Per il mod. A del corso 2014-2015

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Da Baumgarten, Riflessioni sulla poesia, 1735:
«I noetà [= rappresentazioni razionali] sono da conoscere con la facoltà
superiore, oggetto della logica, gli aisthetà [= rappresentazioni sensibili]
con la facoltà inferiore, oggetto della epistème aisthetikè ovvero
ESTETICA».
Da Baumgarten, Estetica, vol. I, 1750:
«L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del
pensare in modo bello, arte dell’analogo della ragione) è la scienza della
conoscenza sensibile».
«Il fine dell’estetica è la perfezione della conoscenza sensibile in quanto
tale. Ma questa è la bellezza».
Da Kant, Critica della ragion pura, 1781 [17872]:
«Chiamo estetica trascendentale* una scienza di tutti i principi a priori
della sensibilità [...]. Con questa ricerca si troverà che ci sono due forme
pure di intuizione sensibile [...], cioè spazio e tempo».
* «I tedeschi sono gli unici a servirsi adesso della parola “estetica” per
designare con essa ciò che altri chiamano critica del gusto. La ragione di ciò sta
nella fallace speranza che concepì l’eccellente analista Baumgarten: quella di
riportare la valutazione critica del bello a principi razionali e di elevarne le
regole a scienza. Ma tale sforzo è vano. Infatti le regole o i criteri suddetti sono,
per quanto riguarda le loro fonti [principali], meramente empirici e non
possono quindi mai servire da leggi a priori [determinate] in base alle quali il
nostro giudizio di gusto dovrebbe regolarsi; piuttosto è quest’ultimo a costituire
la pietra di paragone dell’esattezza di quelli. È perciò consigliabile [o]
abbandonare di nuovo questa denominazione e conservarla per quella dottrina
che è vera scienza (così facendo ci si avvicinerebbe anche alla lingua e al senso
degli antichi, presso i quali la ripartizione della conoscenza in aisthetà kai
noetà era molto famosa) [oppure condividere questa denominazione con la
filosofia speculativa e prendere l’estetica ora in significato trascendentale, ora
in significato psicologico]».
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Da Schiller, Grazia e dignità, 1793, tr. di D. Di Maio e S. Tedesco, SE,
Milano 2010:
«Kant espone, nella sua filosofia morale, l’idea del dovere con una
durezza che fa arretrare, spaurite, le grazie».
«Non mi ispira alcun buon preconcetto colui che può fidarsi così poco
della voce dell’istinto da essere costretto ogni volta ad esaminarla dinanzi
al principio della morale; molto più è degno di alta stima chi si affida a
tale istinto con una certa sicurezza senza correre il pericolo di essere da
esso traviato. Poiché questo dimostra che i due principi in lui si sono fusi
in quella armonia che è suggello di una umanità piena, e questo è ciò che
si intende per anima bella».
«Se la grazia è l’espressione di un’anima bella, la dignità è l’espressione
di una disposizione d’animo sublime».
Da Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, 1795, tr. di G.
Pinna, Aesthetica Edizioni, Palermo 20092 (letttera XV):
«L’oggetto dell’impulso sensibile, espresso in un concetto generale, si
chiama vita, nel significato più ampio del termine; un concetto che
significa tutto l’essere materiale e tutto ciò che è immediatamente
presente nei sensi. L’oggetto dell’impulso formale, espresso in un
concetto generale, si chiama forma […]. L’oggetto dell’impulso al gioco,
presentato in uno schema generale, si potrà chiamare dunque forma
vivente; un concetto, questo, che serve a designare complessivamente le
caratteristiche estetiche dei fenomeni e, in una parola, tutto ciò che nel
senso più ampio del termine si chiama bellezza. […] La ragione pone, per
ragioni trascendentali, questa esigenza: deve esservi un elemento comune
tra impulso formale e impulso materiale, cioè un impulso al gioco, perché
solo l’unità della realtà con la forma, della contingenza con la necessità,
della passività con la libertà porta alla perfezione il concetto di umanità.
Essa deve porre quest’esigenza perché è ragione, perché secondo la sua
essenza tende alla perfezione e all’eliminazione di tutte le limitazioni, e
ogni attività esclusiva dell’uno o dell’altro impulso lascia invece
incompiuta la natura umana e pone in questa un limite. Di conseguenza,
non appena essa sentenzia che deve esistere un’umanità, ha con ciò
promulgato la legge: deve esserci una bellezza […]. L’uomo con la
bellezza deve solo giocare e deve giocare solo con la bellezza […].
L’uomo gioca soltanto quando è uomo nel senso pieno del termine, ed è
interamente uomo solo laddove gioca».
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Da Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, 1800; tr. di G. Boffi,
Bompiani, Milano 2006:
1. L’opera d’arte riflette per noi l’identità dell’attività conscia e di
attività priva di coscienza. Ma l’opposizione di queste due attività è
infinita […]. Il carattere fondamentale dell’opera d’arte è dunque
un’infinità inconscia. […] Per chiarirlo con un solo esempio, la mitologia
greca, della quale è innegabile che racchiuda in sé un senso infinito e
simboli per tutte le idee, è sorta in un popolo e in un modo tale che fanno
ambedue ritenere impossibile una completa intenzionalità nell’invenzione
e nell’armonia con cui tutto è unito in un unico grande insieme.
2. Ogni produzione estetica procede dal sentimento di una
contraddizione infinita; dunque il sentimento che accompagna il
compimento del prodotto artistico dev’essere di una pacificazione
anch’essa infinita e anche questo sentimento deve a sua volta trapassare
nell’opera stessa. L’espressione esteriore dell’opera d’arte è dunque
l’espressione della calma e della quieta grandezza anche quando deve
venire espressa l’estrema tensione del dolore o della gioia.
3. […] L’infinito esposto in modo finito è la bellezza. Il carattere
fondamentale di ogni opera d’arte […] è dunque la bellezza, e senza
bellezza non esiste opera d’arte.
Corollari
Se l’intuizione estetica non è altro che quella trascendentale
divenuta oggettiva, allora è evidente che l’arte è al contempo l’unico vero
ed eterno organo e documento della filosofia. […] La visione della natura
che il filosofo si costruisce artificialmente è per l’arte quella originaria e
naturale. […]
Ma se è solo all’arte che può riuscire di rendere oggettivo, con
validità universale, ciò che il filosofo sa esporre solo in modo soggettivo,
allora, per trarre ancora questa conclusione, c’è da attendersi che la
filosofia, così come, nell’infanzia della scienza, è nata ed è stata allevata
dalla poesia, e con la filosofia tutte le scienze che grazie ad essa vengono
condotte verso la perfezione, dopo il loro compimento riconfluiranno
come altrettanti singoli fiumi in quell’oceano della poesia dal quale erano
uscite. Ma quale sarà il termine medio del ritorno della scienza alla poesia
non è, in generale, difficile da dirsi, dato che un tale termine medio è
esistito nella mitologia prima che accadesse questa separazione che ora
pare insuperabile. Ma come può sorgere appunto una nuova mitologia che
sia invenzione non di un singolo poeta, ma di una nuova generazione che
rappresenti per così dire un unico poeta? Questo è un problema la cui
soluzione non può che essere attesa dai destini futuri del mondo e dal
corso ulteriore della storia.
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Da Hegel, Estetica, a cura di H. G. Hotho, 1842-452, tr. di F. Valagussa,
Bompiani, Milano 2012.
«Queste lezioni sono dedicate all’Estetica. Il loro oggetto è il vasto regno
del bello, e più esattamente il loro ambito è l’arte, vale a dire la bella
arte.
Per questo oggetto di sicuro il nome Estetica non è propriamente
del tutto calzante, dal momento che “Estetica” indica più precisamente la
scienza del senso, del sentire, e, in questo significato di una nuova scienza
o piuttosto di qualcosa, che avrebbe dovuto diventare innanzitutto una
disciplina filosofica, ha avuto la propria origine nella scuola di Wolff
durante il periodo in cui in Germania si esaminavano le opere d’arte
tenendo conto dei sentimenti che esse dovevano suscitare, ad esempio i
sentimenti del gradevole, della meraviglia, della paura, della compassione
e così via. A motivo dell’inadeguatezza, o più precisamente a causa della
superficialità di questo nome, si è poi tentato di foggiarne anche altri, ad
esempio il nome Callistica. Anche questo, però, si rivela insufficiente, dal
momento che la scienza cui ci si riferisce concerne non il bello in
generale, bensì puramente il bello dell’arte. Noi pensiamo di
accontentarci quindi del nome Estetica, perché esso per noi, in quanto
puro nome, è indifferente, e inoltre nel frattempo è passato nel linguaggio
comune a tal punto, che, come nome, può essere mantenuto.
L’espressione vera e propria per la nostra scienza, nondimeno, è
“Filosofia dell’arte” e più specificamente “Filosofia dell’arte bella”».
«Nelle opere d’arte i popoli hanno riposto le loro visioni del mondo e le
loro rappresentazioni interne più ricche di contenuto e l’arte spesso
costituisce una chiave per la comprensione della saggezza e della
religione, e anzi l’unica presso alcuni popoli. L’arte condivide con la
religione e la filosofia questa destinazione, ma in una maniera particolare,
e cioè che essa rappresenta ciò che è supremo sensibilmente […] Se noi
per un verso assegniamo all’arte questo posto elevato, allora, però, per
l’altro verso si deve ricordare altrettanto bene che l’arte, tuttavia, né
secondo il contenuto né secondo la forma è il modo supremo e assoluto di
portare lo spirito a coscienza dei suoi veri interessi. Esattamente a causa
della sua forma, infatti, l’arte è anche circoscritta a un contenuto
determinato. Soltanto una certa sfera e un certo livello della verità sono
capaci di essere mostrati nell’elemento dell’opera d’arte […], come
accade per esempio nel caso dei greci. Per contro vi è una concezione più
profonda della verità, in cui essa non è più così familiare e bendisposta
verso il sensibile da poter essere accolta ed espressa da questo materiale
in maniera adeguata. La visione cristiana della verità è di questo tipo, e
innanzitutto lo spirito del nostro mondo attuale, o più precisamente della
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nostra religione e della nostra formazione razionale, appare come a un
livello superiore rispetto a quello in cui l’arte costituisce il modo supremo
di essere coscienti dell’assoluto. Il modo caratteristico della produzione
dell’arte e delle sue opere non soddisfa più il nostro bisogno più alto; noi
abbiamo oltrepassato la possibilità di venerare e di idolatrare i prodotti
dell’arte: l’impressione che essi procurano è di tipo più riflessivo e ciò
che da esse viene suscitato in noi esige una pietra di paragone ancora più
alta e una conferma differente. Il pensiero e la riflessione hanno
oltrepassato la bella arte. […] I bei giorni dell’arte greca sono trascorsi e
così pure l’epoca aurea del basso Medioevo. […] L’arte è e rimane per
noi un passato sul versante della sua suprema destinazione».
«Noi qui dobbiamo esaminare tre connessioni dell’idea con la sua
configurazione.
1. […] La prima forma d’arte […] è più una semplice ricerca della
raffigurazione piuttosto che la facoltà di vera rappresentazione. L’idea
non ha ancora trovato in se stessa la forma, resta soltanto l’aspirazione e
la tensione verso di essa. Questa forma può essere chiamata, in generale,
la forma d’arte simbolica. […]
2. […] La forma d’arte classica è l’impressione libera e adeguata
dell’idea nella forma tipicamente adeguata, in base al proprio concetto,
all’idea stessa, con la quale essa può quindi pervenire a libera e compiuta
concordanza. Con ciò, soltanto la forma classica procura la produzione e
l’intuizione dell’ideale compiuto e lo pone come realizzato. […] [La]
figura, che reca in se stessa l’idea in quanto spirituale - e precisamente la
spiritualità individualmente determinata - […] è la figura umana. […]
3. La forma d’arte romantica toglie a sua volta l’unione compiuta
dell’idea con la sua realtà e pone nuovamente se stessa, benché in
maniera più elevata, nella differenza e nell’antitesi di entrambi i lati, che
nell’arte simbolica erano rimaste insuperate. […] L’arte romantica è l’arte
che oltrepassa se medesima, bensì pur sempre all’interno del proprio
ambito e nella forma dell’arte […].
[…] Il carattere della forma d’arte simbolica, classica e romantica,
in generale, in quanto carattere dei tre rapporti dell’idea con la sua forma
nell’ambito dell’arte […] consiste nello sforzarsi, nel raggiungere, nel
trapassare dell’ideale quale vera idea della bellezza».
«L’arte simbolica […] perviene alla propria realtà più conforme […]
nell’architettura […]; per la forma d’arte classica, invece, la scultura è la
realtà incondizionata […]; la forma d’arte romantica, infine, si
impossessa dell’espressione pittorica e musicale in modo autonomo e
incondizionato così come in ugual modo della rappresentazione poetica;
la poesia però di adegua e si estende a tutte le forme del bello […]».
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