I trii per pianoforte e archi sono tra le opere che meglio esprimono il genio di Schubert,
dove la piena maturità della sua arte compositiva raggiunge le vette anelate di una
perfezione quasi totale.
Trio in si bemolle maggiore opera 99.
Il primo movimento (Allegro moderato) ci rapisce subito e ci porta in un cammino molto
dinamico, ricco di idee, delle loro variazioni e dei loro sviluppi, e di spumeggiante varietà
ritmica. Il primo tema è basato su due ritmi che, spesso sovrapposti, ricordano una
imponente cavalcata; il secondo tema si fonde mirabilmente al primo ed è un sereno lied
che presto si trasforma in un altro ritmo che si unisce ad arricchire ulteriormente la
vivacità del moto. Le frasi sono tutte di ampio respiro, e capiamo fin dall’esposizione dei
temi che si tratterà di un’altra delle “divine lunghezze” descritte con enfasi
dall’ammiratore Robert Schumann, a cui dobbiamo anche un pensiero che sintetizza
perfettamente quest’opera: “Uno sguardo al Trio [op. 99] di Schubert e le penose cure
umane scompaiono per lasciare che il mondo torni a brillare in tutta la sua freschezza…”
Come secondo movimento la scelta successiva allo scartato “Notturno” (oggi
pienamente recuperato nel repertorio cameristico perché davvero sublime) fu la
felicissima idea dell’Andante un poco mosso, detto anche dalla tradizione successiva
“Wiegenlied” per la vicinanza ai lieder che Schubert scrisse con questo titolo: ed è raro
trovare in tutta la storia della musica un brano più bello di questo. In un ritmo cullante di
6/8, nella calda tonalità di mi bemolle maggiore (la stessa del precedente Notturno), il
compositore ci conduce per mano alle soglie del Paradiso (forse il presentimento della
vicina morte), quasi fosse l’aspirazione commovente a tornare nel grembo dell’Essere
che ci ha generati. Questo Andante un poco mosso è in semplice forma ternaria, con una
parte centrale più “terrena” a far da contrasto, una specie di appassionata serenata
notturna dove si intuiscono canti a due, chitarre e mandolini.
Dopo l’incisivo e sinfonico Scherzo (Allegro), inframmezzato dal Trio (un delicato
Walzer viennese, proposto come se fosse rimembrato lontano nel tempo), si giunge al
movimento conclusivo, il Rondò (Allegro vivace).
L’idea principale, esposta senza preamboli dal violino, ci conduce ben presto ad un lungo
cammino molto dinamico, dove si odono gli accordi dei corni da caccia (il ritmo ci
suggerisce anche qui, in diversi punti, cavalcate e corse) e spiccano le improvvise frenate
in 3/2 dei bellissimi episodi in ritmo di danza popolare. In Schubert la forma prende
corpo dal contenuto, dal vivace e articolato cammino attraverso l’Esperienza, cioè la vita
vissuta fino in fondo alla luce dell’alto ideale della Bellezza. Le positive e molteplici
tensioni accumulate nel cammino dei quattro movimenti è come se giungessero
inesorabilmente al Presto finale, dove tutto si compie nella rapidità del tempo,
nell’evocazione orchestrale, nel festoso rincorrersi delle parti, sino alla potenza degli
accordi conclusivi, che giungono quasi come il sigillo finale su una storia piena di
positività.
Giulio Giurato