Newsletter del venerdì

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Newsletter del venerdì
25 novembre 2011
Tutti i mesi fa la luna, tutti i giorni se ne impara una.
Norme europee più forti per monitorare le emissioni di gas serra
[ 23 novembre 2011 ]
Oggi la Commissione europea ha proposto una legislazione «Per rafforzare sensibilmente il monitoraggio e la comunicazione delle
emissioni di gas serra», in particolare per quanto riguarda l'adeguamento alle nuove prescrizioni del pacchetto Ue sul clima e alla
legislazione sull'energia per il periodo 2013-2020. La Commissione spiega che «Per sapere se l'UE e gli Stati membri sono sulla buona
strada verso il conseguimento degli obiettivi di emissione e lo sviluppo di nuove strategie energiche per lottare contro i cambiamenti
climatici, è fondamentale disporre di dati tempestivi e accurati sulle emissioni di gas a effetto serra».
Ue e i Stati membri collaborano già per monitorare e comunicare le emissioni di gas serra grazie alla decisione del Parlamento Europeo e
del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, riguardante un meccanismo per monitorare le emissioni di gas serra nell'Ue e per attuare il protocollo
di Kyoto e redigono ogni anno gli inventari delle emissioni, che vengono utilizzati per valutare i progressi per conseguire gli obiettivi di
emissione stabiliti dal Protocollo di Kyoto. Raccolgono e pubblicano le informazioni sulle proiezioni di queste emissioni e sulle politiche
e misure per la conseguente riduzione.
La Commissione evidenzia che «Le norme vigenti trovano ampio fondamento nelle prescrizioni derivanti dal Protocollo di Kyoto. Il
nuovo regolamento proposto rafforza questo meccanismo di monitoraggio e comunicazione in linea con quanto prescritto dal pacchetto
legislativo del 2009 su clima ed energia, che si dimostra più ambizioso di Kyoto poiché introduce una maggiore trasparenza nelle
informazioni e nei dati forniti e mira a garantire la conformità agli impegni dell'UE per lottare contro il cambiamento climatico».
La revisione del meccanismo di monitoraggio riguarderà il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni da parte delle autorità
nazionali e richiede l'approvazione del Consiglio e del Parlamento per essere convertita in legge. Una normativa d'attuazione distinta
introduce disposizioni specifiche per le imprese sul monitoraggio e la comunicazione delle emissioni rilasciate dagli impianti inclusi
nell'Emissions Trading System dell'Ue (EU ETS).
Gli obiettivi principali della revisione puntano a: Agevolare un ulteriore sviluppo dell'innovativo mix di politiche Ue sul clima per
affrontare le emissioni legate alle attività di utilizzo del territorio, variazione della destinazione d'uso del territorio e silvicoltura (land use,
land use change and forestry - Lulucf), all'aviazione e ai trasporti marittimi fra gli altri settori, oltre a sostenere l'adattamento ai
cambiamenti climatici; Aiutare l'Ue e gli Stati membri a registrare i progressi verso il conseguimento degli obiettivi di emissione per il
periodo 2013-2020; Migliorare ulteriormente la qualità dei dati comunicati; Garantire che l'Ue e gli Stati membri adempiano gli attuali e
futuri obblighi e impegni internazionali in materia di monitoraggio e comunicazione, tra i quali la comunicazione sul sostegno finanziario
e tecnico fornito ai paesi in via di sviluppo nonché gli impegni derivanti dall'accordo di Copenhagen del 2009 e dagli accordi di Cancún
del 2010; Istituire norme operative destinate agli Stati membri per comunicare il loro uso delle entrate generate dalla messa all'asta delle
quote nel sistema UE di scambio delle quote di emissioni (UE ETS); gli Stati membri si sono impegnati a utilizzare almeno la metà delle
entrate generate da tali aste per combattere i cambiamenti climatici nell'UE e nei paesi terzi.
La commissaria all'azione per il clima, la danese Connie Hedegaard, ha sottolineato che «Migliorando la trasparenza, il coordinamento e
la qualità dei dati comunicati, la proposta di oggi contribuisce a verificare meglio i nostri progressi per conseguire gli obiettivi di
emissione. Questa proposta aiuterà inoltre a monitorare e a comunicare le emissioni legate alle attività di land use, land use change and
forestry, all'aviazione e ai trasporti marittimi, per citare solo alcuni settori. Speriamo che queste nuove norme servano da esempio anche
nell'ambito dei negoziati internazionali sul clima e diventino un parametro di riferimento per la trasparenza dell'azione sul clima da parte
dei Paesi sviluppati».
Fonte: www.greenreport.it
Australia, ecco la tassa sulla Co2!
Il premier australiano Gillard ha reso noti i dettagli del funzionamento della nuova carbon tax, che entrerà in vigore a metà 2012.
Il provvedimento interesserà 500 "grandi inquinatori", che dovranno pagare circa 17 euro per ogni tonnellata di Co2 emessa.
Brutte notizie per i "grandi inquinatori" australiani. Il primo ministro Julia Gillard, infatti, ha rivelato i dettagli della tassa sulle
emissioni che entrerà in vigore in Australia a partire dalla metà del 2012. La carbon tax prevede che 500 aziende paghino un'imposta
di 23 dollari australiani (17,2 euro) per ogni tonnellata di Co2 emessa. Il provvedimento aumenterà il peso fiscale del 2,5 % annuo
fino al 2015, quando la tassa sulle emissioni andrà in pensione per essere sostituita da un sistema di Emission trading (Ets). Il governo
australiano ha deciso di utilizzare i fondi raccolti con la carbon tax per nuovi progetti di sviluppo nel settore delle energie rinnovabili.
«Il futuro della nazione deve essere un futuro ad energia pulita - ha dichiarato la premier - Abbiamo optato per la via più economica
per ridurre l'inquinamento legato alla Co2».
Immediate, com'era prevedibile, le reazioni dei 500 "grandi inquinatori" interessati dalla nuova misura (produttori di carbone, imprese
siderurgiche, compagnie aeree), che temono che la carbon tax possa pesare sulle tasche dei contribuenti (ad esempio a causa
dell'aumento dei costi di alcuni prodotti e servizi), e far perdere molti posti di lavoro. Ma il governo di Camberra garantisce che la tassa
sulle emissioni sarà compensata da un pacchetto di agevolazioni fiscali personali, a partire dall'abolizione della soglia d'esenzione
tributaria per i lavoratori. Gillard, inoltre, ha annunciato l'istituzione di un fondo da 24 miliardi dollari che andrà alle famiglie
attraverso tagli delle imposte per bilanciare l'aumento dei prezzi dell'energia legato alla carbon tax. L'Australia è uno dei Paesi col più
alto livello pro capite di emissioni di gas serra, dovute soprattutto al fatto che l'80% della produzione energetica deriva dal carbone.
Fonte: www.greenreport.it
Clima, gli impegni senza vincoli, rischiano di gettare il pianeta
dell'incertezza
[ 22 novembre 2011 ]
Pietro Greco
A partire da lunedì prossimo, 28 novembre, e fino a venerdì 9 dicembre, si terranno a Durban, in Sud Africa, la 17a Conferenza delle Parti
che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti del Clima (COP 17) e la 7a Sessione delle Parti che hanno
sottoscritto il Protocollo di Kyoto.
In discussione vi sono sia la definizione di un impegno giuridicamente vincolante tra i 190 a passa paesi delle Nazioni Unite per
l'adozione di politiche comuni di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento, sia il destino del Protocollo di Kyoto, che
impegna solo i paesi di antica industrializzazione, e che è in scadenza nel 2012.
La mitigazione dei cambiamenti climatici è un modo burocratico per dire: tagli delle emissioni antropiche di gas serra rispetto a certi
livelli di riferimento (quello preso in considerazione è il livello delle emissioni nell'anno 1990).
Occorre dire che la Convenzione sui Cambiamenti Climatici, a tutt'oggi, prevede per i paesi che l'hanno ratifica un impegno generico a
ridurre le emissioni di gas serra. Mentre il protocollo di Kyoto impegna i paesi di antica industrializzazione che l'hanno ratificata a precise
e specifiche riduzione delle loro emissioni di gas serra (anche se non sono previste sanzioni per gli inadempienti).
Le due decisioni che dovranno essere prese a Durban - accordo globale e l'estensione nel tempo del Protocollo di Kyoto - sono fortemente
interconnesse. Tant'è che alcuni paesi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto - nella fattispecie Giappone, Canada e Russia - hanno già
fatto sapere che, senza un impegno vincolante da parte di tutti, in particolare di Stati Uniti e Cina, i due massimi produttori di gas serra,
non parteciperanno a nessun processo di estensione del Protocollo di Kyoto.
O si troverà, dunque, una strategia comune oppure la politica di contrasto ai cambiamenti climatici tornerà indietro di vent'anni (nel 2012
saranno, per l'appunto, vent'anni dalla Conferenza di Rio e dalla stesura della Convenzione sul clima).
Il quadro, rispetto a Rio, è cambiato. Venti anni fa i paesi di antica industrializzazione erano ancora i massimi produttori di gas serra. Oggi
il 58% delle emissioni avviene a opera di paesi che ancora a Rio venivano definiti in via di sviluppo. Restano le antiche responsabilità, ma
occorre prendere atto che senza il contributo attivo di Cina, India, Brasile e di un'intera costellazione di paesi a economia emergente le
politiche di mitigazione perdono molto del loro significato.
Resta decisivo, inoltre, il coinvolgimento degli Stati Uniti, che - come è noto - non hanno ratificato il protocollo di Kyoto.
Durban produrrà un accordo globale? Difficile dirlo. Molti indulgono al pessimismo. Anche perché la crisi finanziaria che sta investendo
l'Occidente è un potente fattore di perturbazione.
Tuttavia occorre ricordare che negli anni scorsi - a Copenaghen e poi a Cancun - tutti i paesi hanno riconosciuto che quello del
cambiamento del clima è un problema reale (a dispetto dei pochi, irriducibili scettici) e anche molto grave. E tutti hanno, dunque,
riconosciuto che occorre agire.
Resta da stabilire come.
Le opzioni in campo sono due. La prima è, in pratica, quella di estendere al mondo intero la filosofia e il sistema, rigido e vincolante, del
Protocollo di Kyoto (che peraltro ha creato un'economia di scambio dei diritti di emissione valutata in miliardi di euro). Ovvero: ciascun
paese si impegna a ridurre le emissioni di una certa quantità entro un certo tempo. È l'opzione indicata, nei giorni scorsi, dal Parlamento
europeo. Ed è l'unica che consenta di avere un minimo di certezza sul conseguimento degli obiettivi. Soprattutto se è rafforzata da un
sistema di sanzioni per gli inadempienti.
Ma in campo c'è un'altra opzione. Quella degli impegni morali non vincolanti, sostenuta unicamente da meccanismi di mercato. È
l'opzione del "liberi tutti" di fare quel che si vuole e si può. L'unica oggi realistica, sostengono i suoi fautori. A causa della crisi, ma anche
della storica ritrosia di Usa e Cina ad accettare vincoli esterni alla propria sovranità e alla propria economia.
Su questa opzione - basta leggere l'ultimo numero della rivista Nature, che interviene sull'argomento con un proprio editoriale e con
un'analisi di Elliot Diringer, un esperto del Center for Climate and Energy Solutions di Arlington, Virginia (Stati Uniti) - si sta schierando
una parte consistente di esperti.
L'opzione "no-binding", senza vincoli, sarà anche realistica. Ma ha un grande difetto: non offre alcuna certezza che gli obiettivi possano
essere raggiunti. Possiamo lasciare che il più grave problema che avrà di fronte l'umanità in questo secolo sia risolto dalle forze del
mercato, che sono cieche, e dal gioco di composizione della volontà di 190 diversi paesi?
È tempo che, sull'argomento si esprima l'opinione pubblica mondiale. L'unica, forse, in grado di dare una qualche direzione a un processo
che rischia di non averne alcuna.
Fonte: www.greenreport.it
La buona novella
Incentivi per le rinnovabili in arrivo con il Fondo Rotativo Kyoto
Con la fine dell’ipotesi del nucleare italiano segnata dal referendum del 12 e 13 giugno, le fonti rinnovabili e la ricerca nel settore tornano alla ribalta come unica
opzione seria per il rilancio energetico del nostro Paese. Tra i vari ritardi accumulati negli anni in questo campo, l’Italia ne “vanta” uno davvero increscioso: la
mancata attivazione del Fondo rotativo Kyoto.
Si tratta, perdonate il burocratese, di un fondo di finanziamenti pubblici attuato dal Dm Ambiente 25 novembre 2008 e dal Dm Economia 17 novembre 2009, ma
mai attivato non essendo stata mai diramata la circolare attuativa. In altre parole, ci sono dei soldi stanziati per finanziare ricerca e innovazione sul fronte energie
pulite, ma nessuno si è mai premurato di rendere tutto ciò operativo. La buona notizia del giorno, però, l’ha data stamani il direttore generale del ministero
dell’Ambiente, Corrado Cini:
"Chiuderemo l’accordo con Cdp e spero di firmare la circolare la prossima settimana in modo che entri in vigore per la fine di luglio. È uno strumento molto
interessante che permette di associare al meccanismo di incentivazione il supporto agli investimenti per i prodotti nuovi”.
Si tratta di 200 milioni di euro, complessivamente 600mln di euro, da erogare in prestiti triennali: un’opportunità ghiotta per aziende, enti locali e privati cittadini.
Nello specifico, i sette campi per cui saranno disponibili i fondi sono
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Microcogenerazione diffusa;
Rinnovabili;
Motori elettrici;
Usi finali;
Protossido di azoto;
Ricerca;
Gestione forestale sostenibile.
Speriamo che i buoni propositi del ministero si concretizzino presto; il nostro Paese ha bisogno di investire, e tanto, nel settore rinnovabili. E dopo i tagli del Quarto
Conto Energia, serviranno nuove forme di finanziamento.
Fonte: www.greenstyle.it
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