1 La genetica del comportamento: lo studio delle malattie mentali. Introduzione I recenti grandi successi dei biologi nel mappare, manipolare, e sequenziale il genoma umano hanno risvegliato propositi eugenetici. James Watson una decina d’anni fa affermava: “Ora sappiamo che, almeno in gran parte, il nostro destino è scritto nei geni”. Daniel e. Koshland Jr, biologo dell’Università della California e redattore di Science ha dichiarato in un editoriale “sostanzialmente terminato” il dibattito “ereditarietà contro circostanze ambientali”, sostenendo che la ricerca genetica contribuirà ad eliminare problemi sociali quali tossicodipendenza e criminalità. Gli studi che si sono susseguiti da quando Galton, il padre dell’eugenetica, aveva utilizzato gemelli monozigoti per “dimostrare” che la componente ereditaria prevaleva nettamente su quella ambientale, sono stati spesso superficiali o poco rigorosi, vedi studio su “supermaschi”, sui gemelli del Minnesota (1990) ecc. Inoltre i mass media hanno contribuito a diffondere false informazioni, anche tra i cosiddetti esperti, mettendo in risalto solo presunte scoperte di geni, e mai le smentite. Definizione di comportamento Ogni insieme di manifestazioni di un organismo vivente che siano osservabili dall’esterno, che siano dotate di un certo carattere di uniformità, e che avvengano in risposta ad uno stimolo.1 Un fenotipo comportamentale spesso è discontinuo, ad es. è il caso dello stirarsi di un mammifero dopo aver dormito. Caratteri come altezza, QI e aggressività sono invece continui o approssimativamente tali. La base teorica: la genetica quantitativa. La genetica quantitativa è lo studio della genetica dei caratteri che variano in modo continuo (es. altezza, QI…) o approssimativamente tale (ocelli di Drosophila). Quindi la differenza tra caratteri mendeliani e caratteri quantitativi non sta nel numero di loci genici ma nel numero dei fenotipi possibili. Per molto tempo la variazione continua di un carattere, es. altezza, è stata considerata una prova inconfutabile di un controllo multigenico (ipotesi multifattoriale), cioè la conseguenza dell’influenza, sullo stesso carattere, di un gran numero di geni con più di un allele (poligene). 1 GDE UTET 2 Questo però non è necessariamente vero. Infatti anche un solo gene con due alleli può dar luogo ad una distribuzione fenotipica continua. Questo accade quando la varianza ambientale è grande in confronto alle differenze tra le medie genotipiche. In ascissa c’è l’altezza Cioè se per un dato carattere, es. altezza, la variabilità all’interno delle classi genotipiche è bassa e le differenze fenotipiche tra i genotipi sono alte il carattere sarà quantitativo. Viceversa, se in un dato ambiente, diversi genotipi presentano distribuzioni genotipiche non sovrapposte, come nella figura sottostante, si può intraprendere un’analisi mendeliani convenzionale. Minore variabilità fenotipica in ciascun genotipo e maggiore differenza tra i genotipi Ereditabilità Molto spesso negli studi genetici sulle malattie si ricorre al termine di ereditabilità. Si definisce ereditabilità di un carattere in una popolazione la proporzione della varianza fenotipica dovuta a differenze genetiche. 3 Dalla definizione segue che: Ereditabilità non dice quanto un carattere dipenda da fattori genetici, perché l’esistenza di qualunque carattere dipende in larga misura dal genoma. L’ereditabilità si riferisce alla varianza di un carattere. L’ereditabilità non si riferisce a singoli individui in quanto il suo soggetto è la varianza e come tale è riferita ad un insieme di individui. L’ereditabilità per un dato carattere non è fissa, cioè non esiste un’ereditabilità universale, in quanto essa dipende dalla popolazione studiata, sia dalla sua composizione genetica, sia dall’ambiente in cui vive. Infine, a differenza di quanto spesso si crede: Un alto valore di ereditabilità non implica che il carattere non possa essere modificato dall’ambiente. Ereditabilità non è l’opposto di plasticità fenotipica. Psicologi, sociologi, medici ed altre categorie di studiosi si sono occupati più volte dell’ereditabilità di alcuni caratteri umani nell’erronea credenza che la dimostrazione dell’ereditarietà di un carattere fosse equivalente alla dimostrazione della sua non modificabilità da parte dell’ambiente e della società. L’esempio forse più famoso è la pubblicazione nel 1969 di un articolo dello psicologo e pedagogo A. R. Jensen sulla Harvard Educational Review in cui si dice che il QI non può essere molto aumentato a causa della sua elevata ereditabilità. L’errore sta nell’equazione: ereditabilità = non modificabilità, che è falsa. Ereditabilità non deve essere confusa con familiarità. Facciamo un esempio. Le differenze linguistiche pur essendo familiari non sono genetiche. Quindi un carattere si definisce familiare se i membri della stessa famiglia lo presentano qualsiasi sia la ragione, ma è ereditabile solo se la ragione è il fatto di avere in comune lo stesso genotipo. Molte caratteristiche umane, come il temperamento, le abilità cognitive, e alcuni comportamenti tra cui alcolismo e malattie mentali sono stati studiati e alcuni di essi hanno mostrato familiarità. Ad esempio c’è una correlazione positiva nei punteggi di QI tra genitori e figli, correlazione che è circa 0,5 nelle famiglie americane bianche, ma questa non distingue tra ereditabilità e familiarità. Per effettuare questa distinzione è necessario eliminare la correlazione ambientale tra i genitori e i figli, e per questo motivo si sono fatti molti studi sulle adozioni. Ma siccome il rimescolamento veramente casuale degli ambienti è difficile anche nel caso delle adozioni, le prove sull’ereditabilità delle caratteristiche della personalità e del comportamento restano in una certa misura ambigue nonostante il numero di studi sull’argomento sia enorme. In conclusione: Negli organismi da laboratorio possiamo stabilire quanto un certo carattere sia ereditario, mentre negli esseri umani ciò è molto difficile. Caratteri soglia Sono quei caratteri discontinui che non mostrano semplici modelli mendeliani di eredità. Esempi di tali caratteri sono: diabete, schizofrenia, ecc. Nella determinazione di questi caratteri è probabile che siano coinvolti geni multipli (o poligeni) e influenze ambientali. Un fenotipo X deriva da molte diverse combinazioni genetico-ambientali. Certe combinazioni invece producono un fenotipo non-X, perche la somma dei contributi degli alleli in queste combinazioni, assieme all’interazione con l’ambiente, non ha superato la soglia. 4 Per alcuni caratteri studi su gemelli in parte sembrano aver indicato la componente genetica di questi caratteri. Molti caratteri comportamentali possono essere determinati da caratteri soglia, anche se un singolo gene può avere un semplice effetto in un comportamento (vedi sindrome di Lesch-Nyhan). La genetica e le malattie mentali Esempi di fenotipi comportamentali in cui l’influenza genetica è nota Alterazioni di un solo gene Sindrome di Lesch-Nyhan E’ dovuta ad un gene recessivo, sul cromosoma X, il cui allele normale controlla la produzione dell’enzima HGPRT (ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi), necessario per il metabolismo delle purine. Maschi emizigoti per questo allele mutato si mordono inguaribilmente le labbra e le dita mutilandosi. Altri sintomi sono deficienza mentale, spasticità e gotta. La patogenesi è ignota. Sono note le conseguenze biochimiche: elevati livelli di PRPP aumentata velocità di biosintesi di purine dalla via de novo elevati livelli di urato Inoltre è noto che nel cervello i livelli normali di HGPRT sono più alti che negli altri tessuti ed è più basso il livello dell’enzima amidotransferasi. Manca la comprensione a livello neurobiologico. Questa sindrome comunque dimostra che la via di recupero di guanina e ipoxantina per la sintesi di GMP e IMP non è superflua, e più in generale che quadri anormali come automutilazione e aggressività possono essere causati dall’assenza di un singolo enzima. Porfiria Un difetto nella sintesi dell’eme ha molte conseguenze, tra cui gravi disturbi mentali. Deficit di CREST In uno studio pubblicato sul numero del 9 gennaio della rivista "Science", il biologo Arnivan Ghosh e colleghi presentano la scoperta del primo gene, CREST, che media i cambiamenti nella struttura dei neuroni in risposta al calcio. “Il cervello di topi privi della proteina CREST sembra del tutto normale alla nascita, ma non si sviluppa in modo normale in risposta all'esperienza sensoriale. Questo è quello che capita anche negli esseri umani con alcuni disturbi dell'apprendimento: i bambini sembrano inizialmente normali, ma all'età di due o tre anni diventa chiaro che non sono in grado di acquisire nuove conoscenze". 5 Sbilanciamenti genici Sindrome di Down La presenza di un terzo cromosoma di tipo 21 è associata, oltre a determinati caratteri fisici, a tratti comportamentali distintivi come socievolezza, giovialità, amore per la musica, QI compreso tra 20 e 50. Sindrome di Turner (XO) Sebbene il loro QI sia normale hanno problemi in test in cui si deve visualizzare una certa forma nello spazio e spesso a scuola vanno male in matematica a dispetto di un normale rendimento nelle altre materie. Trisomia XYY Un’indagine negli anni ’60 concluse che uomini con un cromosoma Y in più fossero predisposti ad un comportamento criminale, ma studi successivi hanno indicato che questa predisposizione non sussiste, sebbene questi uomini siano tendenzialmente più alti e meno intelligenti. Le malattie mentali Le malattie mentali oggi sono scientificamente riconosciute come malattie del corpo. Si parla di malattia mentale quando sussiste un disturbo diagnosticabile del pensiero, dell’umore o del comportamento, che porta angoscia e disfunzioni. Le prime ricerche sistematiche sulle basi genetiche delle psicopatie risalgono agli anni ’30 ad opera di Eliot Slater che pubblicò il primo trattato sulla materia, Genetics Of Mental Disorder, nel 1971. Da allora le ricerche sono proliferate e hanno portato ad aspre diatribe sulla questione eredità-ambiente. La maggior parte degli studi genetici hanno riguardato la schizofrenia, una malattia di cui parlerò più avanti. Il problema metodologico fondamentale che riguarda gli studi familiari sui disturbi mentali è che nel caso in cui un genitore sia malato, e quindi i bambini crescano in un ambiente emotivamente instabile, è molto difficile distinguere le influenze genetiche da quelle ambientali. Per evitare questo problema gli studi più recenti si sono avvalsi dello studio gemellare. Breve GLOSSARIO Psicologia: la scienza della mente. Psicopatia: termine originale per indicare una malattia mentale, ormai generalmente in disuso. Psicopatologia: disciplina che studia le alterazioni psichiche nel loro aspetto generale cercando di stabilirne le leggi e quindi l’evoluzione. Usato anche per indicare la malattia. Psicosi: stato che comprende una serie di disturbi del pensiero (delirio), dell’affettività e della percezione, che combinati tra loro in varia misura si traducono, sul piano del comportamento, in una limitazione, più o meno grave, del contatto con la realtà. 6 I disturbi d’ansia Un’espressione inappropriata (patologica) della paura è ciò che caratterizza un disturbo d’ansia, che è il più comune disturbo psichiatrico. La paura è un meccanismo di risposta automatico mediato dalla divisione simpatica del sistema nervoso autonomo. Spesso è innata (un topo non deve imparare a temere un gatto), ma può anche essere appresa (cavallo e staccionata elettrica). I vari disturbi d’ansia. Disturbo di panico Metà delle persone con questo disturbo hanno una depressione maggiore ed il 25% diviene alcolizzato o sviluppa problemi legati all’abuso di sostanze. Agorafobia Disturbo ossessivo – compulsivo Disturbi d’ansia generalizzati Fobia specifica Fobia sociale Disturbo post- traumatico da stress E’ stato stimato che in Italia ogni anno più del 22% dei maschi e del 9% delle femmine soffrono di un disturbo d’ansia. Genetica E’ stato stabilito che esiste una predisposizione genetica per molti disturbi d’ansia, sebbene non sia stato individuato alcun gene specifico. Per altri disturbi d’ansia sembra che l’origine sia negli eventi stressanti della vita. Base biologica Ogni risposta di paura provoca, tra le altre cose, il rilascio di cortisolo da parte del surrene. Il cortisolo ha un effetto di inibizione sul suo stesso rilascio andando ad agire sui recettori glucocorticoidei dell’ippocampo. L’esposizione continuativa al cortisolo, come accade in casi di stress cronico, può portare, negli animali da laboratorio, al deperimento o alla morte dei neuroni dell’ippocampo. Questo fenomeno che ha come conseguenza l’inattivazione del meccanismo di controllo a feedback e quindi un ipersecrezione di cortisolo, cioè una risposta allo stress amplificata che accentua i danni all’ippocampo dando luogo a un circolo vizioso (feedback positivo). L’ambiente che interagisce con l’espressione genica Nei ratti è stato dimostrato che l’espressione dei recettori glucocorticoidei ippocampali può essere modificata in maniera duratura dall’esperienza sensoriale precoce. Cuccioli che hanno ricevuto cure materne maggiori (o maggior stimolazione tattile) aumentano la trasmissione serotoninergica che provoca un aumento duraturo nell’espressione dei 7 recettori glucocorticoidei nell’ippocampo. Inoltre presentano minori livelli di CRH nell’ipotalamo e da adulti sono maggiormente in grado di far fronte allo stress. I disturbi dell’umore La depressione e i disturbi bipolari fanno parte di questa categoria. La depressione Colpisce circa il 7% della popolazione in un anno. Sintomatologia a) Il sonno: può essere presente insonnia o ipersonnia; l'insonnia è spesso causa di abuso di benzodiazepine. b) Il consumo di cibo: possono essere presenti sia un aumento che una diminuzione marcati dell 'appetito. c) La disforia: "malumore", facile irritabilità, tristezza: tutti sintomi che il paziente in genere non riferisce spontaneamente. d) L' anedonia: ridotta capacità a provare piacere, che si manifesta come scarso interesse per il lavoro, per gli hobby in precedenza coltivati, per gli amici, per il sesso. Anche questi sintomi andrebbero sistematicamente ricercati. e) L' affaticamento: in pratica sempre presente e spesso manifestato come incapacità ad assolvere fino in fondo i propri compiti. f) L' agitazione e il rallentamento psicomotorio: sono particolarmente frequenti nei depressi anziani. g) La ridotta capacità di concentrazione: è in parte connessa col diminuito interesse per gli stimoli ambientali, che nell'anziano può condurre ad un'affrettata diagnosi di demenza. h) La ridotta autostima: può far sorgere profondi sensi di colpa anche nei confronti di avvenimenti del passato. i) Le fantasie di suicidio: sono presenti nei due terzi dei pazienti depressi, nei quali il suicidio ha un'incidenza del 10-15%. ( Xagena_2001 ) La neurobiologia L’ipotesi monoaminica dei disturbi dell’umore afferma che la depressione è la conseguenza di un deficit a livello dei sistemi modulatori diffusi monoaminici (serotonina e/o noradrenalina). A questa ipotesi si è giunti dopo varie osservazioni. Inizialmente si vide che farmaci per la pressione sanguigna che distruggevano serotonina e catecolamine, impedendone l’accumulo vescicolare, provocavano depressione nel 20% dei casi. Successivamente fu trovato che una classe di farmaci per la tubercolosi, che agiscono come inibitori delle monoaminossidaasi (MAO), provocava un marcato aumento dell’umore. Infine si è visto che l’imipramina, un farmaco antidepressivo, agisce inibendo il riassorbimento di serotonina e noradrenalina dallo spazio intersinaptico. Molti farmaci moderni hanno in comune il fatto di aumentare la trasmissione serotoninergica e/o noradrenergica a livello centrale. Esistono comunque altri farmaci che aumentano la noradrenalina nello spazio intersinaptico, come la cocaina, ma non funzionano come antidepressivi. 8 Infatti l’ipotesi più moderna è che un farmaco efficace produca dei cambiamenti adattativi a lungo termine nella comunicazione neurale. Il ruolo della genetica Le correlazioni genetiche sono assai elevate, ed è stato proposto hSERT come gene responsabile, coinvolto nel metabolismo della serotonina. Mancano ancora evidenze definitive ma l’ipotesi appare ragionevole. Link “Depressione, il ruolo della genetica.” http://www.enel.it/magazine/boiler/arretrati/boiler92/html/articoli/lancidepressione.asp “Anche nei soggetti non in crisi depressiva è stata rilevata sempre e comunque una bassa circolazione di questo neurotrasmettitore [serotonina]. «Si tratta di una vera e propria anormalità biologica che ci conferma, ancora una volta, che la depressione è una caratteristica genetica di un individuo” «Dunque anche quando la persona ex depressa sta bene, il suo sistema della serotonina non lavora come quello degli altri, che non hanno mai avuto una storia di depressione». A me non torna un fatto: il fatto che il sistema della serotonina di un depresso lavori male normalmente non vuol dire che ci sia nato. I disturbi bipolari o sindromi maniaco – depressive Consistono in episodi ripetuti di mania e depressione. Il periodo di mania è caratterizzato da un umore anormalmente elevato. La schizofrenia Una descrizione della schizofrenia Il neuropsicologo Aleksandr Lurida parlava di una mente ridotta a un “puro movimento browniano”, e schizofrenia sta ad indicare la frantumazione dell’Io, che non significa una moltiplicazione della personalità (malattia ben più rara), ma la scissione della psiche (1908) in un uniforme brulichio di pensieri sconnessi ed allucinazioni. E’ difficile rendersi conto di cosa significhi essere schizofrenico per chi non lo è in quanto questa malattia provoca cambiamenti tali nella percezione e nella coscienza da non essere facilmente comprensibili per le persone sane. Infatti la schizofrenia, detto molto sinteticamente, è caratterizzata da una perdita di contatto con la realtà e da una distruzione del pensiero, della percezione, dell’umore e del movimento. La s. è la malattia che più di tutte si identifica con la follia. Contrariamente a quanto si pensa, la s. non è una malattia rara, né necessariamente demolitrice: colpisce circa l’1% della popolazione (questo significa che ad es. negli USA 2 milioni di persone ne soffrono), o meglio, una persona su cento ne è preda almeno una volta nella sua vita, e senza che questa necessariamente degeneri (si verificano cioè eventi psicotici isolati). Un terzo dei pazienti dopo la conclusione di un episodio psicotico isolato è in grado di tornare ad una vita normale quasi senza inconvenienti. Sintomatologie I sintomi positivi sono 9 Illusioni I pazienti possono: credere che poteri estranei influenzino i loro pensieri o le loro azioni credere che qualcuno possa leggere loro il pensiero e inserirsi nella loro vita intima credere che le idee vengano introdotte nel loro cervello da trasmittenti segrete o raggi soprannaturali, o inversamente che qualcuno rubi loro le idee avere la certezza che fatti casuali, come le targhe delle auto, nascondano messaggi segreti ritenere di essere al centro di una missione importante, per esempio come agenti di potenze mondiali o extraterrestri (es. John Nash) Allucinazioni Uditive (caratteristiche le voci), ottiche e perfino tattili. Eloquio disorganizzato Comportamento fortemente disorganizzato e caotico Quelli negativi sono: Ridotta espressione e sperimentazione delle emozioni Povertà di linguaggio Difficoltà di attuare comportamenti finalizzati Mancanza di energia e quindi isolamento Altri sottili disturbi cognitivi: o dell’attenzione o di indebolimento della memoria di lavoro Questi sono tutti sintomi che uno schizofrenico può presentare. Nessuno da solo identifica la schizofrenia perché ciascuno di essi compare anche in altre malattie, e la diagnosi può essere emessa con certezza solo nella fase acuta. Questi sintomi si manifestano con la stessa intensità e frequenza, ma variano a seconda del paziente e anche lungo il decorso della malattia. Infatti possiamo distinguere più di un tipo di schizofrenia: s. paranoide (quella di Nash), s. disorganizzata e s. catatonica sono i tipi più comuni. Il tipo sembra molto legato a fattori ambientali (es. manicomio s. catatonica). 10 Eredità e ambiente Fin verso la fine degli anni ’60 alcuni scienziati ne imputavano l’insorgenza totalmente alla famiglia (la “madre schizogena”), ma alla luce dei risultati presenti oggi, la s. sembra avere una discreta componente ereditaria. Infatti la probabilità di contrarre la s. aumenta con l’aumento del numero di geni condivisi con un membro della famiglia schizofrenico. In realtà le percentuali cambiano a seconda delle ricerche ma in tutti gli studi è stata osservata una correlazione più elevata tra i gemelli identici rispetto a quelli fraterni, quindi qualitativamente i risultati sono in accordo. Se il nostro gemello omozigote è schizofrenico abbiamo circa il 50% di probabilità di esserlo anche noi. Notiamo che quest’ultimo dato dimostra anche il notevole contributo dell’ambiente in questa malattia. Nel 1988 su Science compariva una presunta associazione della schizofrenia con alcuni marcatori genetici del cromosoma 5 in un gruppo di famiglie inglesi ed islandesi, anche se nello stesso numero della rivista un altro gruppo affermava di non aver trovato la stessa associazione in una famiglia svedese. Nessuno studio su successive famiglie studiate ha mostrato quella associazione, cosa che ha fatto pensare ad un dato falso.2 Attualmente quindi non vi sono dati accertati di fattori scatenanti, né genetici né ambientali.3 E’ stato però ad esempio notato che, tra altre cose, il servizio militare favorisce l’insorgenza di questa malattia (notiamo che J. Nash era terrorizzato dalla chiamata alle armi e si diede da fare con tutte le sue risorse per evitarlo, cosa che gli riuscì e LE SCIENZE n. 300, agosto 1993 Mark F. Bear, Barry W. Connors, Michael A. Paradiso – “Neuroscienze. Esplorando il cervello”, seconda edizione 2 3 11 probabilmente fu importante per permettergli di conservare la sua intelligenza più a lungo). Molti ricercatori danno per scontato che alcuni eventi ambientali predispongano alla malattia già allo stadio fetale o durante la primissima infanzia. Infatti le madri degli schizofrenici hanno sofferto in misura superiore alla media di infezioni durante la gravidanza o di complicazioni nel parto. La neurobiologia della schizofrenia Oggi si dà per scontato che almeno 3 neurotrasmettitori siano coinvolti nella determinazione dei sintomi psicotici: dopamina, glutammato e serotonina. “Ipotesi della dopamina” Nel cervello degli schizofrenici si libererebbe troppa dopamina. Due fatti a sostegno: un overdose di anfetamine porta ad episodi psicotici indistinguibili da quelli caratteristici della s., e che dei farmaci usati per trattare la schizofrenia vanno ad agire bloccando i recettori per la dopamina. Tuttavia questi farmaci non agiscono sui sintomi negativi. Inoltre con tecniche di brain imaging si è osservato che la situazione è più complessa: a seconda dell’area cerebrale sembra dominare una situazione ora eccesso, ora di difetto di dopamina. “Ipotesi del glutammato” E’ stato visto che sono importanti anche i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA) del glutammato. Topi transgenici con ridotta espressione dei recettori NMDA presentano sintomi, comportamentali (non si sa ovviamente nulla sui loro pensieri), simili a quelli della schizofrenia umana, ad es. si isolano. Attualmente si sta indagando per vedere se gli schizofrenici soffrano di una carenza di glutammato. “Ipotesi della serotonina” Analoghi della serotonina, quali LSD e psilobicina, inducono in soggetti sani sintomi positivi simili a quelli della s. Queste sostanze si legano a recettori della serotonina, ma operano attivando o inibendo in modo area-specifico. Unificare le ipotesi Probabilmente la causa risiede nella combinazione di queste tre ipotesi, ma cosa hanno in comune? E’ stata avanzata un’ipotesi (Broadbent, 1958), recentemente supportata da dati sperimentali, secondo cui alla base della schizofrenia vi sia un’incapacità del cervello di filtrare gli stimoli, il che porta ad un affollarsi patologico di informazioni che alla fine sono irrilevanti per elaborare comportamenti definiti normali. Esiste un riflesso, denominato inibizione da preimpulso (prepulse inhibition, PPI) del riflesso di trasalimento, presente in uomini e animali, che è deficitario nei pazienti schizofrenici cronici. Il riflesso di spavento o trasalimento (chiusura delle palpebre nell’uomo) si manifesta ad esempio in occasione di un forte rumore. Se però questo è preceduto da un suono appena percettibile (preimpulso), il riflesso si indebolisce perché il 12 cervello, impegnato nell’elaborazione del primo suono, per non disturbarla, inibisce quella del secondo. Questa inibizione viene considerata una misura del filtro cerebrale. Nel 2002 è stato dimostrato che pazienti schizofrenici mai trattati con antipsicotici presentano un chiaro deficit della PPI, particolarmente marcato nei soggetti con forti disturbi dell’attenzione. Su modelli animali è stato dimostrato che il filtro cerebrale dipende dal funzionamento di almeno 3 strutture: talamo, striato e corteccia frontale. Probabilmente il talamo è il principale responsabile, dato che integra gli stimoli sensoriali per poi trasmetterli al cervello. Secondo Carlsson, premio Nobel per la medicina o la fisiologia nel 2000, il filtro del talamo si attua attraverso 2 vie con i mediatori glutammato e dopamina. Inoltre se la corteccia frontale, iperattiva negli schizofrenici e nei consumatori di droghe, subisce un crollo da sovraccarico, essendo essenziale per la memoria di lavoro non è più in grado di classificare correttamente le informazioni in arrivo provocando la perdita del rapporto con la realtà. Conclusioni E’ indubbio che vari disturbi mentali, quali schizofrenia,autismo e sindromi maniaco-depressive, abbiano una componente genetica. Questo non minimizza il ruolo dell’ambiente (compresi eventi critici) Per lo più non sono stati individuati geni cruciali coinvolti, malgrado qualche risultato interessante Probabilmente c’è una componente poligenica interagente in modo complesso con l’ambiente. A proposito della schizofrenia: la storia di John Forbes Nash John Nash è il grande matematico diventato famoso di recente grazie al film "A beautiful mind", ispirato alla sua tormentata vita, segnata dal genio ma anche dal dramma della schizofrenia. Il padre, che si chiamava con lo stesso nome, era nativo del Texas ed ebbe un'infanzia infelice riscattata solo dagli studi in ingegneria elettrica che lo portarono a lavorare per l'Appalacian Power Company di Bluefield, nella Virginia ad ovest. La madre, invece 13 (Margaret Virginia Martin), prima si sposò poi intraprese la carriera di insegnante di inglese e qualche volta di latino. John Forbes Nash jr nasce il 13 giugno 1928 e già da piccolo rivela un carattere solitario e bizzarro. Anche la sua frequentazione scolastica presenta numerosi problemi. Alcune testimonianze di chi lo ha conosciuto lo descrivono come un ragazzo piccolo e singolare, solitario ed introverso. Sembrava inoltre avere più interesse per i libri piuttosto che alla condivisione delle ore di gioco con altri bambini... Il clima familiare, tuttavia, era sostanzialmente sereno, con genitori che certo non mancavano di dimostrargli il loro affetto. Dopo qualche anno nascerà anche una bambina, Martha. Ed è proprio grazie alla sorella che John riesce ad integrarsi un po' di più con gli altri coetanei riuscendo anche a farsi coinvolgere nei giochi usuali dell'infanzia. Tuttavia, mentre gli altri tendono a giocare insieme, John spesso e volentieri preferisce rimanere per suo conto, baloccandosi con aeroplani o automobili. Il padre, poi, lo tratta come un adulto, fornendogli in continuazione libri di scienza e stimoli intellettuali di tutti i tipi. Anche la situazione scolastica non è rosea, perlomeno inizialmente. Gli insegnanti non si accorgono affatto del suo genio e del fatto che avesse talenti straordinari. Anzi, la sua mancanza di "abilità sociali", definite a volte anche come carenze relazionali, portano ad identificarlo come un soggetto indietro rispetto alla media. Più probabilmente, era semplicemente annoiato dalla scuola. Al liceo, invece, la sua superiorità intellettuale rispetto ai compagni gli serve soprattutto per ottenere considerazione e rispetto. Ottiene anche una prestigiosa borsa di studio, grazie ad un lavoro di chimica in cui vi era però anche lo zampino del padre. Si reca allora a Pittsburgh, alla Carnegie Mellon, per studiare proprio chimica. Con il passare del tempo, però, il suo interesse per la matematica va aumentando sempre di più. In questo campo mostra delle abilità eccezionali, specialmente nella soluzione di problemi complessi. Con gli amici, invece, si comporta in modo sempre più eccentrico. Di fatto, non riesce ad instaurare rapporti di amicizia né con donne né con uomini. Partecipa alla Putman Mathematical Competition, un premio molto ambito, ma non vince: sarà questa una delusione cocente, di cui parlerà anche dopo vari anni. In ogni caso si mostra subito un matematico di primo ordine, tanto da ottenere offerte da Harvard e Princeton per fare un dottorato in matematica. Sceglie Princeton, dove avrà modo di conoscere, fra gli altri, giganti della scienza come Einstein e von Neumann. Nash ha avuto fin da subito grandi aspirazioni in campo matematico. Durante i suoi anni di insegnamento a Princeton, soprattutto, Nash ha mostrato una vasta gamma di interessi nella matematica pura: dalla topologia, alla geometria algebrica, dalla teoria dei giochi alla logica. Oltretutto non è mai stato interessato a dedicarsi ad una teoria, a svilupparla, ad intessere rapporti con altri specialisti, eventualmente a fondare una scuola. Desiderava invece risolvere un problema con le sue forze e i suoi strumenti concettuali, cercando l'approccio più originale possibile alla questione. In 1949, mentre studiava per il suo dottorato, sviluppò delle considerazioni che 45 anni più tardi gli valsero il premio Nobel. Durante quel periodo Nash stabilì i principi matematici della teoria dei giochi. Un suo collega, Ordeshook, ha scritto: "Il concetto di equilibrio di Nash è forse l'idea più importante nella teoria dei giochi non cooperativa. Se analizziamo le strategie di elezione dei candidati, le cause della guerra, la manipolazione degli ordini del giorno nelle legislature, o le azioni delle lobby, le previsioni circa gli eventi si riducono 14 ad una ricerca di o ad una descrizione degli equilibri. Detto in altri termini e banalizzando, le strategie di equilibrio sono tentativi di predizione circa il comportamento della gente. Intanto comincia ad avere i primi segni di malattia. Conosce anche una donna, di 5 anni più vecchia di lui, che gli dà un figlio. Nash non vuole aiutare la madre economicamente, non riconosce il figlio, anche se si occuperà di lui per tutta la vita, sia pure saltuariamente. Continua la sua vita piuttosto complicata ed errabonda, che qui non è possibile seguire in dettaglio. Incontra un'altra donna, Alicia Lerde, che diventerà sua moglie. In questo periodo visita anche il Courant, ove incontra L. Nirenberg, che lo introduce a certe problematiche delle equazioni differenziali alle derivate parziali. In questo campo ottiene un risultato straordinario, uno di quelli che potrebbero valere la medaglia Fields, e che è legato ad uno dei famosi problemi di Hilbert. Purtroppo, una tegola si abbatte su di lui. Un italiano, del tutto ignoto e in maniera indipendente, ha risolto anch'egli lo stesso problema pochi mesi prima. Al conferimento del Nobel, lo stesso Nash dichiarerà che: "fu De Giorgi il primo a raggiungere la vetta". Comincia nel frattempo ad occuparsi delle contraddizioni della meccanica quantistica ed anni dopo confesserà che probabilmente l'impegno che mise a questa impresa fu causa dei suoi primi disturbi mentali. Cominciano i ricoveri, e comincia anche un periodo lunghissimo della sua vita in cui alterna momenti di lucidità, in cui riesce comunque a lavorare, raggiungendo anche risultati assai significativi (ma non del livello dei suoi precedenti), ad altri in cui le condizioni mentali sembrano seriamente deteriorate. I suoi disturbi più evidenti si mostrano nel fatto di vedere ovunque messaggi criptati (provenienti anche da extraterrestri) che solo lui può decifrare, nel fatto che affermi di essere l'imperatore dell'Antartide o il piede sinistro di Dio, di essere cittadino del mondo ed a capo di un governo universale. Ad ogni modo, fra alti e bassi, conduce la sua vita al fianco della moglie che lo sostiene in tutti i modi e con grandissimi sacrifici. Finalmente, dopo lunghi travagli, all'inizio degli anni 90, le crisi sembrano avere fine. Nash può tornare quindi al suo lavoro con maggiore serenità, integrandosi sempre di più nel sistema accademico internazionale e imparando a dialogare e a scambiare idee con altri colleghi (caratteristica prima, d'altronde, dell'impresa scientifica). Il simbolo di questa rinascita è contrassegnato nel 94 con il conferimento del premio Nobel.