I rischi del franchising per l’affiliato L’affiliato in franchising è un imprenditore commerciale a tutti gli effetti; l’attività che svolge nell’ambito di una rete in franchising – nelle diverse forme, societarie e non, e con le relative limitazioni di responsabilità che la legge consente - presenta, in generale, le medesime caratteristiche di una normale attività d’impresa. Sotto questo profilo, pertanto, il franchisee è soggetto al rischio d’impresa come qualunque altro imprenditore: può ricavare un profitto, più o meno consistente, oppure può andare incontro a perdite. Il fatto che l’attività dell’affiliato venga svolta non isolatamente ma nell’ambito di una rete in franchising indubbiamente gli assicura, in generale, una maggiore garanzia all’affiliato, dato che può usufruire di una formula commerciale più o meno collaudata e di successo, di un marchio più o meno affermato, dell’assistenza del franchisor etc. Ma è chiaro che un’attività in franchising, come ogni altra attività commerciale, dipende anche (e soprattutto) dalle capacità imprenditoriali dell’affiliato e dalle condizioni del mercato, che sono in grado di determinare il successo o l’insuccesso dell’iniziativa dell’affiliato. Tuttavia, è altrettanto indubbio che l’attività commerciale dell’affiliato presenta delle peculiarità rispetto a qualsiasi altra attività imprenditoriale, e quindi dei rischi specifici, legati alle caratteristiche particolari del rapporto di franchising, che non si riscontrano – se non in misura molto inferiore – nelle altre attività d’impresa. Quali sono, e da cosa derivano questi rischi specifici dell’affiliato in franchising? Da una serie di fattori, che attengono alla natura di questo contratto e alle relazioni che si creano tra franchisor e franchisee. In primo luogo, l’affiliato in franchising, pur esercitando un’attività commerciale autonoma – per la quale risponde in proprio - è meno autonomo di qualunque altro imprenditore commerciale. Con la sottoscrizione del contratto di franchising si crea infatti un vincolo molto stretto tra l’affiliato e l’affiliante, che condiziona notevolmente la sua attività, le sue decisioni, le sue scelte e, quindi, i suoi risultati. In altri termini, l’affiliato in franchising è sì un imprenditore, ma è meno libero di assumere decisioni di quanto lo sia normalmente un imprenditore commerciale: potrebbe essere definito in un certo senso come un “imprenditore dimezzato”. Ciò in quanto il franchisor esercita un controllo molto penetrante sulla sua attività e dunque ne limita fortemente la sua libertà di azione, e questo è reso possibile da una serie di clausole contrattuali ben precise, che quasi sempre sono inserite nei moduli contrattuali adottati dei franchisor. Intendiamoci: una certa limitazione della sfera di discrezionalità dell’affiliato è assolutamente fisiologica nel franchising, in quanto solo in questo modo il franchisor è in grado di preservare tre valori assolutamente fondamentali nel franchising: l’uniformità della rete, l’immagine commerciale della rete e il know-how. Sono funzionali alla salvaguardia di tali valori le clausole che, ad es., impongono all’affiliato di adottare un determinato arredamento dei locali del punto vendita (e non altri), di acquistare determinati prodotti o servizi (e non altri), di dotarsi di un particolare software gestionale (e non altri), di effettuare una certa pubblicità, di consentire ispezioni periodiche etc. Ma – come dicevano gli antichi – est modus in rebus. Abbastanza spesso è dato riscontrare, nella prassi del franchising, clausole contrattuali che limitano eccessivamente l’operato dell’affiliato, fino al punto da eliminare pressoché del tutto la sua libertà di agire imprenditoriale. Mi riferisco, tanto per fare degli esempi, alle clausole che impongono all’affiliato di praticare determinati prezzi di vendita al pubblico, di acquistare un determinato minimo di prodotti dal franchisor, di acquistare certi prodotti solo dal franchisor (e quindi ad un determinato prezzo), di subìre la concorrenza diretta (e spesso sleale) dello stesso franchisor, di acquisire il gradimento del franchisor in caso di cessione dell’attività, etc. Si tratta di clausole, purtroppo frequenti, che non rientrano nella “fisiologia” del franchising in quanto non sono in realtà funzionali a tutelare i legittimi interessi del franchisor e della sua rete bensì strumenti che permettono allo stesso franchisor di esercitare una serie di comportamenti vessatori, opportunistici e spregiudicati nei confronti dell'affiliato, che in tal modo non solo non è in grado di ottenere i risultati che si proponeva – né tantomeno i profitti che gli erano stati prospettati in sede di trattativa – ma viene sostanzialmente “spremuto” inesorabilmente giorno dopo giorno, fino all’inevitabile collasso economico. A quel punto l’affiliato – dopo aver tentato in ogni modo di resistere, magari (auto) illudendosi che le cose prima o poi cambiassero – è costretto a cedere (o meglio svendere) l’attività o a patteggiare la sua fuoriuscita dalla rete a condizioni “capestro” (ad es. pagando elevate penali). Vi è poi un altro elemento che determina un rischio specifico delle attività in franchising rispetto a qualunque altra attività imprenditoriale, e che si lega alla particolare situazione di “debolezza” contrattuale in cui generalmente – o comunque molto spesso - si trova il franchisee rispetto al franchisor. Anche qui, occorre intenderci. In ogni rapporto commerciale esiste una parte più “forte” (economicamente, o perché dotata di maggiori esperienza e/o informazioni) e una più “debole”; ed è chiaro che la prima tende, inevitabilmente, ad imporre condizioni alla seconda le condizioni più favorevoli. Ma nell’ambito del franchising si riscontra una particolare soggezione, o dipendenza, dell’affiliato, che deriva dal fatto che quest’ultimo è spesso un soggetto alle prime esperienze commerciali, o comunque è privo della esperienza e delle conoscenze specifiche in quel determinato settore, e proprio per questo (oltre che per il fatto di non disporre di ingenti capitali) che decide di entrare a far parte di una catena in franchising, anziché iniziare un’attività in proprio. Questa situazione fa sì che non solo di fatto il franchisor “impone” al franchisee il proprio modulo contrattuale standard - contenente le clausole speso “sbilanciate” a suo favore che abbiamo prima menzionato – ma anche che possono essere fornite al potenziale affiliato, durante le trattative che precedono la sottoscrizione del contratto, informazioni insufficienti, inesatte o addirittura false da parte del franchisor circa il network nel quale stà per entrare a far parte (ad esempio sul marchio, sul know-how, sulla consistenza della rete etc.) o sull’attività commerciale che verrà intrapresa. Tipico, ad esempio, il caso in cui l’affiliante prospetti all’aspirante affiliato un business plan contenente previsioni di redditività totalmente irrealistiche, anche se non necessariamente false o inventate (ad es. che contempla i risultati raggiunti dai migliori affiliati della rete – magari favoriti da particolari situazioni geografiche, temporali o di mercato – “spacciandoli” per i risultati medi ottenuti dagli affiliati della rete). E poiché è principalmente sulla base delle informazioni ricevute dall’affiliante che l’affiliato decide di entrare a far parte di una rete, è evidente che, quando quest’ultimo – magari a distanza di mesi, o di anni – si rende conto che tali informazioni non erano attendibili, è ormai tardi: sì che l’affiliato va incontro a problemi, danni e perdite anche gravi nel corso del rapporto. Inoltre, la situazione di soggezione contrattuale in cui si trova l’affiliato nei confronti dell’affiliante può esporlo a pressioni, se non a veri e propri ricatti da parte dell’affiliante nel corso del rapporto. Ad esempio, se all’affiliato viene richiesto, all’inizio del rapporto di franchising, di compiere elevati investimenti, che sono difficilmente disinvestibili in quanto specifici di quella determinata attività in franchising (ad es. macchinari o prodotti specifici, personale specializzato etc.) il franchisee, di fronte alla minaccia del franchisor di porre termine prematuramente al rapporto, è di fatto costretto ad accettare le imposizioni del franchisor (ad es., modifiche penalizzanti delle condizioni economiche), pur di non perdere tutti o gran parte degli investimenti effettuati,