Laboratorio di Cartografia a.a. 2008/09 Creazione di mappe

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Laboratorio di Cartografia a.a. 2008/09
Creazione di mappe sociodemografiche e degli eventi e delle
strutture ricettive per il turismo nella regione Lombardia
Corso di Laurea in Scienza del Turismo e Comunità Locali - Nettuno
Marianna d’Ovidio.
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Università di Milano – Bicocca
[email protected]
Materiale ad uso esclusivo del Laboratorio di Cartografia. Si prega di non diffondere
INTRODUZIONE
Il laboratorio è formato da una parte teorica e una empirica. Alla parte teorica (tre lezioni) è dedicata la
prima settimana, che si concluderà con alcune questioni da discutere sul forum (esercizi).
Nell’arco della seconda e della terza settimana attraverso esercizi pratici si capirà il funzionamento del
database territoriale e dell’organizzazione e rappresentazione dei dati spaziali.
Gli argomenti delle lezioni fanno riferimento alle slides (contenute nel file dovidio_slides.pdf), che
vanno intese come proiettate durante un’ipotetica lezione.
PRIMA LEZIONE TEORICA
LE ORIGINI DELLA CARTOGRAFIA SOCIALE (SLIDES 1–2)
Tradizionalmente si fa risalire la nascita dell’analisi del territorio nelle scienze sociali ai lavori di Charles
Booth su Londra di fine 1800 (le mappe prodotte da Booth sono consultabili al sito
http://booth.lse.ac.uk). Egli produsse una serie di mappe della città di Londra in cui analizzava la
distribuzione della popolazione per status sociale. Per la prima volta nella storia delle scienze sociali un
carattere socio-economico della popolazione viene mostrato nella sua distribuzione sul territorio: la
mappa non è utilizzata per presentare la geografia di un luogo, ma per mostrare la morfologia sociale
dei suoi abitanti.
Un ulteriore esempio di mappe urbane costruite tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 sono quelle
prodotte da Jane Addams (Addams 1895) per illustrare sia i livelli di reddito delle famiglie, sia la
distribuzione della popolazione in base all’etnia, sia i salari. Le mappe di Addams mostrano, ad
esempio, che la prostituzione si concentrava in zone a basso reddito: anticipando di quasi un secolo
l’analisi multidimensionale, Addams contribuì senz’altro allo sviluppo dell’analisi del territorio nelle
scienze sociali (Parker 2004).
È solo con la nascita della cosiddetta scuola di Chicago che l’analisi della distribuzione di un fenomeno
sociale sul territorio entra a far parte dell’accademia. La città di Chicago alla metà del 1800 contava
meno di 5.000 abitanti, alla fine del secolo aveva già superato il milione per poi raggiungere i 3.500.000
nel 1930. Nel 1892 fu aperta l’Università di Chicago con un Dipartimento di scienze sociali e
antropologiche, che diede vita ad una serie di studi sociologici sulle trasformazioni urbane che
fondarono quella che poi venne chiamata sociologia urbana. La città di Chicago era quindi oggetto di
studio di questi studiosi. Sebbene conosciuta come “scuola” in realtà gli esponenti dell’Università di
Chicago ebbero degli approcci molto diversi e diversificati tra loro, tuttavia nei loro studi la città fu il
principale oggetto di studio. In questa sede ciò che più ci interessa della Scuola di Chicago sono da un
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lato alcuni fondamenti teorici, dall’altro alcune pratiche di ricerca. Anzitutto uno dei concetti chiavi è
quello di ecologia sociale, con il quale la scuola intendeva un quadro teorico di riferimento in cui si
esplicita la relazione tra individuo e spazio: gli individui sono collocati nello spazio urbano in base alle
loro risorse e all’esito della competizione, con altri simili, per guadagnarsi uno spaio urbano. Il concetto
di ecologia urbana rimanda al fatto che la città i sviluppa grazie a una costante lotta tra gruppi sociali
per guadagnarsi lo spazio migliore. Così come in una foresta specie diverse di piante lottano per
occupare la porzione di territorio dove crescere e vivere meglio, così nella città individui e gruppi sociali
sono in competizione per localizzarsi nel luogo migliore. Accanto al concetto di ecologia umana quello
di area naturale completa il quadro teorico che in questa sede vogliamo richiamare. Un’area naturale è
una porzione di città occupata da un gruppo di individui simili tra loro. Infatti individui simili,
appartenenti allo stesso gruppo sociale, hanno le stesse risorse nella competizione dello spazio e
tenderanno a ritagliarsi degli spazi omogenei nella città. La città è dunque un insieme di aree naturale
nelle quali c’è una forte omogeneità interna rispetto agli individui che vi abitano. Dal punto di vista
della metodologia la scuola di Chicago è importante per l’uso estensivo della cartografia e dell’analisi
dello spazio, ma non solo. La differenza con gli esempi di cartografia sociale dei primi ‘900 è che con la
scuola di Chicago la cartografia diventa uno strumento per l’analisi del territorio riconosciuto a livello
accademico. Gli esponenti della scuola con i loro studenti utilizzavano estensivamente sia dati raccolti
dalle statistiche ufficiali, sia dati raccolti in prima persona, integrandoli e costruendo delle mappe della
città che mostrassero la distribuzione spaziale di fenomeni sociali (si veda ad esempio lo studio di
Zorbaugh, (1929).
A partire dalla metà degli anni ’40 la sociologia urbana in generale, e in particolare l’analisi della
distribuzione di fenomeni sociali nello spazio, subiscono un forte rallentamento dovuto all’emergere del
paradigma funzionalista che si sviluppa negli Stati Uniti negli anni ’50: si sviluppano i metodi di analisi
statistica e la sociologia è dominata dal metodo dell’indagine attraverso questionari e indagini
quantitative. Per quasi tutto il secolo l’analisi dello spazio occuperà nel panorama delle scienze sociali
internazionali una posizione defilata.
LO SVILUPPO DEI SISTEMI GIS (SLIDE 3–5)
A partire dalla metà degli anni ’80 l’analisi dello spazio è ritornata ad essere un elemento centrale della
ricerca nelle scienze sociali. Da un lato lo sviluppo della tecnologia, dall’altro grandi mutamenti nella
società, hanno portato l’analisi dello spazio a diventare un elemento cruciale nelle scienze sociali.
Il progresso delle tecnologie si è mosso verso la costruzione di sistemi informatici sempre più sofisticati
per la rilevazione, la gestione e l’analisi di dati relativi allo spazio e al territorio. Dalla disponibilità di
foto satellitare, alla gestione di complessi data base, alla creazione di software per l’analisi statistica
territoriale, negli ultimi 20 anni le tecnologie per il trattamento del dato territoriale sono oramai
disponibili. In queste pagine esploreremo alcune di queste trasformazioni tecnologiche e vedremo in
che modo si possono usare i Geographic Information Systems (GIS) per studiare la distribuzione di
fenomeni sociali sul territorio.
Dal punto di vista delle trasformazioni della società, è possibile individuare tre grandi processi che, più
di altri, hanno modificato “l’organizzazione spaziale degli assetti sociali, economici, politici e culturali”
(Goodchild et al. 2000). Anzitutto la rivoluzione nei trasposti e, soprattutto, nelle tecnologie della
comunicazione e dell’informazione hanno portato a quella che viene definita la “compressione spaziotemporale” (Harvey 1989): mentre lo spazio sembra rimpicciolirsi fino a diventare un “villaggio
globale” delle telecomunicazioni e mentre gli orizzonti temporali si accorciano fino a che il presente è
tutto ciò che c’è, dobbiamo imparare a venire a patti con un travolgente senso di compressione dei
nostri mondi spaziali e temporali. Il mondo ci sembra più piccolo di un tempo, le distanze
diminuiscono, oppure si annullano (ad esempio durante una video conferenza). In secondo luogo le
gradi migrazioni di massa hanno modificato radicalmente la composizione sociale delle società,
trasformando soprattutto la morfologia sociale dei grandi agglomerati urbani. Infine la trasformazione
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degli scenari politici e la trasformazione di confini territoriali hanno un impatto consistente sulla
società.
DEFINIZIONE DI GIS (SLIDES 6–11)
Il termine GIS, nato circa 30 anni fa, ha almeno 4 significati (Boffi 2004):
1. designa un insieme di strumenti informatici, hardware e software, per la gestione e l’analisi dei
dati geografici
2. indica un particolare tipo di Sistema Informativo capace di gestire informazioni relative allo
spazio
3. recentemente è stato ridefinito come Scienza dell’Informazione Geografica, un’area disciplinare
che ha l’obiettivo di mettere a fuoco tecniche e metodi, provenienti da molte discipline,
necessari per l’utilizzo e l’analisi dei dati spaziali;
4. definisce un settore applicativo e commerciale che sta cambiando il modo di analizzare il
territorio, di fare pianificazione territoriale, e marketing, che fa da supporto alla logistica
commerciale e alla mobilità individuale e che, da ultimo, ha generato un imponente mercato
economico e nuove professionalità.
Nell’ambito di questo modulo vengono approfonditi i temi metodologici relativi alla creazione,
manipolazione, gestione, visualizzazione e analisi dell’informazione geografica.
L’informazione geografica si può definire come un’informazione che lega un dato luogo a una specifica
proprietà. Per proprietà possiamo intendere proprietà fisiche di un luogo (numero di persone,tipologia
di servizi, presenza di determinati elementi; entità urbanistiche (scuole, supermercati, strade); entità
naturalistiche (boschi, fiumi, sorgenti); eventi naturali (frane, alluvioni, terremoti) ; eventi di tipo sociale
(crimini, manifestazioni culturali, concerti, comizi politici).
Le applicazioni dei GIS sono svariate e si applicano a campi diversissimi tra loro. Per quanto riguarda le
sole scienze sociali possiamo classificarle in applicazioni per la ricerca, per la pianificazione e
applicazioni commerciali. Ad esempio è possibile utilizzare i GIS per gestire informazioni relative agli
utenti di un certo servizio; è possibile visualizzare la distribuzione di addetti all’industria in un dato
territorio, la distribuzione di bambini, o di anziani; mostrare la localizzazione di pozzi; raccogliere dati
sugli incidenti che avvengono in un determinato quartiere per pianificare il percorso sicuro di bambini.
La metodologia risulta un elemento di fondamentale importanza per costruire rappresentazioni utili ed
efficaci dei fenomeni sociali sul territorio.
I passaggi per la costruzione di una rappresentazione in ambiente GIS di un fenomeno sul territorio
sono i seguenti.
1. Raccolta dei dati, organizzazione in un database e costruzione di nuove variabili e di indicatori.
2. predisposizione delle basi territoriali necessarie (confini amministrativi, fiumi, strade) ed
eventuale localizzazione dei fenomeni che interessano;
3. rappresentazione tematiche di dati sul territorio attraverso metodi di visualizzazione e di
classificazione delle informazioni;
4. analisi dei fenomeni attraverso strumenti statistico-matematici (analisi di densità, interpolazione,
calcolo delle distanze e misura dell’accessibilità)
5. diffusione delle informazioni attraverso mappe sia in formato elettronico che cartaceo.
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IL MODELLO DEI DATI TERRITORIALI (SLIDE 12)
Lo scopo dei sistemi informativi geografici è quello di fornire un modello del mondo reale attraverso il
quale i fenomeni possano essere visualizzati, studiati, analizzati nello spazio. Vedere le cose nello
spazio, pensare ‘spazialmente’ i fenomeni sono attività intuitive ed essenziali per descrivere ed
analizzare i fenomeni; tradurre la dimensione dello spazio in un modello astratto, fatto di indicatori, di
valori, di entità simboliche che rappresentano entità del mondo reale e studiarli con strumenti
informatici, matematici, statistici o più semplicemente visualizzarli è un compito complesso, che
richiede anzitutto dei sistemi per organizzare e gestire le informazioni.
La struttura su cui si basano i Sistemi Informativi Geografici è costituita anzitutto da un sistema di
gestione dei dati, il database.
Chiameremo modello dei dati l’insieme dei dati che descrivono i fenomeni osservati nello spazio,
organizzati in una struttura di database.
Un modello è una rappresentazione semplificata di una realtà, di un evento, di un luogo; noi usiamo
spesso modelli, perché ci forniscono una visione semplificata del mondo che serve a metterne in luce
gli aspetti di nostro interesse. Un database territoriale riguardante una città può, ad esempio, contenere
informazioni ed aspetti molto diversi: il sistema viario, la rete dei servizi di trasporto pubblici, la
proprietà edilizia, ma può anche riguardare la popolazione, le abitazioni, oppure ancora la qualità
dell’ambiente urbano, la criminalità, il traffico, l’offerta di servizi commerciali.
Queste informazioni rappresentate da dati ed indicatori di tipo quantitativo, qualitativo, visuale possono
essere pensate come delle entità.
Il termine modello dei dati allude quindi a quell’insieme di entità e di relazioni che descrivono una realtà,
un’organizzazione, dei processi, e che richiedono un modello formale e delle strutture informatiche per
essere effettivamente realizzate.
I dati che costituiscono il modello numerico dei fenomeni spaziali sono formati da due componenti:
•
La parte spaziale-geografica, che rappresenta la localizzazione nello spazio geografico del
fenomeno (una casa, una strada, un quartiere, una persona, un evento sportivo, etc.)
•
La parte degli attributi, che descrive le caratteristiche del fenomeno (età e genere di una
persona, nome e tipologia di un quartiere, data e tipo di un evento, etc.)
Per riassumere:
■
Con i GIS è possibile tenere presente anche la dimensione spaziale, quindi il modello dei dati si
complica, con una dimensione in più: lo spazio.
■
Database che contiene anche informazioni spaziali, quali ad esempio informazioni di prossimità (A
è vicino a B; C è più lontano da D rispetto a E; F e G sono equidistanti da H; …), topologiche (la
localizzazione di un edificio), morfologiche (la forma di una regione), rapporti di vicinanza e
contiguità (l’Italia e la Svizzera sono confinanti) e così via. L’integrazione di queste informazioni
spaziali in un database è dunque l’elemento innovativo che sta alla base del Sistema Informativo
Geografico.
■
Il modello spaziale è un database che contiene sia le tabelle, le variabili, le unità di osservazione, le
relazioni e così via, ma anche la rappresentazione geografica di alcuni fenomeni (mappe), con le
relative informazioni relative a prossimità, forma, distanza e così via.
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TABELLE, UNITÀ DI OSSERVAZIONE, ATTRIBUTI (SLIDE 13 – 14)
La struttura organizzativa del database è costituita da una o più tabelle; ogni tabella descrive una classe
di fenomeni ( le persone che abitano una città, i quartieri di una città, le strade o i fiumi di una regione,
etc.).
La tabella è organizzata in forma di matrice, nella quale le righe rappresentano le unità di osservazione, o
casi, o record, e le colonne contengono gli attributi, o variabili o field, condivisi dai record. La tabella è il
contenitore sistematico di informazioni omogenee relative ad individui, oggetti od eventi; una tabella
contiene dati relativi a una specifica unità di osservazione, che può essere rappresentata da entità
fisiche, da individui, da strutture di servizio, da soggetti giuridici o amministrativi oppure da eventi, di
natura personale, sociale, economica, culturale.
Gli attributi, cioè le caratteristiche che descrivono diversi aspetti delle unità di osservazione, sono
ordinatamente archiviate nelle colonne della tabella-matrice. Il campo può essere pensato come un
contenitore modulare che archivia ordinatamente le caratteristiche omogenee dei soggetti contenuti
nella tabella. Il campo contiene i diversi valori che possono assumere gli attributi dei singoli record. Il
campo è un contenitore che deve essere coerente con il contenuto informativo che dovrà accogliere, sia
dal punto di vista della natura dell’informazione, sia della sua dimensionalità, sia della sua precisione: un
campo destinato a contenere la popolazione dei Comuni dovrà essere di tipo numerico, con una
capienza dell’ordine dei milioni di unità, e con un livello di precisione corrispondente alle unità; un
campo per l’archiviazione di un valore percentuale sarà ancora numerico, con una dimensione massima
limitata a 100, ma con un livello di precisione di almeno una cifra decimale; il campo che dovrà
contenere il nome dei villaggi dovrà essere di tipi testuale.
Unità di osservazione. Fenomeno oggetto di osservazione, definito concettualmente dal ricercatore. Un
requisito vincolante è costituito dalla necessità di consentire l’identificazione univoca dei diversi record.
A questo proposito la struttura del database prevede un campo speciale, chiamato chiave primaria, a cui
è affidato il compito identificativo dei record.
Relazioni. Una connessione tra coppie di tabelle è resa possibile dalle relazioni tra campi che avvengono
utilizzando la chiave primaria di una tabella e il campo con contenuto omologo. Ad esempio è possibile
identificare una relazione tra l’elenco degli studenti dell’università e l’elenco dei prestiti nella biblioteca
universitaria dove la chiave primaria sarà il numero di matricola degli studenti.
LE UNITÀ DI OSSERVAZIONE SPAZIALI (SLIDES 15–17)
In un modello del mondo reale costruito mediante dati le entità concettuali che rappresentano i
fenomeni nello spazio devono essere tradotti ed espressi attraverso simboli, strumenti, entità
formalizzati che possano essere manipolati con strumenti gestionali, come i database, che possano
essere visualizzate in forma cartografica e alle quali si possano applicare metodi di analisi spaziale.
I fenomeni del mondo reale tradotti in entità GIS prendono comunemente il nome di oggetti, i quali si
possono quindi definire come descrizioni in un database geografico di fenomeni del mondo reale.
Gli elementi che popolano un GIS sono quindi costituiti da una collezione di oggetti, rappresentati con
figure geometriche, localizzati in una qualche parte dello spazio geografico.
Gli oggetti possono rappresentare fenomeni di svariata natura:
•
strutture fisiche, come persone fisiche, edifici, strade, ferrovie, fiumi;
•
entità giuridiche, amministrative, categoriali, come comuni, regioni, circoscrizioni giudiziarie,
località turistiche;
•
eventi, come incidenti stradali, atti criminali, manifestazioni culturali o sportive;
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•
fenomeni in continuo cambiamento, come i limiti di temperatura massima e minima;
•
fenomeni statistici, come aree a diversa densità di popolazione, o con diversa percentuale di
popolazione anziana;
•
fenomeni continui, non confinabili in un luogo determinato, come la qualità dell’aria, il rischio
epidemiologico.
La rappresentazione in forma spaziale dei fenomeni può essere realizzata facendo ricorso ad oggetti
geometrici, che rappresentano in forma semplificata fenomeni del mondo reale, conservandone le
proprietà spaziali di volta in volta giudicati rilevanti.
Gli oggetti base utilizzati nei GIS sono:
•
il punto, struttura a-dimensionale,
•
la linea, struttura ad una dimensione,
•
il poligono, struttura a due dimensioni,
La scelta del tipo di oggetti con cui si rappresentano nello spazio i fenomeni modifica non solo la
visualizzazione del mondo nella mappa, ma anche la possibilità di effettuare analisi nello spazio: infatti
dalle proprietà dei singoli oggetti dipende la possibilità di calcolare le distanze tra città, di misurare la
densità nello spazio di abitazioni o di servizi, di individuare i comuni confinanti tra di loro, di
conteggiare il numero di eventi inclusi nelle diverse unità territoriali.
SECONDA LEZIONE TEORICA
LA LOCALIZZAZIONE DEI DATI SPAZIALI
La Scala (Slides 18–20)
Per analizzare e rappresentare i dati territoriali, bisogna trasferire le coordinate riferite alla superficie
sferica su un foglio piano, cioè su una mappa, attraverso tecniche di proiezione, e nello stesso tempo
ridurre le dimensioni del mondo reale. In una carta la dimensione degli oggetti e le distanze sono
correlate alle dimensioni e alle distanze del mondo reale secondo un rapporto chiamato scala. La scala è
il rapporto tra le distanze sulla carta e la corrispondente distanza misurata nel mondo reale.
E’ comunemente espressa sotto forma di una frazione numerica, in cui il numeratore, uguale a 1,
rappresenta la dimensione della mappa, e il denominatore rappresenta la corrispondente grandezza nel
mondo reale. Mappe a larga scala (1:1000, in cui a 1 cm sulla mappa corrisponde nella realtà 1 km) sono
adatte all’analisi di territori urbani, mentre mappe a media o piccola scala (1:100.000 o 1:1.000.000)
sono adatte alla riproduzione di aree regionali o continentali.
La riproduzione costante della scala su una mappa è resa difficile dalla necessità di rappresentare su un
piano la superficie sferica della Terra; le distorsioni che derivano da questa trasformazione hanno come
conseguenza che la scala può assumere valori differenti nelle diverse parti della stessa mappa. Come
vedremo nel dettaglio, la proiezione universale traversa di Mercatore è in grado di rappresentare in
modo corretto gran parte delle regioni abitate della Terra entro le medie latitudini, utilizzando scale
diverse mediante un mosaico di proiezioni centrate sul meridiano centrale di regioni relativamente
piccole.
Al contrario, il GIS è privo di scala, in quanto le carte possono essere allargate, ridotte e stampate
(plottate) a scale diverse da quelle di acquisizione. Il concetto di scala cade nel GIS; subentra il concetto
di risoluzione, cioè, la possibilità di discernere i dettagli (la risoluzione spaziale definisce le dimensioni
della minore unità spaziale definibile: i segmenti (singoli tratti di linee tra vertici) in formato vettoriale;
la cella nel formato raster, identificata dalle dimensioni del pixel/pixel size). La risoluzione minima
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cartografica indica le dimensioni minime degli elementi da raggruppare per formare un tema. Quanti
alberi, o quanto grande deve essere un affioramento roccioso per essere cartografato ? Qual è la
lunghezza minima dei segmenti ? Minore è il numero di elementi raggruppati in un tema, maggiore sarà
la risoluzione della carta.
Classificazione delle carte topografiche basata sulla scala
E’ possibile classificare le carte in base alla scala che possiedono:
1) Cartografia locale a livello generalmente comunale, carte a grandissima scala: Piante o mappe <
1:10.000 (es.: catasto 1:2.000)
2) Cartografia nazionale, carte a grande scala: Carte topografiche 1:10.000 – 1:100.000
3) Carte a media scala: Carte corografiche 1:200.000 – 1:1.000.000 (coros = regione)
4) Carte a piccola scala: Carte generali o geografiche >1:1.000.000
Il datum e i sistemi di coordinate (Slides 21–23)
La rappresentazione di oggetti nello spazio richiede un sistema di riferimento spaziale, in modo che i
diversi oggetti mantengano le posizioni relative all’interno di quel sistema e risultino riprodotte
correttamente lunghezza, forma e superficie, e in generale le relazioni spaziali del mondo reale.
La localizzazione dei fenomeni territoriali, operazione denominata georeferenziazione o geocodifica, è
ottenuta con la misurazione della posizione dei fenomeni rispetto ad un sistema di riferimento. Il
metodo di georeferenziazione utilizzato nei GIS è basato su un modello della Terra e su sistemi di
coordinate terrestri.
Alla base della localizzazione dei fenomeni, così come di ogni misurazione, sta infatti un modello della
terra, al quale sono riferite le misurazioni stesse.
Lo schiacciamento ai poli della Terra, avvallamenti e rilievi della sua superficie rendono quasi
impossibile la definizione di un modello matematico unitario soddisfacente.
Si preferisce invece utilizzare modelli diversi, a seconda della scala di rappresentazione dei fenomeni e
dei luoghi studiati: per una rappresentazione globale della terra si utilizza un modello ‘globale’,
tipicamente il ‘Datum’ (così vengono chiamati i modelli della Terra) WGS84 - World Geodetic System
messo a punto nel 1984; in Europa è comunemente utilizzato ED50 – European Datum del 1950 o
ETRS89 - European Terrestrial System del 1989; negli Stati Uniti NAD27 - North American Datum
del 1927; in Brasile SAD69 – South American Datum del 1969.
Una volta messo a punto un modello della Terra, è possibile effettuare delle misurazioni con un sistema
di coordinate, a condizione di definire un’origine e delle unità di misura. Per far questo possiamo
avvolgere il modello della Terra con una griglia che ne segua la superficie:
a) le linee orizzontali sono chiamate paralleli, misurano la latitudine, cioè la distanza angolare di un
cerchio di parallelo rispetto all’equatore, preso come origine della latitudine; linee con latitudine
costante estese in senso est-ovest (equatore). I 2 poli consentono di individuare un piano
perpendicolare all'asse terrestre ed equidistante dai poli. L'intersezione di questo piano con la sfera
individua una circonferenza denominata Equatore. La sfera è divisa in 2 emisferi: quello boreale, o
settentrionale, e quello australe, o meridionale. I paralleli sono sempre paralleli tra loro, seguono sempre
la direzione E-O ed intersecano sempre i meridiani secondo angoli retti. Per comodità si considerano
90 paralleli a N dell'equatore e 90 paralleli a sud (distanza angolare di 1°).
b) le linee verticali, chiamate meridiani, misurano la longitudine terrestre, cioè lo scostamento rispetto al
meridiano di Greenwich (Gran Bretagna), adottato convenzionalmente come meridiano zero. Per
comodità, si considerano solo 360 meridiani aventi distanza angolare di 1°.
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La misurazione dei punti sulla superficie terrestre è espressa in gradi, minuti e secondi di longitudine e
latitudine; ad esempio il centro di Milano – Italia è situato a 9° 10’ 53” di longitudine Est e a 45° 28’ 38”
di latitudine Nord.
LONGITUDINE: arco di parallelo (distanza angolare) misurato in gradi (°) e frazioni di grado (minuti:'
e secondi:") compreso tra il punto considerato e il meridiano fondamentale.
Meridiano fondamentale: quello passante per Greenwich (latitudine O°). La longitudine di un punto
viene misurata verso E o verso O e varia tra 0° e 180°. Esempio: 12° 42' 03" E
Tutti i punti lungo un meridiano hanno la stessa longitudine. La lunghezza (in km) di 1° di longitudine
dipende dal parallelo sul quale si misura.
LATITUDINE: l'arco di meridiano (distanza angolare) misurato in gradi e frazioni di grado, compreso
tra il punto considerato e l'equatore. La latitudine varia tra 0° e 90° in corrispondenza dei poli N e S.
Esempio: 45° 12' 15" N Tutti i punti lungo un parallelo hanno la stessa longitudine. La lunghezza (in
km) di 1° di latitudine dovrebbe essere identica, ma aumenta verso i poli a causa dello schiacciamento
polare. Ogni sistema cartografico ha i propri reticoli (CTR 1:10.000; I.G.M. 1:25.000), generalmente
riportati sulla maggior parte delle carte stesse.
Il RETICOLO (graticule) è una griglia di paralleli e meridiani rappresentati come linee sulle carte.
Le proiezioni (Slides 24–29)
Infine, per visualizzare e analizzare i dati territoriali è necessario rappresentarli su una mappa,
elettronica o cartacea: le mappe possono dunque essere pensate come rappresentazioni ridotte, secondo
una certa scala, del mondo reale su una superficie piana.
La trasformazione della superficie sferica della terra su un foglio piano è un’operazione impossibile in
geometria: si usano allo scopo le proiezioni (definite come trasformazioni della superficie terrestre in un
piano). Sono basate su formule matematiche che permettono la conversione del sistema geografico di
riferimento sulla sfera in un sistema piano.
Non possono esistere trasformazioni completamente prive di errori, perchè una sfera non può essere
sviluppata su una superficie piana. Le distorsioni delle proiezioni avvengono comunemente per quanto
riguarda le distanze, la direzione, la forme, la scala o le superfici.
I tipi di proiezione in uso sono molto numerosi e rispondono a molteplici criteri di opportunità: la
localizzazione geografica e la dimensione del territorio in osservazione, la finalità della mappa e
soprattutto l’estensione e la collocazione del territorio.
Le proiezioni si possono classificare sulla base di due criteri:
1. le proprietà che meglio vengono conservate:
1.1. conformi o isogone: che conservano la forma degli oggetti su scala locale; i meridiani e i
paralleli si intersecano con angoli retti formando una griglia regolare di riferimento; si ha
corrispondenza biunivoca tra angoli reali e angoli misurati (carte nautiche per mantenere la
rotta);
1.2. ad aree equivalenti: che riproducono correttamente le superfici in modo corrispondente alla
realtà, a scapito della forma, degli angoli e della scala; le aree riprodotte sono direttamente
proporzionale a quelle reali (rapporto costante per tutta la carta: carte catastali);
1.3. equidistanti: che conservano le distanze fra determinati punti lungo direzioni particolari, per
esempio lungo i meridiani. La scala non è riprodotta correttamente in tutti i punti della mappa.
Bisogna notare, tuttavia, che, a rigore, nessuna proiezione è completamente equidistante
rispetto a tutti i punti della mappa.
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2. il metodo geometrico utilizzato
2.1. cilindriche, che risultano dalla proiezione di una superficie sferica su un cilindro;
2.2. coniche, che derivano dalla proiezione di una superficie sferica su un cono;
2.3. azimutali, in cui la superficie sferica viene proiettata direttamente su un piano.
Di conseguenza, a seconda della scala della mappa e dell’uso che se ne intende fare, si utilizzano
proiezioni diverse: ad esempio per la mappa del mondo è spesso utilizzata la proiezione di Mercatore;
per quella dell’ intero Brasile, la proiezione conica di Albers; su scala locale, per aree regionali non
superiori a 500 km di lato, si utilizza solitamente la proiezione Universale Traversa di Mercatore – UTM
– costituita da un mosaico di ‘fogli’, che ottimizza la rappresentazione locale della regione.
L’importanza delle proiezioni è mutata con l’introduzione dei GIS, in quanto essi separano la
rappresentazione della mappa dalle informazioni contenute nel database: le operazioni di calcolo (p.e.
della distanza) non vengono fatte sulla rappresentazione della mappa, bensì sui dati geografici contenuti
nel database.
La scelta del tipo di proiezione rimane rilevante ai fini di una corretta rappresentazione dei fenomeni
territoriali, in modo da minimizzare le distorsioni delle proprietà ritenute più importanti e in secondo
luogo è importante per poter integrare e comparare tra loro mappe e dati di fonte diversa.
Sebbene sia un tema fondamentale per l’analisi cartografica, la scelta della proiezione per una mappa
tematica non è particolarmente critica, in quanto si tratta essenzialmente di uno strumento descrittivo
(come vedremo in seguito); l’analisi spaziale, lo studio dei bacini d’utenza, l’analisi di cluster e così via
richiede invece una scelta più attenta della proiezione migliore.
MAPPE RASTER E MAPPE VETTORIALI (SLIDES 30– 34)
In generale esistono due metodi di base per rappresentare dati nello spazio, che rispondono a due punti
di vista molto diversi, ma complementari: il modello vettoriale e il modello raster.
Il modello vettoriale ha natura discreta e assume come presupposto l’esistenza di unità di osservazione
territoriali predefinite, città, regioni, luoghi localizzati puntualmente. Il modello si basa sull’assunzione
che i fenomeni del mondo reale siano scomponibili in elementi definiti non solo concettualmente, ma
anche spazialmente. Nel modello vettoriale, una casa, una strada, un comune, un evento, una persona,
sono rappresentate da un oggetto geometrico e localizzate nello spazio mediante un sistema di
coordinate. Gli oggetti geometrici sono le rappresentazione in mappa di entità concettuali, e ad essi
sono connessi attributi di vario tipo che ne descrivono le proprietà. Entità fisiche, amministrative,
produttive o eventi, che sono circoscrivibili in uno spazio definito, possono essere facilmente
rappresentati in un modello vettoriale: edifici, aree amministrative, unità di servizi, uffici, luoghi di
ritrovo sono facilmente localizzabili sul territorio.
Al contrario il modello raster è un modello continuo, che utilizza una griglia regolare come unità di
osservazione e rappresenta la distribuzione dei fenomeni su una superficie continua. Nelle mappa raster
la rappresentazione delle informazioni è gestita su una griglia regolare di cellette che coprono
interamente lo spazio in quel punto. Per esempio un’immagine di una città presa da satellite e inserita in
un GIS è un’immagine raster.
I due modelli non sono in antitesi, ma sono complementari: a seconda del tipo di visualizzazione che si
desidera effettuare, è necessario utilizzare l’uno o l’altro modello, ed eventualmente trasformare una
mappa vettoriale in una raster e viceversa.
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TERZA LEZIONE TEORICA
ANALISI TERRITORIALE (SLIDE 35 )
Per l’analisi territoriale servono, come è ovvio, due tipi di dati:
a) la parte geo-cartografica, che contiene informazioni sulla forma del territorio e sulla localizzazione (la
“base” cartografica dei comuni italiani, delle regioni o delle provincie, lo stradario di un comune, le
sezioni amministrative e così via..)
b) i dati che si riferiscono alle proprietà del territorio che intendiamo studiare.
I dati sono disponibili su internet, sul sito dell’ISTAT, le basi di dati geografici, invece, non sono
disponibili on-line con molta facilità
L’analisi territoriale di un fenomeno attraverso le mappe è utile quando vogliamo studiare un fenomeno
che varia (o che supponiamo variare) nello spazio e di cui abbiamo informazioni territoriali.
In particolare è utile osservare sia le basi di dati, sia le basi geografiche disponibili per capire se:
■
i dati si possono georeferenziare sulla base geografica a disposizione
■
le variabili che interessa analizzare sul territorio variano significativamente
■
l’aggregazione territoriale consente la produzione di mappe
■
l’aggregazione territoriale è completa
Consideriamo l’esempio: se intendiamo analizzare l’offerta del turismo nei comuni lombardi abbiamo
bisogno dei seguenti materiali:
■
dati, di aggregazioni comunale o più fine, dell’offerta turistica in tutti i comuni della Lombardia.
Sarebbe assolutamente inutile, per i nostri scopi, avere dei dati che si riferiscono a una parte sola dei
comuni lombardi (p.e. che si riferiscono ai comuni con più di 100.000 abitanti, o i dati che si
riferiscono ai comuni capoluoghi e così via).
■
Base geografica dei comuni lombardi
■
L’offerta turistica dovrebbe avere una variazione significativa tra comuni. Questa condizione che
non è indispensabile dal punto di vista operativo, a differenza delle precedenti, è importante per
costruire delle mappe sensate dal punto di vista della ricerca empirica. Sebbene l’assenza di
variazione possa essere un risultato empirico di grosso valore, non è necessaria una mappa per
dimostrarla.
LE FONTI DEI DATI (SLIDE 36 E 37 )
La caratteristica peculiare dei Sistemi Informativi Territoriali consiste nel gestire informazioni
georeferenziate; oggetti geografici e attributi sono due aspetti non separabili del dato sta alla base del
modello GIS.
Tradizionalmente i dati statistici e amministrativi utilizzati nelle scienze sociali sono georeferenziati solo
in minima parte e il riferimento a unità territoriali è eccezionalmente limitato ad alcune fonti
istituzionali, come i censimenti nazionali e le risultanti anagrafiche. Nell’ultimo decennio si è assistito ad
una crescita della domanda di dati utilizzabili nei Sistemi Informativi Geografici, sia da parte di enti
istituzionali territoriali, sia da parte di enti di ricerca, sia in ambito commerciale; l’interesse per il dato si
è accompagnato con un aumento significativo della produzione di dati geografici e con la definizione di
politiche per favorirne la diffusione.
In gran parte dei paesi del mondo si stanno sviluppando da almeno un decennio delle politiche volte
alla costruzione de quella che viene chiamata l’Infrastruttura dei dati spaziali, o Spatial Data
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Infrastructure (SDI). L’infrastruttura dei dati spaziali è lo strumento organizzato per favorire
l’accessibilità e migliorare la qualità delle informazioni geografiche.
La produzione di dati in Italia è oggi caratterizzata dall’esistenza di una pluralità di fonti, che
rispondono a obiettivi diversificati e che applicano criteri e procedure non coordinati, con confusione
di ruoli, sovrapposizione di compiti e duplicazione di risultasti; per orientarsi tra le fonti di dati relative
all’Italia è dunque utile disporre di un quadro degli enti che producono dati.
Le fonti si possono dividere in due gruppi, di natura statistica e di tipo istituzionale: le prime sono
costituite da materiale raccolto direttamente per finalità statistiche; le seconde comprendono i
documenti predisposti dalle amministrazioni pubbliche e private per scopi inerenti alla propria attività.
1.
enti istituzionali che raccolgono, elaborano e gestiscono informazioni statistiche in base a
norme di legge: ISTAT, SISTAN, Amministrazioni dello Stato, IGM (Istituto Geografico Militare), enti
territoriali (Comuni, Regioni, Province..)
2.
enti pubblici o erogatori del servizio pubblico; comprendono un numero consistente e
diversificato di enti che svolgono funzioni economiche, fornendo servizi a livello nazionale: ACI,
CISPEL, ENEL; CNEL, RAI…
3.
società e organismi privati, associazioni, consorzi, organizzazioni sindacali, uffici studi di
aziende private
4.
enti scientifici CNR, università, alcune Fondazioni, gli istituti di ricerca sono anch’essi fonti di
dati, anche se di norma non costituiscono fonti primarie, perché per lo più elaborano le informazioni
disponibili presso altre organizzazioni o strutture.
Come nella maggior parte dei paesi, anche in Italia la base geostatistica fondamentale è costituita da
unità di osservazione territoriali definite per le esigenze dei censimenti o di analoghe rilevazioni
sistematiche sull’intero territorio del paese, in Italia denominate sezioni di censimento.
Le sezioni di censimento sono suddivisioni statistiche che coprono l’intero territorio nazionale, tracciate
in modo da seguire confini fisici identificabili e da includere, di norma, una popolazione residente entro
valori minimi e massimi. Il territorio italiano è totalmente suddiviso in sezioni di censimento, ad
esempio il comune di Milano è composto da 5831 sezioni di censimento.
Molti dati, come vedremo, sono però forniti su aggregazione comunale, di conseguenza, una delle basi
più usata è la suddivisione per comuni.
Si parla di aggregazione territoriale, sia per un dato tabellare, sia per uno cartografico, quando vogliamo
fare riferimento alla dimensione territoriale del dato e alla base territoriale con cui è presentato, indica la
geografia del dato. L’aggregazione territoriale si riferisce alla dimensione geografica del dato. Se il dato è
disponibile per tutti i comuni della Lombardia, allora l’aggregazione sarà comunale, se si riferisce alle
province o alle regioni italiane, l’aggregazione sarà, rispettivamente, provinciale o regionale. Si parla
sempre di aggregazione perché di norma il dato quando è raccolto è di natura individuale, e poi viene
aggregato in base ad una dimensione geografica.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALE
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Parker, S. (2004). Urban Theory and the Urban Experience: Encountering the city. London: Routledge
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Boffi, M. (2004). Scienza dell’informazione geografica. Introduzione ai GIS. Bologna: Zanichelli
Longley, P.A., Goodchild, M.F., Maguire, D.J., Rhind, D.W.(1999). Geographical information systems. 2nd.
New York: John Wiley and Sons
Goodchild, M.F. et al. (2000). “Toward Spatially Integrated Social Science”. International Regional
Science Review v23n(2): 139-59.
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http://www.esri.com/
http://www.csiss.org/
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http://www.istat.it
http://www. comune.milano.it
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