Dio e la violenza
di Ilario Bertoletti
(Sintesi dell’intervento)
1. Sono varie le immagini che di Dio trasmette la Bibbia: Dio creatore, alleato, liberatore, giudice e
sanzionatore, capo degli eserciti, amorevole fino all’autodonazione.
Il tema della violenza è come uno specchio in cui si rifrangono le ambivalenze di queste immagini:
da una lato, essendo il Dio biblico un Dio della storia, non può non farsi carico delle violenze e del male
della storia, per conseguire poi una giustizia escatologica. Di qui la necessità del Giudizio, che è anche
condanna violenta dei malvagi. Ma Dio a sua volta non commette violenza, provocando la morte degli
innocenti (ad es. cfr. i Salmi imprecatori)? Non resta a sua volta irretito nella spirale della giustizia
come vendetta?
D’altro lato, un Dio che fosse solo cedimento (derelizione) e amore, e non potesse essere fonte di una
giustizia futura, che Dio sarebbe?
La stessa ambivalenza la troviamo nel Nuovo Testamento (la cacciata dei mercanti dal tempio, Il fico
seccato, la lotta finale nell’Apocalisse). Eppure qui Dio, con la morte del Figlio in croce, spezza la
spirale della vendetta: la sua morte annuncia una vita futura, anche per chi lo mette in croce.
2. Queste ambivalenze hanno un significato teoretico, che investe il concetto che noi abbiamo di Dio.
Innanzitutto, la nostra precomprensione: leggiamo la Bibbia dopo le catastrofi del Novecento, che per
molta teologia e filosofia svelano l’impotenza di Dio. E la leggiamo dopo la rinascita dei
fondamentalismi, con il ritorno di un volto inquietante, appunto violento, dei monoteismi.
Quasi si evidenziasse un’«aporia», una difficoltà: da un lato Dio, in quanto oggetto di invocazione a
motivo del male e dell’ingiustizia terrena, deve essere un Dio che giudica, condanna i malvagi e consola
gli afflitti. Ma nell’esercizio della condanna, in gioco è il tema della libertà della creatura. Di qui il
nesso colpa-libertà. E non v’è il rischio che anche il malvagio si configuri come il «capro espiatorio»
per rimettere in ordine la creazione?
D’altro lato, un Dio che dimettesse l’istanza del giudizio escatologico potrebbe essere il Dio degli
ultimi, di coloro che innocentemente hanno sofferto per colpe non commesse?
Un’antinomia che invita a purificare le nostre immagini di Dio – immagini tutte, per chi crede,
inadeguate, ma che nondimeno sono spia della nostra relazione con l’assolutamente Altro. Come se
nell’interrogazione su Dio e la violenza ne andasse innanzitutto della violenza che scorre tra gli uomini.
Chiarificare i dilemmi di questa relazione è il compito della filosofia. Le risposte stanno altrove. Nella
fede del singolo. Nel sapere della teologia.