Il product placement tra strumento di comunicazione e risorsa finanziaria Di Ariela Mortara 1. Introduzione Everlast e Ford sono state le due marche più presenti all’interno di produzioni cinematografiche e televisive nel 2005 e nel 20061 e, secondo Nielsen Media Research, la marca sportiva ha addirittura avuto una copertura maggiore di quella raggiunta da Coca Cola, da sempre una presenza costante in film e serie televisive. Qualche esempio? Annapolis, Black Dalia e Scary Movie 4 solo nel 2006 e, ovviamente, tutti i film che in qualche modo si avvicinano al mondo della boxe: Requiem for a Heavyweight, Raging Bull, Ali, Cinderella Man, The Hurricane, Million Dollar Baby e, naturalmente, Rocky Balboa. Da notare che, in occasione dell’uscita dell’ultima puntata del sequel, la Everlast ha anche messo in vendita una linea marchiata Rocky gear per commemorare i 20 anni di cooperazione dall’uscita del primo Rocky nel 1976. Qual è il motivo che spinge le aziende di marca ad investire in questo strumento? Il sovraffollamento pubblicitario, la ricerca di nuovi canali di comunicazione per raggiungere un pubblico sempre più disincantato e sempre più pronto a sottrarsi, grazie anche alla diffusione di nuove tecnologie (videoregistratori in grado di saltare la pubblicità, pay per view, video on demand, TiVo, dvd, ecc.), all’intrusività dell’advertising tradizionale, ma anche la necessità di raggiungere target particolari che tendono non esporsi ai media tradizionali. È per questo che il product placement, strumento di comunicazione che nasce assieme al cinema, ha raggiunto una fase di massimo sviluppo negli anni ’80 (molto noto e molto citato è il caso delle arachidi coperte di cioccolata, Reese’s Pieces della Hershey, che, dopo essere state inserite nel film di Spielberg E.T.: l’Extraterrestre del 1982, incrementarono le vendite del 60%2), è stato utilizzato senza grandissimo entusiasmo e originalità per tutti gli anni ’90 (si pensi ai film di 007, veri e propri contenitori/vetrina per i nuovi modelli della BMW, nonché ricettacoli per ogni sorta di brand) e sta trovando nel XXI secolo la sua fase di attuazione forse più piena e consapevole. È infatti nel nuovo millennio che si sviluppano casi originali e il product placement non solo viene applicato ad ambiti diversi da quelli tradizionali, e compare oggi nei libri, nei videogiochi, come pure nelle produzioni teatrali, nei musei e nelle mostre d’arte, ma anche viene utilizzato con una maggiore consapevolezza e una attenzione particolare alla coerenza fra il contenitore e il contenuto. 2. Che cos’è il product placement? La letteratura è ricca di definizioni per il product placement anche se, data la fluidità degli ambiti in cui si applica, è difficile trovarne una che possa essere calzante per ogni tipo di attuazione. Con la locuzione “product placement” si fa, di norma, riferimento all’inserimento di un brand o di un prodotto all’interno di un contesto di entertainment - un film (per il cinema o per la televisione), un libro, uno spettacolo teatrale, una canzone, un videogioco o un advergaming - a fronte di una somma di denaro o, a volte, in una sorta di baratto3. L’obiettivo è quello di influenzare l’audience4 1 Fonte www.brandchannel.com. A fronte peraltro di un inserimento realmente modesto che, da solo, non spiega lo straordinario incremento delle vendite che infatti si dovette con molta probabilità all’azione combinata di advertising e promozione sul punto vendita cfr. Welsh, C., Tethering the viewer. Product Placement in Television and Film, 2004, reperibile al seguente indirizzo http://www.brandchannel.com/images/papers/251_product_placement.pdf, sito rilevao il 2 agosto 2007. 3 Si veda tra le altre la definizione di Dalli: Dalli, D., “Il product placement cinematografico: oltre la pubblicità?”, in J.C.Andreani, U.Collesei (a cura di), Atti del Terzo Congresso Internazionale sulle Tendenze del marketing in Europa, Ca' Foscari, Venezia, 2003, reperibile al seguente indirizzo: http://venus.unive.it/dea/ricerca/convegni/markve03/Materiali/Paper/It/Dalli.pdf, sito rilevato il 2 agosto 2007. 2 al fine di ottenere un miglioramento della notorietà della marca (awareness), un impatto positivo sulle scelte dei potenziali consumatori e un incremento delle intenzioni d’acquisto. In particolare, Moser et al.5 sostengono che, a patto che il product placement sia perfettamente inserito all’interno di un programma, ci sono diversi vantaggi nell’utilizzo di questo strumento: non permette allo spettatore di sottrarsi alla suggestione pubblicitaria; rende possibile lo sfruttamento del ruolo di garante svolto dal programma in cui il prodotto o il brand è inserito, consente l’implicita funzione di endorsement effettuata dalle star cinematografiche o televisive che compaiono in abbinamento al prodotto6; ha un costo certamente inferiore rispetto ad altri strumenti di comunicazione tradizionali (in particolare rispetto agli spot televisivi); è sicuramente meno intrusivo rispetto alla pubblicità classica, in quanto non interrompe in nessun modo il programma; può avere un’immagine di alto profilo che dipende direttamente dalla popolarità dello spettacolo in cui è inserito; ha la possibilità di raggiungere un’audience sopranazionale se si considerano le logiche distributive dei programmi televisivi che spesso vengono acquistati da emittenti di paesi diversi (si pensi a format come il Grande Fratello o a serie come The O.C. o Desperate Housewife e Gray’s Anatomy che, dopo essere state acquistate da Sky, sono approdate sulle reti nazionali) e dei film che passano dalla sala cinematografica all’home video per finire sulle reti televisive (la cosiddetta long tail). Questo se si considera il product placement dal punto di vista dell’impresa che investe in esso, ma esiste anche il punto di vista del prodotto culturale o di intrattenimento in cui il brand viene inserito e, in questo caso, gli obiettivi possono essere diversi: migliorare l’immagine degli attori coinvolti nel programma (accade quando la marca è molto famosa e in qualche modo trasmette i propri valori a chi la utilizza) o, più semplicemente e comunemente, ottenere un sostegno finanziario. In cambio dell’inserimento della marca o del prodotto, infatti, la produzione riceve del denaro o delle attrezzature/servizi per i quali avrebbe dovuto pagare7. I risultati di alcune ricerche hanno dimostrato che il product placement ha un’efficacia maggiore rispetto all’advertising classico nello stimolare il ricordo, nel promuovere la conoscenza della marca e nell’incrementare le vendite, il tutto a fronte di investimenti sicuramente inferiori8. Ciò nonostante, rispetto alla pubblicità classica, gli investimenti in questo strumento di comunicazione rimangono sicuramente marginali. I dati disponibili appartengono prevalentemente al mercato statunitense. L’istituto di ricerca PQ Media9, che rileva gli investimenti nei media sia per il product placement per il quale la produzione riceve un compenso in denaro, sia per quello effettuato sulla base del baratto (fornitura di beni e sevizi in cambio dell’inserimento), sia, infine, per quello su base gratuita (che avviene quando la trama lo richiede per essere più credibile o per connotare in maniera specifica un personaggio), riporta un investimento complessivo pari a 3,451 miliardi di dollari nel 2004 di cui 3,132 in televisione e cinema (il restante in altri media quali internet, videogames, ecc.), con un incremento pari circa al 30,5% rispetto all’anno precedente. Nel 2005 l’investimento in 4 Berglund, N., Spets, E., Product Placement as Communication Tool: Role of Public Relations Firms. A case study of Hedberh & Co., Bachelor Thesis, 2003, reperibile al seguente indirizzo: http://epubl.luth.se/1404-5508/2003/137/LTUSHU-EX-03137-SE.pdf, sito rilevato il 2 agosto 2007. 5 Moser, H. R., Bryant, L., “Sylvester, K., Product Placement as a Marketing Tool in. Film and Television”, National Social Science Journal, 22-1, 2004, reperibile al seguente indirizzo: http://www.nssa.us/nssajrnl/22-1/pdf/12, sito rilevato il 28 settembre 2005. 6 In questo caso aggirando gli ingenti costi che un’azienda deve sostenere per uno spot pubblicitario in cui compaia un testimonial e dando al contempo un’impressione di maggiore spontaneità e veridicità all’utilizzo del prodotto. 7 Si pensi ai cosiddetti “Coke Film” nei quali la Coca Cola, in cambio della sua apparizione esclusiva nel film, fornisce la sua bibita per tutta la durata della produzione cfr. Karrh, J.A., “Brand Placement: a Review”, Journal of Current Issues and Research in Advertising, 20, November 1998, pp. 31-49. 8 Cleophat, C. R., “A content Analysis of product placement of African-American-Oriented Programming on United Paramount Network”, Article 23, 2005, reperibile al seguente indirizzo http://dscholarship.lib.fsu.edu/undergrad/123, sito rilevato il 20 settembre 2005. 9 PQ Media, Product Placement Spending in 2005: Executive Summary, 2005 reperibile al seguente indirizzo: http://www.pqmedia.com/ppsm2005-es.pdf, sito rilevato il 2 agosto 2007. cinema e televisione è ulteriormente cresciuto fino a raggiungere i 4,24 miliardi di dollari10. Secondo le previsioni, inoltre, l’investimento in questo strumento è destinato a crescere con un incremento percentuale annuo del 14,9% che lo porterà nel 2009 a raggiungere i 6,94 miliardi di dollari. A beneficiare maggiormente della crescita sarà proprio il product placement effettuato in cambio di un esborso di denaro che passerà dal 29,2% al 37,5%, dimostrando così il diffondersi di un uso più strategico e meno casuale di questo strumento. Non bisogna dimenticare però che si tratta pur sempre di cifre irrisorie se comparate con gli investimenti in advertising classico: nel 2007 negli Stati Uniti la spesa pubblicitaria è stata di 149,6 miliardi di dollari11, contro i 2,24 miliardi del product placement “pagato”12. Per quanto riguarda la realtà italiana, i dati disponibili sono davvero pochi, dato che l’uso del product placement è stato legalizzato, all’interno delle produzioni cinematografiche italiane, solo grazie alla pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale del 6 ottobre del 2004, di due decreti attuativi nel contesto del DLS n. 28 del 22 gennaio 2004 (c.d. legge Urbani). Fino a quella data i film italiani, pur facendo ricorso a marche e a prodotti per rendere più realistico il contesto narrativo, non potevano avvalersi del contributo delle aziende produttrici, pena l’accusa di essere veicoli di pubblicità occulta. Si pensi alle denunce subite dal serial “Un commissario a Roma”, coprodotto da Rai e La Repubblica nel 1993, a causa dell’inquadratura di un palazzo sovrastato da un’insegna con il nome della testata che compariva, senza apparente motivo, in tutte le puntate. Nonostante la legittimazione, però, sono ancora poche le produzioni italiane che si avvalgono della possibilità di reperire finanziamenti grazie all’inserimento di prodotti. E questo per diversi motivi: la relativa novità dello strumento, la scarsità di agenzie di comunicazione preparate (Camelot, una delle più importanti realtà italiane che si occupa in maniera professionale di product placement, ha dichiarato di aver raccolto più di un milione di euro per otto film in uscita nel 200613) e, non da ultimo, la sfiducia delle aziende nelle produzioni italiane. Infatti, nonostante molti brand nostrani siano assiduamente presenti all’interno di film d’oltreoceano (preferibilmente blockbuster statunitensi: le armi Beretta compaiono in film come Minority Report, Mr. E Mrs. Smith, Sin City, gli abiti di Armani in American Gigolo o The Forgotten, le borse Tod’s di Two Week Notice), la riluttanza ad investire in produzioni autoctone è ancora forte. Si pensi all’occasione mancata da una nota marca di spumante che non ha voluto credere alle potenzialità de I giorni dell’abbandono, o alla scarsità di product placement rilevanti all’interno di Notte prima degli esami, film che si è rivelato un successo inaspettato (ne è già stato fatto il sequel), ma su cui nessuno era disposto a scommettere. Diversi i casi dei vari Il mio miglior nemico o Natale a New York, - successi annunciati, grazie alla presenza di attori famosi e all’investimento promozionale in fase di lancio che hanno ospitato, in maniera ostentata e a volte irritante, noti brand onnipresenti anche nei canali di comunicazione tradizionali. Se infatti, mediamente, il popolo dei cineamatori non è disturbato dal product placement - come dimostra una ricerca, condotta nel 2005 da Demoskopea14 su 304 spettatori intervistati all’uscita dal cinema, secondo la quale il 43% degli intervistati dichiara di non essere infastidito dalla visione dei marchi e il 41% si dichiara indifferente (solo l’8% ne è infastidito) - è vero però che, in casi di inserimento sfacciato o eccessivo, la reazione può essere molto diversa: lo testimonia l’ultimo film 10 Gutnik L, Huang T., Lin J. B, Schmidt T., New Trends in Product Placement, Spring 2007, reperibile al seguente indirizzo: www.ischool.berkeley.edu/~hal/Courses/StratTech07/Tech/Preso/D-placement.doc, sito rilevato il 2 agosto 2007. 11 TNS Media Intelligence Reports U.S. Advertising Expenditures Increased 4.1 Percent in 2006, 13 marzo 2007, reperibile al seguente indirizzo: http://www.tns-mi.com/news/03132007.htm, sito rilevo il 2 agosto 2007. 12 Si confronti http://www.pqmedia.com/about-press-20070314-gppf.html. 13 Product placement da 1milione di euro per 8 film italiani in uscita nel 2006, Italia Oggi, 30 novembre 2005, reperibile al seguente indirizzo: http://www.cinecitta.com/marketing/documenti/Camelot-italia-oggi.pdf, sito rilevato il 2 agosto 2007. 14 Demoskopea (a cura di), Il product placement cinematografico in Italia 2005, ricerca condotta per conto di Cinecittà Holding presentata durante il convegno “Product Placement. Cinema e brand si incontrano”, Roma 6 ottobre 2005. di 007, il remake di Casino Royale, in cui la citazione della marca di orologi coinvolta appare totalmente decontestualizzata e questo non sfugge all’attenzione degli spettatori15. 3. Dal product placement al branded entertainment, dal cinema al museo E proprio il tema della coerenza sembra essere l’elemento discriminate nell’utilizzo del product placement. L’inserimento quasi casuale di brand o prodotti, oltre a risultare fastidioso, rischia anche di essere controproducente: quanti sono in grado di ricordare i numerosi brand che compaiono in Minory Report (American Express, Aquafina, Ben & Jerry's, Beretta, Broguiere's, Bulgari, Burger King, Century 21, Fox, Gap, Guinness, iomega, Kawasaki, Lexus, New York Mets, Nokia, Pepsi, Reebok, Revo, US News & World Report, USA Today16)? E quanti invece si ricordano perfettamente il pallone Wilson compagno di Tom Hanks in Cast Away? È evidente che Cast Away (2000) rappresenta un caso esemplare: l’intero film può essere considerato un’operazione di product placement a favore del noto corriere Fed Ex (anche se il management aziendale all’epoca dichiarò di non aver stipulato un contratto di product placement, pur avendo sostenuto la campagna promozionale del film). E, per quanto riguarda il brand Wilson, che dà il nome al pallone, unico compagno di Tom Hanks, esso risulta perfettamente integrato e, addirittura, indispensabile per lo svolgimento della storia. Il naturale progresso nella pratica del product placement parte dal semplice inserimento del prodotto nel contesto narrativo (pratica tipica degli anni ’80, come testimoniano moltissimi blockbuster hollywoodiani), passa per il tentativo di farne un elemento essenziale della narrazione (uno dei primi casi di questo tipo è l’uso strategico degli occhiali nel film Men in Black) e giunge infine al così detto branded entertainment, che si ha quando la marca è protagonista assoluta dell’evento che viene costruito ad hoc (si pensi al già citato caso di Cast Away, ma anche al recente Notte al Museo a seguito del quale l’American Museum of Natural History di New York ha visto aumentare gli ingressi del 20%17). La coerenza del marchio/prodotto con la trama e il contesto sono quindi fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di comunicazione, qualsiasi sia il tipo di inserimento. In letteratura se ne distinguono tre: lo screen placement, ovvero l’inserimento, a livello visivo, di un determinato marchio o prodotto all’interno di una narrazione (facendo utilizzare un prodotto o inserendo un cartellone pubblicitario in una ripresa all’esterno), lo script placement, ovvero l’inserimento a livello verbale, all’interno di una conversazione o inserendo delle trasmissioni audio, o ancora il plot placement18, il caso più evoluto, quando la sceneggiatura è strutturata in modo che il marchio o il prodotto assume un ruolo ben determinato nel contesto narrativo. Se il cinema rappresenta da sempre il mezzo di elezione per il product placement, negli ultimi tempi gli inserimenti più numerosi sono stati però documentati all’interno delle produzioni televisive (ad eccezione ovviamente della realtà italiana che, come si è detto, prevede la possibilità di inserire brand o prodotti solamente nelle produzioni cinematografiche19) che consentono una verifica dell’efficacia in tempi molto più rapidi rispetto ai 12-18 mesi necessari per la produzione di un film o di un videogioco. Per questo, alcune serie televisive si sono dimostrate fin dagli esordi dei 15 Si vedano fra gli altri i commenti riportati su diversi forum come http://www.rottentomatoes.com/vine/showthread.php?t=520554 e http://bgcooper.com/2007/05/07/casino-royaleproduct-placement-overload/. 16 L’elenco dei brand è reperibile al seguente indirizzo: http://www.brandchannel.com/brandcameo_films.asp?movie_year=2002#99, sito rilevato il 17 luglio 2007. 17 Per un approfondimento sul tema si veda Mortara A, “Il product placement questo sconosciuto”, in Bagnasco A.M (a cura di), Progetti di arte e cultura: esperienze e riflessioni tra creatività e business, Unicopli- Cuesp, 2005, pp. 55-69. 18 Russel, C. A., “Toward a Framework of Product Placement: Theoretical Propositions”, in Advances in Consumer Research, vol. 25, 1998, pp. 357-362. 19 Anche se il 24 maggio 2007 è trovato un accordo tra Commissione e Parlamento Europeo in merito all’introduzione del product placement nelle trasmissioni televisive. Accordo a cui i singoli paesi possono aderire con modalità personalizzate entro il 2009 si veda Martino F., Product placement anche nella tv europea, 25 maggio 2007, reperibile al seguente indirizzo: http://www.visionpost.it/index.asp?C=10&I=1730, sito rilevato il 23 agosto 2007. contenitori adatti ad ogni tipo di prodotto: in una puntata di Seinfeld, ad esempio, la produzione riesce a collocare una caramella Junior Mint nella cavità toracica di un paziente. Smallville dedica una lunghissima inquadratura alla New Beetle della giornalista Chloe Sullivan che rimane illesa tra i meteoriti che suggellano la fine della 4 serie. Apple inserisce i suoi Mac in una quantità di serial che spaziano da 24 a Veronica Mars, passando per Sex and the City e i Sopranos, a fronte di un investimento in advertising classico davvero ridotto. Tra le applicazioni più recenti, e in sicura ascesa, si segnalano gli inserimenti nei videogame: l’importanza di questo mezzo di comunicazione è testimoniata dalle previsioni di vendita che indicano per il 2008 il raggiungimento di un fatturato pari a 16,9 miliardi di dollari. L’affermazione dei videogame come veicolo di comunicazione è supportata, inoltre, dalla certezza, e i dati Nielsen lo confermano, che nel prossimo futuro il 12 % dei giovani maschi di età compresa fra i 18 e i 24 anni guarderà sempre meno la televisione e si dedicherà sempre più ai videogiochi20. Questo spiega l’utilizzo del product placement all’interno di giochi famosi come The Sims che, nella sua versione online, ha stretto un accordo con Intel e McDonalds i cui prodotti sono consumati dagli avatar dei giocatori. La tecnologia sempre più avanzata, inoltre, consentirà di aggiornare la pubblicità inserita nel gioco su base quasi giornaliera e presto sarà possibile modificare l’inserimento del brand in base all’età del giocatore che troverà pubblicizzato un prodotto per la cura dell’acne, se adolescente, e un prodotto contro la caduta dei capelli, se di mezza età. Le opzioni sembrano essere davvero molteplici. Anche Second Life non può esimersi dall’inserimento di marche più o meno note: e quindi gli avatar possono incontrare vendor machine che regalano lattine di Red Bull e birre Daft come pure imbattersi in cartelloni pubblicitari della Renault o frequentare il nuovo Cafè Society sponsorizzato da San Pellegrino21. Ben documentati sono i casi in cui il product placement si è introdotto anche nelle produzioni teatrali22: dalla tequila Gran Centenario che prende il posto di un generico scotch in Sweet Charity di Neil Simon, all’inserimento del brand Yahoo nella trasposizione nel musical Spamalot del film Monty Python and the Holy Grail prodotta a Broadway, che si accompagna alla menzione della carne in scatola Spam che dà il nome alla rappresentazione. O ancora Fujifilm che ha fotografato i momenti principali del Musical Evita (2002) che sono stati poi riproposti agli spettatori, nella parte conclusiva dello spettacolo, proiettati su di un megaschermo accompagnato dal nome dell’azienda. Si tratta di soluzioni creative che si stanno rivelando per le aziende sempre più attraenti allo scopo di differenziarsi dai competitor con un investimento più contenuto ed attraverso uno strumento diverso e meno dispersivo rispetto alla pubblicità tradizionale. Gli esempi sono numerosi e danno adito a una nutrita controversia su limiti e confini esistenti tra arte e pubblicità. Se, da un lato, l’inserimento di brand o prodotti può essere utile, come già avviene per le produzioni cinematografiche, per portare risorse finanziarie al settore delle performing arts, nonché per aggiungere credibilità alla rappresentazione stessa, dall’altro la contaminazione fra cultura e profitto suscita perplessità e critiche come dimostrano anche alcuni accesi dibattiti online23. Anche la letteratura non si esime dall’inserimento del mondo della marca: si pensi all’uscita nel 2001 del romanzo The Bulgari Connection scritto da Fay Weldon su commissione del noto gioielliere romano. Ma il sospetto di un product placement si ha anche nella lettura dei notissimi 20 Duncan, A., Product Placement Makes a Virtual Leap, reperibile al seguente indirizzo: http://directories.vnuemedia.com/bep_frame/frame.htm, sito rilevo il 2 agosto 2007. 21 La notizia è riportata fra l’altro da http://fantasilandia.wordpress.com/2007/06/28/sl-events-san-pellegrino-openscafe-society, sito rilevato il 21 agosto 2007. 22 Leonard, T., There's no business like the product placement business, Telegraph, 23/04/2005 reperibile al seguente indirizzo: http://www.telegraph.co.uk/news/main.jhtml?xml=/news/2005/04/23/wproduct23.xml&sSheet=/news/2005/04/23/ixwo rld.html, sito rilevato il 2 agosto 2007. 23 Curiosamente il tema del product placement risulta molto dibattuto su forum e blog si veda ad esempio http://playgoer.blogspot.com/2005/08/product-placement.html, sito rilevato il 2 agosto 2007. Codice Da Vinci e Angeli e Demoni di Dan Brown che riportano spesso e volentieri marche di automobili. Infine, la naturale evoluzione del product placement, il branded entertainment, porta alla creazione di eventi costruiti attorno alla marca che siano in perfetta sintonia con i valori della marca stessa. Un esempio recente in questa direzione è la realizzazione della serie d’animazione City Hunters realizzata attorno al deodorante Axe, che ispira anche il nome di uno dei protagonisti il giovane Axel. In perfetta coerenza con quanto veicolato dalla comunicazione pubblicitaria tradizionale, il prodotto aiuta Axel ad apprendere l’arte della seduzione24: diviene quindi una sorta di aiutante magico proppiano25 che assume un ruolo fondamentale nella narrazione. Inoltre, in una logica di comunicazione integrata, sia la comunicazione della serie, che il sito Internet ad essa dedicato, fanno sempre riferimento al brand. 4. Valutazione dell’efficacia Come per tutti gli strumenti di comunicazione anche per il product placent si pone il problema della valutazione dell’efficacia. Da un’indagine esplorativa26 condotta presso i membri dell’ERMA (attualmente EMA - Entertainment Marketing Association) è emerso che la valutazione dell’efficacia dovrebbe tenere presenti tre aree principali: la prominenza che viene calcolata in base all’esposizione (secondi di apparizione del brand o del prodotti sullo schermo) e al numero delle apparizioni; la chiarezza che comprende la distintività del nome o del marchio (sia dal punto di vista visivo che dal punto di vista sonoro), la percezione totale o parziale del piazzamento visivo o la pronuncia per intero del nome; e se il brand o il prodotto è fermo o in movimento; l’integrazione che comprende l’inserimento del prodotto/marca all’interno della trama , il contatto fisico con il personaggio principale e la citazione verbale. Nessuno di questi criteri risulta più importante degli altri: possono esistere infinite combinazioni che tengono presente anche l’inserimento in particolari posizioni dello schermo, la presenza di un prodotto il cui packaging sia immediatamente riconoscibile, l’associazione del prodotto a valutazioni positive da parte del protagonista, nonché la quantità di prodotti/marche presenti contemporaneamente. Alcune società di ricerca hanno incluso nelle loro prassi anche la valutazione dell’efficacia del product placement: IAG (Intermedia Advertising Group) focalizza la sua attenzione sull’inserimento in programmi televisivi ed il suo prodotto, IAG in-Program Performance, misura ogni tipo di product placement inserito in ogni reality trasmesso nella fascia cosiddetta di prime time27, in ogni sitcom e in ogni trasmissione sportiva nell’abito delle sei reti principali. La valutazione è effettuata sulla base di tre parametri: il ricordo generico (la capacità di riconoscere il piazzamento di un prodotto o di un brand), il ricordo della marca (la capacità di identificare una marca specifica) e la coerenza (la valutazione relativa al grado di integrazione del prodotto o del brand). Ad ogni piazzamento viene quindi attribuito un punteggio che esprime una sorta di ricordo/riconoscimento complessivo28. Un servizio analogo viene fornito da Nielsen attraverso il programma Place Views che rileva tutte le apparizioni e le menzioni verbali di una marca all’interno dei programmi trasmessi in prime time dai principali network; la società ha manifestato l’intenzione, per un futuro molto ravvicinato, di lanciare un ulteriore servizio: quello di indicare alle 24 Si veda per ulteriori informazioni: http://www.cityhunters.tv/la/. Si veda Propp, V. Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1988. 26 Jean-marc Lehu, J-M, Le placement de produits au cinéma : Hiérarchie des critères d’utilisation ou hiérarchie des étapes ? Une étude exploratoire qualitative auprès d’agents professionnels anglo-saxons, reperibile al seguente indirizzo: http://venus.unive.it/dea/ricerca/convegni/markpa05/Materiali/Paper/Fr/LEHU.pdf, sito rilevato il 2 agosto 2007. 27 Il prime time è la fascia oraria del palinsesto televisivo che garantisce l’audience maggiore, varia da paese a paese, in Italia corrisponde alla fascia oraria che va dalle 20,30 alle 23. 28 Welsh, C., op. cit., p. 42. 25 aziende il programma migliore in cui effettuare il piazzamento del prodotto. Anche l’istituto iTVX29 ha messo a punto un programma di valutazione dell’efficacia del product placement che combina la qualità e la quantità delle apparizioni della marca con la soglia di attenzione/coinvolgimento dello spettatore che varia a seconda del mezzo di comunicazione preso in considerazione: si va dal basso coinvolgimento tipico di uno spettacolo trasmesso da una televisione generalista, in cui lo spettatore si aspetta l’intrusione della comunicazione pubblicitaria, a un coinvolgimento maggiore generato dalle trasmissioni via cavo (che non sono soggette a interruzioni), fino ad arrivare a un coinvolgimento massimo tipico degli spettacoli cinematografici in cui il setting contribuisce ad aumentare l’attenzione e quindi anche la predisposizione a cogliere, ricordare ed elaborare quando viene trasmesso sullo schermo. Il modello, inoltre, tiene presenti una serie di variabili che misurano la conoscenza della marca, l’integrazione con il contenuto e la capacità di generare impatto. Il proliferare di questi e altri modelli di valutazione dell’efficacia dello strumento è un sicuro indicatore di quanta attenzione il product placement sia stato in grado di attirare negli ultimi anni. Tra le motivazioni, a cui si è già brevemente accennato, una delle principali è sicuramente la capacità di raggiungere le fasce più giovani della popolazione: da una ricerca condotta negli Stati Uniti30 emerge infatti che il product placement viene notato maggiormente dagli spettatori di età compresa fra i 15 e i 24 anni (57%) che dichiarano inoltre di essere, nel 41% dei casi, propensi a provare il prodotto dopo averlo riconosciuto in un film. Dalla stessa ricerca emerge che il product placement, soprattutto quello cinematografico, migliora in maniera sostanziale l’awareness della marca. L’utilizzo del product placement comporta però anche alcuni rischi: uno dei principali consiste nel non poter prevedere in anticipo quanto successo otterrà il film (e questo è il motivo per cui in Italia sono ancora poche le produzioni che possono vantare inserimenti cospicui), la trasmissione o comunque il contenitore d’intrattenimento che ospiterà il brand. Allo stesso modo una scelta non accurata, che non tenga presente la necessaria coerenza tra il soggetto ospitante e l’oggetto del product placement finirà per avere effetti negativi sul pubblico e porterà a una valutazione non positiva del brand. Nel film Pearl Harbor, ad esempio, delle bottiglie di Coca Cola (estremamente riconoscibili grazie alla loro forma peculiare) vengono utilizzate come contenitori per il sangue, mentre i protagonisti bevono Pepsi. Una sorta di product placement al contrario per il brand competitor (Coca Cola) che mette ancora più in risalto la Pepsi31. Infine, non mancano coloro che pensano al product placement come ad una forma di pubblicità occulta, quasi subliminale, in quanto i prodotti collocati negli spettacoli non sono immediatamente percepiti dagli spettatori come pubblicità. Nel 2004 Commercial Alert, un’associazione no profit di difesa dei consumatori, ha proposto una petizione per una regolamentazione più rigida del product placement definito come un “affronto all’onestà”. La Federal Trade Commission ha rifiutato la richiesta del Commercial Alert che proponeva di giustapporre la scritta “messaggio pubblicitario”, ben visibile sullo schermo, ogni qual volta si fosse in presenza di un product placement32. La motivazione per cui la petizione è stata rifiutata è che non è possibile dimostrare che il product placement sia una tecnica disonesta o che possa nuocere. La legge italiana, di contro, prevede che “Ai fini della riconoscibilità delle forme di collocamento pianificato (…), l’opera cinematografica deve contenere un avviso nei titoli di coda che informi il pubblico della presenza dei marchi e prodotti all’interno del film, con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste”33 ma, come è noto, i titoli di coda non sono la parte più vista di un film. 29 Welsh, C., op. cit., p. 44. La ricerca è stata condotta da MediaLab/MEC nel settembre del 2003 su un campione di 11300 individui in venti paesi per verificare l’attitudine nei confronti del product placement citata in Welsh, C., op. cit., p. 48 e ss. 31 Moser H. R., Bryant L., Sylvester K, op. cit. 32 La petizione è disponibile al seguente indirizzo: http://www.commercialalert.org/issuesarticle.php?article_id=193&subcategory_id=79&category=1, sito rilevato il 20 settembre 2005. 33 Il 6 ottobre 2004 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i due decreti attuativi che riguardano il Product Placement nel contesto del DLS n. 28 del 22 gennaio 2004, reperibili al seguente indirizzo: http://www.cinecitta.com/marketing/documenti/GU_ProductPlacement.pdf. 30 5. Conclusioni L’utilizzo sempre più diffuso da parte delle imprese del product placement come strumento di comunicazione offre ampie opportunità di riflessione. Una prima considerazione deve essere fatta in relazione alle opportunità che questo strumento fornisce alle imprese: in un’epoca di sovraffollamento pubblicitario la possibilità di fare comparire la propria marca o il proprio prodotto in un contesto diverso da quello classico dell’advertising consente di ottenere una visibilità e una distintività di cui le imprese hanno sempre più bisogno; la relativa economicità di questo strumento, inoltre, lo rende accessibile anche a quelle aziende che non dispongono di un budget sufficiente a superare la soglia minima di esposizione sui media di massa34. Non bisogna dimenticare però che il product placement ha, da sempre, costituito una forma di finanziamento per le produzioni cinematografiche e, negli ultimi anni, sta contribuendo al sostentamento di tutto il settore delle performing arts. Le imprese culturali, quindi, possono servirsi delle nuove opportunità che l’inserimento di marchi e prodotti garantiscono a un settore tradizionalmente alla ricerca di fondi: in quest’ottica il product placement può diventare un valido strumento di fundraising35, pure essendo, come si è visto, passibile di critiche. D’altro canto l’inserimento di marche e prodotti riconoscibili contribuisce, come si è già notato, ad aumentare il realismo del prodotto culturale, poiché la realtà è fatta di prodotti di marca, e contribuisce anche ad arricchirlo di significato, dato che nel tempo i prodotti stessi hanno implementato il loro valore simbolico36 e le marche sono sempre più portatrici di significato, diventando per il consumatore un vero e proprio riferimento37. Pensando quindi a questo accresciuto ruolo del product placement si può attribuire ad esso anche un valore di tipo culturale che tende ad aumentare quanto più ci si allontana dal naturale ambiente in cui questo strumento è nato e si è sviluppato e ci si muove verso le applicazioni più recenti ed innovative. La situazione attuale di fermento relativa a questo strumento fa prevedere che in futuro saranno sempre di più i settori interessati alle opportunità offerte dall’inserimento di marche e prodotti all’interno di contenitori diversi, a patto però che vengano rispettati i necessari principi di coerenza e di integrazione con gli altri strumenti di comunicazione. Bibliografia “Product placement da 1milione di euro per 8 film italiani in uscita nel 2006”, Italia Oggi, 30 novembre 2005, reperibile al seguente indirizzo: http://www.cinecitta.com/marketing/documenti/Camelot-italia-oggi.pdf Bagnasco A.M (a cura di), Progetti di arte e cultura: esperienze e riflessioni tra creatività e business, Unicopli- Cuesp, 2005, pp. 55-69 Berglund, N., Spets, E., Product Placement as Communication Tool: Role of Public Relations Firms. 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