Anno X° N.21 Dicembre 2009
Periodico dell’Associazione “Il Clan/Destino onlus”
Registrazione n° 07/02 del Tribunale di Busto Arsizio
Direttore Responsabile: Lucia Saccardo
IL
in
Sede legale: Via San Giuseppe, 36 - 21047 Saronno VA
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scrivici@ il-clan-destino.it
CLAN/DESTINO
fuori dal centro
LE NOSTRE VOCI
“Io ho paura! Ti faccio paura?”
“Io ho paura… ti faccio paura?”è un seminario che ha avuto luogo sabato 28 al Liceo classico Legnani, organizzato dai volontari di
As.V.A.P. 4 in collaborazione con tutte le realtà che gravitano attorno all’Unità Operativa di Psichiatria. Una giornata di studio partita dalla
cronaca quotidiana: dalla paura per episodi violenti attribuiti a persone con disagio psichico che accentuano la paura della diversità in
genere. A volte anche volontari e familiari hanno paura, a volte anche l’operatore, soprattutto nelle fasi critiche e acute della malattia;
spesso però dimentichiamo che anche l’utente vive una condizione umana e quindi può soffrire di paure come noi: paura degli altri, del
mondo, di sé stesso e paura di chi cerca di curarlo. L’argomento è stato sviscerato da alcuni interventi in mattinata (di un paziente, di un
cittadino, di un familiare e di un operatore) a cui ha fatto seguito il lavoro di gruppo per la preparazione delle domande per la tavola
rotonda del pomeriggio a cui hanno preso parte, moderati dal primario del reparto, il dottor Teodoro Maranesi, il dott. Angelo Barbato
(epidemiologo), la dott.ssa Elisabetta Franciosi (psicoanalista), il dott. Giuseppe Anzani (Magistrato), il Comandante Giuseppe Sala
(Polizia Locale di Saronno) e Don Michele Barban (fondatore e Direttore del Centro Gulliver di Varese). Parlare delle paure di tutti
attraverso Il confronto, la discussione e la comprensione dei reciproci timori e soprattutto con l’aiuto di esperti e senza restare soli come
spesso succede ha prodotto risultati impensabili ai più all’inizio. A spezzare i ritmi intensi di lavoro ci hanno pensato i ragazzi del
“Clan/Destino” con una godibile performance teatrale per la regia di Davide Lomazzi e quelli dello Ial Lombardia con le loro deliziose
specialità culinarie.
“un giorno la paura busso' alla porta,
il coraggio si alzo' ad aprire e vide
che non c'era nessuno”
Martin Luther King
Link: http://www.pierodasaronno.eu
i filmati degli interventi degli esperti,
lo spettacolo teatrale del Clan /
Destino.
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QUATTRO INTERVENTI
Utente (Irma Giavara)
Paura del futuro
Quando penso che mia madre potrebbe morire ho paura: come
affronterò i problemi col mondo esterno? Ora cerco di essere un
po’ autonomo per avere una indipendenza maggiore. Anche a
me fa paura il futuro: sto invecchiando e le energie mi mancano.
Al mattino mi alzo senza energie e la giornata mi fa paura. Fatico
a lavarmi, fatico ad andare avanti. Fare
da soli è dura! Anche dipendere sempre
dagli altri non mi piace. Ti capisco, io ho
paura di finire in un Istituto; forse, in
futuro, non ragionerò più, non sarò più
autonoma e non mi lasceranno più stare
a casa mia. Invece, io, mi sento bene
ma mi pongo domande dolorose:
quando sarò dimesso dalla comunità ce
la farò a proseguire? Io sono un etilista
ed ho smesso di bere ma ho paura di ricaderci e di perdere così il
lavoro, di non riuscire più a gestirmi a casa. Anche io ho paura
per la mia futura dimissione dalla comunità: come reagirò?
Riuscirò ad ambientarmi? Poi mi faccio coraggio e mi dico che
anche quando sono entrato in comunità avevo paura ma poi ce
l’ho fatta. La paura di tornare a casa è comune a molti di noi; io,
in particolare, ho paura di ritrovare un clima di conflitti e di
aggressività. Ho bisogno dell’aiuto del Servizio e di quello di altri
pazienti per potere avviarmi ad una vita autonoma.
Paura della solitudine
Un tempo riuscivo a superare ostacoli e prove difficili ma da
quando è morto mio padre mi sento solo, mi è venuta addosso
una valanga, mi sono arrivate una serie di paure: paura di
svenire, paura che mi sfugga il controllo, paura di essere per la
strada e cadere a terra. L’unica paura che non ho è quella della
morte: la vedo come una liberazione! Anche io, da quando son
morti i genitori, sono solo. Ho paura che la mia malattia peggiori
e prenda il sopravvento sulla mia ragionevolezza. Ora mi sento
libero ma la malattia mi può trasformare e portarmi al tormento.
Spesso sono poco attento agli altri, sono concentrato su di me
ma mi rendo conto che questo atteggiamento peggiora la mia
solitudine. Qualche parente mi dice: “Fai il bravo!”. Questo
paternalismo mi fa sentire ancora più solo; provo una
svalutazione e una non considerazione del mio dolore che mi
danno rabbia.
Paura della malattia
Essere malato mi fa paura. Quando sto male mi sento fragile,
quando sto bene ho paura di ricadere. Io ho paura delle voci che
mi impediscono di vivere normalmente fin da giovane. Provate a
pensare di vivere con un costante commento di sottofondo che ti
disturba, che interferisce con quello che stai facendo. Cerchi di
distrarti, di fare qualche cosa, pensi ad altro ma poi gli altri ti
dicono: dove sei con la testa, pensi sempre ad altro? Non sanno
che tu stai combattendo con le voci una dura lotta. Io, quando
sono in casa e divento inquieta, devo uscire per svagarmi;
quando sono in strada mi viene paura della gente: temo che mi
guardino, che mi vengano incontro, che mi facciano del male. Mi
piace andare al mercato ma poco dopo devo fuggire per via della
folla che mi fa paura. Io sono giovane ed ho paura di non riuscire
ad affrontare ciò che ho davanti; temo di essere insufficiente e di
non riuscire a stare in società. Io non sono più giovane ma ho
una paura analoga: non concludere niente. Mi sento in precarie
condizioni e temo di non riuscire a portare a termine i compiti che
mi do. Il mio obiettivo è di dare un senso ma la paura mi riporta a
girare a vuoto. Quando ero in reparto avevo paura di non uscirne
più e di non tornare più a casa. I giorni, in reparto, sono lunghi,
non passano mai; ti senti escluso e abbandonato dalla società.
Poi i farmaci non li sopporto! Mi danno fastidio per gli effetti
collaterali, perché danno sempre qualche problema e devo
sforzarmi tutti i giorni per prenderli. Qualche volta penso che i
medici possano sbagliare ed hanno preso un mio particolare
aspetto di personalità come se fosse una malattia. Per me la
paura più grossa in assoluto, che mai avrei pensato che
arrivasse, è stata quella di pensare al suicidio. Il pensiero alla
mamma persa, mi portava a chiudermi in un cerchio magico:
buttavo giù farmaci, piangevo, mi pentivo poi ributtavo giù altri
farmaci fino a quando ho chiesto aiuto.
Operatore (Francesca Riva)
Come infermiera del Pronto Soccorso so che il paziente psichico
al primo approccio, che tecnicamente è il più critico, spesso si
trova ad essere ascoltato in modo veloce e in un luogo che lascia
poco spazio alla privacy e all’ascolto in
quanto l’infermiere di Triage si trova a
dover decidere in poco tempo quanto la
sintomatologia di un paziente possa essere
ascrivibile a una patologia che potrebbe
portarlo a una situazione di criticità tale da
pregiudicarne la vita. Di conseguenza si
tende a limitare molto la libera espressione
del paziente indirizzando le domande verso
la ricerca di tali segnali. Quindi si ha paura di non riuscire ad
ascoltare in modo adeguato la richiesta dell’utente, di
aggressione fisica o che il paziente si allontani... Vi porto un caso
di qualche tempo fa che riassume bene le mie paure e che mi ha
portato a riflettere per parecchio tempo su ciò che sarebbe
necessario attuare nel nostro Pronto Soccorso: Un utente noto al
nostro Pronto Soccorso affetto sia da patologie psichiatriche che
internistiche croniche accede al Pronto Soccorso accompagnato
in ambulanza dagli operatori del 118. E’ un giorno in cui il Pronto
Soccorso è particolarmente sovraffollato. Pensando di cavarmela
in fretta ascolto sommariamente i suoi sintomi (ascrivibili a
entrambe le patologie) e chiedo direttamente al paziente che tipo
di visita vuole ricevere se di tipo internistico o psichiatrico.
Ricordo ancora la mimica di alterazione del suo volto e le sue
parole sono state “Lei è una stronza, non ha capito un cazzo, me
ne vado per non spaccare tutto, vado fuori e combino un disastro
così vediamo se poi capisce di cosa ho bisogno…”. E’ fiondato
fuori dall’accettazione senza che nessuno di noi potesse fare
qualcosa per trattenerlo. Aveva ragione lui non gli avevo dato
modo di esprimere la sua richiesta, avevo aperto la strada a una
reazione aggressiva, gli avevo permesso di allontanarsi.
Fortunatamente dopo qualche ora è tornato e siamo riusciti a
procedere ad un’adeguata presa in carico. Sogno un triage
predisposto all’accoglienza, alla riservatezza, alla relazione,
sicuro sia per il paziente che per l’operatore sanitario, di
conseguenza privo di attrezzature o suppellettili che possano
permettere al paziente di fare e/o farsi del male ed essere
strutturato in modo da permetterne un’uscita garantita in caso di
incontenibile aggressione.
Familiare (Michela Darò)
Paura del futuro
Per i familiari, soprattutto ed in particolar modo per i genitori, la
paura del futuro si sviluppa in molti modi:
• paura dell’incognito (cosa potrà succedere “dopo” quanto
è già successo) soprattutto all’esordio della malattia
quando non la si conosce affatto
• paura durante l’acuzie della malattia su quali saranno i
comportamenti successivi
• paura dopo una fase acuta e quindi in
un momento più tranquillo che si possa
riaggravare
• paura che non si voglia più curare in
futuro
• le paure già
presenti di genitori
“normali” ampliate dai problemi che la malattia
presenta (paura che da soli “non se la
caveranno”)
• paura che altri familiari (figli,fratelli ecc)
si possano ammalare (incertezze sugli effetti della
malattia, familiarità, ereditarietà, ecc)
• paura di “impazzire”
• paura di perdere la speranza
Avere un familiare che soffre di disturbi mentali porta
inevitabilmente, soprattutto nelle fasi acute, all’isolamento sociale
e quindi: paura che non se ne uscirà mai; di essere impotenti; di
non saper gestire la malattia; di non sapere dire di no; di non
riuscire a “farcela” per le attenzioni che una persona ammalata
richiede; di essere stati la causa o concausa del problema al
familiare; la paura che il disturbo venga mal interpretato o non
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•
riconosciuto in situazioni particolari; che gli operatori che hanno
in carico i propri familiari non abbiano le competenze o la
disponibilità necessaria.
Cittadino (Carla Pinna)
In una giornata qualsiasi si apre la porta ed entra una donna, alla
prima occhiata ha qualcosa di strano, sembra quasi non
interessata ai libri, eppure è lì si guarda intorno e vuole parlare
con me. Ecco che mi ritrovo a provare un momento
di....imbarazzo? O invece magari un
sottile senso di paura per non sapere
chi o cosa dovrò affrontare. La
signora ha qualche problema, è
evidente, ed arriva a raccontarmelo.
Vorrebbe comprare un libro ma non
può
spendere,
le
piacerebbe
prendere tante cose ma la sua
psicoterapeuta glielo proibisce e
arriva a raccontarmi delle sue
passioni e degli anni passati a curarsi. Di quando prima stava
bene e ora vorrebbe tanto guarire. L'imbarazzo passa e passa
anche la sottile paura. Mi sintonizzo sul suo discorso e cerco di
non farla sentire infelice se non può fare, fino in fondo, quello che
vuole. Quando va via non posso fare a meno di analizzare la mia
reazione: perché imbarazzo, perché paura?... La paura delle
malattie è una delle paure più classiche del genere umano. La
paura della malattia mentale - propria o altrui - è peculiare. Se è
la mente che si ammala si ha la sensazione che possa essere
intaccata la nostra essenza più intima. Ma tra la malattia mentale
e i difetti di chi è "normale" il confine è spesso sottile. Avere
paura dei malati di mente oggi significa aver paura di chi è
diverso e chi è diverso va emarginato se non addirittura
annullato, reso invisibile. La malattia mentale non è una ferita,
un'infezione, un virus in qualche modo riconoscibile. Per questo
fa ancora più paura. Si ha paura di gesti inconsulti, quando in
realtà le azioni, i comportamenti, i gesti sono solo differenti.
Ognuno ha maturato una concezione di normalità: eppure non
c'è niente di più discutibile del concetto di normalità. Il luogo
comune è che il malato mentale possa necessariamente nei
confronti degli altri "normali" usare una violenza indiscriminata,
arrivare addirittura ad uccidere. Eppure pensiamo al matematico
premio Nobel John Nash, alle sue allucinazioni o alla vita
dolente, di lucida malattia e genialità di Alda Merini. L'ignoranza è
amica della paura. Avere paura significa ignorare le particolarità
della malattia, i suoi tempi e le sue manifestazioni, i suoi perché e
le inevitabili difficoltà e sofferenze. Cambiare i criteri di giudizio,
imparare a riconoscere la diversità può voler dire intravvedere
anche le possibilità di vita "differente" se non addirittura di
guarigione. Non paura ma piuttosto "si può fare", insieme.
Di solito avere una “Cartella Clinica” è uno spartiacque tra
l’essere diverso e l’essere normale, malato o sano. Essere
sano vuol dire superare la malattia, la salute è un divenire
non un fatto statico.
Quanto pesa la malattia sugli equilibri familiari
• Il familiare vive con lo “stigma” dell’ammalato mentale in
casa per cui si ha paura di chiedere aiuto. Come superare
il pregiudizio? Come non pensare ad un “fallimento
genitoriale”? Che fare?
Il ruolo della famiglia nelle terapie, ergo i farmaci sono
tutto?
• Come convincere il figlio, il coniuge, il fratello, l’amico a
curarsi e come accogliere le richieste d’aiuto?.
• Come e cosa fare quando il paziente parente rifiuta di
prendere la terapia e si barrica in casa/camera?.
• Come devo comportarmi? Ho abbastanza pazienza?
• Quanto aiutano realmente i farmaci? Come devono essere
integrati con altre terapie? Cosa fare di fronte ad un rifiuto
di prenderli?
Preoccupazioni per il futuro dei propri cari
• Futuro come incognita: come sarà lo sviluppo della
malattia di mio figlio, fratello, coniuge? Io, gli operatori
cosa possiamo fare?
• Come sarà il futuro di un ammalato cronico senza reddito,
con una pensione di 240 Euro al mese? L’Amministratore
di sostegno è una figura ancora sconosciuta ai più e sulla
quale è necessario fare più informazione.
• Come sarà la sua vita domani senza la mamma, la sorella,
il fratello, la moglie che lo possono accudire? Questa è
una paura che accomuna sia il familiare che l’ammalato
stesso. L’interdizione sarà definitiva?
Il trauma del TSO
• Durante un T.S.O. l’attenzione del personale medico e
paramedico del 118 e degli agenti di Polizia Locale è
principalmente rivolto al malato ma chi pensa ai familiari,
come possiamo aiutarli?
• I Vigili fanno formazione specifica per intervenire con i
malati psichici? Spesso sono molto importanti nel rapporto
con il malato quando operano un T.S.O.
I timori degli operatori
• Non essere adeguatamente pronti, dover affrontare
situazioni drammatiche e prendere decisioni forti. Paure di
conseguenze legali e ritorsioni.
Il contributo dei ragazzi del Cpm
La paura più grossa nostra è legata alla malattia: paura di una
ricaduta, di perdere la coscienza e la consapevolezza. Le altre
sono tutte paure legate sempre alla malattia: la speranza di
essere accettati dagli altri, il pensare di dover dimostrare
qualcosa, la ricerca della stima, e poi la paura della solitudine,
dell’ignoranza delle persone e quindi della discriminazione che
sappiamo essere legata all’ignoranza ed alla mancanza di
conoscenza che porta alla paura dell’altro (ecco come gli altri
hanno paura di noi…), che sappiamo si deve gestire con
l’indifferenza, lasciandoci scivolare addosso tutte le cattiverie, ma
quando stai male, sei depresso, tutto ti fa schifo e vorresti solo
andare lontano, sono cose che ti fanno male, e tanto…
La malattia mentale è davvero un demone indecifrabile?
• I media trattano l’argomento solo per un grave fatto di
cronaca, per condannare e ghettizzare gli ammalati.
• Oggi incominciamo a capire che cosa è la malattia
mentale. E’ una malattia e come tale deve essere trattata
e non deve escludere dalla società. Cosa si conosce di
ogni patologia? Gli operatori che operano all’interno,
quando si rapportano con i pazienti, percepiscono appieno
cosa il malato ha e quale sia la terapia più opportuna? Noi
“normali” siamo sicuri di non ammalarci in futuro di una
forma psichica?
SINTESI DEI LAVORI DI GRUPPO
Rispetto della personalità individuale e malattia
• Una persona non è la malattia che ha, è un insieme di
priorità, di pregi e di difetti. Se ha anche un determinato
problema lo stesso lo si ritrova, magari in maniera diversa,
in altri soggetti.
• Come “aprire la testa” agli operatori in modo che possano
mettersi in gioco positivamente e credere di avere davanti
delle persone con propria dignità?
Reagire alla Paura
“Tutte le azioni umane sono motivate al loro livello più profondo
da uno o due sentimenti: la paura o l’amore. La paura è l’energia
che costringe, rinchiude, trattiene, trasforma, nasconde,
accaparra, danneggia. L’amore è l’energia che espande, apre,
esprime, sopporta, rivela, condivide, risana. La paura si avvinghia
e si aggrappa a tutto quello che abbiamo, l’amore distribuisce
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la paura ci attacchiamo a delle barriere, a dei capri espiatori, a
dei campanilismi in cui riserviamo le nostre certezze. Occorre
una cultura meticcia lavorando insieme per una etica del benessere...
tutto quanto possediamo. Decidete a quale dei due rivolgervi”.
Neale Donald Walsch, Conversazioni con Dio
TAVOLA ROTONDA, CONCLUSIONI
Comandante Giuseppe Sala
Dott. Angelo Barbato
Il T.S.O. anche se è un provvedimento estremo, da anche una
serie di garanzie, è una
operazione
in
cui
sono
coinvolti tutti gli attori del
settore. Noi di solito cerchiamo
di usare un metodo relazionale
senza coercizione, altrimenti
esiste una piccola coercizione.
Violenza e disturbi mentali:
• Avere un disturbo aumenta la probabilità di comportamenti
violenti?
• Avere un disturbo aumenta il rischio di essere vittima
violenza?
• Nei servizi psichiatrici c’è violenza?
• Lavorare in psichiatria è pericoloso?
Dott. Giuseppe Anzani
Le persone con disturbi
mentali hanno una probabilità
leggermente maggiore di
commettere
violenza;
la
probabilità è più elevata per
alcuni gruppi diagnostici e/o
in associazione con l’abuso di
sostanze;
La grande maggioranza delle
persone con disturbi mentali
non commette atti violenti;
La probabilità più elevata è
dovuta a fattori di rischio
socio-ambientali.
La diagnosi psichiatrica isolatamente presa non è un fattore di
rischio;
Il contributo di persone con disturbi mentali al tasso di violenza
nella società è trascurabile;
Le persone con disturbi mentali presentano un rischio elevato di
subire violenza;
La possibilità di predire in base ad indicatori psichiatrici eventi
gravi di violenza è limitata a causa del tasso elevato di falsi
positivi.
In Italia rispetto ad altri paesi il tasso di violenza nei servizi
psichiatrici è basso;
Il lavoro nei servizi psichiatrici è associato a un rischio uguale o
inferiore a quello presente in altri settori sanitari che
deve
comunque essere considerato nella formazione degli operatori.
Non
ci
sono
certezze
preventive.
La sicurezza è un campo
delicato in cui il magistrato, ma
anche
il
medico,
deve
garantire
la
sicurezza
prendendo delle decisioni, ma quale saranno le
ripercussioni
sulla vita della persona?
Don Michele Barban
•
•
•
•
La paura alla fin fine è la
paura del cambiamento;
Gesù
creava
un
cambiamento
anche
nelle relazioni famigliari
e suscitava paura;
Riesco a vincere la
paura quando riesco a
farmi accogliere e ad
accogliere l’altro per
quello che è;
Impariamo a lavorare in
gruppo… Quando uno
sta male o fa male o si
fa male a meno che non incontri qualcuno che lo fa sentire
importante…
Dott.ssa Elisabetta Franciosi
DOPO IL SEMINARIO…
Esiste l’urgenza di capire cosa è e cosa produce la paura in
quanto si devono maneggiare paure
individuali e sociali.
La paura porta allarme
sociale e insicurezza. La
paura è uno stato affettivo
che ci invade a diversi gradi
e
che ci impedisce di pensare,
che paralizza la possibilità di
posizionare il nostro io e che
ci trascina in uno stato
invalidante di debolezza.
Quando parliamo di paura e
di sicurezza non può non
venirci alla mente l’allarme
per la nostra incolumità e
quella dei nostri cari, agli
averi, alla stabilità, alla
tranquillità sociale. L’uomo
cerca sempre delle rappresentazioni per contenere i suoi terrori:
le religioni, la magia, ma anche la scienza come diceva
Nietzsche. Nominare, comprendere e prevedere la paura vuol
dire affrontarla. La paura è nutrita da ignoranza e vergogna. Con
Irma: Io ho molte paure ma tento di superarle: ogni giorno
combatto con le allucinazioni uditive e vi garantisco che è dura…
La cosa più sconvolgente è constatare quanta ignoranza, quanta
paura e quanto stigma ci sia ancora attorno al disagio psichico.
Convegni come questo aiutano a superare tutto ciò ed anche a
sentirci più vicini e sempre meno soli.
Michele: Io sono stato colpito dal discorso del dottor Goglio sul
corso che si sta svolgendo per diventare facilitatori sociali. Per
noi è una speranza importante per il nostro futuro. Poi mi ha
colpito la domanda della dottoressa Giudici: “come dobbiamo
essere tutelati noi medici quando un paziente aggredisce altre
persone fuori dalle strutture ospedaliere?” Anche per loro
servirebbe un supporto psicologico di sostegno… Io sono infine
convinto di una cosa: noi persone invalide siamo considerati i
diversi, i cosiddetti matti nella realtà di tutti i giorni…
Edo: noi del Clan/Destino esprimiamo grande soddisfazione per
i risultati del seminario. Tutte le persone intervenute si sono
espresse con chiarezza, compostezza, educazione ed umiltà… in
ultima sintesi con grande umanità raccontando anche esperienze
personali di vita quotidiana molto toccanti ed utili per la
comprensione dei problemi ed il dibattito.
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