell’ organizzare il pensiero in un sistema di operazioni mentali). Egli ha inoltre ipotizzato una sorta di continuità tra lo stadio sensomotorio e quello preoperatorio, in quanto le operazioni mentali sviluppate dal bambino in questa fase sarebbero forme interiorizzate di azioni precedentemente sperimentate dal bambino ordinando, sperimentando, combinando e separando le cose nel mondo fisico. Tuttavia il pensiero preoperatorio non è ancora completamente logico (prelogico). Il bambino, ad esempio, non è in grado di invertire la logica di successione dei pensieri (es. bambina che sa di avere un fratello maggiore, ma non che il fratello ha una sorella). La caratteristica principale del pensiero in età prescolare è infatti di affrontare i problemi focalizzandosi su un elemento alla volta. Molto interessanti sono gli studi di Piaget sui problemi di conservazione. Avere il concetto di conservazione significa comprendere che le proprietà di base della materia non vengono modificate da cambiamenti nel loro aspetto esteriore. L'esempio meglio conosciuto è quello sulla conservazione del volume: se si mettono due identiche quantità di acqua in due recipienti uguali A e B, il bambino dirà che la quantità d'acqua è identica in entrambi, ma se si travasa l'acqua di B in un contenitore C di forma diversa, il bambino dirà che la quantità d'acqua è aumentata o diminuita a seconda del livello del liquido. L'assenza di conservazione compare anche negli esperimenti sul numero, in cui il bambino crede che le palline di una fila cambino nel numero in relazione alla loro disposizione spaziale. In questa fase il bambino è stato definito da Piaget “egocentrico” in quanto incapace di differenziare ciò che è soggettivo da ciò che è oggettivo. Il bambino guarda il mondo esclusivamente da suo punto di vista, dal quale è incapace di decentrarsi. Piaget ha ottenuto molti interessanti esempi del pensiero preoperatorio ponendo ai bambini delle domande. Egli riteneva infatti che i bambini nelle loro risposte non riflettono semplicemente la mancanza di conoscenze, bensì assimilano in maniera egocentrica ciò che non comprendono alle conoscenze che già possiedono. Un esempio proviene dai lavori piagetiani sull’animismo, inteso come attribuzione di vita a oggetti inanimati. Secondo Piaget, tale attribuzione è egocentrica perché implica un’incapacità di distinguere tra il mondo psicologico e il mondo fisico. Piaget riteneva inoltre che i bambini nel periodo prescolare non fossero in grado di distinguere correttamente le cose come appaiono da come sono realmente (es. il sogno dalla realtà). Problemi col linguaggio o con i test di Piaget? In che misura le reazioni osservate da Piaget sono condizionate dal modo di porre le domande e dai test assai astratti da lui ideati? Le osservazioni di Piaget potrebbero avere spiegazioni diverse da quelle riportate fin qui. Usando delle versioni semplificate dei suoi test si potrebbero ottenere risultati inaspettati. I critici di Piaget sostengono che la maggior parte delle difficoltà incontrate dal bambino nel ragionamento non derivino dall’incapacità di ragionare logicamente, ma dall’incapacità di comprendere il linguaggio e i compiti presentati dall’adulto. La critica di Margaret Donaldson a Piaget La sua principale argomentazione è che i bambini in età prescolare sono molto più competenti di quanto credesse Piaget, i cui test sono troppo astratti. Donaldson ritiene che i bambini dovrebbero essere esaminati in situazioni per loro comprensibili. Poiché, secondo lei, i bambini in età prescolare, comprendono i sentimenti degli altri, i compiti di tipo sociale che esaminano questa capacità possono dare una valutazione dei processi di pensiero assai diversa da quella ottenuta mediante i test piagetiani. Un esempio è un esperimento sull’egocentrismo proposto da Huges: il bambino di 4 anni deve nascondere un bambolotto alla vista di una o due bambole-poliziotto; il compito è costituito da un modellino di due muri che si intersecano a croce e i bambini devono nascondere il bambolotto in uno dei quadranti. I bambini più piccoli hanno risposto correttamente nel 90% dei casi. Questo smentisce la teoria piagetana in base alla quale i bambini nello stadio preoperatorio non sono in grado di capire che gli altri possono avere punti di vista differenti dal proprio. Tuttavia, la capacità rilevata col compito di Huges può essere parzialmente spiegata sia da una comprensione abbastanza elementare della direzione dello sguardo, sia dalla conoscenza dell'esistenza di oggetti nascosti (abilità proprie dell'età presa in esame). L'abilità non egocentrica di determinare se la prospettiva di un'altra persona è occlusa o no, rilevata da Huges, perciò non implica necessariamente che i bambini siano in grado di immaginare il punto di vista percepito da una particolare posizione. Donaldson potrebbe quindi sbagliare nel sostenere che il suo compito, semplificato per essere più vicino all'esperienza dei bambini, sia equivalente per difficoltà a quelli di piaget. Linguaggio e pensiero: la teoria di Vygotskij Donaldson e altri hanno avanzato solide argomentazioni sulla relazione tra interazione sociale, linguaggio e risposte dei bambini nei compiti piagetiani. Quella principale è che i bambini in età prescolare non sempre conoscono il significato delle parole quando queste sono usate in interviste non inserite in un contesto. La posizione teorica di Donaldson si basa sulla teoria di Vygotskij, secondo il quale uno dei compiti evolutivi in età prescolare è quello di impossessarsi della struttura del linguaggio ed interiorizzarla come base del pensiero verbale. La teoria di Vygotskij sulla relazione tra linguaggio e pensiero Vygotskij e Piaget erano in totale disaccordo sulla relazione tra linguaggio e pensiero. Piaget sosteneva che il linguaggio inizialmente è egocentrico e diviene sociale solo successivamente con lo sviluppo cognitivo. Per lui le prime conversazioni sono più simili a dei monologhi che a dei dialoghi. Ne consegue che il linguaggio la comunicazione dipendono dallo sviluppo del pensiero. Secondo Vygotskij, il linguaggio è comunicativo fin dall'inizio. Egli riteneva inoltre che il linguaggio e il pensiero si sviluppano parallelamente, si influenzano reciprocamente, e assieme producono una forma di pensiero propria dell'uomo denominata linguaggio interiore o pensiero verbale. Egli sosteneva l'esistenza di un processo evolutivo che inizia a livello sociale, nella comunicazione tra adulto e bambino, si trasforma poi in dialogo interiore e diviene infine pensiero verbale. Donaldson descrive un esperimento di McGarrigle, noto come lo studio dell'“orsacchiotto biricchino”, che è una variante del compito di conservazione del numero ideato da Piaget. In questo caso si presentano al bambino due file con lo stesso numero di palline e poi un orsacchiotto, manovrato dallo sperimentatore, allunga una delle due file. La maggior parte dei bambini tra i 4 e i 6 anni rispondono correttamente che il num di palline non è cambiato. Gli stessi bambini, tuttavia, non sono capaci di conservare se sono esaminati col classico test di Piaget. Light, ritenendo che i bambini possano dare risposte corrette sulla base di motivazioni errate, ha condotto alcuni esperimenti per verificare se essi comprendano realmente il significato della conservazione. Il comportamento dell'adulto può infatti influenzare il ragionamento del bambino portandolo di volta in volta a pensare che la lunghezza della fila sia rilevante o meno per il numero. Se l'adulto riorganizza di proposito la disposizione delle palline e pone domande sul numero, il bambino può pensare che il cambiamento nella lunghezza sia collegato a ciò che l'adulto intende per “numero”. Quando, viceversa, la trasformazione sembra accidentale, il bambino non la mette in relazione col numero. Light sostiene quindi che il bambino scopre il significato di “numero” mediante l'interazione sociale durante l'intervista. Queste dimostrazioni suggeriscono che la difficoltà dei bambini in età prescolare nei compiti di conservazione dipende, almeno in parte, dalla difficoltà di comprendere il significato delle domande. Verso gli 8-9 anni questa difficoltà scompare. Sembra quindi che vi sia un reale stadio di transizione dal periodo prescolare a quello scolare. Resta però da appurare se dipenda dall'acquisizione di operazioni logiche coordinate nel pensiero o rifletta gli inizi del ragionamento verbale. La capacità di distinguere tra apparenza e realtà Piaget sosteneva che il bambino in età prescolare ha difficoltà nel distinguere le cose come appaiono da come sono realmente. Nonostante i successivi studi sulla percezione abbiano smentito alcune delle sue ipotesi, resta aperta la questione se i bambini comprendono che la percezione può essere fuorviante o se invece considerano reale tutto ciò che percepiscono. Flavell e i suoi colleghi hanno condotto uno studio in cui si mostrava ai bambini un pezzo di spugna accuratamente dipinto come un sasso. I bambini potevano stringerlo e scoprire che in realtà era spugnoso. Poi venivano poste loro due domande: 1. domanda di realtà: “che cos'è questo realmente?un sasso o una spugna? 2. Domanda di apparenza: “quando guardi questo oggetto, ti sembra un sasso o un pezzo di spugna? La maggior parte dei bambini di 3 anni rispondeva che l'oggetto era realmente una spugna e che sembrava una spugna. La maggior parte dei bambini di 4 anni rispondeva che l'oggetto era una spugna, ma sembrava un sasso. Perner ha ipotizzato che il realismo dei bambini di 3 anni li porti a comprendere la domanda in questi termini: “quando guardi quest'oggetto, stai guardando un sasso o una spugna?”. E naturalmente essi rispondono: “un pezzo di spugna”. A 4 anni, invece, i bambini cominciano ad acquisire la nozione di travisamento e possono comprendere che la spugna può apparire come se fosse un sasso. Questo esempio, che mette in evidenza i limiti dello stadio preoperatorio, è soggetto in realtà alle stesse critiche mosse ai test di Piaget: l'adulto, nel tentativo di valutare le competenze del bambino, può indurlo in errore e sottovalutarne le capacità.