Il protocollo di Kyoto

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Il protocollo di Kyoto
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Le decisioni di Kyoto
Vincenzo Ferrara
(ENEA, Dipartimento Ambiente)
1. Introduzione
La “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici”, (la cui sigla
internazionale è: UN-FCCC) approvata nella Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo
Sviluppo di Rio de Janeiro (giugno 1992) e ratificata dall’Italia il 15 gennaio 1994
contiene una serie di obblighi che per finalità generali, possono così raggrupparsi:
a) obblighi sul breve termine volti alla limitazione delle possibilità di cambiamenti
climatici globali, o comunque alla mitigazione di tali cambiamenti, indotti dalle attività
umane, mediante azioni o contromisure che agiscono soprattutto sulle cause principali
dei cambiamenti climatici, quali ad esempio le emissioni in atmosfera di gas ed
inquinanti capaci di aumentare l’effetto serra naturale del nostro pianeta;
b) obblighi sul medio termine volti alla mitigazione degli effetti dei cambiamenti
climatici globali con azioni e contromisure che agiscono soprattutto sulla prevenzione
dei possibili danni e sulla minimizzazione delle prevedibili conseguenze negative
indotte dai cambiamenti climatici sull’ambiente naturale, l’ambiente antropizzato e lo
sviluppo socio-economico, quali ad esempio i danni all’agricoltura ed alle risorse idriche
(prodotti da processi di aridificazione e desertificazione nella fascia temperata
subtropicale), la salinizzazione delle falde freatiche e la distruzione degli ambienti
costieri indotti dall’innalzamento del livello del mare, ecc.;
c) obblighi sul lungo termine volti all’adattamento dell’umanità ai cambiamenti climatici
e, quindi, ad un nuovo ambiente naturale globale diverso da quello attuale e la cui
evoluzione è causata appunto dai cambiamenti climatici globali, mediante azioni o
contromisure che agiscono soprattutto sulla programmazione dell’uso del territorio e
delle risorse naturali e sulla pianificazione dello sviluppo socio-economico mondiale.
Se consideriamo gli impegni contenuti nella Convenzione sopra citata in termini di
obiettivi settoriali da raggiungere, la tipologia degli obblighi può essere così sintetizzata:
1) obblighi di natura politica e socio-economica nazionale nei settori più rilevanti delle
attività umane, quali la produzione e l’uso dell’energia, i processi ed i prodotti
industriali, l’agricoltura e la produzione agro-alimentare, la gestione dei rifiuti, ecc.
2) obblighi di natura politica e socio-economica internazionale per la cooperazione
internazionale, in particolare tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo o con
economia in transizione, per il trasferimento di nuove tecnologie, e soprattutto di knowhow, capaci di promuovere crescita economica e benessere sociale con impatti ambientali
bassi e comunque non pregiudizievoli sugli equilibri del sistema climatico globale;
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3) obblighi di natura tecnico-scientifica per la partecipazione ai grandi programmi di
ricerca scientifica internazionale su ambiente globale e cambiamenti climatici e ai grandi
sistemi internazionali per le osservazioni globali della terra e del clima, e per lo sviluppo
dell'innovazione tecnologica nei vari settori, industriale, energetico e produttivo;
4) obblighi di natura culturale e sociale per l'informazione del pubblico e la diffusione
delle informazioni sui problemi e le implicazioni dei cambiamenti climatici sui complessi
equilibri tra sistema ambientale e sistema climatico globale, nonché la formazione
culturale e professionale delle nuove generazione su tali tematiche.
Nella Convenzione UN-FCCC impegni ed obblighi non sono dettagliati in termini di
azioni concrete da effettuare, modalità operative di attuazione, tempi da rispettare o
altro, ma vengono enunciati in termini generali e suddividendoli per gruppi di Paesi a
cui sono indirizzati. I gruppi di Paesi previsti sono tre:
i) tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Unite, le Organizzazioni intergovernative e gli altri
firmatari della Convenzione, che sono tenuti a rispettare gli obblighi generali di cui al
paragrafo 1 dell’art. 4 della Convenzione, oltre quelli di cui all’art. 5 (ricerca ed
osservazioni sistematiche) e all’art. 6 (educazione, formazione e informazione del
pubblico);
ii) i Paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione (sono 36 Paesi elencati
nell’Annesso I della Convenzione), che sono tenuti a rispettare anche gli obblighi di cui
al paragrafo 2 dell’art. 4 della Convenzione;
iii) i Paesi sviluppati (sono 25 Paesi elencati nell’Annesso II della Convenzione), che sono
tenuti a rispettare, oltre quelli precedenti, anche gli obblighi di cui al paragrafo 3 dell’art.
4 della Convenzione.
2. Che cos’è il protocollo di Kyoto
Nella Convenzione UN-FCCC viene istituito un organo definito “La Conferenza delle
Parti”, al quale viene demandato il compito fondamentale di dare attuazione dei principi
e degli impegni generali contenuti nella convenzione stessa. Questo organo, che è
l’organo supremo e decisionale, ha anche il compito di controllare l’effettivo
svolgimento delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi della UN-FCCC.
Per svolgere questi compiti la “Conferenza delle Parti” si avvale di un “Segretariato” il
cui ruolo è prevalentemente organizzativo e di assistenza, di “Organi sussidiari” tra cui
uno di consulenza scientifica e tecnica, uno di attuazione operativa ed eventualmente
altri che la stessa “Conferenza delle Parti” decidesse di istituire.
Il Protocollo di Kyoto, approvato dalla “Conferenza delle Parti” nella sua terza sessione
plenaria tenuta a Kyoto dal 1 al 10 dicembre 1997, è dunque un atto esecutivo contenente
le prime decisioni sulla attuazione operativa di alcuni degli impegni della Convenzione
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UN-FCCC e precisamente degli impegni più urgenti e prioritari (quelli di cui alla lettera
a) del paragrafo precedente) e relativamente ad alcuni settori delle economie nazionali
(quelli di cui al punto 1) del paragrafo precedente).
Per quanto riguarda gli obblighi le cui finalità sono riportate nei punti b) e c)
precedentemente citati e per gli obblighi la cui tipologia è riportata nei punti 2), 3), e 4)
sopra detti, nulla di specifico viene detto nel Protocollo di Kyoto, se non ribadire quanto
già previsto in termini generali nella Convenzione UN-FCCC. Inoltre, le misure
approvate nel Protocollo di Kyoto riguardano esclusivamente i Paesi di cui al punto ii)
del paragrafo precedente, vale a dire i Paesi sviluppati e quelli ad economia in
transizione dell’est europeo.
In altre parole il Protocollo di Kyoto individua e definisce operativamente solo una parte
molto limitata degli impegni da attuare. Anche se molto lavoro resta ancora da fare ai
fini attuativi, tuttavia le azioni e le misure decise a Kyoto dalla “Conferenza delle Parti”
rappresentano un punto di partenza fondamentale non solo nella direzione delle
problematiche dei cambiamenti climatici, ma anche nel quadro più generale dello
sviluppo sostenibile.
Infatti, nonostante l’alto rischio di fallimento che da più parti si paventava alla vigilia di
questo importante appuntamento per le apparenti intransigenze di molti Paesi in via di
sviluppo e di alcuni Paesi sviluppati quali gli Stati Uniti, e nonostante i continui colpi di
scena che si sono avuti durante la fase di discussione delle misure da attuare, è stato
avviato un processo di collaborazione mondiale su base consensuale, un processo che al
di là delle inevitabili mediazioni e delle inevitabili critiche su chi ci ha perso e chi ci ha
guadagnato o tra chi ne è uscito sconfitto e chi vincitore, ha posto comunque, ed in
qualche modo ha anche sancito, la centralità dei problemi del clima globale nello
sviluppo socio-economico mondiale e la centralità dello sviluppo sostenibile per il futuro
del nostro pianeta e per la sopravvivenza stessa dell’umanità.
Kyoto, quindi, non rappresenta affatto un punto di arrivo o una grande conquista
diplomatica mondiale (le misure decise sono scarse, parziali e limitate solo ad alcuni
aspetti), ma è solo un timido punto di partenza per i problemi del clima e dello sviluppo
sostenibile, ma soprattutto per la cooperazione mondiale anche in altri settori delle
tematiche globali quali la biodiversità, la desertificazione e l’Agenda 21.
3. Gli obblighi fondamentali del protocollo di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi industrializzati e quelli ad economia in
transizione (i Paesi dell’est europeo) a ridurre complessivamente del 5% le principali
emissioni antropogeniche di gas capaci di alterare l’effetto serra naturale del nostro
pianeta entro il 2010, e precisamente nel periodo compreso fra il 2008 ed il 2012. Questi
gas, detti gas di serra, sono:
- l’anidride carbonica;
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- il metano;
- il protossido di azoto;
- i fluorocarburi idrati;
- i perfluorocarburi;
- l’esafluoruro di zolfo
L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre
per i rimanenti tre (che sono anche gas lesivi dell’ozono stratosferico e che per altri
aspetti rientrano in un altro protocollo: il Protocollo di Montreal) è il 1995.
La riduzione complessiva del 5%, però, non è uguale per tutti. Infatti per il Paesi della
Unione Europea, nel loro insieme, la riduzione deve essere di 8%, per gli Stati Uniti la
riduzione deve essere del 7% e per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo
stabilizzazione è prevista per La Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l’Ucraina.
Possono, invece, aumentare le loro emissioni fino al 1% la Norvegia, fino al 8%
l’Australia e fino al 10% l’Islanda.
Poiché l’attuale andamento delle emissioni dei gas di serra sopra citati provenienti dai
Paesi industrializzati e da quelli ad economia in transizione avrebbe portato ad una
tendenziale crescita complessiva delle emissioni di circa il 20%, la misura decisa a Kyoto
di una riduzione complessiva del 5% rappresenta un grande risultato, perché significa
che tutti questi Paesi dovranno in realtà procedere ad un drastico taglio delle loro
emissioni tendenziali di circa il 25%, vale a dire una riduzione effettiva che è di molto
superiore a quanto possa superficialmente apparire ad una prima lettura del Protocollo.
Se analizziamo più in dettaglio gli attuali andamenti, che mostrano una tendenza alla
crescita delle emissioni nei Paesi sviluppati ed una tendenza alla diminuzione nei Paesi
ad economia in transizione, gli obiettivi imposti dal Protocollo di Kyoto risultano
particolarmente gravosi per i Paesi industrializzati ma soprattutto per alcuni di essi quali
gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e la Nuova Zelanda. Per l’Europa, nel suo insieme,
lo sforzo per il raggiungimento di questi obiettivi, quantunque importante, appare
comparativamente meno gravoso. Particolarmente favorevole, invece, sembra, in termini
di obblighi, il risultato ottenuto dall’Australia rispetto agli altri Paesi industrializzati
Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas ad effetto serra viene previsto per i Paesi
in via di sviluppo, perché un tale vincolo, come era stato già discusso a Rio de Janeiro nel
1992, rallenterebbe, o comunque condizionerebbe, il loro cammino verso lo sviluppo
socio-economico . Infatti, qualsiasi limitazione alle emissioni di gas di serra che si
ripercuote poi nella produzione e nei consumi energetici, in agricoltura, nell’industria e
negli altri settori produttivi, comporta oneri finanziari e costi aggiuntivi, non solo
economici, che i Paesi in via di sviluppo non sono disposti a pagare perché influirebbero
negativamente sul loro processo di evoluzione, a meno che tali costi non vengano
interamente accollati dai Paesi sviluppati.
Vale la pena osservare, tuttavia, che la crescita delle emissioni di anidride carbonica e
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degli altri gas di serra sta attualmente avvenendo con ritmo che è circa triplo (+25% nel
periodo 1990-95) di quello che sta avvenendo nei Paesi sviluppati (+8% nel periodo 199095). Ciò vuol dire che attorno al 2010 non solo questo impegno dei Paesi industrializzati
verrà vanificato, ma anche che, a tale data, le emissioni mondiali di tali gas di serra
saranno cresciute complessivamente di circa il 30% in più rispetto ai livelli del 1990.
Dunque, il Protocollo di Kyoto, pur essendo un ottimo punto di partenza, potrebbe
risultare del tutto inutile, se non si trovano nelle prossime sessioni negoziali della
“Conferenza delle Parti” soluzioni adeguate e onorevoli che garantiscano ai Paesi in via
di sviluppo di procedere speditamente e senza impedimenti nel loro cammino verso lo
sviluppo, ma che garantiscano altresì che gli obiettivi intermedi e finali della
Convenzione UN-FCCC vengano effettivamente raggiunti a livello mondiale.
Per la riduzione delle emissioni, il Protocollo individua come prioritari alcuni settori:
- l’energia, intesa sia come combustione di combustibili fossili nella produzione ed
utilizzazione dell’energia (impianti energetici, industria, trasporti, ecc.), sia come
emissioni non controllate di fonti energetiche di origine fossile (carbone, metano,
petrolio e suoi derivati, ecc.);
- i processi industriali, intesi come quelli esistenti nella industria chimica, nell’industria
metallurgica, nei produzione di prodotti minerali, di idrocarburi alogenati, esafluoruro
di zolfo, nella produzione ed uso di solventi, ecc.;
- agricoltura, intesa come zootecnia e fermentazione enterica, uso dei terreni agricoli,
coltivazione di riso, combustione di residui agricoli, ecc.;
- rifiuti, intesi come discariche sul territorio, gestione di rifiuti liquidi, impianti di
trattamento ed incenerimento, ecc.
Ai fini della riduzione delle emissioni di gas di serra non va tenuto conto solo dei rilasci
in atmosfera dei gas di serra provenienti dalle attività umane, ma anche degli
assorbimenti che vengono effettuati dall’atmosfera attraverso idonei assorbitori che
eliminano tali gas e li immagazzinati opportunamente in modo da non aumentare
l’effetto serra naturale. Uno dei principali assorbitori di gas di serra, ed in particolare
dell’anidride carbonica, è costituito da piante, alberi e, in generale, dall’accumulo di
biomassa attraverso la crescita della copertura vegetale. Pertanto, opere di forestazione
iniziate dopo l’anno di riferimento: il 1990, vanno tenute in debito conto ai fini del
bilancio fra quanto rilasciato in atmosfera e quanto assorbito da boschi e foreste.
Le azioni di forestazione possono essere di due tipi: riforestazione, cioè incrementare la
crescita delle foreste su aree che erano già forestali e che incendi boschivi o l’azione
umana hanno distrutto o depauperato, oppure afforestazione, cioè impiantare nuovi
boschi e nuove foreste su territori potenzialmente idonei o da rendere idonei, ma che in
passato non erano sede di boschi e foreste.
La riduzione delle emissioni di gas di serra in atmosfera deve in definitiva essere intesa
come riduzione delle “emissioni nette”, vale a dire in termini di bilancio tra quanto
complessivamente aggiunto all’atmosfera (rilasciato verso l’atmosfera) e quanto
complessivamente sottratto dall’atmosfera (assorbito dall’atmosfera ed immagazzinato).
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4. Gli altri obblighi del Protocollo di Kyoto
Ai fini della attuazione degli specifici impegni sopraddetti sulla limitazione delle
emissioni nette di gas di serra, il Protocollo di Kyoto prescrive che i Paesi sviluppati e
quelli ad economia in transizione, anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile, devono
mettere a punto, elaborare ed attuare politiche ed azioni operative dei seguenti tipi:
- a carattere generale per incrementare l’efficienza energetica nei più rilevanti settori
dell’economia nazionale e per incrementare le capacità di assorbimento dei gas di serra
rilasciati in atmosfera, come per esempio azioni di forestazione (riforestazione e
afforestazione);
- a carattere politico economico per eliminare quei fattori di distorsione dei mercati
(quali: incentivi fiscali, tassazione, sussidi, ecc.) che favoriscono, invece, le emissioni di
gas di serra e per incoraggiare riforme politico economiche finalizzate, viceversa, alla
riduzione delle emissioni di gas di serra;
- a carattere settoriale nel campo dell’agricoltura e delle fonti rinnovabili di energia per
promuovere sia forme di gestione sostenibile di produzione agricola sia la ricerca, lo
sviluppo e l’uso di nuove fonti di energie rinnovabili;
- a carattere particolare con specifica attenzione alle emissioni di gas di serra nel settore
trasporti, alle emissioni di metano provenienti dalle discariche di rifiuti e dalle perdite
dei metanodotti e alle emissioni di quei gas di serra lesivi anche dell’ozono stratosferico
dalle riserve di combustibili per il trasporto marittimo e per l’aviazione.
Inoltre Paesi sviluppati e Paesi ad economia in transizione vengono sollecitati a
cooperare fra di loro in modo coerente e coordinato per rendere efficaci ed effettivi gli
sforzi compiuti nell’esecuzione delle misure e delle azioni previste dal Protocollo. In
particolare, la cooperazione dovrà riguardare prioritariamente lo scambio delle
rispettive esperienze realizzate e lo scambio delle informazioni e delle conoscenze
acquisite nell’attuazione delle rispettive politiche e misure operative.
Come precedentemente accennato, rimangono indefiniti, dal punto di vista attuativo ed
esecutivo tutti gli altri impegni contenuti negli artt. 4, 5 e 6 della Convenzione UNFCCC. Tuttavia, essi vengono, nelle loro linee generali, richiamati e riconfermati, anche
se obiettivi specifici da raggiungere, misure da attuare, modalità e tempi di esecuzione e
le altre azioni necessarie per rendere operativi tali obblighi, sono rimandati alle prossime
sessioni della Conferenza delle Parti.
5. La formalizzazione di nuovi strumenti di attuazione
Per favorire non solo l’attuazione degli obblighi, ma anche la cooperazione
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internazionale, il Protocollo di Kyoto introduce formalmente alcune novità rispetto alla
Convenzione UN-FCCC: oltre alla “joint implementation” vale a dire l’attuazione
congiunta di obblighi individuali (di cui si discuteva già da molto tempo), vengono
stabiliti due nuovi strumenti attuativi: la “emission trading”, vale a dire la
commercializzazione dei diritti di emissione e il “clean development mechanism”. Ma,
esaminiamo più in dettaglio di che cosa si tratta.
La “joint implementation”, ovvero l’attuazione congiunta degli obblighi definiti dal
Protocollo è prevista come strumento di cooperazione all’interno del gruppo di Paesi a
cui è destinato il Protocollo stesso, cioè fra i Paesi industrializzati e quelli ad economia in
transizione. Tuttavia, devono essere rispettate alcune condizioni di base.
Innanzitutto, i Paesi che in gruppo decidono di attuare congiuntamente i loro impegni
possono al loro interno accordarsi su una distribuzione diversa degli obblighi rispetto
alla distribuzione prevista dal Protocollo, purché venga rispettato l’obbligo complessivo
risultante dall’unione di tutti gli obblighi individuali spettanti ai singoli Paesi coinvolti.
Inoltre, l’accordo per l’attuazione congiunta degli obblighi deve essere ufficializzato
notificandolo al Segretariato della Convenzione UN-FCCC il quale informerà tutte le
Parti firmatarie della stessa Convenzione dell’accordo intervenuto e dei termini
dell’accordo. I Paesi che decidono di agire congiuntamente, rimangono, comunque,
responsabili del rispetto dei propri obblighi individuali stabiliti dal Protocollo nel caso in
cui fallisse l’azione congiunta.
L’Unione Europea, per esempio, si avvale già di questo strumento attuativo e lo ha
notificato nella stessa sede di approvazione del Protocollo. Infatti, l’Unione Europea
dovrà complessivamente rispettare l’obbligo di riduzione del 8% delle emissioni di gas
di serra, ma all’interno dell’Unione Europea ci saranno Paesi che ridurranno più del 8%
e Paesi che ridurranno meno, in relazione a criteri che verranno consensualmente definiti
a livello comunitario.
Per quanto riguarda la “emission trading”, il Protocollo di Kyoto stabilisce che è
possibile, nella esecuzione dei propri obblighi, trasferire i propri diritti di emissione o
acquistare i diritti di emissione di un altro Paese. In altre parole, se un Paese riesce a
ridurre le proprie emissioni più della quota assegnata può vendere la rimanente parte
delle sue emissioni consentite ad un altro Paese che non sia in grado o potrebbe non
essere in grado, di raggiungere l’obiettivo che gli spetta. Viceversa un Paese che, per
ridurre una certa quota delle proprie emissioni, spenderebbe di più di quanto gli
costerebbe acquistare la stessa quota da un altro Paese che è disposto a trasferirla, può
acquistare tale diritto supplementare.
Tuttavia, la commercializzazione dei diritti di emissione non è libera, ma sottoposta alle
seguenti condizioni:
,
- tra Paese che cede e Paese che acquista un diritto di emissione deve esistere una
cooperazione su un progetto finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas di serra, da
realizzarsi congiuntamente in qualsiasi settore dell’economia,
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- l’azione di cessione da parte di un Paese e di acquisto da parte di un altro Paese dei
diritti di emissione non può essere sostitutiva dell’adempimento degli obblighi spettanti
a ciascuno di essi, ma supplementare all’attuazione delle rispettive azioni esecutive;
- il progetto congiunto deve essere ufficializzato e approvato dai Paesi coinvolti:
La possibilità di avvalersi di “emission trading”, che aveva generato qualche timore di
un possibile disimpegno dei Paesi più ricchi e più fortemente emettitori di gas di serra, è
in realtà una possibilità prevista dalla stessa Convenzione UN-FCCC dove si prescrive
che le politiche e le misure da attuare ai fini del raggiungimento degli obiettivi della
Convenzione devono essere ottimizzati dal punto di vista costi/benefici. L’introduzione
di strumenti economici quali la “carbon tax”, la tassa sulle emissioni di anidride
carbonica, e la “emission trading”, la commercializzazione dei permessi di emissione,
concorrono alla ottimizzare del rapporto costi/benefici, come risulta dalle valutazioni
compiute da IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change: un organo consultivo
delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici)
Tuttavia, il meccanismo di attuazione degli obblighi attraverso “emission trading” non è
ancora operativo. Nelle prossime sessioni della “Conferenza delle Parti” dovranno
essere elaborate le linee guida e la regolamentazione necessaria, nonché le modalità di
controllo e di verifica. Pertanto, per ora, si tratta solo di una introduzione formale di
questo nuovo strumento attuativo e dei principi su cui esso si dovrà basare.
Infine, il “clean development mechanism” è un ulteriore strumento attuativo, che a
differenza dei precedenti, è fondamentalmente orientato a favorire la collaborazione
internazionale e la cooperazione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo su
programmi e progetti congiunti in modo che, attraverso la attuazione degli impegni
contenuti nella Convenzione UN-FCCC, venga dato impulso anche ai processi di
sviluppo socio-economico ed industriale nel quadro di riferimento più generale dello
sviluppo sostenibile.
Tale meccanismo, che dovrà promuovere anche il trasferimento di tecnologie e di “know
how” tra Paesi ricchi e Paesi poveri (e quindi adempiere ad altri impegni contenuti nella
Convenzione UN-FCCC), ha la necessità, per raggiungere la massima efficacia, di dotarsi
di un opportuno fondo finanziario. Questo fondo deve essere ancora istituito, a meno
che non si decida di apportano le opportune modifiche al GEF (Global Environment
Facility), il Fondo della World Bank destinato alla cooperazione tra Paesi sviluppati e
Paesi in via di Sviluppo sulle tematiche dell’ambiente globale ed in particolare dei
cambiamenti climatici, dell’ozono stratosferica, della biodiversità e degli oceani.
Anche il “clean development mechanism” non è operativo e la “Conferenza delle Parti”
nelle prossime sessioni negoziali dovrà definire linee, guida, regolamenti, modalità di
accesso e di utilizzazione, ecc.
6. Considerazioni conclusive
Il Protocollo di Kyoto entrerà in vigore dopo 90 giorni dalla data della ratifica di almeno
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55 dei Paesi firmatari della Convenzione UN-FCCC purché tra tali Paesi siano compresi i
Paesi industrializzati e ad economia in transizione, destinatari del Protocollo di Kyoto, in
numero tale da rappresentare almeno il 55% delle emissioni complessive di anidride
carbonica (riferite al 1990) di cui essi sono responsabili.
I documenti di ratifica, devono essere depositati a New York presso il Quartier Generale
delle Nazioni Unite nel periodo compreso fra il 16 marzo 1998 ed il 15 marzo 1999. Ciò
significa che il Protocollo di Kyoto non può andare in vigore prima della metà di giugno
1998 e probabilmente diventerà pienamente esecutivo solo dopo i primi mesi del
prossimo anno.
Il rischio che non si raggiungano i “quorum” richiesti è molto basso: i Paesi in via di
sviluppo non hanno difficoltà a ratificarlo, così come alcuni Paesi industrializzati, come
ad esempio i Paesi dell’Unione Europea che a Kyoto hanno richiesto misure più rigorose
di quelle che poi sono state approvate. Così, mentre il “quorum” di 55 Paesi tra quelli
firmatari della Convenzione UN-FCCC sarà facilmente raggiungibile, il “quorum” di un
numero di Paesi industrializzati e ad economia in transizione pari al 55% delle loro
emissioni complessive di gas di serra, sarà più difficile.
Sul totale delle emissioni di anidride carbonica provenienti dai Paesi industrializzati e da
quelli ad economia in transizione, nel 1990 l’Unione Europea era responsabile del 22%
circa di queste emissioni, i Paesi dell’est europeo erano responsabili di circa il 30%,
mentre i gli altri Paesi industrializzati (esclusi quelli dell’Unione Europea) del 48% circa,
e ben oltre la metà di questo 48% era la sola quota parte degli Stati Uniti. Quindi se i
maggiori Paesi industrializzati non ratificano il Protocollo entro la metà di marzo del
prossimo anno, difficilmente esso potrà entrare in vigore. Ma questo rischio, anche se
esiste, non appare per ora molto elevato, anche nel caso peggiore in cui gli Stati Uniti, il
maggiore emettitore mondiale di gas di serra, decidesse di non ratificare.
Con l’entrata in vigore del Protocollo diventano legalmente vincolanti le disposizioni in
esse contenute. Tuttavia, al momento attuale le reali capacità vincolanti e di
obbligatorietà appaiono piuttosto deboli, non solo perché non sono ancora stati messi a
punto gli opportuni strumenti di verifica e di controllo delle azioni attuative e né tanto
meno idonee sanzioni, ma anche perché alcune disposizioni non sono molto chiare ed
alcune del tutto generiche, come quella che concerne il calcolo o la valutazione degli
assoorbitori di gas di serra ai fini del computo delle emissioni nette.
Non va, in questo contesto, dimenticato che le attuali disposizioni attuative e gli obblighi
del Protocollo di Kyoto potrebbero cambiare o modificarsi nel tempo sia in relazione alle
nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche che verranno via via acquisite, sia in
relazione ai problemi politici ed economici nelle relazioni internazionali, sia in relazione
all’influenza sugli attuali equilibri internazionali che Paesi in via di sviluppo emergenti
potrebbero avere nel futuro assetto mondiale.
In ogni caso, un importante processo di cooperazione internazionale ai fini dello
sviluppo sostenibile è stato innescato ed è un processo importante perché fa da traino
anche per altre Convenzioni delle Nazioni Unite come qualla sulla biodiversità e quella
sulla desertificazione, per non parlare di Agenda 21, che giacciono ancora
operativamente inattuate
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Il processo di cooperazione deve ora diventare sempre più effettivo, oltre che efficace,
fra tutti i Paesi mondiali affinché le attività umane non solo non creino pericolose
interferenze sull’equilibrio climatico ed ambientale globale, ma anche non provochino
cambiamenti climatici ed ambientali troppo rapidi o, comunque, in tempi non sufficienti
da permettere sia agli ecosistemi di adattarsi naturalmente a tali cambiamenti, sia
all’umanità di procedere verso uno sviluppo socioeconomico sostenibile dalle capacità
ricettive dell’ambiente.
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