Inchiesta sul Dolce stil novo

1
Université de Lorraine (Nancy)
3 febbraio 2016
Inchiesta sul Dolce stil novo
(Donato Pirovano, Università di Torino)
Introducendo il concetto storiografico di Dolce stil novo, Francesco De Sanctis isola nella lirica
delle Origini un gruppo di poeti che ha « una coscienza più chiara dell’arte ».1 La successiva
tradizione editoriale fisserà un canone di poeti – ed è un canone autoriale che esclude molti testi
anonimi presenti nei manoscritti che ben figurerebbero nell’àmbito del Dolce stil novo2 – che
comprende il precursore bolognese Guido Guinizzelli, i fiorentini Dante Alighieri, Guido
Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, e il pistoiese Cino de’ Sinibuldi.
Per caratterizzarli, l’illustre critico irpino si servì di una formula dantesca – o pseudo-dantesca,
visto che il verso da dove è tratta, « di qua dal dolce stil novo ch’i odo » (Purg., XXIV 57), è il
risultato di una congettura dei filologi –,3 che individua due prerogative decisive nella lirica di
questi rimatori di fine Duecento : la novità e la dolcezza formale.
La formula desanctisiana si è imposta nella storiografia e nella manualistica, sebbene non siano
mai mancate opinioni contrarie alla reale sussistenza di questa categoria storiografica. Resta
comunque il dato, ineludibile, che negli ultimi anni del sec. XIII si reagì nettamente, con un forte
richiamo all’ordine, alla stagione poetica multiforme, sperimentale, dialogica, eterodossa, che
caratterizzò la lirica del pieno e tardo Duecento, dopo gli esordi più compatti della Scuola siciliana,
e che è ampiamente testimoniata dai grandi canzonieri duecenteschi – i manoscritti Vaticano 3793,
Laurenziano Redi 9 e Palatino 418 –, dai quali sono quasi completamente esclusi i poeti del Dolce
stil novo, con l’eccezione di Guido Guinizzelli.
L’inchiesta non deve però soffermarsi sul concetto storiografico, tanto più che non è
universalmente accolto4, ma deve partire dai testi e interrogarli. Occorre in particolare studiare il
rapporto tra Guido Guinizzelli e Guido Cavalcanti, una linea diretta che già Dante aveva messo in
rilievo in un passo famoso di Purg., XI : « Così ha tolto l’uno a l’altro Guido / la gloria de la lingua ;
e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido ».5 Oderisi da Gubbio, che pronuncia queste
parole, stabilisce una graduatoria nella nuova poesia volgare (la gloria de la lingua), in cui
Cavalcanti ha sopravanzato Guinizzelli ed entrambi potrebbero essere superati da un innominato
poeta, che è ragionevole identificare con Dante stesso. Riconosciuto ab origine il ruolo di
Guinizzelli, iniziatore della nuova poesia, e di Cavalcanti che al bolognese rivolse per primo lo
sguardo, ora la gloria spetta all’Alighieri, un primato solo leggermente sfumato dal forse, ben
spiegabile, però, nell’àmbito dell’argomentazione del miniatore eugubino e nel particolare contesto
purgatoriale in cui è ambientato il dialogo, la cornice dei superbi.
1
F. DE SANCTIS, Storia della Letteratura italiana, Napoli 1870-71, II 10.
Ho discusso questo problema nell’ultimo capitolo della mia monografia. Cfr. D. PIROVANO, Il Dolce stil novo, Roma,
Salerno Editrice, 2014, pp. 332-35.
3
Per il problema filologico di Purg., XXIV 57, cfr. PIROVANO, Il Dolce stil novo, cit., pp. 54-58, con rimando alla
bibliografia pregressa.
4
Sul concetto storiografico di Dolce stil novo cfr. PIROVANO, Il Dolce stil novo, cit., pp. 15-38, con ampia bibliografia
pregressa.
5
Rimango fedele all’interpretazione dell’esegesi storica, che ha riconosciuto nei due Guidi il Guinizzelli e il Cavalcanti,
contro l’ipotesi di una sequenza Guittone-Guinizzelli-Dante, formulata da vari interpreti, ma persuasivamente smontata
da E. MALATO, Il “primato” nella « gloria de la lingua ». Chiosa a Purg., XI 97-98 : « Così ha tolto l’uno a l’altro
Guido / la gloria de la lingua », in ID., Studi su Dante, « Lecturae Dantis », chiose e altri studi danteschi, Cittadella,
Bertoncello Artigrafiche, 20062 (20051), pp. 460-92. Ritengo anche poco convincente la tesi di D. PICCINI, Proposta per
‘Purg.’, XI 97-99: l’« uno » e l’« altro » Guido, in « L’Alighieri », a. XLIX 2008, pp. 95-111, secondo cui i due Guidi
nominati nel verso dantesco sarebbero Guido delle Colonne e Guinizzelli.
2
2
Dunque, chi per primo ha intuito le potenzialità e i fermenti di novità della poesia di Guinizzelli
è stato Guido Cavalcanti.6
Quale Guinizzelli ? Il corpus del Guido bolognese è piuttosto esiguo perché, allo stato attuale
delle ricerche, consta di 19 componimenti e 2 frammenti.7 La tradizione editoriale moderna riflette
l’ordinamento antico, posizionando prima le canzoni e poi i sonetti. Ebbene, dopo aver letto su un
manuale di Storia della letteratura italiana un capitolo sul Dolce stil novo ci aspetteremmo che la
serie sia aperta da quella che è considerata la canzone manifesto della nuova poetica. Ma non è così.
Nei canzonieri delle Origini, infatti, Al cor gentil occupa queste posizioni :
•
•
•
Vaticano106 : è la terza del gruppo di Guido
Laurenziano51 : è la terza del gruppo di Guido (vedi immagini 1, 2 e 3)
Palatino18 : è la prima di Guido, ma solo in virtù della lettera iniziale visto che questo
canzoniere è ordinato in senso alfabetico (vedi immagini 4 e 5).
Stupisce, soprattutto, la sua posizione nel codice Chigiano L VIII 305,8 copiato a Firenze intorno
al 1340 in un ambiente culturale in cui si stava affermando dal punto di vista editoriale il mito di
Dante. Come è stato detto « che più di ogni altra raccolta rispecchia il canone stilnovistico secondo
l’impostazione dantesca »,9 e ciò è particolarmente evidente nella sezione iniziale che presenta in
successione canzoni e ballate di Guinizzelli, Cavalcanti, Dante (compresa tutta la Vita nuova), Cino,
Lapo Gianni e Dino Frescobaldi (con pochi inserti allotri) ; e gli stessi autori tornano nella sezione
dei sonetti. L’ortodossia di Ch risalta poi per la clamorosa assenza di Guittone, sebbene nella terza
sezione sia distinguibile un percorso cronologico e storiografico che parte dai Siciliani. Al firewall
ideologico – opposto a quello dei canzonieri duecenteschi ma altrettanto rigido – sfugge un solo
sonetto dell’Aretino trascritto tra l’altro adespoto, Voi che penate di saver lo core (Ch331), che
probabilmente ha eluso il filtro per questo incipit di chiaro gusto stilnovista.
In questo codice Al cor gentil risulta al quarto posto (vedi immagini 6, 7 e 8). Come nelle
edizioni moderne.
Vediamo ora l’ordinamento dei sonetti di Guinizzelli e restiamo nel manoscritto Chigiano. C’è
un nucleo compatto tra Ch126 e Ch132 che presenta la produzione che oggi riconosciamo come la
più propriamente stilnovistica di Guido, alla quale sono aggiunti i due sonetti comici e la risposta a
Bonagiunta. Nell’ordine troviamo (vedi immagini 9 e 10) :
Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo (GUINIZZELLI, VI)
Vedut’ho la lucente stella diana (GUINIZZELLI, VII)
Dolente, lasso, già non m’asecuro (GUINIZZELLI, VIII)
6
Ormai non ci dovrebbero essere più dubbi sulla responsabilità cavalcantiana della prima scoperta di Guinizzelli
nell’ambiente fiorentino : cfr. E.G. PARODI, Il « dolce stil nuovo » [1906], in ID., Poesia e storia nella “Divina
Commedia”, a cura di G. FOLENA e P.V. MENGALDO, Vicenza, Neri Pozza, 1965, pp. 135-46 ; M. PICONE, I due Guidi :
una tenzone virtuale, in Guido Cavalcanti laico e le origini della poesia europea, nel 7° centenario della morte. Poesia,
filosofia, scienza e ricezione, Atti del Convegno internazionale (Barcellona, 16-20 ottobre 2001), a cura di R. ARQUÉS,
Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004, pp. 9-26 ; L. LEONARDI, Guinizzelli e Cavalcanti, in Da Guido Guinizzelli a
Dante, cit., pp. 207-26 ; R. REA, La lezione di Guinizzelli, in ID., Cavalcanti poeta. Uno studio sul lessico lirico, Roma,
Edizioni Nuova Cultura, 2008, pp. 111-37.
7
Per ordinamento e testi dei due Guidi cfr. Poeti del Dolce stil novo, a cura di D. PIROVANO, Roma, Salerno Editrice,
2012.
8
Nella bibliografia critica il ms. è stato identificato con varie sigle, tra le quali ultimamente prevale Ch, utilizzata anche
nel volume a esso interamente dedicato della serie Intavulare : vd. « Intavulare ». Tavole di canzonieri romanzi. III.
Canzonieri italiani. 1. Biblioteca Apostolica Vaticana Ch (Chig. L. VIII 305), a cura di G. BORRIERO, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2006 (con ampia e aggiornata bibliogr.). Una riproduzione fotografica del
codice (cc. 1r-121v) è consultabile al sito internet http://vitanova.unipv.it a cura di Simone Albonico.
9
L. LEONARDI, La poesia delle origini e del Duecento, in Storia della Letteratura italiana, diretta da E. MALATO, vol.
X, La tradizione dei testi, coordinato da C. CIOCIOLA, Roma, Salerno Editrice, 2001, p. 47.
3
Omo ch’è saggio non corre leggero (GUINIZZELLI, XVIIIb)
Ch’eo cor avesse, mi potea laudare (GUINIZZELLI, IX)
Io vo’[glio] del ver la mia donna laudare (GUINIZZELLI, X)
Chi vedesse a Lucia un var capuzzo (GUINIZZELLI, XVI)
Volvol te levi, vecchia rabbiosa (GUINIZZELLI, XVII)
Si può anche considerare che di questi testi nei tre canzonieri duecenteschi compaiono solo
GUINIZZELLI, IX e GUINIZZELLI, XVIIIb. Il Vaticano registra anche GUINIZZELLI, X (vedi immagine
11).
Abbiamo detto che fu Guido Cavalcanti a scoprire la novità di Guinizzelli. Cavalcanti non
guarda però ad Al cor gentil (lo farà ripetutamente Dante), ma ad altro, ai sonetti dell’omonimo
bolognese.
Ripropongo ora un esperimento di Guido Favati, al quale ho già sottratto il titolo della mia
relazione.10
Leggiamo due sonetti, entrambi presenti nella lista del Chigiano. Questo il primo :
Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo
che fate quando v’encontro, m’ancide :
Amor m’assale e già non ha reguardo
s’elli face peccato over merzede,
ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo
ched oltre ’n parte lo taglia e divide ;
parlar non posso, ché ’n pene io ardo
sí come quelli che sua morte vede.
Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende :
remagno como statüa d’ottono,
ove vita né spirto non ricorre,
se non che la figura d’omo rende.
5
10
Bello il saluto della donna, dolce il suo sguardo, ma essi sono colpi impetuosi e tremendi per il
cuore del poeta. Come un lampo che irrompe in una stanza e distrugge tutto ciò che trova, il saluto
e lo sguardo della donna, attraverso gli occhi, penetrano nel cuore e lo devastano: l’innamorato
sedotto rimane come inerte statua d’ottone, che presenta solo esteriormente l’aspetto della figura
umana.
E ora leggiamo questo secondo sonetto :
Dolente, lasso, già non m’asecuro,
ché tu m’assali, Amore, e mi combatti :
diritto al tuo rincontro in pie’ non duro,
ché mantenente a terra mi dibatti,
come lo trono che fere lo muro
e ’l vento li arbor’ per li forti tratti.
Dice lo core agli occhi : « Per voi moro »,
e li occhi dice al cor : « Tu n’hai desfatti ».
Apparve luce, che rendé splendore,
che passao per li occhi e ’l cor ferío,
ond’ io ne sono a tal condizïone :
ciò furo li belli occhi pien’ d’amore,
che me feriro al cor d’uno disio
come si fere augello di bolzone.
10
5
10
Si rimanda a G. FAVATI, Inchiesta sul Dolce Stil Nuovo, Firenze, Le Monnier, 1975.
4
In questo sonetto due intense immagini rendono il carattere improvviso e travolgente dell’attrazione
e del conseguente innamoramento, che sconvolge il cuore: esso è come il fulmine che fende il muro
o il vento che devasta gli alberi con le sue impetuose folate. Lo stato d’angoscia in cui si trova
l’innamorato fulminato dagli occhi belli della donna, la cui luce è penetrata fino al cuore, è
chiaramente espresso nelle terzine, che si concludono con un’altra similitudine traumatica, in cui il
cuore è ferito come un uccello colpito da una freccia di balestra.
L’autore di questi due sonetti non è Guido Cavalcanti, come potremmo aspettarci a partire da
un’idea preconcetta di poetica cavalcantiana che si è formata sui manuali, ma è Guido Guinizzelli.
In entrambi, però, troviamo una concezione dell’amore che emerge prepotentemente nelle liriche
di Cavalcanti, e forse adesso è più chiaro perché Cavalcanti “scoprì” Guinizzelli.
Per Cavalcanti l’amore è, infatti, una passione travolgente, smisurata e ottenebrante, che si
coagula attorno a un’immagine interiore della donna nata da un’appercezione sensibile. Si legga,
per es., il sonetto Voi che per li occhi mi passaste ’l core, che esprime gli effetti tragici
dell’innamoramento e la condizione di angoscia e di disfacimento psicofisico del poeta
(CAVALCANTI, XIII) :
Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.
E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che ’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.
Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ’l cor nel lato manco.
5
10
In questo componimento dalla visione fisica si passa immediatamente al risveglio della mente
assopita: l’innamoramento consiste, infatti, nel sorgere dell’ossessiva immagine mentale della
donna, secondo la teoria fantasmatica che caratterizza la concezione erotica medievale.11 Una volta
destato, Amore procede nell’interiorità con tanta forza nella sua azione distruttiva, che obbliga alla
fuga le funzioni vitali dell’io (gli spiriti), incapaci di reggere a quell’assalto; Amore viene
raffigurato come un guerriero che si apre la strada massacrando i nemici, e di contro a
quest’avanzata nulla possono gli spiriti; rimane soltanto una parvenza umana, completamente in
balia di Amore, e una fievole voce che può solo esprimere il dolore interiore.
La rappresentazione della passione è, dunque, incentrata esclusivamente sull’io e sugli effetti che
determina in lui l’innamoramento. La donna reale non c’è – e all’invocazione costruita su Geremia
non risponderà –,12 manca qualsiasi accenno a una storia d’amore simile a quelle della poesia
trobadorica, manca una qualsiasi forma di relazione, di fatto impossibile dal momento che la donna
è inconoscibile. L’unico evento esteriore è la potenza seduttiva degli occhi femminili (« questa
vertù d’amor […] da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse », vv. 9-10), ma l’oggetto d’amore è
esclusivamente il phantasma della donna fisso nella mente dell’io lirico. Tutto si svolge
11
Vd. almeno G. AGAMBEN, Eros allo specchio, in ID., Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale,
Torino, Einaudi, 1977, pp. 84-104.
12
Lam., 1 12, « O vos omnes qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor sicut dolor meus » (« Voi tutti che
passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore »), è modulo frequente non solo in
Cavalcanti (vd. Anche : X 1-4 e XIX 1-3), ma anche in Vita nuova, VII 3.
5
nell’interiorità: l’equilibrio psicofisico dell’io risulta stravolto e annientato, il cuore giace morto
nella sua sede naturale e l’anima trema.
La drammatizzazione della realtà psichica non comporta astrazione, ma concretezza plastica, un
effetto determinato dall’ipostasi delle facoltà interiori (gli spiriti) che parlano, tremano, fuggono
ecc.
La nuova istanza implica un perentorio rinnovamento formale, in direzione di una chiarezza
espositiva fortemente ricercata: «là dove insegna Amor, sottile e piano» (Cavalcanti, Lb 10)
risponde Cavalcanti al povero Guido Orlandi che aveva osato infastidirlo con un rimprovero di
poetica. La rappresentazione cavalcantiana è, infatti, lucida e nitida, senza derive patetiche o
melodrammatiche: per es. nel lessico cavalcantiano sono banditi lasso, ahi, ahimè e simili. Guido –
spirito magnanimo della famiglia della « gente di valor » (Cavalcanti, XXVIIb 49) che veramente
sente la forza dell’amore – guarda dentro di sé gli effetti tragici dell’amore: l’iteratività delle
situazioni analizzate, con minime variazioni di prospettiva, il lessico preciso, selezionato e
omogeneo, il ritorno frequente di parole-chiave esprimono compiutamente questa vivisezione
dell’esperienza amorosa.
Eppure se la drammatica esperienza amorosa caratterizza la maggior parte dei testi di Cavalcanti,
il suo canzoniere non è monoliticamente compatto dentro questa visione tragica e negativa. C’è un
gruppo di testi – che Guido Favati (l’editore critico di Guido)13 ha riunito (vd. Cavalcanti, XXIIXXVI) – nei quali la tensione si allenta e affiora la potenza gioiosa e vivificante dell’amore, che
esalta la parte emotiva dell’io lirico.
Così nel sonetto Veder poteste, quando v’inscontrai, mentre ormai l’anima triste dell’io lirico è
prossima alla morte, tanto da averne già assunto il colore pallido, il percepito « lume di merzede »,
che proviene dagli occhi della donna, è barlume di rianimazione interiore (Cavalcanti, XXII 9-14) :
ma po’ sostenne, quando vide uscire
degli occhi vostri un lume di merzede,
che porse dentr’ al cor nova dolcezza;
e quel sottile spirito che vede
soccorse gli altri, che credean morire,
gravati d’angosciosa debolezza.
E si veda poi l’ultimo componimento della serie, Veggio negli occhi della donna mia, che è una
limpida celebrazione della bellezza femminile, in cui dalla visione fisica si passa, attraverso un
progressivo processo di astrazione, a un’immagine intellettuale di bellezza, sempre più astratta, che
dà serenità interiore; si legga la ripresa e la prima stanza (Cavalcanti, XXVI 1-12) :
Veggio negli occhi de la donna mia
un lume pien di spiriti d’amore,
che porta uno piacer novo nel core,
sì che vi desta d’allegrezza vita.
Cosa m’aven, quand’ i’ le son presente,
ch’i’ no la posso a lo ’ntelletto dire :
veder mi par de la sua labbia uscire
una sì bella donna, che la mente
comprender no la può, che ’mmantenente
ne nasce un’altra di bellezza nova,
da la qual par ch’una stella si mova
e dica : « La salute tua è apparita ».
Guido vede negli occhi della sua donna uno sguardo luminoso pervaso d’amore (così anche Dante
in V.n., XXI 2), che dà un insolito piacere al cuore, tanto da suscitarvi una gioiosa vitalità. Il poeta
13
Cfr. G. CAVALCANTI, Rime, a cura di G. FAVATI, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957.
6
non è in grado di sapere, perché impossibilitato a una precisa rielaborazione mentale, cosa gli
avvenga in presenza della donna : gli sembra di vedere provenire dal suo volto un’immagine così
bella, che la mente non può comprendere pienamente, dalla quale sùbito nasce un’altra immagine di
straordinaria bellezza, dalla quale pare che si muova una luce, come di stella, che dice : « È apparsa
la tua salvezza », dove l’espressione biblica14 è impiegata a esprimere il senso tutto terreno di
serenità o di sollievo per la liberazione da uno stato di grave prostrazione dell’animo.
Ma torniamo a Guinizzelli, per leggere altri due famosi sonetti, quelli tra i suoi che meglio rientrano
nella categoria storiografica di Dolce stil novo :
Vedut’ ho la lucente stella diana,
ch’apare anzi che ’l giorno rend’ albore,
c’ha preso forma di figura umana ;
sovr’ ogn’ altra me par che dea splendore :
viso de neve colorato in grana,
occhi lucenti, gai e pien’ d’amore ;
non credo che nel mondo sia cristiana
sí piena di biltate e di valore.
Ed io dal suo valor son assalito
con sí fera battaglia di sospiri
ch’avanti a lei de dir non seri’ ardito.
Cosí conoscess’ ella i miei disiri !
ché, senza dir, de lei seria servito
per la pietà ch’avrebbe de’ martiri.
5
10
Il sonetto è incentrato sull’epifania della donna, vera e propria incarnazione della stella del mattino.
Per esprimere la sua bellezza prodigiosa e la sua perfezione, Guinizzelli equipara l’amata alle forme
naturali – stella del mattino, neve, fiore di melograno o cocciniglia –, secondo un modello analogico
proprio della liturgia mariana e della poesia sacra : si ricordino almeno l’antica preghiera dedicata
alla Madonna, Ave maris stella, risalente al IX sec., se non prima ; e nella Bibbia, due versetti del
Cantico dei Cantici, 5 10 : « dilectus meus candidus et rubicundus » (« il mio diletto è bianco e
vermiglio »), e 6 9: « quae est ista quae progreditur quasi aurora consurgens, pulchra ut luna, electa
ut sol terribilis, ut acies ordinata ? » (« Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna,
fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati ? »). Secondo una modalità costante in
Guido, la descrizione è un trionfo di luce, cui contribuisce anche l’incarnato e lo scintillio dello
sguardo della donna. Di fronte a un simile splendore l’io lirico rimane inebetito ed entra in uno stato
di afasia.
Ecco il secondo sonetto :
Io vo’[glio] del ver la mia donna laudare
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
piú che stella dïana splende e pare,
e ciò ch’è lassú bello a lei somiglio.
Verde river’ a lei rasembro e l’âre,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare :
medesmo Amor per lei rafina meglio.
Passa per via adorna, e sí gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ’l de nostra fé se non la crede ;
e non le pò apressare om che sia vile ;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute :
null’ om pò mal pensar fin che la vede.
14
5
10
Vd. Tit., 2 11 : « apparuit enim gratia Dei Salvatoris nostris omnibus hominibus » (« è apparsa infatti la grazia di Dio
nostro Salvatore per tutti gli uomini »), versetto di una delle letture proprie della liturgia del Natale.
7
Qui la laus mulieris viene condotta non secondo il consueto modulo del sopravanzamento, ma
attraverso l’equiparazione della donna alle altre creature, secondo un modulo tipico della poesia
religiosa,15 come rivelano del resto anche i rimandi al Cantico dei Cantici, 1 8 ; 2 2 ; 6 9, e
all’Ecclesiasticus (oggi Siracide), 50 6-10. Nelle quartine c’è il ritratto statico della donna. Gli
elementi naturali, in un turbinio di luci e di colori, si assiepano a esprimere la sua straordinaria
bellezza. Nelle terzine questa splendida donna anonima incede per via, e in questo suo camminare e
salutare già si intravede il profilo della Beatrice della Vita nuova.
Questi sonetti colpirono negativamente i poeti della vecchia maniera, e in particolare Guittone
d’Arezzo che nel sonetto S’eo tale fosse, ch’io potesse stare accusò Guinizzelli, senza nominarlo, di
«laido errore». Ma a essi guardò con ammirazione Cavalcanti. Si leggano questi due suoi
componimenti (vd. Cavalcanti, II e III).
Biltà di donna e di saccente core
e cavalieri armati che sien genti ;
cantar d’augelli e ragionar d’amore ;
adorni legni ’n mar forte correnti ;
aria serena quand’ apar l’albore
e bianca neve scender senza venti ;
rivera d’acqua e prato d’ogni fiore ;
oro, argento, azzuro ’n ornamenti :
ciò passa la beltate e la valenza
de la mia donna e ’l su’ gentil coraggio,
sí che rasembra vile a chi ciò guarda ;
e tanto piú d’ogn’altr’ ha canoscenza,
quanto lo ciel de la terra è maggio.
A simil di natura ben non tarda.
5
10
Il sonetto si struttura sul modello del provenzale plazer – elenco paratattico di cose o situazioni
piacevoli –, tra cui spicca la suggestiva immagine del v. 6, « e bianca neve scender senza venti »,
che Dante utilizzerà nel contrasto fuoco-acqua e rosso-bianco della similitudine di Inf., XIV 28-30 :
« Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento, / piovean di foco dilatate falde, / come di neve in alpe
sanza vento ». Nel componimento di Cavalcanti sono riconoscibili le tessere tradizionali, e in
particolare gli echi guinizzelliani, come per es. il v. 8, « oro, argento, azzuro ’n ornamenti », il cui
ipotesto è senza dubbio Guinizzelli, X 6-7 : « tutti color di fior’, giano e vermiglio / oro ed azzurro e
ricche gioi per dare ».
Avete ’n vo’ li fior’ e la verdura
e ciò che luce ed è bello a vedere;
risplende piú che sol vostra figura:
chi vo’ non vede, ma’ non pò valere.
In questo mondo non ha creatura
sí piena di bieltà né di piacere;
e chi d’amor si teme, lu’ assicura
vostro bel vis’ a tanto ’n sé volere.
Le donne che vi fanno compagnia
assa’ mi piaccion per lo vostro amore;
ed i’ le prego per lor cortesia
che qual piú può piú vi faccia onore
ed aggia cara vostra segnoria,
perché di tutte siete la migliore.
15
5
10
Si può vedere la persuasiva lettura di P. BORSA, La nuova poesia di Guido Guinizelli, Firenze, Cadmo, 2007.
8
Questo sonetto – di schema rimico arcaico e decisamente guinizzelliano come rivelano le rime
alternate sia nelle quartine sia nelle terzine – sviluppa il motivo della lode femminile, secondo un
modulo già presente in Guinizzelli (cfr. soprattutto Guinizzelli, X). La bellezza dell’amata, evocata
più che descritta, si riverbera sulle altre donne che l’accompagnano, ed esse sono dunque chiamate
a farle onore e a considerare preziosa la sua superiorità.
Il medesimo ipotesto è attivo poi in uno dei componimenti più noti e a mio giudizio più belli di
Cavalcanti, il sonetto Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira (Cavalcanti, IV) :
Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,
che fa tremar di chiaritate l’âre
e mena seco Amor, sì che parlare
null’omo pote, ma ciascun sospira?
O Deo, che sembra quando li occhi gira!
dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare:
cotanto d’umiltà donna mi pare,
ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ ira.
Non si poria contar la sua piagenza,
ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute,
e la beltate per sua dea la mostra.
Non fu sì alta già la mente nostra
e non si pose ’n noi tanta salute,
che propiamente n’aviàn canoscenza.
5
10
Cavalcanti riprende il motivo della lode della donna di Io vo’[glio] del ver la mia donna laudare
(Guinizzelli, X), del quale sono ripetute qui, pur nella diversità dello schema, quattro parole-rima :
« âre : pare, vertute : salute ». L’epifania femminile è sconvolgente : la bellezza della donna è
umanamente inesprimibile, al punto che solo Amore la può adeguatamente elogiare ; e soprattutto è
umanamente inconoscibile, cosicché il desiderio e l’ansia di conoscenza non possono che rimanere
inappagati.
Secondo Roberto Rea, la lezione di Guinizzelli è stata determinante per Cavalcanti anche ai fini
dell’acquisizione del modello biblico come base per il rinnovamento della poesia cortese.16 Non
sempre le tessere bibliche sono di facile individuazione, sia per l’abile lavoro di
rifunzionalizzazione compiuto dal poeta sia (forse) per quel diffuso postulato critico di un Guido
ateo e materialista che ha finito con l’offuscare ciò che invece è profondamente compenetrato nella
sua lirica.
Nel sonetto Chi è questa che vèn, la nitida allusione iniziale al Cantico dei Cantici – il poemetto
biblico dell’amore che influenzò anche Dante (Vd. CdC., 3 6 : « Quae est ista quae ascendit per
desertum » (« Chi è costei che sale dal deserto ») ; 6 9 : « Quae est ista quae progreditur quasi
aurora consurgens » (« Chi è costei che sorge come l’aurora »); e 8 5 : « Quae est ista quae ascendit
de deserto » (« Chi è costei che sale dal deserto »); ma per il verbo « venire » che usa Guido cfr.
anche Is., 63 1 : « Quis est iste, qui venit de Edom » (« Chi è costui che viene da Edom ») – colloca
l’epifania femminile in una dimensione altra rispetto a quella cortese.
Lessico e movenze annunciano qui tratti caratteristici del Cavalcanti maggiore. L’apparizione
femminile « fa tremar di chiaritate l’âre » (v. 2) : è il fenomeno ottico della scintillazione, ben noto
alla fisica medievale, per cui l’aria pare tremare per effetto dell’intensità della luce ; e resterà traccia
di questa immagine di Guido anche in Dante, pur nella diversità dei contesti : « sì che parea che
l’aere ne tremesse » (Inf., I 48), lezione promossa a testo da Petrocchi, in luogo di « temesse » che si
trovava nell’edizione del 1921 curata da Giuseppe Vandelli. Questa donna splendida e straordinaria
determina nel poeta effetti paralizzanti, tanto che egli, ridotto all’afasia, può solo sospirare. La serie
di formule negative denuncia l’ineffabilità e la stessa inconoscibilità di un mistero che trascende l’io
lirico. Restano solo sospiri, ed è reazione che produrrà i suoi effetti sia in Cavalcanti sia nella Vita
nuova.
16
Il rimando è al bel libro di REA, Cavalcanti poeta, cit.
9
Per il ruolo che ha svolto nel rinnovamento della lirica delle origini e per la pregevole qualità
delle sue rime, Guido Cavalcanti va decisamente valorizzato, potando l’interpretazione della sua
poesia da certi pregiudizi che in passato, anche non troppo lontano, hanno finito con il penalizzare o
il condizionare unidirezionalmente la sua fortuna critica. L’etichetta di filosofo, appiccicatagli già
dai contemporanei, ha infatti schiacciato il suo vario e consistente corpus di rime (circa 50 pezzi)
sotto Donna me prega. La canzone dottrinale è certamente una prova superba e un autentico pezzo
di bravura, tanto che fu commentata già nel ’300, ma sarebbe riduttivo interpretare tutto Guido in
direzione di quel componimento, sia questa direzione un complemento di moto a luogo sia essa un
complemento di moto da luogo. Anche la fama di ateo e di pensatore radicale, se non scettico e
blasfemo – alimentata soprattutto da novelle (su tutte Dec., VI 9) e cara ai critici engagés di ieri e di
oggi per i quali « incredulità » rima semanticamente più che foneticamente con « modernità » –
potrebbe essere un’illusione ottica, e andrebbe quanto meno verificata su tutto il corpus17 (non solo
su Donna me prega, sempre che essa stessa regga la tesi), tanto più che è stata ben dimostrata, come
abbiamo anche visto, l’abile mimesi del lessico biblico compiuta da Guido nei suoi testi.
17
Vd. per esempio la lettura di M. GRIMALDI, L’incredulità di Cavalcanti, in « Filologia e Critica », a. XXXVIII 2013,
pp. 3-32 ; e F. FIORETTI, Ethos e leggiadria. Lo Stilnovo dialogico di Dante, Guido e Cino da Pistoia, Roma, Aracne,
2012, pp. 110-49, in cui la canzone Donna me prega è letta « alla luce della psicologia avicenniana », che costituiva la
base dell’insegnamento nelle facoltà di medicina per tutto il XIII secolo. Fioretti sostiene che « non basta nominare
l’intelletto possibile per essere averroisti » (p. 127).
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Immagini
1
Manoscritto Laurenziano Redi 9, carta 73 recto
11
2
Manoscritto Laurenziano Redi 9, carta 73 verso
12
3
Manoscritto Laurenziano Redi 9, carta 74 recto
13
4
Manoscritto Palatino 418, carta 13 recto
14
5
Manoscritto Palatino 418, carta 13 verso
15
6
Manoscritto Chig. L VIII 305, carta 1 recto
16
7
Manoscritto Chig. L VIII 305, carta 1 verso
17
8
Manoscritto Chig. L VIII 305, carta 2 recto
18
9
Manoscritto Chig. L VIII 305, carta 61 verso
19
10
Manoscritto Chig. L VIII 305, carta 62 recto
20
11
Manoscritto Vat. Lat. 3793, carta 126 verso