4. Una panoramica filosofica
Per procedere nella comprensione è necessaria una fondamentale distinzione; è bene, cioè, porre una
netta distinzione tra desiderio, piacere e godimento, per liberare il campo da pericolose confusioni. Lo
faremo riferendoci di volta in volta a Freud e Lacan, senza curarci troppo delle differenze che questi
due analisti attribuiscono a tali parole.
1. Per elaborare il concetto di Wunsch, di desiderio, Lacan ha (almeno nei primi anni del suo
insegnamento) come riferimento preciso Hegel, in particolare la I sezione della Fenomenologia dello
spirito, quella dedicata all'Autocoscienza (Selbstbewusstsein). Hegel compie in questo testo una netta
divaricazione tra il concetto di bisogno (Not, Bedürfnis), di brama e quello di desiderio. Per Hegel
diventare uomini significa passare dalla brama al desiderio, operazione possibile grazie all'intervento di
un'Altro che riconosca il soggetto, come soggetto che diritto di una propria esistenza. La lezione
hegeliana verrà ripresa da Lacan, filtrata dal magistrale insegnamento di Alexander Kojéve (che è,
insieme a Jean Wahl e a Jean Hyppolite, uno dei massimi esponenti di quel fenomeno straordinario e
un po' inspiegabile che si sviluppa in Francia tra le due guerre e che prende il nome di "renaissance
hégeliene", e cioè di una ritorno ad Hegel, via Heiddeger) che mette bene in evidenza che "per Hegel
l'Uomo non è nient'altro che Desiderio di riconoscimento ('der Mensch ist Anerkennen') . Il desiderio,
quindi non è mai desiderio di un'oggetto ma sempre desiderio di riconoscimento, desiderio di essere
desiderati "il Desiderio umano deve avere come oggetto un'altro Desiderio" — scrive Kojéve. Da
questo assunto ricaviamo anche che desiderio e legge non possono essere banalmente conttrapposti. La
legge non reprime il desiderio, se mai lo articola, lo rende possibile. Foucault, nel volume che apre il
maestoso tentativo di regidere una Storia della sessualità — tentativo interrotto dalla tragica e
prematura morte per A.I.D.S. dell'autore — riconosce agli psicoanalisti il merito di aver "rifiutato lo
schemino semplice che s'immagina volentieri quando si parla di repressione; l'idea di una energia
ribelle che bisognerebbe soffocare è parsa loro inadeguata per decifrare il modo in cui potere e
desiderio si articolano (...) per la buona ragione che la legge è costitutiva del desiderio e della
mancanza che lo instaura" . Se l'articolazione tra legge e desiderio rimarrà una costante all'interno
dell'opera di Lacan, verrà invece gradualmente abbandonato il riferimento forte all'hegelismo,
arrivando a sostere che il desiderio è "la metonimia della mancanza ad essere" . Non posso spiegare in
modo articolato questa frase molto densa di Lacan. Qui l'accento non è tanto posto sul concetto
hegeliano di "riconoscimento", quanto su agostiniano dell'"inquietudo" ; ma mentre in Agostino il
desiderio trova riposo in Dio, in Lacan — così come in Sartre, seppur per motivi diversi — "le dèsir
est lui-même voué à l'échec" . Mi fermo qui e non procedo oltre per ovvi motivi...
2. Il piacere, Lust, segue, come ci ha insegnato Arthur Schopenauer ne Il mondo come volontà e
come rappresentazione, una logica omeostatica, edonistica, naturalistica. Il piacere è visto da
Schopenauer — e non a caso quando Freud parla di piacere vi si riferisce costantemente — come una
diminuzione della tensione, una diminuzione del dolore. Il piacere è quindi equilibrio. Vale la pena
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1
A. Kojéve, La dialettica e l'idea della morte in Hegel, Torino, Einaudi, 1991, p. 63.
Ibid, p. 6.
3 M. Foucault, La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 72 e sg.
4 J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere, in Scritti, cit., p. 618.
5 Il tema dell'inquietudo, rappresenta uno dei marchi del pensiero di Agostino ed lo troviamo magistralmente espresso nelle
righe di apertura delle sue Confessiones: "Et inquietum est cor nostrum donec requiscat in te", Confessiones (I, 1, 1).
6 J.-P. Sartre, L'ètre et le néant, cit., p. 447.
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ricordare che già Aristotele definiva nella sua Etica nicomachea il piacere come "(...)'l'atto di un abito
che è conforme a piacere' (VII, 12, 1153a 14): nella quale si deve ricordare che abito significa
'disposizione costante'" . E' proprio per rifersi a questo principio di costanza che Freud parlerà,
riprendendo un'espressione di Barbara Low, di "principio di Nirvana" , riferendosi alla pace illuminata
del monaco buddhista che Schopenauer descrive con mirabili parole: "Non c'è, in lui (...) né quel
tumulto di vita, né quel trasporto di gioia, che presuppongono sempre, come condizione anteriore o
successiva, un dolore violento; ma la sua pace è imperturbabile, una calma profonda, una serenità
interiore" . Freud non si ferma a Schopenauer, ma spinge la sua analisi più avanti, Al di là... Per lui,
infatti, il principio di piacere è "una spinta, insita nell'organismo vivente, a ripristinare uno stato
precedente al quale questo essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l'influsso di forze perturbatrici
provenienti dall'esterno" . L'organismo tende cioè a "mantenersi il più possibile esente da stimoli" .
Questa tendenza è però, da subito, turbata dall'urgenza di quelli che Freud chiama großen
Körperbedürfnisse, "dei grandi bisogni fisici" . Se l'organismo seguisse il principio di piacere e
ignorasse questi stimoli, il soggetto sarebbe inevitabilmente trascinato all'autodistruzione, alla morte.
E' qui assolutamente evidente il legame inscindibile che esiste tra il lustprinzips e la pulsione di morte.
Non è quindi un caso che Freud parli di "principio di Nirvana" perché il termine Nirvana suggerisce —
come hanno notato Laplanche e Pontalis nella loro Enciclopedia di psiconalisi — "un legame profondo
tra il piacere e l'annientamento" . Per la filosofia buddhista, annientamento della volontà, delle
passioni, che consente all'uomo di raggiungere la pace illuminata e quindi di interrompere il ciclo
eterno delle reincarnazioni; per Freud e la psicoanalisi, annientamento dell'essere, mortale.
3. Il godimento, jouissance, è piuttosto da iscrivere come eccesso di piacere (mehrlust),
"un'eccesso che ha la particolarità di essere, proprio in quanto eccesso, minaccioso, inquietante,
destabilizzante" . Il godimento porta cioè uno squilibrio all'interno della logica omeostatica che
contraddistingue il Lustprinzip, il principio di piacere. "Il godimento, — osserva Colette Soler — più
che con il piacere e il benessere ha a che fare, ha delle affinità con il dolore e l'aldilà del principio di
piacere" .
Non ci troviamo quindi di fronte a qualche cosa che riscontriamo costantemente quando si ha a che
fare con soggetti alcoolisti e tossicodipendenti? L'alcoolista non è forse la dimostrazione evidente che
il sintomo è una mescolanza enigmatica di piacere e dolore? E' per questo che "Lacan dice da qualche
parte che il sintomo è godimento puro" .
Per spiegare questo difficile ma fondamentale concetto, Lacan ricorrerà al pensiero di Marx
confrontando l'oggetto del godimento (che nella sua algebra, è indicato come: "oggetto piccolo (a)")
con il plus-valore di Marx: "Il mehrwert è la Marxlust, è il più godere di Marx" . Lacan vede cioè nella
teoria di Marx, e più esattamente nel concetto di plusvalore (mehrwert), qualche cosa di esattamente
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N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Torino, UTET, 1961, p. 654, alla voce (Piacere).
Questo principio lo si trova sistematizzato in vari testi di Freud. In particolare può risultare interessante la lettura de Il
problema economico del masochismo, in Opere, cit., vol. X.
9 Cfr. A. Schopenauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di G. Riconda, Milano, Mursia, 1991, p. 423.
10 S. Freud, Al di là del principio di piacere, cit., p. 222.
11 S. Freud, L'interpretazione dei sogni, cit., vol. III, p. 515.
12 Ibid.
13 J. Laplanche, J.-B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Bari, Laterza, 1993, p. 392, alla voce (Nirvana, Principio
del).
14 M. Recalcati, Il problema del sintomo in Freud: una clinica al di là del principio di piacere, in "Quaderni Milanesi di
Psicoanalisi", 1993, n° 1, p. 19.
15 C. Soler, La psicoanalisi e il corpo nell'insegnamento di J. Lacan, in "La Psicoanalisi", 1987, n° 2, p. 104.
16 C. Soler, Il Sintomo, in "La Psicoanalisi", 1992, n° 12, p. 47.
17 J. Lacan, Radiofonia, in: Radiofonia, Televisione, Torino, Einaudi, 1982, p. 39.
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omologo al concetto di godimento (mehrlust) "il piccolo (a) è precisamente identificabile a quel che in
conclusione un pensiero che lavora, quello di Marx, ha tirato fuori, e cioè quel che simbolicamente e
realmente la funzione di plusvalore" . Sia il concetto di plusvalore di Marx, esposo ne Il Capitale
(poichè Lacan quando parla di Marx, non lo fa per riferirsi al Marx filosofo, al Marx dei Manoscritti
economico-filosofici del 1844, ma al Marx economista), sia quello lacaniano di plus-de-jouir (più di
godimento) sono resi possibili a partire da una sottrazione reale: in Marx, sottrazione di retribuzione; in
Lacan, sottrazione di quel godimento mitico che solo il primo rapporto con il seno materno poteva
garantire al bambino . Operazione così schematizzabile: (–) → (+).
Non procedo oltre, perché questo portebbe troppo lontano. Per concludere il discorso sul godimento
rimando alla lettura — se non si è facili a scandalizzarsi — de La filosofia nel buodoir del marchese
De Sade, e più precisamente ad un dirompente pamphlet presente in questo testo dal titolo Francesi,
ancora uno sforzo per essere republicani!.
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5. Per una clinica dif-fererente
Il sintomo alcoolismo, quindi, proprio in quanto sintomo, trascina con sé sempre del godimento; è
naturale quindi che il soggetto non ci rinunci tanto facilmente. E' per questo che spesso, nel trattamento
di questi soggetti ci scontriamo con una forte resistenza ad abbandonare il proprio sintomo. E' questo il
ternaconto secondario (sekundärer Krankheitsgewinn) che Freud descrive con straordinaria lucidità in
una pagina estremamente densa de L'Io e l'Es. Qui Freud sostiene che il tornaconto secondario della
malattia è — in qualche modo — collegato ad un senso di colpa inconscio (unbewusst Schuldgefühl). Il
paziente si sentirebbe cioè in colpa ad abbandonare il proprio sintomo e questo poichè nel sintomo
troviamo mescolato al dolore, il piacere. Freud ci da qui una serie straordinaria di consigli pratici da
utilizzare quando ci si trova di fronte ad una situazione di questo tipo. Egli, infatti, scrive : "La lotta
contro l'ostacolo costituito dal senso di colpa inconscio non è resa facile all'analista. Nulla si può fare
contro di esso in modo diretto; e quanto al modo indiretto si possono soltanto scoprire lentamente gli
inconsci fondamenti rimossi (...) così da trasformarlo progressivamente (...) in un senso di colpa
cosciente" . Troviamo qui espresse due importantissime annotazioni così schematizzabili:
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S.C.I.
A
In questo modo si chiarisce il primo passaggio, quando Freud dice che l'analista (A) nulla può fare
in modo diretto contro il senso di colpa (S.C.) inconscio, ma che contro di esso si può solo agire
indirettamente. L'interpretazione cioè "per struttura, dice, ma dice 'accanto'" .
L'andamento del discorso freudiano è qui impeccabile. Si parte da questa situazione:
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J. Lacan, Le Séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse, Paris, Seuil, 1991, lezione del 14/01/70.
E' questo il concetto di das Ding (la Cosa), che viene ampiamente analizzato da Lacan ne Il Seminario. Libro VII. L'etica
della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 1994, pp. 22-106.
20 S. Freud, L'Io e l'Es, in Opere, cit., vol. IX, p. 512, n. 1.
21 J.-A. Miller, Transfert e interpretazione, in "La Psicoanalisi", 1988, n° 3, p. 73. Si veda inoltre: J.-A. Miller, Costruzioni
nell'analisi. Note a margine, in "Quaderni Milanesi di Psicoanalisi", 1994, n° 4-5, pp. 138-160.
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( x1 , x 2 )
( S. C . )
Dove (x1 , x2) sono le cause del senso di colpa (S.C.) inconscio, tutto questo è sotto la barra della
rimozione, è inconscio. Freud propone per prima cosa, di rendere coscienti le cause del senso di colpa:
( x1 , x 2 )
(S. C. )
Una volta che, "gradualmente", abbiamo reso coscienti le cause del senso di colpa inconscio è
possibile, seppur con grande difficoltà, rendere cosciente il senso di colpa (S.C.) inconscio:
( x1 , x 2 )
( S. C . )
E' questo aspetto anche nel trattamento dell'alcoolismo poiché il sintomo continua a ritornare,
opponendosi al riduzionismo del discorso medico.
Nell'alcoolismo l'evidenza del tornaconto secondario è assolutamente evidente. Il paziente, in fondo,
convive bene con il proprio sintomo. Questa convivenza tra alcoolista e bevanda alcoolica appare
certamente come più felice, rispetto a quella tra due partern all'interno di un rapporto di coppia. Infatti,
come mostra bene Freud in uno dei rari punti dove tratta direttamente dell'alcoolismo, "l'assuefazione
rende sempre più stretto il legame tra l'uomo e il tipo di vino ch'egli beve (...) si ha l'impressione
dell'armonia più perfetta, un'immagine esemplare del matrimonio felice" ; questo non accade nel caso
dell'amante e del suo oggetto sessuale, poichè esiste "qualche cosa, nella pulsione sessuale stessa [che
non è] favorevole all'attuazione integrale del soddisfacimento" . E' proprio l'insoddisfacibilità della
pulsione sessuale che spinge Lacan a sostenere che Freud sia stato il primo a comprendere che "non
esiste rapporto sessuale". Questo felice legame spinge che spinge l'alcoolista a rimanere arroccato in
una posizione tossicomanica, è esattamente ciò abbiamo prima definito tornacondo secondario del
sintomo.
Il tornaconto secondario della malattia è certamente qualche cosa che suona come paradossale, è
questo lo scandalo che il nevrotico solleva; Freud stesso è consapevole della difficoltà di questo
concetto e, rispondendo alle obiezioni di un ipotetico contradditore incredulo della validità del concetto
di tornaconto secondario della malattia, risponde così: "l'ammalato vuole certo guarire, ma anche non
lo vuole. Il suo Io ha perduto la sua unità, e perciò non può disporre di una volontà unitaria. Non
sarebbe nevrotico se non fosse così. 'Se fossi prudente, non sarei Guglielmo Tell'" . Freud sta dicendo
qui, in termini vagamente umoristici, quello che abbiamo definito l'aspetto reale del sintomo.
L'alcoolista cioè, vuole smettere di bere, e allo stesso tempo non lo vuole, altrimenti non sarebbe
alcoolista. Non dobbiamo cioè pensare che un alcoolista che ci dica che vuole smette di bere, sia un
bugiardo, tuttavia non dobbiamo sapere che egli non dice il vero. E' questa la posizione etica che Freud
ci invita a mantenere poiché — come ha ben evidenziato Sartre — "la psychanalyse substitue à la
notion de mauvaise foi l'idée d'un mensonge sans menteur" .
Dalla modalità di interpretazione del S.C. inconscio ricaviamo un'importante considerazione di
carattere clinico: affrontare direttamente il trascinamento pulsionale del sintomo, non porta a nessun
risultato. La verità non la si può cogliere direttamente, ma solo "da lato". Questo è certo uno degli
assunti lacaniani per eccellenza ma è anche uno dei temi dominanti di un testo del 1938, Costruzioni
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S. Freud, Contributi alla psicologia della vita amorosa, in Opere, cit., 430.
Ibid.
24 S. Freud, Il problema dell'analisi condotta da non medici, cit., p. 388.
25 J.-P. Sartre, L'ètre et le néant, cit., p. 87.
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nell'analisi, tanto che in una giornata di studi tenuta a Milano, J.-A. Miller sosteneva che questo testo
lo si potrebbe intitolare "La verità nella psicoanalisi".
Lo psicoanalista interpreta ma, non può mai cogliere La Verità (der Wahrheit), c'è sempre uno
scarto, un resto (Stück) nella terapia; magari fosse così semplice come vorrebbe la medicina (o anche
l'ermeneutica)!!! Bisogna ricordare che Stück — come ha mostrato J.-A. Miller — è il termine che (lo
abbiamo visto prima, quando Freud parlava di manifestazioni residue) letteralmente intrama Analisi
terminabile e interminabile, ma è anche un concetto assolutamente dominante — se solo ci si degna di
andarlo a cercare — nell'intero corpus freudiano (fin dall'ombelico del sogno de L'interpretazione dei
sogni). L'analista lavora su scarti, su resti (lapsus, atti mancati, sintomi, ecc.) e produce con le sue
interpretazioni pezzi di verità: egli è, al pari del santo, "lo scarita" .
Affrontare direttamente il trasciamento pulsionale dell'alcoolismo non serve — ad esempio tramite
una disciplina della convinzione (psicologia del'Io), o attraverso insight (cognitivismo) che aumentino
il sapere dell'alcoolista sulla propria sintomatologia (come già detto il senso non può erodere l'aspetto
reale del sintomo) —, così come non serve più di tanto turare la bocca al bevitore con un tappo,
qualsiasi sia il nome che si vuole dargli — luoghi per contenere gli affetti da sragione nell'età classica,
carceri nell'America proibizionista degli anni '50, Antabuse in Italia, oggi. Bisogna infatti capire per
prima cosa che l'alcoolismo è una stampella, che serve al soggetto per controllare l'angoscia, il mondo
circostante. L'alcoolista è stato tradito dalle aspettative, dal mondo, è per questo che beve, lo fà
controllare l'angoscia... L'alcoolista, insomma, come lo scienziato pazzo dei film crea qualche cosa di
cui poi ne perde il controllo ... Da questo deriva che dall'alcoolismo non si può guarire, e questo
semplicemente perché non esistono "malati di alcoolismo". Certo può venire il momento in cui questa
stampella non serve più, e allora il soggetto la butta via e cammina con le proprie gambe. E' proprio un
cambiamento di posizione che il soggetto deve compiere. Cambiamento che, badate bene, non bisogna
pensarlo semplicemente come un lungo itinerario, come un sentiero tortuoso che il soggetto alcoolista
deve percorrere, è da vedere proprio come un'incontro, un attimo. Picasso, tra lo sconcerto dei salotti
della Parigi-bene, diceva: "Io non cerco, trovo". E' un momento, un'attimo, una svolta. E' da questo
rovesciamento (Umwalzung, di marxiana memoria) che si deve partire, altrimenti dopo mesi (a volte,
anni) di terapia, ci sia accorge di avvitare una vite spanata, è un continuo tornare indietro. Bisogna
inoltre ricordare che con tali pazienti è elevatissimo il rischio che tendano ad "accontentarsi di una
soluzione intermedia" — tutti abbiamo davanti agli occhi, ogni giorno, soggetti che abbandonata
l'eroina si rifugiano nell'alcool, o alcoolisti che lasciano il vino a favore di antidepressivi e ansilolitici.
Il trattamento analitico, può partire solo dopo che il soggetto ha abbandonato, per sua scelta, la
posizione che potremmo definire — hegelianamente — di "Schöne Seele" (anima bella), per
interrogarsi sulla natura del proprio sintomo e non trovandone risposta, si rivolga ad un tale che ritiene
"ne sappia qualche cosa". E' solo dopo questa svolta che si può imboccare un sentiero tortuoso, molto
tortuoso; l'analisi, infatti, al pari dell'ateismo — come ci ha insegnato J.-P. Sartre — "est entreprise
cruelle et de longue haleine" . Lo psicoanalista è cioè consapevole di non poter "imporre pene libere
dal dolore (...) Il ricorso alla psicofarmalogia e a diversi 'deconnettori'" , infatti, non lo riguarda, non
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Cfr. J.-A. Miller, Commento a Analisi terminabile e interminabile, cit.
"Il dire lascia dei resti, e si può raccogliere solo questi. Allora che si tratti di resti scritti, di resti radiofonici o di resti
televisivi, si tratta sempre di resti". J. Lacan, Intervento, in "La Psicoanalisi", 1988, n° 3, p. 19.
28 J. Lacan, Televisione, in: Radiofonia, Televisione, cit., p. 77.
29 Cfr. M. Foucault, Storia della follia nell'età classica, Milano, Rizzoli, 1988.
30 A tale proposito si può utilmente leggere il celebre racconto Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert
Stevenson.
31 S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, cit., p. 514.
32 J.-P. Sartre, Les mots, Paris, Gallimard, 1992, p. 204.
33 M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1993, p. 14.
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rientra nel suo compito, nel suo lavoro, nella sua — sarebbe da scrivere a caratteri cubitali sulle mura
delle vari società di psicoanalisi — etica (Freud docet). La terapia analitica richiede molto tempo,
molto più tempo — questo è assolutamente evidente — di quello dell'Antabuse, che, in un lampo, tura
la bocca dell'alcoolista, ponendo però il soggetto in una posizione subordinata. La medicina propone
una scorciatoia, tenta — seguendo il mito dell'homme pressé magistralmente dipinto in Analisi
terminabile e interminabile — di non perdere tempo, ma come ricorda Max Horkeimer "il tempo
significa amore; a ciò cui concedo tempo, concedo amore; la violenza è rapida" . La psicoanalisi è una
guarigione mediante l'amore — scrisse una volta Freud a Jung ; la medicina con il suo armamentario
tecnico (dai bisturdi al laser, dalla camicia di forze agli psicofarmaci) è violenta. All'uomo "spremuto"
— vero e proprio feticcio della scienza medica — Freud oppone Empedocle, un uomo che — per
gentile definizione di J.-A. Miller — "sicuramente non aveva fretta" .
Vorrei, chiudendo, sottolineare ancora una volta l'importanza decisiva rappresentata dal momento
della svolta soggettiva. E' solo partendo da questa che possiamo imboccare il sentiero tortuoso ed è
solo ora che possiamo aiutare il nostro paziente a camminnare senza stampelle; dopo questo incontro,
questo flash, questo — è proprio il caso di dirlo — intervento Di-vino che è stato descritto in termini
commoventi da sant'Agostino all'apogeo del sua conversione alla religione cattolica: "quasi luce
securitatis infusa cordi meo omnes dubitationis tenebrae diffugerunt" (una luce, quasi, di certezza
penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono [trad. it., mia].
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Cfr. J.-A. Miller, Commento a Analisi terminabile e interminabile, cit.
M. Horkeimer, Studi di filosofia della società, Torino, Einaudi, 1981, p. 190.
36 S. Freud, lettera a C. G. Jung del 6 dicembre 1909, in S. Freud. Epistolari. Lettere tra Freud e Jung (1906-1913), Torino,
Boringhieri, 1990, p. 13.
37 J.-A. Miller, Commento a Analisi terminabile e interminabile, cit., p. 5.
38 Agostino, Confessiones (VII, 12, 29).
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