PROGRAMMAZIONE e CONTROLLO di GESTIONE

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PROGRAMMAZIONE
e CONTROLLO
di GESTIONE
Nozioni essenziali
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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Editoriale
Esselibri - Simone
Estratto
pubblicazione
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Vietata la riproduzione anche parziale
Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:
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Nuovo dizionario di economia e gestione aziendale
Ragioneria generale
Ragioneria applicata e professionale
Elementi di economia aziendale
Elementi di organizzazione aziendale
Compendio di analisi di bilancio
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it
ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati
Ideazione e direzione scientifica del Prof. Federico del Giudice
Edizione a cura del Dott. Angelo Battagli
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri
S.p.A.
(art. 64 D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di febbraio 2008
dalla «Officina Grafica Iride» Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)
per conto della ESSELIBRI S.p.A. - Via F. Russo 33/D - 80123 Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
Estratto della pubblicazione
INTRODUZIONE
In questo lavoro si propone una descrizione dei principali strumenti che la dottrina ha teorizzato e la prassi dimostra, concretamente, di utilizzare per valutare le
performance conseguite dall’azienda.
In un momento come quello attuale, nel quale il contesto competitivo si dimostra particolarmente turbolento, per l’impresa diviene fondamentale avere a disposizione un set di strumenti che le permettano, da una parte, di pianificare correttamente la propria strategia competitiva e dall’altra, di controllare a consuntivo, o
ancor meglio in itinere, il livello con cui gli obiettivi strategici si stanno trasformando in reali traguardi conseguiti.
Il libro si pone l’obiettivo di approfondire le caratteristiche, le finalità informative, gli aspetti di maggiore problematicità degli strumenti utilizzati per l’analisi
della gestione aziendale.
Gli argomenti trattati sono suddivisi in sette capitoli che, partendo dalle problematiche di pianificazione e controllo dell’attività strategica dell’impresa, affrontano, prima, gli strumenti per l’analisi della redditività aziendale “a consuntivo” e,
successivamente, gli strumenti per la programmazione dell’attività operativa.
Nel primo capitolo si propongono alcune considerazioni in merito al concetto di
strategia. Il lavoro prosegue con una rassegna sull’evoluzione storica delle tecniche
di pianificazione, passando dal long range planning, allo strategic planning, fino a
giungere allo strategic management.
Nel secondo capitolo si introducono gli aspetti rilevanti da considerare nel momento di progettazione ed implementazione di un sistema di controllo della gestione. L’approccio seguito è quello sistemico, in base al quale il sistema di controllo
viene scomposto nella sua struttura (organizzativa e tecnico-contabile) e nel suo
processo.
Il terzo capitolo tratta dei sistemi di contabilità analitica utili per l’analisi della
redditività a consuntivo. Vengono, inoltre, tratteggiate le modalità di calcolo definite
direct costing e full costing.
Alla luce delle considerazioni svolte nel capitolo terzo, nel quarto capitolo viene affrontata la tematica dell’impiego delle informazioni sui costi nei processi decisionali. Il modello costi-volumi-risultati viene analizzato nel dettaglio, così come
vengono svolte considerazioni in merito alle modalità di definizione dei prezzi di
vendita dei prodotti, all’analisi della redditività degli stessi ed alle scelte di make or
buy.
Estratto della pubblicazione
Il quinto capitolo esamina la programmazione aziendale attuata tramite il budget d’esercizio. Di tale strumento vengono dettagliate le caratteristiche e le funzioni
assolte e ne viene proposta l’articolazione in relazione alle diverse unità organizzative aziendali coinvolte nel processo di budgeting. Il capitolo si conclude illustrando
le modalità attraverso le quali si consolidano i budget settoriali, ottenendo il budget
economico, quello finanziario e quello patrimoniale.
Nel sesto capitolo si descrive il sistema di reporting quale strumento di diffusione, ai vari livelli della struttura organizzativa aziendale, delle informazioni prodotte
dal sistema di controllo della gestione, relativamente al raggiungimento degli obiettivi programmati. La tematica viene articolata affrontando prima i requisiti che un
sistema di reporting dovrebbe possedere, per poi descrivere le tipologie di reporting
realizzabili nell’azienda.
Il settimo capitolo analizza gli strumenti “evoluti” per il controllo della gestione
d’impresa. In particolare, si descrive la metodologia di calcolo del costo di prodotto
fondata sull’Activity Based Costing, anche mediante alcune esemplificazioni. Si illustrano, inoltre, i connotati di alcuni metodi e tecniche del Cost Management (Performance Measurement, Strategic Cost Management, Target Costing) la cui finalità
principale riguarda la produzione di informazioni sulle cause dei costi e delle performance aziendali.
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO PRIMO
LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La strategia aziendale e gli approcci all’attività di
pianificazione. - 3. Le fasi del processo di pianificazione. - 4. Il controllo strategico
(nozione e cenni).
1. PREMESSA
La crescente complessità che caratterizza le relazioni intercorrenti tra il
sistema-impresa e il sistema-ambiente ha accresciuto l’interesse, della dottrina e della prassi, sul tema delle strategie d’impresa e più in particolare
sull’attività di pianificazione.
La maggiore complessità dei rapporti è determinata, in particolare, dall’accresciuto livello
di competitività dei mercati, dalla disponibilità di nuove tecniche produttive, dalla progressiva
saturazione del mercato di alcuni prodotti o settori produttivi.
Con tale attività l’azienda tende ad individuare gli obiettivi che desidera
raggiungere in un determinato arco di tempo, a predisporre i mezzi (espressi in risorse finanziarie, umane, fisico-tecniche ecc.) e a delineare i percorsi
per raggiungere tali obiettivi.
La pianificazione è sempre stata svolta dalle aziende, ma con la progressiva strutturazione
di queste ultime (dovuta anche alla loro crescita in termini dimensionali), tale attività si è
trasformata. Da una situazione in cui la stessa veniva realizzata in modo inconscio ed implicito
(quando a dirigere l’azienda c’era il solo imprenditore) si è passati ad una situazione in cui
l’attività di pianificazione viene realizzata in maniera esplicita. Con tale cambiamento, reso
necessario dall’evoluzione delle variabili interne all’azienda ed ambientali richiamate in precedenza, l’attività di pianificazione è divenuta un processo chiaramente identificato, teso a
definire obiettivi specifici e a prevedere una precisa ripartizione delle risorse disponibili e a
delineare, con chiarezza, le responsabilità individuali.
Come anticipato, nel tempo gli studi in tema di strategia si sono intensificati, seguendo un
percorso che progressivamente ha condotto ad un concetto di strategia organico all’azione
d’impresa, coerente alle teorie di management prevalenti nei diversi periodi storici. Le attuali
circostanze di contesto ambientale impongono che il contenuto dell’operare strategico d’impresa (il riferimento è, in particolare, alla strategia deliberata) deve essere trasferito in modo
veloce e immediato (con strumenti di facile comprensione) verso il basso della struttura. Attra-
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Capitolo Primo
verso ciò si chiariscono, ad ogni membro dell’azienda, gli obiettivi di fondo da raggiungere e
le azioni da intraprendere per realizzare un efficace allineamento dell’intera organizzazione.
All’interno di questo generale quadro di riferimento, è evidente che deve esserci piena
coerenza ed armonia tra le diverse metodologie e gli strumenti utilizzati per il governo dell’azienda. In particolare, l’attività di controllo strategico deve essere realizzata attraverso uno
strumento che sia di supporto al management aziendale.
2. LA STRATEGIA AZIENDALE E GLI APPROCCI ALL’ATTIVITÀ DI PIANIFICAZIONE
Le strategie aziendali rappresentano, senza dubbio, un tema di ricerca di
grande interesse e attualità ma anche particolarmente complesso, in quanto
caratterizzato da spazi di indeterminatezza e dall’utilizzo, sia in dottrina sia
nella pratica, di strumenti di analisi e terminologie differenti.
Le diverse definizioni di strategia aziendale, presenti nella dottrina, si
differenziano le une dalle altre in quanto considerano e sottolineano solo
alcuni aspetti del concetto, dei valori e dei contenuti che il termine indicato
comprende e racchiude.
L’operare strategico dell’impresa è volto ad indirizzare la gestione aziendale in una prospettiva strategica, cioè porre in condizione l’azienda di produrre ricchezza per i propri clienti nel lungo termine e di trarre, al tempo
stesso, un soddisfacente e duraturo ritorno per gli azionisti e le altre categorie di stakeholder.
A) Il concetto di strategia
Al fine di raggiungere gli obiettivi di medio-lungo termine delineati dal
top management, tutte le aziende realizzano, in modo più o meno consapevole, un progetto strategico.
L’impresa deve raccogliere, in un insieme coerente ed efficace di valutazioni preliminari e di conseguenti decisioni operative, tutti i fattori che
potranno, in prospettiva, determinare il suo successo o il suo insuccesso
competitivo. Tali fattori dovranno, pertanto, essere attentamente considerati ai fini della scelta della strategia più opportuna da perseguire.
Un primo aspetto da valutare è costituito dalla realtà ambientale in cui
l’azienda agisce, attraverso l’individuazione di quei fattori esterni ritenuti
rilevanti e quindi da considerarsi strategici.
L’idea di fondo è che attraverso un’analisi accurata dell’ambiente si colgono e si individuano quei fenomeni che, nel loro divenire, possono risultare determinanti nel generare opportunità o minacce per l’azienda. Per tal motivo, questi fenomeni vanno tenuti sotto particolare
La pianificazione strategica
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osservazione per poter rapidamente valutare le ripercussioni delle loro eventuali modifiche
sulla strategia aziendale.
In tale analisi devono essere valutati anche gli input interni all’impresa
poiché, anch’essi, possono condizionare in modo determinante l’implementazione delle stesse strategie.
Dato il profilo strategico attuale ed esaminati gli input esterni ed interni
all’impresa, il management aziendale dispone di un quadro di partenza che
gli consente di definire i possibili percorsi strategici.
Spesso gli obiettivi vengono distinti in obiettivi globali e obiettivi intermedi: i primi si
riferiscono all’azienda nel suo complesso che, in diversa misura sono riferibili a tutte le imprese orientate al profitto, in qualsiasi epoca e realtà di mercato (la sopravvivenza, la crescita delle
dimensioni, il conseguimento di una redditività del capitale investito soddisfacente, la creazione di valore ecc.); i secondi sono invece necessari per il raggiungimento degli obiettivi globali
prefissati e sono riferibili alle singole parti dell’impresa (divisione, funzione ecc.).
L’attività strategica aziendale si svolge secondo un processo continuo, caratterizzato da
azioni collegate ed articolate in momenti precisi. Si tende a ricercare, in altri termini, una
visione d’insieme dell’azienda, in cui «il pensare, il decidere e l’agire non si pongono in maniera lineare».
L’operare strategico dell’impresa non può quindi essere considerato come un’attività costituita da fasi ed operazioni strutturate e predefinite. L’esigenza della direzione aziendale è sempre
più quella di acquisire flessibilità e reattività alle mutevoli condizioni ambientali per cui il management deve assumere un comportamento «strategicamente reattivo», in grado di garantire coerenza (interna ed esterna) all’agire d’impresa secondo la mutevolezza dell’ambiente.
Le esigenze sopra indicate sono condizioni essenziali per un efficace governo aziendale ma,
in realtà, nel corso degli anni, esse sono state spesso scarsamente perseguite a causa degli approcci metodologici adottati, talvolta incoerenti ed incompatibili rispetto alle necessità ambientali.
A questo punto della trattazione si ritiene utile fornire, in breve, una panoramica sul percorso evolutivo dei modelli principali e delle teorie prevalenti che hanno guidato il management nel delineare il percorso strategico dell’impresa.
B) L’evoluzione delle logiche di pianificazione
Le modalità attraverso le quali le imprese approcciano, tipicamente, l’attività di pianificazione sono due: un primo modo che possiamo definire
estrapolativo e un secondo che possiamo definire strategico.
Con il primo metodo la programmazione futura viene vista in relazione
agli eventi passati e presenti. Le previsioni vengono, infatti, realizzate partendo da ciò che si è già manifestato, ma dato il grande grado di instabilità
dell’ambiente, tale approccio tende, attualmente, a dare risultati poco attendibili. In questo ambito rientrano le tecniche di pianificazione a lungo termine (long range planning).
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Capitolo Primo
Con il secondo approccio, l’azienda assume una posizione attiva rispetto al contesto ambientale entro il quale si trova a competere, cercando di
cogliere da quest’ultimo le opportunità e valutando i possibili rischi e minacce. Sono riconducibili a questo filone lo strategic planning e lo strategic
management.
Di seguito si riportano alcune considerazioni su tali approcci.
C) I sistemi di pianificazione a lungo termine (long range planning)
Durante gli anni ’50 e ’60, quando il futuro era più facilmente prevedibile tramite l’estrapolazione delle tendenze passate, i metodi gestionali cd.
razionali erano perfettamente adeguati a pianificare la crescita dell’impresa. Tra questi metodi manageriali i sistemi di pianificazione a lungo termine
(long range planning) erano molto diffusi.
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Quali sono i connotati che caratterizzavano il long range planning?
Innanzitutto, il futuro era ritenuto prevedibile attraverso l’estrapolazione delle passate tendenze della domanda. L’analisi dell’ambiente circostante e la ricerca o l’anticipazione degli eventuali punti deboli dell’azienda erano tenuti, dunque, in scarso rilievo. Una serie di fattori positivi concomitanti giustificavano un tale atteggiamento: la stabilità dei cambi, la continua espansione della domanda, la sicurezza dei mercati. Tali fattori assicuravano una continuità della
situazione aziendale che permetteva al management di poter trascurare le questioni legate al
posizionamento strategico e di concentrarsi sull’aspetto produttivo ed economico (economie
di scala, espansione della capacità produttiva, efficienza produttiva, competitività a breve
termine).
In aggiunta, il sistema di pianificazione era scarsamente flessibile e basato su una medesima
logica interna: dall’alto verso il basso, dal globale al parziale, dal lungo al breve termine. I
piani differivano tra di loro per il grado di dettaglio e non per l’approccio o la metodologia
decisionale adottata.
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Ma, come afferma ANSOFF, «la storia dei sistemi manageriali è una successione di invenzioni. Non appena delle nuove sfide vengono alla luce, le imprese più progressiste inventano e
provano nuovi metodi di gestione».
Attorno agli anni ’60, quando il contesto competitivo iniziò a cambiare,
modificando «le regole del gioco», l’approccio del long range planning
entrò in crisi e cominciò a farsi strada una nuova logica, definita pianificazione strategica (strategic planning). In quel momento storico si andò modificando, in buona sostanza, il rapporto tra l’impresa e l’ambiente in misura tale da rendere inadeguata la logica di pianificazione fino ad allora utilizzata.
La pianificazione strategica
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Elementi di novità, di imprevedibilità, di complessità nonché di turbolenza iniziarono a
caratterizzare sempre di più l’ambiente esterno ed a mettere in primo piano problemi relativi
alla gestione della posizione strategica dell’impresa, la quale si trovava ad affrontare un insieme di problematiche nuove associate alla maggiore competitività, all’accentuata dinamicità,
complessità ed eterogeneità dei mercati e della domanda.
La soluzione a questo «problema strategico», come lo definisce ANSOFF,
che consiste nel mancato adeguamento dei prodotti dell’azienda alla domanda del mercato, fu individuata nello strategic planning, cioè in una “razionale analisi delle opportunità offerte dall’ambiente e dai punti di forza e
di debolezza dell’impresa, nonché una selezione di un punto d’incontro (strategia) tra i due che meglio soddisfa gli obiettivi dell’azienda stessa».
Su questi aspetti è utile svolgere qualche ulteriore considerazione onde
comprenderne opportunità e limiti.
D) La pianificazione strategica (strategic planning)
La pianificazione strategica, concetto introdotto da ANSOFF, identifica
il processo attraverso il quale l’azienda esplicita le proprie strategie, traducendo in linee operative di azione ben definite gli obiettivi strategici perseguiti. Si tratta, in sostanza, del processo mediante il quale, esaminati i possibili comportamenti alternativi, l’azienda assume un comportamento attivo nei confronti dell’ambiente esterno, in modo da anticipare, affrontare o
provocare cambiamenti nello stesso.
Secondo tale impostazione, attraverso una rigorosa metodologia di analisi e di studio delle condizioni ambientali, nonché delle potenzialità dell’organizzazione, si definisce una strategia, la cui efficacia è garantita dal
rispetto puntuale di quanto si è previsto e disposto. Ad ogni membro dell’organizzazione, sono assegnati compiti specifici e, attraverso una serie di
fasi predefinite, si predispongono documenti formali (piani, programmi e
budget dettagliati), che guidano l’attuazione della strategia.
La pianificazione strategica è stata oggetto di numerose critiche, alla
base delle quali è da individuare il succedersi delle crisi economiche e sociali della fine degli anni ’70, che ne hanno dimostrato l’inadeguatezza, in
particolare per quanto riguarda i problemi che emergono in fase di applicazione dei principi teorici ad essa connessi. La discontinuità ambientale ed i
rapidi cambiamenti del contesto competitivo mal si conciliano, infatti, con
la rigida sequenza prevista per la formulazione, l’applicazione ed il controllo del piano strategico.
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Capitolo Primo
In particolare, un primo aspetto critico emerge in relazione al fatto che il processo volto
alla elaborazione della strategia aziendale si basa su modelli e sistemi sofisticati che sono
difficilmente applicabili e poco rispondenti alle esigenze che emergono nel momento della
implementazione della strategia.
Un’ulteriore considerazione, connessa a quella precedente, si riferisce alla convinzione,
propria del modello, secondo cui una strategia di successo possa essere elaborata grazie ad un
processo di analisi standardizzato, articolato e formalizzato. Particolare importanza è data, a
tale riguardo, alle tecniche di analisi e controllo, piuttosto che alle intuizioni ed alla creatività
del management aziendale. In tali condizioni, l’operatività dell’alta direzione risulta vincolata
al rispetto del piano, perdendo la percezione dei «segnali deboli» provenienti dal mercato, che
spesso non possono essere colti attraverso elaborazioni di dati consuntivi e seguendo procedure standard. Ne conseguono uno scarso coinvolgimento del management ed una limitata partecipazione ed adesione motivazionale dei membri dell’organizzazione, che vivono in modo
distaccato la formulazione e l’attuazione del piano.
Altro punto critico della pianificazione strategica riguarda la difficoltà, da parte dell’organizzazione, di attuare cambiamenti rapidi e radicali quando ciò risulti necessario. Questo aspetto
è determinato dal fatto che lo strategic planning consente di realizzare solo quei cambiamenti
collegati agli eventi ambientali che erano stati in precedenza previsti. In tale logica, il piano
strategico viene considerato unico ed immutabile. Questa situazione presenta pregi e difetti, al
tempo stesso. Da un lato, consente all’impresa di essere internamente coordinata, in quanto il
piano prevede ed attribuisce, secondo un processo formalizzato, precise responsabilità ed attività da svolgere. Dall’altro lato, si rendono possibili solo cambiamenti incrementali, di breve
termine, coerenti con quanto stabilito nel piano stesso.
In sintesi, dunque, le critiche mosse allo strategic planning si fondano
sulla sua presunta inadeguatezza a supportare efficacemente le necessità
del management, in termini di flessibilità e reattività alle modifiche continue del contesto competitivo entro il quale l’azienda opera.
E) Il management strategico (strategic management)
I mutamenti dell’ambiente competitivo creano nelle imprese la necessità di disporre di logiche di gestione e strumenti capaci di cogliere in anticipo i segnali di cambiamento, adeguando tempestivamente le strategie perseguite. Lo strategic management è un approccio all’operare strategico che
tende a soddisfare tale esigenza. Esso permette, infatti, di conseguire gli
obiettivi strategici considerando tutte le implicazioni esterne ed interne all’impresa e prestando particolare attenzione alle risorse umane ed alle informazioni, oltre che alle tradizionali risorse tecniche e finanziarie. I tratti
essenziali dello strategic management possono essere identificati:
— nella necessità di dare importanza all’attuazione della strategia e, quindi, alla realizzazione di cambiamenti strategici;
La pianificazione strategica
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— nell’esigenza di una forte reattività strategica dell’organizzazione;
— nella predisposizione ad un approccio “operativo” alla pianificazione
strategica;
— nella importanza della componente motivazionale e psicologica entro il
processo decisionale strategico.
Uno degli aspetti che merita di essere approfondito riguarda la centralità
della fase di attuazione della strategia, così come prevista nel processo logico dello strategic management. Tale rilevanza è riconducibile alla considerazione secondo cui la razionalità umana ha dei limiti che non è possibile
ignorare e superare. Questo aspetto si evidenzia, soprattutto, nel momento
in cui si definiscono le linee guida dell’operato aziendale.
Si ricorda che, contrariamente a questa visione, la strategic planning prevede la possibilità di riuscire a controllare gli eventi ambientali mediante la predisposizione di un piano dettagliato, il cui rispetto è garanzia del successo strategico dell’organizzazione.
Ciò vuol dire che le decisioni strategiche prese non possono considerarsi a priori valide ed ottimali, in quanto potrebbe accadere che fenomeni
esterni, improvvisi o interpretati erroneamente, rendano invalide le decisioni assunte o le ipotesi formulate.
3. LE FASI DEL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE
La pianificazione non può realizzarsi attraverso uno schema rigido e
valido in assoluto. Chi pianifica assolve, infatti, ad una funzione che possiamo definire creativa, che mal si adatta a fasi sequenziali. La pianificazione,
dunque, presuppone lo svolgimento di alcune fasi. Queste ultime non debbono essere intese come una rigida sequenza, quanto piuttosto come parti di
uno schema di lavoro fondato su alcuni momenti chiave di analisi e riflessione. In particolare, si fa riferimento a:
— l’analisi della situazione di partenza e della sua prevedibile evoluzione;
— l’individuazione e l’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’impresa rispetto ai suoi principali competitor;
— la definizione degli obiettivi, intermedi e generali, che si intende raggiungere;
— la formulazione delle strategie;
— la redazione, l’approvazione e l’esecuzione operativa del piano.
L’azienda, anche attraverso l’esperienza passata, definisce le strategie
possibili ed i possibili obiettivi intermedi da raggiungere per conseguire
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Capitolo Primo
l’obiettivo globale (momento che possiamo definire progetto di piano).
Definiti gli obiettivi intermedi, si passa ad analizzare i diversi esiti della
strategia prescelta cercando di simulare le conseguenze in cui rischia di
incorrere e se queste consentono il raggiungimento dell’obiettivo globale
(momento dell’analisi di fattibilità).
In relazione agli obiettivi e alla strategia individuata, l’azienda realizza
le decisioni programmate, ricevendo dall’ambiente esterno (ma anche dal
suo interno) le prime risposte in termini di coerenza che potrebbero indurla
anche a modificare il proprio piano globale (momento della revisione del
piano).
Cercheremo ora di illustrare, brevemente, le caratteristiche specifiche di
queste diverse fasi.
A) L’analisi della situazione di partenza e della sua prevedibile evoluzione
La situazione di partenza va analizzata considerando due prospettive
diverse che rappresentano anche due momenti successivi: una esterna, tesa
a verificare le condizioni dell’ambiente nel quale l’azienda si trova a competere; l’altra interna, con lo scopo di individuare i problemi e i punti di
forza dell’azienda stessa.
Abitualmente, lo studio della situazione di partenza prevede degli aspetti di analisi più dettagliata riconducibili:
— al contesto competitivo generale;
— al settore di appartenenza dell’azienda;
— alla posizione ricoperta dall’azienda nel settore di appartenenza.
1. Il contesto competitivo generale
Con la progressiva globalizzazione degli scambi, il contesto competitivo generale tende a
coincidere con l’intero pianeta. L’azienda, quindi, non è più portata a valutare l’ambiente generale riferito al solo Paese in cui ha la propria sede, ma considera le dinamiche economiche,
culturali e politico-legislative in chiave molto più estesa.
Tradizionalmente, l’evoluzione dell’ambiente generale viene classificata in: stazionaria,
ciclico-ripetitiva e dinamica. L’ambiente stazionario è caratterizzato dalla costanza degli elementi che compongono il sistema: tecnologia, gusti dei consumatori, risorse disponibili, prodotti realizzati, ecc.
Un tale contesto sembra oramai irrealistico e comunque confinato a casi molto limitati.
L’ambiente ciclico-ripetitivo, e in particolare quello dinamico, descrivono meglio la situazione attuale. Il primo si caratterizza per la variabilità degli elementi componenti il sistema, le cui
caratteristiche mutevoli si ripropongono nel tempo, seguendo cadenze più o meno standardiz-
Estratto della pubblicazione
La pianificazione strategica
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zabili e prevedibili. Il sistema, nel suo complesso, tende a rimanere costante. L’ambiente dinamico, invece, si caratterizza per la variabilità continua degli elementi componenti e per la sua
variabilità quali-quantitativa. In questo caso, l’ambiente diviene instabile e difficilmente prevedibile.
2. Il settore di appartenenza dell’azienda
L’ambiente generale non è l’unico elemento che condiziona l’azienda. Questa, infatti,
risente anche in maniera diretta dei vincoli e delle opportunità presenti nel settore specifico di
appartenenza.
Un aspetto sicuramente rilevante riguarda lo studio della concorrenza, in termini di operatori presenti nel mercato (numero, forza competitiva, strategia adottata e vantaggio competitivo detenuto, ruolo nel settore) e potenziali entranti. Con riferimento specifico a questi ultimi,
è necessario verificare la consistenza e la variabilità delle barriere d’ingresso al mercato, analizzando anche i possibili turnover del settore, la cui entità è determinata dalla consistenza
delle barriere in uscita.
3. La posizione ricoperta dall’azienda nel settore di appartenenza
La posizione dell’azienda nel settore di appartenenza può essere apprezzata valutando la
quota di mercato assoluta e relativa (valore del fatturato e suo peso sulle vendite complessive
di settore) e le caratteristiche tecnico-qualitative dei prodotti e dei servizi. In particolare, tale
analisi va realizzata considerando la posizione della concorrenza, verificando le differenze
competitive esistenti (espresse in termini di qualità dei prodotti-servizi offerti), gli strumenti
competitivi disponibili (prezzo, qualità, design, servizi pre-post vendita, canali di distribuzione ecc.), il comportamento delle best in class.
Dall’analisi del posizionamento di mercato, l’azienda deve riuscire sia a formulare una
previsione in termini di redditività e sviluppo attesi futuri, sia a delineare, con precisione, i
propri fattori chiave di successo (detti anche elementi critici di successo).
B) L’individuazione e l’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’impresa rispetto ai suoi principali competitor
L’analisi delle caratteristiche interne dell’azienda è finalizzata ad individuarne i punti di forza (caratteristiche distintive) e di debolezza. Il riferimento è normalmente ad altre aziende operanti nel medesimo settore.
Per individuare le caratteristiche distintive ed i punti critici dell’azienda, occorre focalizzare l’attenzione su risorse e competenze presenti in essa.
Le risorse individuano i beni e le altre disponibilità, anche intangibili, che
l’azienda utilizza per fronteggiare le minacce del mercato e per cogliere le
opportunità che le si presentano. Si pensi alle risorse finanziarie, materiali,
umane, organizzative e tecnologiche.
Le competenze fanno, invece, riferimento alle conoscenze disponibili in
azienda, sia codificate sia non formalizzate, che rappresentano l’apprendimento collettivo maturato ed accumulato nel corso del tempo dall’organiz-
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Capitolo Primo
zazione e che si traducono, il più delle volte, nella capacità di coordinamento produttivo nonché nella capacità di integrare proficuamente le tecnologie
disponibili. In questo senso, si comprende come le risorse e le competenze
dell’impresa rappresentino l’elemento fondamentale di ogni strategia perché connotano l’impresa stessa, attraverso l’identificazione di ciò che essa
sa meglio svolgere.
L’analisi dovrebbe produrre come output una mappatura delle fonti del vantaggio competitivo dell’azienda e delle debolezze principali presenti in essa.
C) La definizione degli obiettivi, intermedi e finali, che si intende raggiungere
La definizione degli obiettivi da raggiungere è il momento più critico
dell’attività di pianificazione. Attraverso l’individuazione degli obiettivi, si
viene a delineare il percorso di sviluppo futuro dell’impresa.
Occorre, innanzitutto, distinguere tra obiettivi generali o finali e intermedi.
I primi si riferiscono all’azienda nel suo complesso, mentre i secondi
sono relativi a specifiche aree aziendali (si pensi ad esempio agli obiettivi di
una divisione, di una funzione aziendale o ancora di un singolo reparto produttivo) o a specifiche cadenze temporali.
Un tipico obiettivo finale è rappresentato dal conseguimento di un soddisfacente saggio di rendimento a medio-lungo termine del capitale investito in azienda. Il processo di pianificazione, avendo come arco temporale di
riferimento il medio-lungo periodo, è finalizzato alla fissazione di obiettivi
da raggiungere in una prospettiva non prossima.
Tale attività, come già accennato, permette all’azienda di non ragionare solo sull’immediato, solo sugli aspetti operativi collegati alla gestione corrente, ma piuttosto di allargare
l’orizzonte di riferimento, cercando di individuare nel futuro le nuove condizioni di operatività
capaci di garantire la sopravvivenza dell’azienda stessa.
Gli obiettivi globali non sono comunque sempre semplici da individuare,
in quanto diversi sono i portatori di interessi verso l’azienda e spesso tali
interessi non sono tra di loro compatibili. Si pensi, ad esempio, all’interesse
dello Stato a sottoporre a tassazione il massimo reddito possibile e l’interesse,
opposto, degli azionisti che desiderano percepire il massimo dividendo possibile. Nella definizione degli obiettivi globali si rende, quindi, necessario redimere i conflitti di interesse che sorgono tra i diversi stakeholders cercando di
trovare un punto di convergenza, nel comune interesse dell’azienda.
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La pianificazione strategica
Gli obiettivi intermedi, come detto, possono essere, invece, considerati
dei traguardi di minore portata necessari per il raggiungimento dell’obiettivo globale.
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Come possono essere suddivisi gli obiettivi intermedi?
Possono essere suddivisi in obiettivi delle diverse aree aziendali e obiettivi sociali. I primi
sono strettamente interdipendenti tra di loro, nel senso che spesso l’obiettivo di una funzione
aziendale condiziona e viene condizionato dall’obiettivo di un’altra funzione, a seconda che
quest’ultima si ponga a valle o a monte nella realizzazione di un determinato processo. I secondi sono obiettivi che interessano, in modo generale, i dipendenti dell’azienda (es. miglioramento dell’ambiente di lavoro, offerta di servizi aggiuntivi per migliorare la qualità della vita
extra-lavorativa ecc.) e l’ambiente esterno in generale (es. riduzione dell’inquinamento, costruzione di opere ad uso sociale: asili, scuole, centri sociali, impianti sportivi ecc.).
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D) La formulazione delle strategie
Una volta definiti i propri obiettivi, occorre elaborare le strategie per
conseguirli, cioè gli specifici programmi di azione da seguire. La distinzione operata in merito agli obiettivi può essere efficacemente riproposta a
livello di strategie. Possiamo distinguere:
— strategie globali (dette anche d’impresa);
— strategie di ASA (Aree Strategiche d’Affari, ossia articolazioni d’impresa che assumono rilevanza ai fini della pianificazione e del controllo, in
quanto omogenee per attività svolte relativamente a prodotti, aree geografiche o canali distributivi);
— strategie funzionali (dette anche d’area).
Le prime riguardano l’impresa nel suo complesso e rappresentano il programma d’azione complessivo utile per raggiungere l’obiettivo globale (un
soddisfacente tasso di rendimento del capitale investito nell’impresa). Le
strategie globali coinvolgono necessariamente la composizione del portafoglio prodotti dell’azienda, in quanto è da quest’ultimo che viene generato
il flusso di ricavi, primaria fonte di finanziamento aziendale.
Le strategie a livello di ASA riguardano i programmi elaborati in relazione a specifiche combinazioni prodotto/mercato/tecnologia. La strategia
di ASA si concentra su come competere in un particolare settore di business
o segmento di mercato individuato da un sistema prodotto/mercato o servizio/cliente.
L’ASA si configura, quindi, come una unità di sintesi all’interno dell’azienda, con una
specifica ed autonoma responsabilità reddituale. La struttura economica della singola ASA è
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Primo
generalmente indipendente da quella delle altre ASA e presenta, quindi, esigenze di conduzione strategica differenziata che dipendono dalla situazione specifica dell’arena competitiva nella quale l’azienda si trova ad operare.
Mentre la strategia aziendale mira a governare una pluralità di settori o di mercati (possiamo anche dire di ASA), la strategia di ASA affronta, ad esempio, le problematiche di un singolo mercato o di un singolo segmento di mercato. In definitiva allora, mentre la strategia aziendale ha come obiettivo la distribuzione delle risorse tra business differenti per il raggiungimento dell’obiettivo globale, la strategia di ASA si preoccupa di distribuire le risorse tra la pluralità
di funzioni interne, con lo scopo di aumentare la capacità competitiva dell’azienda.
Le strategie funzionali, invece, sono rappresentate dai programmi d’azione delle singole funzioni aziendali, predisposti per raggiungere gli obiettivi
stabiliti a livello analitico. Tradizionalmente, le strategie funzionali vengono distinte in:
— strategie di marketing;
— strategie di ricerca e sviluppo;
— strategie di produzione;
— una elevata penetrazione nei mercati internazionali, ecc.;
— strategie del personale e dell’organizzazione;
— strategie finanziarie.
Generalmente le strategie funzionali riguardano l’ottimizzazione della
produttività delle risorse attribuite a ciascuna area aziendale. Ciò nella logica dell’integrazione delle attività a supporto della strategia aziendale e dello
sviluppo di competenze distintive ulteriori dell’intera organizzazione. Si
pensi, ad esempio, all’attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti/servizi,
all’utilizzo di nuovi strumenti finanziari, all’ideazione di nuove forme di
distribuzione ecc.
E) La redazione, l’approvazione e l’esecuzione operativa del piano
L’ultimo step del processo di pianificazione riguarda la predisposizione
dei piani, la loro approvazione e la successiva esecuzione operativa.
I piani rappresentano i documenti formali che raccolgono, a livello aziendale, di ASA e di funzione, gli aspetti economici, finanziari e patrimoniali
riguardanti le azioni pianificate dall’impresa.
Il percorso che normalmente si segue per stendere il piano complessivo
prevede prima la formazione dei piani di funzione, per poi ragionare a livello di singole ASA e, infine, attraverso un processo di consolidamento, si
arriva a definire il piano globale aziendale.
Estratto della pubblicazione
La pianificazione strategica
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Il livello di analisi/dettaglio tende a diminuire man mano che l’oggetto
di riferimento del piano cresce (dalla funzione all’intera azienda), nel senso
che le informazioni analitiche del piano globale sono rintracciabili all’interno dei documenti che hanno reso possibile la sua stesura.
In particolare, i piani di funzione debbono chiaramente esplicitare le risorse, i tempi e le
altre prescrizioni operative idonee a favorire la concreta attuazione dei piani aziendali. I piani
a livello di ASA devono, a loro volta, prevedere tempi, modi e qualità delle risorse da distribuire alle diverse funzioni che operano nelle varie ASA aziendali. Da ultimo, il piano globale,
riguardando l’azienda nel suo complesso, si articola in relazione alle dimensioni economicofinanziarie che descrivono il fenomeno aziendale.
È possibile distinguere i seguenti piani:
—
—
—
—
economico;
degli investimenti;
delle fonti di finanziamento;
patrimoniale.
Il piano economico comprende tutti i costi e i ricavi delle singole funzioni aziendali ed evidenzia i risultati economici previsti nel periodo di riferimento.
Il piano degli investimenti riguarda tutti gli investimenti in fattori a fecondità ripetuta che le diverse funzioni aziendali hanno dichiarato di dover
acquisire, durante il periodo di riferimento del piano stesso, per raggiungere
gli obiettivi stabiliti.
Il piano delle fonti di finanziamento contempla, in relazione al fabbisogno finanziario determinato dalle scelte esplicitate nel documento economico e degli investimenti, le fonti di finanziamento che presentano le migliori caratteristiche in termini di economicità, elasticità e modalità di rimborso.
Il piano finanziario può anche evidenziare l’impossibilità di realizzare il determinato programma previsto in sede di pianificazione, a causa dell’insufficienza delle risorse disponibili.
La situazione, eventuale, di insostenibilità chiaramente rialimenta tutto il processo di pianificazione e costringe il management a rivedere le azioni o gli obiettivi posti alla base della
pianificazione aziendale.
Il piano patrimoniale pone in evidenza le conseguenze che la pianificazione ha sulla struttura del capitale aziendale, cioè sulla composizione degli
impieghi (a diverso titolo) e delle fonti (sia di natura esterna sia di natura
interna) di capitale.
Estratto della pubblicazione
18
Capitolo Primo
Una volta redatto il piano globale (e di conseguenza anche quelli più
analitici) lo stesso deve essere sottoposto ad approvazione degli organi aziendali. In caso di mancata approvazione, è necessario procedere ad una sua
revisione e, quindi, ad una nuova formulazione.
Il piano approvato viene poi disaggregato in documenti ancor più analitici, che coprono un arco temporale più ridotto. Essi sono sintetizzati nel
budget d’esercizio (sulle loro funzioni, caratteristiche e strutture si tornerà
nel quinto capitolo). Essendo il piano globale riferito ad un arco temporale
di 3-5 anni, il budget d’esercizio ha la funzione di coprire, con informazioni
di dettaglio, il periodo temporale di riferimento in modo scorrevole. Ciò
significa che annualmente si procede ad aggiornare il documento di programmazione, spostando il periodo temporale di un anno in avanti.
A tali attività segue quella del controllo dell’esecuzione del piano, che si
estrinseca, normalmente, attraverso il controllo della realizzazione del budget
d’esercizio (controllo budgetario) e l’aggiornamento del piano strategico.
4 IL CONTROLLO STRATEGICO (NOZIONE E CENNI)
Il periodo storico in cui si apre il dibattito sull’esistenza del controllo
strategico coincide con il momento in cui si affermano i paradigmi dello
strategic planning. Fare strategia, in tale contesto, significa predisporre un
piano. Il controllo strategico si sostanzia, quindi, nella verifica della formulazione del piano stesso, oltre che della corrispondenza dei risultati generati dalla strategia elaborata rispetto a quanto previsto dalle ipotesi poste
a fondamento del processo di pianificazione.
Tra i primi Autori ad introdurre il concetto di controllo strategico vi è senza dubbio LOche lo considera, in un primo periodo di studi, come la fase conclusiva del processo di
pianificazione. In altri termini, si fa riferimento al momento di controllo del piano strategico.
A fronte dell’evoluzione imprevedibile e repentina dell’ambiente, le aziende avvertono
sempre più l’esigenza di disporre di un sistema di controllo e verifica riferito alla validità del
piano. Da questo punto di vista, il controllo strategico viene concepito come un processo che,
attraverso il confronto tra gli obiettivi pianificati ed i risultati conseguiti, verifica la coerenza
nell’implementazione del piano stesso. Punto debole di tale logica consiste nel considerare
qualsiasi scostamento rispetto agli standard ipotizzati come episodio negativo. In altri termini,
le ipotesi iniziali vengono ritenute le uniche possibili e valide ai fini del successo aziendale, in
quanto il futuro era stato opportunamente pianificato nel momento iniziale di redazione del
piano.
Un’evoluzione di questo approccio al controllo strategico prende in considerazione le
forti discontinuità o «sorprese strategiche» cui le aziende sono sottoposte. Si delinea, quindi,
un profilo più completo del controllo stesso.
RANGE ,
Estratto della pubblicazione
La pianificazione strategica
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Per riuscire a controllare la validità della strategia al mutato contesto ambientale, occorre
disporre di strumenti che permettano al management di rafforzare il collegamento tra strategia
e gestione operativa. Si rendono necessarie informazioni che favoriscano una costante verifica
dell’implementazione della strategia.
Una prima caratteristica che il sistema di controllo strategico dovrebbe
possedere, per soddisfare le finalità appena ricordate, riguarda la capacità di
anticipare, in termini informativi, gli effetti che le modifiche ambientali
hanno sul raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Solo in questo modo diviene possibile realizzare aggiustamenti ed interventi correttivi sul percorso strategico intrapreso.
Altro requisito del sistema fa riferimento alla capacità di selezionare ed
individuare gli indicatori strettamente collegati ai fattori chiave sui quali si
fonda il vantaggio competitivo dell’azienda. Tali fattori rappresentano, infatti, gli elementi principali su cui far leva per migliorare la strategia futura.
A quest’ultimo riguardo, è utile ricordare che sempre più il vantaggio competitivo delle imprese è associato a fattori di tipo immateriale, il più delle
volte di difficile quantificazione monetaria. Gli indicatori del controllo strategico devono, quindi, essere correlati anche a dimensioni diverse da quelle
tradizionali (economico-finanziarie), sposando, in particolare, la dimensione fisico-tecnica.
Di seguito si propongono alcune riflessioni sulla reale utilità del controllo strategico nei momenti di formulazione della strategia aziendale e
successivamente nel momento di realizzazione della strategia stessa.
A) Il controllo strategico come guida nell’implementazione della strategia
Attraverso il controllo strategico, la valutazione della strategia si trasforma da momento
puntuale (ex ante ed ex post) a processo continuo, volto ad assicurare il costante raccordo tra
l’attività operativa e quella strategica ed a monitorare che i risultati conseguiti siano raggiunti
in modo conveniente ed adeguato.
L’attività di controllo della strategia, durante la sua implementazione, trova fondamento
in due possibili gap rinvenibili nella realtà aziendale:
— gap di efficacia. I risultati ottenuti, confrontati con i segnali provenienti dall’ambiente,
potrebbero divergere rispetto a quanto atteso;
— gap di efficienza. L’efficienza dei risultati ottenuti è insoddisfacente rispetto a quella programmata, tanto da rendere necessari interventi utili a modificare i programmi d’azione.
Con riferimento al primo aspetto, ci si rifà a quanto già affermato in relazione all’utilità
che il controllo strategico assume in sede di riformulazione della strategia. Le informazioni
prodotte dal controllo potrebbero persino portare ad una ridefinizione delle attività operative e
direzionali previste originariamente in sede di pianificazione.
20
Capitolo Primo
Il secondo gap delineato assume connotati ancor più critici, per certi aspetti, considerando
che dalle risultanze del controllo strategico emerge l’inadeguatezza delle azioni intraprese
rispetto agli obiettivi prefissati. In questa ipotesi, la situazione riscontrata attraverso il controllo strategico evidenzia che il grado di efficienza raggiunto dall’organizzazione, nella realizzazione di uno o più programmi operativi, non è compatibile con il compimento futuro del complessivo progetto strategico aziendale.
B) L’analisi delle strategie e della dinamica competitiva: alcuni strumenti
L’analisi dell’efficienza e dell’efficacia strategica dell’impresa può essere, in parte, supportata dalla produzione di alcune informazioni strutturate, attraverso strumenti messi a punto dalla prassi operativa ed, in particolare, da società di consulenza strategica e manageriale. Tra i modelli principali disponibili vi sono quelli orientati al monitoraggio della posizione competitiva dell’impresa e del suo vantaggio. Si fa riferimento, in particolare,
alle matrici «competitive» ed all’analisi dei dati sulle condotte competitive
dei concorrenti.
Le matrici costituiscono uno strumento interpretativo-normativo, normalmente utilizzato per identificare il posizionamento dell’impresa nel
mercato o, meglio, quello che sarebbe conveniente raggiungere per conseguire gli obiettivi pianificati. Le matrici più note sono quelle realizzate dalla BOSTON CONSULTING GROUP (BCG) e da GENERAL ELECTRIC/
MCKINSEY.
Figura 1: La matrice del BOSTON CONSULTING GROUP
Quota di mercato
alto
1
bassa
Star
Question
Mark
Cow
Dog
Cavalli
di battaglia
Fossili
10%
negativo basso
Tasso di sviluppo
alta
Fonte: riadattato da L. Sicca, La gestione strategica dell’impresa. Concetti e strumenti, II
edizione, Cedam, Padova, 2001, p. 748.
La pianificazione strategica
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Nella prima matrice (Figura 1) le varie unità di business sono classificate in base a due dimensioni: il tasso di sviluppo o di crescita di mercato e la
quota di mercato. La prima è ritenuta la migliore misura per esprimere il
grado di attrattività del settore, mentre la seconda traduce, in modo efficace, la posizione competitiva dell’azienda rispetto al suo maggior concorrente. Il tasso di sviluppo del mercato è dato dalla variazione percentuale delle
vendite complessive del mercato nell’anno «n», rispetto all’anno «n-1».
Nel modello, la BOSTON CONSULTING GROUP (BCG) ritiene che
un tasso di crescita del 10% possa considerarsi alto. La quota di mercato è
determinata come rapporto tra le vendite dell’azienda e le vendite del più
forte concorrente. Il dato relativo al tasso di sviluppo si ricava, in genere, da
fonti esterne, mentre la quota di mercato relativa dovrebbe essere già disponibile dall’analisi degli input strategici esterni.
Con questa matrice si visualizzano i punti di forza e di debolezza di un
portafoglio strategico di prodotti, individuando le alternative strategiche per
ogni business verso cui orientarsi. Si forniscono, inoltre, importanti indicazioni relative alla capacità di creazione di flussi di cassa, relativamente ad
ogni quadrante. In particolare, posizionando i propri prodotti nei sei quadranti, è possibile prevedere l’andamento dei profitti e dei flussi di cassa e,
dunque, identificare il miglior percorso strategico. Questo, nella logica della BOSTON CONSULTING GROUP, dovrebbe essere volto a mungere le
vacche (cow) ed i cavalli di battaglia, investire nelle stelle (star), disinvestire i cani (dog) ed i fossili, analizzare gli interrogativi (question mark) per
poterli eventualmente trasformare in prodotti generatori di flussi di cassa
positivi.
Le critiche apportate al modello riguardano, innanzitutto, la sua estrema
semplificazione della realtà, dato che la focalizzazione è su solo due variabili di riferimento, che male si prestano a sintetizzare l’effettivo posizionamento sul mercato di un prodotto. Viene, inoltre, criticata la correlazione
implicitamente ipotizzata nella matrice tra la redditività dei prodotti e le
due dimensioni di analisi.
Le finalità informative soddisfatte dalla matrice GENERAL ELECTRIC/
MCKINSEY dovrebbero supportare il top management nelle scelte fra alternative strategiche (Figura 2). Con questo strumento si cerca di superare alcuni
dei limiti insiti nella matrice BCG, attraverso l’allargamento dell’analisi dalle
due variabili della crescita e della quota di mercato alle dimensioni dell’attrattività del settore e del vantaggio competitivo dell’azienda.
22
Capitolo Primo
Il grado di attrattività è stimato in funzione di fattori quali la dimensione del mercato ed il suo tasso di crescita (usualmente posto pari al tasso
reale di crescita degli ultimi 10 anni), la redditività del settore (dato dal Ros
medio degli ultimi tre anni dei competitor), la ciclicità delle vendite (data
dalla deviazione media percentuale del trend delle vendite del settore), la
reattività all’inflazione (ossia la capacità di controbilanciare gli incrementi
di costo con una produttività maggiore e con aumenti di prezzi), l’importanza dei mercati esteri (data dalla propensione media all’esportazione), le
barriere all’entrata.
Il Ros è un indicatore di redditività calcolato rapportando il reddito operativo al valore delle
vendite. Per maggiori approfondimenti sugli indici di bilancio utili a monitorare il profilo economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa, si rinvia alla vasta bibliografia disponibile.
FIGURA 2: LA MATRICE GENERAL ELECTRIC/MC KINSEY
alto
medio
basso
alta
Investimenti
e crescita
Investimenti
e crescita
Strategia
selettiva
bassa media
Capacità competitiva
Grado di attrattività
Investimenti
e crescita
Strategia
selettiva
Mietitura/
abbandono
Strategia
selettiva
Mietitura/
abbandono
Mietitura/
abbandono
Fonte: riadattato da L. Sicca, La gestione strategica dell’impresa. Concetti e strumenti,
cit., p. 751.
La capacità competitiva è misurata, invece, facendo riferimento alla
posizione nel mercato (quota di mercato posseduta rispetto ai tre più significativi concorrenti), alla posizione competitiva rispetto a fattori critici di
successo (quali la tecnologia, la distribuzione, la produzione ecc.), alla redditività relativa (comparando il Ros dell’impresa con quello dei tre principali concorrenti).
La matrice si compone, per ciascuna dimensione di analisi, di tre livelli
(alto, medio e basso). Dagli incroci possibili emergono indicazioni circa le
strategie da perseguire per il successo aziendale. Le informazioni per il comEstratto della pubblicazione
23
La pianificazione strategica
portamento strategico che ne derivano sono essenzialmente riconducibili a
tre categorie:
— le attività in alto a sinistra della matrice sono considerate da potenziare,
attraverso strategie di sviluppo e d’investimento;
— le attività in basso a destra sono da “mietere”, attraverso strategie di
realizzo, in quanto presentano potenziali di crescita e di profitto nulli o
addirittura negativi;
— le attività disposte sulla diagonale sono da selezionare, nel senso che
devono essere sottoposte a verifica in relazione alle potenzialità di sviluppo del mercato e di profitto. Qualora le prospettive siano positive,
tali attività verranno mantenute, diversamente verranno dismesse.
Un altro strumento utile all’analisi strategica riguarda l’utilizzo di data
base informativi, disponibili presso istituzioni pubbliche o private, attraverso cui valutare i volumi di vendita e la dinamica commerciale, nonché realizzare analisi di bilancio per attuare comparazioni nel tempo e nello spazio
dell’impresa rispetto ai suoi principali competitor. Si tratta, ovviamente, di
analisi a consuntivo che scontano tutti i limiti propri del bilancio di esercizio, legati alla storicità degli andamenti rappresentati ed alla ridotta propensione all’informazione, tramite il bilancio di esercizio, di alcune imprese.
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Cosa si intende per benchmarking?
Con tale termine si intende l’attività sistematica di controllo della concorrenza, tramite il confronto delle performance realizzate. La finalità ultima di questa attività è rintracciabile nella
individuazione delle fonti del vantaggio competitivo delle migliori aziende (best in class) in
modo tale da cercare di ridurre le differenze e colmare il gap esistente rispetto a queste ultime.
Attraverso tale tecnica si tende, quindi, ad estendere l’attività di controllo delle performance
oltre i confini aziendali. La verifica sistematica dei punti di forza e di successo delle best in
class dovrebbe stimolare la comprensione delle soluzioni produttive, organizzative o gestionali adottate, che potrebbero essere utilmente importate in azienda.
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C) Gli strumenti per la comunicazione dei risultati del controllo strategico
Un rilievo sempre maggiore vanno assumendo, in ambito aziendale, gli
strumenti utilizzati per rappresentare sistematicamente i risultati del controllo strategico. Si tratta di tecniche di comunicazione interna alimentate
dalle informazioni prodotte dal sistema informativo aziendale e relative,
tipicamente, alle seguenti dimensioni:
— quote di mercato e tasso di crescita sostenibile dall’impresa;
Estratto della pubblicazione
24
Capitolo Primo
— volumi di cash flow generati nel periodo di riferimento. Tale quantità
esprime l’ammontare di risorse liquide che l’impresa ha generato nel
periodo. Si tratta di un indicatore di primaria importanza, in particolare
quando riferito alla sola gestione reddituale, in quanto segnala la propensione del reddito a generare flussi di denaro;
— indicatori di performance per la valutazione del valore creato, in particolare l’EVA (Economic Value Added). Questo indicatore ha la finalità
di misurare il valore economico, creato attraverso la strategia, in riferimento all’impresa nel suo complesso, ad un’attività particolare o ad un
progetto. Il valore economico è calcolato rispetto al capitale investito
per realizzare la strategia stessa (capitale proprio + capitale di debito), al
netto del costo sostenuto per approvvigionarsi di tale capitale;
— indici di bilancio, comparati nel tempo e nello spazio. Hanno lo scopo di
monitorare la situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’azienda. Il loro confronto nel tempo serve a verificare il trend di sviluppo (o
eventualmente di declino) dell’impresa, mentre il confronto nello spazio offre la possibilità di comparare le performance aziendali con quelle
di altre imprese simili per settori produttivi, dimensioni ecc.;
— indicatori di natura fisico-tecnica. Sono parametri quantitativi che servono, in alcuni casi meglio degli indicatori economico-finanziari, a monitorare l’andamento delle variabili chiave del successo competitivo dell’impresa. Si pensi, ad esempio, agli aspetti reali della produzione, al livello di
soddisfazione della clientela, ai tempi medi di risposta alle sollecitazioni
del mercato, al tasso di innovazione tecnologica dell’azienda ecc.
Gli indicatori sopra riportati possono essere integrati in “cruscotti” aziendali, cioè in prospetti che sintetizzano e riepilogano le performance raggiunte dall’impresa in un determinato arco di tempo. Tali strumenti, tramite
le informazioni comunicate, supportano il management nell’attività di controllo strategico. Al riguardo, assumono particolare interesse il tableau de
bord e la balanced scorecard.
Di seguito vengono svolte alcune considerazioni di sintesi su tali strumenti, in particolare sulla balanced scorecard, su cui sempre più aziende
sembrano fare affidamento.
1. Il Tableau de bord
Il tableau de bord rappresenta un cruscotto di indicatori chiave di supporto al management, elaborato dalla prassi francese. Esso si fonda in preEstratto della pubblicazione