Esclusiva nel franchising - Il Blog di Valerio Pandolfini

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I rischi del franchising per l’affiliato
L’affiliato in franchising è un imprenditore commerciale a tutti gli effetti; l’attività
che svolge nell’ambito di una rete in franchising – nelle diverse forme, societarie e non, e
con le relative limitazioni di responsabilità che la legge consente - presenta, in generale, le
medesime caratteristiche di una normale attività d’impresa.
Sotto questo profilo, pertanto, il franchisee è soggetto al rischio d’impresa come
qualunque altro imprenditore: può ricavare un profitto, più o meno consistente, oppure
può andare incontro a perdite. Il fatto che l’attività dell’affiliato venga svolta non
isolatamente ma nell’ambito di una rete in franchising indubbiamente gli assicura, in
generale, una maggiore garanzia all’affiliato, dato che può usufruire di una formula
commerciale più o meno collaudata e di successo, di un marchio più o meno affermato,
dell’assistenza del franchisor etc. Ma è chiaro che un’attività in franchising, come ogni altra
attività commerciale, dipende anche (e soprattutto) dalle capacità imprenditoriali
dell’affiliato e dalle condizioni del mercato, che sono in grado di determinare il successo o
l’insuccesso dell’iniziativa dell’affiliato.
Tuttavia, è altrettanto indubbio che l’attività commerciale dell’affiliato presenta delle
peculiarità rispetto a qualsiasi altra attività imprenditoriale, e quindi dei rischi specifici,
legati alle caratteristiche particolari del rapporto di franchising, che non si riscontrano – se
non in misura molto inferiore – nelle altre attività d’impresa.
Quali sono, e da cosa derivano questi rischi specifici dell’affiliato in franchising?
Da una serie di fattori, che attengono alla natura di questo contratto e alle relazioni che si
creano tra franchisor e franchisee.
In primo luogo, l’affiliato in franchising, pur esercitando un’attività commerciale autonoma
– per la quale risponde in proprio - è meno autonomo di qualunque altro imprenditore
commerciale. Con la sottoscrizione del contratto di franchising si crea infatti un vincolo
molto stretto tra l’affiliato e l’affiliante, che condiziona notevolmente la sua attività, le sue
decisioni, le sue scelte e, quindi, i suoi risultati. In altri termini, l’affiliato in franchising è sì
un imprenditore, ma è meno libero di assumere decisioni di quanto lo sia normalmente un
imprenditore commerciale: potrebbe essere definito in un certo senso come un
“imprenditore dimezzato”. Ciò in quanto il franchisor esercita un controllo molto
penetrante sulla sua attività e dunque ne limita fortemente la sua libertà di azione, e
questo è reso possibile da una serie di clausole contrattuali ben precise, che quasi
sempre sono inserite nei moduli contrattuali adottati dei franchisor.
Intendiamoci: una certa limitazione della sfera di discrezionalità dell’affiliato è
assolutamente fisiologica nel franchising, in quanto solo in questo modo il franchisor è in
grado di preservare tre valori assolutamente fondamentali nel franchising: l’uniformità
della rete, l’immagine commerciale della rete e il know-how. Sono funzionali alla
salvaguardia di tali valori le clausole che, ad es., impongono all’affiliato di adottare un
determinato arredamento dei locali del punto vendita (e non altri), di acquistare
determinati prodotti o servizi (e non altri), di dotarsi di un particolare software gestionale
(e non altri), di effettuare una certa pubblicità, di consentire ispezioni periodiche etc.
Ma – come dicevano gli antichi – est modus in rebus. Abbastanza spesso è dato
riscontrare, nella prassi del franchising, clausole contrattuali che limitano
eccessivamente l’operato dell’affiliato, fino al punto da eliminare pressoché del tutto la
sua libertà di agire imprenditoriale. Mi riferisco, tanto per fare degli esempi, alle clausole
che impongono all’affiliato di praticare determinati prezzi di vendita al pubblico, di
acquistare un determinato minimo di prodotti dal franchisor, di acquistare certi prodotti
solo dal franchisor (e quindi ad un determinato prezzo), di subìre la concorrenza
diretta (e spesso sleale) dello stesso franchisor, di acquisire il gradimento del franchisor
in caso di cessione dell’attività, etc.
Si tratta di clausole, purtroppo frequenti, che non rientrano nella “fisiologia” del
franchising in quanto non sono in realtà funzionali a tutelare i legittimi interessi del
franchisor e della sua rete bensì strumenti che permettono allo stesso franchisor di
esercitare una serie di comportamenti vessatori, opportunistici e spregiudicati nei
confronti dell'affiliato, che in tal modo non solo non è in grado di ottenere i risultati
che si proponeva – né tantomeno i profitti che gli erano stati prospettati in sede di
trattativa – ma viene sostanzialmente “spremuto” inesorabilmente giorno dopo giorno, fino
all’inevitabile collasso economico. A quel punto l’affiliato – dopo aver tentato in ogni modo
di resistere, magari (auto) illudendosi che le cose prima o poi cambiassero – è costretto a
cedere (o meglio svendere) l’attività o a patteggiare la sua fuoriuscita dalla rete a
condizioni “capestro” (ad es. pagando elevate penali).
Vi è poi un altro elemento che determina un rischio specifico delle attività in franchising
rispetto a qualunque altra attività imprenditoriale, e che si lega alla particolare situazione
di “debolezza” contrattuale in cui generalmente – o comunque molto spesso - si trova il
franchisee rispetto al franchisor. Anche qui, occorre intenderci. In ogni rapporto
commerciale esiste una parte più “forte” (economicamente, o perché dotata di maggiori
esperienza e/o informazioni) e una più “debole”; ed è chiaro che la prima tende,
inevitabilmente, ad imporre condizioni alla seconda le condizioni più favorevoli. Ma
nell’ambito del franchising si riscontra una particolare soggezione, o dipendenza,
dell’affiliato, che deriva dal fatto che quest’ultimo è spesso un soggetto alle prime
esperienze commerciali, o comunque è privo della esperienza e delle conoscenze
specifiche in quel determinato settore, e proprio per questo (oltre che per il fatto di non
disporre di ingenti capitali) che decide di entrare a far parte di una catena in franchising,
anziché iniziare un’attività in proprio.
Questa situazione fa sì che non solo di fatto il franchisor “impone” al franchisee il proprio
modulo contrattuale standard - contenente le clausole speso “sbilanciate” a suo favore che
abbiamo prima menzionato – ma anche che possono essere fornite al potenziale affiliato,
durante le trattative che precedono la sottoscrizione del contratto, informazioni
insufficienti, inesatte o addirittura false da parte del franchisor circa il network nel
quale stà per entrare a far parte (ad esempio sul marchio, sul know-how, sulla consistenza
della rete etc.) o sull’attività commerciale che verrà intrapresa. Tipico, ad esempio, il
caso in cui l’affiliante prospetti all’aspirante affiliato un business plan contenente previsioni
di redditività totalmente irrealistiche, anche se non necessariamente false o inventate (ad
es. che contempla i risultati raggiunti dai migliori affiliati della rete – magari favoriti da
particolari situazioni geografiche, temporali o di mercato – “spacciandoli” per i risultati
medi ottenuti dagli affiliati della rete).
E poiché è principalmente sulla base delle informazioni ricevute dall’affiliante che l’affiliato
decide di entrare a far parte di una rete, è evidente che, quando quest’ultimo – magari a
distanza di mesi, o di anni – si rende conto che tali informazioni non erano attendibili, è
ormai tardi: sì che l’affiliato va incontro a problemi, danni e perdite anche gravi nel
corso del rapporto.
Inoltre, la situazione di soggezione contrattuale in cui si trova l’affiliato nei confronti
dell’affiliante può esporlo a pressioni, se non a veri e propri ricatti da parte dell’affiliante
nel corso del rapporto. Ad esempio, se all’affiliato viene richiesto, all’inizio del rapporto di
franchising, di compiere elevati investimenti, che sono difficilmente disinvestibili in
quanto specifici di quella determinata attività in franchising (ad es. macchinari o prodotti
specifici, personale specializzato etc.) il franchisee, di fronte alla minaccia del franchisor di
porre termine prematuramente al rapporto, è di fatto costretto ad accettare le imposizioni
del franchisor (ad es., modifiche penalizzanti delle condizioni economiche), pur di non
perdere tutti o gran parte degli investimenti effettuati,
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