FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO4-1

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FONDAMENTI DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
1. LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
La psicologia dello sviluppo studia scientificamente i cambiamenti che si verificano nel
comportamento e nelle funzioni psicologiche in funzione del tempo. Benché oggetto di
questa disciplina sia l’intero arco della vita, la maggior parte degli studi si concentrano
sull’infanzia.
Questa disciplina implica due diversi approcci: da un lato fa riferimento alla biologia della
crescita e dell’evoluzione, dall’altro si occupa delle modalità con cui le diverse culture
influenzano i cambiamenti evolutivi. Lo sviluppo è un processo sia di crescita biologica che
di acquisizione culturale.
Lo sviluppo cognitivo riguarda le acquisizioni e le trasformazioni nel pensiero e nel
linguaggio.
Lo sviluppo sociale invece si occupa dell’integrazione del bambino nel mondo sociale e
delle modalità di acquisizione dei valori della famiglia e della società.
Lo studio dello sviluppo umano è un fenomeno relativamente recente, generato dai
mutamenti sociali ed economici verificatisi negli ultimi due secoli (vd. Introduzione
dell’istruzione elementare obbligatoria).
Per comprendere la psicologia dello sviluppo contemporanea bisogna tener conto delle
sue origini. Solo nell’ultimo secolo le descrizioni aneddotiche hanno lasciato il posto a uno
studio sistematico. Locke, ad esempio riteneva che il bambino nascesse come una tabula
rasa e che ogni sua caratteristica fosse poi plasmata dall’esperienza. Questa visione
ambientalista negava il contributo dei fattori innati allo sviluppo psicologico. In contrasto
con Locke, Rousseau era orientato per una teoria “naturale” dello sviluppo umano e
sosteneva che i bambini sono per natura buoni e crescono secondo il disegno di natura.
La psicologia dello sviluppo diventa disciplina scientifica dal momento in cui le teorie
vengono sottoposte a verifica sperimentale. Questo passaggio avviene nel diciannovesimo
secolo con la teoria dell’evoluzione di Darwin.
Darwin può essere considerato il primo psicologo dello sviluppo poiché nel 1877 pubblicò
un breve articolo in cui descriveva lo sviluppo del figlio. Molti concetti fondamentali dello
sviluppo possono essere ricondotti alle teorie darwiniane. Darwin fu inoltre il primo ad
introdurre metodi sistematici nello studio dello sviluppo, gettando le prime basi scientifiche
della disciplina. Un altro effetto della rivoluzione darwiniana fu quello di sollevare domande
sull’origine della mente umana e sulla relazione tra sviluppo individuale (ontogenesi) ed
evoluzione della specie (filogenesi). I primi studi embriologici portarono alla teoria che
“l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”, secondo la quale l’embrione prima di raggiungere la
finale forma umana assumeva in successione la forma di diversi progenitori primitivi.
Questa teoria è ormai superata, tuttavia, i precisi mutamenti nella forma biologica,
assimilabili a stadi distinti , hanno condotto all’idea che altri aspetti della crescita
biologica, quali lo sviluppo cognitivo e sociale, possano essere organizzati in stadi distinti
legati all’età.
La nascita della psicologia dello sviluppo come disciplina autonoma è ricondotta alla
pubblicazione nel 1882 di “La mente del bambino” del fisiologo tedesco Wilhelm Preyer.
Tra i pionieri della disciplina va citato Alfred Binet, noto soprattutto per aver ideato il primo
test d’intelligenza (scala Binet e Simon). Binet costruì inoltre dei test basati su norme di
rendimento in relazione all’età, da cui si giunse al concetto di età mentale distinta dall’età
cronologica. Tra i fondatori della disciplina vi è inoltre James Mark Baldwin, secondo il
quale lo sviluppo procede secondo stadi distinti, che comincia alla nascita con i riflessi
motori innati e progredisce con l’acquisizione del linguaggio e del pensiero logico. Egli
sosteneva anche che il passaggio attraverso questi stadi dipende dalle risposte di un
ambiente stimolante (assimilazione-accomodamento).
La formazione delle principali scuole
Tra il 1914 e il 1927 furono posti i fondamenti empirici della psicologia dello sviluppo. In
questo periodo nacque un forte interesse per le teorie dell’apprendimento di Ivan Pavlov
(alcune forme di apprendimento si realizzano tramite l’associazione di stimoli e risposte e
l’uso di ricompense e punizioni), che portò alla costituzione di una scuola di psicologia, il
Comportamentismo, il cui maggior esponente fu John Watson. Egli affermava la
prevalenza della “cultura” sulla “natura e riteneva che il bambino fosse estremamente
malleabile e sensibile alle influenze ambientali.
Diametralmente opposta la teoria maturativa di Arnold Gesell che riteneva che i processi
di crescita biologica, determinati dal tempo, fossero particolarmente importanti per la
comparsa delle varie abilità. Egli si interessò soprattutto dello sviluppo percettivo e
motorio, ritenendo che, in condizioni normali, fossero automatici (prevale la “natura”).
La fase intermedia nella fondazione della psicologia dello sviluppo portò alla
contrapposizione tra una visione basata su un ambientalismo estremo e una concezione
maturativi altrettanto estrema (visioni così antitetiche determinarono modi molto differenti
di crescere ed educare i bambini).
2. LA SINTESI MODERNA
Sino a tempi relativamente recenti, la psicologia dello sviluppo è stata dominata da teorie
generali, che rispetto alle radicali posizioni ambientaliste e innatiste, hanno cercato di
mettere in relazione “natura” e “cultura” tenendo conto anche della teoria darwiniana. Gli
psicologi dello sviluppo che hanno dominato il ventesimo secolo sono: Jean Piaget, Lev
Vygotskij e John Bowlby. Benché tutti e tre siano stati influenzati dalle teorie biologiche ed
evoluzionistiche, ognuno ha affrontato il processo dello sviluppo da un punto di vista
particolare. Piaget cercò di dimostrare come nel bambino il pensiero logico si sviluppi a
partire dalle sue radici biologiche. Vygotskij analizzò il ruolo specifico del linguaggio nella
società umana e nel pensiero sociale. Bowlby studiò il ruolo delle relazioni sociali tra
genitore e bambino nella formazione della personalità e del benessere mentale.
Jean Piaget
Le idee di Piaget si basavano sulle teorie di Baldwin (sviluppo per stadi).
Egli sviluppò una teoria sull’acquisizione della conoscenza in cui concepiva lo sviluppo
dell'intelligenza come una graduale evoluzione organizzata in stadi e sottolineò la
relazione tra l'acquisizione della conoscenza, in quanto processo biologico, e l'evoluzione.
Secondo la teoria di Piaget la conoscenza umana può essere considerata come un
“organo” biologico della mente e l'acquisizione della conoscenza può essere ritenuta un
processo evolutivo nel senso che la conoscenza è adattamento e si costruisce tramite
l'interazione tra l'individuo e l'ambiente. Il modello di sviluppo di Piaget è quindi concepito
come un'interazione autoregolante tra il bambino e l'ambiente fisico e sociale tramite la
quale si producono nuove forme di conoscenza che si adattano meglio all'ambiente.
Egli descrisse 4 principali stadi dello sviluppo dell'intelligenza: 1. sensomotorio – dalla
nascita a ca. 2 anni – in questa fase il bambino conosce il mondo mediante le attività
fisiche che può compiere, questo stadio termina con l'acquisizione del pensiero e del
linguaggio; 2. preoperatorio – da 2 a 7 anni ca. - in età prescolare il bambino non ha
ancora acquisito pienamente il pensiero logico; 3. operatorio concreto – da 7a 12 anni ca.
- il bambino è in grado di riflettere logicamente su problemi concreti riferiti al “qui e ora”; 4.
operatorio formale – questa forma di pensiero è acquisita di solito nelle società occidentali
dagli adolescenti che riflettono su problemi astratti e ipotetici.
Piaget riteneva che i primi 3 stadi fossero universali e che il 4° fosse caratteristico delle
società più evolute e che, benchè le età associate a ciascuno stadio potessero variare,
l'ordine di successione fosse universale.
Lev Semeonovich Vygotskij
Mentre Piaget cercò di spiegare lo sviluppo dell'intelligenza e del ragionamento negli
esseri umani a partire dalle loro radici biologiche. Vygotskji cercò di spiegare come la
cultura influenza il corso dello sviluppo. In accordo con la filosofia marxista, era interessato
soprattutto a individuare gli aspetti storici e sociali del comportamento che rendono unica
la natura umana. Di conseguenza, egli sottolineava l'importanza dell'interazione sociale
per l'acquisizione del linguaggio e lo sviluppo del pensiero che riteneva strettamente
interrelati. Le idee di Vygotskij avevano le loro radici nella psicologia occidentale e per
alcuni versi il suo retaggio culturale era simile a quello di Piaget. Tuttavia, egli sviluppò le
sue idee nel periodo della rivoluzione russa durante il quale si dava molta importanza al
modo in cui l'organizzazione sociale incanala le potenzialità umane. Non sorprende quindi
che sottolineasse il ruolo della cultura e dell'organizzazione sociale nello sviluppo del
bambino. Queste idee appaiono chiaramente nella sua teoria della zona di sviluppo
prossimale (ZSP), attraverso la quale sottolinea la differenza tra ciò che può essere risolto
dal bambino senza aiuto e ciò che può essere risolto con l'aiuto dell'adulto o dei coetanei.
La conclusione a cui arriva Vygotskij è che il bambino sviluppa la conoscenza tramite
l'esperienza degli adulti che lo guidano a soluzioni sempre più sofisticate.
In questo modo, quando gli adulti spiegano qualcosa di complesso al bambino, dotato
inizialmente di un pensiero preverbale, gli aprono la strada verso i processi cognitivi basati
sul linguaggio. Le relazioni sociali forniscono al bambino sia il primo contatto coi processi
cognitivi basati sul linguaggio sia il contesto mediante il quale il bambino può apprendere a
interiorizzare quei medesimi processi che, con il successivo sviluppo opereranno
autonomamente come pensiero verbale. Questa modalità di sviluppo in cui i processi
cognitivi, inizialmente esterni (sociali), vengono interiorizzati fu definita da Vygotskij “legge
genetica generale dello sviluppo culturale”.
Anche il gioco è connesso con la ZSP. Può implicare, infatti, l'uso di manufatti forniti dalla
cultura e comportare la rappresentazione di ruoli socialmente definiti (madre, padre,
dottore, ecc.).
Bowlby: la teoria dell'attaccamento
L'interesse primario di Bowlby si rivolse allo sviluppo emotivo. Un'idea fondamentale della
sua teoria è che l'attaccamento emotivo alla madre da al bambino sicurezza e senso di
protezione, permettendogli di allontanarsi temporaneamente per esplorare il mondo
circostante. Bowlby fu molto influenzato da Harlow, il quale mise alla prova
sperimentalmente la teoria psicoanalitica dell' “amore interessato”, in base alla quale
imparano ad amare la madre perchè ne soddisfa i bisogni fondamentali (le pulsioni
primarie di Freud), e dimostrò che la madre fornisce anche calore e conforto (esperimento
con le scimmie rhesus). Secondo Harlow, l'amore della madre per il figlio e,
reciprocamente, l'attaccamento alla madre da parte del piccolo, permettono a quest'ultimo
di acquisire un senso si fiducia che lo prepara alle relazioni sociali tra pari (coetanei).
Queste relazioni emotive, a loro volta, costituiscono le basi per costruire successivamente
delle relazioni eterosessuali ed esercitare un'adeguata capacità parentale.
Bowlby applicò alcune idee di Harlow allo sviluppo umano e sostenne che il primo legame
di attaccamento nei bambini è analogo a quello delle scimmie rhesus, ma è basato su
comportamenti specie-specifici (pianto e sorriso). Successivamente, quando, il bambino
diviene più autonomo, la qualità del suo attaccamento al genitore è un fattore importante
per la regolazione del desiderio di esplorazione. Una relazione di attaccamento sicura
porta il bambino verso percorsi di sviluppo psicologicamente sani, mentre modelli di
attaccamento insicuri contribuiscono alla formazione di una personalità nevrotica. Una
prima applicazione delle idee di Bowlby si ebbe nei cambiamenti effettuati
nell'ospedalizzazione dei bambini, a partire dagli anni '50 fu permesso alle madri di
rimanere in ospedale accanto ai figli.
Teorie stadiali e transizioni nello sviluppo
E' tuttora dibattuto se il corso dello sviluppo possa essere considerato un processo di
cambiamento continuo o se presenti delle discontinuità (stadi).
Il concetto di stadio definisce i cambiamenti che si verificano nelle caratteristiche del
comportamento e delle attività psicologiche individuali in funzione del tempo.
Flavell ha indicato i seguenti criteri per definire il concetto di stadio di sviluppo:
a. gli stadi sono contraddistinti da cambiamenti qualitativi (fare qualcosa in modo diverso);
b. la transizione da uno stadio all'altro è contrassegnata da contemporanei cambiamenti in
numerosi aspetti del comportamento e delle attività psicologiche del bambino;
c. le transizioni tra stadi sono tipicamente rapide.
Oggi vi è un discreto accordo sul fatto che lo sviluppo umano comprende un insieme di
cambiamenti continui e discontinui.
Metodi di studio nella psicologia dello sviluppo
Lo sviluppo è un processo che ha luogo nel tempo ed è influenzato da diversi fattori.
Poiché non è possibile studiare contemporaneamente gli effetti di tutti questi fattori, è stato
necessario progettare metodi di ricerca che permettano di controllare le fonti di errore
nell'osservazione. I metodi di osservazione comprendono semplici resoconti diaristici,
osservazioni compiute in ambienti naturali e studi in laboratorio sul comportamento
spontaneo. Il metodo più formale consiste invece nel condurre esperimenti sistematici.
Al fine di osservare il processo di sviluppo, è necessario operare confronti tra persone di
diverse età. La ricerca evolutiva è inoltre vincolata dal tempo. Nei periodi in cui i
cambiamenti si verificano rapidamente, come la prima infanzia, si possono condurre studi
longitudinali, studiando lo stesso bambino in momenti successivi. Quando invece si è
interessati ad aspetti che si manifestano nello sviluppo a lungo termine, si devono
condurre studi trasversali, nei quali si mettono a confronto gruppi di bambini di diverse età.
Una combinazione di disegni trasversali e longitudinali, abbinata all'uso di metodi di
osservativi, clinici e sperimentali, è caratteristica dei migliori lavori recenti.
3. LO SVILUPPO PRENATALE
Negli ultimi 10 anni, grazie alla disponibilità di tecniche sofisticate, sono stati condotti
affascinanti studi sullo sviluppo prenatale.
La gestazione nell'essere umano dura ca 40 settimane e il periodo prenatale è stato diviso
in 3 stadi:
1. lo stadio germinale (dal concepimento a 2 settimane) - l'uovo fecondato si divide
per mitosi in più cellule uguali, questo stadio termina quando l'uovo si annida nelle
pareti dell'utero e le cellule cominciano a differenziarsi;
2. lo stadio embrionale (da 2 a 8 settimane) – l'embrione comincia a prendere forma e,
man mano che le cellule si differenziano, i diversi organi assumono funzioni
specializzate. L'ambiente intrauterino materno sono due sistemi in continua
interazione e, soprattutto in questa fase, si trovano in un equilibrio molto delicato
(vedi tragedia del talidomide);
3. lo stadio fetale (da 8 a 40 settimane) – questa fase principale periodo di sviluppo
del sistema nervoso, inoltre il feto assume rapidamente caratteristiche umane;
un bambino nato a termine e senza complicazioni, pesa mediamente 3,2 kg e misura 50
cm. La testa, che ha avuto una crescita più rapida in utero, è sproporzionata rispetto al
resto del corpo, ma, nello sviluppo successivo, le proporzioni del corpo cambiano dal
momento che mani e piedi,spalle, tronco, braccia e gambe hanno differenti accelerazioni
di crescita.
Alcuni recenti studi biologici e neurologici hanno dimostrato che il feto è costantemente
attivo. Una tesi recentemente avanzata è che la continua attività del feto possa influenzare
il processo di crescita e generare i comportamenti innati che si osservano nel neonato.
Il biologo dello sviluppo Hofer ha ipotizzato l'esistenza di importanti fenomeni
comportamentali già dal momento della fecondazione (numerosi sono i fattori che
esercitano un effetto di selezione sullo spermatozoo che arriva a fecondare l'uovo).
I primi movimenti dell'embrione sono i battiti cardiaci, che si verificano ancora prima che il
cuore sia innervato grazie alla reazione biochimica del tessuto muscolare immerso in una
soluzione salina. Anche nel suo più elementare stadio di sviluppo l'organismo vive in
condizioni dinamiche di scambio energetico con l'ambiente circostante e queste condizioni
produrranno in seguito trasformazioni nel suo stesso funzionamento (quando il cuore
comincia a battere inizia a formarsi anche i sistema nervoso).
L'avvento negli anni '70 dell'ecografia in tempo reale ha fornito un metodo sicuro per
visualizzare l'attività fetale in utero. Mediante questa tecnica sono stati evidenziati
numerosi schemi di movimento, molti dei quali appaiono simili ai comportamenti osservati
nella vita postnatale. De Vries, Visser e Prechtl hanno descritto 15 diversi schemi di
movimento nel feto di 15 settimane (movimenti respiratori, di allungamento e di rotazione).
A ca 17-18 settimane l'attività fetale presenta un calo e riprende alla 24esima sett. Si è
avanzata l'ipotesi che questo calo coincida con la formazione delle regioni superiori del
cervello che moduleranno i comportamenti fino ad ora controllati dai centri sottocorticali.
Dopo la 24esima settimana si osserva infatti un controllo più preciso dei movimenti.
L'attività fetale riprende in uno spazio sempre più ristretto ed è ora regolata da cicli di
sonno e veglia. A 30 settimane si può osservare nel feto anche il sonno REM.
Alla 28esima sett si possono osservare il riflesso tonico del collo (posizione dello
spadaccino) e il riflesso di prensione.
Gli schemi di movimento del feto hanno la molteplici funzioni: esercita il sistema che si
sviluppa, gli fornisce un feedback (sindrome alcolica fetale), fornisce un elevato numero di
stimoli agli organi di senso, inoltre i movimenti di nuoto e rotazione impediscono l'adesione
alle pareti dell'utero.
È evidente quindi come lo sviluppo sia influenzato dal comportamento fetale e non
dipenda semplicemente da una maturazione automatica, né sia costituito da pure azioni
riflesse.
Restano da capire le relazioni tra gli schemi di movimento prenatali e il comportamento
postnatale. Uno degli schemi di movimento esaminato per evidenziare la continuità tra vita
pre e postnatale è il movimento del “nuoto” presente nel feto alla 10 settimana. Gli studiosi
hanno cercato di stabilire se fosse connesso ai successivi schemi della locomozione
carponi e del camminare. I bambini appena nati presentano infatti il riflesso di stepping o
marcia automatica. Tali schemi motori sono stati considerati di norma destinati a
scomparire con la maturazione del bambino. A questo proposito sono state avanzate
diverse ipotesi. Si è pensato che lo sviluppo della corteccia cerebrale provochi l'inibizione
di questi movimenti. Un'altra teoria è che le gambe diventino troppo pesanti a causa del
rapido deposito di tessuto adiposo che si verifica dopo la nascita.
Di fatto tale movimento riemerge quando il bambino è messo in acqua ed il peso delle
gambe è ridotto.
Thelen ha sostenuto che la scomparsa del riflesso di marcia è un'illusione e che vi è
invece una relazione tra questo riflesso, la successiva andatura carponi e il camminare. La
studiosa ha avanzato l'ipotesi che lo schema dei movimenti del camminare sia innato, ma
che la deambulazione eretta diventi possibile solo una volta che il bambino abbia acquisito
una forza sufficiente a sorreggere il proprio peso.
Alcuni teorici hanno invece sostenuto che i bambini cominciano a camminare verso la fine
del primo anno di vita quando sono in grado di utilizzare il sistema motorio come mezzo
per raggiungere un fine (esplorazione).
Si può allora affermare che il comportamento del camminare dipende dalla combinazione
di uno schema motorio innato e i processi cognitivi che si sviluppano successivamente.
Le capacità percettive del neonato
Visione
Le capacità visive neonatali, sebbene limitate, sono sufficienti per soddisfare i bisogni del
bambino. Alla nascita il cristallino dell'occhio non è ancora pienamente funzionale. Di
conseguenza la distanza focale è fissa e il bambino vede chiaramente solo gli oggetti a
una distanza di ca 21 cm. Dopo i 3 mesi il cristallino è invece in grado di regolare il fuoco
su distanze differenti. La distanza fissa di 21 cm coincide con la distanza media del volto
della madre durante l'allattamento! Gli oggetti sociali importanti, quindi, possono essere
visti fin dalla nascita.
E' stato inoltre dimostrato che i bambini a meno di 4 mesi, molto prima dell'inizio del
linguaggio o di qualunque altro insegnamento, vedono i colori principali come gli adulti,
indipendentemente dalla cultura d'appartenenza. Ciò indica l'esistenza di categorie
cromatiche universali e quindi di strutture disponibili a livello percettivo che possono avere
un ruolo fondamentale nei processi di sviluppo cognitivo.
Il controllo dei movimenti oculari
i movimenti oculari del neonato sono molto simili a quelli dell'adulto. Gli spostamenti
successivi della fissazione visiva da un oggetto all'altro (movimenti saccadici) diventano
fluidi e continui verso i due mesi. Poiché il bambino muove gli occhi sia in utero che
nell'oscurità, se ne deduce che lo schema di scansione è generato internamente e non
costituisce una reazione a uno stimolo. Il neonato nasce già preparato ad esplorare
l'ambiente.
I neonati sono particolarmente propensi ad individuare i margini esterni degli oggetti.
Tuttavia, se un oggetto presenta un movimento interno, essi spostano il loro sguardo
dentro l'oggetto. Pertanto, fin dall'inizio i bambini non guardano a caso, ma ricercano le
caratteristiche salienti degli oggetti.
Recenti ricerche hanno inoltre dimostrato che i neonati sono in grado di programmare i
movimenti oculari verso uno stimolo e che, quindi, il sistema oculo-motorio e quello
attenzionale sono coordinati già alla nascita.
Udito
Il sistema uditivo comincia a funzionare ben prima della nascita, anche se la conduzione
delle vibrazioni è diversa rispetto a quella postnatale. La voce della madre, trasmessa
verso il basso tramite il diaframma, è lo stimolo sonoro meglio udito dal feto.
Un recente studio ha dimostrato che i neonati sono in grado di distinguere la voce della
madre da quella di un'altra donna (tecnica della suzione non nutritiva).
De Casper e Spence hanno inoltre dimostrato che il neonato è sensibile alle caratteristiche
ritmiche del linguaggio ripetutamente udito nel periodo prenatale.
I neonati preferiscono inoltre le voci femminili e il linguaggio diretto ai bambini piuttosto
che quello diretto agli adulti.
I risultati di questi studi confermano l'ipotesi che il feto e il neonato siano predisposti a
elaborare le caratteristiche ritmiche degli stimoli linguistici e che questa predisposizione
costituisca un elemento di continuità tra la percezione prenatale e quella postnatale.
4. LO SVILUPPO PERCETTIVO NELLA PRIMA INFANZIA
Per molto tempo si è ritenuto che il neonato fosse un organismo dotato solo di riflessi,
immaturo a livello motorio e capace di sentire e vedere ben poco. I recenti studi di
psicologia dello sviluppo hanno invece messo in evidenza che le caratteristiche percettive
del bambino piccolo sono molto più sviluppate di quanto non si fosse ipotizzato.
Per quanto riguarda le prime percezioni visive, dal momento che l'occhio non può vedere
tridimensionalmente, i filosofi hanno a lungo ipotizzato che nei primi mesi di vita “il tatto
guidi la visione”, che i bambini imparino a vedere mettendo in relazione quello che toccano
con quello che vedono. Per poter smentire questo assunto non basta accertare che la
percezione funziona già prima della nascita, bisogna anche dimostrare che i sistemi
sensoriali sono già connessi fra loro.
Piaget riteneva che la percezione della forma e della dimensione si sviluppa durante i
primi 6 mesi di vita e che i sensi, inizialmente separati, si coordinano attraverso le azioni
del bimbo. In particolare riteneva che lo sviluppo del concetto di permanenza dell'oggetto
avviene in sei stadi durante i quali la graduale conoscenza dell'oggetto struttura la
percezione del bambino.
Gibson sosteneva invece che la percezione è un processo attivo di ricerca
dell'informazione dove tutti i sensi hanno uguale importanza. Secondo Gibson i diversi
sensi, pur essendo colpiti dall'energia esterna in maniera differente, sono in grado di dare
informazioni equivalenti. Egli riteneva che lo spazio visivo si verifica perchè lo spazio
terrestre è riempito con superfici strutturate e dotate di tessitura. Queste superfici
colpiscono gli occhi in maniera diversa, permettendoci di rilevare forma, colore e distanza
degli oggetti. Secondo la teoria di Gibson, i sistemi percettivi si sono evoluti in modo da
mettere l'essere umano, sin dall'inizio, in contatto diretto con il mondo reale e, di
conseguenza, il bambino è in grado di percepire visivamente il mondo ancora prima di
poter agire su di esso. Questo implicherebbe la possibilità che i bambini siano in grado di
mettere in relazione le diverse informazioni ottenute dai sistemi percettivi e di apprendere
mediante i sistemi distali prima ancora di avere un controllo preciso sull'azione.
Metodi di studio della percezione nei bambini piccoli
I bambini mostrano delle preferenze visive spontanee di fronte agli oggetti già dai primi
giorni di vita. Attraverso il metodo della preferenza visiva (basato sui tempi di fissazione)
sono stati condotti diversi esperimenti. Si è accertato, ad esempio, che, tra stimoli
bidimensionali complessi e semplici, questi ultimi risultano preferiti. Oppure, che quando
una maschera simile a un volto viene messa a confronto con uno stimolo concentrico, lo
stimolo volto è preferito. Un'altra tecnica utilizzata per valutare la capacità di
discriminazione dei bambini piccoli è il metodo dell'abituazione (uno stimolo viene
presentato ripetutamente, finchè le reazioni del bambino dimostrano una diminuzione di
interesse, a questo punto viene mostrato uno stimolo nuovo e livello di interesse mostra
la capacità del bambino di discriminarlo dal precedente).
Percezione intermodale: visione e tatto
Le nuove tecniche per esaminare la percezione degli oggetti nella prima infanzia hanno
dimostrato che in effetti i bambini piccoli percepiscono gli oggetti molto prima di quanto si
fosse ipotizzato qualche decennio fa. Ciò che è in discussione ora è se essi abbiano
bisogno di imparare come percepire o se invece siano già preparati a usare la percezione.
Mentre Piaget aveva supposto che, per poter percepire gli oggetti come enti solidi costituiti
di materia, i bambini dovessero prima imparare a coordinare il tatto con la visione e quindi
essere in grado di raggiungere e afferrare gli oggetti (verso i 5 mesi). Bower ha dimostrato
che la costanza della dimensione e della forma è percepita già a 3 mesi, mentre Slater e
Morrison l'hanno rilevata addirittura nei neonati (esperim. in cui i bambini dimostrano di
riconoscere la differenza tra un quadrato e un trapezio). Queste ricerche dimostrano che il
bambino è in grado di conoscere la realtà tramite i sistemi sensoriali distali. In effetti, è
stato rilevato che bambini privi di braccia e gambe hanno uno sviluppo intellettivo normale.
Un'altra evidenza contraria alla teoria di Piaget del “tatto che guida la visione” è data da
una ricerca di Bower, Broughton e Moore i quali hanno osservato che, muovendo
rapidamente degli oggetti verso il volto di bambini tra i 6 e i 21 giorni, questi si
scansavano. In una successiva ricerca, Bower ha dimostrato che i bambini percepiscono
come solido un oggetto virtuale (i bambini apparivano sorpresi quando provando a colpire
l'oggetto lo attraversavano).
Questi studi furono i primi a dimostrare che i bambini possono percepire la solidità di un
oggetto prima di averne avuto esperienza tattile.
Successivamente si è dimostrato che i bambini sono in grado di ottenere informazioni su
un oggetto anche usando solamente il tatto.
Meltzoff e Borton hanno condotto un esperimento in cui veniva messo in bocca a bambini
di 29 giorni un succhiotto che poteva essere liscio o pieno di protuberanze senza che
potessero vederlo. Successivamente venivano mostrati loro modelli su scala dei due
succhiotti e i bambini preferivano guardare quello che avevano esplorato a livello orale.
Questo dimostra che l'esplorazione orale permette al bambino di ottenere informazioni
sulle caratteristiche fisiche degli oggetti e, soprattutto, che l'esplorazione tattile orale è
collegata alla vista già a un mese (i bambini sono in grado di riconoscere l'equivalenza
dell'informazione estratta mediante diverse modalità sensoriali).
Recentemente Baillargeon ha esaminato in maniera sistematica la percezione infantile
degli oggetti fisici. Utilizzando il metodo dell'abituazione, egli ha dimostrato che i
cambiamenti nella fissazione visiva dei bambini rivelano se l'evento è percepito come
possibile o impossibile. Gli esperimenti di Bower hanno rilevato che il bambino percepisce
in maniera appropriata l'occlusione e le possibili interazioni tra gli oggetti e considera
insolito il caso in cui lo sperimentatore presenta eventi visivi che violano le leggi fisiche
fondamentali.
Percezione intermodale: visione e udito
Wertheimer fu tra i primi a domandarsi se vi siano relazioni innate tra i sistemi sensoriali.
Egli esaminò la figlia dopo soli 8 minuti dalla nascita. Le presentò dei deboli rumori di
schiocco delle dita a destra e a sinistra del capo, in ordine casuale, e osservò che nella
maggior parte delle prove la bambina si era girata in direzione del suono. Wertheimer ne
dedusse che esiste una coordinazione innata tra visione e udito tale che, quando il
bambino sente un suono, orienta gli occhi per trovare l'oggetto visivo da cui ha origine.
Studi successivi hanno poi dimostrato che i neonati guardano verso una distinta
caratteristica visiva dell'ambiente alla ricerca della fonte sonora anche quando il suono
proviene da un'altra posizione che però non è segnalata visivamente (vd. effetto sonoro al
cinema). Ciò suggerisce che la visione assiste l'udito nella ricerca della fonte sonora e che
questi due sistemi sensoriali interagiscono nella localizzazione del suono fin dalla nascita.
Tuttavia, le coordinazioni tra il sistema uditivo e quello visivo, non sono fisse, ma si
sviluppano in maniera complessa nei primi 5 mesi. È stato dimostrato che l'attivazione dei
movimenti oculari in direzione di una fonte sonora è presente dalla nascita fino ai 2 mesi,
si realizza difficilmente fino ai 5 mesi e poi ricompare. Questo tipo di andamento, detto
funzione a forma di “U”, si osservano frequentemente nei primi periodi dello sviluppo. Lo
sviluppo, quindi, non consiste semplicemente in un incremento lineare delle capacità,
bensì implica la riorganizzazione dei diversi sistemi sensoriali in seguito alla quale si
manifestano capacità qualitativamente nuove.
Bushnell, Sai e Mullin hanno condotto esperimenti per verificare la presenza nei neonati di
una precoce preferenza del viso materno. Gli esperimenti, condotti su bambini di 5 giorni,
hanno evidenziato che i neonati sono in grado di discriminare il volto materno da quello di
un estranea con caratteristiche simili. Tuttavia, se le due donne indossano parrucche
identiche, la preferenza per il volto materno scompare. Ciò suggerisce che il profilo dei
capelli può essere un segno distintivo per il riconoscimento della madre nei primi giorni di
vita. Secondo questi studi, la familiarità prenatale con la voce materna, unita alla tendenza
innata a guardare nella direzione da cui proviene il suono, è sufficiente al bambino per
apprendere rapidamente i caratteri distintivi dell'aspetto della madre.
È stato inoltre dimostrato che già a 3 mesi i bambini sono in grado di collegare il suono
della voce materna e paterna rispettivamente all'aspetto visivo della mamma e del papà.
Quindi già a quell'età è possibile ricordare gli aspetti correlati dell'informazione uditiva e
visiva caratteristici di ciascun genitore.
Meltzoff e Moore hanno poi dimostrato che la percezione dei movimenti può facilitarne la
riproduzione (es. i neonati imitano la protrusione della lingua). La capacità di riproduzione
è però attiva solo quando i neonato percepiscono la dinamica del movimento (non se gli si
presenta un modello statico). Anche per l'imitazione è stata riscontrata una funzione di
sviluppo a “U” (l'imitazione dei movimenti della lingua per es. scompaiono dopo a ca 3
mesi per riapparire intorno ai 12).
La percezione del linguaggio
Le competenze percettive nella prima infanzia sono fondamentali per l'acquisizione del
linguaggio. I bambini imparano a comunicare attraverso il linguaggio in pochi mesi e
naturalmente la percezione audiovisiva ha un ruolo di primo piano. Spelke e Cortelyou
hanno individuato 3 aspetti della coordinazione audiovisiva che possono contribuire a tale
rapida acquisizione:
1. bambini piccoli sono in grado di individuare la posizione di una persona ascoltandone
la voce (coordinazione spaziale innata tra visione e udito);
2. a 4 mesi i bambini percepiscono la sincronia tra i movimenti del volto e e gli stimoli
linguistici uditi (quando vedono una persona che parla sono in grado di determinare se
è la fonte degli stimoli uditi)
3. a 4 mesi i bambini cominciano ad avere aspettative sulla corrispondenza tra volti e voci
(almeno per quanto riguarda i genitori)
I bambini piccoli sembrano avere una buona predisposizione ad imparare il linguaggio
avendo una capacità innata, o che si sviluppa molto rapidamente, di discriminare i suoni
linguistici (fonemi). Sembra inoltre che nell'infanzia vi sia un periodo critico per fissare i
fonemi specifici della lingua madre, trascorso il quale diventa molto difficile imparare dei
fonemi che presentano delle distinzioni incompatibili con quelle presenti nella lingua madre
(vd. Difficoltà degli orientali a distinguere “r” da “l”). Se, invece, i bambini crescono in
famiglie multilingue, apprendono senza difficoltà i fonemi di due o più lingue diverse.
Inizialmente l'abilità di discriminare i fonemi non è limitata alla lingua madre, ma l'idioma a
cui sono esposti presto (già verso gli 8 mesi) inizia ad influenzare la capacità di percezione
linguistica dei neonati.
Un' ipotesi recente è che la percezione delle unità linguistiche (frasi, parole, sillabe) inizi
grazie alla predisposizione neonatale ad elaborare gli indici ritmici del linguaggio che
segnano percettivamente queste distinzioni. La percezione del linguaggio si
specializzerebbe poi, durante il primo anno di vita, in funzione delle strutture ritmiche
ricorrenti nella lingua madre. A partire dai 6 mesi i bambini si rappresentano le categorie
delle vocali e la struttura ritmica della lingua madre. Tra i 6 e i 7 mesi e mezzo, si formano
la rappresentazione della struttura ritmica più frequente delle parole e se ne servono per
individuare le parole all'interno delle frasi. Verso i 9 mesi si formano le rappresentazioni
della fonotassi (delle possibili combinazioni di fonemi) e delle consonanti. Queste
rappresentazioni fonotattiche e fonemiche si consolidano tra i 10 e i 12 mesi. Inizialmente
quindi i neonati elaborano gli indici ritmici del linguaggio e poi si costruiscono
gradualmente delle rappresentazioni della struttura della lingua madre a più livelli: ritmico
e vocalico tra i 6 e i 7 mesi, fonotattico e fonemico tra i 9 e i 12 mesi.
Se le moderne tecniche di indagine oggi a disposizione portano a una revisione delle
teorie piagetane, d'altro canto confermano l'importanza assegnata dallo studioso alla
biologia evoluzionistica. Infatti, quanto più si conosce delle capacità percettive iniziali,
tanto più si riconosce il contributo dato dall'evoluzione alle origini dello sviluppo umano.
5. LO SVILUPPO DELLE ABILITA' MOTORIE NELLA PRIMA INFANZIA
Anche se numerose coordinazioni tra i sistemi motori e quelli sensoriali sono già presenti
alla nascita, i bambini devono comunque acquisire un controllo esperto sulle loro azioni. Il
neonato è capace di compiere azioni ben coordinate in alcuni domini (es. suzione), mentre
in altri il raggiungimento di un controllo preciso richiede molti mesi (es. raggiungere e
afferrare o camminare). Gran parte dello sviluppo del primo anno di vita riguarda
l'acquisizione di un controllo accurato sui movimenti del corpo e della testa che, alla
nascita, è la parte del corpo di maggior dimensione e peso. I mutamenti nelle proporzioni
del corpo, che accompagnano la crescita nel primo anno, riducono gradualmente la
dimensione della testa e aumentano quella delle gambe. Questo consente al bambino di
raggiungere il controllo prima sulla testa, poi sulla testa e sul tronco, e infine sulle gambe.
Tali mutamenti nelle proporzioni permettono anche l'abbassamento del centro di gravità
del bambino, favorendo il raggiungimento dell'equilibrio necessario a camminare.
La scala di Griffith mostra le tappe fondamentali nell'acquisizione del controllo posturale e
nel raggiungimento dell'autonomia motoria. Queste tappe non possono tuttavia essere
considerate degli stadi di sviluppo perchè il loro ordine di comparsa può variare.
Prima i bambini sollevano la testa, poi testa e torace, in seguito sollevano la testa e il
tronco alzandosi su mani e braccia e, infine, si sollevano su tutti e 4 gli arti. A 9 mesi molti
bambini camminano carponi, alcuni si muovono trascinandosi sulla parte posteriore del
corpo, mentre altri passano direttamente alla posizione eretta. Tutti cominciano presto a
sollevarsi e a 12 mesi la maggior parte dei bambini compie i primi passi.
Benchè molti teorici abbiano ipotizzato una spiegazione semplicemente maturativa per tali
abilità, è stato dimostrato che lo sviluppo motorio è influenzato anche da fattori culturali.
Studi eseguiti su bambini di un orfantrofio a Theran cresciuti in grave stato di abbandono
hanno evidenziato che alcuni di essi a 2 anni non avevano ancora acquisito le più
elementari abilità motorie (mancanza totale di stimoli sociali). Questi studi confermano la
teoria della ZSP di Vigotskij, secondo la quale il supporto dell'ambiente sociale è
fondamentale per lo sviluppo.
Come si è visto, potrebbe essere presente una certa continuità tra il riflesso di marcia
automatica del neonato e le successive andature carponi ed eretta. È stato infatti
dimostrato da alcuni studi che se il riflesso di marcia viene regolarmente esercitato non
scompare.
Vi sono teorie apparentemente contrastanti sul perchè i bambini inizino a camminare
intorno ai 12 mesi. Thelen sostiene che questo passaggio avviene quando i bambini
hanno abbastanza forza da sorreggere il proprio peso. Zelazo sottolinea invece la
funzione strumentale del camminare, sostenendo che quest'abilità si sviluppa quando
compare l'intenzionalità. Entrambe le tesi potrebbero essere corrette: lo schema di base
dei movimenti del camminare non può dipendere dallo sviluppo cognitivo, dal momento
che sembra essere innato, ma lo sviluppo cognitivo potrebbe fornire al bambino un motivo
per utilizzare le proprie abilità motorie per esplorare e muoversi.
Il controllo della postura
l'acquisizione della locomozione indipendente è subordinata alla capacità di conservae
l'equilibrio dinamico. La prima condizione necessaria per conseguire tale equilibrio è
quella di raggiungere il controllo sulle posture statiche del corpo (l'equilibrio del capo, lo
stare seduto, lo stare in piedi), abilità che vengono raggiunte con l'aiuto della visione (un
bambino cieco dalla nascita presenta un grave ritardo nella locomozione). Per raggiungere
l'equilibrio i bambini prendono come riferimento i contorni visivi stabili ed usano il flusso di
informazioni visive, che normalmente accompagna le oscillazioni del corpo, come
feedback per mantenere l'equilibrio (se sono posti in un ambiente che si muove, i bambini
che hanno appena imparato a stare in piedi perdono l'equilibrio).
Il flusso di informazioni visive di ritorno (feedback visivo) è usato dal bambino già per
mantenere il controllo sulla testa. I meccanismi visivi, vestibolari e cinestesici coinvolti nel
mantenimento dell'equilibrio sono quindi strettamente connessi tra loro sin dai primi mesi
di vita ed aiutano il bambino ad acquisire il controllo del proprio corpo.
L'acquisizione di una posizione stabile della testa e del tronco rende poi possibile il rapido
sviluppo delle capacità di raggiungere e afferrare.
Raggiungere e afferrare
“Un'abilità motoria è una sequenza organizzata di azioni rivolte a un obiettivo, guidata e
corretta mediante le informazioni di ritorno”.
Di conseguenza la percezione visiva ha un ruolo di primo piano nel controllo dell'azione.
Piaget riteneva che i movimenti della mano e la visione fossero inizialmente indipendenti e
che il periodo in cui ii neonati si osservano le mani servisse per ottenerne il controllo
visivo. Tuttavia, Bower ha notato che anche i bambini ciechi dalla nascita sembrano
attraversare un periodo di “osservazione delle mani”. Pare quindi che i meccanismi che
controllano l'inseguimento visivo e il movimento delle mani siano connessi tra loro sin
dall'inizio. Questo ha condotto Bruner e Koslowski a sostenere che, per raggiungere
correttamente gli oggetti, bisogna acquisire il controllo volontario sulla preesistente
coordinazione tra occhio e mano (ordinare le azioni in un'appropriata sequenza indirizzata
verso l'obiettivo). Le ricerche contemporanee confermano che la coordinazione occhiomano è innata. Diversi esperimenti hanno evidenziato nei neonati i “tentativi di
raggiungimento innescati dalla visione (se si presenta a un neonato un oggetto
interessante questo fa dei goffi tentativi per afferrarlo). Man mano che la mira del bambino
migliora, i contatti diventano più frequenti e verso i 4 mesi riesce talvolta ad afferrare
l'oggetto dopo averlo toccato. Quindi il raggiungere è un'azione stimolata dalla visione e
toccare l'oggetto fa scattare l'afferrare. Verso i 5 mesi, quando il raggiungere si perfeziona,
entrambe le azioni del raggiungere e dell'afferrare vengono guidate dalla visione e, non
appena il bambino raggiunge l'oggetto, lo afferra rapidamente.
Gli studiosi contemporanei sottolineano l'entità dell'auto-organizzazione di tali processi: lo
sviluppo inizia da sistemi preadattati che si coordinano tra loro dando vita a sistemi più
complessi. I comportamenti inefficaci vengono esclusi, mentre quelli efficaci sono
selezionati e integrati per creare un nuovo livello di auto-organizzazione.
Un ulteriore sviluppo della prensione si osserva dopo i 6 mesi quando i bambini
acquisiscono un miglior controllo sulle dita. Dapprima, infatti, essi afferrano gli oggetti
premendoli sul palmo della mano con tutte le dita. In seguito sviluppano una prensione
digitale più precisa finchè, verso i 12 mesi, sono in grado di prendere oggetti molto piccoli
con la “prensione a pinza”.
Nel primo anno di vita le capacità di raggiungere e afferrare continuano a svilupparsi in
una molteplicità di modi. Infatti, una volta raggiunto il controllo su queste due azioni, il
bambino impara a coordinare i movimenti delle due mani. Dopo i 6 mesi comincia a
trasferire l''oggetto da una mano all'altra, ma, se gli si offre un terzo oggetto, lascia cadere
il secondo. A partire dagli 8-9 mesi il bambino sviluppa una procedura di conservazione
degli oggetti: il terzo oggetto e i successivi vengono collocati in un luogo sicuro. Questa
sequenza dimostra che, per ampliare il campo di applicazione delle abilità motorie, queste
devono essere coordinate con la capacità di mantenere in memoria un obiettivo. Tale
coordinazione tra azioni e memoria è denominata “integrazione gerarchica”.
6. LE ORIGINI DELLA CONOSCENZA
La teoria di Piaget dello sviluppo sensomotorio
Piaget sosteneva che il bambino costruisce la conoscenza tramite le attività motorie che lo
mettono in relazione con la realtà e generano degli effetti sensoriali regolari. Per questo,
chiamava la prima infanzia lo stadio dello sviluppo sensomotorio. Piaget aveva individuato
6 sottostadi dello stadio sensomotorio. In base alla sua teoria:
1. l'iniziale relazione del bambino con l'ambiente avviene tramite schemi riflessi (0-1
mese), che, benchè preadattati, vengono presto applicati a nuovi oggetti (es.
suzione);
2. quando il riflesso viene coordinato con un altro schema di azione, è chiamato
reazione circolare primaria (1-4 mesi): l'azione ha uno scopo e si conclude quando
questo viene raggiunto (es. toccarsi la bocca), in questa fase il bambino ripete le
attività per il piacere di farlo e , nel corso delle azioni, scopre il proprio corpo;
3. le reazioni circolari primarie vengono poi coordinate tra loro, vi è un'integrazione
gerarchica degli schemi d'azione sviluppati fino ad allora. L'interesse del bambino,
inoltre, si sposta dalla ripetizione di azioni per il loro piacere intrinseco allo studio
delle conseguenze delle azioni (es. il bambino calcia e il soffietto della carrozzina si
muove). Questo sottostadio è definito delle reazioni circolari secondarie (4-8 mesi);
4. il bambino raggiunge la coordinazione delle reazioni circolari secondarie (8-12
mesi) quando è in grado di organizzare delle sequenze di azioni come mezzi per
raggiungere dei fini (es. scoprire un oggetto e afferrarlo);
5. nel sottostadio delle reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) i bambini possono
deliberatamente variare i loro schemi di azione nel tentativo di sperimentare
attivamente mediante prove ed errori (es. gettare gli oggetti fuori dalla carrozzina);
6. la prima infanzia termina con la comparsa della capacità di rappresentazione (18-24
mesi), intesa come la capacità di rappresentarsi mentalmente la realtà (es.
l'imitazione differita, il gioco simbolico, gli inizi del linguaggio). La rappresentazione
segna la fine dello stadio sensomotorio. Ora il bambino non solo è in grado di agire
direttamente sulla realtà, ma diviene anche capace di pianificare azioni in relazione
a realtà immaginate.
Secondo Piaget, il bambino costruisce la sua conoscenza attraverso le azioni in quanto la
percezione da sola non gli fornisce tutte le informazioni sul mondo. Le più recenti evidenze
non confermano quest'aspetto della sua teoria.
La descrizione di Piaget dello sviluppo cognitivo nei bambini piccoli riguarda la
comprensione della realtà fisica. Il fondamento del pensiero è costituito, secondo lo
studioso, dal concetto di permanenza dell'oggetto. Gli adulti sanno che se un oggetto
viene nascosto da un altro continua ad esistere e a mantenere le sue proprietà fisiche.
Piaget pensava che, fino agli 8, il bambino non comprendesse assolutamente che la
comparsa e la scomparsa di un oggetto riflettono i movimenti di uno stesso oggetto e che
tale comprensione divenisse completa solo verso i 18 mesi. Egli riteneva che gli oggetti
per i bambini fossero semplici immagini, prive di sostanza e permanenza e lo deduceva
dall'incapacità dei bambini prima degli 8 mesi di cercare gli oggetti nascosti. Attraverso 6
stadi successivi i bambini a percepire la permanenza degli oggetti, ma, fino ai dodici mesi
commettono i cosiddetti “errori A con B” (se un oggetto viene nascosto in posizione A, il
bambino lo cerca e lo trova; tuttavia se successivamente lo stesso oggetto è posto in una
nuova posizione B e viene coperto mentre il bambino lo osserva, il bambino continua a
cercarlo nella posizione originale A, nonostante l'abbia visto scomparire in B). Secondo
Piaget questo tipo di errori dimostrano che il bambino percepisce gli oggetti come
estensioni delle proprie azioni. Il bambino ha infatti appreso una procedura per far
riapparire gli oggetti scomparsi, ma non comprende che gli oggetti sono unici e che quindi
in un dato momento possono essere in un solo luogo. Il bambino è convinto che le sue
azioni facciano riapparire gli oggetti. Tra i 12 e i 18 mesi il bambino cerca l'oggetto nel
posto in cui l'ha visto scomparire, ma l'oggetto non è ancora completamente indipendente
dall'azione, infatti il bambino ne comprende la permanenza solo se può conservare traccia
dei movimenti di un oggetto visibile. Solo tra i 18 e i 24 mesi il bambino riesce a
rappresentarsi l'oggetto, è capace cioè di immaginarlo e recuperare quest'immagine nella
memoria. A questo punto sia l'oggetto che la percezione sono indipendenti dall'azione.
Alternative alla teoria di Piaget
Le ipotesi di Piaget non sono sufficienti per spiegare le recenti scoperte.
Bower è stato uno dei primi a dimostrare che i bambini percepiscono l'esistenza continua
degli oggetti. Utilizzando come indice la variazione della frequenza cardiaca, ha mostrato
che i bambini di 3 mesi si sorprendono se un oggetto visto passare dietro uno schermo
non ricompariva quando lo schermo veniva rimosso. Bower presentò poi ai bambini un
oggetto che, con un gioco di specchi veniva fatto scomparire improvvisamente e i bambini,
che erano stati condizionati a succhiare una tettarella durante la visione dell'oggetto,
smettevano di succhiare, come se quest'ultimo non esistesse più. In un altro esperimento
veniva spenta la luce prima che un oggetto attraente venisse raggiunto e bambini non
ancora capaci di trovare un oggetto nascosto sotto un panno cercavano a lungo l'oggetto
al buio. Quindi fuori dalla vista non significa fuori dalla mente. Bower ha inoltre ipotizzato
che che la scomparsa di un oggetto sia differentemente specificata nell'immagine retinica
a seconda delle modalità con cui l'oggetto viene spostato dal campo visivo. Quando un
oggetto passa dietro un altro, il modo in cui la tessitura dell'oggetto occluso è cancellata
da quella dell'oggetto occludente, specifica che il primo si sta muovendo dietro al secondo.
Nel caso della scomparsa dell'oggetto la tessitura svanisce senza essere cancellata e
viene sostituita dalla tessitura dello sfondo. Bower sostiene quindi che i sistemi percettivi
dei bambini piccoli sono capaci di riconoscere la differenza tra occlusione temporanea e
scomparsa improvvisa. Ne consegue che, quando la luce viene spenta, i bambini
percepiscono la scomparsa della luce e non dell'oggetto.
Poiché le osservazioni di Piaget sugli insuccessi nella ricerca manuale sono state più volte
replicate, ci si è chiesto perchè i bambini, pur percependo che gli oggetti nascosti
continuano ad esistere, non sono in grado di ricercarli manualmente fino agli 8 mesi. La
questione importante, quindi, non è quando l'informazione fisica diventi disponibile per il
bambino, bensì perchè i bambini impieghino così tanto tempo prima di essere in grado di
usare quest'informazione per ricercare manualmente gli oggetti nascosti. Una possibilità è
che la difficoltà sia legata alla limitata capacità di memoria del bambino piccolo.
Coordinazione tra occhio, mano e memoria: spiegazione degli insuccessi e degli errori
nella ricerca dell'oggetto
A causa della loro limitata capacità di memoria, i bambini di 8 mesi sono capaci di trovare
gli oggetti nascosti solo in alcune semplici situazioni, mentre una maggiore complessità
mette in difficoltà la loro capacità di ricordare che sono partiti da una posizione specifica
per ritrovare l'oggetto. Gli “errori A per B” sono stati esaurientemente studiati e si è
dimostrato che non sono inevitabili. Ciò significa che i bambini non hanno
necessariamente delle difficoltà a percepire l'identità tra l'oggetto collocato nella posizione
A e lo stesso successivamente nascosto in B. E' stato dimostrato che i principali fattori che
portano i bambini a sbagliare sono il ritardo tra il momento in cui si nasconde l'oggetto e
quello in cui se ne permette la ricerca, e il numero di posizioni alternative tra le quali i
bambini devono scegliere.
Tuttavia, poiché permane la tendenza a commettere errori, rimane valida l'affermazione di
Piaget che i bambini passano attraverso uno stadio in cui sono inclini all'errore.
In generale, le osservazioni di Piaget sui tipici modelli di azione dei bambini piccoli sono
state confermate.
Le origini della conoscenza delle persona
Secondo Piaget, i diversi stadi della permanenza dell'oggetto possono essere applicati
anche al concetto di persona. In effetti gli studi condotti per esaminare la capacità del
bambino di cercare la madre che scompariva dietro uno schermo, hanno dato risultati
molto simili degli studi sulla ricerca degli oggetti. Così, prima degli 8 mesi, quando la
madre scompare dietro uno schermo i bambini non la cercano e, tra gli 8 e i 12 mesi,
quando la madre si nasconde successivamente in due posizioni, A e B, essi continuano a
cercarla in A. Come nel caso della ricerca degli oggetti, la difficoltà del bambino consiste
nell'organizzare le azioni sulla base delle informazioni richiamate dalla memoria.
Inizialmente, il bambino interagisce con l'adulto in maniera diretta, senza averne ricordi
specifici, e, successivamente, ne memorizza le informazioni specifiche che gli permettono
di riconoscerla (a partire dai 3 mesi). In seguito il bambino diventa anche in grado di
richiamare queste informazioni dalla memoria e questa capacità di rievocazione da luogo
a nuovi fenomeni sociali, quali la diffidenza o la paura di fronte agli estranei.
Sono stati accumulati talmente tanti dati sulla speciale sensibilità dei bambini verso le
persone, che sarebbe difficile continuare a sostenere che fino agli 8 mesi i bambini non
abbiano alcuna consapevolezza della permanenza dell'identità delle persone significative
nel loro ambiente. Già i primi studi sulla percezione del volto nei bambini piccoli indicavano
che i neonati preferiscono guardare una figura che riproduce un volto rispetto alla stassa
configurazione di elementi disposti in modo casuale.
Studi recenti hanno inoltre dimostrato che la preferenza per il volto umano alla nascita non
dipende dalle caratteristiche fisiche dello stimolo (il contrasto o la frequenza spaziale), ma
dalla sua struttura, ossia dalla disposizione spaziale degli elementi interni. Vi sarebbe
quindi un meccanismo specifico innato che si attiva in presenza delle caratteristiche
strutturali del volto umano. Johnson e Morton hanno addirittura ipotizzato che alla nascita
sia attivo un meccanismo sottocorticale che induce il neonato a orientarsi verso il volto
umano. Mentre, verso i 2 mesi, si attivi un meccanismo corticale che permetterebbe di
acquisire informazioni dettagliate sugli elementi dei singoli volti e quindi di discriminarli.
In base a queste evidenze è facile ipotizzare che i bambini piccoli imparino rapidamente a
riconoscere visivamente la madre basandosi sulla conoscenza già acquisita della sua
voce. Sembra inoltre che le prime ore dopo la nascita costituiscano un periodo sensibile in
cui il neonato è particolarmente predisposto ad apprendere le caratteristiche specifiche del
volto materno. La preferenza non riguarda una caratteristica accessoria (es. capelli), ma il
volto in sé.
Sorriso e riconoscimento sociale
Un approccio rilevante per la comprensione delle prime relazioni sociali del bambino è
quello etologico. L'etologia è lo studio scientifico del comportamento osservato in
condizioni naturali. In particolare, gli etologi hanno dato un'importante contributo
nell'ambito della comunicazione non verbale e del legame di attaccamento madre-bimbo.
Il primo esempio riguarda lo sviluppo del sorriso. Il sorriso nel periodo neonatale è stato a
lungo considerato un semplice effetto della flatulenza. La ricerca recente ha smentito
quest'ipotesi, ma rimane da capire se il sorriso dei neonati sia diretto specificamente alle
persone. È probabile che, come altre espressioni emozionali, il sorriso sia una modalità di
comunicazione, di origine endogena, specifica degli esseri umani ma che, per assumere la
sua funzione comunicativa, richieda l'esistenza di una persona che risponda
adeguatamente. Il sorriso non è rivolto solo agli stimoli visivi. A 6 settimane i bambini
sorridono alle voci, in particolare a quella materna. In ogni caso la vista del volto è uno
stimolo particolarmente efficace.
Ahrens scoprì che due punti rossi, disegnati su un cartoncino ovale bianco, sono sufficienti
per suscitare il sorriso e che sei punti rossi, disegnati sullo stesso ovale, accrescono
questo effetto. Questo studio suggerisce che il sorriso nei bambini piccoli è attivato dagli
occhi. Tuttavia, il sorriso compare, seppure un po' in ritardo, anche nei bambini ciechi dalla
nascita. Quindi può darsi che gli occhi siano solo una parte di un complesso di stimoli a cui
il bambino risponde. Sembra probabile che il sorriso sia inizialmente generato in maniera
endogena, ma che venga ben presto messo in relazione con stimoli sociali familiari e che ,
in seguito all'interazione sociale, sia più rapidamente attivato di fronte a persone
specifiche. A partire da circa 3 mesi, il sorriso è effettivamente sociale e reciproco poiché
diventa sincronizzato con quello di chi si prende cura del bambino. Quando il sorriso
diventa un fenomeno reciproco, indica che il bambino a un ricordo, o modello mentale, di
una persona particolarmente significativa.
Lo sviluppo di modelli mentali di persone specifiche
All'età di 8 mesi i bambini si sono già costruiti dei ricordi specifici delle persone familiari e
dimostrano spesso diffidenza o paura nei confronti degli estranei. Tale fenomeno coincide
con la capacità di recuperare intenzionalmente informazioni dalla memoria. Benchè le
rappresentazioni tendano ad essere abbastanza rigide (es. talvolta il bambino si spaventa
se la madre si presenta con una diversa acconciatura), in questa fase i bambini sono in
grado non solo di riconoscere le persone, ma di rievocarle.
La formazione dei legami di attaccamento
L'attaccamento è la capacità di creare delle relazioni focalizzate, permanenti ed
emotivamente significative con persone specifiche.
Maccoby ha indicato 4 indici di attaccamento nei bambini 8 (a partire da 8 mesi ca i
bambini ricercano la persona che maggiormente si prende cura di loro, mostrano segni di
disagio quando ne sono allontanati, sono contenti quando si ritrovano di nuovo con lei,
guidano il proprio comportamento rivolgendole periodicamente lo sguardo).
Bowlby, in antitesi con Freud, riteneva che alle origini dell'attaccamento vi siano il senso di
protezione e sicurezza forniti dalla madre. L'influenza degli studi etologici e, in particolare
del concetto di imprinting, portò Bowlby a sostenere l'esistenza, anche nella relazione tra
esseri umani, di un rapido periodo di apprendimento delle caratteristiche della madre che
si verifica mediante la continua vicinanza. Non avendo il bambino la possibilità di seguire
la madre, lo studioso ipotizzò che si serva di segnali, quali il sorriso, il pianto e le
vocalizzazioni per mantenere la madre vicina e costruirsi una rappresentazione della sua
figura. Quando poi il bambino comincia a muoversi carponi, inizia ad allontanarsi
periodicamente dalla madre per esplorare nuovi ambienti. L'esplorazione, che si serve
della protezione della madre come base per le incursioni nell'ambiente, è l'aspetto
reciproco del processo di attaccamento. Ainsworth e Bell hanno ideato un test, detto
“strange situation test” per valutare la qualità dell'attaccamento. Il test consiste
nell'osservare le reazioni del bambino di fronte a un estraneo, dapprima in presenza della
madre, poi lasciato solo con l'estraneo e, infine, nel momento del ricongiungimento con la
madre. I bambini con attaccamento sicuro sono sereni sia in presenza della madre che
quando vengono lasciati soli con l'estraneo e, al ritorno della madre cercano di avvicinarsi
a lei, si calmano rapidamente e poi riprendono a giocare (questi bambini sono la
maggioranza). I bambini con attaccamento insicuro ansioso-evitante non cercano la
vicinanza della madre in nessuna fase del test. I bambini con attaccamento insicuro
ansioso-ambivalente rimangono vicini alla madre e appaiono ansiosi alla comparsa
dell'estraneo; sono turbati quando la madre si allontana e quando rientra la cercano, ma,
nello stesso tempo, ne rifiutano il conforto. Recentemente è stato individuato un altro
schema, l'attaccamento insicuro disorganizzato: bambini al ritorno della madre mostrano
un comportamento confuso, con movimenti “congelati” o stereotipati.
Per Bowlby, la qualità della relazione materna è cruciale nel determinare sia il tipo di
modello mentale che il bambino sviluppa della madre che la conseguente possibilità di
sentirsi sicuro ed esplorare l'ambiente.
I bambini costruiscono un legame di attaccamento anche col padre e coi fratelli.
Le ricerche sull'adattamento hanno trovato applicazione sia nella pratica di
ospedalizzazione che nel campo della cura diurna dei bambini le cui madri lavorano.
Gli effetti a lungo termine della rottura del legame di attaccamento sono difficili da
prevedere. Tuttavia, poiché il sistema di attaccamento è abbastanza flessibile, le
conseguenze negative possono essere reversibili.
7. LA COMPARSA DEI SIMBOLI
Il bambino a 2 anni ha imparato a camminare, ha una buona comprensione del linguaggio,
è capace di parlare, e ha acquisito una relativa indipendenza. Questi segni della crescita
fisica possono essere considerati indici di un nuovo stadio di sviluppo. Prove di questo
passaggio sono fornite dallo sviluppo fisico: a 30 mesi i bimbi hanno tutti i denti da latte; il
ritmo della crescita fisica rallenta notevolmente; cambiano le proporzioni del corpo (la testa
è sempre meno sproporzionata); vi è una rapida crescita del cervello.
Lo sviluppo motorio procede di pari passo con quello fisico: man mano che si riducono gli
strati adiposi e si ridimensionano le proporzioni, il bambino impara a correre, lanciare e
afferrare, e anche le abilità più fini migliorano rapidamente (tra i 3 e i 5 anni imparano a
fare costruzioni coi cubi, a impugnare la matita, ecc.).
Il primo a teorizzare la transizione stadiale dalla prima infanzia all'età prescolare fu Piaget,
che individuò nella capacità di rappresentazione la differenza più importante tra lo stadio
sensomotorio e quello prescolare. La capacità di rappresentazione implica la possibilità di
agire e pensare su un piano simbolico. La relazione tra il simbolo e il suo referente può
essere arbitraria e convenzionale (linguaggio) oppure il simbolo può somigliare all'oggetto
che rappresenta (disegno infantile). Tutti i simboli presuppongono una capacità di
rappresentazione, ma non tutte le rappresentazioni sono simboliche (la rappresentazione
può anche essere un ricordo letterale di un oggetto). Piaget denominò il periodo
prescolare “stadio preoperatorio”, ritenendo che i bambini, pur pensando in maniera
simbolica, non sono ancora capaci di trasformare la conoscenza in una rete cognitiva
organizzata.
Uno dei principali problemi affrontati dalla psicologia dello sviluppo riguarda le modalità di
comparsa della “funzione simbolica”. Si ritiene che tale passaggio avvenga per gradi
(forme simboliche intermedie) e per comprenderlo bisogna distinguere i modi in cui i segni
possono indicare cose presenti nella realtà dai modi in cui i segni vengono utilizzati come
simboli di una realtà immaginata (segni rappresentativi che non annunciano le cose, ma le
richiamano alla mente). Molti studiosi usano la distinzione tra significante (che è usato al
posto di un oggetto) e significato (l'oggetto stesso). Per comprendere la nascita del
linguaggio bisogna capire in che modo i bambini passano dalla comunicazione non
verbale a quella verbale tramite l'uso dei simboli. Kaye (fin.7.1 pag. 129) ha schematizzato
tale passaggio in una tavola. Il primo livello è quello dei segni, significanti indifferenziati
(non intenzionali) ma convenzionali. A questa categoria appartengono segni che
inizialmente non contengono un'intenzione comunicativa, ma la acquisiscono non appena
chi si prende cura del bambino vi legge un significato (schioccare le labbra durante il
pasto). Il secondo livello è quello degli indici, significanti indifferenziati e non
convenzionali. Un'azione può essere non intenzionale, ma costituire comunque un
significante. Ad esempio, il bambino che piange per fame o sorride alla vista di una
sagoma in movimento, pur essendo indici involontari dello stato emozionale del bambino,
veicolano un significato per un adulto esperto. Naturalmente le stesse azioni possono
essere compiute intenzionalmente dai bambini più grandi. In questo caso diventano gesti,
significanti differenziati (intenzionali) ma non convenzionali.
Il quarto livello è costituito dai simboli, significanti differenziati e convenzionali. I simboli
sono socialmente definiti e sono considerati equivalenti agli oggetti e agli eventi significati.
Il linguaggio è un codice simbolico che ha significato in uno specifico contesto culturale.
Alcuni significanti possono appartenere contemporaneamente a due categorie. Ad
esempio i disegni dei bambini possono avere funzione sia di indici che di simboli.
Lo sviluppo del linguaggio
Per apprendere il linguaggio, il bambino deve imparare non solo il significato dei singoli
simboli, le parole, ma anche le regole con cui sono combinate, la grammatica.
Gli studi sull'acquisizione del linguaggio si rifanno principalmente alle teorie di Skinner,
Chomsky, Piaget e Bruner.
Skinner: il suo quadro teorico di riferimento era il comportamentismo americano. Il suo
obiettivo era quello di spiegare l'apprendimento sulla base di un insieme di principi
fondamentali. Egli sosteneva che i bambini apprendono il linguaggio mediante il
condizionamento operante (attraverso l'uso del rinforzo si crea una connessione tra lo
stimolo e la risposta) perchè ricevono rinforzi quando producono certi suoni
(l'incoraggiamento e l'approvazione dei genitori).
Chomsky: sosteneva che l'apprendimento del linguaggio dipende dall'acquisizione di un
corpo di conoscenze, le regole sintattiche, condizione necessaria per attivare la creatività
linguistica (capacità di produrre e comprendere frasi mai udite prima). Chomsky sottolineò
anche che i bambini non sono esposti al linguaggio nel modo accurato e sistematico che
sarebbe necessario per il condizionamento operante e che, al contrario, le regole
sintattiche vengono apprese rapidamente e senza bisogno di un accurato insegnamento.
In base a queste osservazioni, ipotizzò che i bambini apprendono il linguaggio grazie ad
un meccanismo innato, il LAD (language acquisition device) presente solo nel cervello
umano. Il linguaggio quindi non viene appreso, ma sviluppato ed è sufficiente un minimo
contributo ambientale. L'ipotesi di Chomsky che la capacità di acquisizione del linguaggio
sia unicamente umana è stata sottoposta a verifiche in una serie di studi sugli scimpanzè
e, a tutt'oggi, non è stata smentita.
Piaget: riteneva che la comparsa del linguaggio dipende dal completamento dei processi
di sviluppo che si verificano durante lo stadio sensomotorio. Il linguaggio, secondo Piaget,
è una manifestazione della più ampia capacità di rappresentazione del mondo mediante
l'uso di simboli, ed è strettamente collegato allo sviluppo cognitivo (in disaccordo con
Chomsky secondo cui il linguaggio è acquisito mediante meccanismi specifici, indipendenti
dalle funzioni cognitive).
In realtà entrambe le ipotesi possono essere corrette. Per alcuni aspetti del linguaggio
(es. sintassi) vi sono prove a favore di un apprendimento indipendente dalle funzioni
cognitive, ma la piena comprensione di buona parte del linguaggio richiede anche capacità
cognitive più generali (evidenza ammessa in seguito anche da Chomsky).
L'influenza del contesto sociale sullo sviluppo del linguaggio
Le teorie esposte fin qui tengono in scarsa considerazione il fatto che il linguaggio parlato
è usato in un contesto sociale ed è finalizzato alla comunicazione. Il bambino viene a
contatto con il linguaggio in un contesto in cui, benchè la lingua non sia famigliare, molti
altri aspetti del contesto sociale sono conosciuti. Vigotskij aveva sottolineato l'importanza
dell'interazione sociale per lo sviluppo cognitivo e, in particolare, per quello del linguaggio
e del pensiero. La sua teoria influenzò fortemente Jerome Bruner che ipotizzò che il
contesto sociale familiare aiuta il bambino ad interpretare il linguaggio di chi lo accudisce.
Infatti, parlando coi bambini, gli adulti tipicamente usano il linguaggio per interpretare e
commentare il contesto sociale. Questo aiuta il bambino a comprendere il codice del
linguaggio. In una fase successiva, Bruner modificò parzialmente la sua teoria ipotizzando
che il linguaggio fornisca un supporto per l'acquisizione del linguaggio, ma non la
conoscenza necessaria per tale apprendimento. Questa riformulazione rende la teoria di
Bruner compatibile con quella di Chomsky sull'esistenza di specifici meccanismi per
l'acquisizione della sintassi. Quindi i processi implicati nello sviluppo del linguaggio sono il
risultato di una complessa interazione tra le generali capacità cognitive del bambino e le
sue specifiche abilità linguistiche ed esperienze.
È stato dimostrato che lo stretto legame tra i discorsi materni ed il contesto sociale in cui
sono prodotti costituisce un fattore importante per l'iniziale sviluppo del linguaggio (le
abilità linguistiche dei bambini sono più sviluppate nelle situazioni in cui le madri
commentano regolarmente il contesto sociale).
Sono state inoltre individuate 5 funzioni comunicative nel comportamento materno: tutoria,
didattica, di conversazione, di controllo e asincronica; ed è stato dimostrato che solo le
prime due correlano positivamente con lo sviluppo linguistico.
Altri aspetti degli schemi di comunicazione tra madre e bambino particolarmente importanti
sono: l'attenzione condivisa (mamma e bambino tendono a guardare gli stessi oggetti) e la
comprensione da parte del bambino della referenza (verso la fine del primo anno di vita i
bambini sono in grado di comprendere il gesto di indicazione e guardare nella direzione
indicata e, poco dopo, sono in grado di usare loro stessi l'indicazione per dirigere
l'attenzione).
La relazione tra produzione da parte del bambino del gesto di indicare e sviluppo del
linguaggio è stata evidenziata da studi che hanno mostrato che la frequenza con cui i
bambini tra i 9 e i 12 mesi usano l'indicazione è direttamente proporzionale alla
dimensione del lessico verbale e gestuale prodotto nel secondo anno.
Il gesto di indicazione tende ad attivare risposte molto specifiche negli adulti.
Inoltre, è stato dimostrato che il bambino è predisposto a prestare particolare attenzione
agli oggetti quando questi sono individuati mediante l'uso simultaneo dell'indicazione e
della denominazione.
Il primo sviluppo lessicale
In molti bambini la comprensione linguistica compare verso i 7 mesi, quando cominciano a
rispondere al proprio nome, e aumenta gradualmente fino al punto in cui iniziano a parlare
. L'età di comparsa delle prime parole può variare considerevolmente, ma le prime parole
tendono ad essere tutte molto simili (nomi di adulti o oggetti familiari). I bambin iniziano
presto anche ad usare parole corrispondenti ad azioni abituali.
Il significato da attribuire alle prime parole dei bambini è stato oggetto di molti dibattiti. Le
ricerche più recenti suggeriscono che le prime parole dei bambini sono molto più simili a a
quelle degli adulti di quanto non si pensasse in passato.
I bambini presentano stili differenti nell'uso iniziale delle parole: espressivo (azioni e nomi
di persone) e referenziale (oggetti). È stata una correlazione tra il tipo di parole
inizialmente prodotte dai bambini e il loro successivo sviluppo linguistico: i bambini che
inizialmente apprendono un maggior numero di nomi di oggetti mostrano uno sviluppo più
rapido del vocabolario.
La produzione delle prime parole è anche strettamente legata al linguaggio udito nelle
situazioni quotidiane, tuttavia, questo avviene solo nelle prime fasi dello sviluppo del
vocabolario.
Il primo sviluppo morfosintattico
I primi studi sullo sviluppo sintattico riguardavano i diversi stadi attraversati dai bambini
quando cominciano a parlare. Roger Brown, insieme ad altri ricercatori, analizzò in
maniera dettagliata il linguaggio di 3 bambini cercando di descrivere il tipo di regole che
venivano utilizzate. Per esaminare lo sviluppo delle capacità dei bambini di combinare le
parole e formare delle frasi complesse, Brown usò una misura denominata lunghezza
media dell'enunciato (LME). L'enunciato è definito come una sequenza di parole delimitata
da un silenzio o da un cambio di turno nella conversazione e, a differenza della frase, non
ha necessariamente una struttura grammaticale. Brown osservò che l'ordine in cui i
bambini acquisivano la conoscenza di differenti aspetti della lingua madre era molto simile,
passando da regole più semplici ad altre più complesse. Tuttavia, egli sottolineava che il
ritmo di progressione da uno stadio all'altro variava da bambino a bambino. Studi recenti
hanno dimostrato che non solo il ritmo è variabile, ma anche il percorso seguito dai
bambini per impossessarsi della sintassi. L'età di inizio delle combinazioni di parole e
anche il numero di parole differenti prodotte prima della fase combinatoria, variano
notevolmente da bambino a bambino. Vi sono inoltre importanti relazioni tra il primo
sviluppo del vocabolario e l'acquisizione della sintassi.
Bates ha identificato due distinte tendenze nello sviluppo linguistico: 1. produzione
analizzata – il bambino apprende a produrre delle parole che comprende ed è quindi in
grado di produrle in situazioni diverse; 2. produzione non analizzata – è costituita da
parole apprese a memoria o in routine fisse, non sembra esserci una comprensione totale
dei vocaboli. In base alle osservazioni di Bates, queste due tendenze sono da mettere in
relazione con le prime produzioni linguistiche (a 20 mesi, la produzione non analizzata è
strettamente correlata con la variazione della lunghezza media degli enunciati).
Sviluppo linguistico e deficit sensoriali
I bambini che soffrono di gravi deficit visivi o uditivi mostrano specifici problemi
nell'acquisizione del linguaggio.
Bimbi non vedenti:
Lo studio del primo sviluppo del linguaggio nei bambini ciechi mostra chiaramente
l'influenza che l'esperienza percettiva ha sullo sviluppo del linguaggio. Landau e Gleitman
hanno osservato che è caratteristico dei bimbi ciechi un inizio abbastanza ritardato del
linguaggio. Tuttavia, le prime parole di questi bambini sono simili a quelle dei b. vedenti.
Le osservazioni condotte sull'uso della parola “guardare” sono particolarmente
interessanti: alla richiesta di guardare un oggetto il bimbo cieco lo esplorava con le mani,
mentre, se gli si chiedeva di “guardare e non toccare” il bambino lo toccava, ma senza
esplorarlo. Da questi esperimenti Landau e Gleitman hanno inferito che vi è una base
comune a tutti i bambini, vedenti e non, per il significato assegnato alla parola “guardare”.
Per i b. vedenti “guardare” implica l'esplorazione visiva. Per i non vedenti implica
un'esplorazione effettuata con la modalità percettiva dominante. In seguito si è appurato
che i b. ciechi si differenziano nella scelta della modalità sensoriale sostitutiva della visione
(per alcuni è l'udito e per altri il tatto).
In ogni caso si è osservato che la cecità influenza negativamente lo sviluppo del
vocabolario, il che suggerisce che l'esperienza visiva abbia un ruolo importante nel
guidare lo sviluppo dei processi concettuali responsabili dell'iniziale acquisizione del
linguaggio. È stato altresì dimostrato che i bimbi ciechi passano alla fase combinatoria
approssimativamente nello stesso momento dei b. vedenti. Il che significa che la
sollecitazione a iniziare a combinare le parole è indipendente dalle caratteristiche della
loro conoscenza lessicale. Il linguaggio dei bimbi ciechi fornisce, quindi, ulteriori conferme
del fatto che alcuni aspetti dello sviluppo linguistico, e in particolare di quello sintattico,
sono il risultato di processi specifici per il linguaggio, non influenzati dall'esperienza sociale
né dal più generale sviluppo cognitivo.
Bimbi non udenti: lo sviluppo linguistico dei b. sordi varia enormemente (alcuni
apprendono il linguaggio in modo simile ai b. udenti, altri hanno gravi ritardi). I b. che
soffrono di una sordità profonda, in genere hanno maggiori difficoltà di quelli con una
sordità lieve, così come i bambini nati sordi, o divenuti tali nel primo anno di vita,
presentano maggiori difficoltà rispetto a quelli divenuti sordi dopo.
Un altro fattore che influenza lo sviluppo linguistico dei bimbi sordi è lo stato di udenti o
non udenti dei genitori. Quelli che hanno anche i genitori sordi raggiungono un miglior
livello di competenza linguistica (probabilmente perchè i genitori comprendono meglio i
loro bisogni comunicativi). Inoltre, i bimbi non udenti con i genitori sordi sono esposti fin
dalla nascita alla lingua dei segni. È stato dimostrato che questa è appresa allo stesso
ritmo e seguendo le stesse fasi della lingua parlata.
8. LA RAPPRESENTAZIONE SIMBOLICA DEL GIOCO
Il gioco
Il gioco comprende diverse attività e si manifesta in varie forme durante tutto l'arco della
vita. Nell'uomo ha anche una base culturale.
I teorici che sottolineano la base biologica del gioco sostengono che costituisce un mezzo
istintivo per l'esercizio delle abilità vitali fondamentali...ma il gioco non è solamente
esercizio.
L'attività ludica permette al bambino di esplorare le tante possibilità del comportamento
mediante ripetizioni e variazioni e spesso ha uno scopo paradossale (lotta: permette di
esercitare abilità pericolose in condizioni di sicurezza). Il gioco comporta quindi un
orientamento verso la realtà, ma al tempo stesso se ne differenzia: il gioco fisico perchè
ne omette alcuni aspetti e il gioco simbolico poiché crea una realtà immaginaria mediante i
processi cognitivi e usa gli oggetti reali come sostituti di altri oggetti (es. bastone-cavallo). I
processi simbolici sono attivati anche nell'esplorazione ludica dei ruoli sociali (es. fare il
medico). Il gioco simbolico implica quindi una realtà immaginaria e Baldwin distingueva tra
immaginazione ricostruttiva (basata sui ricordi) e immaginazione composta (crea nuove
combinazioni simboliche). Quest'ultima dipende dalla capacità di dare libero sfogo
all'immaginazione mettendo da parte la realtà e si sviluppa a partire da forme più semplici
che possono essere osservate nella prima infanzia.
Il gioco con gli oggetti
Anche il bambino piccolo gioca con gli oggetti, ma la sua attività è troppo pratica per
essere qualificata come simbolica. L'avvento del gioco simbolico è la principale evidenza
del passaggio dalla prima infanzia a un nuovo stadio.
Piaget ha sottolineato l'aspetto immaginativo del gioco in età prescolare sostenendo che
nell'attività ludica l'assimilazione prevale sull'accomodamento (il bambino assimila il
mondo a se stesso piuttosto che adattarsi alle richieste della realtà). Secondo la teoria
piagetana del gioco in età prescolare, nel gioco simbolico sono individuabili due stadi, il
primo fino ai 4 anni e il secondo dai 4 ai7 anni, a loro volta divisi in sottostadi. Nel primo
stadio Piaget osservò dapprima la proiezione di schemi simbolici su nuovi oggetti: la
proiezione di schemi familiari (finzioni di proprie azioni applicate a nuovi oggetti – es.far
piangere un pupazzo) alla quale seguiva la proiezione di schemi imitativi (derivati da
attività di altre persone – es. strofinare il pavimento con una conchiglia). A questa fase
seguiva la separazione tra schemi simbolici e oggetti: prima attraverso la semplice
identificazione di un oggetto con un altro (es usare la spazzola come ombrello) e poi con
veri e propri giochi di imitazione (es. fingere di giocare con qualcuno che non c'è). nella
fase successiva Piaget osservò le combinazioni di simboli (il bambino sostituisce scene
reali con altre immaginarie – es. finge di preparare il bagno in una scatola di cartone).
Queste diventano sempre più complesse, finchè il protagonista stesso del gioco può
divenire immaginario (esempio di immaginazione composta e di puro gioco simbolico).
Tra i 4 e i 7 anni, i giochi simbolici sopra descritti iniziano a perdere importanza e i simboli
diventano sempre più legati alla realtà e il gioco simbolico diventa sempre più ordinato.
Questi giochi, a loro volta, cedono gradualmente il posto a quelli governati da regole.
Il gioco simbolico, come il linguaggio, emerge in maniera graduale. Sia Vygotskij che
Piaget erano concordi sul fatto che il bambino inizialmente si rappresenta una realtà
immaginaria attraverso le azioni e il supporto di oggetti che lo aiutano a distinguere tra
significante e significato durante la transizione verso il puro gioco simbolico.
Successivamente, l'azione simbolica viene separata dall'attività gestuale e corporea.
Tra i 2 e i 3 anni, il gioco diventa sociale (compare la capacità di giocare ruoli reciproci e
complementari. Furth e Kane sostengono che il gioco simbolico, pur avendo diverse
funzioni nello sviluppo, ha lo scopo generale di far conoscere ai bambini le caratteristiche
della struttura sociale in cui vivono.
Tramite l'immaginazione verbale, i bambini creano anche estesi mondi immaginari.
Gli oggetti transizionali
Oltre che per lo sviluppo intellettivo, il gioco è importante per quello affettivo. Molti bambini
hanno un oggetto a cui sono particolarmente affezionati (vd. coperta di Linus) . Questi
oggetti sono definiti dagli psicanalisti “transizionali” poiché si ritiene che facilitino il
passaggio dallo stretto contatto fisico con la madre al distacco da essa necessario per il
raggiungimento dell'autonomia.
L'identità di genere
Il gioco aiuta anche a comprendere i ruoli sociali e le funzioni proprie degli adulti. Spesso i
bambini in età prescolare esplorano mediante il gioco le attività di cuoco, meccanico,
conducente d'autobus, ecc. E' inoltre interessante il fatto che i bambini assumono questi
ruoli in accordo con la propria identità di genere. Il gioco simbolico può quindi aiutare ad
acquisire la propria identità di genere.
Il genere è un attributo biologico:esso modella i ruoli sociali che possono essere esplorati
nel gioco simbolico. I ruoli sociali convenzionali forniscono a loro volta un contesto
simbolico all'interno del quale il bambino può esplorare la propria identità di genere.
La differenziazione sociale di maschi e femmine avviene tramite il tipo di abbigliamento, il
nome e l'educazione scelti dai genitori (a cui si aggiungono tutta una serie di fattori come
l'arredamento o i giocattoli).
La rappresentazione simbolica del genere compare molto presto nello sviluppo. Già a 18
mesi, i bambini comprendono la distinzione maschile-femminile nei sostantivi quali
“mamma” e “papà”, “signora” e “signore”, “bambina” e “bambino”.
Vi sono quindi diversi modi in cui fattori biologici e sociali informano il bambino sulla sua
identità di genere.
Freud sosteneva che l'identificazione con il genitore del proprio sesso è il principale
processo per l'acquisizione dell'identità di genere. La spiegazione freudiana ha però il
limite di considerare come un'unica identità unitaria diversi aspetti dell'identità personale
che possono essere separati (ciascun individuo può avere caratteristiche sia maschili che
femminili). Kohlberg ha ipotizzato che i bambini, quando diventano consapevoli della loro
identità di genere, si interessano a classificare gli oggetti e le persone come “maschili” o
“femminili”. Egli sosteneva che lo sviluppo procede dalla comprensione dell'identità di
genere, alla credenza nei ruoli sessuali stereotipati, all'imitazione degli adulti e, infine, allo
speciale attaccamento verso il genitore dello stesso sesso. La sua teoria, diversamente da
quella freudiana, assume quindi che la conoscenza delle differenze genitali tra i due sessi
compaia solo dopo la comprensione dell'identità di genere e dei ruoli sessuali.
Il simbolismo nel disegno infantile
Il disegno è particolarmente interessante perchè combina gli aspetti iconici e simbolici del
significato. Inoltre richiede al bambino di ridurre la realtè alla superficie bidimensionale del
foglio. Esistono cambiamenti ben documentati nel disegno dei bambini in funzione dell'età,
specialmente riguardo al modo di disegnare la figura umana e rappresentare la profondità.
I primi disegni, tra i 18 e i 30 mesi, sono spesso degli scarabocchi che includono figure
geometriche e semplici combinazioni (elementi di base che, combinati, formano i primi
simboli grafici). Per alcuni studiosi questi segni non sono rappresentazioni intenzionali.
Altri pensano invece che le primissime forme geometriche abbiano un significato simbolico
per il bambino. Golomb sostiene che siano all'origine dei significati non convenzionali.
Secondo questa teoria, le abilità percettive e motorie della prima infanzia costituiscono i
fondamenti per la rappresentazione grafica.
Di fatto a 3 anni i bambini danno un significato ai loro scarabocchi (es. “figura girino” combinazione di cerchi e linee rette per la figura umana).
La combinazione di forme geometriche ha una funzione simbolica generale nel
rappresentare gli oggetti e infatti, bambini ciechi dalla nascita, a cui sia richiesto di
disegnare la figura umana, usano combinazioni le stesse combinazioni dei bimbi vedenti.
Luquet ha suddiviso il disegno infantile in diversi stadi:
a. realismo fortuito (scarabocchi);
b. realismo intellettuale (primo periodo simbolico)
c. realismo visivo (i bambini cominciano ad affrontare il problema della tridimensionalità).
Secondo Piaget e Inhelder, che adottarono la classificazione di Luquet, solo verso i 7-8
anni i bambini sono in grado di coordinare concettualmente diversi punti di vista. A
quest'età comprendono la proporzionalità e se ne servono per raffigurare lo spazio in
maniera visivamente realistica.
Ingram e Butterworth ritengono invece che già all'età di 3 anni i bambini conservano nel
disegno alcuni elementi della prospettiva spaziale. Tuttavia questo precoce realismo visivo
può essere facilmente soppresso in favore del realismo intellettuale.
9. LO SVILUPPO COGNITIVO IN ETA’ PRESCOLARE
Una delle principali questioni della psicologia dello sviluppo è la relazione tra il linguaggio
e il pensiero. Secondo la teoria piagetana i cambiamenti del linguaggio dipendono dallo
sviluppo cognitivo. Altri teorici, come Vigotskij, ipotizzano invece che “i processi mentali
superiori” specifici degli esseri umani siano il risultato dell’integrazione tra linguaggio e
pensiero che avviene tra i 2 e i 5 anni.
Piaget: riteneva che i bambini apprendono gradualmente il pensiero logico e sistematico
durante lo stadio preoperatorio (il compito evolutivo in questo periodi consiste nell’
organizzare il pensiero in un sistema di operazioni mentali). Egli ha inoltre ipotizzato una
sorta di continuità tra lo stadio sensomotorio e quello preoperatorio, in quanto le
operazioni mentali sviluppate dal bambino in questa fase sarebbero forme interiorizzate di
azioni precedentemente sperimentate dal bambino ordinando, sperimentando,
combinando e separando le cose nel mondo fisico. Tuttavia il pensiero preoperatorio non
è ancora completamente logico (prelogico). Il bambino, ad esempio, non è in grado di
invertire la logica di successione dei pensieri (es. bambina che sa di avere un fratello
maggiore, ma non che il fratello ha una sorella). La caratteristica principale del pensiero in
età prescolare è infatti di affrontare i problemi focalizzandosi su un elemento alla volta.
Molto interessanti sono gli studi di Piaget sui problemi di conservazione. Avere il concetto
di conservazione significa comprendere che le proprietà di base della materia non
vengono modificate da cambiamenti nel loro aspetto esteriore. L'esempio meglio
conosciuto è quello sulla conservazione del volume: se si mettono due identiche quantità
di acqua in due recipienti uguali A e B, il bambino dirà che la quantità d'acqua è identica in
entrambi, ma se si travasa l'acqua di B in un contenitore C di forma diversa, il bambino
dirà che la quantità d'acqua è aumentata o diminuita a seconda del livello del liquido.
L'assenza di conservazione compare anche negli esperimenti sul numero, in cui il
bambino crede che le palline di una fila cambino nel numero in relazione alla loro
disposizione spaziale.
In questa fase il bambino è stato definito da Piaget “egocentrico” in quanto incapace di
differenziare ciò che è soggettivo da ciò che è oggettivo. Il bambino guarda il mondo
esclusivamente da suo punto di vista, dal quale è incapace di decentrarsi. Piaget ha
ottenuto molti interessanti esempi del pensiero preoperatorio ponendo ai bambini delle
domande. Egli riteneva infatti che i bambini nelle loro risposte non riflettono
semplicemente la mancanza di conoscenze, bensì assimilano in maniera egocentrica ciò
che non comprendono alle conoscenze che già possiedono. Un esempio proviene dai
lavori piagetiani sull’animismo, inteso come attribuzione di vita a oggetti inanimati.
Secondo Piaget, tale attribuzione è egocentrica perché implica un’incapacità di distinguere
tra il mondo psicologico e il mondo fisico.
Piaget riteneva inoltre che i bambini nel periodo prescolare non fossero in grado di
distinguere correttamente le cose come appaiono da come sono realmente (es. il sogno
dalla realtà).
Problemi col linguaggio o con i test di Piaget?
In che misura le reazioni osservate da Piaget sono condizionate dal modo di porre le
domande e dai test assai astratti da lui ideati? Le osservazioni di Piaget potrebbero avere
spiegazioni diverse da quelle riportate fin qui. Usando delle versioni semplificate dei suoi
test si potrebbero ottenere risultati inaspettati. I critici di Piaget sostengono che la maggior
parte delle difficoltà incontrate dal bambino nel ragionamento non derivino dall’incapacità
di ragionare logicamente, ma dall’incapacità di comprendere il linguaggio e i compiti
presentati dall’adulto.
La critica di Margaret Donaldson a Piaget
La sua principale argomentazione è che i bambini in età prescolare sono molto più
competenti di quanto credesse Piaget, i cui test sono troppo astratti. Donaldson ritiene che
i bambini dovrebbero essere esaminati in situazioni per loro comprensibili. Poiché,
secondo lei, i bambini in età prescolare, comprendono i sentimenti degli altri, i compiti di
tipo sociale che esaminano questa capacità possono dare una valutazione dei processi di
pensiero assai diversa da quella ottenuta mediante i test piagetiani. Un esempio è un
esperimento sull’egocentrismo proposto da Huges: il bambino di 4 anni deve nascondere
un bambolotto alla vista di una o due bambole-poliziotto; il compito è costituito da un
modellino di due muri che si intersecano a croce e i bambini devono nascondere il
bambolotto in uno dei quadranti. I bambini più piccoli hanno risposto correttamente nel
90% dei casi. Questo smentisce la teoria piagetana in base alla quale i bambini nello
stadio preoperatorio non sono in grado di capire che gli altri possono avere punti di vista
differenti dal proprio.
Tuttavia, la capacità rilevata col compito di Huges può essere parzialmente spiegata sia
da una comprensione abbastanza elementare della direzione dello sguardo, sia dalla
conoscenza dell'esistenza di oggetti nascosti (abilità proprie dell'età presa in esame).
L'abilità non egocentrica di determinare se la prospettiva di un'altra persona è occlusa o
no, rilevata da Huges, perciò non implica necessariamente che i bambini siano in grado di
immaginare il punto di vista percepito da una particolare posizione.
Donaldson potrebbe quindi sbagliare nel sostenere che il suo compito, semplificato per
essere più vicino all'esperienza dei bambini, sia equivalente per difficoltà a quelli di piaget.
Linguaggio e pensiero: la teoria di Vygotskij
Donaldson e altri hanno avanzato solide argomentazioni sulla relazione tra interazione
sociale, linguaggio e risposte dei bambini nei compiti piagetiani. Quella principale è che i
bambini in età prescolare non sempre conoscono il significato delle parole quando queste
sono usate in interviste non inserite in un contesto. La posizione teorica di Donaldson si
basa sulla teoria di Vygotskij, secondo il quale uno dei compiti evolutivi in età prescolare è
quello di impossessarsi della struttura del linguaggio ed interiorizzarla come base del
pensiero verbale.
La teoria di Vygotskij sulla relazione tra linguaggio e pensiero
Vygotskij e Piaget erano in totale disaccordo sulla relazione tra linguaggio e pensiero.
Piaget sosteneva che il linguaggio inizialmente è egocentrico e diviene sociale solo
successivamente con lo sviluppo cognitivo. Per lui le prime conversazioni sono più simili
a dei monologhi che a dei dialoghi. Ne consegue che il linguaggio la comunicazione
dipendono dallo sviluppo del pensiero.
Secondo Vygotskij, il linguaggio è comunicativo fin dall'inizio. Egli riteneva inoltre che il
linguaggio e il pensiero si sviluppano parallelamente, si influenzano reciprocamente, e
assieme producono una forma di pensiero propria dell'uomo denominata linguaggio
interiore o pensiero verbale. Egli sosteneva l'esistenza di un processo evolutivo che inizia
a livello sociale, nella comunicazione tra adulto e bambino, si trasforma poi in dialogo
interiore e diviene infine pensiero verbale.
Donaldson descrive un esperimento di McGarrigle, noto come lo studio dell'“orsacchiotto
biricchino”, che è una variante del compito di conservazione del numero ideato da Piaget.
In questo caso si presentano al bambino due file con lo stesso numero di palline e poi un
orsacchiotto, manovrato dallo sperimentatore, allunga una delle due file. La maggior parte
dei bambini tra i 4 e i 6 anni rispondono correttamente che il num di palline non è
cambiato. Gli stessi bambini, tuttavia, non sono capaci di conservare se sono esaminati
col classico test di Piaget.
Light, ritenendo che i bambini possano dare risposte corrette sulla base di motivazioni
errate, ha condotto alcuni esperimenti per verificare se essi comprendano realmente il
significato della conservazione. Il comportamento dell'adulto può infatti influenzare il
ragionamento del bambino portandolo di volta in volta a pensare che la lunghezza della
fila sia rilevante o meno per il numero. Se l'adulto riorganizza di proposito la disposizione
delle palline e pone domande sul numero, il bambino può pensare che il cambiamento
nella lunghezza sia collegato a ciò che l'adulto intende per “numero”. Quando, viceversa,
la trasformazione sembra accidentale, il bambino non la mette in relazione col numero.
Light sostiene quindi che il bambino scopre il significato di “numero” mediante l'interazione
sociale durante l'intervista.
Queste dimostrazioni suggeriscono che la difficoltà dei bambini in età prescolare nei
compiti di conservazione dipende, almeno in parte, dalla difficoltà di comprendere il
significato delle domande.
Verso gli 8-9 anni questa difficoltà scompare. Sembra quindi che vi sia un reale stadio di
transizione dal periodo prescolare a quello scolare. Resta però da appurare se dipenda
dall'acquisizione di operazioni logiche coordinate nel pensiero o rifletta gli inizi del
ragionamento verbale.
La capacità di distinguere tra apparenza e realtà
Piaget sosteneva che il bambino in età prescolare ha difficoltà nel distinguere le cose
come appaiono da come sono realmente. Nonostante i successivi studi sulla percezione
abbiano smentito alcune delle sue ipotesi, resta aperta la questione se i bambini
comprendono che la percezione può essere fuorviante o se invece considerano reale tutto
ciò che percepiscono.
Flavell e i suoi colleghi hanno condotto uno studio in cui si mostrava ai bambini un pezzo
di spugna accuratamente dipinto come un sasso. I bambini potevano stringerlo e scoprire
che in realtà era spugnoso. Poi venivano poste loro due domande:
1. domanda di realtà: “che cos'è questo realmente?un sasso o una spugna?
2. Domanda di apparenza: “quando guardi questo oggetto, ti sembra un sasso o un
pezzo di spugna?
La maggior parte dei bambini di 3 anni rispondeva che l'oggetto era realmente una
spugna e che sembrava una spugna. La maggior parte dei bambini di 4 anni rispondeva
che l'oggetto era una spugna, ma sembrava un sasso.
Perner ha ipotizzato che il realismo dei bambini di 3 anni li porti a comprendere la
domanda in questi termini: “quando guardi quest'oggetto, stai guardando un sasso o una
spugna?”. E naturalmente essi rispondono: “un pezzo di spugna”. A 4 anni, invece, i
bambini cominciano ad acquisire la nozione di travisamento e possono comprendere che
la spugna può apparire come se fosse un sasso.
Questo esempio, che mette in evidenza i limiti dello stadio preoperatorio, è soggetto in
realtà alle stesse critiche mosse ai test di Piaget: l'adulto, nel tentativo di valutare le
competenze del bambino, può indurlo in errore e sottovalutarne le capacità.
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