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La genetica del comportamento: lo studio
delle malattie mentali.
Introduzione
I recenti grandi successi dei biologi nel mappare, manipolare, e sequenziale il genoma
umano hanno risvegliato propositi eugenetici.
James Watson una decina d’anni fa affermava: “Ora sappiamo che, almeno in gran parte, il
nostro destino è scritto nei geni”.
Daniel e. Koshland Jr, biologo dell’Università della California e redattore di Science ha
dichiarato in un editoriale “sostanzialmente terminato” il dibattito “ereditarietà contro
circostanze ambientali”, sostenendo che la ricerca genetica contribuirà ad eliminare
problemi sociali quali tossicodipendenza e criminalità.
Gli studi che si sono susseguiti da quando Galton, il padre dell’eugenetica, aveva
utilizzato gemelli monozigoti per “dimostrare” che la componente ereditaria prevaleva
nettamente su quella ambientale, sono stati spesso superficiali o poco rigorosi, vedi studio
su “supermaschi”, sui gemelli del Minnesota (1990) ecc.
Inoltre i mass media hanno contribuito a diffondere false informazioni, anche tra i
cosiddetti esperti, mettendo in risalto solo presunte scoperte di geni, e mai le smentite.
Definizione di comportamento
Ogni insieme di manifestazioni di un organismo vivente che siano osservabili dall’esterno,
che siano dotate di un certo carattere di uniformità, e che avvengano in risposta ad uno
stimolo.1
Un fenotipo comportamentale spesso è discontinuo, ad es. è il caso dello stirarsi di un
mammifero dopo aver dormito.
Caratteri come altezza, QI e aggressività sono invece continui o approssimativamente tali.
La base teorica: la genetica quantitativa.
La genetica quantitativa è lo studio della genetica dei caratteri che variano in modo
continuo (es. altezza, QI…) o approssimativamente tale (ocelli di Drosophila).
Quindi la differenza tra caratteri mendeliani e caratteri quantitativi non sta nel numero di
loci genici ma nel numero dei fenotipi possibili.
Per molto tempo la variazione continua di un carattere, es. altezza, è stata considerata una
prova inconfutabile di un controllo multigenico (ipotesi multifattoriale), cioè la
conseguenza dell’influenza, sullo stesso carattere, di un gran numero di geni con più di un
allele (poligene).
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GDE UTET
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Questo però non è necessariamente vero. Infatti anche un solo gene con due alleli può dar
luogo ad una distribuzione fenotipica continua. Questo accade quando la varianza
ambientale è grande in confronto alle differenze tra le medie genotipiche.
In ascissa c’è l’altezza
Cioè se per un dato carattere, es. altezza, la variabilità all’interno delle classi genotipiche è
bassa e le differenze fenotipiche tra i genotipi sono alte il carattere sarà quantitativo.
Viceversa, se in un dato ambiente, diversi genotipi presentano distribuzioni genotipiche
non sovrapposte, come nella figura sottostante, si può intraprendere un’analisi mendeliani
convenzionale.
Minore variabilità fenotipica in ciascun genotipo e maggiore differenza tra i genotipi
Ereditabilità
Molto spesso negli studi genetici sulle malattie si ricorre al termine di ereditabilità. Si
definisce ereditabilità di un carattere in una popolazione la proporzione della varianza
fenotipica dovuta a differenze genetiche.
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Dalla definizione segue che:
Ereditabilità non dice quanto un carattere dipenda da fattori genetici, perché
l’esistenza di qualunque carattere dipende in larga misura dal genoma.
L’ereditabilità si riferisce alla varianza di un carattere.
L’ereditabilità non si riferisce a singoli individui in quanto il suo soggetto è la
varianza e come tale è riferita ad un insieme di individui.
L’ereditabilità per un dato carattere non è fissa, cioè non esiste un’ereditabilità
universale, in quanto essa dipende dalla popolazione studiata, sia dalla sua
composizione genetica, sia dall’ambiente in cui vive.
Infine, a differenza di quanto spesso si crede:
Un alto valore di ereditabilità non implica che il carattere non possa essere
modificato dall’ambiente.
Ereditabilità non è l’opposto di plasticità fenotipica.
Psicologi, sociologi, medici ed altre categorie di studiosi si sono occupati più volte
dell’ereditabilità di alcuni caratteri umani nell’erronea credenza che la dimostrazione
dell’ereditarietà di un carattere fosse equivalente alla dimostrazione della sua non
modificabilità da parte dell’ambiente e della società. L’esempio forse più famoso è la
pubblicazione nel 1969 di un articolo dello psicologo e pedagogo A. R. Jensen sulla
Harvard Educational Review in cui si dice che il QI non può essere molto aumentato a
causa della sua elevata ereditabilità. L’errore sta nell’equazione: ereditabilità = non
modificabilità, che è falsa.
Ereditabilità non deve essere confusa con familiarità. Facciamo un esempio.
Le differenze linguistiche pur essendo familiari non sono genetiche. Quindi un carattere si
definisce familiare se i membri della stessa famiglia lo presentano qualsiasi sia la ragione,
ma è ereditabile solo se la ragione è il fatto di avere in comune lo stesso genotipo.
Molte caratteristiche umane, come il temperamento, le abilità cognitive, e alcuni
comportamenti tra cui alcolismo e malattie mentali sono stati studiati e alcuni di essi
hanno mostrato familiarità. Ad esempio c’è una correlazione positiva nei punteggi di QI
tra genitori e figli, correlazione che è circa 0,5 nelle famiglie americane bianche, ma questa
non distingue tra ereditabilità e familiarità. Per effettuare questa distinzione è necessario
eliminare la correlazione ambientale tra i genitori e i figli, e per questo motivo si sono fatti
molti studi sulle adozioni. Ma siccome il rimescolamento veramente casuale degli
ambienti è difficile anche nel caso delle adozioni, le prove sull’ereditabilità delle
caratteristiche della personalità e del comportamento restano in una certa misura ambigue
nonostante il numero di studi sull’argomento sia enorme.
In conclusione:
Negli organismi da laboratorio possiamo stabilire quanto un certo carattere sia
ereditario, mentre negli esseri umani ciò è molto difficile.
Caratteri soglia
Sono quei caratteri discontinui che non mostrano semplici modelli mendeliani di eredità.
Esempi di tali caratteri sono: diabete, schizofrenia, ecc.
Nella determinazione di questi caratteri è probabile che siano coinvolti geni multipli (o
poligeni) e influenze ambientali. Un fenotipo X deriva da molte diverse combinazioni
genetico-ambientali. Certe combinazioni invece producono un fenotipo non-X, perche la
somma dei contributi degli alleli in queste combinazioni, assieme all’interazione con
l’ambiente, non ha superato la soglia.
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Per alcuni caratteri studi su gemelli in parte sembrano aver indicato la componente
genetica di questi caratteri.
Molti caratteri comportamentali possono essere determinati da caratteri soglia, anche se
un singolo gene può avere un semplice effetto in un comportamento (vedi sindrome di
Lesch-Nyhan).
La genetica e le malattie mentali
Esempi di fenotipi comportamentali in cui l’influenza
genetica è nota
Alterazioni di un solo gene
Sindrome di Lesch-Nyhan
E’ dovuta ad un gene recessivo, sul cromosoma X, il cui allele normale controlla la
produzione dell’enzima HGPRT (ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi), necessario
per il metabolismo delle purine. Maschi emizigoti per questo allele mutato si mordono
inguaribilmente le labbra e le dita mutilandosi. Altri sintomi sono deficienza mentale,
spasticità e gotta. La patogenesi è ignota.
Sono note le conseguenze biochimiche:
elevati livelli di PRPP
aumentata velocità di biosintesi di purine dalla via de novo
elevati livelli di urato
Inoltre è noto che nel cervello i livelli normali di HGPRT sono più alti che negli altri tessuti
ed è più basso il livello dell’enzima amidotransferasi.
Manca la comprensione a livello neurobiologico.
Questa sindrome comunque dimostra che la via di recupero di guanina e ipoxantina per la
sintesi di GMP e IMP non è superflua, e più in generale che quadri anormali come
automutilazione e aggressività possono essere causati dall’assenza di un singolo enzima.
Porfiria
Un difetto nella sintesi dell’eme ha molte conseguenze, tra cui gravi disturbi mentali.
Deficit di CREST
In uno studio pubblicato sul numero del 9 gennaio della rivista "Science", il biologo
Arnivan Ghosh e colleghi presentano la scoperta del primo gene, CREST, che media i
cambiamenti nella struttura dei neuroni in risposta al calcio.
“Il cervello di topi privi della proteina CREST sembra del tutto normale alla nascita, ma
non si sviluppa in modo normale in risposta all'esperienza sensoriale. Questo è quello che
capita anche negli esseri umani con alcuni disturbi dell'apprendimento: i bambini
sembrano inizialmente normali, ma all'età di due o tre anni diventa chiaro che non sono in
grado di acquisire nuove conoscenze".
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Sbilanciamenti genici
Sindrome di Down
La presenza di un terzo cromosoma di tipo 21 è associata, oltre a determinati caratteri
fisici, a tratti comportamentali distintivi come socievolezza, giovialità, amore per la
musica, QI compreso tra 20 e 50.
Sindrome di Turner (XO)
Sebbene il loro QI sia normale hanno problemi in test in cui si deve visualizzare una certa
forma nello spazio e spesso a scuola vanno male in matematica a dispetto di un normale
rendimento nelle altre materie.
Trisomia XYY
Un’indagine negli anni ’60 concluse che uomini con un cromosoma Y in più fossero
predisposti ad un comportamento criminale, ma studi successivi hanno indicato che
questa predisposizione non sussiste, sebbene questi uomini siano tendenzialmente più alti
e meno intelligenti.
Le malattie mentali
Le malattie mentali oggi sono scientificamente riconosciute come malattie del corpo. Si
parla di malattia mentale quando sussiste un disturbo diagnosticabile del pensiero,
dell’umore o del comportamento, che porta angoscia e disfunzioni.
Le prime ricerche sistematiche sulle basi genetiche delle psicopatie risalgono agli anni ’30
ad opera di Eliot Slater che pubblicò il primo trattato sulla materia, Genetics Of Mental
Disorder, nel 1971. Da allora le ricerche sono proliferate e hanno portato ad aspre diatribe
sulla questione eredità-ambiente.
La maggior parte degli studi genetici hanno riguardato la schizofrenia, una malattia di cui
parlerò più avanti.
Il problema metodologico fondamentale che riguarda gli studi familiari sui disturbi
mentali è che nel caso in cui un genitore sia malato, e quindi i bambini crescano in un
ambiente emotivamente instabile, è molto difficile distinguere le influenze genetiche da
quelle ambientali. Per evitare questo problema gli studi più recenti si sono avvalsi dello
studio gemellare.
Breve GLOSSARIO
Psicologia: la scienza della mente.
Psicopatia: termine originale per indicare una malattia mentale, ormai generalmente in
disuso.
Psicopatologia: disciplina che studia le alterazioni psichiche nel loro aspetto generale
cercando di stabilirne le leggi e quindi l’evoluzione. Usato anche per indicare la malattia.
Psicosi: stato che comprende una serie di disturbi del pensiero (delirio), dell’affettività e
della percezione, che combinati tra loro in varia misura si traducono, sul piano del
comportamento, in una limitazione, più o meno grave, del contatto con la realtà.
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I disturbi d’ansia
Un’espressione inappropriata (patologica) della paura è ciò che caratterizza un disturbo
d’ansia, che è il più comune disturbo psichiatrico.
La paura è un meccanismo di risposta automatico mediato dalla divisione simpatica del
sistema nervoso autonomo.
Spesso è innata (un topo non deve imparare a temere un gatto), ma può anche essere
appresa (cavallo e staccionata elettrica).
I vari disturbi d’ansia.
Disturbo di panico
Metà delle persone con questo disturbo hanno una depressione maggiore ed il
25% diviene alcolizzato o sviluppa problemi legati all’abuso di sostanze.
Agorafobia
Disturbo ossessivo – compulsivo
Disturbi d’ansia generalizzati
Fobia specifica
Fobia sociale
Disturbo post- traumatico da stress
E’ stato stimato che in Italia ogni anno più del 22% dei maschi e del 9% delle femmine
soffrono di un disturbo d’ansia.
Genetica
E’ stato stabilito che esiste una predisposizione genetica per molti disturbi d’ansia,
sebbene non sia stato individuato alcun gene specifico.
Per altri disturbi d’ansia sembra che l’origine sia negli eventi stressanti della vita.
Base biologica
Ogni risposta di paura provoca, tra le altre cose, il rilascio di cortisolo da parte del surrene.
Il cortisolo ha un effetto di inibizione sul suo stesso rilascio andando ad agire sui recettori
glucocorticoidei dell’ippocampo. L’esposizione continuativa al cortisolo, come accade in
casi di stress cronico, può portare, negli animali da laboratorio, al deperimento o alla
morte dei neuroni dell’ippocampo. Questo fenomeno che ha come conseguenza
l’inattivazione del meccanismo di controllo a feedback e quindi un ipersecrezione di
cortisolo, cioè una risposta allo stress amplificata che accentua i danni all’ippocampo
dando luogo a un circolo vizioso (feedback positivo).
L’ambiente che interagisce con l’espressione genica
Nei ratti è stato dimostrato che l’espressione dei recettori glucocorticoidei ippocampali
può essere modificata in maniera duratura dall’esperienza sensoriale precoce. Cuccioli che
hanno ricevuto cure materne maggiori (o maggior stimolazione tattile) aumentano la
trasmissione serotoninergica che provoca un aumento duraturo nell’espressione dei
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recettori glucocorticoidei nell’ippocampo. Inoltre presentano minori livelli di CRH
nell’ipotalamo e da adulti sono maggiormente in grado di far fronte allo stress.
I disturbi dell’umore
La depressione e i disturbi bipolari fanno parte di questa categoria.
La depressione
Colpisce circa il 7% della popolazione in un anno.
Sintomatologia
a) Il sonno: può essere presente insonnia o ipersonnia; l'insonnia è spesso causa di abuso
di benzodiazepine.
b) Il consumo di cibo: possono essere presenti sia un aumento che una diminuzione
marcati dell 'appetito.
c) La disforia: "malumore", facile irritabilità, tristezza: tutti sintomi che il paziente in
genere non riferisce spontaneamente.
d) L' anedonia: ridotta capacità a provare piacere, che si manifesta come scarso interesse per
il lavoro, per gli hobby in precedenza coltivati, per gli amici, per il sesso. Anche questi
sintomi andrebbero sistematicamente ricercati.
e) L' affaticamento: in pratica sempre presente e spesso manifestato come incapacità ad
assolvere fino in fondo i propri compiti.
f) L' agitazione e il rallentamento psicomotorio: sono particolarmente frequenti nei
depressi anziani.
g) La ridotta capacità di concentrazione: è in parte connessa col diminuito interesse per gli
stimoli ambientali, che nell'anziano può condurre ad un'affrettata diagnosi di demenza.
h) La ridotta autostima: può far sorgere profondi sensi di colpa anche nei confronti di
avvenimenti del passato.
i) Le fantasie di suicidio: sono presenti nei due terzi dei pazienti depressi, nei quali il
suicidio ha un'incidenza del 10-15%. ( Xagena_2001 )
La neurobiologia
L’ipotesi monoaminica dei disturbi dell’umore afferma che la depressione è la
conseguenza di un deficit a livello dei sistemi modulatori diffusi monoaminici (serotonina
e/o noradrenalina). A questa ipotesi si è giunti dopo varie osservazioni. Inizialmente si
vide che farmaci per la pressione sanguigna che distruggevano serotonina e catecolamine,
impedendone l’accumulo vescicolare, provocavano depressione nel 20% dei casi.
Successivamente fu trovato che una classe di farmaci per la tubercolosi, che agiscono come
inibitori delle monoaminossidaasi (MAO), provocava un marcato aumento dell’umore.
Infine si è visto che l’imipramina, un farmaco antidepressivo, agisce inibendo il
riassorbimento di serotonina e noradrenalina dallo spazio intersinaptico.
Molti farmaci moderni hanno in comune il fatto di aumentare la trasmissione
serotoninergica e/o noradrenergica a livello centrale.
Esistono comunque altri farmaci che aumentano la noradrenalina nello spazio
intersinaptico, come la cocaina, ma non funzionano come antidepressivi.
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Infatti l’ipotesi più moderna è che un farmaco efficace produca dei cambiamenti adattativi
a lungo termine nella comunicazione neurale.
Il ruolo della genetica
Le correlazioni genetiche sono assai elevate, ed è stato proposto hSERT come gene
responsabile, coinvolto nel metabolismo della serotonina. Mancano ancora evidenze
definitive ma l’ipotesi appare ragionevole.
Link “Depressione, il ruolo della genetica.”
http://www.enel.it/magazine/boiler/arretrati/boiler92/html/articoli/lancidepressione.asp
“Anche nei soggetti non in crisi depressiva è stata rilevata sempre e comunque una bassa
circolazione di questo neurotrasmettitore [serotonina]. «Si tratta di una vera e propria
anormalità biologica che ci conferma, ancora una volta, che la depressione è una
caratteristica genetica di un individuo”
«Dunque anche quando la persona ex depressa sta bene, il suo sistema della serotonina
non lavora come quello degli altri, che non hanno mai avuto una storia di depressione».
A me non torna un fatto: il fatto che il sistema della serotonina di un depresso lavori male
normalmente non vuol dire che ci sia nato.
I disturbi bipolari o sindromi maniaco – depressive
Consistono in episodi ripetuti di mania e depressione.
Il periodo di mania è caratterizzato da un umore anormalmente elevato.
La schizofrenia
Una descrizione della schizofrenia
Il neuropsicologo Aleksandr Lurida parlava di una mente ridotta a un “puro movimento
browniano”, e schizofrenia sta ad indicare la frantumazione dell’Io, che non significa una
moltiplicazione della personalità (malattia ben più rara), ma la scissione della psiche (1908)
in un uniforme brulichio di pensieri sconnessi ed allucinazioni.
E’ difficile rendersi conto di cosa significhi essere schizofrenico per chi non lo è in quanto
questa malattia provoca cambiamenti tali nella percezione e nella coscienza da non essere
facilmente comprensibili per le persone sane. Infatti la schizofrenia, detto molto
sinteticamente, è caratterizzata da una perdita di contatto con la realtà e da una
distruzione del pensiero, della percezione, dell’umore e del movimento. La s. è la malattia
che più di tutte si identifica con la follia.
Contrariamente a quanto si pensa, la s. non è una malattia rara, né necessariamente
demolitrice: colpisce circa l’1% della popolazione (questo significa che ad es. negli USA 2
milioni di persone ne soffrono), o meglio, una persona su cento ne è preda almeno una
volta nella sua vita, e senza che questa necessariamente degeneri (si verificano cioè eventi
psicotici isolati). Un terzo dei pazienti dopo la conclusione di un episodio psicotico isolato
è in grado di tornare ad una vita normale quasi senza inconvenienti.
Sintomatologie
I sintomi positivi sono
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Illusioni
I pazienti possono:
credere che poteri estranei influenzino i loro pensieri o le loro azioni
credere che qualcuno possa leggere loro il pensiero e inserirsi nella loro vita intima
credere che le idee vengano introdotte nel loro cervello da trasmittenti segrete o
raggi soprannaturali, o inversamente che qualcuno rubi loro le idee
avere la certezza che fatti casuali, come le targhe delle auto, nascondano messaggi
segreti
ritenere di essere al centro di una missione importante, per esempio come agenti di
potenze mondiali o extraterrestri (es. John Nash)
Allucinazioni
Uditive (caratteristiche le voci), ottiche e perfino tattili.
Eloquio disorganizzato
Comportamento fortemente disorganizzato e caotico
Quelli negativi sono:
Ridotta espressione e sperimentazione delle emozioni
Povertà di linguaggio
Difficoltà di attuare comportamenti finalizzati
Mancanza di energia e quindi isolamento
Altri sottili disturbi cognitivi:
o dell’attenzione
o di indebolimento della memoria di lavoro
Questi sono tutti sintomi che uno schizofrenico può presentare. Nessuno da solo identifica
la schizofrenia perché ciascuno di essi compare anche in altre malattie, e la diagnosi può
essere emessa con certezza solo nella fase acuta.
Questi sintomi si manifestano con la stessa intensità e frequenza, ma variano a seconda del
paziente e anche lungo il decorso della malattia. Infatti possiamo distinguere più di un
tipo di schizofrenia: s. paranoide (quella di Nash), s. disorganizzata e s. catatonica sono i tipi
più comuni. Il tipo sembra molto legato a fattori ambientali (es. manicomio  s.
catatonica).
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Eredità e
ambiente
Fin verso la
fine degli anni
’60 alcuni
scienziati ne
imputavano
l’insorgenza
totalmente alla
famiglia (la
“madre
schizogena”),
ma alla luce
dei risultati
presenti oggi,
la s. sembra
avere una
discreta
componente
ereditaria.
Infatti la
probabilità di
contrarre la s.
aumenta con l’aumento del numero di geni condivisi con un membro della famiglia
schizofrenico.
In realtà le percentuali cambiano a seconda delle ricerche ma in tutti gli studi è stata
osservata una correlazione più elevata tra i gemelli identici rispetto a quelli fraterni,
quindi qualitativamente i risultati sono in accordo.
Se il nostro gemello omozigote è schizofrenico abbiamo circa il 50% di probabilità di
esserlo anche noi.
Notiamo che quest’ultimo dato dimostra anche il notevole contributo dell’ambiente in
questa malattia.
Nel 1988 su Science compariva una presunta associazione della schizofrenia con alcuni
marcatori genetici del cromosoma 5 in un gruppo di famiglie inglesi ed islandesi, anche se
nello stesso numero della rivista un altro gruppo affermava di non aver trovato la stessa
associazione in una famiglia svedese. Nessuno studio su successive famiglie studiate ha
mostrato quella associazione, cosa che ha fatto pensare ad un dato falso.2
Attualmente quindi non vi sono dati accertati di fattori scatenanti, né genetici né
ambientali.3
E’ stato però ad esempio notato che, tra altre cose, il servizio militare favorisce
l’insorgenza di questa malattia (notiamo che J. Nash era terrorizzato dalla chiamata alle
armi e si diede da fare con tutte le sue risorse per evitarlo, cosa che gli riuscì e
LE SCIENZE n. 300, agosto 1993
Mark F. Bear, Barry W. Connors, Michael A. Paradiso – “Neuroscienze. Esplorando il cervello”, seconda
edizione
2
3
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probabilmente fu importante per permettergli di conservare la sua intelligenza più a
lungo).
Molti ricercatori danno per scontato che alcuni eventi ambientali predispongano alla
malattia già allo stadio fetale o durante la primissima infanzia. Infatti le madri degli
schizofrenici hanno sofferto in misura superiore alla media di infezioni durante la
gravidanza o di complicazioni nel parto.
La neurobiologia della schizofrenia
Oggi si dà per scontato che almeno 3 neurotrasmettitori siano coinvolti nella
determinazione dei sintomi psicotici: dopamina, glutammato e serotonina.
“Ipotesi della dopamina”
Nel cervello degli schizofrenici si libererebbe troppa dopamina. Due fatti a sostegno: un
overdose di anfetamine porta ad episodi psicotici indistinguibili da quelli caratteristici
della s., e che dei farmaci usati per trattare la schizofrenia vanno ad agire bloccando i
recettori per la dopamina.
Tuttavia questi farmaci non agiscono sui sintomi negativi. Inoltre con tecniche di brain
imaging si è osservato che la situazione è più complessa: a seconda dell’area cerebrale
sembra dominare una situazione ora eccesso, ora di difetto di dopamina.
“Ipotesi del glutammato”
E’ stato visto che sono importanti anche i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA) del
glutammato. Topi transgenici con ridotta espressione dei recettori NMDA presentano
sintomi, comportamentali (non si sa ovviamente nulla sui loro pensieri), simili a quelli
della schizofrenia umana, ad es. si isolano.
Attualmente si sta indagando per vedere se gli schizofrenici soffrano di una carenza di
glutammato.
“Ipotesi della serotonina”
Analoghi della serotonina, quali LSD e psilobicina, inducono in soggetti sani sintomi
positivi simili a quelli della s.
Queste sostanze si legano a recettori della serotonina, ma operano attivando o inibendo in
modo area-specifico.
Unificare le ipotesi
Probabilmente la causa risiede nella combinazione di queste tre ipotesi, ma cosa hanno in
comune?
E’ stata avanzata un’ipotesi (Broadbent, 1958), recentemente supportata da dati
sperimentali, secondo cui alla base della schizofrenia vi sia un’incapacità del cervello di
filtrare gli stimoli, il che porta ad un affollarsi patologico di informazioni che alla fine sono
irrilevanti per elaborare comportamenti definiti normali.
Esiste un riflesso, denominato inibizione da preimpulso (prepulse inhibition, PPI) del
riflesso di trasalimento, presente in uomini e animali, che è deficitario nei pazienti
schizofrenici cronici. Il riflesso di spavento o trasalimento (chiusura delle palpebre
nell’uomo) si manifesta ad esempio in occasione di un forte rumore. Se però questo è
preceduto da un suono appena percettibile (preimpulso), il riflesso si indebolisce perché il
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cervello, impegnato nell’elaborazione del primo suono, per non disturbarla, inibisce quella
del secondo. Questa inibizione viene considerata una misura del filtro cerebrale.
Nel 2002 è stato dimostrato che pazienti schizofrenici mai trattati con antipsicotici
presentano un chiaro deficit della PPI, particolarmente marcato nei soggetti con forti
disturbi dell’attenzione.
Su modelli animali è stato dimostrato che il filtro cerebrale dipende dal funzionamento di
almeno 3 strutture: talamo, striato e corteccia frontale. Probabilmente il talamo è il
principale responsabile, dato che integra gli stimoli sensoriali per poi trasmetterli al
cervello.
Secondo Carlsson, premio Nobel per la medicina o la fisiologia nel 2000, il filtro del talamo
si attua attraverso 2 vie con i mediatori glutammato e dopamina.
Inoltre se la corteccia frontale, iperattiva negli schizofrenici e nei consumatori di droghe,
subisce un crollo da sovraccarico, essendo essenziale per la memoria di lavoro non è più in
grado di classificare correttamente le informazioni in arrivo provocando la perdita del
rapporto con la realtà.
Conclusioni
E’ indubbio che vari disturbi mentali, quali schizofrenia,autismo e sindromi
maniaco-depressive, abbiano una componente genetica.
Questo non minimizza il ruolo dell’ambiente (compresi eventi critici)
Per lo più non sono stati individuati geni cruciali coinvolti, malgrado qualche
risultato interessante
Probabilmente c’è una componente poligenica interagente in modo
complesso con l’ambiente.
A proposito della schizofrenia: la storia di
John Forbes Nash
John Nash è il grande matematico diventato famoso di recente grazie al film "A beautiful
mind", ispirato alla sua tormentata vita, segnata dal genio ma anche dal dramma della
schizofrenia.
Il padre, che si chiamava con lo stesso nome, era nativo del Texas ed ebbe un'infanzia
infelice riscattata solo dagli studi in ingegneria elettrica che lo portarono a lavorare per
l'Appalacian Power Company di Bluefield, nella Virginia ad ovest. La madre, invece
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(Margaret Virginia Martin), prima si sposò poi intraprese la carriera di insegnante di
inglese e qualche volta di latino. John Forbes Nash jr nasce il 13 giugno 1928 e già da
piccolo rivela un carattere solitario e bizzarro.
Anche la sua frequentazione scolastica presenta numerosi problemi. Alcune testimonianze
di chi lo ha conosciuto lo descrivono come un ragazzo piccolo e singolare, solitario ed
introverso. Sembrava inoltre avere più interesse per i libri piuttosto che alla condivisione
delle ore di gioco con altri bambini... Il clima familiare, tuttavia, era sostanzialmente
sereno, con genitori che certo non mancavano di dimostrargli il loro affetto. Dopo qualche
anno nascerà anche una bambina, Martha. Ed è proprio grazie alla sorella che John riesce
ad integrarsi un po' di più con gli altri coetanei riuscendo anche a farsi coinvolgere nei
giochi usuali dell'infanzia. Tuttavia, mentre gli altri tendono a giocare insieme, John
spesso e volentieri preferisce rimanere per suo conto, baloccandosi con aeroplani o
automobili.
Il padre, poi, lo tratta come un adulto, fornendogli in continuazione libri di scienza e
stimoli intellettuali di tutti i tipi.
Anche la situazione scolastica non è rosea, perlomeno inizialmente. Gli insegnanti non si
accorgono affatto del suo genio e del fatto che avesse talenti straordinari. Anzi, la sua
mancanza di "abilità sociali", definite a volte anche come carenze relazionali, portano ad
identificarlo come un soggetto indietro rispetto alla media. Più probabilmente, era
semplicemente annoiato dalla scuola.
Al liceo, invece, la sua superiorità intellettuale rispetto ai compagni gli serve soprattutto
per ottenere considerazione e rispetto. Ottiene anche una prestigiosa borsa di studio,
grazie ad un lavoro di chimica in cui vi era però anche lo zampino del padre. Si reca allora
a Pittsburgh, alla Carnegie Mellon, per studiare proprio chimica. Con il passare del tempo,
però, il suo interesse per la matematica va aumentando sempre di più. In questo campo
mostra delle abilità eccezionali, specialmente nella soluzione di problemi complessi. Con
gli amici, invece, si comporta in modo sempre più eccentrico. Di fatto, non riesce ad
instaurare rapporti di amicizia né con donne né con uomini.
Partecipa alla Putman Mathematical Competition, un premio molto ambito, ma non vince:
sarà questa una delusione cocente, di cui parlerà anche dopo vari anni. In ogni caso si
mostra subito un matematico di primo ordine, tanto da ottenere offerte da Harvard e
Princeton per fare un dottorato in matematica. Sceglie Princeton, dove avrà modo di
conoscere, fra gli altri, giganti della scienza come Einstein e von Neumann.
Nash ha avuto fin da subito grandi aspirazioni in campo matematico. Durante i suoi anni
di insegnamento a Princeton, soprattutto, Nash ha mostrato una vasta gamma di interessi
nella matematica pura: dalla topologia, alla geometria algebrica, dalla teoria dei giochi alla
logica.
Oltretutto non è mai stato interessato a dedicarsi ad una teoria, a svilupparla, ad intessere
rapporti con altri specialisti, eventualmente a fondare una scuola. Desiderava invece
risolvere un problema con le sue forze e i suoi strumenti concettuali, cercando l'approccio
più originale possibile alla questione.
In 1949, mentre studiava per il suo dottorato, sviluppò delle considerazioni che 45 anni più
tardi gli valsero il premio Nobel. Durante quel periodo Nash stabilì i principi matematici
della teoria dei giochi. Un suo collega, Ordeshook, ha scritto: "Il concetto di equilibrio di
Nash è forse l'idea più importante nella teoria dei giochi non cooperativa. Se analizziamo
le strategie di elezione dei candidati, le cause della guerra, la manipolazione degli ordini
del giorno nelle legislature, o le azioni delle lobby, le previsioni circa gli eventi si riducono
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ad una ricerca di o ad una descrizione degli equilibri. Detto in altri termini e banalizzando,
le strategie di equilibrio sono tentativi di predizione circa il comportamento della gente.
Intanto comincia ad avere i primi segni di malattia. Conosce anche una donna, di 5 anni
più vecchia di lui, che gli dà un figlio. Nash non vuole aiutare la madre economicamente,
non riconosce il figlio, anche se si occuperà di lui per tutta la vita, sia pure saltuariamente.
Continua la sua vita piuttosto complicata ed errabonda, che qui non è possibile seguire in
dettaglio. Incontra un'altra donna, Alicia Lerde, che diventerà sua moglie. In questo
periodo visita anche il Courant, ove incontra L. Nirenberg, che lo introduce a certe
problematiche delle equazioni differenziali alle derivate parziali. In questo campo ottiene
un risultato straordinario, uno di quelli che potrebbero valere la medaglia Fields, e che è
legato ad uno dei famosi problemi di Hilbert.
Purtroppo, una tegola si abbatte su di lui. Un italiano, del tutto ignoto e in maniera
indipendente, ha risolto anch'egli lo stesso problema pochi mesi prima. Al conferimento
del Nobel, lo stesso Nash dichiarerà che: "fu De Giorgi il primo a raggiungere la vetta".
Comincia nel frattempo ad occuparsi delle contraddizioni della meccanica quantistica ed
anni dopo confesserà che probabilmente l'impegno che mise a questa impresa fu causa dei
suoi primi disturbi mentali.
Cominciano i ricoveri, e comincia anche un periodo lunghissimo della sua vita in cui
alterna momenti di lucidità, in cui riesce comunque a lavorare, raggiungendo anche
risultati assai significativi (ma non del livello dei suoi precedenti), ad altri in cui le
condizioni mentali sembrano seriamente deteriorate. I suoi disturbi più evidenti si
mostrano nel fatto di vedere ovunque messaggi criptati (provenienti anche da
extraterrestri) che solo lui può decifrare, nel fatto che affermi di essere l'imperatore
dell'Antartide o il piede sinistro di Dio, di essere cittadino del mondo ed a capo di un
governo universale. Ad ogni modo, fra alti e bassi, conduce la sua vita al fianco della
moglie che lo sostiene in tutti i modi e con grandissimi sacrifici. Finalmente, dopo lunghi
travagli, all'inizio degli anni 90, le crisi sembrano avere fine. Nash può tornare quindi al
suo lavoro con maggiore serenità, integrandosi sempre di più nel sistema accademico
internazionale e imparando a dialogare e a scambiare idee con altri colleghi (caratteristica
prima, d'altronde, dell'impresa scientifica). Il simbolo di questa rinascita è contrassegnato
nel 94 con il conferimento del premio Nobel.
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