Quartetto di Cremona Gloria Campaner Enrico Bronzi Riccardo Donati

Martedì 18 ottobre 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Quartetto di Cremona
Gloria Campaner
pianoforte
Enrico Bronzi
violoncello
Riccardo Donati
contrabbasso
Focus Schubert - I
– Quartetto in re minore “La morte e la fanciulla” D 810
– Quintetto in do maggiore con due violoncelli D 956
– Quintetto in la maggiore per pianoforte, vliolino, viola,
violoncello e contrabbasso “La trota” D 667
Il concerto è registrato da RAI Radio3
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Di turno
Francesca Moncada Traxler
Antonio Magnocavallo
Consulente Artistico
Paolo Arcà
Franz Schubert
(Vienna 1797 - 1828)
Quartetto in re minore “La morte e la fanciulla” D 810 (ca. 40’)
I. Allegro II. Andante con moto III. Scherzo. Allegro molto IV. Presto
l Anno di composizione: 1824
l Prima esecuzione: Vienna, 1 febbraio 1826
Quintetto in do maggiore con due violoncelli D 956 (ca. 50’)
I. Allegro ma non troppo II. Adagio III. Scherzo. Presto – Trio. Andante
sostenuto IV. Allegretto
l Anno di composizione: 1828
l Prima esecuzione: Vienna, 17 novembre 1850
Quintetto in la maggiore per pianoforte, violino, viola,
violoncello e contrabbasso “La trota” D 667 (ca. 40’)
I. Allegro vivace II. Andante III. Scherzo. Presto IV. Tema. Andantino
V. Finale. Allegro giusto
l Anno di composizione: 1819
l Anno di pubblicazione: 1829
Il 1824 segna uno spartiacque nella produzione di Schubert, dopo un periodo di
profonda crisi personale e artistica. «Ho fatto poco di nuovo nel Lied – confessa
all’amico Leopold Kupelweiser il 31 marzo – dal momento che mi sono dedicato
a pezzi per più strumenti. Ho composto due Quartetti [la minore D 804 e re
minore D 810] e un Ottetto, e voglio scrivere ancora un Quartetto, soprattutto
mi voglio incamminare in questa maniera sulla strada della grande Sinfonia».
Ciascuno di questi lavori reca il marchio inconfondibile dell’autocitazione. Il
Quartetto in re minore nasce per esempio da un Lied del 1817, su testo del
poeta Matthias Claudius (1740 - 1815), Der Tod und das Mädchen.
La musica da camera era un lessico familiare nel mondo in cui era cresciuto.
Tutta la musica strumentale scritta da Schubert nei primi vent’anni della sua
vita conserva l’impronta di quest’origine domestica e amatoriale. Nell’ultima
fase, invece, Schubert entra in rapporto con i migliori musicisti viennesi, come
il violinista Ignaz Schuppanzigh, campione della musica contemporanea
dell’epoca, a cominciare da quella di Beethoven. Fu il suo ensemble a eseguire
per la prima volta il Quartetto in re minore, l’1 febbraio 1826, tra l’incomprensione
del pubblico e lo scetticismo degli amici anche più vicini. L’autore tentò invano
di far pubblicare dall’editore Schott la partitura, rimasta inedita fino al 1832.
Le caratteristiche non convenzionali del Quartetto erano senza dubbio molte, a
cominciare dalla abnorme dimensione dell’“Allegro” iniziale. Anche la fisionomia
del tema principale risultava piuttosto insolita, con quelle terzine crepitanti più
adatte a una fanfara che a un quartetto d’archi. Il carattere tragico del
Quartetto era messo in evidenza dalla tonalità di re minore, dal plastico
rapporto tra suono e silenzio, dal violento contrasto dinamico tra piano e forte.
Il primo movimento esprime in maniera allegorica l’angoscia dell’incontro della
fanciulla con la Morte, ma l’intero lavoro, grazie alla sostanziale unità tematica
dei vari movimenti, sviluppa il tema della poesia in un’organica riflessione sulla
morte. Lo “Scherzo”, per esempio, deriva da un Ländler in sol diesis minore
composto nel maggio dell’anno precedente. Questa ulteriore citazione mette in
luce il carattere galante e anche erotico del dialogo tra i due personaggi, che in
tedesco sono un uomo (der Tod) e una fanciulla ancora vergine (das Mädchen).
Nel complesso, dunque, il Quartetto sembra mettere in luce i diversi episodi
della poesia: la paura della fanciulla di morire giovane (Allegro), la figura della
Morte (Andante con moto), il corteggiamento della fanciulla (Scherzo) e infine
il grottesco epilogo della vicenda (Presto), che lascia intuire come la Morte
abbia raggiunto in definitiva il suo osceno scopo. Naturalmente non avrebbe
senso affermare che il Quartetto sia basato su una narrazione extra-musicale,
ma sarebbe superficiale non tener conto dei riferimenti interni scelti da
Schubert. Il mondo del suo Lied era in pieno sviluppo e le numerose, eloquenti
citazioni sparse nella sua opera rivelano come nella musica di Schubert una
trama di sottili relazioni leghi le suggestioni poetiche e le forme musicali
dell’ultima fase della sua produzione.
Uno dei motivi che spinsero Schubert a imboccare, dopo la crisi del 1823, “la
strada della grande sinfonia” era stato probabilmente il desiderio di emulare il
primato di Beethoven. Negli ultimi anni della sua breve vita Schubert dedicò la
maggior parte delle forze creative alle grandi forme della musica da camera,
della sonata per pianoforte e della sinfonia, tutti generi strettamente legati alla
figura di Beethoven. La scelta di dedicarsi alla musica da camera fu anche
influenzata dal ritorno a Vienna di Schuppanzigh, dopo un’assenza di sette anni.
La serie di concerti inaugurata dal violinista risulta determinante per capire
alcuni aspetti poco chiari dell’ultima produzione di Schubert, come la
composizione di un Quintetto con due violoncelli nell’ultimo anno di vita. Nei
programmi di Schuppanzigh infatti figuravano anche abbastanza spesso i
Quintetti per archi di George Onslow, un compositore francese di origine
inglese molto conosciuto all’epoca per la musica da camera. Il desiderio di
essere riconosciuto nell’ambito della cerchia più seria e rispettata della musica
strumentale aveva dunque spinto Schubert a scrivere lavori in sintonia con i
gusti di Schuppanzigh, il quale però non sembra aver ricambiato con altrettanta
stima la sua musica. Il Quintetto in do maggiore infatti, una delle vette
indiscutibili del repertorio cameristico, ha dovuto aspettare fino al 1850 per
essere eseguito in pubblico e altri tre per essere pubblicato.
L’ultimo lavoro cameristico di Schubert è stato scritto nella tarda estate del
1828, un paio di mesi prima della precoce scomparsa. La tentazione di vedere
nel Quintetto un indizio e una premonizione è molto forte, anche se in nessun
documento della biografia di Schubert emerge la coscienza di una fine
imminente. Per inquadrare il significato poetico del lavoro forse è più utile
ricordare un passaggio di un testo di carattere autobiografico che reca la data
3 luglio 1822, intitolato Mein Traum, il mio sogno: «Per lunghi anni cantai
canzoni. E se cantavo l’amore, questo si tramutava in dolore. E se cantavo il
dolore, questo si tramutava in amore. L’amore e il dolore mi dilaceravano». In
effetti la tensione tra la luce e il buio, molto spesso presente nella musica di
Schubert, raggiunge in questo lavoro un’intensità espressiva sconvolgente e un
parossismo febbrile. L’esempio immediatamente evidente si trova proprio
nell’apertura del primo movimento, quando l’apollinea perfezione della triade di
do maggiore si trasforma al culmine di un breve crescendo nella tesa dissonanza
di un accordo di settima diminuita. La voce acuta del violino, inoltre, aggiunge
un mi bemolle, generando la sensazione di transitare verso la tonalità di do
minore, immediatamente smentita dalla successiva cadenza. La scrittura
geniale di questo inizio mette subito in chiaro che in questo lavoro nulla si salva
dalla tragica ambivalenza della vita. La stessa ambiguità si ritrova per esempio
anche nel tema del movimento conclusivo, che sembrerebbe affermare la
tonalità di do minore, mentre la sua vera natura emerge solo al momento della
ripetizione, quando un vigoroso do maggiore prende possesso in maniera
trionfale dello spazio armonico, prima dell’ingresso del tema secondario. Il
conflitto tra la luce e le tenebre assume forme ancora più elusive e sottili. Il
tema principale dell’“Allegro ma non troppo”, come abbiamo visto, ha un
carattere quasi esclusivamente armonico. La prima vera melodia viene intonata
dai due violoncelli con il secondo tema, dopo una cadenza affermativa della
tonalità dominante di sol maggiore. Le due voci tengono all’unisono la nota sol,
ma la parte inferiore se ne distacca con una discesa cromatica che dischiude in
maniera inaspettata la tonalità di mi bemolle maggiore. L’espressivo duetto dei
violoncelli, oltre a contrastare il carattere e la scrittura polifonica della prima
parte, prolunga la sensazione di ambiguità armonica messa in luce fin dall’inizio,
essendo il mi bemolle maggiore la tonalità “corretta” di un’esposizione in do
minore. Questo rende in un certo senso necessaria l’introduzione di un terzo
gruppo tematico, questa volta nella differita tonalità di sol maggiore.
Il pendolo emotivo tra maggiore e minore oscilla in maniera assai più
drammatica nel vasto “Adagio” successivo. La tonalità di mi maggiore è legata,
nell’ultimo Schubert, a reminiscenze di un mondo felice, come in Der
Lindenbaum della Winterreise. La scrittura rispecchia la sospensione del
tempo nel ricordo consolatorio, creando una sorta di fascia sonora immobile
come la superficie piatta di un lago, su cui il violino sussurra una melodia
frammentaria. Il sogno estatico del protagonista viene però bruscamente
interrotto dall’irrompere di un violento episodio in fa minore. Il dolore del
presente si contrappone alla felicità del passato, una felicità fittizia e illusoria,
che non corrisponde alla realtà. Il parossismo delle passioni si placa lentamente
e l’“Adagio” ritorna al silenzio estatico dell’inizio, ma qualcosa della precedente
agitazione rimane tra le pieghe della musica. Il secondo violoncello, che all’inizio
ritmava il canto con un leggero pizzicato, adesso incalza il violino con rapide
quartine, mentre la linea melodica s’incurva in espressive fioriture. Prima di
calare il sipario, una breve apparizione dell’accordo di fa minore desta nella
coscienza un ultimo brivido, come un estremo monito a non cullarsi per sempre
nell’illusione di trovare la pace rinchiusi nel ricordo del passato.
Lo “Scherzo”, di potenza dionisiaca e di forma ben più complessa rispetto al
modello classico, riproduce quel rapporto di natura ambigua tra do e mi bemolle
maggiore osservato nel movimento iniziale. La violenza selvaggia del corpo
principale contrasta in maniera stridente con il carattere religioso del “Trio”,
immerso nella penombra mistica della tonalità di re bemolle maggiore.
L’“Allegretto” finale, lungi dal sanare i conflitti, li riassorbe tuttavia in una cornice
più positiva. Pur mantenendo viva l’ambigua impressione di essere nell’altra
tonalità, do minore invece che do maggiore, questa volta il rondò sonata si
sviluppa nella forma attesa, con il secondo tema nella tonalità della dominante sol
maggiore e l’assetto generale secondo il canone della tradizione. La conclusione
comunque non è né trionfante, né ottimistica, ma lascia un inquietante
interrogativo aperto con il lungo trillo sul re bemolle grave dei violoncelli. Non è
nemmeno una dissonanza, ma un boato indistinto, che rivela come il male sia
sempre in agguato e la purezza della tonalità di do maggiore minacciata da quella
misteriosa acciaccatura di re bemolle sul do all’unisono finale.
L’unica notizia circa l’origine del Quintetto La trota, di cui purtroppo non esiste
più l’autografo, si trova nei ricordi dell’amico Albert Stadler: «Lo scrisse su
particolare richiesta del mio amico Sylvester Paumgartner, che era
completamente incantato dal pregevole Lied. Il Quintetto doveva mantenere,
secondo i suoi desideri, gli stessi movimenti e il medesimo organico dell’allora
ancor nuovo Quintetto, recte Settimino, di Hummel». L’anno di questo
avvenimento dovrebbe essere il 1819, durante il primo viaggio in Stiria di
Schubert. Pare di entrare in una galleria di specchi: Schubert che copia
Hummel, che a sua volta copia il Settimino di Beethoven. Questo spiega anche
l’origine dell’insolita formazione del Quintetto, che riproduce in miniatura la
struttura dell’orchestra, con il pianoforte al posto degli strumenti a fiato.
Il Lied da cui prende il nome il Quintetto fu composto da Schubert alla fine del
1816, su un testo del poeta Christian Friedrich Daniel Schubart (1739 - 1791),
Die Forelle. Il testo originale comprende quattro strofe, di cui Schubert musicò
solo le prime tre. Lo stile è quello delle favolette morali alla La Fontaine. La
povera trota, pescata con l’astuzia e il raggiro, è la protagonista di una storia
abbastanza cupa. Nell’ultima strofa, quella non musicata da Schubert, il poeta
chiariva la similitudine tra il destino della trota e quello di tante ingenue
ragazze, adescate da Don Giovanni senza scrupoli. Senza la morale un po’ a
buon mercato dell’ultima strofa, il testo acquista un valore più tragico e
universale, appena velato dalla gaia spensieratezza delle immagini.
Il passaggio dal Lied alla versione strumentale mette in luce una singolare
differenza. Nella Forelle la melodia e la parte pianistica, che dipinge
musicalmente il guizzo della trota nel ruscello con la celebre figurazione della
sestina, sono indissolubilmente intrecciate assieme. Nell’“Andantino”, invece, il
tema si presenta spogliato del suo carattere per così dire pittorico. La sestina
della trota compare solo alla fine delle variazioni, come se in realtà il Lied fosse
non l’origine, ma il risultato di un lungo processo di trasformazione del mondo
poetico. Il rapporto con il Lied infatti trascende il mero omaggio all’amico
Paumgartner con la forma delle variazioni, perché la sua influenza si estende
all’intero Quintetto. La prima battuta dell’“Allegro vivace” mette in evidenza
due cellule germinali del lavoro, la nota lunga a unisono con sforzando e la
guizzante sestina della trota. Attorno a queste due idee Schubert costruisce
l’impianto di un imponente lavoro da camera, grazie a un’inesauribile
immaginazione musicale. Dopo appena una dozzina di misure nella tonalità
principale di la maggiore compare un episodio in fa maggiore, che sarà la
tonalità dell’“Andante”. Il culmine dello sviluppo arriva a toccare la tonalità di
mi bemolle maggiore, il punto più dissonante rispetto al gaio la maggiore di
partenza. Questa straordinaria capacità di seguire nell’armonia il trascolorare
dei pensieri e dei sentimenti rende così unica fin dall’inizio la musica
strumentale di Schubert. Lo stesso si può osservare nell’“Andante”, basato su
un tema in fa maggiore che nasconde in seno una versione più introspettiva
della sestina iniziale. Anche qui bisogna seguire l’armonia per rendersi conto
delle profondità del paesaggio attraversato dal Wanderer, come quando una
modulazione a fa diesis minore introduce una struggente e melanconica melodia
di sapore slavo che sembra uno scorcio preistorico del mondo di Mahler. Una
terza sezione in re maggiore completa la forma del movimento e conduce verso
la tonalità di la bemolle maggiore, nella quale inizia la riesposizione della prima
parte, con la melodia slava in la minore e l’episodio conclusivo nella riconquistata
dolcezza del fa maggiore iniziale. Saltando il più convenzionale scherzo di
stampo beethoveniano, il “Finale” rappresenta l’apoteosi di quello spirito libero
e indipendente rappresentato dalla sestina della Forelle. In realtà l’inizio viene
da un momento un po’ sospeso, con l’accordo conclusivo delle variazioni in re
maggiore che sfuma nel nulla. L’“Allegro giusto” attacca subito con uno sforzato
sulla nota mi all’unisono. Per stabilire la tonalità di la maggiore bisogna
aspettare l’esposizione completa del tema, prima suonato dagli archi e poi dal
pianoforte. Lo stile antifonale della scrittura è la caratteristica principale di
questo momento conclusivo, in cui il pianoforte si presenta in grande spolvero
e offre un piedistallo virtuosistico alla famosa sestina, marchio indelebile del
significato profondo del Lied nella musica di Schubert.
Oreste Bossini
Quartetto di Cremona
Cristiano Gualco violino - Paolo Andreoli violino
Simone Gramaglia viola - Giovanni Scaglione violoncello
Il Quartetto di Cremona nasce nel 2000 presso l’Accademia Stauffer di
Cremona affermandosi in breve come una delle realtà cameristiche più
interessanti sulla scena internazionale.
Il Quartetto è ospite regolare nei principali festival e rassegne in Europa,
Sudamerica, Australia e Stati Uniti. Nella stagione in corso debutteranno al
Conservatoire de Genève nella serie “Grands Interprètes” e al Concertgebouw
di Amsterdam. In ambito cameristico collaborano con musicisti di primo
piano quali Angela Hewitt, Antonio Meneses, Larry Dutton, Andrea
Lucchesini e Edicson Ruiz.
Dal 2011 al 2014 come “artist in residence” hanno eseguito per la nostra
Società l’integrale dei Quartetti di Beethoven riproposta a Roma, Valencia e,
quest’estate, al festival di Norwich in Inghilterra.
La stampa specializzata internazionale ne sottolinea le qualità artistiche e
interpretative ed emittenti radiotelevisive di tutto il mondo quali RAI, WDR,
BBC, VRT, SDR, ABC trasmettono regolarmente i loro concerti in un
repertorio che spazia dalle prime opere di Haydn alla musica contemporanea.
Dall’autunno 2011 sono titolari della cattedra di Quartetto presso l’Accademia
Walter Stauffer di Cremona, che nel 2015 gli ha conferito la cittadinanza onoraria.
In campo discografico, nel 2011 è uscito per la Decca l’integrale dei Quartetti di
Fabio Vacchi e nel 2012 per la Naxos, hanno inciso un disco dedicato ai
compositori italiani dal titolo “Italian Journey”. Termina nel 2016 la
pubblicazione dell’integrale dei Quartetti di Beethoven per la casa discografica
tedesca Audite che ha meritato importanti riconoscimenti. Tra gli ultimi
riconoscimenti, ricordiamo il Supersonic Award della rivista tedesca Pizzicato e
la nomination all’International Musical Award 2015 per la musica da camera.
Il Quartetto di Cremona è stato scelto come testimonial per il progetto
“Friends of Stradivari”. La sua attività è sostenuta dalla Fondazione
“Kulturfund Peter Eckes” che ha affidato loro quattro straordinari strumenti:
a Cristiano Gualco un violino del 1767 di Giovanni Battista Guadagnini
Cremonensis, a Paolo Andreoli un violino di Paolo Antonio Testore del 1758,
a Simone Gramaglia una viola di Gioachino Torazzi del 1680 ca. e a Giovanni
Scaglione un violoncello costruito nel 1712 da Don Nicola Amati.
È stato ospite della nostra Società nel 2008, 2010 e due volte nel 2011 e 2012,
nelle stagioni 2012/2013 e 2013/2014 per i sei concerti dell’esecuzione integrale
dei Quartetti di Beethoven e la scorsa stagione per i primi tre concerti
dell’integrale mozartiana.
Gloria Campaner pianoforte
A soli quattro anni Gloria Campaner si avvicina al pianoforte quasi per gioco.
Sotto la guida della sua prima insegnante, Daniela Vidali, tiene il suo primo
concerto pubblico a 5 anni e si esibisce con orchestra a 12 nel Teatro di Jesolo,
sua città natale. Dopo il diploma si perfeziona con Bruno Mezzena, Kostantin
Bogino e Fany Solter alla Hochschule für Musik di Karlsruhe.
Nel 2009 vince l’International Ibla Grand Prize (Top Winner e Premio Speciale Prokofiev), nel 2010 ha debuttato negli Stati Uniti (Carnegie Hall a New
York) e ha meritato la medaglia d’argento al Concorso Internazionale Paderewsky di Los Angeles oltre ai premi speciali Paderewski e Chopin (dalla Fondazione Chopin di Parigi). È stata poi ospite sia in recital che in concerto dei
principali festival in Europa, Asia, Africa e Sud America.
Sotto la guida di Ana Chumachenco, Salvatore Accardo, Josef Rissin e i componenti del Trio Čaikovskij continua a dedicarsi alla musica da camera collaborando con artisti quali i solisti dell’Orchestra sinfonica della Radio di
Stoccarda, della Filarmonica della Scala e dell’Orchestra di Santa Cecilia, con
Johannes Moser, Ivry Gitlis, Marcello Abbado e Sergej Krylov.
In qualità di artista ufficiale Steinway & Sons ha suonato in molte tra le principali Steinway Halls nel mondo (Londra, New York, Amburgo) e nell’ottobre
del 2009 è stata nominata Ambasciatore Europeo della Cultura per gli anni
2010-2011 all’interno del progetto “Piano: Reflet de la Culture Européenne”.
Nel 2014 ha meritato una borsa di studio del Borletti-Buitoni Trust, prima
pianista italiana ad aver ricevuto questo importante riconoscimento.
Nella stagione 2014/15 ha suonato in duo con Anna Tifu per la stagione di
Musica da Camera di Santa Cecilia e ha debuttato con la English Chamber
Orchestra a Londra. Fra gli impegni recenti ricordiamo i concerti con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valcuha e alla Salle Cortot
di Parigi, il debutto al Festival di Brescia e Bergamo, le tournée in California,
Brasile, Giappone, Sud Africa, Armenia, Libano, America Latina e Cina.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Enrico Bronzi violoncello
Nato a Parma nel 1973, Enrico Bronzi affianca all’attività cameristica con il
Trio di Parma, che ha fondato nel 1990, l’impegno solistico e più di recente la
direzione d’orchestra.
Con il Trio di Parma ha suonato nelle più importanti sale da concerto del mondo, si è imposto nei concorsi internazionali di Firenze, Melbourne, Lione e Monaco di Baviera e nel 1994 ha ricevuto il «Premio Abbiati» della critica musicale
italiana.
Dal 2001 ha iniziato un’intensa attività solistica in seguito alle affermazioni
al Concorso Rostropovič di Parigi e alla Paulo Cello Competition di Helsinki,
dove gli viene assegnato anche il Premio per la migliore esecuzione del concerto
di Dvořák con la Filarmonica di Helsinki. Partecipa regolarmente a numerosi
festival (Lucerna, Kronberg, Schubertiade Schwarzenberg, Melbourne, Turku,
Naantali, Stresa, Ravenna, Lockenhaus), collabora con grandi artisti e complessi quali Martha Argerich, Alexander Lonquich, Gidon Kremer, Quartetto Hagen,
Kremerata Baltica, Giardino Armonico e ha suonato come solista sotto la guida
di Abbado, Eschenbach, Berglund, Brüggen, Penderecki, Tan Dun, Goebel.
Si dedica anche alla direzione d’orchestra con complessi italiani tra i quali
Orchestra di Padova e del Veneto, Virtuosi Italiani, Filarmonica Marchigiana, Sinfonica della Val d’Aosta, Sinfonica Abruzzese, Orchestra Filarmonica
del Teatro La Fenice, Orchestra da camera di Mantova e Orchestra del Teatro
Olimpico di Vicenza. Su invito di Claudio Abbado ha diretto l’Orchestra Mozart.
Dal 2007 insegna all’Universität Mozarteum Salzburg ed è direttore artistico
dell’Estate Musicale di Portogruaro. Tra le sue registrazioni discografiche, oltre
alla vasta produzione col Trio di Parma, vi sono tutti i concerti di Boccherini
(Brilliant Classics), i concerti di C.P.E. Bach (Amadeus), un disco monografico
su Nino Rota, le Sonate di Geminiani (Concerto) e l’integrale delle Suite di Bach
(Fregoli Music) che è stata al secondo posto della top ten degli album di musica
classica di iTunes Music Store.
Suona un violoncello Vincenzo Panormo del 1775.
È stato molte volte ospite della nostra Società con il Trio di Parma e, in qualità
di solista, ha partecipato al concerto del 29 giugno 2014 per i 150 anni.
Riccardo Donati contrabbasso
Nato a Fucecchio nel 1972, a 14 anni ha iniziato lo studio del contrabbasso al
Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze dove si è diplomato con il massimo
dei voti e la lode con Alfredo Brandi. Successivamente si è perfezionato con
Salvatore Villani e Franco Petracchi. Nel 1995 si è diplomato in pianoforte
sotto la guida di Amleto Manetti.
In qualità di solista ha collaborato con orchestre quali Maggio Musicale Fiorentino (Concerto n. 2 di Bottesini trasmesso da RAI Radio3), Orchestra da
Camera di “Santa Cecilia”, Orchestra Filarmonica Marchigiana, Solisti Fiorentini, Westdeutsche Symphoniker, Guido Cantelli di Milano.
Vincitore del primo premio in vari concorsi nazionali e internazionali e del
secondo premio ai concorsi “Vittorio Pitzianti” di Venezia e “Giovanni Bottesini” di Crema, nel 2005 ha vinto il primo premio assoluto al concorso internazionale “Valentino Bucchi” di Roma, ottenendo come ulteriore riconoscimento
la “Medaglia d’Argento” del Quirinale. Ha inoltre vinto i concorsi per primo
contrabbasso dell’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo e delle orchestre
del Teatro Comunale “G. Verdi” di Trieste e Teatro alla Scala di Milano. Dal
1995 è primo contrabbasso dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino dove
ha collaborato con grandi direttori d’orchestra quali Mehta, Muti, Prêtre, Abbado, Ozawa, Maazel, Sawallisch, Bychkov, Sinopoli, partecipando a numerose tournée in tutta Europa, Cina, Giappone, India, Taiwan e Singapore.
Riccardo Donati collabora con le migliori orchestre sinfoniche e da camera
italiane e svolge un’intensa attività didattica in corsi di perfezionamento e
master class in tutta Italia e all’estero.
Dal 2009 è docente al Conservatorio “G. Puccini” di La Spezia.
Dal 2005 fa parte dell’ensemble Klezmerata Fiorentina con il quale si è esibito
per istituzioni e festival di primo piano in Italia e all’estero.
In ambito discografico ricordiamo Miniature per contrabbasso e pianoforte, La
Contrabbassata con The Bass Gang e Franco Petracchi, e con la Klezmerata
Fiorentina Fifteen Variations on the theme of life e Tales of a hidden zaddik.
È stato ospite della nostra Società con la Klezmerata Fiorentina nel 2008.
Prossimo concerto:
Martedì 8 novembre 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Quartetto di Cremona
Esecuzione integrale dei Quartetti di Mozart - IV
Il Quartetto di Cremona saluta i colleghi e ritorna da solo protagonista dei nostri
concerti, riprendendo il filo del discorso sui Quartetti di Mozart cominciato nella
scorsa stagione. Il percorso cronologico tocca adesso la seconda parte del ciclo
dei lavori dedicati a Haydn, con il Quartetto in si bemolle maggiore K 458, in la
maggiore K 464 e in do maggiore K 465, detto “delle Dissonanze” a causa
dell’estremo cromatismo dell’“Adagio” iniziale. Ciascuno dei tre Quartetti reca
l’impronta ben evidente della personalità di Mozart, che ha riversato nelle forme
messe a punto negli anni precedenti da Haydn una vivacità e una ricchezza
espressiva di stampo teatrale. L’energia del Quartetto K 458, le sfumature
psicologiche del K 464, la drammaticità del “Dissonanze” formano un vasto
affresco di situazioni musicali, come forse soltanto i sei Quartetti op. 76 di Haydn
riusciranno in seguito a eguagliare.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24
20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - [email protected]